Fondamentale gennaio 2012

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LIBRI

La storia del cancro si legge come un romanzo e vince il Premio Pulitzer GIORNATA PER LA RICERCA

Numero 1 - 1 gennaio 2012 - Anno XL - AIRC Editore - ISSN 2035-4479

Al Quirinale il sostegno delle istituzioni, nelle scuole e nelle università il valore della ricerca di AIRC

PSICOLOGIA

In gruppo la terapia è più efficace ma non tutti si sentono a proprio agio

Alessandro Vannucchi, ematologo a Firenze

CURA I TUMORI CENERENTOLA



EDITORIALE

Piero Sierra

FONDAMENTALE Anno XL - Numero 1 1 gennaio 2012 -AIRC Editore

Presidente AIRC

DIREZIONE E REDAZIONE: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro - via Corridoni, 7 - 20122 Milano telefono 02 7797.1 www.airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152 Conto corrente postale n. 307272 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Roto 2000 Casarile (Milano) DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Contucci CONSULENZA EDITORIALE Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) COORDINAMENTO REDAZIONALE Giulia Cauda REDAZIONE Martina Perotti, Cristina Ferrario (Agenzia Zoe) PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Umberto Galli PRODUZIONE Patrizia Brovelli RESPONSABILE EDITORIALE Emanuela Properzj TESTI Agnese Codignola, Maria Ines Colnaghi, Violetta Demarchi, Cristina Ferrario, Daniela Ovadia, Martina Perotti, Fabio Turone, Emanuela Zerbinatti FOTOGRAFIE Armando Rotoletti (copertina e servizio a p. 5) Contrasto, Corbis, Anna Franzetti, Istockphoto

Le parole delle Istituzioni

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edo questo spazio, dove abitualmente commento il nostro lavoro e lo stato della ricerca, per trasmettere il messaggio del presidente del Senato Renato Schifani ricevuto in occasione della Giornata per Ricerca sul Cancro, che ci fa sentire la vicinanza delle istituzioni.

“Grazie al costante progresso della ricerca oncologica il cancro oggi è diventato una malattia sempre più curabile. Questi successi non devono però distogliere la nostra attenzione da questa patologia che purtroppo continua, malgrado i continui progressi della scienza. La ricerca scientifica è uno strumento indispensabile per lo sviluppo e influenza i fattori capaci di innovare e costruire un futuro migliore. Per questo è un dovere di tutti, istituzioni, forze politiche, ma anche cittadini, contribuire a sostenerla per renderla sempre più efficiente e all’altezza dei risultati all’avanguardia nei quali tutti noi crediamo. Il mio personale plauso va al contributo di AIRC che, oltre a fare da supporto alla ricerca biomedica, si estende alla diffusione delle informazioni sulla diagnosi precoce, sulle novità terapeutiche e diagnostiche, e sulle corrette abitudini di vita che aiutano a prevenire la malattia. Mai come in questo campo è fondamentale creare una sinergia tra istituzioni pubbliche e private, associazioni e società civile per sostenere e stimolare costantemente gli studi, le sperimentazioni e le applicazioni cliniche, al fine di ridurre in maniera sempre più cospicua i tempi che possono portare a una più vasta guarigione clinica”. Aggiungo che il maggior contributo lo Stato e i ministeri competenti lo danno grazie allo strumento del 5 per mille: una fonte di finanziamento della quale la comunità scientifica italiana non può più prescindere, garantita dal sostegno diretto dei cittadini, e di cui i ricercatori oncologici sono profondamente grati.

Fondamentale è stampato su carta Grapho Crystal certificata e proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.

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SOMMARIO

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In questo numero: DI RICERCATORE 05 VITA Un ricercatore clinico per rari tumori del sangue 08 AMBIENTE L’aria cattiva nuoce a polmoni e cuore CURARE 11 COME L’esame mirato fa bene ma non serve sparare nel mucchio 14 RECENSIONI Millenni di ricerca contro l’imperatore del male PER LA RICERCA 17 GIORNATA Il futuro si gioca anche nei laboratori a confronto con il fascino 20 Giovani della ricerca RAI e AIRC 24 Con la ricerca corre squadra vincente 26 Laa fianco di AIRC PER LA RICERCA 27 PROFESSIONI Ci vuole un fisico speciale per capire la cellula TECNOLOGIE 30 NUOVE Le nanotecnologie promettono di battere il cancro 32 RUBRICHE Domande e risposte MOLECOLARE 34 BIOLOGIA Una spazzatura davvero preziosa 36 PSICONCOLOGIA La seduta collettiva che dà forza e sostegno SANO 38 VIVERE L’esercizio aerobico IFOM 39 RICERCA Gli strani comportamenti delle cellule cerebrali 40 LASCITI Moreno Cedroni, un amico di FIRC E BANDI 42 EROGAZIONI Molte opportunità per i giovani e quattro grandi programmi 46 INIZIATIVE Ritorno alle origini con le Arance

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Pochi accorgimenti Quando i casi di tumore per proteggersi si accumulano ci vuole dall’inquinamento l’epidemiologo

Alessandro Vannucchi, ematologo fiorentino, guida uno dei Programmi 5 per mille

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Troppi esami non servono, meglio pochi mirati

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La Giornata per la Ricerca ha segnato l’avvio di due nuove iniziative nelle università e nelle scuole

DNA spazzatura, dall’oblio agli onori della ricerca oncologica

Novità sul sito WWW.AIRC.IT • Staminali, la benzina del tumore www.airc.it/cura • Scheda: linfoma della cute www.airc.it/guida-tumori


VITA DI RICERCATORE Le malattie mieloproliferative

Un ricercatore clinico per rari tumori del sangue Dagli esordi faticosi come medico volontario e ricercatore senza fondi alla direzione di un ambizioso progetto finanziato grazie al 5 per mille di AIRC: Alessandro Vannucchi spera così di aiutare i pazienti a vivere a lungo

a cura di FABIO TURONE tto anni da ricercatore volontario, non pagato: tanto ha dovuto resistere, dopo la laurea, prima di ottenere un posto come medico ospedaliero nella struttura in cui tutte le mattine timbrava metaforicamente il cartellino dopo aver preso un treno locale da Pistoia e poi lo scooter fino all’Ospedale universitario di Careggi. È attraverso questa ostinata gavetta che Alessandro Vannucchi è arrivato a vincere il concorso per l’abilitazione all’insegnamento e infine – nel 2002, a vent’anni dalla laurea – la cattedra di ematologia all’Università di Firenze. Lunghi anni in cui la giornata dedicata all’attività di laboratorio – grazie alla quale aveva cominciato a pubblicare ricerche su importanti riviste già prima di laurearsi – era spezzata dal lavoro necessario a portare a casa lo stipendio: “Partivo poco prima delle otto da Pistoia e la mia giornata lavorativa iniziava alle nove” racconta l’ematologo. “Alle due del pomeriggio, sempre con lo scooter, andavo a lavorare in un

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laboratorio privato di analisi, a leggere e interpretare i risultati degli esami. Verso le cinque tornavo in laboratorio, fin verso le otto di sera”. Notte e festivi erano spesso dedicati all’attività di guardia medica, nelle montagne attorno a Pistoia. “Dal sabato dopo pranzo al lunedì alle otto del mattino presidiavo un ambulatorio dotato di una branda e ben pochi confort, dove spesso arrivavano telefonate con richieste di visite domiciliari in località sperdute tra le montagne, assai difficili da raggiungere. Ricordo il contrasto tra la durezza dell’ambiente e l’estrema gentilezza delle persone, che al medico riservavano un’accoglienza come in famiglia” ricorda. “È stata un’esperienza importante, perché lavorando in un contesto di frontiera, in cui in ogni momento potevo trovarmi a fronteggiare situazioni drammatiche, credo di aver acquisito la capacità di affrontare l’imprevisto e le emergenze con tranquillità e freddezza”. Una notte fu svegliato da una telefonata che lo informava che era scoppiato un incendio in ospedale: “Un’apparecchiatura di quelle che funzionano giorno

La costanza di perseguire l’obiettivo di fare ricerca

e notte per portare avanti gli esperimenti aveva preso fuoco” racconta. “Corsi immediatamente in ospedale, dove i vigili del fuoco mi aspettavano per mettere in sicurezza il materiale radioattivo presente in laboratorio. Poi con l’aiuto del caposala e dei colleghi lavorammo alcune ore per attrezzare in una zona diversa dell’ospedale il day hospital per le chemioterapie. Alla fine ero stremato, ma i pazienti che arrivarono alle otto e mezza non ebbero alcun disagio”. Era il 1995, e tutta l’attrezzatura di ricerca messa insieme negli anni era andata distrutta: “L’assicurazione risarcì i danni solo in parte, ma anche grazie ai fondi che già allora ricevevo da AIRC riuscimmo a non interrompere l’attività di ricerca, seppure accampati per alcuni mesi nei locali che erano stati una piccola cucina, mentre i laboratori venivano ristrutturati”.

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VITA DI RICERCATORE Le malattie mieloproliferative

Le cenerentole dell’ematologia Il suo filone di ricerca è rimasto sempre quello delle malattie mieloproliferative (forme di crescita incontrollata delle cellule del sangue che possono dare origine a tumori o che sono maligne già nelle fasi iniziali), “cenerentole dell’ematologia”, su cui Vannucchi aveva pubblicato i primi studi ancor prima della laurea, conseguita nel 1982 all’Università di Firenze. Grazie a quei primi lavori, aveva conquistato rapidamente visibilità a livello internazionale, tanto che nel 1986 fu chiamato a Londra, all’Ospedale St. Thomas, nel cui laboratorio volevano allestire una metodica originale che aveva ideato e pubblicato. Erano anni in cui per mettere insieme un laboratorio sperimentale con pochi soldi occorreva molta inventiva: “Il laboratorio non esisteva, e io avevo pochissimi fondi per lavorare. I primi apparecchi costosi arrivarono in virtù di un accordo con un collega più anziano, che disponeva di fondi per la ricerca: a lui serviva qualcuno che studiasse le caratteristiche immunologiche dei tumori nei suoi pazienti, e io in cambio usavo l’apparecchiatura anche per le mie ricerche”. Accanto ai macchinari sofisticati trovavano posto anche apparecchiature autocostruite con i materiali più vari: “Le mie prime

In questo articolo: 5 per mille ematologia malattie mieloproliferative colonne cromatografiche, impiegate per separare una proteina dalle urine dei pazienti, le realizzai con dei tubi da gronda e filtri in vetro. Con quell’apparecchiatura ho portato a termine esperimenti che mi hanno fruttato alcune pubblicazioni importanti” ricorda con l’orgoglio del bricoleur.

Dal bricolage all’open access La passione per i lavori manuali (“abbastanza comune a quei tempi per chi lavorava in laboratorio: oggi tutto è sempre più automatizzato”) trovava sfogo anche nel tempo libero, nel garage di Pistoia in cui passava le domeniche a restaurare vecchie Moto Guzzi, prima un Airone 250 e poi un Nuovo Falcone 500, con cui ha sempre amato fare lunghe escursioni in montagna. Parlando oggi delle apparecchiature da laboratorio usa una curiosa immagine: “Se vedo uno strumento, anche da pochi soldi, lasciato sporco, mi arrabbio peggio che se mi sporcano la moto”. Oggi i fondi del 5 per mille AIRC hanno decisamente elevato di rango le malattie “cenerentole” di cui Vannucchi si occupa da sempre, e il gruppo di ricerca – che coinvolge 68 persone in 7 centri – ha finalmente

Si dedica a tumori rari, cenerentole dell’ematologia

Informazioni per i pazienti Con lo stesso spirito, l’équipe di Vannucchi ha realizzato un ricchissimo sito internet e volumetti informativi (vedi il riquadro) attraverso i quali aggiorna pazienti e familiari sulle malattie e sui progressi della ricerca. “Queste malattie stanno diventando un modello molto interessante per la ricerca oncologica, per cui in termini generali la loro importanza va ben al di là della diffusione modesta che fa di loro delle malattie rare” spiega Vannucchi, secondo il quale parecchi elementi fanno pensare che spesso vengano sottodiagnosticate. “Le nostre ricerche hanno come primo obiettivo quello di caratterizzare meglio le cellule dei pazienti dal punto di vista molecolare, così da individuare quelli che rischiano un’evoluzione verso la trombosi, cioè la formazione

LIBERO ACCESSO ALLE INFORMAZIONI

pen access: accesso aperto, a medici, malati e familiari. È questa la filosofia che anima l’attività di ricerca e cura di Alessandro Vannucchi, che ha messo in piedi un ricchissimo sito internet (all’indirizzo www.progettoagimm.it) per rendere conto di tutte le novità di rilievo sulle ricerche in corso con fondi AIRC e in generale sulle malattie mieloproliferative di cui si occupa (con in testa

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tutto ciò che serve. “Già nel primo anno abbiamo completato uno studio che è stato da poco pubblicato sulla prestigiosa rivista Blood” racconta l’ematologo toscano, aggiungendo un dettaglio significativo: “Sapendo che per molti medici l’accesso alla letteratura comporta costi proibitivi, abbiamo deciso di pagare noi la rivista per ottenere che l’articolo sia disponibile anche ai non abbonati, con la logica dell’open access, dell’accesso aperto”.

mielofibrosi, trombocitemie essenziale e policitemia vera, che complessivamente colpiscono circa tre-quattro persone su 100.000 e quindi sono considerate malattie rare). Accanto ai nomi e ai recapiti di tutti i ricercatori coinvolti, il sito elenca le pubblicazioni del gruppo e offre un notiziario per medici e ricercatori. A breve ospiterà in pdf due volumetti informativi sulla mielofibrosi e sulla policitemia

rivolti ai malati: “Li abbiamo realizzati con la Società italiana di ematologia e li distribuiremo gratuitamente in tutte le ematologie italiane” spiega Vannucchi, che nella primavera del 2011 ha anche realizzato un’apprezzata giornata dedicata ai pazienti con malattie mieloproliferative croniche (cioè a rischio di evoluzione cancerosa), che sarà ripetuta il 20 aprile di quest’anno (www.mpn-florence.com).


TUTTI I MEMBRI DEL GRUPPO

di pericolosi coaguli, e più in generale quelli che devono aspettarsi una minore sopravvivenza”. Uno dei problemi che medici e malati si trovano spesso davanti con una diagnosi di malattia mieloproliferativa in fase precancerosa è l’enorme incertezza sull’evoluzione futura, che rende assai difficile decidere l’approccio da tenere, al di là della vigilanza con controlli regolari. Se si sapesse quali persone hanno le prospettive peggiori a brevissimo termine si potrebbe indirizzarle verso un trapianto di staminali, che oggi viene usato in casi molto rari perché presenta una mortalità del 50 per cento, un rischio che però varrebbe la pena di correre se non ci sono alternative. Il passo successivo, che dovrebbe aumentare la percentuale di pazienti curabili, sarà di individuare nuovi farmaci o nuove combinazioni capaci di offrire benefici a specifiche sottopopolazioni di pazientii. “Attualmente i trattamenti sono fondamentalmente palliativi, per ridurre i sintomi, mentre si interviene con l’educazione del paziente, per ridurre tutti gli altri fattori che espongono a un maggior rischio di trombosi, dovuta alla presenza di un eccesso di cellule nel sistema vascolare, come accade in molti cancri del sangue” spiega Vannucchi.

Ricerca al servizio del paziente Il progetto legato al 5 per mille prevede una sperimentazione multicentrica che coinvolgerà 20 giovani donne con una grave trombosi addominale causata da una proliferazione incontrollata delle cellule del sangue, così come accade ai malati di tumori ematologici: lo scopo è valutare l’efficacia di un farmaco (un inibitore del gene Jak2, che verrà fornito gratis dall’azienda farmaceutica) nel ridurre i danni a fegato e milza, migliorare la qualità della vita e la sopravvivenza. L’assegnazione dei fondi AIRC ha avuto anche un effetto indiretto sulla vita professionale di Vannucchi: “Questo finanziamento non ci ha solo messo in condizione di lavorare al meglio – cosa assai difficile nelle strutture pubbliche – ma ha anche accresciuto all’interno dell’università l’apprezzamento per il lavoro del nostro gruppo, perché diamo la dimostrazione di riuscire a unire, nell’interesse del paziente, la ricerca alla diagnostica e alla terapia”. È proprio l’immagine che descrive la medicina traslazionale e la ragione principale per cui AIRC ha scelto di finanziare progetti dalle sicure ricadute concrete.

i chiama AIRC-Gruppo Silvia Marsoni italiano col marito (in malattie mieloproliferative nel giardino sigla AGIMM) e riunisce 68 dellagruppi, casa ricercatori in sette distinti torinese coordinati da Firenze da Alessandro Vannucchi e finanziati grazie ai proventi del 5 per mille. Uno su tre è un medico che passa continuamente dal laboratorio al reparto, trasferendo ogni nuovo progresso dall’uno all’altro. Accanto alla Sezione di ematologia dell’Università di Firenze operano:

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•l’Unità di epidemiologia clinica/Centro per lo studio della mielofibrosi, IRCCS Fondazione Policlinico S. Matteo, Pavia (Giovanni Barosi); •il Dipartimento oncoematologico, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e l’Università degli Studi di Pavia (Mario Cazzola); •l’IFOM- Istituto FIRC di oncologia molecolare, Milano (Elisabetta Dejana); •l’Unità di ematologia, Ospedali riuniti di Bergamo (Alessandro Rambaldi); •il Dipartimento di scienze cliniche e biologiche dell'Università di Torino (Daniela Cilloni); •il Dipartimento di scienze biomediche dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Modena (Rossella Manfredini). GENNAIO 2012 | FONDAMENTALE | 7


AMBIENTE Inquinamento e cancro

In questo articolo: inquinamento ambiente effetti sulla salute

L’aria cattiva nuoce a polmoni e cuore L’inquinamento è nocivo per la salute, non ci sono dubbi. Accanto a malattie respiratorie e cardiovascolari, oggi la ricerca si concentra anche sul cancro, sebbene vi sia ancora discussione tra gli esperti. Ognuno di noi può però adottare comportamenti virtuosi che gioveranno alla salute in generale

a cura di FABIO TURONE ome ogni inverno, tornano puntuali le preoccupazioni delle famiglie per i rischi associati all’inquinamento dell’aria, poiché le emissioni delle caldaie per il riscaldamento domestico si sommano a quelle degli impianti industriali e ai gas di scarico delle auto. Occorre chiarire subito che, per quanto riguarda il legame tra inquinamento atmosferico e cancro, le dimostrazioni non sono conclusive: il nesso appare meno solido di quello legato ad altre malattie come quelle respiratorie e cardiovascolari, per le quali esistono prove più sostanziali. Secondo le stime più aggiornate pubblicate sulla rivista Lancet, si può imputare alla “mal aria” al massimo il 3 per cento dei casi di tumore del polmone. “La causa di gran lunga più importante di tumore del polmone rimane il fumo di sigaretta. Una piccolisima quota di casi è dovuta all’esposizione professionale e una quota ancora più piccola all’inquinamento atmosferico. Quest’ultima, però,

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Allontanarsi dalle zone più inquinate è utile per i disturbi respiratori

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comprende anche i casi di chi per lavoro passa la giornata in mezzo alla strada e respira i gas di scarico delle auto, in particolare a gasolio” spiega Luigi Bisanti, direttore del servizio di epidemiologia della ASL Milano, parte del gruppo collaborativo di ricerca EpiAir che ha pubblicato un ampio rapporto sul legame tra inquinamento atmosferico e salute.

All’origine dello smog L’attenzione all’inquinamento dell’aria non è un fenomeno recente, come attesta la data ufficiale di nascita della parola “smog” – frutto della fusione dell’espressione smoky fog (nebbia fumosa) – che fu pronunciata nel 1905 dallo scienziato francese Henry Antoine Des Voeux, membro della Società londinese per l’abbattimento del fumo di carbone, in un discorso tenuto a un congresso di sanità pubblica. I primi episodi di smog risalgono all’estate del 1943: a Los Angeles si registrarono parecchi giorni in cui molti cittadini lamentarono bruciore agli occhi, difficoltà respiratorie, nausea e vomito. L’analisi di quei fenomeni portò negli anni Cinquanta a identificare le responsabilità del traffico automobilisti-

co, e nel decennio successivo a introdurre leggi per l’adozione di dispositivi per limitare le emissioni dannose, poi adottate anche in Europa. Già dagli anni Trenta gli epidemiologi stavano raccogliendo dati sulla relazione tra inquinamento dell’aria e salute e da allora sono stati compiuti notevoli progressi, anche se il quadro globale non è molto migliorato: mentre le normative per il controllo della qualità dell’aria – con le conseguenti innovazioni tecnologiche in ambito industriale, tra cui i miglioramenti nella qualità dei combustibili – facevano calare i livelli di inquinanti tradizionali come il biossido di zolfo, l’inarrestabile aumento del volume di traffico automobilistico ha fatto crescere i nuovi inquinanti.

CHE COSA SI

• Preferire bicicletta e mezzi pubblici all’automobile. • Sulle brevi distanze spostarsi a piedi, scegliendo se possibile percorsi e orari con minor traffico.


Gli studi epidemiologici effettuati nelle città più inquinate hanno dimostrato che gli effetti dell’inquinamento atmosferico non si limitano ai fastidi immediati, più o meno intensi. Un’analisi condotta nel 2006 dall’OMS in 13 città italiane ha stimato che ogni anno oltre 8.200 decessi sono attribuibili alle elevate concentrazioni di PM10 (superiori ai 20 microgrammi/m 3 ). Si tratta ovviamente di persone già fragili o affette da malattie croniche. In pratica, però, l’inquinamento è responsabile di circa il 10 per cento della mortalità per tutte le cause naturali (quindi principalmente le malattie respiratorie e cardiache) nella popolazione

oltre i 30 anni di età. I ricoveri ospedalieri attribuibili al PM10 sono dello stesso ordine di grandezza. A questo si aggiunge l’impatto dell’ozono, che per concentrazioni superiori ai 70 microgrammi/m3 aggrava dello 0,6 per cento il dato della mortalità generale, e di un valore ancora maggiore il tasso di malattie o sintomi respiratori e i ricoveri. Siccome l’azione dell’inquinamento ambientale è spesso amplificata da fattori legati a comportamenti individuali come il fumo attivo e passivo, è

PUÒ (E SI DEVE) FARE • Promuovere le piste ciclabili e le zone pedonali, soprattutto in vicinanza delle scuole. • Nella scelta dell’auto, preferire quelle che rispettano di più l’ambiente (benzina, gpl o metano,

Quando si parla di PM10 e PM2,5 ci si riferisce alle polveri sottili di diametro inferiore rispettivamente a 10 e a 2,5 micrometri (μm), che in virtù delle loro dimensioni sono in grado di penetrare in profondità nell’organismo. Non tutte queste polveri sono prodotte dall’attività umana. Contribuiscono infatti sorgenti naturali come l’aerosol marino, gli incendi, alcuni microrganismi, pollini e spore, l’erosione delle rocce e le eruzioni vulcaniche. Tra le fonti generate dall’attività umana figurano le emissioni dei motori dei mezzi di trasporto, le emissioni del riscaldamento domestico (in particolare gasolio, carbone e legna), i residui dell’usura del manto stradale, Sezione di capello umano dei freni e delle gomme dei veicoli, le (60 μm) emissioni di impianti industriali, alcune lavorazioni agricole (che arrivano al 50 per cento del PM in Val Padana) e infine inceneritori e centrali elettriche. PM10 Per avere un’idea delle loro (10 μm) dimensioni, si può confrontare la sezione di un capello, pari a circa 60 PM2.5 micrometri, con il loro diametro, fino a (2.5μm) 24 volte più piccolo.

evitando quelle diesel). • Spegnere il motore dell’auto durante le soste. • Limitare l’attività fisica intensa all’aperto nei giorni di forte inquinamento.

chiaro che se si riesce ad agire su più fronti si ottengono i maggiori benefici. Per quanto riguarda per esempio la bronchite cronica, una ricerca ha valutato che si potrebbe prevenire addirittura il 70 per cento dei casi se si riuscisse a ridurre contestualmente inquinamento ambientale e numero dei fumatori, con ovvie ricadute positive anche sulla prevenzione oncologica.

La soluzione è nei comportamenti Le indicazioni che l’epidemiologia fornisce alla sanità pubblica sono quindi chiare: nel promuovere comportamenti individuali più sani occorre incentivare tutti gli interventi per ridurre il traffico automobilistico, che negli ultimi 30 anni ha registrato un vertiginoso aumento ed è oggi divenuto un importante pro- PER SAPERNE DI PIÙ blema di sanità pubblica.

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WWW.AIRC.IT

Oltre gli effetti immediati

SPACCARE IL CAPELLO IN 24


AMBIENTE

GLI EFFETTI NOTI DEI DIVERSI INQUINANTI

Secondo la classificazione dell’Agenzia federale americana per la protezione dell’ambiente (Environmental Protection Agency, EPA), le sostanze potenzialmente pericolose presenti nell’aria sono 188. Di alcune di queste si conosce l’effetto cancerogeno a fronte di esposizione massiccia e prolungata (come può accadere nel caso dell’esposizione professionale), mentre studi di laboratorio hanno segnalato per altre la possibilità che causino danni al DNA. Infine è noto che alcune sostanze hanno un’azione sinergica col particolato, cioè potenziano gli effetti negativi e irritanti delle polveri sottili. Non è ancora dato sapere se questi effetti si verifichino anche per l’esposizione alle concentrazioni, più modeste, tipiche dell’inquinamento ambientale, ma il dubbio – assieme alla consapevolezza che l’inquinamento è certamente responsabile di problemi respiratori e cardiovascolari – è sufficiente a giustificare ogni sforzo per difendere la qualità dell’aria che respiriamo. Ossidi di azoto (NOx) • irritanti • hanno un’azione sinergica con il particolato Ossidi di zolfo (SOx) • irritanti • hanno un’azione sinergica con il particolato Ozono (O3) • irritante • ha un’azione sinergica con il particolato Particolato (PM) • irritante • danneggia il DNA • cancerogeno Idrocarburi policiclici aromatici (IPA) • danneggiano il DNA • cancerogeni • hanno un’azione sinergica con il particolato Composti organici volatili (COV) • irritanti • sensibilizzanti • danneggiano il DNA • cancerogeni adattato da: Gruppo collaborativo EpiAir, Unità di epidemiologia ambientale polmonare, Istituto di fisiologia clinica, CNR, Pisa

“Per quanto riguarda per esempio Milano, una delle città più inquinate d’Italia, si stima che una riduzione del 5 per cento rispetto ai livelli di inquinamento registrati nel quinquennio 2005-2010 (superiori ai valori limite suggeriti dagli organismi regolatori internazionali) potrebbe evitare ogni anno circa 12 decessi per tumore del polmone, sul totale di circa 900; una riduzione forse modesta in assoluto, ma certo importante da perseguire” conclude Bisanti.

L’indice della qualità dell’aria In molti Paesi del mondo è oggi consuetudine informarsi sull’Indice della qualità dell’aria, che riassume a beneficio della popolazione il livello di salubrità dell’aria e la previsione dell’evoluzione nel corso della giornata. “In alcune città italiane, come Firenze, i dati sull’inquinamento dell’aria sono resi pubblici su display disposti in giro per la città” spiega Luigi Bisanti, direttore del servizio di epidemiologia della ASL Milano , “ma si tratta di iniziative locali”. Conoscere il grado di inquinamento dell’aria consente di concentrare l’attività fisica all’aperto nei giorni più adatti, e di scoprire il grado di reattività del proprio organismo ai diversi livelli di inquinamento: se è vero che i sintomi come l’irritazione alla gola e la tosse possono essere variabili da individuo a individuo, il livello di inquinamento che li provoca deve suggerire a tutti – ma in particolare agli anziani e ai malati – di limitare le attività faticose all’aria aperta. Nell’attesa che anche in Italia venga istituito un servizio informativo di questo tipo, chiaro e capillare, è possibile accedere a informazioni locali sulla qualità dell’aria interrogando il sito dell’ISPRA attraverso il link http://bit.ly/vgzj3r


COME CURARE Check-up e screening

L’esame mirato fa bene ma non serve sparare nel mucchio La moda dei check-up, esami da fare anche quando si sta bene, ha fatto molti danni poiché rassicura le persone e le distoglie dall’eseguire i pochi test davvero utili e scientificamente efficaci per una diagnosi tempestiva

a cura di AGNESE CODIGNOLA l noto autore del libro Il malato immaginato – I rischi di una medicina senza limiti (Einaudi, 2010), il cardiologo di Cuneo Marco Bobbio – che da anni, con i suoi studi, cerca di combattere gli effetti di una eccessiva medicalizzazione – esordiva dicendo che se è vero, come è vero, che quasi tutti andiamo dal medico quando stiamo bene e non solo quando siamo malati, qualcosa si è inceppato nella scienza forse più nobile, quella che dovrebbe permettere a chi ne ha bisogno di curare una malattia. Marco Bobbio, forte dei suoi studi epidemiologici, mette però in guardia dalle spinte al consumo di test che trasforma condizioni normali come l'invecchiamento in malattie. Una provocazione, forse, proposta però per

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mettere a nudo una tendenza in atto in tutte le società più avanzate: quella che spinge a cercare di controllare ogni aspetto della vita, senza distinguere tra prevenzione davvero efficace e ricorso a esami che possono persino risultare dannosi. Dice infatti Bobbio: “Abbiamo capito e fatto nostro un principio molto importante, secondo il quale prevenire è meglio, ma poi l'abbiamo assimilato a un’idea distorta di salute, che attribuisce alla medicina poteri che essa non ha, e una sorta di infallibilità assai distante dalla realtà”. Come si fa a distin-

guere tra una pratica buona, che va nella direzione giusta, che aiuta a intervenire quando c’è il tempo e il modo per farlo (così importante quando si tratta di un tumore) e una che invece porta solo a un vicolo cieco di approfondimenti e terapie spesso inutili, talvolta dannose? La risposta non è semplice, perché in realtà esistono diverse situazioni che possono essere prese in considerazione quando si fa questo tipo di ragionamento.

LA GRANDE MODA DEL CHECK-UP Consigliato da centri medici privati e talvolta pubblici, promosso dalle aziende che si avvalgono di assicurazioni sanitarie private per i loro dipendenti, chiesto da molti cittadini desiderosi di fare una sorta di tagliando e sentirsi così rassicurati, il check-up è il grande protagonista della medicina moderna. Con molte possibili varianti, consiste in una batteria di esami del sangue, di ra-

Si cerca di controllare ogni aspetto della vita

L’ARTICOLO IN BREVE... l cancro si batte con la diagnosi precoce. Ma perché sia davvero efficace, è bene sottoporsi agli esami giusti e di provata utilità. Per questo i check-up, composti da lunghe liste di test non personalizzati, sono un rischio, senza contare che è statisticamente elevata la probabilità di incorrere in un errore diagnostico. Sono infatti pochi gli screening scientificamente approvati, e sottoporvisi regolarmente è necessario, mentre non è utile pensare di fare col proprio corpo quel che si fa con la macchina: il tagliando è infatti solo falsamente rassicurante. La strategia migliore? Rivolgersi a un medico competente che, sulla base delle caratteristiche individuali e familiari e delle abitudini di vita, consiglierà gli esami da aggiungere eventualmente agli screening approvati per tutti.

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COME CURARE Check-up e screening

diografie, ecografie, prove cardiologiche e molto altro, tutti esami che dovrebbero appunto servire a fare un quadro completo della situazione. Il suo problema principale è che non si tratta di esami mirati, ma di batterie uguali per tutti. Inoltre è statisticamente dimostrato che più test si fanno, più è facile incappare in qualche errore diagnostico. Secondo molti esperti, il check-up è quindi da sconsigliare. Il corpo non è una macchina e praticamente non è mai del tutto privo di qualche piccolo malfunzionamento. Se si cerca con ostinazione, dunque, è assai probabile che si trovi qualcosa, anche se lo stato di salute generale è buono. Ma avere un referto positivo o dubbio spinge quasi sempre a sotto-

In questo articolo: qualità della vita terapie oncologiche cura personalizzata

porsi così ad altri esami e magari a intervenire, non di rado facendo più danni che altro. La seconda motivazione che dovrebbe far propendere per un “no, grazie” è per certi aspetti opposta: ognuno di noi può avere un certo rischio, per esempio perché nella sua famiglia ricorre una determinata malattia o perché ha qualche abitudine, come il fumo, che lo espone a un pericolo maggiore. Tuttavia, facendo esami generici, può non cogliere tutte le opportunità che un esame mirato, specifico per la sua situazione, potrebbe offrirgli. Alla fine, quindi, si sente falsamente rassicurato. Meglio dunque evitare i check-up generici e parlare con il medico della propria situazione specifica, decidendo con lui se è il caso di fare approfondimenti mirati.

Meglio un test mirato che cento esami fatti a caso

LA PREVENZIONE CHE SERVE Negli ultimi anni si è affermata sempre di più l'idea – supportata da robusti dati scientifici come quelli ottenuti con lo studio EPIC – che gran parte dei tumori dipenda dallo stile di vita. Tra i principali colpevoli vi sono l'alimentazione, il consumo di alcol, il fumo di tabacco, la scarsa attività fisica e il sovrappeso. Prevenire molti tipi di neoplasie (per esempio quelli del cavo orale e dell'apparato digerente, quello del polmone, quello della vescica e altri) si può: evitando di mangiare troppi grassi animali, di prendere peso, di eccedere con l'alcol e, soprattutto, di fumare. La prevenzione attraverso lo stile di vita non è però l'unica: lo stesso vale per alcuni tumori veicolati da un'infezione virale, che si possono prevenire tramite le vaccinazioni. È stato infatti dimostrato e recepito da numerose linee guida, come quelle dell’American Cancer Society, che la vaccinazione contro l'epatite B protegge dal tumore del fegato, e che quella contro il Papillomavirus (HPV) pone al riparo dal tumore della cervice uterina e da vari tipi di tumori dei genitali esterni, anche negli uomini. Infine, le strade della prevenzione possono passare da una terapia farmacologica nelle persone più a rischio. In questo caso si parla di chemioprevenzione, attuata tramite farmaci quali, per esempio, alcuni antinfiammatori nelle persone appartenenti a famiglie nelle quali ricorre un tumore del colon.

LA DIAGNOSI TEMPESTIVA La prevenzione è ben diversa dalla diagnosi precoce (che sarebbe più corretto chiamare tempestiva): se nel primo caso si fa di tutto perché una malattia (per esempio il cancro) non compaia proprio, la diagnosi precoce cerca di individuarla prima che abbia fatto troppi danni e finché è curabile. È stata ed è ogni giorno la vera arma vincente nella lotta ai tumori, come conferma anche il recente Rapporto sullo stato di salute degli italiani, presentato nel dicembre scorso, insieme ai nuovi farmaci. Perché scoprire un cancro quando è nelle sue fasi iniziali significa, quasi sempre, riuscire a sconfiggerlo o quantomeno a trasformarlo in una malattia cronica. Alla diagnosi precoce si deve l'aumento di sopravvivenza di pazienti con tumore della mammella, della prostata, del polmone, del colon e con quasi tutti gli altri tipi di neoplasia. Per questo motivo, soprattutto a partire da una certa età, sono consigliati controlli per diversi tipi di tumore, alcuni sulla base di caratteristiche generali (sesso o età), altri solo in caso di specifiche caratteristiche individuali (vedi più avanti). Restano però molti aspetti da chiarire: non sempre è facile capire quando una neoplasia piccola, iniziale, magari di pochi millimetri, è destinata a diventare maligna. Ecco perché la ricerca si concentra soprattutto su marcatori sempre più specifici, sistemi di imaging sempre più raffinati e su tutto quello che può aiutare a capire con che tipo di cellule si ha a che fare.


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ono le “star” della diagnosi precoce, studiate da anni attraverso analisi epidemiologiche molto vaste e con risultati talvolta altalenanti: i test che illustriamo qui sotto sono quelli con cui tutti noi dobbiamo avere a che fare a partire da una certa età. “Gli esami di screening, cioè quelli a cui si sottopone una persona apparentemente sana per anticipare la diagnosi e facilitare la guarigione, sono utili solo quando di efficacia dimostrata” spiega Marco Rosselli Del Turco, epidemiologo fiorentino.

QUESTIONE DI SCREENING Se la diagnosi precoce ha ottenuto risultati così positivi, il merito è in gran parte degli screening, cioè delle grandi campagne che coinvolgono intere fasce di popolazione (i fumatori, le donne dopo i 50 anni e così via) assicurando loro controlli regolari in maniera gratuita e continuativa. Il punto di forza di queste iniziative – i grandi numeri – è però anche il loro tallone d'Achille, poiché analizzare migliaia di persone comporta uno sforzo organizzativo ed economico enorme. Se non ci sono dubbi sugli esami mammografici e per il colon, più discussi sono gli screening per il cancro della prostata e del polmone, in realtà promossi da singole istituzioni e non dai servizi sanitari pubblici proprio a causa del permanere dei dubbi. Va sempre ricordato che si tratta di una questione di sanità pubblica: mettere in dubbio il fatto che un sistema sanitario debba pagare perché un certo esame venga proposto a tutta la popolazione non implica che lo stesso esame non sia valido quando è effettuato in situazioni che lo giustificano sulla base del livello di rischio di ciascun individuo.

La mammografia Oltrepassati i 50 anni, tutte le donne dovrebbero sottoporsi a una mammografia annuale. Come sottolinea Livia Giordano, presidente del GISMA, il Gruppo italiano per lo screening mammografico, “nel nostro Paese c’è un generale accordo tanto sull'utilità dell’esame quanto sul fatto di iniziare a 50 anni. Inoltre oggi i programmi di screening mammografico sono controllati capillarmente e gestiti da persone esperte, e ciò permette alle donne di prendere le decisioni più razionali insieme ai propri medici. Per questo i vantaggi superano senz’altro gli aspetti meno positivi, come quello delle diagnosi errate, peraltro molto basse (attorno al 3-4 per cento)”. Il PSA Il consiglio dato dalla US Preventive Services Task Force di non sottoporsi al test dell'antigene prostatico specifico (PSA) a meno che non vi siano sintomi o cause specifiche ha suscitato una polemica così accesa da conquistarsi la prima pagina del New York Times e di molti altri media. L’esame è stato infatti accusato di essere troppo poco specifico, perché non distingue tra tumori e altro, e perché,

GLI ESAMI DISPONIBILI anche quando serve a identificare un tumore, non permette di capire se lo stesso è a crescita lenta o rapida. Poiché però l'asportazione della prostata comporta spesso incontinenza, impotenza e necessità di terapie pesanti, l’orientamento attuale è di non consigliarlo in assenza di motivi specifici. A tutto ciò rispondono però molte associazioni di pazienti ricordando che il PSA ha salvato moltissime vite. La scelta deve dunque essere personale e fatta discutendo con il medico di ogni possibile rischio e dei benefici che è lecito attendersi.

parato genitale femminile, alla ricerca di eventuali infezioni che possono anche portare a infiammazioni croniche e talvolta a infertilità. Va ripetuto ogni tre anni a meno che il medico non decida diversamente. Due anni fa l’American Cancer Society ha suggerito di interromperlo a partire dai 70 anni, ma non tutti sono d’accordo.

La TC spirale e il microRNA Fino a pochi anni fa non c’era modo di diagnosticare precocemente un tumore polmonare. Poi ci si è accorti che la TC spirale poteva efficacemente individuare lesioni La colonscopia anche molto piccole e Sempre a partire dai si è iniziato a verifi50 anni è meglio concarne l'attendibilità trollare anche il colon. su persone a rischio Il test più semplice ed come fumatori o ex economico è la ricerca fumatori. Gli studi di sangue occulto nelle non hanno ancora feci, che tuttavia può portato a un responso esservi presente per univoco, perché molte cause che nulla anche questo esame hanno a che vedere individua talvolta lecon il cancro, compre- OPO I sioni che potrebbero se le banali emorroidi. È OBBLIGA non diventare pericoPer questo si consiglia TORIA LA lose, e perché gli effetuna colonscopia ogni MAMMOGRA ti si possono vedere cinque anni, o una co- FIA CON solo dopo molti anni, lonscopia ogni dieci, a CADENZA confrontando chi vi si seconda del proprio risottopone con chi ANNUALE schio individuale. Le non lo fa. In ogni persone che appartengono a caso, soprattutto se si è o si è famiglie nelle quali la malat- stati fumatori, l'opportunità tia ricorre devono fare esami di sottoporvisi va discussa più frequenti. con il proprio medico. Molte speranze sono riposte nella Il Pap test possibilità di fare diagnosi È l’esame di screening più precoce attraverso molecole vecchio e ancora molto disat- presenti nel sangue, come i teso, come conferma Rosselli cosiddetti microRNA. Uno Del Turco. Dovrebbero sotto- studio condotto da Gabriella porvisi tutte le donne a parti- Sozzi e Ugo Pastorino dell’Istire dai 25 anni. È infatti in tuto tumori di Milano, finangrado di identificare precoce- ziato anche da AIRC, dovrebmente il cancro della cervice be in qualche anno dirci se ma non solo: serve a control- possiamo contare anche su lare lo stato di salute dell’ap- questa nuova arma.

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RECENSIONI Storie di scienza

Millenni di ricerca contro l’imperatore del male Come si fa a vincere il Premio Pulitzer con una biografia del cancro di oltre 700 pagine? Il miracolo è riuscito a un giovane oncologo americano che racconta, in forma di epica battaglia, la lotta (e le vittorie) dell’uomo contro una malattia subdola e multiforme a cura della REDAZIONE uanti anni ha, il cancro? Quali sono gli inizi della nostra battaglia contro questa malattia? A che punto siamo nella guerra contro il cancro? Come ci siamo arrivati? C’è una fine? La possiamo vincere, la guerra? Sono queste le domande, apparentemente semplici nella loro intima complessità, da cui il giovane oncologo americano Siddhartha Mukherjee è partito per scrivere una monumentale biografia del cancro ( L’imperatore del male, I Colibrì, Neri Pozza editore, 736 pagine, 19 euro ), che in virtù del ri-

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spetto che si deve a un temibile nemico capace di resistere abilmente agli attacchi assume le sembianze e il nome di “imperatore del male”. “È una ‘biografia’ nel senso più letterale del termine – un tentativo di penetrare la mente di questa malattia, di comprenderne la personalità e demistificarne il comportamento” scrive Mukherjee nel ponderoso volume che, grazie alla scrittura lieve e alla profonda compassione per chi è toccato dalla malattia, appassiona come un romanzo epico: “Ho scavato in profondità nella storia del cancro per dare una forma definita alla malattia sfuggente che stavo affrontando”.

Ingegno e perseveranza È un racconto in cui le storie dei pazienti – quelli curati da Mukherjee e quelli del passato la cui esperienza ha offerto alla medicina uno spunto per progredire verso una cura – si intrecciano con quelle dei ricercatori e dei clinici che si sono impegnati fino allo spasmo in una battaglia con molte luci e qualche ombra: “Una cosa è certa: questa storia, in qualunque modo evolva, conterrà l’essenza del passato. Sarà una storia di ingegno, perseveranza e resistenza, contro quella che uno scrittore definì ‘il nemico più insidioso e implacabile’.


In questo articolo: storia della medicina storia del cancro immunologia

La voce dei pazienti di ieri e di oggi

Sarà anche, tuttavia, una storia di superbia, arroganza, paternalismo, errori di valutazione, false speranze e truffe, tutto messo in campo contro una malattia che solo tre decenni fa era spacciata come guaribile di lì a pochi anni”. Lo stile narrativo trascina il lettore nelle vite dei protagonisti di questa battaglia millenaria, e pare per esempio di essere accanto al giovane Rudolf Virchow – che sarebbe poi passato alla storia come il medico più importante dell’Ottocento – mentre si interroga davanti alle immagini ingrandite delle cellule cancerose: “Guardando crescite tumorali al microscopio, Virchow scoprì una divisione cellulare incontrollata – l’iperplasia nella sua forma estrema. Mentre esaminava la struttura del cancro, la crescita sembrava spesso avere una vita propria, come se le cellule fossero possedute da una nuova e misteriosa spinta a crescere sempre di più. Non era solo la normale crescita, ma una crescita ridefinita, in una nuova forma. Con una certa preveggenza (per quanto ignaro del meccanismo) Virchow la definì neoplasia – crescita nuova, inspiegabile, distorta, una parola che avrebbe risuonato lungo tutta la storia del cancro”.

E con le storie dei ricercatori (tra cui vengono ricordati anche Umberto Veronesi e Gianni Bonadonna per il loro lavoro all’Istituto nazionale tumori di Milano) si intrecciano le storie dei malati di ieri e di oggi, come in un romanzo in cui però al termine di ogni capitolo viene fornita per ogni singolo dettaglio una citazione puntuale dalla letteratura medica, come nella migliore tradizione storiografica: il tutto punteggiato di pagine che spiegano con parole semplici, portando il lettore per mano, ogni dettaglio tecnico sulla ricerca oncologica e sulle conoscenze via via acquisite nella guerra al cancro. Non è un caso se quest’opera, in grado di unire storiografia e divulgazione con uno stile capace di avvincere il lettore, ha ottenuto nel 2011 il Premio Pulitzer, il massimo riconoscimento americano per il giornalismo e per la saggistica. Pagine che spiegano la scienza e affrontano gli interrogativi più generali ai quali ancora oggi non è sempre facile rispondere per chi si occupa di ricerca medica, neppure alla luce della storia: dov’è il giusto confine tra le esigenze della scienza, che è tale solo se agisce con rigore metodologico investendo per ottenere possibili benefici futuri, e quelle della cura di tutti i giorni? Le prime impongono spesso tempi lunghi, mentre le seconde potrebbero spingere a usare subito i rimedi che appaiono promettenti, anche quando le sperimentazioni non hanno ancora fornito sufficienti

garanzie di efficacia e sicurezza. L’interrogativo è ancora aperto, ma grazie all’analisi della storia passata i medici e ricercatori si sono confrontati per trovare un equilibrio che conciliasse sempre meglio scienza ed etica, tanto che oggi i malati sono molto più tutelati.

La rivoluzione genetica La più grande tutela, comunque, viene dall’impegno incessante di chi ha dedicato la propria vita alla scienza, tra cui ricercatori geniali come Robert Weinberg, Harold Varmus e Bert Vogelstein che hanno posto le basi per capire la genetica del cancro, all’origine della nuova controffensiva degli ultimi due decenni. Il libro si chiude con la storia di una tra le prime testimoni della nuova stagione dei farmaci mirati, Barbara Bradfield, che nel 1991 fu contattata dall’oncologo Dennis Slamon proprio al momento della diagnosi di recidiva

La storia insegna ad attendere i tempi della scienza

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RECENSIONI Storie di scienza

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L’IMMUNOLOGIA DI IERI E DI OGGI

Il sistema immunitario è la polizia del nostro organismo: ci aiuta a combattere gli intrusi ma talvolta, come nei noir, compaiono anche i poliziotti corrotti, che favoriscono la diffusione del male. La storia di come la scienza sia arrivata a comprendere il complesso funzionamento dei sistemi di difesa è tra i capitoli più affascinanti della biologia della medicina. Per questo Alberto Mantovani, direttore scientifico della Fondazione Humanitas e uno degli immunologi più conosciuti al mondo, si è preso la briga, in un agile libretto, di ripercorrere le vicende del passato ma anche di raccontare il presente. Ci spiega così, tra metafore ed esempi concreti, come insorgono le nuove malattie infettive, in che modo

funzionano i vaccini, perché siamo sempre più allergici e come mai si diffondono sempre più le malattie autoimmuni. I guardiani della vita è un saggio di divulgazione che vuole però anche fornire informazioni pratiche per prendere decisioni nella vita di tutti i giorni. E vuole anche aprire una finestra sui misteri della ricerca, in primo luogo su quella oncologica che oggi, più che mai, deve molto all’immunologia, dato che il cancro è capace di modificare i sistemi di comunicazione tra le cellule immunitarie così come farebbe un abile hacker che si intrufolasse nei computer di una prefettura. “L’immunologia, come tutte le scienze, è un’avventura dell’ingegno umano, la cui storia è fatta dai percorsi, a volte tortuosi, che hanno condotto ad alcune scoperte fondamentali, dalle circostanze in cui queste sono avvenute e dalle persone coinvolte” spiega Mantovani. “Collocare le scoperte nella loro dimensione storica costituisce un tentativo di dare una percezione del continuo e concreto divenire della ricerca scientifica. Le malattie moderne potranno essere combattute con maggiore efficacia quando avremo completato il lavoro degli scienziati del passato e compreso appieno tutti i meccanismi di regolazione del sistema immunitario”. Un primo passo potrebbe essere proprio questo suo libro, i cui proventi saranno devoluti alla Fondazione Humanitas. Alberto Mantovani I guardiani della vita Dalai editore, Milano, 2011 160 pagine, 16 euro

di un cancro del seno, a meno di due anni dalla mastectomia bilaterale e da una lunga chemioterapia. Slamon aveva concentrato la sua attenzione su un gene chiamato Her-2, e messo a

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punto un farmaco sperimentale che aveva lo scopo di intercettarlo e inibirne l’azione, e per questo sarebbe stato chiamato Herceptin: “Il suo tumore, la informò Slamon, mostrava

uno dei livelli più alti di Her-2 amplificato che avesse mai visto. Le disse che stava per avviare una sperimentazione con un anticorpo che legava l’Her-2 e che lei era la candidata ideale per il nuovo farmaco. Bradfield rifiutò. ‘Ero arrivata alla fine della strada’ disse ‘e avevo accettato quello che sembrava inevitabile’. Slamon tentò per un po’ di farla ragionare, ma la trovò irremovibile. La ringraziò per l’attenzione e riagganciò. La mattina dopo, di buon ora, Slamon le telefonò di nuovo. Si scusò per l’intrusione, ma la decisione di lei lo aveva tormentato per tutta la notte”. L’insistenza quasi molesta dell’oncologo – che per mettere a punto quell’anticorpo aveva lottato per molti anni anche con le case farmaceutiche che avevano invece perso interesse per quel filone di ricerca – si rivelò decisiva. “La seconda telefonata fu un presagio che non andò perduto” scrive Mukherjee. “Barbara Bradfield finì le 18 settimane di terapia nel 1993. È ancora viva. Una donna dai capelli bianchi e due occhi cristallini grigioazzurri, vive nella piccola città di Puyallup vicino a Seattle, fa escursioni nei boschi vicini e coordina gruppi di discussione per la sua chiesa. Ricorda ogni dettaglio dei suoi giorni alla clinica di Los Angeles – la stanza sul retro con la luce fioca dove le infermiere preparavano le dosi; lo strano, intimo contatto con le altre donne che venivano a toccarle il nodulo sul collo. E Slamon, ovviamente. ‘Dennis è il mio eroe’ disse. ‘Gli ho detto di no alla prima telefonata, ma poi non gli ho mai, mai, rifiutato nulla’. L’energia e la vivacità nella sua voce scoppiettavano lungo la linea telefonica come una corrente elettrica” ricorda Mukherjee. “Mi domandò come andavano le mie ricerche. La ringraziai per il tempo che mi aveva dedicato e lei, a sua volta, si scusò per avermi distratto. ‘Torni al lavoro’ disse, ridendo. ‘C’è gente che aspetta nuove scoperte’”.


GIORNATA PER LA RICERCA SUL CANCRO La visita al Quirinale

Il futuro si gioca anche nei laboratori Alla presenza del Presidente Giorgio Napolitano si è tenuta la consueta cerimonia che rende merito al lavoro di AIRC

a cura della REDAZIONE stata una giornata complicata, quella di venerdì 11 novembre scorso: l’Italia ha vissuto una crisi di governo e le borse sembravano impazzite. Eppure il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non ha voluto rinunciare a presenziare alla cerimonia che ha riunito al Quirinale per la Giornata per la Ricerca sul Cancro oltre 250 scienziati, affermati e giovani, oltre a rappreesentanti dei volontari e dei testimonial che aiutano AIRC a portare avanti la sua difficile missione. Come con una sorta di messaggio implicito di fiducia nel futuro dell’Italia più produttiva e creativa, quella che esprime le migliori intelligenze, il Presidente ha ascoltato i discorsi

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dei convenuti e ha consegnato all’attore Remo Girone il premio “Credere nella ricerca”. “Oggi il 4 per cento della popolazione italiana, quasi una persona ogni 25, vive con una diagnosi di tumore e circa 700.000 italiani possono ritenersi guariti” ha detto al Quirinale il presidente di AIRC Piero Sierra. “Ma la rilevanza scientifica delle ricerche italiane non passa inosservata: queste sono ripetutamente citate da ricercatori stranieri che lavorano nello stesso ambito, l’oncologia. Non solo: ogni risultato prodotto con il contributo di AIRC ottiene un riconoscimento crescente da parte della comunità internazioanle. La citazione di dati pubblicati da ricercatori AIRC non è solo sinonimo di qualità ma anche un contributo sostaziale alla costruzione di nuova conoscenza”. Il presidente Sierra ha anche ribadito la convinzione di AIRC che per rendere il cancro sempre più curabile serva la partecipazione della collettività intera, a partire dalla scuola, con la quale AIRC ha inaugurato,

Nuove generazioni di scienziati grazie ad AIRC

proprio in questa occasione, un rapporto privilegiato e un nuovo importante progetto di formazione. In tempi difficili, però, i traguardi si raggiungono solo con l’aiuto di tutti e anche con quello delle istituzioni, come ha ribadito Sierra. “In questi anni grazie all’efficace programma del 5 per mille, milioni di cittadini hanno deciso di partecipare alla nostra missione. Per accelerare e ampliare i progetti in corsa verso la cura, i contributi del 5 per mille e la regolarità del loro incasso sono e saranno strumenti imprescindibili”.

La forza della prevenzione Umberto Veronesi, direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, ha ricordato al Presidente della Repubblica e a tutti i presenti che la prevenzione è l’ arma più efficace per battere la malattia. “La popolazione ha sicuramente aumentato negli anni la sua partecipazione ai programmi di prevenzione e di diagnosi precoce, ma ancora non basta. Mi fa piacere in questa sede, avendo l’o-

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GIORNATA PER LA RICERCA La visita al Quirinale

In questo articolo: Quirinale Premio Credere nella Ricerca storia della ricerca

non sono sole, ma che dietro di loro c’è chi dedica se stesso a cercare di capire il cancro, individuare nuove strategie per affrontarlo, e per curarlo sempre meglio”.

Il ministro della Salute nore di avere con noi il Presidente della Repubblica, sottolineare che la partecipazione della popolazione e l’impegno dei ricercatori hanno bisogno del sostegno delle istituzioni pubbliAL TAVOLO che e di politiche sanitarie DEI RELATORI che favoriscano la protezione Rosa Visone della salute e la prevenzione Start-up presso delle malattie. Oggi i farmaci l’Università degli biomolecolari in uso sono Studi di Chieti circa 40, anche se sono oltre Piero Sierra 100 quelli allo studio. Negli Presidente AIRC ultimi anni abbiamo aperto Ferruccio Fazio un affascinante fronte di Ministro della Salute ricerca: utilizzare le conoUmberto Veronesi scenze genetiche non solo Direttore scientifico per la cura ma anche per la IEO (Milano) diagnosi. È nata così la diagnosi molecolare, che si sta delineando come la seconda rivoluzione in oncologia legata al DNA. Per esempio abbiamo scoperto che nel processo di sviluppo di molti tumori le cellule tumorali mettono in circolo frammenti specifici di genoma, i microRNA, anche prima della formazione di un nodulo visibile con gli esami più sofisticati. Con un semplice esame del sangue possiamo ottenere indicazioni fondamentali per la diagnosi e l’orientamento della cura dei tumori, malattie curabili nella maggioranza dei casi se scoperte per tempo”.

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La voce della gioventù Al Quirinale era anche presente, per rappresentare le nuove generazioni di scienziati sostenuti da AIRC, la ricercatrice Rosa Visone, tornata in Italia dagli Stati Uniti grazie a un grant di AIRC. “Oggi sono qui per portare la mia testimonianza di giovane ricercatrice sul fronte del cancro. Questo non è solo un lavoro, è uno stile di vita che riunisce in sé passione, hobby, famiglia, missione e spirito di sacrificio” ha detto Visone. “AIRC sta portando in Italia una visione della ricerca che avevo incontrato solo negli Stati Uniti, scommettendo, con i finanziamenti delle Start-up, su giovani ricercatori come me, promuovendo il nostro ingresso in centri di ricerca e università”. Dietro la passione dei ricercatori non c’è solo la curiosità ma anche (e soprattutto) la consapevolezza di essere di aiuto ai malati. “La spinta a fare ricerca sul cancro nasce non solo dalla mia innata curiosità ma anche dal desiderio di aiutare la gente che soffre, i malati e i loro familiari” ha concluso Visone. “Queste persone devono sapere che

Il ministro della Salute Ferruccio Fazio ha poi ribadito la necessità del contributo di tutti al fine di vincere la battaglia contro il cancro: un compito che coinvolge sia lo Stato sia ogni singolo cittadino e le associazioni. “La ricerca oncologica ha bisogno del contributo di tutti e di una partnership tra finanziamenti pubblici e privati. A questo proposito, AIRC sta sostenendo in maniera fondamentale la ricerca oncologica traslazionale nel nostro Paese. In particolare, i progetti AIRC 5 per mille richiedono ai ricercatori di ottenere dei risultati immediatamente applicabili alla clinica” ha detto il ministro, che ha anche chiarito quelle che a suo avviso dovrebbero essere le iniziative più urgenti da attuare: “Dobbiamo individuare nel nostro Paese una rete oncologica di eccellenza, coordinare le diverse iniziative del governo nel settore oncologico individuandone le ricadute applicative e stabilire un dialogo e uno scambio più sistematico tra il ministero e le grandi agenzie impegnate nella lotta contro il cancro come AIRC, che, nella purtroppo cronica scarsità di fondi pubblici per la ricerca del nostro Paese, rappresentano una risorsa straordinaria e irrinunciabile”.


IL TEMA SCIENTIFICO

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el corso della Giornata, AIRC ha spiegato, attraverso le innumerevoli iniziative promosse sia a livello istituzionale sia nei media, quali sono gli obiettivi della ricerca sul cancro: uno di lungo corso e uno che si spera di raggiungere in tempi brevi. Il primo è la guarigione della malattia; il secondo, che è più a portata di mano, è la cronicizzazione del male, affinché il paziente possa conviverci il più a lungo possibile e con una buona qualità di vita. La svolta che ha permesso lo sviluppo di questa doppia strategia è avvenuta con la decodifica del genoma umano e la scoperta della natura genetica delle cause del cancro, come spiega Maria Ines Colnaghi, direttore scientifico di AIRC. “In dieci anni, da quando è stato pubblicato il sequenziamento dell’intero genoma, sono stati fatti passi da gigante anche grazie allo sviluppo tecnologico che oggi consente di leggere una sequenza genica in poche ore, mentre solo alcuni anni fa ci volevano mesi”. Rimane ora un grosso lavoro da compiere, al quale contribuiscono gruppi di ricerca di tutti i Paesi, compresa l’Italia: distinguere le poche mutazioni chiave che avviano la cellula verso la malignità dalla grande quantità di mutazioni transitorie che sono parte della malattia, ma che non sono strettamente necessarie al suo sviluppo. È anche importante identificare (e siamo già sulla buona strada) i geni mutati comuni a più forme di cancro. “È ormai chiaro che non esiste,

né mai esisterà, un’unica cura per il cancro: non si troverà un farmaco capace di eliminare le mille forme che questa malattia può assumere. Ciò rende la ricerca ancor più necessaria e impegnativa: la selezione dei filoni più promettenti è una vera sfida che si gioca a livello internazionale” spiega Colnaghi. “Come spesso accade in medicina, può sempre venir fuori la scoperta che spariglia le carte e che orienta le speranze in una direzione piuttosto che nell’altra”. Per questo è importante, come fa AIRC, puntare, nella selezione dei migliori, su comitati di esperti indipendenti e autorevoli, in grado di avere una visione d’insieme di come procede la scienza. Nell’immediato futuro non si può abbandonare la ricerca di base, che fornisce gli elementi di conoscenza su cui sviluppare in seguito le applicazioni pratiche. È nell’ambito della diagnosi precoce che si gioca infatti la partita della cronicizzazione. Solo se la malattia è identificata in fase molto precoce, può essere guarita, e anche quando ciò non è possibile, la rapidità di intervento consente di mantenere in vita il malato per molti anni. La diagnosi potrà essere ulteriormente anticipata e migliorata nell’accuratezza dall’utilizzo delle nanotecnologie. La nostra mente quasi si perde di fronte a queste misure infinitesimali, ma riusciamo a intuire a quale livello di dettaglio possiamo arrivare nell’identificare qualsiasi anomalia iniziale. Una terza rivoluzione è però in atto: la vaccinazione antitumorale. I virus che causano tumori sono molti e sono responsabili del 20 per cento dei casi di malattia. Due sono le cause di tumori molto comuni: il cancro della cervice uterina e il cancro del fegato. Del primo è responsabile l’HPV (Human Papilloma Virus) e

Ora si cercano le mutazioni importanti per il cancro

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C’È CHI CI CREDE

elle serie televisive che hanno decretato il suo successo, come La piovra, interpretava sempre la parte del cattivo. Nella vita reale, invece, Remo Girone è persona sensibile e altruista, che ha contribuito alla raccolta fondi di AIRC non solo sostenendo l’attività ordinaria dell’Associazione ma anche sottoscrivendo un lascito testamentario a favore di FIRC e accettando di fare da testimonial per la campagna che invita anche i comuni cittadini a fare altrettanto. Per questo e per la sua innegabile forza comunicativa nel portare avanti la missione di AIRC, Remo Girone è stato insignito dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano del premio “Credere nella ricerca”.

del secondo l’HBV, il virus dell’epatite B. Per ciascuno dei due è stato messo a punto un vaccino efficace. Infine non dobbiamo dimenticare che il cancro è una malattia legata agli stili di vita: in futuro si punterà a una prevenzione basata su prove scientifiche sempre più solide, grazie alla combinazione tra epidemiologia classica, che studiava la relazione tra abitudini di vita e comparsa della malattia, e l’oncologia molecolare, che consentirà di scoprire se determinate persone sono portatrici di caratteristiche genetiche che le mettono più a rischio di altre.

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GIORNATA PER LA RICERCA SUL CANCRO Università e scuola

Giovani a confronto con il fascino della ricerca Universitari e liceali sono stati, quest’anno, i protagonisti degli incontri con la ricerca scientifica promossi da AIRC in occasione della Giornata. Obiettivo: far comprendere che l’interdisciplinarietà è il futuro della ricerca oncologica

a cura della REDAZIONE nvestire sul futuro della ricerca significa anche investire sui giovani, suscitando in loro la passione per un percorso professionale impegnativo, potenzialmente capace di dare enormi soddisfazioni. È con questo spirito che la giornata dedicata alla ricerca ha previsto degli incontri tra ricercatori AIRC e studenti delle maggiori università italiane, a Roma, Napoli e Milano. Grazie a quest’esperienza AIRC ha stretto un legame con l’università suggellato dalla volontà dei rettori e dei presidi di facoltà delle diverse discipline di aprire le porte dei loro atenei ai ricercatori di AIRC, portatori di contenuti di qualità per gli studenti. Nel pubblico, a fruire di questa inusuale occasione didattica, non solo studenti di medicina e

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I RELATORI DI NAPOLI Elisabetta Dejana IFOM (Milano) Francesco Perrone Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale (Napoli) Silvia Piconese Università La Sapienza (Roma) Giancarlo Vecchio Università degli Studi di Napoli Federico II Vito Pindozzi Giornale Radio RAI

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biologia, ma anche di altre facoltà scientifiche apportatrici di competenze sempre più importanti per la ricerca oncologica di punta. L’interdisciplinarietà si è infatti dimostrata cruciale per trasferire rapidamente nelle corsie d’ospedale le conoscenze acquisite in laboratorio.

Qui Napoli L’enorme aula magna della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Federico II era gremita di studenti. Sono stati loro i protagonisti dell’incontro “La ricerca corre”, ponendo numerose domande, accogliendo gli interventi dei relatori con applausi scrocianti: “Neanche a Napoli-Manchester c’era un pubblico così” ha commentato scherzoso Francesco Perrone, dell’Istituto nazionale tumori Fondazione Pasca-


le. Eppure non si parlava di calcio, ma di genomica. “Venticinque anni fa osservavo con stupore i risultati della ricerca di base; non capivo come questi pezzi potessero essere messi insieme, in che modi avrebbero aiutato i pazienti” ha raccontato. “Poi, quasi improvvisamente, i tasselli hanno preso forma: sono diventati farmaci intelligenti”. Oggi i ricercatori elaborano strategie di lotta su più fronti: Elisabetta Dejana, dell’Istituto FIRC di oncologia molecolare di Milano, ha spiegato il ruolo dell’angiogenesi, il processo di formazione dei vasi sanguigni: “Il nostro obiettivo è prendere il tumore per fame. La scoperta di questo meccanismo e la medicina molecolare ci hanno permesso ci mettere a punto dei farmaci capaci di inibire la crescita di questi vasi. Ma oggi sappiamo che i farmaci da soli non bastano: esistono altri fattori di crescita ed è anche lì che bisogna agire”. Il racconto di Silvia Piconese, dell’Università La Sapienza di Roma, ha sottolineato come il cammino della ricerca sia irto di difficoltà: “L’idea di poter realizzare un vaccino contro la malattia ha generato grandi speranze, a cui sono seguiti però anche momenti di forte delusione. Spesso pensiamo alla malattia come aliena al corpo; in realtà si sviluppa anche grazie alla complicità del sistema immunitario”. I giovani presenti hanno qui potuto vedere a cosa servono, nella pratica, gli studi che stanno compiendo. “Il lavoro di un ricercatore non è semplice, ma comprendere cosa succede nei corpi e contribuire alla cura di chi è colpito da questo male dà soddisfazioni impagabili, difficili da raccontare” ha concluso Dejana. A giudicare dall’entusiasmo che si respirava nella sala, le emozioni sono arrivate a destinazione.

Qui Roma “Il sequenziamento del genoma è stato un’avventura incredibile: e non è stata raccontata con sufficiente enfasi. È stata narrata addirittura sottotono rispetto a un’impresa in tutto e per tutto paragonabile alla conquista della Luna” ha detto Pier Paolo Di Fiore, dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, agli studenti che affollavano l’aula magna della Sapienza. Alcune applicazioni della genomica sono già realtà, e tra queste anche le fotografie molecolari che rivelano discrepanze tra cancri all’apparenza uguali e permettono di differenziare le cure. E una volta individuata l’alterazione tipica di un certo tumore, la sua “firma molecolare”, questa può diventare il bersaglio di un farmaco mirato, anche se su questo fronte i progressi concreti sono stati meno

spettacolari del previsto. “Ve ne aspettavate di più? Avete ragione” ha chiosato Di Fiore. “Ma chi pensa di risolvere i problemi affrontandoli di petto senza aver creato sufficienti conoscenze di base sulla questione, è destinato a fallire: la via di AIRC è più lunga, ma arriva efficacemente a destinazione”. L’ospite d’onore dalla giornata, Charles Dinarello dell’Università del Colorado di Denver, ha fornito subito un esempio. Se i tumori impiegano anni a svilupparsi è anche perché il nostro sistema immunitario vigila e spazza via le cellule tumorali che si formano. “Ma il cancro non è cretino e impara a sconfiggere le difese” ha detto in italiano Dinarello, che pur non parlando in famiglia la lingua dei suoi nonni ha voluto studiarla e ne appreso anche il colore e l’ironia. “I tentativi passati di sfruttare il sistema immunitario, per esempio con i vaccini anticancro, sono stati insoddisfacenti. Ma ora i farmaci che bloc-

I RELATORI DI ROMA Pier Paolo Di Fiore Istituto europeo di oncologia (Milano) Charles Dinarello University of Colorado (Denver, USA) Rosa Visone Università degli Studi G. D’Annunzio (Chieti) Alberto Costa Scuola Europea di Oncologia

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GIORNATA PER LA RICERCA SUL CANCRO Università e scuola

cano i meccanismi con cui il tumore elude le difese immunitarie stanno dando buoni risultati, per esempio nel mieloma multiplo”. E molte altre vie si stanno aprendo per ridare alla nostra immunità l’efficacia perduta: un esempio di come la perseveranza nella ricerca di base alla fine paghi. Gli studenti, non solo di medicina ma anche di altre facoltà scientifiche, hanno alternato la concentrazione nei passaggi più densi agli applausi divertiti per le carambole linguistiche di Dinarello, mostrando di apprezzare l’opprtunità di affiancare alla didattica formale anche una didattica più viva e concreta, più legata al mondo della scienza che si sviluppa nei laboratori e nelle corsie d’ospedale. Dopo i due grandi nomi dell’oncologia, Rosa Visone, dell’Università G. D’Annunzio di Chieti, ha portato la voce di una giovane ma preparatissima ricercatrice. “Dopo un’esperienza negli USA, sono rientrata in Italia grazie ad AIRC”. Ora studia i microRNA, molecole che regolano l’espressione dei geni e promettono di essere d’aiuto sia nel monitorare il cancro con semplici esami del sangue sia nel combatterlo. “Ci sono 47 studi clinici in corso” ha spiegato. “Aspettiamo di vedere gli esiti, ma è un filone molto importante”. I RELATORI DI MILANO Vincenzo Bronte Università degli Studi di Verona Marco Foiani IFOM (Milano) Gabriella Sozzi Fondazione IRCCS Istituto nazionale tumori (Milano) Mario Calabresi La Stampa

Qui Milano La scelta di organizzare l’incontro presso il Politecnico di Milano, che ospita la Facoltà di ingegneria biomedica, non è stata casuale: da tempo infatti l’ateneo intrattiene proficui rapporti di collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, nell’ambito di una strategia sottolineata in apertura di mattinata da entrambi i rettori. “Occorre mettere sempre più in contatto in contatto le due culture” ha detto Giovanni Azzone, rettore del Politecnico di Milano, sottolineando l’importanza di favorire sin dagli studi universitari un approccio multidi-

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sciplinare alle sfide poste dalla ricerca. Lo stesso concetto è stato espresso anche da Enrico Decleva, rettore dell’Università Statale, che ha toccato anche un punto dolente: “Le prospettive per la ricerca devono diventare prospettive di lavoro e di vita per i giovani”. Dopo i saluti dei rettori, il direttore scientifico di IFOM Marco Foiani ha illustrato il ruolo fondamentale oggi assunto dalla tecnologia nella ricerca biologica, citando la rivoluzione genetica avvenuta nell’ultimo decennio: “Quando nel 2001 venne pubblicato il sequenziamento del genoma umano, si lavorava su un singolo gene alla volta. Oggi la distanza tra il laboratorio e la cura si è molto accorciata: si lavora su moltissimi geni, grazie a tecnologie sempre più sofisticate, e questo rende necessario disporre di team multidisciplinari, che mettano insieme le competenze di chimici, fisici, informatici, statistici e ingegneri”. Un concetto ribadito anche nella presentazione di Vincenzo Bronte, immunologo dell’Università di Verona: “I progressi della scienza vanno di pari passo con quelli della tecnologia, che è sempre più necessaria al conseguimento dei risultati”. Bronte studia i meccanismi che permettono alle cellule tumorali di trasformarsi continuamente con una particolare duttilità, riuscendo così a sfuggire agli attacchi del sistema immunitario, e a rendere inefficaci le terapie tradizionali. “La ricerca sta lavorando per intercettare questi meccanismi di fuga potenziando, con diverse modalità, le capacità di difesa dell’organismo” ha spiegato. “I principali filoni di ricerca sono tre. Il primo riguarda i vaccini terapeutici (cioè farmaci che contengono antigeni del tumore), per ora limitati ai tumori della prostata in fase molto avanzata, che dopo l’approvazione da parte della Food and Drug Administration statunitense hanno consentito di ritardare la malattia prolungando i tempi di sopravvivenza. C’è poi l'uso di


SI COMINCIA DAL LICEO

anticorpi monoclonali umanizzati in grado di bloccare i freni inibitori del sistema immunitario e dispiegare tutto il suo potenziale di eliminazione delle cellule neoplastiche: anche in questo caso, la Food and Drug Administration statunitense ha appena approvato un farmaco per il trattamento del melanoma metastatico. Infine c’è il filone più recente della cosiddetta ‘immunoterapia attiva’, che punta a trasferire elementi attivi del sistema immunitario”. Ha concluso le presentazioni scientifiche Gabriella Sozzi, direttrice del Dipartimento di oncologia sperimentale e medicina molecolare dell’Istituto nazionale tumori di Milano. Sozzi ha evocato l’immagine di un percorso della conoscenza medica che è partito dall’Uomo vitruviano di Leonardo – quindi dall’anatomia e dalla clinica – per approdare dopo lunghi secoli al genoma e poi in brevissimo tempo rimettere l’uomo al centro dell’attenzione: “Oggi la diagnostica molecolare e sierologica rappresenta il punto di incontro di clinici e ricercatori, uniti allo scopo di sviluppare una strategia integrata per diagnosticare o addirittura predire lo sviluppo dei tumori e delle loro forme più aggressive” ha spiegato. “Nei programmi di screening, in particolare, anche la diagnostica per immagini più sofisticata spesso non riesce a identificare le forme più aggressive dei tumori solidi prima dell’insorgenza di metastasi, e al contrario segnala anche un gran numero di lesioni non aggressive – ad esempio della prostata, del polmone e della mammella – che non si sarebbero probabilmente manifestate clinicamente, cosicché lo screening rischia di avere l’effetto di aumentare in maniera considerevole il ricorso a trattamenti invasivi e non necessari”. All’interessante mattinata gli studenti hanno partecipato attivamente, con domande che hanno dimostrato un’ottima conoscenza dei temi discussi e uno spiccato senso critico. L’intervento conclusivo, del direttore del quotidiano La Stampa Mario Calabresi, ha dato ai ragazzi una massiccia iniezione di ottimismo e incoraggiamento: “Vorrei essere uno di voi. Avete davanti un mondo pieno di possibilità, in grande cambiamento; un Paese che ha coltivato a lungo l’idea di non avere una vocazione scientifica” ha detto empaticamente. “In Italia c’è stata a lungo una pericolosa miopia nella formazione. Voi arrivate nel momento in cui si fa strada la coscienza che c’è bisogno di un numero maggiore di scienziati e ingegneri”. E dopo aver citato l’esempio del visionario fondatore di Apple, Steve Jobs, ha raccomandato agli studenti di non ascoltare mai chi dice “non si può fare”: “Il futuro è tutto da co-

ono 60 i ricercatori impegnati nella ricerca sul cancro che hanno lasciato per un giorno i loro laboratori per entrare in 60 scuole di tutta Italia: tra il 10 e l’11 novembre 2011 è stato avviato il progetto “AIRC entra nelle scuole”, in occasione della Giornata per la Ricerca sul Cancro. Gli scienziati hanno incontrato gli studenti dell’ultimo triennio delle scuole secondarie per raccontare la propria esperienza professionale e di vita, accompagnati dai volontari dei Comitati regionali, senza i quali la complessa macchina organizzativa non avrebbe mai potuto avviarsi. In questa Giornata è stato anche lanciato il concorso “Una metafora per la ricerca” per stimolare la creatività dei ragazzi nell’illustrare la scienza. Questo esercizio è il ponte lanciato verso un progetto articolato che vuole raggiungere, nei prossimi anni, migliaia di scuole – un universo composto da oltre 2.500.000 studenti e da circa 70.000 insegnanti – attraverso la distribuzione di materiale didattico multimediale e di un vero gioco partecipativo. Per rendere il cancro più curabile serve l’aiuto di tutti e la scuola è il luogo privilegiato dove costruire questa consapevolezza, con l’apporto fondamentale dei ragazzi e della loro grande energia. Per saperne di più: www.scuola.airc.it

S

struire, è qualcosa che ciascuno si scrive. Occorre la capacità di cambiare paradigma, di guardare oltre” ha concluso. “Vi invidio perché sono tempi di cambiamento e sono tempi fecondi”. Hanno collaborato Giovanni Sabato (da Roma) e Ilenia Picardi (da Napoli)

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GIORNATA PER LA RICERCA SUL CANCRO

Con RAI e AIRC la rice 4,5 milioni in donazioni per rendere il cancro sempre più curabile Anche quest’anno RAI, nelle più seguite trasmissioni tv e radio, ha raccontato i progressi della ricerca e le future sfide per rendere il cancro sempre più curabile attraverso le testimonianze dei suoi protagonisti: medici, ricercatori e persone che hanno concretamente beneficiato delle scoperte scientifiche. Questi spazi hanno contribuito a sottolineare l’importanza di sostenere la ricerca in Italia e di coinvolgere il pubblico a partecipare con una donazione al finanziamento di percorsi di formazione e di specializzazione dedicati ai migliori talenti scientifici del nostro Paese. Un grande lavoro di squadra, che ha visto in prima linea per una settimana le tre reti televisive, RadioRai, RaiNews24, le testate giornalistiche (Tg1, Tg2, Tg3, i TGR, i GRR e Televideo), Rainet con un sito speciale dedicato e la Promozione Immagine, che ha realizzato lo spot tv e lo spot radiofonico. La generosità dei nostri sostenitori si è trasformata in una settimana in 4,5 milioni di euro – frutto delle donazioni del pubblico Rai e delle azioni dei nostri partner sul territorio – da investire nella creazione di una nuova generazione di ricercatori che sosterremo dai “primi passi” fino


rca corre Dalla città al laboratorio AIRC ha voluto anche quest’anno presentare al pubblico televisivo non solo il valore scientifico dei propri ricercatori, ma anche la passione che anima il loro lavoro, realizzando quattro video storie. Il fil rouge è identificato nel legame con le città nelle quali i ricercatori svolgono la loro attività. I protagonisti Robin Foà, Gabriella Sozzi, Giannino Del Sal e Irma Airoldi, portano lo spettatore nei luoghi ai quali sono più affezionati e si raccontano in quattro coinvolgenti cortometraggi. Potete vedere i video su www.airc.it/video oppure sul canale AIRC di YouTube.

Obiettivi concreti Madrina della campagna Antonella Clerici, che si è spesa con grande generosità per testimoniare la sua fiducia nel lavoro di AIRC in La prova del cuoco e in Ti lascio una canzone, il cui pubblico ha contribuito al finanziamento di sei percorsi triennali di formazione per altrettanti giovani ricercatori. Insieme a lei, una squadra di testimonial – Carlo Conti, Francesco Facchinetti, Remo Girone, Margherita Granbassi e molti altri – ha rappresentato AIRC, con l’obiettivo di finanziare il maggior numero di progetti possibile. UnoMattina ha dedicato ogni giorno ampio spazio

alla divulgazione dei progressi della ricerca ricevendo dal pubblico i fondi necessari per due My First AIRC grant. Gli spettatori dell’Eredità, coinvolti da Carlo Conti in più occasioni, hanno finanziato, invece, tre Passaporti per la ricerca. I Soliti Ignoti ha ospitato tra le sue identità la nostra testimonial Roberta Lanfranchi e il ricercatore Francesco Fazi: grazie ai loro appelli e agli inviti di Fabrizio Frizzi la trasmissione ha garantito i fondi per altri due Passaporti per la ricerca. Altri due My First AIRC grant sono diventati realtà grazie a UnoMattina in famiglia, che ha aperto come da tradizione la maratona della domenica ospitando tre coppie di testimonianze, che hanno concretamente raccontato come la ricerca si trasformi in cura. Nel pomeriggio, Lorella Cuccarini ha dedicato ad AIRC uno speciale di Domenica in... così è la vita con le testimonianze di Emiliano Mondonico e Valentina Cianchi. In poco più di un’ora sono state raccolte donazioni che sosterranno il primo triennio di lavoro per una nuova Unità di ricerca. Michele Mirabella ha chiuso la settimana con uno Speciale Elisir in prima serata interamente dedicato alla presentazione dei più importanti risultati nella cura del cancro, ospitando l’eccellenza della ricerca targata AIRC. La generosità del suo pubblico ha contribuito al finanziamento di tre My First AIRC grant.

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GIORNATA PER LA RICERCA SUL CANCRO Insieme a fianco di AIRC

Lega Serie A e TIM hanno mobilitato le squadre per dar vita a iniziative di sensibilizzazione sui campi e di comunicazione sui media sportivi. L’Associazione Italiana Arbitri ha fatto scendere in campo i giudici di gara con una T-shirt a sostegno di AIRC e SkySport ha offerto un’importante vetrina per coinvolgere i tifosi nella donazione. Venerdì 11, grazie al patrocinio di FIGC, anche gli Azzurri sono scesi in campo per AIRC in occasione dell’amichevole Polonia-Italia. Durante la telecronaca su Raiuno, grazie alla collaborazione dei giornalisti di RaiSport, AIRC ha avuto importanti occasioni per invitare i tifosi della Nazionale a sostenere anche la squadra dei ricercatori.

I partner tecnici

La squadra vincente a fianco di AIRC Un gol per la ricerca Alessandro Del Piero, Pato e Javier Zanetti hanno confermato il loro ruolo di ambasciatori di AIRC nel mondo del pallone. Due gli appuntamenti che il calcio italiano ha dedicato quest’anno ad AIRC. Nella giornata di Campionato del 5 e 6 novembre,

VOLONTARI PER UN GIORNO

dipendenti di Borsa Italiana hanno deciso di dedicare l’attività di volontariato prevista dal loro programma di CSR occupandosi di alcune attività all’interno dell’organizzazione dell’evento di Love Design. I dipendenti di Ralph Lauren delle sedi di Milano e Casalecchio di Reno hanno invece organizzato eventi di raccolta fondi mettendo a disposizione manufatti e oggettistica di loro creazione a favore di AIRC. In entrambi i casi le Foundation di riferimento hanno contribuito con importanti donazioni alla ricerca scientifica di AIRC.

I

È sempre più ampia la partecipazione dei gestori di telefonia mobile o fissa che offrono ad AIRC lo strumento più semplice e immediato per ricevere la generosità del pubblico in occasione delle campagne di raccolta fondi. TIM, Vodafone, Wind, 3, Coop Voce, PosteMobile, Tiscali, Telecom Italia, Infostrada, Fastweb e TeleTu hanno dedicato ad AIRC il numero unico attraverso il quale effettuare una donazione per finanziare gli obiettivi scientifici selezionati da AIRC in risposta ai numerosi appelli giunti dai media. Oltre l’80 per cento delle donazioni della Giornata per la Ricerca sul Cancro è pervenuto attraverso questo strumento.

I nostri partner Sisal ha sostenuto, per il dodicesimo anno, AIRC con una gara di solidarietà che ha visto coinvolta la propria Rete di oltre 45.000 ricevitorie. Con la campagna di raccolta fondi è stato possibile sostenere la ricerca con una semplice donazione libera o giocando al SuperEnalotto utilizzando una scheda speciale. La rinnovata scelta di prendere parte alla promozione della raccolta fondi di AIRC è in linea con il programma di Responsabilità Sociale di Sisal, che si traduce anche nell’attenzione e sostegno alla comunità di riferimento e rientra nell’area d’intervento Sisal per la Ricerca. Esselunga è da oltre 30 anni al fianco di AIRC con donazioni aziendali e progetti promossi all’interno dei suoi punti vendita per la sensibilizzazione e l’informazione sulla ricerca oncologica. Stacca il tuo Mattoncino è stata la nuova iniziativa, interamente supportata da Esselunga, che ha visto protagonisti i volontari AIRC e i clienti Esselunga: insieme per rendere il cancro una malattia curabile. I clienti sono stati invitati a sgretolare le due lettere “IN” della parola “incurabile” togliendo i mattoncini magnetici che le compongono. Questo gesto, unito a un contributo minimo di 10 euro, ha permesso a tutti i clienti Esselunga di diventare soci di AIRC.


PROFESSIONI PER LA RICERCA Il biofisico

In questo articolo: biofisico formazione nanotecnologie

Ci vuole un fisico speciale per capire la cellula La ricerca ha un nuovo potente alleato nella lotta contro il cancro: la fisica, che entra nei laboratori di biologia portando con sé nuovi strumenti e nuovi punti di vista per studiare ancora più a fondo le cellule e tutto ciò che le compone a cura di CRISTINA FERRARIO ovendo cercare una definizione relativamente completa e chiara direi che il biofisico è colui che applica i metodi della fisica – metodi teorici e sperimentali – alla ricerca biologica esaltandone gli aspetti multidisciplinari”. Così ha risposto alla domanda “Chi è il biofisico”, Alberto Diaspro, genovese doc, una laurea in ingegneria elettronica all'università del capoluogo ligure, e che dirige nella sua città il LAMBS-IIT. Il suo è un laboratorio davvero speciale che ha sede presso l’Istituto italiano di tecnologia e nel quale ci si occupa di microscopia e nanoscopia ottica con grande attenzione a problemi di tipo biologico. Il biofisico, un ricercatore che sempre più spesso si incontra nei laboratori di biologia, prende in considerazione le questioni biologiche da un punto di vista leggermente diverso rispetto al biologo puro. “Nella fisica – e di conseguenza anche nella biofisica – l'attenzione si concentra soprattutto sulle considerazioni energetiche” spiega Diaspro. “Come sa benissimo anche il biologo, tutto

D

COME SI DIVENTA… BIOFISICO. molto difficile identificare il percorso di studi e formazione più adatto per diventare biofisici a tutti gli effetti. Come accade per molte altre nuove figure professionali entrate a far parte della ricerca biologica – per esempio quella di bioinformatico (vedi il numero scorso di Fondamentale) – anche per diventare biofisico si possono percorrere strade diverse e si possono identificare due principali punti di partenza: la laurea in fisica e quella in biologia, anche se nessuno vieta di dedicarsi alla biofisica dopo un percorso di studi diverso. Sul sito della Società italiana di biofisica pura e applicata (SIBPA – sibpa.roma2.infn.it), nella sezione “dove si impara la biofisica in Italia”, è disponibile un elenco piuttosto completo dei corsi di laurea in fisica che propongono corsi di biofisica. E per chi vuole approfondire i propri studi allargando lo sguardo oltre i confini nazionali, è possibile consultare il sito dell’Associazione delle società europee di biofisica (www.ebsa.org) che mostra da sempre una forte attenzione alla formazione e propone numerosi corsi e possibilità per perfezionarsi.

E’

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PROFESSIONI PER LA RICERCA Il biofisico

ciò che avviene nel nostro organismo, a qualunque livello, è legato in maniera incredibilmente stretta all'energia”. I processi biologici non avvengono se l'energia non è sufficiente: noi ci cibiamo per ottenere l'energia che ci serve per mantenere efficienti tutti i processi metabolici, ci sono forme di energia che permettono agli atomi di legarsi tra di loro e alle cellule di stare insieme e lavorare in armonia, e l'elenco potrebbe continuare ancora a lungo.

Inseguendo le molecole L'osservazione delle cellule al microscopio è una delle attività della biologia nella quale i biofisici hanno messo lo zampino. “Anche quando si parla di microscopia si parla di energia” afferma Diaspro, che ha dedicato a questo aspetto della biofisica buona parte della propria attività di ricercatore. “Energia che nella microscopia ottica è sotto forma di luce che attraversa la materia e ci permette di scoprirne i segreti”. E proprio guardando attraverso un microscopio il ricercatore genovese si è avvicinato a questa nuova disciplina. La sfida è molto impegnativa: produrre immagini della cellula (che è trasparente e può essere “docilmente” attraversata dalla luce) per studiarne la forma ma anche la funzione e arrivare a

identificare segnali che permettono di capire se resterà sana o si ammalerà, trasformandosi magari in cellula tumorale. “Grazie a qualche trucco oggi siamo in grado di osservare con il microscopio ottico anche le strutture interne alla cellula, che sono molto piccole e a distanze di pochi nanometri una dall'altra” afferma Diaspro. “Studiando le interazioni tra luce e materia – un classico problema della fisica – possiamo anche aggiungere alle nostre osservazioni una quarta dimensione: il tempo”. Ciò significa, in poche parole, essere in grado di seguire le trasformazioni delle cellule nel tempo. Uno dei vantaggi del microscopio ottico rispetto ad altri strumenti è la possibilità di osservare una cellula in tridimensione nel suo ambiente naturale e non solo fissata su un vetrino. “È importante cercare di non 'disturbare' troppo la cellula nel corso delle analisi” spiega Diaspro, convinto che in un futuro non molto lontano sarà possibile utilizzare queste tecniche direttamente sul paziente. C’è ancora tanta strada da percorrere in questa direzione per biologi e fisici, un percorso da portare a termine in punta di piedi, per non perturbare l'equilibrio così delicato e complesso dei sistemi biologici.

Nanocapsule e biorobot Nel secolo scorso, poco più di 50 anni fa, gli scrittori di fantascienza immaginavano piccole navicelle che si muovevano all'interno del corpo umano per curare il paziente “dall'interno”. Oggi tutto questo si è trasformato – almeno in parte – in realtà e il merito è soprattutto della biofisica. “Tradizionalmente la biofisica si muove nel regno del 'nano' e studia e manipola la materia a livello molecolare lavorando sulla scala del nanometro, cioè della miliardesima parte del metro” spiega Diaspro, che nei suoi studi si occupa anche di questi aspetti. Si parla sempre più spesso di nanocapsule o nanobiorobot, strumenti alla base di una nuova medicina sempre più precisa e personalizzata. Studiando a livello “nano” la materia e le forze che legano gli atomi e le molecole, siamo in grado oggi di costruire speciali navicelle che possono essere “caricate” con un farmaco e che riescono a viaggiare all'interno dell'organismo fino al punto in cui il farmaco deve essere rilasciato. In alcuni casi, nella capsula viene inserita una cellula di lievito capace di trasformarsi in vera e propria fabbrica – per la precisione una nanobiofabbrica – per produrre proteine e sostanze utili direttamente dove ri-

Teorie ed esperimenti fisici applicati ai sistemi biologici

ANCHE LA MEDICINA DIVENTA “NANO”

Sviluppare soluzioni innovative per la prevenzione, la diagnosi e la cura di patologie tumorali, cardiovascolari e neurologiche. Con questo ambizioso obiettivo nasce a Milano nel 2009 la Fondazione Centro europeo di nanomedicina (CEN). Il nuovo centro ha trovato ospitalità all'interno dell'IFOM, già centro di eccellenza per la ricerca

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oncologica internazionale, ed è guidato da Francesco Stellacci, ricercatore italiano tornato in Italia dopo 10 anni “in fuga” al prestigioso MIT (Massachussetts Institute of Technology) di Boston dove si è occupato di questa medicina infinitamente piccola e incredibilmente promettente. Al CEN, ricercatori esperti di diverse discipline lavorano insieme per

creare una nuova medicina: particelle da utilizzare come agenti di contrasto per la diagnosi di anomalie anche piccolissime nei tessuti umani, nanomateriali che aiutino a portare i farmaci fin dentro il tumore senza interferire con le cellule sane, microsensori capaci di rilevare quantità molto piccole di DNA, enzimi e proteine importanti per la diagnosi precoce.


C'È UN SACCO DI SPAZIO LAGGIÙ IN FONDO!

chieste. “Una delle caratteristiche più interessanti di questi nuovi sistemi” afferma Diaspro “è la loro capacità di passare all'interno dell'organismo senza farsi notare dal sistema immunitario e quindi senza generare reazioni di rigetto”. Caratteristiche che dipendono in buona parte da come è strutturata la superficie esterna dei nanobiorobot: ancora una volta una questione di bilancio energetico e di struttura della materia, interessi primari della biofisica.

to deve essere pensato insieme: biologo e fisico devono cominciare a parlarsi in una lingua comune, una sorta di esperanto della scienza, ancor prima di mettere mano a provette o microscopi”. Come spiega Diaspro, chi si occupa della parte più strettamente “fisica” del progetto – per esempio alcune particolari analisi al microscopio – si trova a volte di fronte il biologo che chiede di poter vedere cose che è impossibile vedere con il tipo di campione biologico che ha a disposizione. Come spiegano gli addetti ai lavori, può dipendere dai limiti dello strumento, ma anche da come il campione è stato trattato e preparato in precedenza. “Ovviamente può succedere anche il contrario, con il fisico che avanza richieste biologicamente quasi impossibili” precisa Diaspro. Ecco quindi spiegata l'importanza del progetto comune: sedersi a un tavolo e valutare insieme le possibili strategie permette di non

Il termine “nanotecnologie” è entrato nel linguaggio comune a partire dai primi anni Ottanta del secolo scorso, ma la vera data di nascita di queste tecnologie che operano a livello molecolare è il 1959, anno nel quale Richard Feynman pronunciò quello che può essere letto come il manifesto delle odierne nanoscienze. Lo scienziato statunitense, premio Nobel per la fisica nel 1965, è il vero padre delle nanotecnologie: nel suo discorso del 1959 intitolato There's plenty of room at the bottom (“C'è un sacco di spazio laggiù in fondo”) prese in considerazione per la prima volta la possibilità di andare a lavorare a livello “nano” la materia e di poter agire sui singoli atomi. “Con una lungimiranza quasi profetica – ma in realtà determinata da modelli e pensieri fisici ben precisi – Feynman è riuscito ad anticipare immagini e strutture che oggi sono diventate realtà grazie anche alle possibilità offerte dai continui progressi delle tecnologie” dice Diaspro.

Diversi punti di vista, ma un progetto comune La formula vincente per un'unione che dia davvero buoni frutti tra biologia e fisica è senza dubbio la stretta collaborazione tra gli esperti delle due discipline. “Questa collaborazione deve partire sin dal disegno dell'esperimento” chiarisce Diaspro. “Il proget-

trovarsi poi di fronte a problemi troppo difficili da risolvere e di arrivare alla soluzione in tempi più rapidi. Entrambi i giocatori coinvolti devono mettere in campo tempo e umiltà per far capire all'altro problematiche specifiche e cercare insieme la so- PER SAPERNE DI PIÙ luzione migliore.

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WWW.AIRC.IT

La lingua del laboratorio? È l’esperanto della scienza


NUOVE TECNOLOGIE Il molto piccolo

In questo articolo: nanotecnologie nuove cure interdisciplinarietà

Le nanotecnologie promettono di battere il cancro Sono strumenti nuovi, di cui si deve anche valutare la tossicità: malgrado ciò, le nanotecnologie sono una delle grandi novità scientifiche degli ultimi anni. E ora sbarcano da protagoniste anche nel mondo dell’oncologia a cura di DANIELA OVADIA n nanometro è un miliardesimo di metro: difficile immaginare qualcosa di così piccolo, equivalente a 1/80.000 dello spessore di un capello, uno spazio nel quale potrebbero stare stipati circa dieci atomi di idrogeno. Eppure è su questa scala che lavorano i biofisici che si occupano di nanotecnologie: materiali, strumenti e sistemi farmacologici talmente piccoli da poter interagire con le cellule. “Una cellula ha un diametro che va dai 10.000 ai 20.000 nanometri. Ciò si-

U

gnifica che qualsiasi prodotto intorno ai 100 nanometri (la scala sulla quale lavorano gli scienziati in ambito biomedico) è in grado di entrare nella cellula e persino negli organelli che la compongono e di interagire col DNA e con le proteine” spiega Marco Foiani, direttore dell’Istituto FIRC di oncologia molecolare e vicepresidente del Centro europeo di nanomedicina (CEN), un consorzio che raggruppa 14 tra centri di ricerca pubblici e privati per promuovere la ricerca sulle applicazioni delle nanotecnologie in medicina. “Un sensore nanotech potrebbe essere capace di identificare i marcatori biologici di

Le nanoparticelle entrano dentro la cellula e negli organelli

I DENDRIMERI

Per portare farmaci all’interno delle cellule malate e dritti sul bersaglio i nanotecnologi hanno inventato i dendrimeri. Si tratta di molecole polimeriche dotate di un cuore, nel quale viene stoccata la sostanza da trasportare, e numerosi rami che fungono da “sensori” per l’identificazione del bersaglio. I dendrimeri sono già utilizzati in

ambito sperimentale e non sono una scoperta recente: sono stati costruiti negli anni Settanta, all’alba delle nanotecnologie, dal biochimico Donald Tomalia. Per “montarli”, Tomalia inventò una meccanismo simile a quello con cui si costruiscono i cristalli: le strutture si aggiungono per apposizione intorno a un nucleo che fa da promotore della reazione.

una malattia, in primo luogo del cancro, anche in poche cellule o in un minuscolo campione di tessuto”. In effetti si spera che le nanotecnologie aiutino a mettere a punto nuovi strumenti diagnostici ma anche nuovi vettori, cioè substrati ai quali appoggiare farmaci che verranno rilasciati, grazie alle piccolissime dimensioni del trasportatore, esattamente laddove serve all’interno della cellula. Prima che ciò si possa fare e prima che siano disponibili strumenti efficaci per la diagnosi e la cura del cancro, è necessario studiare meglio l’interazione delle nanoparticelle con i sistemi biologici. “A livello nano la materia può assumere comportamenti atipici, e seguire leggi diverse da quelle della fisica classica” spiega Foiani. “Questo fa delle nanotecnologie uno strumento teoricamente molto potente ma anche da verificare con tutte le cautele della ricerca”. I comportamenti atipici delle nanoparticelle sono anche all’origine di possibili effetti collaterali sugli organismi biologici, ancora tutti da studiare. Poiché i nanomateriali hanno superfici molto ampie se rapportate al loro volume, fenomeni come l’attrito sono molto più consistenti che in sistemi più grandi. Inoltre le nanoparticelle sono così piccole che l’organismo, in determinate circostanze, può eliminarle così in fretta da rendere la loro azione, come farmaco o come strumento diagnostico, del tutto inuti-


funge anche da strumento di lettura del codice genetico. Per segnare sul DNA il punto in cui è presente un’alterazione, si possono utilizzare i nanotubi al carbonio, indicati soprattutto in ambito oncologico. L’effetto è quello della bandierina segnaletica: l’insieme dei nanotubi indica agli scienziati la dislocazione delle mutazioni, un’informazione importante in quanto può suggerire in che modo si evolverà la malattia. “Le nanotecnologie aiuteranno anche a eliminare il cancro dalle cellule malate senza danneggiare quelle sane” spiega Foiani. Oltre che come trasportatrici di farmaci, le nanoparticelle potranno veicolare nei tessuti materiali in grado di assorbire la luce a deter-

I farmaci possono essere trasportati da nanovettori

minate lunghezze d’onda. Grazie a questa proprietà le nanoparticelle si surriscaldano ed eliminano la cellula nella quale si trovano e solo quella. Per riconoscere le cellule cancerose è anche possibile attaccare un anticorpo al vettore. “Vi sono molte altre tecnologie in fase avanzata di sviluppo” conclude Foiani. “ Le potenzialità sono immense anche se c’è ancora molto da studiare. La natura interdisciplinare di questo ambito della ricerca è anche la sua maggiore difficoltà: per questo non ha senso che una singola istituzione crei il proprio laboratorio ma è più logico, come è stato fatto a Milano, unire le forze perché medici, biologi, fisici, ingegneri e tanti altri perseguano insieme lo PER SAPERNE DI PIÙ stesso scopo”.

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WWW.AIRC.IT

le; viceversa è possibile che grandi quantità di nanoparticelle si accumulino negli organi dando luogo a fenomeni di tossicità. “Per quel che riguarda il cancro, le maggiori promesse si hanno attualmente nel campo diagnostico” spiega Foiani. “La malattia oggi può essere riconosciuta, nella maggior parte dei casi, solo quando assume dimensioni macroscopiche ma noi sappiamo che è provocata, ai suoi esordi, da alterazioni molecolari a livello del DNA”. Strumenti capaci di entrare nelle singole cellule e scoprire dove e come si annida l’alterazione potenzialmente pericolosa sarebbero quindi preziosissimi. Un altro ambito nel quale si attende con ansia l’arrivo delle nanotecnologie è la ricerca stessa. Per testare nuovi farmaci o nuovi strumenti su campioni di tessuti tumorali, è spesso necessario distruggere le cellule prelevate dai pazienti mediante biopsie o interventi chirurgici. Un test effettuato su scala nano, invece, potrebbe lasciare le cellule e i tessuti intatti, permettendo di riutilizzarli in caso di insuccesso per provare una soluzione diversa: un bel vantaggio soprattutto per quanto riguarda i tumori rari, la cui ricerca è frenata anche dalla scarsità di materiale biologico a disposizione degli scienziati. “Uno dei nanostrumenti che ha già raggiunto un discreto sviluppo è la cosiddetta ‘mensola’ o cantilever, un supporto che può essere modificato per trasportare molecole in grado di legarsi a sequenze di DNA alterato o a proteine presenti in determinati tipi di cancro” spiega Foiani. Monitorando i punti in cui i cantilever si “agganciano” al DNA, i ricercatori sono in grado di scovare le alterazioni del codice genetico. Anche i nanopori, già testati in alcuni laboratori, potrebbero migliorare le diagnosi. Si tratta di minuscoli pori sintetici in grado di far passare un solo filamento di DNA alla volta, come una sorta di setaccio. Mentre il DNA scorre nel nanoporo, i ricercatori possono misurare forma e proprietà elettriche di ogni base col vantaggio che il sistema


Domande e risposte

Lo stile di vita anticancro protegge anche il cuore ?

i sono in effetti molte analogie: uno studio presentato in un recente congresso dell’American Heart Association ha dimostrato che i parametri presi in considerazione dai cardiologi per misurare la salute cardiovascolare vanno di pari passo con la valutazione del rischio di ammalarsi di cancro. Quando il cuore è a posto, anche i tumori stanno alla larga. Non è un nesso diretto, ma dipende essenzialmente dal fatto che gli stili di vita salubri sono sempre gli stessi e aiutano a mantenere in salute tutto l’organismo.

C Quanto a lungo possono durare gli effetti collaterali delle cure per il tumore prostatico? on è possibile stabilire a priori quali saranno gli effetti del trattamento del tumore della prostata e per quanto tempo dureranno, soprattutto perché le variabili in gioco sono davvero tante: età e condizioni del paziente, caratteristiche della malattia e tipo di trattamento scelto. Lo afferma uno studio pubblicato su JAMA e che riguarda due degli aspetti che più spaventano gli uomini: l'incontinenza e l'impotenza, che potrebbero presentarsi nel corso delle terapie e talvolta anche per lunghi periodi dopo il termine della cura. Per quanto riguarda l'impotenza, però, i ricercatori statunitensi hanno messo a punto un test capace di prevederne il rischio. Si tratta di domande specifiche, che tengono conto in modo approfondito delle caratteristiche del paziente (età, indice di massa corporea, storia sessuale prima della malattia, livello di PSA eccetera) e che possono aiutare a scegliere la terapia più adatta nell’ottica della medicina personalizzata.

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Se il cancro è una malattia genetica significa che può essere trasmesso dai genitori ai figli? l cancro è una malattia genetica perché nello sviluppo della malattia i geni hanno un ruolo fondamentale: tutto parte da una prima mutazione che colpisce il DNA di una cellula compromettendone la replicazione. Quando la cellula del corpo si riproduce, si porta dietro anche la mutazione iniziale, a cui se ne possono aggiungere altre che portano alla malattia, e via via alla resistenza ai farmaci o alla capacità di diffondersi in altri organi. Il tumore comincia a crescere, impiegando anche anni prima di manifestarsi clinicamente. Tutto ciò non significa però che il tumore sia una malattia ereditaria. Esistono certamente tumori ereditari, che sono anch’essi malattie genetiche, ma in questo caso la mutazione non compare all'improvviso nel corso della vita: è già presente nel DNA delle cellule germinali (ovuli e spermatozoi) dei genitori e proprio attraverso di esse viene trasmessa ai figli. Vale poi la pena sottolineare che ereditare una mutazione tumorale non sempre equivale a ereditare il tumore: una persona con la mutazione può non sviluppare mai la malattia anche se il suo rischio è teoricamente maggiore rispetto a quello di chi ne è privo.

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Ci si può fidare delle informazioni di salute che si trovano su Internet? ispetto a qualche anno fa, i pazienti sono molto più consapevoli anche in campo oncologico: il merito è in gran parte di Internet, enorme serbatoio di informazioni di ogni genere. Proprio per le sue caratteristiche, la rete è anche fonte di enormi fraintendimenti ed è piena di trappole soprattutto per chi non è esperto e non possiede tutti gli strumenti per giudicare in modo corretto ciò che legge. Dal Journal of Oncology Practice arriva però una prima rassicurazione: uno dei siti più consultati per cercare informazioni sulla salute – l’enciclopedia online Wikipedia nella sua versione in inglese – fornisce dati corretti sul cancro (sintomi, epidemiologia, diagnosi, terapie eccetera), molto simili a quelli che si trovano nei libri di testo sull'argomento. Il problema, sottolineano gli autori della ricerca, è il linguaggio utilizzato, che spesso risulta poco comprensibile per gli utenti medi, e l’assenza di un interlocutore esperto in carne e ossa quale può essere il proprio medico. Anche in Italia esistono siti affidabili: a partire da quello di AIRC (www.airc.it), con la sua guida tumori.

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Cosa sono i marcatori tumorali e come si misurano?

marcatori tumorali sono particolari sostanze (proteine, ormoni eccetera) prodotte dal tumore, che possono essere individuate e misurate con un semplice prelievo di sangue. Tra i più noti bisogna ricordare il PSA, il cui aumento può indicare la presenza di un tumore della prostata oppure il CA125 (che segnala il tumore ovarico) o il CEA (presente se la malattia colpisce intestino, seno e polmone). Come spiegano gli esperti, però, al momento non si può fare troppo affidamento su queste molecole per capire se il tumore c’è oppure no. Innanzitutto la loro presenza potrebbe essere legata a malattie diverse dal cancro e, inoltre, molti dei marcatori classici non sono specifici per un singolo organo, ma potrebbero indicare problemi in diverse aree dell'organismo. Come se non bastasse, non sempre un risultato negativo all’esame del sangue permette di escludere la presenza del tumore. I ricercatori stanno però cercando di identificare marcatori più precisi, come piccole mutazioni a livello del DNA di particolari geni o altre caratteristiche che possono essere viste solo leggendo con grande attenzione il materiale genetico. Con questi nuovi strumenti saranno possibili in futuro diagnosi più precoci.

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Mia moglie deve iniziare una chemioterapia e io dovrò accompagnarla in ospedale. Quali sono i miei diritti in quanto lavoratore? a legge italiana prevede una serie di facilitazioni per chi si deve prendere cura di un familiare con handicap o malattia grave. In particolare, un lavoratore dipendente ha diritto a un periodo di congedo straordinario retribuito fino a un massimo di due anni, che possono essere continuativi, oppure frazionati in periodi più brevi. La Corte Costituzionale indica chi, tra i familiari stretti, ha diritto a tale congedo, stabilendo anche un ordine di priorità: il coniuge che convive con il malato è il primo della lista, ma nel caso in cui non fosse disponibile possono richiedere il congedo straordinario anche i genitori. La lista continua includendo anche il fratello o la sorella conviventi con il malato e, infine, il figlio convivente. Informazioni più complete sull’argomento sono disponibili sul sito AiMAC (www.aimac.it), consultando il “libretto dei diritti del malato”.

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BIOLOGIA MOLECOLARE Il junk DNA

Una spazzatura davvero preziosa Rappresenta il 98 per cento dell’intero genoma umano e potrebbe svolgere funzioni importantissime per il corretto funzionamento dell’organismo. Eppure qualcuno ancora si ostina a chiamarlo DNA spazzatura

a cura di CRISTINA FERRARIO arlare di DNA spazzatura oggi non è più di moda e soprattutto ha davvero poco senso”. Ne è convinto Fabrizio d’Adda di Fagagna, direttore del programma “Telomeri e senescenza” all’IFOM di Milano, che da anni con il suo gruppo studia a fondo il DNA con particolare attenzione alla sua risposta ai danni e ai processi che lo fanno invecchiare. “Nell’accezione più tradi-

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zionale, con l’espressione DNA spazzatura – in inglese junk DNA – si descrivono tutte quelle regioni di DNA, spesso ripetitive, che non codificano per una proteina” precisa d’Adda di Fagagna. E dal momento che non davano origine ad alcuna proteina, questi tratti di DNA erano considerati inutili, ma oggi lo scenario è m o l t o cambiato e sono tanti gli scienziati che con le loro scoperte, molte delle quali importanti per l’oncologia, hanno ridato al DNA spazzatura la dignità che merita.

Dalla pattumiera agli onori dei banconi di laboratorio

UNA STORIA CHE PARTE DA LONTANO Grazie alle nuove scoperte relative a struttura e funzione del DNA, si preannuncia all’orizzonte una vera e propria rivoluzione per il mondo della biologia molecolare. Sta emergendo infatti l’idea che quello che un tempo veniva indicato come spazzatura priva di utilità possa rappresentare la chiave per comprendere a fondo il funzionamento del genoma e dell’espressione dei geni. Fino a poche decine di anni fa chi lavorava con il DNA era certo del fatto che solo i geni venivano trascritti per dare origine all’RNA messaggero (mRNA),

L’ARTICOLO IN BREVE... o chiamavano DNA spazzatura perché non sapevano a cosa potesse servire, visto che non dava origine a proteine. Oggi si sa, invece, che il 98 per cento del nostro DNA viene comunque trascritto e che i suoi prodotti hanno il compito fondamentale di regolare il funzionamento dei geni. Molte malattie, tra cui anche il cancro, possono avere origine da difetti di regolazione. Per questo il junk DNA è diventato oggetto di attenti studi nei laboratori di tutto il mondo.

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e infine alla proteina, e nessuno riusciva a spiegare l’esistenza di tanto materiale inutile all’interno del filamento del DNA: forse una scomoda eredità dell’evoluzione, poco interessante e decisamente molto ingombrante. “Oggi sappiamo che quasi tutto il DNA viene in realtà trascritto in RNA e che le molecole che così si formano, pur non dando origine a proteine, sono fondamentali per la cellula” spiega d’Adda di Fagagna. Come precisa il ricercatore friulano che lavora a Milano, siamo di fronte a quella che gli esperti chiamano pervasive transcription, una trascrizione che interessa praticamente l’intero genoma, anche se il livello di trascrizione di queste parti è in genere più basso rispetto a quello dei geni veri e propri.


SOLO IL 2 PER CENTO DEL DNA CODIFICA PER PROTEINE

In questo articolo: DNA spazzatura geni regolazione cellulare

UN’INTRICATA FORESTA DI RELAZIONI “Una delle funzioni principali delle molecole derivanti dal DNA che non fornisce direttamente proteine è la regolazione dell’espressione dei geni ‘tradizionali’, ma i meccanismi coinvolti non sono ancora del tutto noti” spiega d’Adda di Fagagna. Tra i prodotti di RNA più conosciuti e più studiati ci sono i microRNA, frammenti di materiale genetico lunghi poche decine di basi (i mattoncini che compongono il filamento di DNA) che vanno a regolare la trascrizione di altri geni. In particolare queste piccole molecole hanno un ruolo fondamentale in diversi tipi di tumore come

COME È ORGANIZZATO IL DNA l DNA è un lunghissimo filamento formato da quattro diversi elementi (basi) che si susseguono uno dopo l’altro e proprio l’ordine nel quale si dispongono determina la struttura dei geni che si trovano letteralmente “dispersi” nel DNA. Sì, perché i geni, cioè quelle regioni del DNA che poi vengono trascritte e tradotte in proteine, sono solo una minima percentuale di tutto il materiale genetico contenuto nella cellula – il due per cento circa. Esiste infatti una gran quantità di DNA che non dà origine ad alcuna proteina e che si trova nello spazio tra un gene e l’altro oppure all’interno dei geni in sequenze che non vengono utilizzate per la scelta degli aminoacidi che andranno a formare la proteina (i cosiddetti introni). Fino a poco tempo fa tutta questa enorme mole di materiale genetico che non poteva essere considerata gene a tutti gli effetti veniva classificata come DNA spazzatura.

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dimostra il fatto che spesso uno o più microRNA sono presenti in quantità anomale in caso di malattia. E più passa il tempo, più viene alla luce un’immensa e complessa rete di molecole che si regolano a vicenda per garantire il buon funzionamento della cellula. Per esempio, sulla prestigiosa rivista Cell è stato recentemente pubblicato un articolo italiano che descrive l’esistenza di piccole molecole di RNA (i ceRNA, dall’inglese competing endogenous RNA) che vanno a influenzare l’azione svolta dai microRNA e ne regolano la distribuzione sul loro gene bersaglio. In pratica, ogni volta che si pensa di aver individuato la più piccola molecola “figlia” del DNA e capace di regolare il funzionamento dei geni, si scopre che ne esistono di più piccole ancora e che si tratta di un sistema di una complessità inaudita. “Siamo ancora all’inizio del cammino che ci porterà a comprendere in dettaglio il ruolo del cosiddetto DNA spazzatura e delle molecole che da queste regioni derivano” conclude d’Adda di Fagagna, “ma i risultati finora ottenuti sono decisamente promettenti e la conoscenza approfondita di questa parte di DNA farà compiere enormi passi avanti alla ricerca, specie a quella oncologica, dato che il cancro è, in fondo, una perdita della regolazione della cellula”.

Sistemi di regolazione preziosi quanto ciò che regolano

LA GRANDE BANCA DATI RACCOGLIE LE PARTI FUNZIONALI DEL GENOMA UMANO

L’ENCICLOPEDIA DI ENCODE el 2003, su iniziativa del National Human Genome Research Institute (NHGRI – Istituto di ricerca nazionale sul genoma umano) statunitense, ha preso il via il progetto ENCODE, una sfida ambiziosa con l’obiettivo finale di identificare tutte le parti funzionali del genoma umano, dai geni che codificano per una proteina fino ai piccoli elementi di regolazione che accendono e spengono i geni. Inizialmente l’attenzione dei ricercatori che prendevano parte al progetto – oggi una trentina di gruppi da tutto il mondo – era focalizzata solo sul due per cento del genoma, ma a partire dal 2007 l’analisi si è estesa anche al restante 98 per cento ed è nato anche un progetto dedicato a organismi diversi dall’uomo – il moscerino della frutta e un verme molto utilizzato nei laboratori. “ENCODE può aiutare i ricercatori a capire come funziona il genoma e a comprendere meglio molte malattie che hanno le loro basi genetiche in porzioni di DNA che non codificano per proteine” spiega Elise Feingold, direttrice dei programmi ENCODE.

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PSICONCOLOGIA Curarsi in compagnia

In questo articolo: psiconcologia terapia di gruppo autoaiuto

La seduta collettiva che dà forza e sostegno Quasi tutti i centri di oncologia offrono la possibilità di affrontare in gruppo la malattia, ma non tutti i pazienti si sentono adatti a condividere i propri pensieri. Eppure il gruppo può dare molta forza ed essere davvero efficace

a cura di EMANUELA ZERBINATTI è chi ama stare in compagnia e chi preferisce la solitudine. E c’è chi accetta di condividere i propri momenti di difficoltà e chi, invece, di fronte a una malattia preferisce l’intimità ed eventualmente il sostegno di un singolo operatore. Lo sanno bene gli psiconcologi che si trovano a offrire aiuto a pazienti in difficoltà con caratteristiche individuali molto diverse tra loro. “In quasi tutti gli ospedali oggi esistono gruppi di sostegno per i malati e anche per i loro familiari” spiega Gabriella Morasso, psiconcologa dell’Istituto tumori di Genova. “Questi possono essere gestiti direttamente dai pazienti, con la formula dell’autoaiuto, oppure guidati da uno psicologo. In ambedue i casi è possibile che i malati manifestino delle resistenze a partecipare, per pudore o per timidezza, oppure anche per ansia. Non è facile trovarsi faccia a faccia con altre persone che attraversano le stesse prove che stiamo attraversando noi, ma con reazioni e atteggiamenti a volte completamente diversi dai nostri”.

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Approcci diversificati Le tecniche di autoaiuto presuppongono che vi sia una sorta di membro senior del gruppo, qualcuno con una certa esperienza nell’ambito delle tematiche che si andranno a trattare: può essere un ex paziente o un familiare. Il sostegno fornito da questo tipo di intervento non può che essere, per sua stessa natura, molto generico. Qualsiasi situazione di tensione o di vera difficoltà psicologica individuale deve ricevere anche l’aiuto di un medico o di uno psicologo. Nonostante ciò molti pazienti apprezzano la possibilità di trovarsi tra pari e di fruire delle esperienze altrui: in alcuni casi si creano veri e propri legami di amicizia che

aiutano sia sul piano psicologico sia su quello pratico. La psicoterapia di gruppo, invece è una vera e propria forma di terapia collettiva, non diversa dalle sedute che il singolo può svolgere con lo psicoterapeuta. “Tradizionalmente i gruppi possono avere una natura di supporto psicologico oppure favorire i processi di espressione e di elaborazione di ciò che si sta vivendo” spiega Morasso. “Ciò può avvenire attraverso la parola ma anche con altre attività come la danza, la pittura o il teatro”.

Funzione educativa Di che cosa ci si occupa in un gruppo? Gli obiettivi possono essere molto diversi: una parte delle sedute può essere dedicata all’educazione del paziente. Si forniscono informazioni e suggerimenti sugli stili di vita o su come combattere gli effetti collaterali delle terapie. Si elaborano insieme le cosiddette strategie di problem solving: in sostanza, il gruppo è in grado con più efficacia del singolo psicoterapeuta di aiutare l’individuo in crisi a elaborare da solo strategie utili a risolvere i suoi problemi. Questo meccanismo è virtuoso, perché rafforza la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità di far fronte alle avversità. “La forza del gruppo sta anche nell’osservare gli altri” spiega Morasso. “Si vedono i progressi altrui e ci si dice: se ce l’hanno fatta loro, posso farcela anch’io”.


Il gruppo può vivere anche momenti di tensione o di dramma, e in questo caso conta molto la bravura dello psicoterapeuta che deve guidare i suoi assistiti verso una elaborazione di quanto sta accadendo: “Può capitare che uno dei membri di un gruppo peggiori all’improvviso o che due partecipanti diventino protagonisti di una battaglia personale, per antipatia o perché vedono l’uno nell’altro una parte di sé con cui non vorrebbero avere a che fare. Si tratta però di situazioni alle quali uno psicoterapeuta capace sa dare una soluzione”.

membri esprimono infatti opinioni e punti di vista che possono essere molto diversi da quelli dello psicologo, ma che vengono presi ugualmente in considerazione. Il gruppo consente anche di osservare e analizzare il nostro comportamento in società: nessuno di noi vive e si relaziona esclusivamente con un’altra persona. La maggior parte delle nostre relazioni presuppone un gruppo: il lavoro, la scuola, la famiglia mettono in gioco una pluralità di dinamiche che la terapia di gruppo è in grado di mimare con maggiore precisone. Sarà quindi più facile, per un malato oncologico, affrontare la propria malattia sul luogo di lavoro dopo aver osservato come diverse persone reagiscono al suo modo di raccontarsi. Gli svantaggi, invece, risiedono soprattutto nella necessità di operatori ben formati e nella difficoltà di trattare situazioni molto critiche con la dovuta rapidità, specie se la persona non ha facilità a esprimersi. Un gruppo è infatti anche un luogo dove bisogna imparare a ritagliarsi i propri spazi di espressione.

La terapia di gruppo offre numerosi vantaggi economici e di efficacia

Ciò che va e ciò che non va Le terapie di gruppo hanno dei vantaggi rispetto a quelle a due, in cui il malato è faccia a faccia con lo psicologo. La prima, non indifferente di questi tempi, è la possibilità di aiutare più persone col lavoro di un singolo specialista e quindi di rendere accessibile al maggior numero di pazienti il sostegno psiconcologico. Quando si deve affrontare la spesa privatamente, come accade purtroppo in molte Regioni, il costo è decisamente ridotto rispetto a quello delle sedute individuali. Infine, il gruppo ha una sua funzione precisa nel processo di elaborazione dei vissuti, perché costituisce una sorta di “terzo elemento”, tra il paziente e lo psicoterapeuta. Gli altri

Questioni di personalità Esistono persone più adatte di altre a stare nei gruppi? “Certamente esistono tratti personologici che facilitano l’entrata in un gruppo: è una questione di estroversione, ma non solo. A volte malattie come il cancro possono cambiare le persone e proprio chi è apparentemente più aperto può sentire il bisogno di una maggiore intimità” spiega Morasso. C’è anche un limite legato all’età: gli anziani sono meno abituati dei giovani a condividere emozioni e sentimenti, anche se spesso la ritrosia è solo passeggera. “Si consiglia sempre ai pazienti di provare e poi si vede come va” spiega l’esperta. Perché a volte, dopo settimane di silenzio, si scopre che dare voce alle proprie paure e ai propri dubbi davanti a orecchie sensibili e menti empatiche è di grande sollievo e utilità.

QUANDO NASCE LA PSICOTERAPIA DI GRUPPO

I primi gruppi di terapia psicologica nascono proprio nell’ambito del sostegno ai malati cronici. Fu un medico internista del Massachussetts General Hospital di Boston, Joseph Pratt, a proporre per primo, nel 1905, un gruppo di discussione tra i suoi pazienti colpiti da tubercolosi. Questa malattia aveva, all’epoca, una ricaduta importante sulla vita dei singoli e imponeva anche drastici cambiamenti negli stili di vita. Pratt intuì che il gruppo poteva dare forza e facilitare non solo l’accettazione della patologia (spesso senza possibilità di cura) ma anche comportamenti più salubri. Il gruppo si basava essenzialmente su letture di tipo educativo ma poneva anche l’accento sull’impegno personale reciproco dei membri. La vera e propria terapia di gruppo nasce invece in ambito psicoanalitico, intorno agli anni ’20 del XX secolo, ma si sviluppa appieno solo negli anni ’30 grazie al lavoro di Jacob Levi Moreno, che stabilì i principi del cosiddetto psicodramma: una psicoterapia in cui si chiedeva alle persone coinvolte di “recitare” la propria sofferenza perché fosse più comprensibile a sé stessi e ai membri del gruppo. È interessante notare che fu però la seconda guerra mondiale a decretare il successo della terapia di gruppo: il gran numero di soldati traumatizzati dagli eventi a cui avevano assistito non poteva essere seguito su base individuale dagli psicologi, per cui si stabilirono, con notevole successo, le regole della terapia di supporto, proprio quella che oggi si usa per aiutare i malati a superare lo shock della diagnosi e il peso delle cure.


VIVERE SANO

L’esercizio aerobico a cura della REDAZIONE orsi in palestra a ritmo di musica, ma anche una passeggiata, una nuotata, una corsa o una gita in bici: questo è l’esercizio aerobico, uno strumento alla portata di tutti per mantenersi in forma e tenere lontano acciacchi e malattie.

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Cos’è Letteralmente il termine aerobico significa “con ossigeno” e si contrappone ad anaerobico che significa “senza ossigeno”. Quando si parla di esercizio fisico, con questi due termini ci si riferisce al modo con cui l’organismo si pro-

AEROBICO E NON AEROBICO Ecco qualche esempio delle più comuni attività aerobiche: camminare, correre, nuotare, andare in bicicletta, pattinare, giocare a calcio o a pallacanestro, ballare ... e non aerobiche: sollevare pesi, fare gare di velocità (per esempio i 100 metri), giocare a golf , saltare in lungo o in alto, fare Pilates.

L’IMPORTANTE È NON ESAGERARE Quando ci si dedica a un’attività fisica aerobica non bisogna mai superare certi limiti, altrimenti si corre il rischio di farsi male o di non riuscire a sfruttare al meglio i benefici che questo tipo di movimento porta con sé. C’è un metodo molto semplice per capire se si sta esagerando: durante l’attività fisica dobbiamo mantenere la capacità di parlare, ma non di cantare una canzone. Se il fiato non è sufficiente per pronunciare brevi frasi è meglio rallentare il ritmo, mentre se ci basta anche per cantare significa che è il caso di spingere un po’ sull’acceleratore.

cura il carburante necessario per svolgere le attività in cui viene coinvolto. Ogni azione che compiamo necessita di energia, che prendiamo in gran parte dal cibo e che è presente nell’organismo in diverse forme: una immediatamente disponibile e già pronta all’uso chiamata ATP (adenosintrifosfato), una immagazzinata sotto forma di glicogeno nei muscoli e nel fegato e una immagazzinata sotto forma di grasso (una scorta “a lungo termine” un po’ più difficile da utilizzare). Quando svolgiamo un’attività molto intensa e molto breve – come per esempio sollevare un peso – il nostro organismo sfrutta l’energia dell’ATP già presente nei muscoli senza utilizzare ossigeno. Ben presto però le scorte di ATP terminano e se il lavoro si protrae nel tempo – almeno 10 minuti – verranno utilizzate anche le scorte di glicogeno (con o senza ossigeno) e infine anche i grassi.

A cosa serve I benefici dell’esercizio aerobico sulla salute sono davvero tanti. Di certo nelle persone che si dedicano con costanza a un’attività aerobica il cuore lavora meglio, la pressione sanguigna si mantiene bassa, ossa e articolazioni restano in forma e si riduce il rischio di diventare obesi o diabetici o incorrere in malattie cardiovascolari come ictus o infarto. Ma non finisce qui. L’esercizio aerobico tiene lontani lo stress, la demenza e altre malattie tipiche dell’invecchiamento, migliora le difese immunitarie e l’umore, è un’arma vincente contro depressione e ansia e uno strumento importante anche per prevenire il cancro e per controllare al meglio i sintomi della malattia e gli effetti delle terapie. Con l’esercizio aerobico si riduce il grasso corporeo responsabile della produzione di ormoni che facilitano la comparsa e la crescita di alcuni tumori come per esempio quello del seno, ma perdere peso significa anche mantenere più sano l’intestino e ridurre di molto il rischio di tumore del colon. Un sistema immunitario più forte, inoltre, aiuta a prevenire infezioni e riduce lo stato di infiammazione che ha un ruolo di primo piano nello sviluppo dei tumori e può essere utile anche ad affrontare i problemi immunitari che derivano dalla chemioterapie. Il punto di forza di questo tipo di esercizio è che davvero tutti lo possono praticare, l’importante è scegliere il ritmo più adatto alle proprie condizioni fisiche e al risultato che si vuole raggiungere. Bastano 30 minuti al giorno per sentirsi meglio a patto che fare esercizio non sia un peso, ma un momento di svago e di piacere.


RICERCA IFOM Istituto FIRC di oncologia molecolare

In questo articolo: riparazione del DNA astrociti tumori cerebrali

Gli strani comportamenti delle cellule cerebrali Un particolare tipo di cellule del sistema nervoso usa meccanismi di riparazione del DNA diversi da quelli delle altre cellule, che potrebbero essere coinvolti nella comparsa di alcuni tumori cerebrali a cura della REDAZIONE uando il DNA di una cellula viene danneggiato, si mettono in azione una serie di meccanismi di riparazione basati sull’azione di diverse proteine. Queste sono organizzate in due sistemi: il primo ha il compito di progettare e comandare l’azione di riparazione, il secondo, invece, compie le azioni tecniche necessarie a riportare il DNA alla sua forma iniziale. Eppure ci sono alcune cellule che possono farne a meno. Lo ha scoperto il team “Telomeri e senescenza” di IFOM, che ha individuato il modo con cui gli astrociti, cellule del sistema nervoso, riparano se stesse. Sono elementi che, come dice il nome, hanno la forma di una stella e possiedono lunghi prolungamenti capaci di connettersi gli uni agli altri. Fanno parte delle cellule gliali che assolvono numerose funzioni legate allo sviluppo e al supporto del sistema nervoso. Gli scienziati di IFOM hanno scoperto la particolarità degli astrociti mentre studiavano le risposte cellulari al danno del DNA. “Quando il DNA si spezza, la maggior parte delle cellule del corpo attiva il sistema di riparazione” spiega Fabrizio d’Adda di Fagagna, che ha diretto la ricerca. “Gli astrociti bloccano proprio quei geni che potreb-

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bero agire da campanello d’allarme in caso di mutazioni potenzialmente pericolose perché cancerogene”. Il gruppo di IFOM ha sottoposto alcuni astrociti a radiazioni, che hanno la proprietà di danneggiare il DNA. Sebbene il sistema in due fasi descritto sopra non si attivi, gli astrociti sono comunque capaci di riparare il danno. “Queste cellule mantengono costantemente attivi alcuni enzimi capaci di aggiustare il DNA e ristabilire la continuità. Forse gli astrociti non possiedono un capitano capace di dirigere i lavori in caso di falla nella chiglia della nave, ma hanno schiere di bravi carpentieri che sono in grado di accorgersi da soli che qualcosa non va e di porvi rimedio”. Quale potrebbe essere il significato di questo curioso comportamento? “Quando ci sono troppe lesioni al DNA e l’allarme suona continuamente la cellula può anche decidere di avviarsi spontaneamente verso il cosiddetto suicidio programmato. Ma gli astrociti sono cellule molto specializzate e, una volta raggiunta l’età adulta, non sono più in grado di riprodursi. È quindi necessario evitare la loro morte” spiega d’Adda di Fagagna. La scoperta è particolarmente importante in ambito oncologico, poiché la conoscenza dei meccanismi

IFOM, Istituto di oncologia molecolare della Fondazione italiana per la ricerca sul cancro, può continuare a crescere nella sua attività scientifica d’avanguardia grazie a quanti sostengono concretamente la Fondazione. Dai anche tu il tuo contributo e senza versare denaro. Come? Aggiungi un piccolo lascito nel tuo testamento, è facilissimo. Se vuoi ulteriori indicazioni vai sul sito www.fondazionefirc.it o telefona allo 02 79 47 07. Grazie!

LA RICERCA IN BREVE Cosa si sapeva Quando il DNA di una cellula viene danneggiato, si attivano meccanismi di riparazione Nella maggior parte delle cellule vi sono proteine che fungono da centrale di controllo e altre che eseguono materialmente la riparazione Se il DNA è troppo danneggiato, la cellula va incontro a morte programmata Cosa aggiunge questo studio Negli astrociti, cellule del sistema nervoso, gli enzimi di riparazione sono sempre attivi e manca la centrale di controllo Ciò evita che si attivino segnali di allarme eccessivo e che la cellula vada verso il suicidio La scoperta aiuterà a rendere le cure più efficaci e a individuare nuovi bersagli terapeutici

con cui le cellule proteggono il proprio genoma è fondamentale per comprendere e fermare lo sviluppo tumorale. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cell Death and Differentiation, permette di capire meglio come si formano gli astrocitomi, i tumori cerebrali che nascono proprio dagli astrociti. “Ora che conosciamo questo meccanismo, sarebbe interessante studiarli alla luce delle nuove scoperte e sfruttarli per rendere questi tumori più sensibili alle chemioterapie o per individuare nuovi potenziali bersagli”.

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LASCITI Un cuoco ricercatore

UN LASCITO PER LA RICERCA

Moreno Cedroni, un amico di FIRC Ha affiancato AIRC per la prima volta nel 2002, quando guidava i giovani ristoratori d’Europa. Oggi accompagna con il suo volto anche la campagna lasciti di FIRC, per lasciare il segno anche in futuro a cura di VIOLETTA DEMARCHI on c’è poi tutta questa differenza tra uno chef, uno scienziato della Nasa e un ricercatore di AIRC. O almeno, non nel principio che sta alla base del loro lavoro. Così la pensa Moreno Cedroni, chef tra i più celebri e celebrati dell’attuale generazione della cucina italiana d’autore, e uno dei volti della campagna lasciti di FIRC. Ricci scompigliati e sguardo ironico, spiega così l’analogia: “Per tutti è come avere di fronte un tunnel buio: si parte da qualcosa di conosciuto, ci si immerge nell’oscurità e si cerca la luce. Che è la scoperta”. Quarantasette anni, marchigiano, due stelle AL Michelin con il suo ristoranSOSTENGO te Madonnina del Pescatore FIRC di Senigallia, Cedroni è alla UN LEGAME costante ricerca di una porSOLIDO zione di meraviglia da portare in tavola. È un vulcano di creatività, che trasmette con sapori, forme e colori dei suoi piatti. Un cuoco insolito, anche, che ha sostituito la toque blanche, il cappello da cuoco simbolo della professione, con una informale e dissacrante fascia a pois. Un cuoco estroso, inventore del susci (il sushi all’italiana), della salumeria ittica e delle

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eccellenze gastronomiche in lattine a lunga scadenza, ma anche un cuoco-ricercatore. “Però mi sento un granello di sabbia in confronto a chi studia le malattie. Loro – dice – scoprendo una cura o una terapia provano una gioia profonda, mentre la mia, per un sapore o un abbinamento inatteso, è momentanea”. Anche per questo, Cedroni ha scelto di affiancare la ricerca sul cancro usando il suo nome, le sue conoscenze e la sua credibilità. Partecipa a numerose iniziative, tra cui la campagna delle Arance della Salute, ed è testimonial della campagna lasciti, che invita alla sottoscrizione di un lascito testamentaria a FIRC, con uno slogan che rimanda “alla sana alimentazione” e “all’equilibrio tra gusto e valori nutrizionali”.

Il suo impegno per la ricerca è anche personale, lei è testimonial per FIRC. Quando ci si mette in gioco per gli altri, il modo più immediato è metterci la faccia. Per me i lasciti sono un modo di fare qualcosa anche quando non ci sarò più.

Come nasce il suo legame con AIRC e FIRC? Quando nel 2002 divenni presidente dei giovani ristoratori d’Europa, pensai fosse ora di fare qualcosa di concre-

hi sono gli eredi e come vengono stabiliti? Quali sono le quote di riserva a favore dei figli e del coniuge? Come si redige un testamento?

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Effettuare un lascito testamentario è molto semplice: – testamento olografo: basta scrivere su un foglio di proprio pugno cosa si vuole destinare (per esempio una somma di denaro) e a chi, datarlo e firmarlo. Il testamento potrà essere poi affidato a una persona di fiducia o a un notaio; – testamento pubblico: viene ricevuto dal notaio alla presenza di due testimoni e poi custodito dal notaio stesso. Con la Guida al testamento, aggiornata secondo le leggi vigenti, effettuare un lascito testamentario è diventato un gesto semplice. E lo può diventare per tutti: basta richiederla gratuitamente contattando tel. 02 79 47 07 www.fondazionefirc.it


to per gli altri. In quel periodo AIRC mi aveva coinvolto nell’iniziativa Le Arance della Salute. Quell’anno 70 ristoranti apparecchiarono i loro tavoli con le arance in bella vista e io diedi il via alle donazioni. Da allora il legame si è consolidato spontaneamente.

Nel testo della campagna lei parla di alimentazione sana e valori nutrizionali. Quanto contano per lei? Il mio lavoro è uno sport agonistico, è necessario stare bene. Per di più il cibo può prevaricare, diventare un modo di sfogarsi. Devo assaggiare molto, e mangiare mi piace, quindi mi devo controllare.

In concreto, come mangia? Pesce quattro o cinque volte a settimana, carni bianche, poca carne rossa e molte verdure, e bevo molta acqua. Bisogna eliminare i grassi e le carni rosse, consumare invece cereali e legumi. Questa è la mia dieta. Molti trascurano la propria a causa dei ritmi quotidiani. C’è un degrado generale nell’alimentazione, nonostante si viva in un periodo in cui tutti sono attenti agli stili di vita e vogliono il meglio. Lo vogliono però per l’abbigliamento e le auto, non per il cibo.

Che fare, dunque? Sensibilizzare, educare. L’alimentazione andrebbe insegnata a scuola, come tante altre materie. Sono le istituzioni a dover agire.

Mangiare bene ma in modo salutare e senza eccedere. Dal suo osservatorio dietro i fornelli, crede che gli italiani la pensino davvero così? Una volta andare al ristorante significava alzarsi appesantiti. Oggi non è più così, anzi, abbiamo un approccio del tutto diverso al buon cibo. Si dovrebbe, però, essere attenti allo stesso modo anche a casa propria: l’alimentazione non andrebbe improvvisata, mangiando in base a quel che ci ha attirato di più al supermercato, ma programmata. Magari con un’agenda, proprio come quella in cui si segnano in-

contri di lavoro e partite di tennis.

In occasione dell’appuntamento in piazza con Le Arance della Salute, AIRC le ha chiesto di ideare alcune ricette. Ne sono nate sei proposte certamente sane, ma anche appetitose. Ho privilegiato pesce, verdure, pasta integrale, facendo in modo che per trarne beneficio non sia necessario seguire le ricette al 100 per cento . Credo che le rinunce facciano male: programmazione e giusta dose sono l’approccio corretto. Un bicchiere di vino sì, di più no.

Quali ingredienti non possono mancare nella sua cucina? Olio extravergine di oliva, pomodoro, zenzero, vegetali e pesce azzurro.

E quali invece possono mancare? Il burro, che uso pochissimo, solo in pasticceria.

Mai senza zenzero e olio. Sempre senza burro

Come lavora il cuoco-ricercatore Moreno Cedroni? Per prove e allenamento. Nel 90 per cento dei casi il risultato è buono, ma solo in una minima percentuale nasce qualcosa di nuovo, inatteso e magari sorprendente. Uso anche strategie per alimentare la creatività: porto in cucina ingredienti mai usati oppure stagionali, stabilisco temi da seguire. Ad esempio al Clandestino Susci bar di Portonovo ho scelto i fiori selvaggi per alcuni piatti.

Chi è la cavia dei suoi piatti? Io stesso. Poi, quando decido di presentare una novità, tocca al cliente, cui chiedo il suo parere. Le prime volte che servo un piatto lo seguo attentamente anche in concreto: cosa è stato avanzato, come è stato mangiato, se è stata fatta la “scarpetta”.

Tradizioni o cucina fusion per lei? Se sono a questo punto è perché la curiosità mi ha spinto a conoscere prodotti nuovi, che ho inserito in ricette tradizionali e della mia infanzia, cambiandole e facendole crescere. Per me sì alla globalizzazione, se non si dimenti-

cano le tradizioni. Un piatto italiano, poi, lo si riconosce anche quando è frutto di contaminazioni.

Com’è la cucina di casa sua, grande e professionale un po’ come fosse al lavoro o familiare? Macché, è piccola, ci cucino solo quando sono in ferie. Mia figlia Matilde, che ora ha 14 anni, si lamenta perché il frigo è sempre vuoto, pensi un po’. E io la spedisco nella dispensa del ristorante, tanto è a un passo. È fortunata, mangia sempre bene, non solo a casa, perché mia suocera ha l’orto e gli animali.

Ai fornelli serve genio o si può imparare? Il “guizzo” si rivela solo in certe situazioni. Sapere di averlo però è un conforto, soprattutto quando ci si sente spenti. Invece poi eccolo, all’improvviso. Ma averlo non è indispensabile, un buon cuoco può anche usare ricette ideate da altri. La differenza è la stessa che distingue compositore e musicista.

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EROGAZIONI E BANDI Dove vanno i fondi di AIRC

In questo articolo: 5 per mille erogazioni fondi

Molte opportunità per i giovani e quattro grandi programmi Cresce il numero di borse e di grant per i più giovani mentre iniziano a lavorare i quattro vincitori del secondo bando legato al 5 per mille

a cura di MARIA INES COLNAGHI stato un anno di grande lavoro ma anche di grandi soddisfazioni: AIRC e FIRC hanno potuto destinare alla ricerca oncologica italiana oltre 99 milioni di euro, assicurando così quella continuità che è condizione indispensabile perché la ricerca dia i suoi frutti. È grazie allo sforzo di soci e sostenitori che si è raggiunto un traguardo tanto ambizioso che consente di finanziare l’attività scientifica perché i risultati arrivino ai pazienti sempre più velocemente. Dopo l’accurato e severo processo di peer review a opera di circa 400 revisori stranieri e dei 24 membri del Comitato tecnico scientifico AIRC, è stato deliberato il finanziamento di 568 progetti ordinari, che comprendono gli Investigator Grant (IG, destinati a ricercatori già affermati), My First Airc grant (MFAG, di durata triennale e destinati a giovani nelle prime fasi di autonomia) e Start-up (di durata quinquennale, che consentono a giovani già formati all’estero di tornare e di avviare un proprio laboratorio in Italia).

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Inoltre sono stati selezionati i quattro Programmi afferenti al secondo Bando 5 per mille, dopo i 10 finanziati con la prima edizione. Questa volta il bando si è focalizzato su studi che promettono di fornire nel tempo di finanziamento del progetto nuovi strumenti diagnostici e prognostici. Potete leggere gli obiettivi dei singoli programmi in queste pagine. Il numero dei progetti ordinari finanziati è sovrapponibile a quello dello scorso anno, ma il punteggio minimo necessario per ottenere il finanziamento è stato diverso. Se infatti esaminiamo il voto dato dai revisori (e che ha determinato la posizione in graduatoria di ogni singolo progetto) vediamo che in una forbice che va da 6 (il migliore) a 30 (il peggiore) lo scorso anno abbiamo finanziato i progetti fino al voto 15, mentre quest’anno solo fino al 14, anche se il totale dei progetti approvati è simile nei due anni. Questo dato ha un significato im-

portante: ci dice che è aumentato il numero di progetti di altissimo livello e che ciò ha precluso, data la disponibilità di fondi, il finanziamento di altri progetti ottimi, ma di livello inferiore.

Largo ai giovani Sempre più bravi quindi i nostri ricercatori e anche sempre più giovani. Le nuove Start-up e i MFAG (su cui AIRC pone una particolare attenzione in quanto costituiscono l’indispensabile serbatoio per il futuro) sono di livello sempre più alto e costituiscono davvero un’eccellenza. E se inizialmente finanziavamo due Startup e 10 MFAG l’anno, il numero è aumentato progressivamente negli anni successivi fino a raggiungere quest’anno il record di 40 nuovi MFAG e tre Start-up finanziate. Abbiamo quindi in corso complessivamente 12 Start-up e 76 MFAG, i giovani che sono il nostro fiore all’occhiello. L’“incubatrice” che

Cresce la qualità media dei progetti presentati agli esperti di AIRC


I VINCITORI DEL BANDO 5 PER MILLE GIUSEPPE TOFFOLI Centro di riferimento oncologico di Aviano (PN) Direttore della struttura operativa complessa di farmacologia sperimentale e clinica NANOTECNOLOGIE AVANZATE PER LO SVILUPPO DI DISPOSITIVI DIAGNOSTICI INNOVATIVI

AIRC ha messo a disposizione per far nascere e crescere sempre di più la qualità della ricerca oncologica in Italia ha funzionato molto bene iniziando con l’attivazione di borse di studio di varie tipologie, per l’Italia e per l’estero, per la formazione oncologica dei giovani neolaureati. Il percorso arriva fino alla messa a disposizione di finanziamenti per i giovani più preparati e quindi pronti per diventare ricercatori indipendenti. Un iter completo, predisposto da AIRC, atto a creare le condizioni per l’indispensabile ricambio generazionale. La vetta del percorso sono le Startup che riportano a casa i migliori tra i cosiddetti cervelli in fuga, purché siano molto giovani (meno di 35 anni) con alle spalle un curriculum all’estero d’eccellenza. A loro AIRC dà il supporto necessario per impiantare un laboratorio e un gruppo di ricerca nel nostro Paese, riportando persone addestrate e inserite nella grande rete della ricerca globale, irrinunciabile ormai nell’era della tecnologia.

L’infinitamente piccolo è entrato ormai da qualche anno a far parte a pieno titolo della biologia e della ricerca sul cancro grazie allo sviluppo di nuove tecnologie – le cosiddette nanotecnologie (vedi p. 30) – che permettono di raggiungere traguardi impensabili con le apparecchiature più tradizionali presenti nei laboratori. E proprio di nanotecnologie applicate alla diagnosi dei tumori si occuperà il team coordinato da Giuseppe Toffoli per i prossimi cinque anni, previa verifica dopo il terzo anno. “La nanomedicina è una delle vie più stimolanti e promettenti della ricerca, che ci aiuterà a portare le scoperte del laboratorio fino al letto del paziente” spiega Toffoli, che al CRO di Aviano si occupa da tempo di medicina traslazionale, quella che mette in contatto diretto laboratorio e paziente. Uno dei primi obiettivi del progetto è lo sviluppo di nuovi dispositivi che permettano di identificare in modo molto facile, anche a domicilio (come oggi avviene per la glicemia nei pazienti diabetici) l’andamento dei marcatori tumorali: sia quelli classici come PSA o CEA, sia quelli più recentemente scoperti come le cellule tumorali circolanti, presenti in concentrazioni molto basse e individuabili partendo da campioni incredibilmente piccoli di sangue. Oltre che alla diagnosi, il progetto coordinato da Toffoli guarda anche alla terapia: grazie a queste nuove tecnologie si vuole infatti mettere a punto un sistema per tenere sotto controllo in

modo semplice e innovativo la concentrazione dei farmaci nel sangue dei pazienti. L’obiettivo: seguire in tempo reale i possibili effetti collaterali di una cura sia essa classica (chemioterapia) oppure “intelligente” (con anticorpi monoclonali e altri farmaci biologici). “Quando ho saputo di essere stato scelto come destinatario del finanziamento AIRC, confesso che dopo l’entusiasmo iniziale mi è venuta un po’ di paura” ammette con sincerità Toffoli. “Una preoccupazione positiva, legata alla responsabilità di coordinare un progetto in cui credo davvero molto e che, assieme ai colleghi che lavoreranno con me, ho inseguito con testardaggine”. Una preoccupazione alleviata da due stretti collaboratori appena rientrati dagli Stati Uniti per questo progetto: il fisico Matteo Castronovo e il biologo Flavio Rizzolio. “AIRC ci offre una prospettiva formidabile che, grazie soprattutto allo scambio continuo e alla condivisione di esperienze con ricercatori di discipline apparentemente distanti – chimici, fisici, ingegneri, medici e biologi – sono certo porterà risultati eccellenti per il paziente”.

ALDO SCARPA Università di Verona Dipartimento di patologia e diagnostica – Centro di ricerca ARC-NET STRUMENTI INNOVATIVI PER LA DIAGNOSI PRECOCE E LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO NEL CARCINOMA DEL PANCREAS Il tumore del pancreas continua a essere uno dei più difficili da curare: dopo decine di anni di ricerca non sono ancora stati identificati marcatori che permettano di fare una dia-

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EROGAZIONI E BANDI Dove vanno i fondi di AIRC gnosi precoce – unica via per affrontare e battere definitivamente questo cancro tanto aggressivo. “Per il carcinoma del pancreas la diagnosi precoce è indispensabile, poiché una volta insorta, questa malattia mette in atto tecniche difensive molto efficaci: per esempio si costruisce una capsula di tessuto fibroso che la protegge, sposta altrove l’attenzione del sistema immunitario con sistemi davvero molto efficienti” spiega Aldo Scarpa, coordinatore del progetto che coinvolge gruppi in tutta Italia e che ha come obiettivo primario proprio la ricerca di questi marcatori. Come spiega Scarpa, non ci si fermerà all’analisi delle molecole prodotte dalle cellule tumorali, ma si andrà a cercare anche nel microambiente che circonda il tumore e all’interno della risposta immunitaria legata alla presenza di questo cancro. Il secondo grande obiettivo del progetto consiste nell’identificare e valutare nuove strategie di screening da effettuare sulla popolazione a rischio di tumore del pancreas, una sfida che ancora oggi resta aperta soprattutto perché con le attuali conoscenze non è semplice capire chi è realmente a rischio. “Abbiamo riunito in un unico progetto ricercatori che in Italia stanno lavorando molto bene nell’ambito della ricerca sul carcinoma del pancreas da diversi punti di vista: clinico, molecolare, immunologico, biochimico” spiega Scarpa, che lavora a Verona, una città con una forte tradizione di eccellenza nella cura e nella ricerca su questa neoplasia. “Il riconoscimento da parte di AIRC del nostro progetto è per noi uno stimolo enorme e ci dà una marcia in più” continua Scarpa, “poiché premia il nostro impegno diretto all’armonizzazione di persone e competenze differenti,

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superando tanti ostacoli verso un obiettivo comune. Personalmente sono legato da un rapporto molto stretto con l’Associazione, che va ben oltre il finanziamento economico: AIRC è sinonimo di qualità” racconta Scarpa che conclude con un aneddoto: “Ho consegnato a mano personalmente questo progetto ad AIRC e lo stesso avevo fatto con il mio primo progetto, anni fa, quello che mi consentì di iniziare la mia carriera. È andata molto bene in entrambi i casi!”

MARCO PIEROTTI ISTITUTO NAZIONALE TUMORI MILANO Direttore scientifico CAMBIAMENTI NEL MICROAMBIENTE CHE CIRCONDA IL TUMORE COME STRUMENTO DI DIAGNOSI PRECOCE E PER IDENTIFICARE I CASI A RISCHIO PIÙ ELEVATO L’ambiente è importante e non solo quando si parla di ecologia o dell’influenza dei fattori ambientali sulla salute. Sono infatti numerosi gli studi che confermano come anche in oncologia l’ambiente abbia un ruolo di primo piano. “L’attenzione in questo caso è rivolta in particolare al microambiente che circonda il tumore, cioè a quelle cellule e tessuti che si trovano nelle immediate vicinanze delle cellule malate, le influenzano e ne sono influenzate” spiega Marco Pierotti, coordinatore di uno dei progetti selezionati da AIRC. L’obiettivo principale del progetto è studiare questo microambiente e cercare di capire se le sue caratteristiche molecolari e genetiche possono servire per una diagnosi del tumore nelle sue fasi più precoci. Si tratta, in altre parole, di studiare a fondo le influenze reciproche tra tumore e ambiente circostante per capire meglio come i cambiamenti nelle cellule più vicine al cancro influenzino l’inizio e la progressione della malattia. Da qui si potranno selezionare molecole da utilizzare come “marcatori” per la diagnosi precoce o per capire se e come la malattia andrà avanti. E per raggiungere il loro ambi-

zioso traguardo, i ricercatori coordinati da Pierotti puntano su un approccio originale al problema che utilizza modelli sperimentali molto sofisticati e una banca di campioni biologici e di dati incredibilmente ampia, ottenuta anche grazie all’esperienza e alla competenza dei ricercatori coinvolti nel progetto. “AIRC ci offre la possibilità di portare avanti il nostro progetto rispettando in pieno i due cardini della ricerca che da tempo sosteniamo: squadra e multidisciplinarietà” spiega Pierotti. “Per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati medici e ricercatori dei diversi dipartimenti lavorano ogni giorno a stretto contatto, dando vita a una piattaforma trasversale che attraversa i dipartimenti per arrivare prima e meglio al traguardo, che è il letto del paziente”.

ANNA FALANGA Ospedali Riuniti di Bergamo Divisione di immunoematologia e trasfusione medica SCREENING DI IPERCOAGULAZIONE COME STRUMENTO INNOVATIVO PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO, LA DIAGNOSI E LA PROGNOSI DEL TUMORE Comprendere a fondo i meccanismi che legano il tumore e la coagulazione del sangue può rappresentare una delle chiavi per arrivare alla diagnosi precoce del cancro e per scoprire in anticipo quale sarà il decorso della malattia. Su questa premessa è stato costruito il progetto coordinato da Anna Falanga. Come spiega la coordinatrice del progetto, esistono numerosi studi che mettono in relazione la coagulazione – e in particolare lo stato di ipercoagulabilità (l’eccessiva tendenza a formare trombi sanguigni) – al cancro: per esempio, i pazienti con tumore


sono più a rischio di eventi come la trombosi e questi eventi influenzano il rischio di morire o di rimanere gravemente segnati a causa della malattia. “Con questo progetto vogliamo esplorare qualcosa di nuovo, cioè l’altra faccia della medaglia: non usiamo i marcatori della ipercoagulazione solo come segnale d’allarme ma vogliamo verificare se è vero anche il contrario, cioè se i parametri che determinano la coagulazione possono servire come marcatori che indicano lo sviluppo o la presenza del cancro, e se a seconda dei valori di questi parametri è possibile ottenere qualche informazione aggiuntiva sulla prognosi”. Per raggiungere i loro obiettivi di diagnosi precoce, i ricercatori lavoreranno su migliaia di pazienti sani, reclutati tra i donatori di sangue seguiti nel tempo, mentre per quanto riguarda l’aspetto più legato alla prognosi verranno coinvolte persone già colpite dal cancro. “Il riconoscimento di AIRC ci rende incredibilmente orgogliosi e soddisfatti” spiega Falanga. “Lavoriamo in un campo che si trova al confine tra oncologia ed ematologia, non è mai stato facile far comprendere e accettare i nostri progetti che ad alcuni possono sembrare un po’ strani perché si discostano dalle linee di ricerca tradizionali nel campo del cancro, ma non per questo sono meno importanti per i malati. In questo senso posso quindi dire che il riconoscimento ottenuto era inatteso. AIRC ha dimostrato una grande apertura alla novità, con un investimento che per noi rappresenta la possibilità di portare avanti un progetto articolato, definito attraverso un percorso molto entusiasmante, ma di certo anche molto faticoso” conclude.

“È grazie a voi se AIRC ha aumentato il suo sostegno alla ricerca sul cancro per farla correre ancora più veloce!”

razie alla generosità dei loro interlocutori, soci, volontari, contribuenti, sostenitori e al supporto dei mezzi di comunicazione, nel 2011 AIRC e FIRC hanno destinato alla ricerca oncologica 99.630.000 euro.

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FINANZIAMENTI AIRC E FIRC 2011 Programma di oncologia clinica molecolare 5 per mille

25.095.087 euro

Diagnosi precoce e analisi del rischio di sviluppare un tumore 5 per mille

6.798.513 euro

Progetti di ricerca (di base, translazionale, clinica ed epidemiologica)

45.101.160 euro

Sostegno ai giovani (borse di studio*, My First AIRC grant, Start-up)

9.727.563 euro

Ricerca intramurale (IFOM – Istituto FIRC di oncologia molecolare)

12.418.137 euro

Progetti regionali e speciali

260.000 euro

Enti, istituti, fondazioni nazionali e internazionali

229.540 euro

Totale

99.630.000 euro

*3.724.000 euro sono destinati a borse di studio AIRC e FIRC ordinarie per l’Italia e per l’estero.

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INIZIATIVE Le Arance della Salute

Ritorno alle origini con le Arance Sabato 5 febbraio torna il consueto appuntamento con Le Arance della Salute in 3.000 piazze italiane

a cura della REDAZIONE l cancro è una delle malattie più strettamente legate al cibo e agli stili di vita: diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che il 30 per cento dei tumori è associato al tipo di alimentazione seguita. Nel 2010 l’Unesco ha dichiarato la dieta mediterranea di Italia, Grecia, Spagna e Marocco patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Un tesoro antico di cui dovremmo andare fieri, le cui proprietà preventive sono dimostrate in numerosi studi scientifici. Attenzione, però: oggigiorno la nostra tavola sta perdendo molte delle caratteristiche che ne facevano un baluardo del gusto e della salute. Le materie prime che utilizziamo sono sempre più lavorate e raffinate, e quindi meno genuine, e il consumo di verdura e frutta si va riducendo. Niente rappresenta il Mediterraneo meglio degli agrumi: arance, limoni e mandarini sono ricchi di sostanze antiossidanti e antinfiammatorie, molto importanti nella prevenzione. Grazie al contributo della Regione Siciliana e alla preziosa collaborazione dei nostri volontari, 400.000 reticelle di arance rosse di Sicilia saranno offerte nelle piazze italiane a fronte di un contri-

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buto di nove euro. Anche il mondo della scuola parteciperà con l’iniziativa “Cancro, io ti boccio”: venerdì 3 febbraio studenti, insegnanti e genitori distribuiranno le reticelle di arance nelle scuole del nostro Paese. Insieme alle arance sarà distribuita anche una guida sui benefici della dieta mediterranea, realizzata in collaborazione con La Cucina Italiana, all’interno della quale potrete trova-

re i consigli del professor Franco Berrino, epidemiologo che da anni studia l’effetto degli alimenti sulla genesi del cancro, e le ricette create per noi da Moreno Cedroni, uno degli chef più noti d’Italia. Per trovare Le Arance della Salute chiama il numero 840 001 001 (attivo dal 20 gennaio) o vai sul sito www.airc.it

ZUPPA DI CAVOLFIORE CON BROCCOLI E VONGOLE ... INGREDIENTI PER 4 PERSONE vongole 200 g, broccoli 150 g, cavolfiore 125 g, olio extravergine d’oliva 45 g, aglio, prezzemolo, sale TEMPO DI PREPARAZIONE: 40 minuti. Cuocete in acqua salata il cavolfiore a pezzetti per 12 minuti, a parte scaldate in padella 25 g di olio con uno spicchio d’aglio con la buccia a fuoco basso, poi eliminate l’aglio, aggiungete il cavolfiore, 100 g di acqua della sua cottura e portate a bollore. Regolate di sale, scolate il cavolfiore e frullatelo. Tagliate i broccoli a pezzetti e cuoceteli nella stessa acqua del cavolfiore, per 5 minuti. Fate aprire in padella le vongole con l’olio rimasto, coperte. Quando si saranno aperte aggiungete del prezzemolo tritato, sgusciatele e aggiungetele ai broccoli. Nel piatto versate la zuppa di cavolfiore, poi sopra le vongole, i broccoli e un cucchiaio d’acqua di cottura.




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