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Andrea Sironi Presidente AIRC
IL 5 PER MILLE AD AIRC È UNA SCELTA DI SPERANZA
Vorrei cogliere l’occasione di questo editoriale per ricordare a tutti voi l’importanza del 5 per mille per la nostra Fondazione e più in generale per il sostegno della ricerca scientifica. Il 5 per mille ha permesso di dare una spinta eccezionale alla ricerca oncologica di AIRC garantendone il radicamento su tutto il territorio nazionale, sia attraverso le centinaia di progetti che finanziamo ogni anno, sia attraverso i grandi programmi speciali che abbiamo attivato e che permettono a decine di laboratori in diverse Regioni di collaborare verso un unico obiettivo. In particolare, negli ultimi anni 8 programmi speciali di Fondazione AIRC si sono concentrati sullo studio delle metastasi, per individuare nuovi modi per trattare i tumori che si diffondono ad altri organi rispetto a quello da dove sono originati, e che sono la causa principale di decesso per cancro.
In questo numero raccontiamo la storia di Stefania, cui nel 2019 è stato diagnosticato un tumore al seno metastatico. Come ci ricorda l’ultima edizione de I numeri del cancro in Italia, Stefania è una delle 37.000 donne che oggi in Italia convivono con un cancro della mammella metastatico. Grazie ai tanti progressi nella ricerca e nelle cure, la sopravvivenza per queste donne è notevolmente aumentata negli ultimi anni. Un dato che sottolinea ancora di più l’importanza di continuare a investire negli studi dedicati a queste malattie. Scegliere di destinare il proprio 5 per mille ad AIRC significa non smettere di dare speranza a tante persone come Stefania che si sono ammalate e si ammaleranno in futuro.
Un altro dato che emerge da I numeri del cancro in Italia, e che deve ispirare ottimismo per il futuro, riguarda le guarigioni. Infatti, il 50% delle persone che si sono ammalate di cancro nel 2024 in Italia è destinato a guarire, raggiungendo cioè la stessa aspettativa di vita di chi non ha mai sviluppato la malattia. Di questa e di altre statistiche che restituiscono gli andamenti dei casi di tumore in Italia parliamo in un articolo dedicato su questo numero di Fondamentale Infine, desidero ricordare ancora a tutti i nostri lettori l’importanza di questo anno speciale, il 60° dalla fondazione di AIRC. È per tutti noi un onore e al contempo una responsabilità poter celebrare questo importante traguardo con rinnovato impegno nella nostra missione: rendere il cancro sempre più curabile.
Vita da ricercatrice
Diletta Di Mitri
LA RICERCA INSEGNA CHE NON BISOGNA ARRENDERSI
In questo articolo:
Diletta Di Mitri, dopo un primo tentativo non andato a buon fine, ha ottenuto uno Start-Up Grant nel 2016 e da allora i suoi studi sono finanziati da AIRC anche grazie ai fondi del 5 per mille. In occasione dei 60 anni di AIRC, continuiamo a raccontare le storie di ricercatori e ricercatrici come lei che abbiamo sostenuto fin dagli esordi
a cura di Michela Vuga
La felicità in laboratorio? “È quella che si prova quando otteniamo nuovi risultati e siamo sul punto di analizzarne l’impatto: è la sensazione di essere vicini a una scoperta che un domani potrà fare la differenza nella cura del cancro.” Diletta Di Mitri lo racconta sorridendo, quasi stesse rivivendo quel momento preciso, di felicità appunto, che ripaga di tutte le altre volte in cui i dati non mostrano nulla di specifico, e con fiducia ci si rimette al bancone del laboratorio e si ricomincia. Chi fa ricerca, di strade a fondo cieco ne percorre, ma Diletta, che è docente di istologia all’Humanitas University, dove dirige la Tumor Microenvironment Unit, ha un’indole positiva: “Ciò che mi guida e che
spesso suggerisco ai miei giovani collaboratori è di inseguire i propri sogni, cercare di fare la differenza e poi godersi il viaggio”.
L’IMMUNOLOGIA
DEL CANCRO
La sua vita da ricercatrice inizia con la laurea in biotecnologie mediche all’Università Alma Mater Studiorum di Bologna nel 2004, a cui segue un dottorato in neuroscienze all’Università di Roma Tor Vergata focalizzato sulla neuroimmunologia. “Per molti anni mi sono dedicata all’immunologia. Inizialmente l’oncologia non era certo il mio obiettivo, io miravo a fare ricerca e a quel che ne consegue: l’aprirsi sempre a nuovi stimoli ed evolvere.” È questo che la spinge a trasferirsi a Londra allo University College, dove si occupa di immunologia applicata all’invecchiamento e alle infezioni e, in particolare, guida un progetto sulla senescenza dei linfociti T, cellule del sistema immunitario. Quando l’esperienza si conclude, valutando un ventaglio di opportunità tra cui scegliere per proseguire il suo lavoro, Diletta riconosce in se stessa quella che definisce una “sensibilità” verso il cancro: “Mi resi conto di aver maturato il desiderio di contribuire alla ricerca sui tumori. Principalmente per due motivi: da un lato per la gravità della malattia, dall’altro per il continuo aumento dei casi, anche tra i giovani. In quel periodo, il mondo della ricerca stava dedicando sempre più attenzione all’immunologia nel cancro. Così pensai che le mie conoscenze sull’immunologia potessero dare un contributo e fare la differenza nella ricerca oncologica”.
L’ESPERIENZA ALL’ESTERO È così che Diletta accetta l’offerta dell’Institute for Oncology Research di Bellinzona, in Svizzera, per portare
avanti progetti di ricerca sfruttando le competenze acquisite a Londra nell’invecchiamento cellulare. “Mi dedicai a esplorare l’interazione tra il sistema immunitario e i tumori, in particolare per capire come il sistema immunitario impedisca, in sostanza, alle cellule tumorali di invecchiare, e quindi finisca con l’aiutare il tumore a proliferare ancora di più.” L’esperienza all’estero è determinante: “Mi ha permesso di capire l’importanza
“Decisi di contribuire alla ricerca sui tumori per due motivi: la gravità della malattia e il continuo aumento dei casi, anche tra i giovani.”
dell’integrazione tra le culture. Anche la scienza deve parte della sua forza e dei risultati che si ottengono ai tanti approcci diversi e alle diverse modalità di fare ricerca. Sono stata ancora più stimolata a cercare il ‘nuovo’, a conoscere ciò che non conosciamo, e questo mi ha permesso di diventare la persona che sono oggi”.
MAI ARRENDERSI
Importante risultato degli anni trascorsi in Svizzera è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature come primo autore. Siamo nel 2014 e Diletta è conscia del percorso fatto e di quello che vuole fare: avviare una sua unità di ricerca per sviluppare in modo autonomo e indipendente le sue idee. In parallelo vuole anche poter formare nuovi ricercatori. È con questi obiettivi in testa che partecipa al bando Start-Up di AIRC, un finan-
ziamento di 5 anni rivolto ai giovani ricercatori che lavorano all’estero e vogliono venire o rientrare in Italia per avviare appunto una loro unità di ricerca. Ma il primo tentativo fallisce: “Sono umbra di nascita, per questo avevo pensato di avviare il mio laboratorio in un istituto romano per tentare anche di avvicinarmi il più possibile a casa. Non ci sono riuscita, ma proprio la ricerca insegna che non bisogna arrendersi al primo tentativo andato male! Stavo pensando a come e con chi riprovare quando il caso ha voluto che Alberto Mantovani, all’epoca direttore scientifico dell’Istituto clinico Humanitas, venisse a Bellinzona per un seminario: le sue parole mi convinsero che l’istituto che dirigeva poteva essere una ‘casa lavorativa’ adatta a me. Così, nel 2016 mi candidai nuovamente al bando Start-Up, e stavolta il mio progetto fu premiato”.
4 GRANT AIRC IN 8 ANNI
“Scoprire di aver vinto fu un’emozione fortissima. Da un lato ero quasi spaventata per il cambiamento che di lì a poco avrebbe portato nella mia vita” ricorda Diletta. “È stata davvero la svolta.” Nel suo laboratorio oggi lavorano in 9, per lo più giovani ricercatrici e qualche figura più esperta. Diletta arriva presto al mattino per dedicare un paio d’ore all’organizzazione della giornata e alla parte più gestionale e amministrativa. “Una cosa a cui tengo molto è la creazione di nuove collaborazioni e la realizzazione di progetti che possano mettere insieme più discipline e quindi più esperienze.” È in quest’ottica che Diletta entra a far parte del consorzio composto da 8 gruppi di ricerca, coordinati da Maria Rescigno dell’Istituto clinico Humanitas, che nel 2019 si aggiudica un finanziamento per un programma di ricerca AIRC sostenuto con i fondi del 5 per mille. L’obiettivo del programma è sviluppare un vaccino terapeutico per migliorare l’immunoterapia contro melanoma e sarcoma metastatici. Poi, nel 2022, Diletta ottiene anche un Bridge Grant, un finanziamento “ponte” per completare il proprio progetto. Infine, nel 2023 consegue un Investigator Grant, dedicato ai ricercatori affermati.
“Quello che AIRC fa per me, ma anche per molti altri ricercatori, è garantire, sempre su base meritocratica, una continuità. La possibilità di avere diversi tipi di finanziamenti, che non solo permettono di avviare le proprie linee di studio ma anche di svilupparle nel tempo, in qualche modo accompagna la crescita di noi ricercatori in oncologia. E ha alimentato la mia fiducia nella ricerca in Italia.”
LE POPOLAZIONI IMMUNITARIE
Diletta studia le popolazioni immunitarie, insiemi di cellule che proteggono il nostro organismo dai patogeni ma anche da altre minacce, come il cancro. Quello che caratterizza le cellule immunitarie è una certa plasticità: sono cellule che possono modificare la propria funzione anche in seguito agli stimoli che ricevono, ed è per via di questa plasticità che in determinate situazioni smettono di difenderci. “In molte neoplasie la popolazione immunitaria piuttosto che combattere il tumore lo aiuta. Perché? Io studio i meccanismi di interazione tra le cellule immunitarie e quelle malate proprio per capire cosa avviene. L’intento è quello di trovare delle nuove terapie contro il cancro che possano ristabilire un’immunità efficiente contro i tumori.”
CHI HA CAMBIATO LA MIA VITA (OLTRE AD AIRC)
Diletta ricorda con gratitudine i mentori che hanno contribuito a farla diventare la ricercatrice che è oggi. “Ci sono due persone che hanno fatto sicuramente la differenza, e sono i tutor del mio dottorato a Roma, Luca Battistini e Giovanna Borsellino. Quando la mia carriera era solo all’inizio, mi hanno permesso di vedere cosa significa avere passione per questo lavoro.”
Nel privato, invece, è stato l’incontro con suo marito Leonardo a cambiarle l’esistenza: “Mi ha trasmesso la bellezza di condividere la vita. Mi ha fatto sempre sentire libera di scegliere e ha supportato le mie scelte anche se comportavano dei sacrifici. Abbiamo due figli che danno alla mia vita un senso che non pensavo potesse avere. Fuori dal laboratorio, la felicità è la mia famiglia”.
UN PODCAST FONDAMENTALE
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COME AIRC USA
I FONDI DEL 5 PER MILLE
Il programma AIRC cui partecipa Diletta Di Mitri è solo una delle tante progettualità finanziate da AIRC attraverso i fondi del 5 per mille. A partire dal 2009, infatti, AIRC ha utilizzato questi fondi per avviare dei programmi speciali all’avanguardia focalizzati sulla ricerca di nuove cure e di nuovi strumenti diagnostici. In particolare, oggi sono attivi 8 programmi speciali per lo studio delle metastasi, una sfida cruciale, di cui Diletta Di Mitri, nell’ambito del programma coordinato da Maria Rescigno dell’Istituto clinico Humanitas, è una delle protagoniste. Lo scopo di questi programmi è comprendere i meccanismi biologici alla base della disseminazione tumorale e sviluppare innovativi approcci preventivi, diagnostici e terapeutici delle metastasi. AIRC utilizza inoltre i fondi del 5 per mille per sostenere centinaia di progetti di ricerca su tutto il territorio italiano.
/ Diletta Di Mitri
I PROGRAMMI 5 PER MILLE DI AIRC PER LO STUDIO DELLE METASTASI
UN VIAGGIO MOLECOLARE PER CONOSCERE A FONDO LE METASTASI DEL TUMORE
DEL COLON-RETTO
Coordinatore: Alberto Bardelli
Istituto ospitante: IFOM – Milano
LE TERAPIE IMMUNITARIE PIÙ AVANZATE
CONTRO LE METASTASI DEL FEGATO
Coordinatore: Maria Chiara Bonini
Istituto ospitante: Università Vita-Salute, Ospedale San Raffaele – Milano
RIFLETTORI PUNTATI SULLE “METASTASI” E SULLA DISSEMINAZIONE DI LEUCEMIE LINFOIDI E LINFOMI
Coordinatore: Robin Foà
Istituto ospitante: Sapienza Università di Roma
EPIGENETICA E IMMUNOTERAPIA
UNITE NELLA SFIDA ALLE METASTASI
Coordinatore: Michele Maio
Istituto ospitante: Azienda ospedaliera universitaria senese – Siena
UNO SGUARDO NUOVO SULLE METASTASI, MALATTIA “MECCANICA”
Coordinatore: Stefano Piccolo
Istituto ospitante: Università degli studi di Padova
UN VACCINO TERAPEUTICO PER MIGLIORARE
L’IMMUNOTERAPIA CONTRO MELANOMA
E SARCOMA METASTATICI
Coordinatore: Maria Rescigno
Istituto ospitante: Humanitas Mirasole – Rozzano
L’EVOLUZIONE DELLE NEOPLASIE
MIELOPROLIFERATIVE COME MODELLO PIÙ GENERALE DI METASTASI
Coordinatore: Alessandro Maria Vannucchi
Istituto ospitante: Università degli studi di Firenze
Dossier metastasi
Caratteristiche delle cellule tumorali
PERCHÉ ALCUNE CELLULE CREANO METASTASI E ALTRE NO?
In questo articolo:
— PLASTICITÀ
— DORMIENZA
— PROGRAMMI 5 PER MILLE AIRC
I ricercatori di tutto il mondo, compresi alcuni sostenuti da AIRC con i fondi del 5 per mille, sono al lavoro per approfondire sempre di più le caratteristiche delle metastasi, e trovare così il modo di contrastarle
a cura della redazione
Cattive, dotate di superpoteri e vestite con il mantello dell’invisibilità. Possiamo immaginare così le cellule metastatiche, che da un tumore primario, attraverso il flusso sanguigno, si diffondono in altri organi, dove si stabiliscono e proliferano fino a formare un tumore secondario. Ma cosa sappiamo di queste cellule?
Innanzitutto, le cellule di un tumore non sono tutte uguali: una massa tumorale può contenere popolazioni diverse di cellule, ognuna con alterazioni genetiche e caratteristiche proprie che le rendono capaci di svolgere compiti specifici, funzionali alla progressione del tumore stesso. Un vero ecosistema, con un “bestiario” di cellule diverse, insomma. Tra queste popolazioni ce ne sono anche di “speciali”, capaci di sviluppare metastasi.
UN PODCAST
FONDAMENTALE
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“Se comprendessimo la natura delle cellule metastatizzanti, potremmo distinguere i tumori primari ‘buoni’ da quelli ‘born to be bad’, ovvero nati per essere ‘cattivi’ e con una propensione a sviluppare le metastasi” spiega Stefano Piccolo, professore ordinario di biologia molecolare presso il Dipartimento di medicina molecolare, Scuola di medicina e chirurgia dell’Università di Padova, ricercatore AIRC in IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare della Fondazione, e responsabile di uno dei programmi 5 per mille di AIRC per lo studio delle metastasi. “È molto importante ottenere questa informazione per via delle implicazioni cliniche che ne derivano: per un tumore cattivo, destinato a essere letale, servono trattamenti aggressivi adeguati; invece, quando il tumore manca di caratteristiche maligne, ed è curabile con le terapie standard, l’approccio è più conservativo, evitando per esempio al paziente di sottoporsi a chemioterapie non essenziali.”
LE CELLULE “SPECIALI”
Cosa rende un tumore più cattivo di altri? Qual è l’origine della sua propensione a produrre metastasi?
“Questo è proprio l’oggetto dei nostri studi. I tumori ‘cattivi’ hanno due peculiarità: la prima è quella di riuscire a sfuggire al sistema immunitario molto meglio rispetto ai tumori ‘buoni’. La seconda è di contenere queste cellule ‘speciali’, che hanno un requisito che noi definiamo plasticità. Si tratta di una capacità camaleontica che permette loro di adattarsi agli ambienti più vari. Riescono così a modificare la loro forma, la loro struttura e la loro espres-
sione genica in modo molto rapido. Non solo sanno superare gli stress associati al loro viaggio attraverso il corpo, ma sono anche capaci di sfruttare ogni opportunità di crescita offerta dall’ambiente dell’organo in cui ‘atterrano’ dando origine alla metastasi. Insomma, queste cellule sono dotate di capacità di resilienza e resistenza davvero notevoli.”
A differenza di quanto comunemente si pensa, la disseminazione nel corpo avviene in una fase molto precoce, prima della comparsa dei sintomi della malattia. Inoltre, una volta giunte a destinazione, le cellule non danno subito metastasi, ma restano in uno stato di dormienza che può durare anche anni. Di per sé quindi questo fenomeno della migrazione non è patologico. “Soltanto una su svariate migliaia, forse milioni, di queste cellule disseminate poi effettivamente uscirà dal suo stato di dormienza e darà origine a un tumore secondario, la metastasi. Esiste una lotta costante tra il cancro, che vorrebbe crescere, e il sistema immunitario, che vorrebbe eradicarlo. Ciò fortunatamente rende il processo di metastatizzazione molto poco efficiente.”
IL CANCRO NON INVENTA NULLA
La metastasi non è una “invenzione” del cancro, piuttosto un “riciclo”. Infatti, grazie alle sue capacità camaleontiche, il tumore riesce a scavare in quello che Stefano Piccolo chiama “armadio dei ricordi”, ovvero tutti i meccanismi e stratagemmi che erano operanti tanti anni fa, quando ognuno di noi era ancora un embrione e i nostri organi si stavano formando. “Assieme a Massimiliano Pa-
gani e al gruppo di ricercatori clinici guidati da Valentina Guarneri, dell’Istituto oncologico veneto di Padova, abbiamo scoperto che l’esistenza di una metastasi è imprescindibile dalla capacità camaleontica del cancro. Esistono prove che le cellule metastatiche riescono a recuperare questi programmi rigenerativi e fetali. Il cancro non inventa nulla: semplicemente recupera dei programmi genici sopiti in un corpo adulto e li riscopre per poterli usare a proprio vantaggio. Il feto ha sfruttato questi programmi per il suo sviluppo, mentre alle cellule speciali servono per poter formare un secondo tumore.” Una delle vulnerabilità del cancro è rappresentata proprio dai meccanismi che gli permettono di andare a recuperare questi programmi spenti, ma non davvero perduti: se riuscissimo a individuarli e bloccarli, il cancro non avrebbe più l’accesso alle istruzioni necessarie a far crescere la metastasi.
RICONOSCERE LE CELLULE SPECIALI
Il lavoro di Stefano Piccolo e del suo gruppo, attraverso delle tecnologie che si chiamano analisi della singola cellula, ha contribuito alla comprensione delle caratteristiche dominanti delle popolazioni di cellule che si trovano all’interno delle metastasi. L’ambito di ricerca è il tumore del seno triplo negativo, di cui esistono almeno due categorie: una che non dà metastasi dopo le cure e una che invece metastatizza nonostante le terapie. Purtroppo al momento della diagnosi non è ancora possibile distinguerle.
“La nostra ricerca parte dalle macro-
Le cellule metastatiche, una volta raggiunta la destinazione, non danno subito metastasi, ma restano in uno stato di dormienza che può durare anni
metastasi e va a ritroso: conoscendo ciò che c’è dentro le metastasi abbiamo potuto rintracciare i ‘semi’ di questa popolazione di cellule metastatiche all’interno del tumore primario.” Sostanzialmente i ricercatori AIRC sono partiti dalla supposizione che ciò che si trova nelle meta-
lecolare, un pacchetto di geni che le caratterizza e che le identifica in modo preciso. Questi risultati sono frutto del programma di ricerca ‘Metastasi come malattia meccanica’ sostenuto dal 5 per mille di AIRC che coordino. Vi partecipano, oltre all’Università di Padova, lo IOV, l’istituto
Per generare una metastasi le cellule devono attraversare il circolo
sanguigno e poi interagire con un ambiente diverso da quello di origine
stasi deve per forza esserci anche nel tumore primario “cattivo”. “Dalla nostra analisi, sembra che il tumore primario sia davvero un guazzabuglio di diversi tipi cellulari; e in effetti abbiamo scoperto una sottopopolazione più rara, presente nei tumori ‘cattivi’, che ha le caratteristiche di plasticità che ho descritto. Con Giorgio Scita dell’IFOM di Milano e un team di bioinformatici guidati da Silvio Bicciato, dell’Università di Padova, ora ne stiamo studiando la presenza attraverso la loro firma mo-
AIRC-IFOM di Milano, e ricercatori dell’Università di Milano, dell’Università di Trieste, dell’Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma e dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano.”
UN VIAGGIO PIENO DI INSIDIE
Per dare origine a una metastasi le cellule affrontano un viaggio pieno di insidie: lasciando la loro “casa”, il tumore primario, devono essere capaci di entrare nel circolo sanguigno e di uscirne integre. Poi devono
interagire con un organo che non è il loro, e quindi con un ambiente tutto diverso. Inoltre, fin dalla loro nascita devono sfuggire a un controllo potentissimo, che è quello del sistema immunitario: riuscirci è uno dei loro superpoteri. “In linguaggio tecnico si dice che le metastasi sono immunologicamente molto fredde, nel senso che sono irriconoscibili dai linfociti e dai sistemi di immunità che normalmente ci proteggono anche dal cancro: significa che c’è come uno scudo, un mantello di invisibilità che non permette al sistema immunitario di entrare, di riconoscere queste cellule che sono strane e diverse. Esistono prove indirette del fatto che le metastasi, in linea di principio, sono corpi estranei ben riconoscibili e quindi eliminabili dal sistema immunitario: soprattutto le cellule più aggressive non solo hanno un sacco di problemi nella loro duplicazione del DNA, perdono pezzi, hanno cromosomi aberranti, ma anche, come dimostrato da Marco Foiani del nostro consorzio, presentano un’inaspettata fragilità della membrana nucleare, un organello cellulare essenziale per
contenere il materiale genetico della cellula. Quando questo si rompe e i frammenti di DNA non sono più contenuti dentro al nucleo della cellula, si scatena un segnale di allarme che in condizioni normali il sistema immunitario riconosce, attivandosi per spazzare via delle cellule che considera giustamente come ‘malate’. Talvolta però questo segnale di allarme non è sufficiente, perché le metastasi creano uno scudo che non permette al sistema immunitario di vederle” spiega Stefano Piccolo. Tra gli obiettivi di molte ricerche c’è appunto quello di riattivare questi meccanismi di allarme per renderle più visibili e creare un contesto in cui è possibile eliminarle.
LA
DORMIENZA DELLE CELLULE
Una volta giunte in un altro organo, le cellule speciali escono dai vasi sanguigni e si collocano sotto i vasi stessi in una modalità “stealth” –come gli aerei progettati per sfuggire ai radar – anche per molti anni. Il radar in questo caso ovviamente è il nostro sistema immunitario. A volte non sono sole, ma in piccoli gruppi che prendono il nome di micrometastasi. Possono dunque annidarsi nell’organo e rimanere lì: ma cosa fanno? Cosa succede da quando arrivano a quando si sviluppa la macrometastasi? “Una cellula che entra in un organo distante da quello originario è come un astronauta che sbarca su un altro pianeta. In un territorio totalmente alieno queste cellule non sanno con chi parlare, non sanno che lingua parlare, non sanno come sfruttare questo microambiente. Una cellula per proliferare deve costruire dei vasi intorno a sé, e quindi deve creare delle interazioni proficue in questo nuovo ambiente. Per farlo, le servono dei superpoteri di plasticità. Molte cellule non li hanno e dunque restano lì, addormentate.”
La dormienza rappresenta una delle maggiori sfide per la ricerca oncologica, soprattutto per quanto riguarda l’individuare cosa accade nel momento in cui le cellule speciali si risvegliano. Ci sono cellule che iniziano a proliferare, ma così facendo sono anche più riconoscibili dal
La maggior parte delle morti per cancro è dovuta alle metastasi, non al tumore primario, per questo è così importante studiarle
nostro sistema immunitario, che le vede e le elimina. Altre, invece, durante questo processo riescono a mantenersi invisibili mentre iniziano a crescere: sono riuscite ad adattarsi e a manipolare il microambiente fino a creare la cosiddetta nicchia metastatica, il luogo dove far crescere la metastasi.
In altri casi la dormienza può essere spiegata dall’interazione con cellule del sistema immunitario innato, come per esempio i macrofagi, che in un certo senso tengono queste cellule sotto controllo inducendo appunto dormienza. “La capacità di comunicare e creare delle interazioni a proprio vantaggio con il microambiente tissutale è uno degli elementi chiave delle capacità trasformiste delle cellule metastatiche”
sottolinea Stefano Piccolo. “Grazie anche all’utilizzo di nuove tecniche di trascrittomica spaziale, che permettono di sequenziare il genoma delle cellule preservando l’informazione relativa alla loro localizzazione spaziale, nel tumore del seno triplo negativo cominciamo a definire la natura delle lesioni metastatiche, come sono fatte, come si parlano e cos’hanno di specifico. Se hanno qualcosa di unico, allora quella è una vulnerabilità su cui puntare. In generale, la maggior parte delle morti per tumore è dovuta alle metastasi, non al tumore primario, e quindi studiarle è quanto mai importante: ad AIRC va riconosciuto il merito di aver stimolato e supportato con i progetti del 5 per mille proprio questo tipo di ricerca.”
Dossier metastasi
Medicina di precisione
LE TERAPIE CONTRO LE METASTASI DIVENTANO SEMPRE PIÙ PRECISE
In questo articolo:
— NEXT GENERATION SEQUENCING — FARMACI AGNOSTICI — PROGRAMMI AIRC 5 PER MILLE
L’analisi molecolare dei tumori è sempre più importante per curare i tumori con maggiore efficacia, anche quando questi hanno già sviluppato metastasi
Ia cura della redazione
l presente e il futuro dell’oncologia appartengono alla parola “precisione”: più si conoscono le caratteristiche del cancro che colpisce il singolo individuo, più le terapie possono essere mirate a quello specifico tipo di neoplasia. L’oncologia di precisione per essere tale deve quindi tenere conto della profilazione genomica di un tumore, che utilizza tecniche come la Next Generation Sequencing (NGS) per individuare le alterazioni molecolari che, come oggi sappiamo, ricoprono un ruolo fondamentale nello sviluppo del cancro. Questo tipo di test può essere eseguito sul tessuto tumorale asportato chirurgicamente oppure ottenuto con una biopsia tissutale, o su un campione di sangue periferico, la cosiddetta biopsia liquida. In questo modo, insieme ai dati istologici, è possibile compilare una vera e propria carta di identità del tumore.
“Dal completamento del Progetto Genoma a oggi è diventato indispensabile conoscere il profilo molecolare di un tumore, perché ci informa su almeno tre aspetti” spiega Alberto Bardelli, direttore scientifico di IFOM, dove coordina il progetto di ricerca su Genomica dei tumori e terapie anticancro mirate. È anche ordinario di istologia al Dipartimento di oncologia dell’Università di Torino e responsabile di uno dei programmi 5 per mille di AIRC per lo studio delle metastasi. “Il primo è diagnostico, cioè ci può dire se il tumore ha una caratteristica peculiare e quindi ci permette di fare una diagnosi più precisa. Il secondo riguarda la prognosi, perché ci aiuta a capire come quel tumore si comporterà nel tempo, ovvero se è una malattia che
dal profilo molecolare del tumore, infatti, oggi riusciamo a sapere in anticipo se la malattia possiede caratteristiche che determinano la risposta o la resistenza ad alcune terapie.”
COSA CI DICE L’ANALISI MOLECOLARE
Per capire meglio quanto conoscere la genomica di un tumore abbia cambiato la diagnosi e l’approccio terapeutico, prendiamo come esempio il carcinoma del colon-retto, su cui Alberto Bardelli lavora da anni. Oggi sappiamo che un tumore del colon con una mutazione del gene BRAF con ogni probabilità avrà un’aggressività maggiore rispetto a un tumore del colon che non presenta quella mutazione. Un’altra informazione importante riguarda il cosiddetto
Il profilo molecolare di un tumore permette una diagnosi e una prognosi più precise e aiuta a individuare le cure più efficaci per quella specifica malattia
già in partenza possiamo definire aggressiva oppure se è una malattia più indolente. Il terzo aspetto su cui ci dà informazioni è di tipo terapeutico:
profilo di metilazione, un processo che influenza la regolazione dei geni e di conseguenza l’espressione genica: conoscere i profili di metila-
UN PODCAST FONDAMENTALE
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zione permette di sapere se il tumore evolverà in un modo piuttosto che in un altro. Inoltre, possiamo sapere se è presente un’alterazione del gene HER2 o del gene KRAS, un dato importante per decidere il trattamento terapeutico adeguato. Anche l’immunoterapia, che ha trasformato in modo decisivo l’approccio clinico a molte forme di cancro, per essere implementata si basa sul profilo molecolare del tumore.
UNA RIVOLUZIONE PER IL TUMORE DEL RETTO
Un’informazione molto importante che si ottiene dalla profilazione molecolare del tumore del colon-retto riguarda l’alterazione dei geni che controllano la fedeltà della replicazione del DNA e l’integrità durante la trascrizione, il cosiddetto meccanismo di mismatch repair. Questa modifica è presente in circa il 15% dei casi: “Ci dice se è possibile o no utilizzare l’immunoterapia, un’informazione che negli ultimi 2 anni ha portato a un cambio epocale nel trattamento del tumore del colon e del retto” sottolinea Bardelli. “Per esempio, conosciamo tutti il ruolo della chirurgia, che nel caso del cancro del retto spesso ha impatti molto rilevanti ed esiti molto impegnativi per il paziente. Ma se un tumore del retto è mismatch repair-deficient – cioè è carente di questo meccanismo di riparazione del DNA – la stragrande maggioranza dei pazienti oggi non viene più operata, ma riceve solo immunoterapia. In questo caso, infatti, il trattamento immunoterapico può portare a una risposta completa della malattia, quindi alla scomparsa del tumore.”
I FARMACI AGNOSTICI
I tumori che si sviluppano in un determinato organo possono avere caratteristiche anche molto diverse tra loro, mentre tipi di cancro che hanno origine in parti del corpo distanti possono essere accumunati da determinate alterazioni molecolari. I farmaci considerati più innovativi e promettenti per il futuro dell’oncologia sono proprio quelli creati sulla base della biologia del tumore e dunque delle sue alterazioni specifiche, indipendentemente dall’organo in cui la neoplasia si sviluppa. Questi farmaci sono chiamati agnostici e il primo a far parte di questa nuova categoria è stato pembrolizumab, un immunoterapico approvato nel 2014 negli Sta-
rispondono alle terapie e del tasso di sopravvivenza libera da progressione di malattia. È fondamentale però che l’utilizzo di questi trattamenti sia definito in base alla profilazione molecolare, integrata con l’attenta analisi di altri esami diagnostici da parte del Molecular Tumor Board (il team dedicato all’interpretazione dei dati di cui fanno parte diversi professionisti, dall’oncologo al biologo molecolare, dall’anatomopatologo al big data manager).
IL CONTRIBUTO DEI RICERCATORI
AIRC
“Ormai la medicina di precisione è una realtà, nessuno la mette più in dubbio. Ci si è arrivati per gradi
I farmaci più innovativi e promettenti per il futuro dell'oncologia sono quelli sviluppati sulla base della biologia del tumore e dunque delle sue alterazioni
ti Uniti e successivamente anche in Europa e in Italia, prescrivibile per il trattamento di più di 20 tipi di neoplasie, tra cui melanoma, carcinoma uroteliale, dell’esofago-gastrico, del polmone non a piccole cellule e del seno triplo negativo. Successivamente ne sono stati approvati altri, come larotrectinib ed entrectinib, diretti contro un meccanismo molecolare raro ma che rende le cellule del tumore estremamente vulnerabili a questi farmaci.
Il futuro nel trattamento del cancro, comprese le forme metastatiche, potrebbe essere rappresentato proprio da questi farmaci, come dimostrano anche i risultati dello studio italiano ROME, presentato a settembre scorso all’ESMO, il congresso della società europea di oncologia. Nei tumori metastatici la terapia a bersaglio molecolare e l’immunoterapia possono portare a risultati superiori rispetto alla terapia standard, con un aumento delle percentuali di pazienti che
e anche noi abbiamo dato il nostro contributo” racconta Bardelli. “Per esempio, con una ricerca del 2013, sostenuta da AIRC, che puntava a individuare nuovi bersagli terapeutici nei tumori metastatici del colon-retto. Insieme al gruppo guidato da Salvatore Siena del Niguarda Cancer Center di Milano, l’Istituto Candiolo e l’Università degli studi di Torino, scoprimmo che una frazione di tumori dell’intestino si distingue perché il gene HER2 è iperespresso, come avviene per esempio in alcuni carcinomi della mammella. Successivamente la ricerca è proseguita grazie al programma speciale 5 per mille di AIRC. Abbiamo così potuto confermare e ottenere altri risultati e oggi in tutto il mondo nel tumore del colon metastatico si tiene conto di HER2 come bersaglio di terapie specifiche, alla cui messa a punto abbiamo contribuito anche noi.”
Molti altri traguardi sono stati raggiunti grazie al progetto 5 per mille
sulle metastasi del colon-retto di cui Bardelli è coordinatore. Per esempio, è stato approfondito il ruolo delle mutazioni del gene KRAS nello sviluppo tumorale, e sono proseguite le sperimentazioni sulla biopsia liquida. Questo esame ha l’obiettivo di rilevare la presenza di DNA tumorale nel sangue periferico dei pazienti, e tracciare sia l’andamento delle terapie nel tempo sia la risposta del sistema immunitario del paziente. Infine, lo studio ARETHUSA ha aperto nuove frontiere per la cura del cancro: “Siamo riusciti a trasformare un tessuto tumorale, che ha determinate caratteristiche, in un tessuto che ne ha delle altre e che lo rendono responsivo a una specifica terapia. È come se costringessimo un tumore a prendere una strada che non vuole prendere, perché sa che noi lo aspettiamo per fargli un’imboscata”.
LA PATOMICA
In futuro, dunque, i trattamenti oncologici si baseranno sempre di più sulla genomica dei tumori. E l’analisi istologica avrà ancora un ruolo oppure no? “L’istologia sarà ancora utile. Sarà una versione evoluta di quella odierna, in cui si osserva un tessuto tumorale collocato su un vetrino: potremo conoscere cosa fanno le singole cellule, come sono messe, come si toccano, come si parlano, come sono organizzate e così via. Oggi siamo agli albori di questa istologia chiamata patomica, che impiega non solo l’umano (il patologo, ancora fondamentale per la diagnosi istologica) ma anche l’intelligenza artificiale e che, dallo stesso vetrino che utilizziamo oggi, permetterà di ottenere e analizzare, come dicevamo, moltissime informazioni in più, di risalire anche al microambiente, alle cellule del sistema immunitario e a molto altro. Per il melanoma sono già stati pubblicati alcuni lavori che mostrano come, attraverso questa innovativa analisi del tessuto, sia possibile capire addirittura se quel tumore presenta delle mutazioni del gene KRAS” conclude Bardelli.
Testimonianza
Tumore al seno metastatico
IMPARARE A CONVIVERE CON UN TUMORE METASTATICO
Stefania a 48 anni riceve una diagnosi di cancro al seno. Proprio quando sembrava essere a un passo dal lasciarsi alle spalle questa esperienza, la neoplasia si presenta in forma metastatica e tutto cambia
Una mammografia di routine; una macchia sospetta, e poi la conferma.
Stefania ha 48 anni quando sulla sua strada incontra il cancro al seno; un incontro simile a quello di molte donne, oltre 50.000 ogni anno in Italia. Il suo è un percorso che comincia con la prospettiva realistica della guarigione, ma che nel tempo si trasforma in qualcos’altro, diventando una convivenza con la malattia che dura ormai da quasi 20 anni.
“Non ho mai avuto grandi problemi di salute” racconta. “Nel 2008 mi sottopongo a una mammografia e il radiologo mi invita ad approfondire. In breve ho la conferma che si tratta di un carcinoma in situ, una forma circoscritta di tumore della mammella. Vengo sottoposta subito a un intervento di quadrantectomia, ma in breve tempo ci si rende conto che non è sufficiente e i medici reputano opportuno procedere all’asportazione della mammella.”
a cura di Antonino Michienzi
Nonostante ciò, Stefania accoglie questa esperienza come un incidente di percorso, pronta a tornare alla sua vita di giornalista in un importante gruppo editoriale. “Pensandoci, posso dire che la diagnosi e poi l’intervento non sono stati un trauma” ricorda Stefania. “I medici mi hanno detto subito che il tumore era in situ e che i linfonodi non erano stati attaccati. Con la mastectomia avrei avuto una probabilità di guarigione del 90%.”
Il tempo passa e tutto sembra indicare che le previsioni dei medici si sarebbero realizzate. Dopo 5 anni, però, quando l’esperienza del cancro sembrava destinata a diventare un ricordo, Stefania sente un piccolo nodulo sul seno che era stato operato, proprio sulla cicatrice del precedente intervento. Le lancette dell’orologio tornano indietro. Il tumore è minuscolo, ma si è ripresentato. È necessario cominciare le cure ormonali e seguire un protocollo di sorveglianza rafforzata con controlli ogni 3 e poi ogni 6 mesi. Mettersi il cancro alle spalle sembra però ancora un obiettivo realizzabile.
Ancora una volta, per Stefania è cruciale il quinto anno, quello che spesso per le persone malate di tumore rappresenta uno spartiacque e può indicare la guarigione. “Come prevedevano i protocolli, il mio medico mi dice che è giunto il momento di sospendere la terapia ormonale.” In qualche modo è una buona notizia: significa che forse la lunga traversata sta per finire. “Io però non mi sentivo tranquilla” ricorda Stefania.
Le sue sensazioni sono confermate dopo pochi mesi. Il cancro si presenta di nuovo: bussa alla sua porta con dolori intercostali. “Faccio una radiografia che non spiega niente, poi una scintigrafia. A quel punto sono rimasta a bocca aperta: avevo metastasi in tutto il corpo.”
La parola metastasi ha tutt’altro suono rispetto a nodulo o tumore in situ. Dopo 10 anni in cui si è confrontata con la malattia con serenità, è la prima occasione in cui Stefania ha davvero paura. “È stato un momento tragico. Mi sono vista morta” racconta. Il nastro si riavvolge ancora una volta. Ricomincia il turbinio fatto di corse in ospedale, visite, esami. Le indagini tracciano la carta d’identità del tumore. “L’oncologo mi ha di nuovo tranquillizzata. Mi ha detto che c’erano ottime probabilità, non di guarigione, ma di controllare la malattia.”
Ma la nuova diagnosi è difficile da digerire. Per un po’ vuole rinunciare alla chemioterapia: “Ero arrabbiata, avevo paura” dice. Poi, però inizia il percorso terapeutico: 6 cicli di chemio, affiancati da un trattamento con farmaci immunoterapici. Stefania risponde benissimo alla terapia, il suo organismo la tollera e le metastasi regrediscono. Gli effetti collaterali ci sono, e rappresentano a volte un disagio importante, ma il trattamento continua a funzionare.
La disperazione dei primi giorni lascia di nuovo entrare la luce della speranza. “Non quella della guarigione, ormai” dice Stefania. “Adesso sono consapevole di essere una malata cronica, ormai da quasi 6 anni. Ho accettato che la mia vita dipende da quei farmaci, ma ho anche scoperto che accanto a me ci sono persone che stanno facendo lo stesso percorso, anche da tanto tempo. Questo mi ha dato speranza” aggiunge.
Appena possibile coglie un’opportunità per lasciare il lavoro, decide di rallentare, concedendo al suo corpo la possibilità di prendersi i suoi tempi. “Sarebbe una bugia se dicessi che non mi arrabbio più. Ci sono momenti in
"Se oggi sono viva è solo grazie alla ricerca, che negli ultimi 10-15 anni ha portato a nuove terapie, soprattutto nel campo del tumore al seno metastatico"
cui stai peggio e provi rabbia e sconforto. Altri in cui ti chiedi perché è capitato a te. Ma la vita continua e sto cercando di prendere il meglio di tutto. E poi” dice Stefania “sono stata fortunata. Se oggi sono viva è solo grazie alla ricerca, che negli ultimi 10-15 anni ha portato a nuove terapie, soprattutto nel campo del tumore al seno metastatico.”
È vero: in pochi anni, lo scenario dei tumori al seno metastatici è profondamente cambiato. La ricerca ha svelato molti meccanismi che ne sono alla base; ha portato a caratterizzarne le diverse tipologie e sono arrivati trattamenti che, in molti casi, anche quando non sono in grado di eradicare completamente la malattia, possono tenerla sotto controllo per lungo tempo. Certo, resta ancora molto da fare. “Per questo la ricerca è fondamentale” conclude Stefania. “Voglio che la gente questo lo capisca: io 15 anni fa non avrei potuto salvarmi.”
LA RICERCA
SULLE METASTASI
CONTINUA CON IL
TUO 5 PER MILLE
8 programmi speciali di AIRC sono dedicati allo studio delle metastasi e dei metodi per rendere sempre più curabili tumori come quello di Stefania. Questi programmi sono finanziati grazie ai tanti sostenitori che ogni anno scelgono di destinare il proprio 5 per mille ad AIRC. Un modo di dare ancor più valore alle proprie imposte e sostenere le cause che possono cambiare la vita di molte persone.
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NUOVE DIAGNOSI DI CANCRO IN ITALIA 2024
I NUMERI DEL CANCRO 2024
MAMMELLA
COLON-RETTO
POLMONE
PROSTATA
VESCICA
STOMACO PANCREAS
RENE
LINFOMA NON HODGKIN
MELANOMA (CUTE)
FEGATO
TIROIDE
LEUCEMIE
UTERO (CORPO) / ENDOMETRIO
SISTEMA NERVOSO CENTRALE
VIE AERODIGESTIVE SUPERIORI*
OVAIO
COLECISTI E VIE BILIARI
ESOFAGO CERVICE UTERINA
SARCOMI DEI TESSUTI MOLLI
LINFOMA HODGKIN
TESTICOLO
MESOTELIOMI
BUONE NOTIZIE SUL CANCRO IN ITALIA
a cura di Cristina Da Rold
Il 50% di chi ha sviluppato un cancro nel nostro Paese nel 2024 è destinato a guarire: avrà la stessa aspettativa di vita di chi non si è ammalato. Questa è solo una delle stime riportate nel rapporto I numeri del cancro in Italia 2024, pubblicato lo scorso dicembre
In questo articolo:
Le nuove diagnosi di tumore in Italia restano stabili, un dato che rispecchia in parte l’invecchiamento della popolazione, ma notizie positive arrivano dai tassi di mortalità, in particolare nelle perso-
UN PODCAST FONDAMENTALE
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ne che si ammalano in età precoce, tra i 20 e i 49 anni. Tra il 2006 e il 2021, infatti, la mortalità per tumore in questa popolazione è diminuita del 21,4% nelle donne e del 28% negli uomini. In generale, secondo le stime, la metà delle persone che si sono ammalate di cancro nel 2024 sono destinate a guarire, raggiungendo cioè la stessa aspettativa di vita di chi non ha mai sviluppato la malattia. Numeri che contribuiscono a far sì che oggi ci siano circa 3,7 milioni di persone che vivono in Italia dopo aver ricevuto una diagnosi oncologica, pari al 6,8% della popolazione femminile e al 5,6% di quella maschile.
Sono questi alcuni degli elementi più importanti che emergono dal rapporto I numeri del cancro in Italia 2024, frutto della collaborazione tra AIOM, AIRTUM, Fondazione AIOM,
ONS, PASSI, PASSI d’Argento e SIAPeC-IAP. La distribuzione dei nuovi casi mostra che gli uomini saranno maggiormente colpiti da tumori alla prostata (40.192 casi), al polmone (31.891), al colon-retto (27.473) e alla vescica (25.227), che insieme rappresentano il 58,2% dei tumori maschili. Tra le donne, il tumore più comune è quello alla mammella (53.065 casi), seguito da colon-retto (21.233), polmone (12.940), endometrio (8.652) e tiroide (8.322). Questi 5 tipi di tumore insieme costituiscono il 59,3% di tutte le nuove diagnosi femminili.
Come anticipato in apertura, quest’anno nei Numeri del cancro in Italia si è deciso di dedicare un approfondimento all’andamento della mortalità nei pazienti oncologici di età compresa tra i 20 e i 49 anni. Nel periodo analizzato, quello che va dal 2006 al 2021, il tasso di mortalità per il tumore al seno tra le donne è diminuito del 16,2%, mentre quello per il tumore al polmone è calato del 46,4%. Anche negli uomini tra i 20 e i 49 anni i tassi di mortalità per il tumore al polmone sono diminuiti del 35,5%, con riduzioni anche per leucemie (-31,3%) e tumori allo stomaco (-38,6%). Questi dati sono particolarmente significativi, poiché confermano i benefici dati dai progressi in termini di diagnosi precoce, trattamenti più efficaci e prevenzione. Come spiega Diego Serraino, direttore SOC epidemiologia oncologica
e Registro tumori del Friuli Venezia Giulia, del Centro di riferimento oncologico IRCCS di Aviano, “è evidente il ruolo della diagnosi precoce nell’aumentare le probabilità di superare definitivamente la malattia. Nel carcinoma della mammella è pari complessivamente al 73%, ma passa dal 99% per i tumori diagnosticati nello stadio I all’81% per quelli individuati nello stadio II, per scendere al 36% per gli stadi III e IV. Considerando tutti gli stadi, chi si è ammalato di tumore del colon-retto ha una probabilità di guarire del 56%, ma questa percentuale è dal 92% se la malattia è diagnosticata in stadio precoce, mentre scende già al 71% per le neoplasie individuate in stadio II”.
Eppure, se da un lato la mortalità diminuisce, le nuove diagnosi non accennano a calare. Perché? Secondo gli esperti di AIOM, la causa principale di questa stabilità è l’invecchiamento della popolazione, ma non solo. Le abitudini di vita poco salutari continuano a essere un fattore determinante. Il fumo di tabacco, in particolare, rimane la principale causa di morte evitabile in Italia. Il Ministero della salute stima che ogni anno in Italia oltre 93.000 decessi siano attribuibili al fumo. Questo fattore di rischio è alla base dell’85-90% dei casi di tumore al polmone, ma anche di numerose altre neoplasie, tra cui quelle alla bocca, alla gola, al pancreas, al colon, alla vescica, al rene, all’esofago e, tra le donne, al seno. Sebbene la percentuale di fumatori sia diminuita dal 30% al 24% tra il 2008 e il 2023, un quarto di loro consuma più di un pacchetto di sigarette al giorno.
In sintesi, sebbene i progressi nella cura e nel trattamento del cancro siano notevoli, con un abbassamento costante dei tassi di mortalità, le nuove diagnosi non sono in calo. La prevenzione e la diagnosi precoce rimangono un tema cruciale: adottare stili di vita più salutari e aderire alle campagne di screening e vaccinazione raccomandate potrebbe essere determinante per abbassare l’incidenza dei tumori nei prossimi anni e contribuire a renderli sempre più curabili.
IL SOSTEGNO ALLA RICERCA: SELEZIONI COMPETITIVE
E PER MERITO, IN NOME
DELL’INNOVAZIONE
AIRC 2025. L’anno cominciato da poco si prospetta interessante, dato che la Fondazione sostiene ben 90 borse di studio, 673 progetti di ricerca, 8 programmi speciali e IFOM, il nostro Istituto di oncologia molecolare, per un totale di 141 milioni di euro.
Cosa significano e cosa contengono questi numeri? Grazie alla fiducia e al contributo dei donatori, AIRC ha definito strategie di finanziamento capaci di sostenere la ricerca oncologica in Italia, al fine di sviluppare nuove conoscenze e metodi di prevenzione, diagnosi e cura sempre più mirati ed efficaci. A questo scopo AIRC punta innanzitutto sulla formazione di giovani ricercatori, offrendo loro borse di studio, e sui progetti di ricercatori all’inizio della loro carriera, tramite i My First AIRC Grant, gli Start-Up Grant e i Next Gen Clinician Scientist Grant. Inoltre, sostiene le ricerche di medici e scienziati con esperienza consolidata con gli Investigator Grant e i Southern Italy Scholars Grant. AIRC, inoltre, dedica parte del 5 per mille donato da milioni di contribuenti alle progettualità di consorzi di più ricercatori, tramite Grant multi-unità. Unendo competenze e conoscenze diverse, medici e scienziati possono così rispondere a domande oncologiche complesse, ancora prive di valide
risposte cliniche (per saperne di più si può consultare il sito airc.it).
Le tematiche oncologiche affrontate dai ricercatori AIRC sono tante: dall’analisi dei meccanismi che spingono una cellula normale a trasformarsi in cellula tumorale alla capacità del sistema immunitario di reagire ai tumori, dalla definizione di criteri predittivi, diagnostici e prognostici per identificare o seguire il decorso della malattia fino allo sviluppo e alla validazione di metodi di prevenzione, diagnosi e cura più precisi e mirati. In questo e nel prossimo numero di Fondamentale racconteremo qualcuna delle nuove progettualità, per meglio capire l’importanza del sostegno alla ricerca indipendente.
È importante sottolineare che l’assegnazione di tutti i fondi raccolti da AIRC, a borse di studio come ai progetti di ricerca, avviene con l’identificazione delle ricerche più innovative tramite una selezione indipendente, trasparente e per merito, da parte di esperti italiani e stranieri. Le domande per borse di studio prevedono la valutazione del curriculum vitae e della progettualità di giovani ricercatori e ricercatrici impegnati prima, durante o dopo il dottorato di ricerca (il dottorato è il titolo universitario che viene conferito dopo la laurea specialistica
al termine dello svolgimento di un progetto di ricerca). È infatti scopo di AIRC dare opportunità di formazione a giovani talenti e metterli alla prova nella realizzazione di progetti innovativi all’interno di laboratori di comprovata qualità. Una borsa di studio di AIRC è dunque uno strumento efficace per aumentare la conoscenza e la competitività di giovani volenterosi di misurarsi con il mondo della ricerca. Il passo successivo sono i diversi tipi di progetti commisurati allo stadio di carriera, nei diversi ambiti della scienza di base, traslazionale o clinica. Ogni anno AIRC riceve un numero considerevole di domande di finanziamento e quelle valutate più positivamente sono approvate, nei limiti dei fondi disponibili, che non sono mai abbastanza. Per questo ogni anno diverse progettualità pur meritevoli rimangono idee incompiute nella mente dei ricercatori, fino a quando questi non trovano il modo di finanziarne la realizzazione. La ricchezza delle proposte pervenute conferma che la nostra ricerca è viva, e che a mancare non sono le idee, ma “solo” i mezzi per sostenerle. Un grazie del sostegno accordato finora, e un arrivederci a giugno, per scoprire quello che tiene e terrà svegli i nostri ricercatori nelle notti dell’anno cominciato da appena qualche mese!
a cura di Anna Mondino, direttrice scientifica AIRC
I TRAGUARDI DEI NOSTRI RICERCATORI
In questo articolo:
— TUMORE COLON-RETTO
— METASTASI
— INTELLIGENZA ARTIFICIALE
a cura di Camilla Fiz e Denise Cerrone
PIÙ DATI E INTELLIGENZA
ARTIFICIALE PER SCEGLIERE
LA TERAPIA ADATTA
UN PODCAST FONDAMENTALE
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Per il tumore al colon-retto metastatico diventa sempre più sofisticato scegliere il percorso di cura più adatto per ciascun paziente. Le nuove tecnologie, anche computazionali, possono essere d’aiuto. Di recente, il gruppo di ricerca coordinato da Francesco Iorio allo Human Technopole, a Milano, ha presentato un metodo che si affida alla capacità dell’intelligenza artificiale di elaborare, integrare e validare un elevato numero di informazioni provenienti dai cosiddetti Patient-Derived Xenograft (PDX), ovvero da campioni di tumore prelevati da pazienti impiantati in animali da laboratorio. L’approccio è stato sviluppato come una potenziale alternativa all’analisi delle mutazioni nei geni BRAF, NRAS e KRAS, attualmente in uso come criterio clinico di selezione. I risultati dello studio, portato avanti grazie al sostegno di Fondazione AIRC, sono sta-
ti pubblicati di recente sulla rivista scientifica Nature Communications “Purtroppo, l’analisi delle mutazioni di questi geni non è un criterio abbastanza solido per capire chi trarrà vantaggio dal cetuximab, la terapia di riferimento per il tumore al colon-retto metastatico” commenta Iorio. Di conseguenza questo farmaco rischia di essere somministrato anche a coloro che non ne trarranno beneficio, esponendo i pazienti soltanto agli effetti collaterali della terapia e sottraendo loro tempo prezioso. Ai limiti dell’attuale sistema di valutazione si aggiungono le difficoltà nell’individuare nuovi fattori predittivi che possono emergere nel corso degli esperimenti di laboratorio che precedono gli studi sui pazienti. In genere queste analisi vengono svolte in cellule tumorali in coltura e sono fondamentali per estrarre importanti informazioni biologiche, ma talvolta sono insufficienti per ripro-
durre la complessità dei tumori degli esseri umani e per ottenere risultati innovativi e significativi. In collaborazione con Andrea Bertotti e Livio Trusolino, dell’Istituto di Candiolo IRCCS, il gruppo di ricerca guidato da Francesco Iorio ha risposto a queste due necessità. Da un lato ha sviluppato la piattaforma CeSta, che utilizza l’intelligenza artificiale per elaborare numerosi tipi di informazioni molecolari derivanti da moderne tecniche di analisi dette multi-omiche. Si tratta di un elevato numero di geni, proteine e altre molecole i cui livelli nelle cellule possono variare molto da paziente a paziente e da tumore a tumore. Dall’altro lato, i ricercatori hanno preferito, alle cellule in coltura, animali di laboratorio in cui sono state impiantate cellule neoplastiche provenienti da singoli pazienti. “I PDX sono come dei piccoli ‘avatar’ di tumori reali, che mantengono l’eterogeneità genetica e molecolare della neoplasia da cui derivano e ne riproducono anche la complessa struttura tridimensionale e alcuni aspetti del microambiente tumorale” commenta Iorio.
Nel complesso, lo studio ha coinvolto 231 PDX di tumore al colon-retto metastatico. I ricercatori hanno somministrato loro il cetuximab, combinando
la risposta con le informazioni multi-omiche di partenza. L’obiettivo era addestrare in modo automatico CeSta ad associare le caratteristiche molecolari di base della neoplasia alla risposta alla terapia.
“In questa fase, l’algoritmo ha imparato a effettuare previsioni anche su tumori che non conosce e ha sviluppato la capacità di generalizzare” spiega Iorio. Dopo essere stato validato, CeSta ha così confermato la presenza di diversi marcatori di risposta al cetuximab, alcuni noti, altri del tutto nuovi. Tra questi ultimi, vi sono per esempio quelli della via del segnale Hedgehog, dell’angiogenesi e dello stato infiammatorio, che sono stati individuati anche in pazienti e potrebbero servire a prevedere la resistenza al farmaco.
“Integrando lo stato di questi nuovi marcatori, il nostro programma si è dimostrato molto più accurato nel predire la risposta al cetuximab rispetto al criterio clinico tradizionale” commenta il ricercatore. Con ulteriori test, CeSta potrebbe essere utilizzato per affinare la diagnosi e migliorare la gestione del percorso di cura dei pazienti con cancro colorettale, e in futuro potenzialmente per altri tipi di neoplasie.
UNA POTENZIALE STRATEGIA ANTITUMORALE PER TERAPIE PIÙ
All’interno del genoma delle cellule tumorali possono presentarsi strutture a quadrupla elica dette G-quadruplex (G4), alternative a quelle a doppia elica classiche. Queste strutture giocano un ruolo chiave in diversi processi responsabili della proliferazione del tumore e rappresentano un bersaglio promettente per terapie più efficaci e mirate. I farmaci fino a oggi sviluppati per colpire questi bersagli non hanno però funzionato, perché si sono dimostrati incapaci di superare le membrane
MIRATE
cellulari e raggiungere G4. Un gruppo di ricercatori dell'Università di Napoli Federico II, guidato da Bruno Pagano e sostenuto da AIRC, ha ora sviluppato delle molecole in grado di interagire con strutture G4 danneggiando il DNA delle cellule tumorali. Lo studio, pubblicato su Nucleic Acids Research, apre nuove prospettive terapeutiche, che permetterebbero di puntare su vulnerabilità specifiche del cancro riducendo potenziali effetti collaterali rispetto alle terapie tradizionali.
UN POSSIBILE NUOVO FARMACO CONTRO IL TUMORE AL SENO METASTATICO
Le metastasi di tumore della mammella possono formarsi anche dopo diversi anni dalla diagnosi, e individuare un trattamento efficace per trattarle resta ancora una sfida. Tuttavia, un’importante scoperta arriva da uno studio dei ricercatori dell’Istituto superiore di sanità (ISS), supportati da AIRC, in collaborazione con le Università di Siena e Bologna e l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, sotto la guida di Ann Zeuner. Il gruppo di lavoro ha sviluppato una nuova formulazione orale del tradizionale
farmaco fenretinide, chiamata bionanofenretinide (Bio-nFeR). Grazie alla sua formulazione, Bio-nFeR ha mostrato efficacia, sia in vitro che in vivo, nel limitare l’insorgenza e la diffusione delle metastasi, inducendo uno stato di dormienza del tumore. Inoltre, la sua struttura garantisce un efficace assorbimento e maggiore biodisponibilità rispetto al farmaco tradizionale. Potrebbe quindi rivelarsi efficace sia per curare il cancro metastatico del seno sia per prevenire la formazione di metastasi.
Facciamo il punto
Tumore dell’endometrio
SEMPRE PIÙ OPZIONI DI CURA PER IL TUMORE DELL’ENDOMETRIO
In questo articolo:
— STILI DI VITA
— AZALEA DELLA RICERCA
— TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA
La ricerca è al lavoro per offrire sempre più possibilità terapeutiche alle pazienti che sviluppano questa malattia, e nuove opportunità potrebbero arrivare nel prossimo futuro
Il carcinoma dell’endometrio è una neoplasia che colpisce la mucosa che riveste la parte interna dell’utero. Secondo I numeri del cancro in Italia, nel 2024 le nuove diagnosi di questo tipo di tumore nel nostro Paese sono state circa 8.600, il 5,5% di tutti i casi di cancro nelle donne.
I FATTORI DI RISCHIO
a cura di Sofia Corradin
Il carcinoma dell’endometrio colpisce principalmente le donne durante la post-menopausa, nella fascia d’età compresa tra i 50 e i 69 anni. L’avanzare dell’età è uno dei più importanti fattori di rischio per questo tumore, motivo per cui l’aumento dell’aspettativa di vita ha determinato anche un incremento dei casi diagnosticati. Anche stili di vita poco salutari possono però aumentare le probabilità di ammalarsi. “Tutti i fattori di rischio per le malattie metaboliche, come diabete e ipertensione, lo sono anche per il tumore dell’endometrio. Mi riferisco in particolare a una
dieta ricca di grassi saturi, scarsa attività fisica, sedentarietà, sovrappeso e obesità” spiega Domenica
Lorusso, responsabile della Ginecologia oncologica di Humanitas
San Pio X. Altri fattori di rischio noti per questo tipo di tumore sono una pregressa terapia ormonale sostitutiva non equilibrata e l’assunzione di farmaci come il tamoxifene, usato in alcuni casi per la cura del tumore alla mammella. In generale, tutto ciò che influisce sull’attività ormonale, come il menarca precoce, la menopausa tardiva e l’assenza di gravidanze, può aumentare il rischio di avere un tumore dell’endometrio.
NON ESISTE UNO SCREENING PER IL TUMORE ALL’ENDOMETRIO
Il primo segno con il quale si manifesta il tumore dell’endometrio è un sanguinamento uterino anomalo. Questo avviene solitamente nella fase precoce della malattia e desta subito allarme nelle pazienti in post-menopausa, dato che in questo periodo della vita della donna non dovrebbe verificarsi alcun sanguinamento di origine uterina. Così, la diagnosi di tumore dell’endometrio avviene in oltre l’80% dei casi nelle prime fasi di sviluppo della neoplasia.
“Attualmente non esiste uno screening che permetta di fare esami a tappeto su tutta la popolazione a rischio come avviene per il tumore della cervice uterina” afferma Lorusso. “Nella maggior parte dei casi il tumore può causare un ispessimento della parete uterina, rilevabile con l’ecografia transvaginale. Nonostante ciò, circa il 15-20% dei tumori insorge su un endometrio sottile, atrofico. Una per-
centuale che comprende le forme di tumore più aggressive.”
Per questo può essere utile sottoporsi a controlli ginecologici regolari che includano anche l’ecografia transvaginale, per rilevare eventuali anomalie della struttura dell’utero, da monitorare o approfondire con ulteriori esami.
STANDARD DI CURA E TERAPIE
INNOVATIVE
PER LA MALATTIA
METASTATICA
Quando la diagnosi arriva in una fase iniziale della malattia, la terapia standard è rappresentata dalla chirurgia. “L’intervento prevede l’asportazione dell’utero, delle tube, delle ovaie e del linfonodo sentinella, ovvero il linfonodo più vicino al sito del tumore” spiega Lorusso. “Dato che il tumore viene diagnosticato generalmente dopo la menopausa, questo interven-
cora relativamente basso, può essere sufficiente eseguire la brachiterapia, ovvero la radioterapia endovaginale” spiega Lorusso. “Se invece il rischio è intermedio, si effettua la radioterapia tradizionale esterna, che viene combinata alla chemioterapia quando il rischio è alto.”
Tuttavia, anche se le terapie standard sono efficaci, fino al 40% delle donne trattate sviluppa una recidiva di malattia o metastasi.
“Quando la recidiva ha una particolare caratteristica genetica chiamata instabilità dei microsatelliti, l’immunoterapia può essere un prezioso alleato, soprattutto se combinata con la chemioterapia. Riduce del 70% la progressione della malattia ed è sorprendente vedere come chi risponde
In alcuni casi di recidiva, l'immunoterapia, combinata con la chemio, può essere un prezioso alleato per ridurre la progressione del tumore
to può essere effettuato senza che ci sia la compromissione della funzione riproduttiva. L’evoluzione della chirurgia laparoscopica, inoltre, ha permesso di rendere l’intervento minimamente invasivo” spiega Lorusso. Dopo l’intervento, viene eseguito l’esame istologico sugli organi asportati e, sulla base delle indicazioni dell’anatomopatologo, il percorso terapeutico può prendere diverse direzioni a seconda del livello del rischio di recidiva. Se il rischio è molto basso, poiché il tumore è stato asportato interamente durante l’intervento, può rendersi non necessario eseguire altre terapie. Se, invece, il rischio è maggiore, vengono proposte alla paziente dei trattamenti adiuvanti, termine che in linguaggio medico indica le terapie effettuate dopo l’intervento chirurgico.
“Quando il rischio di recidiva è an-
al trattamento ha una risposta prolungata nel tempo” spiega Lorusso. Grazie al Progetto Genoma umano, l’ipotesi che esistessero due sottotipi di tumore dell’endometrio, uno a basso rischio e uno ad alto rischio, è stata superata. Secondo le conoscenze attuali, infatti, il carcinoma endometriale viene suddiviso in 4 sottotipi molecolari con caratteristiche differenti. Individuare il corretto sottotipo permette di somministrare terapie innovative mirate a specifici bersagli molecolari del tumore, come l’immunoterapia. Questo trattamento funziona anche per altri sottotipi di tumore dell’endometrio, oltre a quello con instabilità dei microsatelliti, ma la sua efficacia è più limitata.
I recenti risultati dello studio clinico DUO-E pubblicati sul Journal of Clinical Oncology, inoltre, hanno mostrato
L'immunoterapia e i PARP-inibitori rappresentano il presente delle cure per il tumore dell'endometrio
come la combinazione di chemioterapia, immunoterapia e un farmaco della classe dei PARP-inibitori riduce ulteriormente la progressione di malattia nei sottotipi di tumore senza instabilità dei microsatelliti.
QUANDO IL TUMORE COLPISCE IN ETÀ PRECOCE
Circa il 20% delle donne riceve una diagnosi di tumore dell’endometrio in età fertile. Anche in questi casi la terapia di scelta è sempre la chirurgia, ma, quando la donna è giovane e desidera diventare mamma, l’intervento radicale può essere rimandato.
L’AZALEA DELLA RICERCA
Le volontarie e i volontari AIRC saranno presenti in migliaia di piazze in tutta Italia domenica 11 maggio, in occasione della Festa della mamma.
Con un contributo minimo di 18 euro distribuiranno l’Azalea della Ricerca, per raccogliere
“Alle donne giovani cui viene diagnosticato un carcinoma uterino in fase precoce può essere proposta una terapia ormonale, che permetta di controllare la malattia. Così, se il tumore regredisce, la paziente ha la possibilità di iniziare e portare a termine una gravidanza prima di procedere con l’intervento standard, che inevitabilmente compromette la funzione riproduttiva. In questo setting, nelle pazienti con instabilità dei microsatelliti stiamo sperimentando l’immunoterapia” afferma Lorusso.
L’immunoterapia e i farmaci PARP-inibitori rappresentano il presente
risorse fondamentali destinate alla ricerca sui tumori che colpiscono le donne.
Per informazioni da fine aprile visita il sito azaleadellaricerca.it o inquadra il QR Code
TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA E TUMORI
GINECOLOGICI
Uno studio della Women's Health Initiative ha esaminato l’impatto della terapia ormonale sostitutiva somministrata in menopausa sul rischio di tumori ovarici ed endometriali. Secondo i risultati, l’uso del solo estrogeno (CEE) ha portato a un aumento significativo dell’incidenza e della mortalità per cancro ovarico rispetto al placebo. La combinazione di estrogeno e progestinico (CEE + MPA) non ha invece aumentato il rischio di tumore ovarico e ha ridotto l’incidenza di quello endometriale. Questi risultati confermano quanto sia importante valutare i rischi e i benefici della terapia ormonale sostitutiva, in particolare per le donne con una storia ginecologica complessa. La scelta della terapia ormonale deve essere quanto più personalizzata, in relazione alle esigenze della paziente, e monitorata con attenzione.
del trattamento per il tumore dell’endometrio. Hanno cambiato la storia della malattia per molte donne, aumentandone la sopravvivenza a lungo termine.
L’innovazione non finisce qui: ci sono altre opportunità terapeutiche che hanno dato buoni risultati in recenti studi clinici e che dovrebbero arrivare nel panorama dei trattamenti antitumorali nei prossimi anni. “Primi tra tutti sono gli anticorpi farmaco-coniugati, che permettono di indirizzare il farmaco chemioterapico su bersagli specifici presenti sul tumore stesso. Questi farmaci hanno dato risultati promettenti per il tumore dell’endometrio e ci aspettiamo di vederli sul mercato a brevissimo” conclude Lorusso.
Testimonianza
Donazione in memoria
UN ESEMPIO CHE VIVE NELLA RICERCA
a cura della redazione
A
10 anni dalla sua scomparsa, Livia ricorda lo zio, il professor Felice Martinelli, sostenendo la ricerca oncologica
Il professor Martinelli è stato a lungo donatore di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e Livia ne ha da tempo raccolto il testimone. Ha già sostenuto in passato una borsa di studio. Ora, in occasione del decennale della sua scomparsa, ha deciso di rafforzare il suo impegno e ricordare lo zio intitolando alla sua memoria un My First AIRC Grant, un finanziamento a sostegno dei giovani ricercatori che desiderano avviare il proprio progetto di ricerca in una struttura italiana di eccellenza.
“Un esempio. Per me, mio zio è stato soprattutto questo: un esempio, che ha saputo coniugare la serietà e l’impegno con l’umiltà.” Livia ricorda così il professor Felice Martinelli, a 10 anni dalla sua scomparsa.
“Era nato nel 1937 ad Ala, in Trentino, terra con cui conserverà un legame profondo durante la sua vita, nonostante l’abbia lasciata da giovanissimo per proseguire i suoi studi a Milano” racconta Livia. “Dopo la laurea in economia, ha proseguito come docente sia al Politecnico di Milano sia all’Università Cattolica,
e con quest’ultima strinse un rapporto che si protrasse per tutta la vita. Oltre alle qualità professionali, è stato sempre dotato di una grande attenzione alla formazione degli studenti e si è impegnato affinché ricevessero sia un’ottima preparazione scientifica sia, insieme, una rigorosa educazione morale” ricorda ancora la nipote. “È stato membro di numerosi Consigli, a partire da quello di amministrazione della Cattolica, oltre che consigliere di diverse altre istituzioni. Inoltre, è sempre stato molto vicino al mondo delle organizzazioni non profit, anche se lo ha sempre fatto in silenzio.”
“Per me è stato un secondo padre. Mi ha accolto quando – come lui – sono partita dal Trentino per venire a studiare a Milano. E sono stata con lui nella fase della malattia” ricorda Livia. “Ho condiviso la scelta di ricordarlo in questo modo, sostenendo la ricerca, con tutta la famiglia, e siamo convinti che sia un ottimo modo per farlo. Dopotutto, lui, per tutta la vita, ha incoraggiato i suoi studenti a spingersi sempre più avanti nella conoscenza.”
VUOI INTITOLARE UN PROGETTO IN MEMORIA DI UNA PERSONA CARA? CONTATTACI!
Se desideri onorare la memoria di una persona cara e legare il tuo nome all'impegno contro il cancro, puoi intitolare, come ha fatto Livia, un progetto di ricerca o una borsa di studio alla sua memoria. Con una donazione a partire da 5.000 €, supporterai concretamente un ricercatore e il suo progetto. Per qualsiasi domanda e per trovare la formula di donazione più adatta a te,contatta Eleonora Bahadour dell’Ufficio Grandi Donatori e lasciti testamentari.
02 7797 318
eleonora.bahadour@airc.it
IL TUMORE ACCELERA IN RISPOSTA A UN AMBIENTE OSTILE
In questo articolo:
— GENE MET
— RISPOSTA INTEGRATA ALLO STRESS
— PROGRESSIONE TUMORALE
Un gruppo di ricerca di IFOM guidato da Paolo Comoglio ha identificato un meccanismo che alimenta la crescita tumorale in risposta allo stress provocato dal microambiente tumorale
a cura di Antonino Michienzi
Un microambiente tumorale ostile – perché povero di ossigeno o di nutrienti o per le conseguenze di trattamenti terapeutici – attiva nelle cellule una risposta di emergenza che, attraverso l’azione del gene MET, porta a una maggiore diffusione del tumore. Questa scoperta, insieme alla descrizione dei meccanismi alla base di tale processo, arriva da un gruppo di ricercatori di IFOM guidato da Paolo M. Comoglio e da Dogus M. Altintas. Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica The EMBO Journal, è stato condotto in collaborazione con Marco Foiani di IFOM e del CNR-IGM e con Carla Boccaccio dell’Università degli studi di Torino.
In condizioni fisiologiche, MET è un gene cruciale per la vita della cellula. Codifica infatti per una proteina responsabile della regolazione della crescita, della sopravvivenza e della migrazione cellulare. “La proteina MET è un recettore cellulare scoperto da Paolo Comoglio nel 1989, ed è
fondamentale nello sviluppo embrionale, nella sopravvivenza e nella rigenerazione dei tessuti dell’organismo adulto. MET controlla il processo chiamato crescita invasiva, orchestrando alcune delle fasi necessarie allo sviluppo degli organi e indirizzando la migrazione delle cellule verso l’organo o il tessuto cui sono destinate” spiega la prima autrice dello studio Marina Cerqua, dottoranda di ricerca nel gruppo guidato da Comoglio.
L’azione della proteina MET continua con funzioni diverse per tutta la vita. MET, per esempio, contribuisce ai processi necessari a riparare le ferite, ma può avere anche un risvolto patologico. Da tempo infatti sappiamo che il gene è espresso in eccesso nella maggior parte dei tumori e, in modo analogo a quanto avviene nella vita embrionale, gli elevati livelli della proteina MET promuovono la sopravvivenza delle cellule neoplastiche, favorendo la cosiddetta progressione tumorale, che include la crescita, la migrazione (contribuendo alle metastasi) e la resistenza alle chemioterapie.
Ora, il nuovo studio ha scoperto uno dei meccanismi che portano ad au-
mentare l’espressione del gene MET nel cancro.
“Per tanti anni ci siamo concentrati sulle mutazioni a carico della sequenza codificante dei geni come possibile meccanismo alla base dei tumori” continua Cerqua “trascurando le regioni non codificanti del DNA, che venivano considerate poco importanti.” La ricerca ha invece scoperto che proprio una porzione di materiale genetico che non fornisce istruzioni per la costruzione di proteine ha un ruolo chiave nella progressione neoplastica. Il team ha infatti osservato che una regione di RNA messaggero non codificante del gene MET (denominata 5’UTR, dove UTR sta per “untranslated”, cioè “non tradotta”) agisce come un sensore in grado di percepire le condizioni di stress nel microambiente tumorale, come la carenza di nutrienti, bassi livelli di ossigeno o la presenza di chemioterapici. Ciò innesca l’attivazione della cosiddetta risposta integrata allo stress (ISR), un noto meccanismo cellulare di difesa che regola la sintesi di speciali proteine “di salvataggio” e favorisce la sopravvivenza in condizioni difficili. Questo si traduce in un aumento dell’espressione della proteina MET, che finisce per alimentare la progressione del cancro.
“Per la prima volta abbiamo correlato la risposta allo stress cellulare alla sovraespressione di un gene coinvolto nel cancro” dice ancora Cerqua.
“In sostanza, abbiamo scoperto che le cellule tumorali, per sopravvivere nel microambiente ostile, rispondono attivamente allo stress. Ciò porta a sovraesprimere MET e a una crescita invasiva del tumore, sia in termini di maggiore proliferazione in situ sia in termini di formazione di eventuali metastasi.”
Lo studio, dunque, fornisce una spiegazione al comportamento di un gene chiave nella diffusione tumorale che da oltre un trentennio ha attirato l’interesse della ricerca sul cancro. Inoltre, il meccanismo appena scoperto potrebbe potenzialmente essere sfruttato per rallentare la crescita invasiva del tumore. “I primi test condotti nello studio mostrano che si tratta di un approccio promettente. Abbiamo già in programma di approfondire questo aspetto” conclude Cerqua.
COS’È IFOM
IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare di AIRC, è un centro di ricerca di eccellenza internazionale dedicato allo studio della formazione e dello sviluppo dei tumori a livello molecolare, nell’ottica di un rapido trasferimento dei risultati scientifici dal laboratorio alla cura del paziente. Fondato nel 1998 a Milano da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, che da allora ne sostiene lo sviluppo, IFOM oggi può contare su 269 ricercatori di 25 diverse nazionalità, e si pone l’obiettivo di conoscere sempre meglio il cancro per poterlo rendere sempre più curabile.
La sua fondazione e il suo progresso sono stati possibili anche grazie alla generosità di chi, in passato, ha scelto di contribuire in modo indelebile con il proprio lascito testamentario. Oggi, anche tu puoi contribuire alla ricerca di domani: destinando un lascito testamentario ad AIRC, sostieni il lavoro delle ricercatrici e dei ricercatori di IFOM, favorendo nuove possibilità di diagnosi e trattamento.
Per ogni domanda specifica sul lascito puoi contattare Anna Sarri dell’Ufficio Grandi Donatori e lasciti testamentari al 02 7797319 o via e-mail a anna.sarri@airc.it.
Politica sanitaria
Livelli essenziali di assistenza
RADIOTERAPIA: COSA CAMBIA CON I NUOVI LEA?
In questo articolo:
— SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
— RADIOCHIRURGIA
— PNRR
All’interno dei nuovi Livelli essenziali di assistenza sono inserite anche diverse prestazioni usate abitualmente per trattare il cancro, come la radioterapia stereotassica e l’adroterapia
La radioterapia è uno dei pilastri delle cure oncologiche. Secondo alcune stime viene utilizzata in circa il 60-70% dei pazienti con diagnosi di tumore, e in alcuni casi è in grado da sola di guarire la malattia, senza ricorrere a chirurgia o terapie sistemiche. Può succedere per esempio nel caso di alcuni tumori in stadio iniziale della prostata o della tonsilla.
Nell’ottica di garantire a tutti i cittadini il diritto alla salute, i nuovi LEA, i livelli essenziali di assistenza, varati alla fine del 2024, hanno aggiornato anche le prestazioni di radioterapia, “assicurando a tutti gli assistiti l’erogazione di prestazioni altamente innovative, come la radioterapia stereotassica, adroterapia e radioterapia con braccio robotico”, si legge sul sito del Ministero della salute.
a cura della redazione
Cosa cambia dunque? In realtà, questi trattamenti a cui si fa riferimento sono utilizzati già da anni, ma con differenze tra Regione e Regione, soprattutto per quanto riguarda le tariffe, ovvero le remunerazioni spettanti a chi effettua le prestazioni (ospedali e ambulatori). Queste differenze
sono ora azzerate dai nuovi LEA, a garanzia di un’omogeneità su tutto il territorio nazionale.
I LEA
I LEA sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket, e vengono definiti in due passaggi: il primo è il nomenclatore, che è l’elenco delle prestazioni (visite, esami e trattamenti) che il SSN ci “passa”, come usiamo dire abitualmente; il secondo passaggio è l’aggiornamento delle tariffe di riferimento. “Nel caso della radioterapia, il nomenclatore del 2017, l’ultimo approvato, faceva riferimento al lavoro e al confronto avuto con il Ministero della salute negli anni precedenti, quindi nel 2015-2016” chiarisce Marco Krengli, presidente di AIRO, l’Associazione italiana radioterapia e oncologia clinica, e ordinario di radioterapia all’Università di Padova. “Il tariffario è stato definito con decreto a fine 2024, 7 anni dopo: quindi, i nuovi LEA mostrano una fotografia di com’era la radioterapia una decina di anni fa. Sono tempistiche che non riescono a tener conto fino in fondo dell’innovazione tecnologica e non aiutano nella valorizzazione di questa tipologia di prestazioni.” Quindi ai pazienti verranno preclusi i trattamenti di ultima generazione? “No, diciamo che le tecniche più avanzate sono un po’ in ‘sofferenza’ rispetto a quello che può
"Tra i pazienti è ancora diffusa l’idea di una radioterapia con molti effetti collaterali e trattamenti lunghi.
Non è più così"
offrire il nuovo tariffario, ma comunque ci sono delle voci che consentono di includere le radioterapie più innovative nonostante non vengano previste in maniera specifica, come nel caso della radioterapia adattativa con RM-linac e dell’imaging di superficie per il controllo del posizionamento dei pazienti” prosegue Marco Krengli. “Nel tariffario, lo ricordo, sono elencate varie voci e ogni trattamento erogato ne accorpa diverse, anche una quindicina nel caso della radioterapia. Una situazione che può prestarsi a interpretazioni differenti. Per ovviare a questa eventualità, e dunque per aiutare i centri di radioterapia e le amministrazioni, AIRO sta preparando un documento con delle raccomandazioni su come interpretare le varie voci che vanno a comporre il singolo trattamento radioterapico.”
DALLA STEREOTASSICA
ALL’ADROTERAPIA
In Italia negli ultimi anni c’è stato un notevole miglioramento della dotazione tecnologica grazie agli investimenti del PNRR, che ha previsto l’installazione di oltre 80 nuovi acceleratori lineari, le apparecchiature per la radioterapia. “È importante chiarire che anche la radioterapia classica ha avuto un’evoluzione. Non ci sono trattamenti di serie A e di serie B: ogni paziente viene curato in base alla sua diagnosi e in modo personalizzato” sottolinea Stefania Volpe, medico oncologo radioterapista allo IEO, Istituto europeo di oncologia IRCCS di Milano, e ricercatrice all’Università degli studi di Milano. “È importante comunicarlo ai pazienti perché è ancora diffusa l’idea di una radioterapia con importanti tossicità, effetti collaterali e trattamenti molto
lunghi. Non è più così.” Vediamo allora in breve le caratteristiche delle 3 tipologie citate come esempio dal Ministero della salute, a partire dalla radioterapia stereotassica: “Ci permette di trattare tumori anche molto piccoli usando elevate dosi di radiazioni con estrema precisione e accuratezza” spiega Stefania Volpe. “Le sedute sono al massimo 5, ma ci sono casi in cui ne è prevista una sola: si parla allora di radiochirurgia, perché mima gli effetti radicali dell’intervento chirurgico. La stereotassi può essere impiegata in tante situazioni cliniche, da quelle encefaliche a quelle pelviche.” È radioterapia stereotassica anche quella somministrata con braccio robotico, che, muovendosi intorno al paziente, permette di erogare il trattamento da tantissime posizioni. “Questo consente di avere una distribuzione di dose estremamente precisa, noi diciamo conformata, che segue la forma del nostro bersaglio di trattamento con estrema accuratezza.” L’adroterapia si differenzia perché utilizza protoni e ioni carbonio che, rispetto ai raggi X comunemente usati in radioterapia, hanno un effetto tumoricida maggiore. “La protonterapia viene impiegata in determinate circostanze cliniche particolari, che comprendono i tumori solidi pediatrici, quelli situati in sedi considerate solitamente difficili, come le cavità orbitarie, e alcune tipologie che rispondono meno alla radioterapia convenzionale, come certi sarcomi.”
Questi sono alcuni esempi di tecniche in costante evoluzione che, anche nell’ambito dei LEA, aprono al futuro di una radioterapia oncologica di precisione più accurata, efficace e accessibile ai pazienti.
fundraising
UN BUON INVITO A SOSTENERE LA RICERCA
Hai un giorno speciale da festeggiare? Un matrimonio, un compleanno, un anniversario, una laurea? Ogni occasione è buona per contribuire a un futuro senza cancro.
Con la piattaforma online Un Buon Invito di AIRC puoi creare la tua raccolta fondi personale con pochi clic e invitare i tuoi cari a fare una donazione a favore della ricerca sul cancro.
Un metodo semplice e intuitivo per organizzare la tua personale raccolta fondi: basta andare sul sito, creare un evento compilando il modulo online con le informazioni richieste e accedere o registrarti all'Area Personale AIRC. A questo punto non resta che condividere la pagina con amici e parenti.
Con AIRC, ogni avvenimento speciale per te lo diventerà anche per la ricerca.
Cosa aspetti?
Crea la tua raccolta fondi. Vai su unbuoninvito.airc. it o inquadra il QR Code
UNA FESTA PER LA RICERCA
a cura della redazione
Un gruppo di amici ha trasformato il proprio compleanno in un’occasione per sostenere le ricercatrici e i ricercatori AIRC
G’iuseppe, Luca, Giovanni e Davide sono amici da una vita. Si sono conosciuti tra i banchi delle medie e dell’università, si frequentano da allora e compiono tutti gli anni a marzo.
Hanno deciso così di celebrare insieme il loro quarantesimo compleanno facendo qualcosa di speciale: una festa in una villa a Castellina, provincia di Parma.
Ci racconta Giuseppe: “Abbiamo iniziato a chiederci: e per i regali? Come ci comportiamo? E così è nata l’idea: facciamo qualcosa di bello e di speciale, qualcosa per gli altri. Così abbiamo pensato a una raccolta fondi in favore di AIRC”.
Giuseppe ha una ragione personale che lo lega alla missione della Fondazione: “Ho perso mio padre nel 2016 per un tumore al pancreas. Le abbia-
mo provate tutte, ho cercato di documentarmi, capire, ma nel suo caso non c’era molto da fare” dice.
“Durante quel periodo non mi capacitavo del fatto che non ci fosse una soluzione e soprattutto mi sono reso conto che siamo talmente bombardati da notizie terribili che ci siamo anestetizzati. Ognuno di noi è preso da se stesso e non pensa che certe cose lo possano toccare.”
L’esperienza vissuta è stata invece un modo per Giuseppe di rendersi conto dell’importanza della ricerca oncologica: “Vivendo la malattia di mio padre, mi è capitato di assistere anche al dolore di altri pazienti, alcuni molto giovani, e fa male. Per questo oggi credo ancora di più nei risultati che si possono raggiungere con la ricerca e nel dare supporto ai ricercatori. Il loro lavoro è importantissimo per tutti noi e va sostenuto. La nostra festa di compleanno ci è sembrata l’occasione perfetta per fare qualcosa di grande. Poi la piattaforma Un Buon Invito funziona benissimo, intuitiva e trasparente, è già tutto pronto: crei il tuo evento, condividi la pagina e gli invitati donano, semplicissimo”.
Il risultato è stato un successo: “La festa è andata benissimo! Siamo riusciti a raccogliere circa 6.000 euro, un contributo importante per sostenere il lavoro delle ricercatrici e dei ricercatori AIRC verso nuove cure”.
Rubrica alimentazione
Pausa pranzo
MANGIARE SANO, ANCHE FUORI CASA
a cura di Riccardo Di Deo
Prepararsi il pasto è un’abitudine che può migliorare la qualità della dieta di chi mangia frequentemente fuori casa
Che lo si chiami “schiscetta”, “gavetta”, “cestino” o, con un tocco di internazionalità, “lunch box”, il pranzo portato da casa è diventato una scelta sempre più diffusa. Non si tratta solo di risparmiare, ma anche di avere un controllo maggiore sulla propria alimentazione.
Sempre più persone, infatti, scelgono di preparare i propri pasti da portare in ufficio o all’università, cercando soluzioni salutari senza rinunciare al gusto. Organizzare il pranzo al meglio, seguendo alcuni semplici accorgimenti, permette di ottenere pasti equilibrati che siano non solo sani, ma anche veloci da preparare, pratici da trasportare e facili da consumare, adattandosi perfettamente alla vita fuori casa.
La chiave è la pianificazione: cucinare
porzioni abbondanti in anticipo, durante la cena o nel fine settimana, permette di preparare più pasti da conservare in frigorifero o in congelatore, pronti per essere portati con sé e riscaldati all’occorrenza.
È importante bilanciare gli ingredienti per creare un pasto completo che apporti tutti i nutrienti necessari. La combinazione ideale prevede una porzione di cereali, una fonte di proteine e un’abbondante quantità di verdure. Il condimento da prediligere è l’olio extravergine d’oliva, mentre per insaporire è preferibile usare erbe aromatiche o spezie, limitando l’uso del sale.
Una soluzione pratica è il piatto unico, che abbina una base di cereali, come cous cous, quinoa, farro, riso o pasta integrale, con fonti di proteine sane, come
SCEGLI AIRC PER UNA PAUSA PRANZO DIVERTENTE
Mangiare sano non è mai stato così divertente con le lunch bag di AIRC. Le lunch bag sono perfette per accogliere le pietanze da consumare fuori casa e per ricordarci con simpatia l’importanza di una dieta sana e bilanciata.
Scoprile tutte sullo shop di AIRC inquadrando il QR Code.
legumi, uova, formaggi freschi magri o pesce. Il tutto arricchito da una generosa porzione di verdure di stagione, crude o cotte a piacere.
Chi preferisce un secondo piatto può optare per delle insalate fresche, facili da preparare, con carote, pomodori, finocchi o cetrioli, da accompagnare a una fonte proteica come burger di legumi, frittata, filetti di pesce, petto di pollo o formaggi freschi e del pane o suoi sostituti.
Infine, non dovrebbe mai mancare la frutta fresca e di stagione, perfetta da consumare a fine pasto o come spuntino durante la giornata. Per uno spezza-fame pratico e nutriente, si possono scegliere frutta a guscio o mix di frutta secca e disidratata, ideali per mantenere l’energia senza appesantirsi.
INSALATA DI COUS COUS CON ASPARAGI, PISELLI E FETA
Ingredienti per 2 persone:
• 120 g cous cous integrale
• 150 g piselli freschi o surgelati
• 200 g asparagi
• 100 g feta
• 1 cipollotto fresco
• 2 cucchiai olio extravergine d’oliva
• Menta fresca q.b.
• Sale e pepe q.b.
Preparazione
Portate a ebollizione l’acqua leggermente salata, versate il cous cous, coprite e lasciate riposare 5 minuti, poi sgranate e raffreddate.
Scaldate un cucchiaio d’olio EVO in una padella, aggiungete i piselli e gli asparagi tagliati a rondelle e cuocete il tutto a fuoco medio per 5-6 minuti. Unite cous cous, piselli, asparagi e cipollotto affettato in una ciotola, aggiungete la feta sbriciolata e mescolate delicatamente. Condite poi con olio EVO, pepe e menta. Conservate il tutto in un contenitore ermetico in frigorifero e consumate entro 2-3 giorni.
... DAL MONDO
a cura della redazione
LE DONNE CON SINDROME
DELL’OVAIO POLICISTICO HANNO
UN RISCHIO MAGGIORE DI CANCRO ALL’ENDOMETRIO
La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) è uno dei disturbi endocrini più comuni tra le donne in età fertile. Le donne con PCOS presentano solitamente irregolarità mestruali, irsutismo, aumento di peso e acne. Negli ultimi anni sono in corso ricerche sul possibile aumento di rischio di tumori ginecologici dovuto a questa sindrome. Una revisione apparsa sulla rivista scientifica Cureus conferma che le donne con PCOS hanno un rischio maggiore di cancro endometriale, mentre non sembrano aumentare il rischio di cancro ovarico e quello di tumore mammario.
Nella revisione sono stati analizzati 10 studi selezionati su un totale di 19.388 articoli pertinenti. I principali fattori che contribuiscono a questo incremento di rischio sono risultati essere l’iperandrogenismo, l’iperinsulinemia, l’azione estrogenica non contrastata, l’infiammazione cronica e la dislipidemia. Per confermare ulteriormente queste associazioni sarà necessario condurre studi di coorte con un alto numero di pazienti e che considerino anche altri fattori, come fumo, alcol e storia familiare. Inoltre, a influire sul rischio di cancro potrebbero essere anche gli interventi terapeutici usati per trattare la PCOS.
CHI SMETTE DI FUMARE
DOPO UN CANCRO VIVE PIÙ A LUNGO
Nei pazienti oncologici che entrano in un programma di cessazione del fumo entro 6 mesi dalla diagnosi e poi smettono di fumare entro 3 mesi, la mortalità è del 26% in meno rispetto a chi continua a fumare. È quanto emerso da una ricerca pubblicata su JAMA Oncology I dati dello studio mostrano che questi pazienti vivono in media 1,8 anni in più rispetto a chi continua a fumare, mentre per quelli che entrano nel programma tra i 6 mesi e i 5 anni dalla diagnosi l'incremento è di 1,2 anni. Non sembra invece esserci alcun beneficio in termini di sopravvivenza per chi smette di fumare oltre 5 anni dopo la diagnosi.
Chi smette di fumare appena ammalatosi vive in media 1,8 anni in più di chi prosegue
ALLA SCOPERTA DELLE VARIANTI
DI BRCA2
Il gene BRCA2, quando mutato, può giocare un ruolo chiave nell’aumentare il rischio di diversi tipi di tumore, tra cui quello del seno. Non tutte le mutazioni di BRCA2 però sembrano avere lo stesso impatto. I risultati di uno studio internazionale, condotto dal Mayo Clinic Comprehensive Cancer Center e pubblicato su Nature, hanno ora permesso di fare un grande passo avanti nella comprensione delle varianti geniche di significato incerto, ovvero quelle di cui finora non si sapeva quanto aumentassero il rischio di sviluppare un tumore. I ricercatori hanno utilizzato la tecnologia di editing genetico CRISPR-Cas9 per analizzare quasi 7.000 mutazioni di BRCA2 in modelli cellulari umani. In tal modo hanno scoperto quanto ciascuna di queste varianti aumenta il rischio di sviluppare un tumore. Questi risultati potrebbero permettere di realizzare test genetici più mirati, aiutando i professionisti della salute a offrire valutazioni del rischio più accurate e piani terapeutici personalizzati per i portatori delle diverse mutazioni.
L’IA PUÒ MIGLIORARE
LE DIAGNOSI DI CANCRO OVARICO
Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine e condotto da ricercatori del Karolinska Institutet in Svezia ha mostrato che modelli basati sull’intelligenza artificiale (IA) potrebbero essere più efficienti degli esperti umani nell’identificare il cancro ovarico nelle immagini ecografiche.
I tumori ovarici sono quasi sempre asintomatici in fase iniziale e spesso vengono rilevati per caso. I ricercatori hanno sviluppato e validato modelli in grado di distinguere tra lesioni ovariche benigne e maligne, dopo aver addestrato e testato l’IA su oltre 17.000 immagini ecografiche di 3.652 pazienti provenienti da 20 ospedali di 8 Paesi. Hanno poi confrontato la capacità diagnostica dei modelli con quella di due gruppi, uno composto da esperti nel campo e l'altro da esaminatori ecografici con minore esperienza.
I risultati hanno mostrato che i modelli di IA sono stati più accurati rispetto a entrambi i gruppi di persone, con un’accuratezza dell’86,3% rispetto all’82,6% degli esperti e al 77,7% degli esaminatori meno esperti. Ulteriori studi potranno servire a verificare l'efficacia dell'IA, per poterla usare in futuro in affiancamento ai medici.
I modelli di IA sono stati più accurati rispetto a entrambi i gruppi di esperti
Epidemiologia
Differenze di genere
VANTAGGIO AL FEMMINILE CONTRO IL CANCRO
In questo articolo:
— TRIAL CLINICI
— STILI DI VITA
— METILAZIONE DEL DNA
Con qualche eccezione, le donne tendono a sviluppare meno tumori e ad affrontarli meglio, con esiti più spesso positivi rispetto agli uomini. Ma la complessità è tanta
a cura di
Davanti al cancro non siamo tutti uguali. L’approccio sempre più personalizzato alla prevenzione e alla cura, ormai in tutti i campi della medicina, punta a riconoscere le differenze proprio per dare a ciascun paziente l’esito più favorevole possibile. In quest’ottica, un ruolo fondamentale hanno sesso e genere di ogni individuo.
La ricerca in questo campo è ancora agli albori, ma già disponiamo di dati sufficienti a capire che sia le differenze biologiche (da cui dipende il sesso di un individuo), sia quelle culturali (che ne connotano il genere) determinano una diversa probabilità tra uomini e donne sia di sviluppare alcuni tumori, sia poi di sopravvivere alla malat-
Roberta Villa
media le donne vivono più a lungo, anche se in peggiori condizioni di salute. La vita media degli uomini in Italia prima della pandemia era infatti di 80,6 anni, mentre quella delle donne sfiorava gli 85. Le donne però si ammalano di più e consumano più medicinali” continua Sacerdote. “Sono anche svantaggiate rispetto agli uomini perché più facilmente soggette a disoccupazione, difficoltà economiche e violenze. Se si considerano gli anni di vita trascorsi in buona salute, quindi, il vantaggio a favore delle donne diminuisce considerevolmente.”
L’IMPATTO SUL CANCRO
Più frequenti nel sesso femminile sono anche le reazioni avverse ai farmaci, come dimostra il fatto che 8 su 10 tra i farmaci ritirati dal mercato statunitense tra il 1997 e il 2000 provocavano effetti indesiderati più gravi tra le donne. Questo fenomeno può avere varie spiegazioni, ancora da approfondire. Potrebbe essere legato ad aspetti strettamente biologici, ma è anche possibile che subentrino fattori culturali legati al genere, per cui le
In generale, l’incidenza e la mortalità per cancro, con poche eccezioni, sono inferiori nelle donne rispetto agli uomini
tia. In generale, escludendo i tumori tipicamente femminili (mammella, utero, ovaio), possiamo dire che l’incidenza e la mortalità per cancro, con poche eccezioni – tra cui il carcinoma della tiroide –, sono inferiori nelle donne rispetto agli uomini. “Infatti, in media, nel corso della vita, la metà degli uomini, ma solo una donna su 3, ricevono una diagnosi di tumore, con una mortalità che nei maschi è il doppio che nelle femmine” dice la ricercatrice AIRC Carlotta Sacerdote, epidemiologa e docente di statistica medica presso l’Università del Piemonte Orientale. Ma le differenze non riguardano solo l’oncologia: “In
donne percepiscono come disturbanti sintomi che gli uomini sono più disposti a ignorare, per esempio un senso di gonfiore addominale o la caduta dei capelli. Inoltre, i dosaggi della maggior parte dei medicinali non indicano valori diversi per uomini e donne, ignorando le fondamentali differenze nel metabolismo delle sostanze, nella massa corporea dell’individuo e nel suo tessuto adiposo. Tutti fattori che possono influire sulla distribuzione o l’accumulo dei farmaci. Questa trascuratezza può dipendere anche dal fatto che i medicinali sono stati testati a lungo solo sui maschi, così come solo maschi sono
stati per molto tempo i partecipanti agli studi clinici.
La scelta di escludere dalle sperimentazioni le donne (soprattutto in età fertile) nasceva in parte dalla volontà di evitare rischi in caso di gravidanze impreviste, ma rispondeva anche ad altre esigenze pratiche dei ricercatori. Dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso si è incoraggiata sempre più l’inclusione delle donne nei trial clinici, ma ancora oggi capita che i risultati non siano valutati in maniera distinta o l’analisi dei dati disaggregati per sesso non sia effettuata in maniera adeguata, anche perché ciò richiede un numero di partecipanti molto più elevato, che fa lievitare ulteriormente i già stratosferici costi della ricerca clinica. Sono poi rarissimi i trial che includano persone trans, in cui sesso e genere sono discordanti, per provare a distinguere quante delle differenze riscontrate tra uomini e donne in termini di incidenza e prognosi dei tumori e di altre malattie dipende da fattori biologici e quanto invece da determinanti culturali, che comportano una diversa esposizione a fattori di rischio e una diversa attitudine a comportamenti e stili di vita.
SESSO E GENERE
Il sesso biologico determina, tra le altre cose, i livelli dei diversi ormoni, il tipo e l’intensità della risposta immunitaria e la capacità di metabolizzare farmaci e sostanze tossiche. Tutti aspetti che possono influire, da soli o in combinazione, sul rischio di ammalarsi o sulla risposta alle terapie. Per le peculiarità del loro sistema immunitario, per esempio, le donne soffrono molto più spesso degli uomini di malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide o la sclerosi multipla. Reagiscono in maniera molto più vivace alle vaccinazioni, soprattutto a quella antinfluenzale, e ai trattamenti che stimolano il sistema immunitario. Viceversa, gli inibitori dei checkpoint immunitari, che hanno rivoluzionato la cura del melanoma e di altri tumori solidi, aumentano la sopravvivenza in entrambi i sessi, ma in media danno risultati migliori nei pazienti maschi.
Anche il genere, oltre al sesso, può incidere sul rischio di cancro. Per esempio, è diversa l’esposizione a fattori di rischio propri di determinate professioni più comuni tra uomini o donne. Inoltre, si registra una differenza anche per quanto riguarda gli stili di vita. Gli uomini tendenzialmente fumano di più e bevono più alcolici, mentre le donne, in media, sembrano avere una maggiore attitudine a mangiare sano, fare attività fisica, sottoporsi a controlli, informarsi e più in generale prendersi cura della propria salute. Va considerato, purtroppo, che in alcuni casi può verificarsi anche una diversa attenzione ai sintomi, nelle donne più spesso etichettati come psicosomatici. Il genere dell’individuo può influire perfino sulle scelte terapeutiche da parte del personale sanitario: in alcuni casi sono risultate inconsciamente condizionate dal genere del o della paziente.
Un esempio di come sesso e genere possano influenzare il rischio di cancro ci viene dal tumore al polmone, che nell’80% dei casi è associato al fumo. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso, le donne che fumavano erano un’eccezione, per cui il cancro al polmone era una malattia tipicamente maschile. Negli anni,
la differenza tra il tasso di uomini e di donne che consumano sigarette si è ridotta, e l’incidenza di cancro al polmone nel genere femminile è aumentata, ma conservando im-
la proliferazione delle cellule bronchiali.”
La diagnosi di cancro al polmone coglie poi in genere le donne in un’età più giovanile rispetto alla controparte maschile, ma, per fortuna, in media, con una prognosi migliore. Alle differenze genetiche di base tra uomini e donne si sommano quindi quelle epigenetiche indotte dall’ambiente e dagli stili di vita, che possono esprimersi e misurarsi anche guardando alla cosiddetta metilazione del DNA, che regola l’espressione dei diversi geni, protettivi o no. Anche qui sono state trovate centinaia di differenze tra maschi e femmine, legate a geni coinvolti in processi di sviluppo cruciali.
“Nel complesso, queste osservazioni sottolineano che, da un punto di vista biologico, il sesso dovrebbe essere considerato come un insieme diversificato di tratti continui, piuttosto che una semplice dicotomia maschio-femmina” conclude la ricercatrice, che con il suo gruppo, grazie al sostegno di AIRC, sta studiando la possibilità di sviluppare un sistema di punteggio per misurare la metilazione del DNA
L’organismo delle donne, rispetto a quello degli uomini, sembra reagire di più ai trattamenti che stimolano il sistema immunitario
portanti differenze tra i sessi: “Una donna che fuma ha una probabilità quasi 20 volte superiore di sviluppare un tumore polmonare rispetto a una coetanea che non fuma, mentre l’aumento del rischio in un uomo fumatore rispetto al non fumatore è sempre altissimo, ma minore, cioè circa di 13 volte” spiega Sacerdote. “A livello molecolare ciò si spiega con vari meccanismi: per esempio, le donne sembrano avere una maggiore predisposizione a sviluppare alterazioni del DNA indotte dai carcinogeni contenuti nel tabacco, ma anche una maggiore sensibilità ai processi con cui la nicotina stimola
come indice di mascolinizzazione o femminilizzazione. “Questo approccio, invece della variabile unica dei due sessi, potrebbe permettere di catturare meglio le complesse interazioni tra i fattori di rischio tumorale, la regolazione mitocondriale e il rischio e la sopravvivenza al cancro.”
L’ideologia non c’entra: il ruolo di sesso e genere nello sviluppo del cancro e di altre malattie è solo una delle molteplici manifestazioni del complesso intreccio tra geni e ambiente, che determina il nostro rischio di ammalarci e la nostra capacità di rispondere alle cure, oltre che la nostra identità.
Raccolta fondi
Collaborazioni
GILLETTE VENUS E AIRC
INSIEME CONTRO L’HPV
Gillette Venus ha deciso di essere al fianco di AIRC nella ricerca sui tumori causati dal Papillomavirus (HPV). L’azienda si è impegnata con una donazione di 50.000 € destinata al co-finanziamento di un progetto Investigator Grant, guidato dalla ricercatrice Alessandra Soriani, sul tumore della cervice uterina.
“METTIAMOCI
COMODI” PER LA SALUTE DEL NOSTRO INTESTINO
Scottex ha deciso di sostenere Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro con un impegno biennale di 150.000 € (75.000 € all’anno), destinato a un progetto di Investigator Grant sul tumore del colon, affidato a Giuseppe Bifulco.
Un impegno concreto che si traduce in una donazione e in una campagna di sensibilizzazione dal nome “Cura il visibile. Proteggiti dall’invisibile”, per promuovere l’importanza degli screening e della prevenzione e trasformare la consapevolezza in uno strumento di tutela della salute. Venus promuove la cultura della prevenzione anche con iniziative sul territorio e campagne social. Durante gli eventi, una box chiamata “V-Question” raccoglierà domande anonime sul Papillomavirus, che verranno approfondite con AIRC e condivise sui social per sensibilizzare il pubblico.
In parallelo, la missione di Scottex al fianco di AIRC si concretizza nella campagna “Mettiamoci Comodi”, che mira a sensibilizzare e incoraggiare le persone a superare i tabù legati all’uso del bagno. Abbattere queste barriere è il primo passo non solo per migliorare il benessere quotidiano, ma anche per sensibilizzare il pubblico sull’importanza della prevenzione del tumore del colon e prendersi cura della propria salute in modo naturale e senza imbarazzi.
Non trattenere niente! Metti al primo posto la salute del tuo intestino.
VENCHI AL FIANCO DI AIRC PER SOSTENERE LA RICERCA
Venchi, azienda leader nella produzione di cioccolato e gelato, ha scelto di dedicare a Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro una speciale iniziativa legata alla linea NO Zuccheri Aggiunti.
In questo modo, Venchi, azienda con più di 145 anni di storia e che porta il gusto italiano nel mondo con 350 ricette di cioccolato e 90 gusti di gelato, conferma la scelta di proseguire nel percorso già avviato di sostegno al lavoro dei ricercatori AIRC, impegnati nel trovare nuove cure e terapie sempre più efficaci contro il cancro. Nel 2025 Venchi ha scelto di essere ancora al fianco di Fondazione AIRC, avviando un percorso di partnership finalizzato sia a supportare la migliore ricerca oncologica in Italia, sia a sensibilizzare il pubblico sull’importanza della raccolta fondi e della prevenzione. Infatti, dal 18 febbraio al 31 agosto, per ogni confezione della linea NO Zuccheri Aggiunti (esclusi i prodotti della collezione di Pasqua) acquistata su venchi.it, Venchi devolverà ad AIRC il 10% del ricavato per sostenere la ricerca scientifica.
La partnership con Venchi dimostra il ruolo fondamentale che le aziende possono avere nel contribuire attivamente al progresso della ricerca scientifica contro il cancro e nel generare un impatto concreto e positivo sulla nostra comunità.