Fondamentale dicembre 2017

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Numero 5 - dicembre 2017 - Anno XLV - AIRC Editore - Poste Italiane spa Sped. in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI - ISSN 2035-4479

Numero 5 - dicembre 2017

FITOESTROGENI Quando sono utili e quando sono nocivi gli ormoni naturali

PERSONALIZZAZIONE Promesse mantenute e promesse mancate della medicina ad personam STORIA Il cancro non è una malattia della modernità

Andrea Biondi, la cura dei bambini prima di tutto

CONTRO LE LEUCEMIE DA 50 ANNI


SOMMARIO

FONDAMENTALE dicembre 2017

In questo numero: 04 VITA DA RICERCATORE 07 RUBRICHE 08 RICERCA 12 FARE CHIAREZZA 14 STORIA DELLA MEDICINA 16 FARMACOVIGILANZA 18 NUTRIZIONE 20 IFOM 22 NOTIZIE FLASH 24 TESTIMONIANZA 26 SPERIMENTAZIONE ANIMALE 28 RACCOLTA FONDI 30 IL MICROSCOPIO

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Affrontare le leucemie infantili con lo spirito scout Progressi della ricerca AIRC

La medicina personalizzata ha grandi pregi e anche limiti che ora si cominciano ad affrontare

Grandi potenzialità e dubbi per la medicina personalizzata

Gli ormoni vegetali che fanno discutere

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Il tumore non è una malattia della modernità. Le ricerche in paleontologia ci dimostrano che ne soffrivano anche i nostri antenati

Quanti anni ha il cancro? Ce lo dicono i fossili La farmacovigilanza funziona se si comunica bene Cenoni senza eccessi per mantenersi sani In IFOM si studia come invecchia la cellula Dal mondo

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La forza di resistere a malattie e avversità Senza il modello animale niente vaccino anti-HPV Insieme ai partner pensiamo a mamme e bambini La grande sfida di studiare la metastasi

FONDAMENTALE

Anno XLV - Numero 5 Dicembre 2017 - AIRC Editore DIREZIONE E REDAZIONE: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro Via San Vito, 7 - 20123 Milano tel. 02 7797.1 - airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa N.I.I.A.G. SpA Bergamo DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Contucci

Gli effetti collaterali dei farmaci vengono raccolti e studiati

Sopravvivere a un tumore pediatrico è questione di resilienza

CONSULENZA EDITORIALE Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) COORDINAMENTO EDITORIALE Francesca Mastruzzo, Anna Franzetti REDAZIONE Francesca Mastruzzo PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Umberto Galli TESTI Agnese Codignola, Cristina Ferrario, Susanna Guzzetti, Daniela Ovadia, Nicla Panciera, Fabio Turone FOTOGRAFIE Simone Comi, Getty Images, Giulio Lapone

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EDITORIALE

Pier Giuseppe Torrani

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Presidente AIRC

Dalla parte dei bambini

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uesto numero di Fondamentale esce nel periodo natalizio. Il Natale è da sempre la festa dei bambini: ricordo ancora bene i miei natali da piccolo. Eravamo sfollati in una grande villa in campagna a causa della guerra. Eravamo sette famiglie e trentasei bambini: l’aspettativa dei regali che ci avrebbe portato il bambino Gesù era grande anche se i doni erano quelli che la guerra consentiva. Ma il Natale era una preziosa occasione di coinvolgimento di tutti noi da parte dei “grandi”: si faceva il presepe (allora non esisteva l’albero di Natale) e si preparava la recita dove noi bimbi raccontavamo a turno la narrazione della nascita. A me capitò di fare la parte di Giuseppe, a mio fratello appena nato quella del bambino Gesù, in una cesta di vimini. L’intera casa era coinvolta in questo grande gioco collettivo. Non avevamo notizie di patologie oncologiche: le malattie di noi bambini erano il morbillo, la difterite, la scarlattina e le varie infezioni. I tumori infantili erano pressoché sconosciuti e i bimbi morivano in assenza di diagnosi e cura. Eppure crescevamo con la gioia di vivere. Negli ultimi quarant’anni è stata fatta molta strada: l’82 per cento dei bambini e l’86 per cento degli adolescenti è in vita cinque anni dopo la diagnosi di tumore. Ma la ricerca non può fermarsi adesso. Per il quinquennio 2016-2020 si stima che saranno diagnosticate 7.000 neoplasie tra i bambini e 4.000 tra gli adolescenti. In questo numero raccontiamo la storia di un ricercatore che ha dedicato la sua vita allo studio della leucemia linfoblastica acuta, una neoplasia del midollo osseo, la più frequente tra i bambini. Andrea Biondi voleva vedere i bambini guarire: partito con una borsa di studio AIRC, oggi è direttore della Clinica pediatrica della Fondazione MBBM dell’Ospedale San Gerardo di Monza. C’è anche un’altra storia che ci parla di questa malattia: Eleonora Guzzi aveva quindici anni, quando la diagnosi di leucemia linfoblastica acuta le cambiò la vita. Dopo due anni di terapie e tre di controlli ha ricevuto il “Passaporto del guarito”. Oggi si spende per raccontare la sua esperienza e aiutare chi ci sta passando, anche con la sua attività di testimonial AIRC. Grazie al sostegno di tutti potremo rendere più grande il futuro di tanti bambini.

Fondamentale per i tumori pediatrici

Alcuni articoli di questo numero di Fondamentale sono dedicati ai tumori pediatrici e sono riconoscibili grazie al simbolo dell’aquilone.

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VITA DA RICERCATORE Andrea Biondi

Affrontare le leucemie infantili con lo spirito scout Una giovinezza spesa tra ricerca e clinica, sotto l’ala di grandi medici e ricercatori, ha portato Andrea Biondi a dirigere uno dei centri italiani di punta per la cura delle neoplasie ematologiche pediatriche

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PAROLA CHIAVE: COLLABORARE

onza, dove si curano i pazienti lombardi e il 20 per cento dei casi di leucemie in Italia, è da tempo un centro chiave nella rete oncoematologica pediatrica del Paese, costituita dall’Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (AIEOP) che riunisce professionisti dell’ematologia, dell’oncologia e dell’immunologia nel bambino e nell’adolescente. “Da 25 anni,

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la diagnostica è gestita dal nostro hub a Padova, guidato da Giuseppe Basso, dove arrivano tutti i midolli prelevati” racconta Biondi. “Qui eseguiamo l’analisi genetica sui campioni dei 450 bambini che ogni anno si ammalano e si rivolgono al nostro network”. Per garantire i massimi standard di qualità del percorso di cura, l’AIEOP gestisce, direttamente o indirettamente, tutti i protocolli di diagnosi e cura

del bambino, che ormai hanno comunque una dimensione internazionale. Biondi presiede il network europeo, l’IBFM (International Berlin-Frankfurt-Münster Study Group) a cui aderiscono i gruppi nazionali. Ma la rarità di certe malattie impone di guardare oltre l’Europa. “Abbiamo appena avviato uno studio che vedrà la partecipazione di tutti i centri


In questo articolo:

leucemie tumori pediatrici bersagli molecolari

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a cura di NICLA PANCIERA niziare in un piccolo ospedale, lontano dall’accademia e dalle grandi cliniche, comporta molte difficoltà ma può essere un’esperienza alquanto formativa. Per Andrea Biondi, direttore della Clinica pediatrica della Fondazione MBBM dell’Ospedale San Gerardo di Monza e una carriera a cavallo tra clinica e ricerca, questo ha significato sviluppare la capacità diagnostica, sia dal punto di vista del metodo che dell’approccio al paziente, accompagnando sempre la curiosità con il rigore. “Volevo vedere la realtà vera e ho avuto la fortuna di lavorare con uno straordinario internista, Gaspare Jean, tra le altre cose insignito di un Ambrogino d’oro nel 2009”. La decisione di studiare medicina risale agli ultimi anni del liceo. “Intravvedevo nella professione di medico la possibilità di coniugare due aspirazioni che sentivo forti fin da quegli anni: da una parte l’interesse scientifico, dall’altra la voglia di relazione con gli altri esseri umani, che considero l’essenza della vita e anche il suo mistero. E, non da ultimo, l’idea di essere d’aiuto”. Questo è il tratto distintivo che accomuna le tappe del suo percorso che ha seguito tanti sentieri diversi – dalla biologia molecolare all’immunologia fino all’editing genetico – imboccati nel tentativo di rispondere a domande clini-

che, per le quali si sono rivelati tutti cruciali. E poi c’è il caso: “Lo dico sempre ai miei studenti: impegnatevi al massimo e date il meglio di voi ma lasciate spazio all’imponderabile delle circostanze e degli incontri”. E anche alla passione, che a volte indirizza molto più del talento.

europei e del Children Oncology Group, che ha base negli Stati Uniti e in Canada, a un protocollo accademico per il miglioramento delle cure di una forma di leucemia rara nel bambino, la Philadelphia positiva, la cui storia è cambiata grazie all’arrivo di farmaci biologici. L’obiettivo è esplorare come modulare l’intensità del trattamento chemioterapico per ottenere i massimi benefici. Con soli 60 casi l’anno in Europa e altrettanti in America, nessun Paese

potrà mai affrontare da solo un simile interrogativo”. Iniziative cruciali che “richiedono tempo e non beneficiano di finanziamenti, se non quelli delle charity come AIRC, che per me è stata da sempre fondamentale, perché mi ha permesso di andare a Boston e poi, al mio rientro in Italia, mi ha sempre sostenuto permettendomi di far progressivamente crescere il gruppo. AIRC con le sue strategie di finanziamento raccoglie frutti a lungo termine”.

Due specialità per curare meglio

Biondi ha conseguito due specialità, prima in pediatria e, poi, in ematologia. “Volevo vedere i bambini guarire” ammette Biondi, una gioventù negli scout, organizzazione nella quale ha continuato a operare a lungo in qualità di capo nazionale Agesci, importando in Italia iniziative che all’estero erano già una realtà, come il coinvolgimento di bambini disabili nelle attività all’aperto. Con lo stesso spirito ha contribuito alla realizzazione della nuovissima sede del Centro Maria Letizia Verga e della Fondazione Tettamanti del San Gerardo di Monza, di cui è il direttore scientifico, dove i bambini hanno a disposizione, oltre a un day hospital, spazi per l’accoglienza, servizi, sale giochi e ricreative, per un totale di quattro piani e 7.700 metri quadri. Dopotutto, come recita il motto del fondatore del movimento, Baden-Powell, “scout un giorno, scout per sempre”. Dallo scoutismo deriva anche l’idea

Pediatra ed ematologo per vederli guarire

di fare il servizio civile: “Venni a sapere che l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri prendeva obiettori di coscienza e mi inserii nell’unità di ricerca di Alberto Mantovani, cui devo moltissimo. Lasciava sul tavolo le riviste scientifiche sulle quali annotava gli articoli da leggere ‘per Andrea’”. Grazie a una borsa AIRC, Biondi parte per Boston con la moglie, insegnante di lingue e conosciuta nello scoutismo. Destinazione: il dipartimento di Tumor Immunology al Dana Farber Cancer Institute della Harvard Medical School, in un momento di grande sviluppo della tecnologia legata agli anticorpi monoclonali. Negli USA, nel dicembre 1983, nasce anche il primo figlio, Matteo. L’anno successivo, il rientro al Mario Negri è l’inizio di un periodo molto faticoso ma appagante di attività di ricerca e clinica che lo ha visto impegnato nella costruzione di un laboratorio di ricerca nella clinica pediatrica dell’ospedale di Monza, diretta da Giuseppe Masera, padre della lotta alle leucemie infantili.

Aggiornamento continuo

“Con l’esplosione della biologia molecolare, da immunologo decisi che dovevo acquisire nuove competenze, quindi partii alla volta del BioResearch Department dell’Ontario Cancer Institute, in Canada, dove mi ritrovai di nuovo al bancone. Questa volta la famiglia rimase in Italia, perché nel frattempo era nato Simone. La lontananza è stata difficile, anche per mia moglie che si prese carico di tutto, famiglia e lavoro, in condizioni economicamente non facili come erano in quei primi anni” ricorda. Oggi né Matteo né Simone né il terzo figlio, Filippo, hanno seguito le sue orme. “I più grandi sono ingegneri, Filippo invece sta facendo il dottorato in economia a Lovanio, in Belgio”. Un padre troppo ingombrante? “Non credo” si schernisce. E, scherzando: “A contenere la mia personalità ci pensa mia moglie, per fortuna”. Trovarsi nei luoghi e nei momenti di maggior fermento scientifico ha riDICEMBRE 2017 | FONDAMENTALE | 5


VITA DA RICERCATORE

Farmaci per le resistenze

chiesto un impegno totale: “Oggi però penso spesso a quanto mi sarebbe piaciuto avere più tempo per la famiglia”. L’ambito nel quale ha maggiormente operato Andrea Biondi è quello della leucemia linfoblastica acuta (LLA), una neoplasia del midollo osseo. È la più frequente nei bambini e costituisce il 75 per cento dei casi di leucemia infantile. La buona notizia è che il 90 per cento dei pazienti in età pediatrica guarisce o ha una lunga sopravvivenza. “La malattia si sviluppa a partire dai linfoblasti, che sono i precursori dei linIn basso da sx a dx: Giovanni Cazzaniga, Marta Serafini, Andrea Biondi e Giuseppe Gaipa con il proprio staff di ricercatrici.

DOPO IL CANCRO, UNA VITA DAVANTI

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l primo registro italiano degli off therapy, cioè dei pazienti che non sono più in cura perché si trovano in fase di remissione, lo si deve a Giuseppe Masera, fu una sua intuizione” dice Andrea Biondi. Oggi, l’attenzione al follow-up dei ragazzi guariti è diventato uno dei temi principali in oncologia pediatrica. Il concetto, relativamente recente ma fondamentale, è la necessità di valutare e prevenire le conseguenze e le malattie causate proprio

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fociti, cellule del sistema immunitario incaricate di combattere le infezioni. Nella LLA, alcuni linfoblasti subiscono gravi mutazioni genetiche che impediscono la loro normale maturazione in linfociti e li spingono a proliferare in modo incontrollato, invadendo il midollo osseo dove ostacolano lo sviluppo delle cellule normali” spiega Biondi. L’attività di ricerca da lui coordinata riguarda la genetica molecolare applicata alla diagnostica e al monitoraggio delle malattie leucemiche del bambino: “L’obiettivo è quello di individuare nuovi fattori di rischio in base ai quali indirizzare in modo appropriato le terapie e individuare e sperimentare nuove cure mirate, più efficaci e meno tossiche”.

dalle cure salvavita a cui sono stati sottoposti. La “lungo-sopravvivenza” definisce infatti tutti coloro che hanno avuto una diagnosi di tumore da oltre cinque anni e i pazienti “survivor” ovvero i liberi da malattia, che possiamo considerare guariti e che non si stanno sottoponendo ad alcuna terapia. Tra le categorie più vulnerabili, i piccoli pazienti pediatrici. “I bambini che guariscono hanno una vita davanti e bisogna pensare alle complicanze a lungo termine cui possono andare incontro, come la possibilità di sviluppare secondi tumori e altre malattie indotte dal trattamento, cioè gli effetti tardivi di chirurgia, radio o chemio”. L’attenzione a questo aspetto ha progressivamente imposto la modulazione dei trattamenti di chemio e radioterapia.

Il cambiamento in corso nelle terapie oncologiche è tale che l’analisi genetica del singolo caso è diventata indispensabile e ha consentito di utilizzare nuove classi di farmaci per i casi resistenti o refrattari alle terapie più classiche. Ora la speranza viene dalla possibilità di dinamizzare i linfociti nella loro lotta alle cellule del cancro. “Stiamo parlando di cellule immunitarie riprogrammate tramite l’editing genetico e che esprimono sulla superficie particolari recettori, i CAR (Chimeric Antigen Receptor T-cells) che rendono le cellule T in grado di attaccare e distruggere le cellule tumorali”. Questo consente un trattamento personalizzato, sviluppato individualmente per ogni paziente, per ora piuttosto costoso, ma molto promettente. Ancora una volta, puntare sulla ricerca paga: “Siamo stati una delle prime istituzioni in Italia, nel 2007, ad avere dall’AIFA l’autorizzazione di cell factory, che oggi è mantenuta da Ospedale e Fondazione Tettamanti. Abbiamo sviluppato protocolli di terapie cellulari per vari contesti” racconta Biondi. “Per la leucemia linfoblastica acuta partirà a breve il primo protocollo di utilizzo dei CAR, sviluppato interamente da noi, e che ha ottenuto i permessi per essere portato alla fase di sperimentazione clinica sui bambini e sugli adulti. Ancora una volta AIRC ha sostenuto (con il 5 per mille) il Programma, coordinato da Alberto Mantovani, di cui il nostro progetto è una costola”. Un motivo di soddisfazione per un piccolo istituto che non può contare sulle risorse di una grande casa farmaceutica. “Se la cura funzionerà sarà la dimostrazione di cosa si può ottenere unendo le forze dell’università e delle associazioni non profit”. L’integrazione degli sforzi di tutti, anche a livello mondiale, ha spinto il centro di oncoematologia di Monza a organizzare iniziative per il trasferimento delle proprie conoscenze nei Paesi a basso reddito dell’America Latina.


della ricerca AIRC Colpire le centrali energetiche

Donne informate per la mammografia

Un attacco mirato ai mitocondri, organelli cellulari definiti “le centrali energetiche della cellula”, riesce a distruggere il tumore senza danneggiare le cellule sane. Lo si legge sulla rivista Cancer Cell dove un gruppo composto da ricercatori tedeschi e dell’Università di Padova ha pubblicato i risultati di uno studio portato a termine anche grazie al contributo di AIRC. “La proteina Kv1.3, presente sulla membrana dei mitocondri, forma un canale attraverso il quale passa il potassio” spiega Ildiko Szabo, coordinatrice del gruppo padovano, precisando che la presenza di Kv1.3 è molto più comune sui mitocondri delle cellule tumorali che su quelli delle cellule sane. Da qui l’idea di creare un farmaco capace di colpire questa proteina per eliminare il tumore. In laboratorio l’approccio ha funzionato: il composto è riuscito a uccidere il 98 per cento delle cellule leucemiche, mentre in modelli animali di melanoma e tumore del pancreas ha ridotto le dimensioni del cancro del 90 e del 60 per cento rispettivamente. Prima di passare alla clinica servono conferme ma i risultati sono incoraggianti.

Anche per mettere a punto uno strumento informativo efficace per i pazienti è necessario un approccio scientifico. Ed è esattamente quello che ha scelto il progetto “Donna Informata”, finanziato da AIRC, che ha messo a punto un programma a tappe, disponibile online, per informare correttamente le donne sullo screening mammografico. Tra gli esperti, infatti, c’è accordo sul fatto che nei libretti e negli strumenti informativi debbano essere esplicitati in modo corretto tutti i potenziali benefici ma anche i danni, nonché i dati incerti e le controversie ancora oggi presenti tra i ricercatori. Lo strumento è pensato per essere usato durante il processo decisionale che una donna deve mettere in atto prima di decidere se accettare o meno l’invito allo screening mammografico, alla luce delle corrette informazioni ricevute e dei propri valori, preferenze ed esperienze. È basato su ciò che è emerso da focus group ma anche dalla revisione della letteratura scientifica sullo screening e sul modo di comunicare le controversie e le incertezze esistenti sul tema. Lo strumento è ora in corso di valutazione all’interno di uno studio clinico randomizzato che si svolgerà in tre centri screening, Torino, Firenze e Palermo, su donne tra i 45 e i 53 anni che per la prima volta verranno invitate a fare una mammografia all’interno del programma organizzato di screening.

Un vecchio farmaco per la leucemia

L’acriflavina, un vecchio antisettico, potrebbe rappresentare una strategia efficace per spegnere definitivamente la leucemia mieloide cronica. “Grazie ai farmaci diretti contro la molecola BCR/Abl oggi il 90 per cento circa dei pazienti sta bene a cinque anni dalla diagnosi” spiega Persio Dello Sbarba, coordinatore di uno studio pubblicato sulla rivista Blood, che poi precisa: “Dopo le terapie rimane il rischio di un ritorno della malattia legato soprattutto alla presenza di cellule staminali tumorali”. Con il sostegno di AIRC, i ricercatori dell’Università di Firenze hanno scoperto che l’acriflavina è in grado di rallentare la crescita del tumore e di colpire in modo specifico le staminali tumorali senza danneggiare in modo eccessivo le staminali ematopoietiche sane che danno origine alle cellule del sangue. Il nuovo ruolo dell’acriflavina è stato testato solo su modelli sperimentali ma, se confermato, potrebbe affiancare la terapia esistente.

... altre ricerche su: airc.it/ricerche-airc DICEMBRE 2017 | FONDAMENTALE | 7


RICERCA Oncologia di precisione

Grandi potenzialità e dubbi per la medicina personalizzata Le recenti scoperte sulle caratteristiche molecolari dei tumori hanno dato grande impulso alla medicina personalizzata in oncologia, ma nonostante le ottime premesse alcuni ostacoli limitano la creazione di trattamenti disegnati ad hoc per ogni singolo paziente 1 2 3 4

a cura di CRISTINA FERRARIO n tempo quasi tutti i tumori venivano trattati con terapie simili allo scopo di bloccarne la crescita. In seguito ci si è accorti che i diversi tumori hanno caratteristiche cliniche differenti e in base a quelle si è cominciato a sviluppare terapie differenziate. Infine, ed è ciò che accade oggi nella ricerca oncologica, lo sguardo è andato ancora più a fondo e si è compreso che le caratteristiche molecolari e genetiche della malattia possono davvero fare la differenza. Grazie a queste scoperte è nata l’idea della medicina personalizzata, costruita su misura per ciascun paziente e che rappre-

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Quest’anno vogliamo affrontare in particolare quattro grandi sfide: 1-immunità e cancro, 2-prevenzione, 3-cancro e ambiente e 4-identificazione dei bersagli per cure mirate. Questa ricerca risponde alla sfida 4. Per approfondire vai su www.airc.it/sfide 8 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2017

senta un obiettivo per tanti ricercatori e una speranza per molti malati. Le promesse della medicina personalizzata non sono ancora però state del tutto mantenute e i fallimenti non mancano. Capirne le ragioni e i limiti può essere utile per chiarirsi le idee e non creare false speranze. PERSONALIZZATA O DI PRECISIONE? Un primo problema da risolvere riguarda proprio il nome della nuova oncologia che accende i riflettori sulle caratteristiche molecolari dei tumori e su altri fattori specifici o individuali che possono modificare il corso della malattia o la risposta alle cure. Come spiegano gli esperti del National Research Council statunitense, i due termini “personalizzata” e “di precisione” vengono spesso utiliz-


PROGETTI INTERNAZIONALI

In questo articolo:

NON È SCIENZA PER SOLITARI

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eppur ancora frammentata, la ricerca si sta organizzando per rendere più fruttuosi i tentativi di colpire il cancro nelle sue caratteristiche più nascoste, quelle genetiche e molecolari. Sono nati così diversi consorzi che riuniscono sotto un obiettivo comune ricercatori di diversi Paesi con lo scopo di scattare una fotografia molecolare dei tumori più chiara possibile dalla quale partire per trovare nuove terapie sempre più precise e personalizzate. Negli Stati Uniti, il progetto The Cancer Genome Atlas (TCGA) lanciato nel 2006 dal National Cancer Institute (NCI) e dal National Human Genome Research Institute (NHGRI) per definire le caratteristiche genomiche e molecolari di due tumori, è cresciuto nel tempo fino a includere trentatré tipi di cancro e migliaia di campioni da pazienti. Su questo materiale si lavora incessantemente alla ricerca di informazioni preziose da condividere poi con la comunità scientifica: a oggi è già stato completato il sequenziamento del DNA che dà origine alle proteine di quasi tutti i tumori inclusi nel progetto. L’International Cancer Genome Consortium (ICGC), lanciato nel 2008, è invece un’iniziativa che raccoglie settanta progetti di ricerca internazionali con l’obiettivo comune di creare un catalogo delle anomalie genomiche del cancro.

farmaci bersaglio ricerca di base personalizzazione

zati in modo intercambiabile, ma non hanno esattamente lo stesso significato: “Parlare di medicina personalizzata implica l’idea che il trattamento venga disegnato su un singolo paziente, cosa che non si verifica attualmente. Per questo sarebbe meglio parlare di medicina di precisione, quella cioè che identifica quali approcci siano più efficaci per i diversi pazienti sulla base di fattori genetici, ambientali e di stile di vita”. Indipendentemente dal nome che si vuole utilizzare per descriverla, è importante però sapere che l’uso della medicina di precisione ha un ruolo di primo piano nell’oncologia moderna. Solo per fare un esempio, nel 2016 gli Stati Uniti hanno stanziato 215 milioni di dollari per la medicina di precisione, 70 dei quali destinati al National Cancer Institute per la ricerca sul cancro. L’entusiasmo per questo nuovo modo di vedere e combattere il cancro ha però anche un lato negativo dal punto di vista dell’organizzazione della ricerca e dei suoi futuri progressi. “In genere gli sforzi dei ricercatori sono distribuiti equamente per valutare e approfondire diversi approcci promettenti per la cura del cancro, ma se tutti – indipendentemente gli uni dagli altri – puntano sullo stesso approccio, il rischio è quello di perdere tempo e fondi preziosi se la strada si rivela infruttuosa. Per arrivare a risultati davvero significativi serve coordinare gli sforzi dei diversi istituti verso un programma e obietti-

vi comuni, piuttosto che avere 30 o 40 centri che lavorano separatamente alla stessa strategia terapeutica, seppur di precisione” spiega Ian Tannock, oncologo canadese e autore di un articolo intitolato Limiti dell’oncologia personalizzata apparso l’anno scorso sul New England Journal of Medicine, una delle riviste mediche più importanti al mondo. TROVARE UN BERSAGLIO NON BASTA Uno dei punti di forza della medicina di precisione è senza dubbio l’identificazione di specifici bersagli molecolari presenti sulle cellule tumorali che permettono alla malattia di crescere e magari di diffondersi in organi lontani: partendo da queste molecole si possono costruire farmaci ad hoc capaci di colpire proprio quel bersaglio e per questo definiti anche “intelligenti”. Solo se il tumore presenta quella particolare caratteristica ha senso utilizzare la terapia intelligente, altrimenti il trattamento andrebbe a vuoto e porterebbe solo effetti collaterali, oltre ovviamente alla perdita di tempo prezioso. Così, per esempio, il farmaco trastuzumab risulta efficace nei tumori del seno che esprimono la molecola HER2, ma è inutile nei tumori mammari che ne sono privi. Senza dubbio questo approccio ha permesso di compiere enormi passi avanti nel trattamento di numerosi tumori, ma ci sono problemi che limitano l’uso di tali terapie o le rendono efficaci

Bisogna diversificare gli approcci alla ricerca

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RICERCA Oncologia di precisione

solo in parte: la complessità dei segnali e delle interazioni molecolari all’interno della cellula e la tossicità delle terapie stesse. In effetti, con le terapie a bersaglio si interrompe in un punto ben preciso la catena di segnali che permettono alla cellula tumorale di crescere, ma la cellula riesce spesso a trovare vie alternative per portare avanti il proprio disegno. Si può ovviare a questo trasformismo utilizzando una combinazione di farmaci a bersaglio ma, per quanto considerate in genere meno tossiche della chemioterapia classica, anche le terapie intelligenti sono aggressive e difficilmente risultano tollerabili per l’organismo se utilizzate in dosi troppo massicce o in determinate combinazioni. E non è tutto. Per poter sapere se un tumore presenta il bersaglio molecolare è necessario sottoporre il paziente a biopFARMACI EFFICACI

STORIE DI SUCCESSO

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li ostacoli che ancora oggi limitano l’uso della medicina di precisione o personalizzata non devono far pensare che si tratti di un campo della ricerca sul quale non vale la pena investire. I successi di questo approccio non mancano, come dimostra il caso del farmaco imatinib, meglio noto con il nome commerciale di Glivec, che ha letteralmente rivoluzionato il trattamento della leucemia mieloide cronica. Inibendo il gene Bcr-Abl, tipico di questa forma di tumore, imatinib ha reso possibile la cura della maggior parte dei casi diagnosticati. Ci sono poi trastuzumab che agisce contro i tumori mammari HER2-positivi (così chiamati perché presentano la molecola HER2 in quantità particolarmente elevate), gefitinib ed erlotinib che sono efficaci nel tumore del polmone con mutazioni nella molecola EGFR e molti altri ancora, in un elenco destinato ad allungarsi in seguito alle nuove scoperte sulla biologia dei tumori.

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sia e a un’analisi molecolare che, seppur sempre più comune e meno costosa, potrebbe non essere disponibile in tutti i centri di cura. DARWIN, L’EVOLUZIONE E IL CANCRO Il tumore è una malattia molto complessa. Gli esperti non si stancano di ripeterlo e gli studi molecolari non fanno altro che produrre ogni giorno nuove conferme a questa realtà che complica ulteriormente l’uso della medicina di precisione. Innanzitutto le cellule tumorali presentano una grande eterogeneità, tanto che i frammenti di tessuto prelevati in diverse regioni all’interno dello stesso tumore, oppure dal tumore primario e dalle sue metastasi, possono mostrare caratteristiche

molecolari differenti. Questo fa sì che un farmaco a bersaglio possa risultare efficace per distruggere una parte della malattia, lasciandone intatta o quasi un’altra, oppure che un farmaco utilizzato per curare il tumore primario non sia efficace per eliminare le sue metastasi. A complicare ulteriormente un quadro già molto intricato entra in gioco anche l’evoluzione. In alcuni casi si tratta di un concetto simile a quello che Darwin ha ipotizzato per le specie viventi, per cui le cellule più adatte a sopravvivere in determinate condizioni hanno la meglio rispetto alle altre. Ciò significa che nel tumore ci sono alcune caratteristiche molecolari comuni a tutte le cellule, mentre altre sono specifiche di singoli

Sopravvivono le cellule più adatte all’ambiente


LA MUTAZIONE PRIMIGENEA

DOVE VA LA RICERCA cloni (gruppi di cellule derivate da un progenitore comune) ed emergono solo in condizioni particolari, per esempio in seguito ai trattamenti. Ecco perché un tumore, così come ogni organismo vivente, non resta sempre uguale a se stesso, ma evolve costringendo i medici a cambiare le terapie in corso d’opera a causa della comparsa di resistenze. Nell’ottica della medicina di precisione, bisognerebbe ripetere a cadenza regolare le analisi molecolari per essere certi di utilizzare sempre il farmaco giusto al momento giusto, ma ciò si rivela costoso dal punto di vista economico e piuttosto complicato per il paziente, che dovrebbe sottoporsi a continue biopsie. La biopsia liquida, che consiste nella ricerca di tracce del tumore nel sangue, potrebbe contribuire a risolvere almeno la seconda parte del problema, anche se continuerebbero a persistere gli ostacoli legati all’eterogeneità della malattia. L’“OMICA” ENTRA IN CLINICA “Difficilmente il cancro è il risultato di un’unica modifica molecolare o cromosomica: molto più spesso l’andamento della malattia e la sua risposta alle terapie sono determinati da una serie di cambiamenti e di interazioni tra diversi geni o proteine” spiega ancora Ian Tannock. Anche per questo, invece di andare alla ricerca del singolo “capro espiatorio” al quale attribuire tutta la responsabilità, i ricercatori spesso si concentrano sulla creazione di “profili” specifici dei tumori che possono aiutare gli esperti a capire meglio la

malattia e a scegliere la terapia più adatta. Nascono così le discipline “omiche” – genomica, proteomica, metabolomica, eccetera – che analizzano contemporaneamente l’espressione di molti geni, proteine o metaboliti. Ciò che si ottiene in queste analisi è una sorta di “firma” molecolare del tumore che può aiutare a classificare i pazienti sulla base del rischio di ricaduta determinato da caratteristiche diverse da quelle tradizionalmente utilizzate e non visibili a occhio nudo in clinica. Anche in questo caso però i dubbi non mancano. Ci si domanda infatti quale ripercussione abbia in clinica l’individuazione di questi profili e se veramente ci si possa basare su tali analisi per scegliere il trattamento. Non bisogna dimenticare inoltre che queste firme possono cambiare se cambiano i pazienti dai quali sono stati prelevati i campioni per le analisi o se sono diversi i parametri statistici con i quali sono stati ottenuti i risultati. A conti fatti, le tecnologie “omiche” possono essere utili, ma spesso per poter dare una interpretazione clinica ai dati si deve sacrificare (almeno in parte) la precisione. Per fare un esempio, quando si osservano 70 geni della firma molecolare del tumore al seno e poi si fissa una soglia sulla base della quale i pazienti vengono suddivisi in due soli gruppi (ad alto e basso rischio), si perde la specificità di un’analisi fatta su decine di geni, ma si ottiene comunque un’informazione importante per aiutare le decisioni cliniche future.

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a ricerca non smette di porsi domande su come trovare i talloni d’Achille dei tumori, quelli che permetterebbero, per esempio, di lasciarsi alle spalle i problemi legati all’evoluzione della malattia e alla sua eterogeneità. Si potrebbe per esempio cercare quella particolare mutazione – ammesso che esista – presente in tutte le cellule tumorali sin dall’inizio e che le rende tali: colpire un simile bersaglio significherebbe spegnere per sempre la malattia. Si tratta di cercare un ago in un pagliaio, ma ciò non significa che sia un obiettivo irrealizzabile: un esempio è il gene Bcr-Abl che si forma nella leucemia mieloide cronica (vedi box a pag. 10). L’avvento della medicina di precisione sta in ogni caso cambiando anche il modo di studiare i tumori e le nuove terapie. Siamo abituati a sentir parlare di terapie per un determinato tumore in base alla sua localizzazione (seno, polmone, prostata), ora invece si classificano i tumori sulla base delle loro caratteristiche molecolari. E così anche gli studi clinici cominciano a includere pazienti con tumori in diversi organi, ma caratterizzati per esempio dalla stessa mutazione a livello del DNA.

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FARE CHIAREZZA Fitoestrogeni

In questo articolo: fitoestrogeni tumore al seno menopausa

Gli ormoni vegetali che fanno discutere Fanno bene o fanno male? Aumentano o riducono il rischio di ammalarsi di tumore? La risposta non è semplice: gli studi dicono che sono sicuri, ma potrebbe dipendere dall’età

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a cura della REDAZIONE i trovano nella soia ma anche nei legumi, nella frutta e nella verdura. Sono i fitoestrogeni, alcuni composti di origine vegetale che hanno una struttura chimica e una funzione simili a quelle degli estrogeni prodotti dall’organismo umano. Tre sono i principali gruppi di fitoestrogeni: isoflavoni, cumestani e lignani, ciascuno con caratteristiche specifiche. Tra gli alimenti più ricchi di fitoestrogeni e più diffusi nell’alimentazione umana sin dai tempi remoti, la soia occupa senza dubbio il primo posto: contiene infatti fino a cento diversi tipi di fitoestrogeni (soprattutto isoflavoni, genisteina, daidzeina e gliciteina), oltre a una serie di altri composti che ne fanno un alimen-

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to chiave per l’alimentazione salutare. I lignani fanno parte delle fibre alimentari che abbondano nei legumi, nelle noci, nei cereali integrali e in generale in frutta e verdura, mentre i cumestani si trovano nei germogli (per esempio negli alfa-alfa) e nel trifoglio.

Simili a quelli umani Si sente spesso parlare dei benefici per la salute legati al consumo di cibi ricchi di fitoestrogeni, e la loro fama di alleati dello star bene

è in genere meritata. Molti studi hanno infatti dimostrato che queste sostanze portano vantaggi a livello cardiovascolare, aiutano le donne in menopausa a ridurre i sintomi più fastidiosi come le vampate di calore e le sudorazioni notturne, riducono il rischio di osteoporosi e hanno un effetto protettivo contro diversi tipi di tumore. Quindi perché c’è chi mette in guardia dall’assumere estrogeni di origine vegetale? La risposta a questa domanda è racchiusa nella somiglianza tra i fitoestrogeni e gli estrogeni umani e dall’osservazione che in alcuni casi le molecole vegetali si comportano come “distruttori endocrini” per diversi bersagli molecolari nell’organismo, portandosi dietro una serie di effetti negativi per la salute. In altre parole, a seconda del contesto, i fitoestrogeni possono ampliare o ridurre l’effetto degli estrogeni endogeni (che vengono prodotti dall’organismo).

Amici o nemici? Il legame tra fitoestrogeni e cancro è ancora molto dibattuto. Gli studi epidemiologici mostrano in genere che il consumo di alimenti ricchi di queste molecole ha un effetto protettivo in particolare sul tumore del seno (il più studiato in rapporto ai fitoestrogeni).


Questo effetto è stato studiato con grande attenzione in Cina e in altri Paesi asiatici dove il consumo di soia, e quindi di fitoestrogeni, è particolarmente elevato e di certo superiore a quello delle diete occidentali. Da tali studi emerge una diminuzione del rischio di cancro al seno indipendentemente dal fatto che la malattia sia positiva o negativa per la presenza del recettore degli estrogeni (ER), uno dei punti critici quando si cerca di capire l’effetto dei fitoestrogeni sulla proliferazione del tumore. Le cellule ER+ sono infatti sensibili all’azione degli estrogeni, che ne possono stimolare la crescita, quindi è sorto il dubbio (sulla base di risultati di esperimenti di laboratorio) che anche i fitoestrogeni potessero agire come promotori del tumore o potessero interferire in qualche modo con l’azione delle terapie ormonali contro il cancro. Se così fosse, le donne con una precedente diagnosi di tumore ER+ dovrebbero evitare qualsiasi cibo contenente tali sostanze. In realtà, la ricerca è giunta a conclusioni differenti, anche se non ancora definitive: il consumo di soia e altri alimenti contenenti fitoestrogeni non è controindicato per nessuno, anche se in caso di una precedente diagnosi di tumore è meglio far riferimento al proprio oncologo per capire cosa è meglio portare a tavola.

seconda del periodo della vita nel quale li si assume: sono più protettivi contro il rischio di tumore al seno se assunti in adolescenza, più “neutri” se assunti in là negli anni. E ci sono poi tutte le variabili presenti negli studi clinici, in primo luogo quelle che riguardano la popolazione presa in esame. Uno studio svolto in Asia difficilmente sarà confrontabile con uno svolto in Occidente: sono diverse le caratteristiche genetiche delle persone coinvolte, e di conseguenza anche la loro capacità di interagire con i fitoestrogeni, e sono altrettanto diverse le abitudini alimentari (un consumo “alto” di soia negli Stati Uniti risulterebbe probabilmente “basso” in Cina). Non bisogna dimenticare, infine, che quando si vuole valutare l’effetto dei fitoestrogeni assunti con l’alimentazione si deve tener conto del fatto che ogni alimento ne contiene diversi ed è il loro insieme a dare l’effetto

finale, positivo o negativo che sia. Dati tutti questi problemi irrisolti, gli esperti sono cauti e sostengono che al momento la strategia migliore è quella di evitare gli eccessi in un senso o nell’altro: niente paura dei fitoestrogeni, ma tanta consapevolezza e informazione. Per quanto riguarda in particolare il rischio di sviluppare un cancro, l’attenzione degli esperti si è rivolta soprattutto ai tumori più sensibili agli estrogeni, come per esempio quello del seno, dell’endometrio e della prostata e, a conti fatti, dagli studi emerge che una dieta ricca di fitoestrogeni (e quindi di legumi, frutta e verdura) ha comunque effetti protettivi, anche in chi ha già avuto una diagnosi di tumore. Diverso è il discorso legato ai supplementi a base di fitoestrogeni: non serve assumerli a scopo preventivo e non ci sono ancora dati sufficienti per escludere effetti negativi sulla salute.

Le variabili epidemiologiche sono complesse da valutare

Una ricerca condotta a ritroso

Potrebbe sembrare strano che nonostante i numerosi sforzi della comunità scientifica ancora non si sia giunti a conclusioni definitive sul rapporto tra consumo di fitoestrogeni e rischio di sviluppare un tumore. In realtà, guardando alla complessità dei fitoestrogeni, al numero molto elevato di molecole che li rappresentano e alle difficoltà di generare dati davvero confrontabili tra i diversi studi clinici si può comprendere perché sia così complesso trovare il bandolo della matassa. Innanzitutto bisogna tener conto del fatto che gli effetti dei fitoestrogeni cambiano a DICEMBRE 2017 | FONDAMENTALE | 13


STORIA DELLA MEDICINA Tumori primitivi

Quanti anni ha il cancro? Ce lo dicono i fossili Si parla spesso del tumore come di una malattia della modernità legata alle modificazioni massicce dell’ambiente da parte dell’uomo e ai cambiamenti degli stili di vita. La paleontologia e l’archeologia, però, raccontano un’altra storia

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a cura di CRISTINA FERRARIO wartkrans, Sud Africa, a poche decine di chilometri dalla capitale Johannesburg e nel bel mezzo della cosiddetta “culla dell’umanità”, la zona da cui la nostra specie si è mossa per colonizzare il pianeta: è qui che la scoperta di un gruppo di ricercatori dell’Università del Witwatersrand ha permesso di datare indietro nel tempo, fino a 1,6-1,8 milioni

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di anni fa, il primo tumore maligno in un ominide, un antenato del genere umano. Analizzando con le più moderne tecnologie disponibili i reperti fossili ritrovati nel sito archeologico, i ricercatori hanno diagnosticato la presenza di un osteosarcoma maligno, un tumore dell’osso che aveva colpito il nostro antenato a livello del metatarso, nel piede, causandogli probabilmente gravi problemi nella deambulazione. “Non riusciamo a stabilire

LA TECNOLOGIA FA LUCE SUL PASSATO

nche in epoca moderna i medici si trovano di fronte a casi di tumore difficili da diagnosticare a causa delle loro caratteristiche o del punto in cui si trovano nell’organismo. A maggior ragione queste difficoltà si incontrano quando si cerca di identificare un cancro in un reperto fossile, amplificate dal fatto che i frammenti di-

sponibili sono spesso molto piccoli e che si sa poco o nulla del “paziente”. Viene in aiuto la tecnologia che, con strumenti sempre più precisi e sofisticati, riesce a trovare risposta a molte delle domande dei “paleooncologi”. Nel caso dell’osteosarcoma scoperto in Sud Africa, la diagnosi è stata possibile grazie all’utilizzo di una microtomografia

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computerizzata a raggi X in grado di generare immagini in due e in tre dimensioni del piccolo campione disponibile. Questa tecnica, unita alla competenza dei ricercatori e al confronto con campioni moderni, ha permesso di scartare altre possibili diagnosi – come quella di condrosarcoma o carcinoma metastatico – e di arrivare al risultato definitivo.


In questo articolo:

paleontologia storia della medicina archeologia

con esattezza a quanti anni o per quale causa sia deceduto questo ominide, ma siamo certi che il tumore c’è e che risale a circa 1,7 milioni di anni fa” affermano gli autori della ricerca pubblicata recentemente sul South African Journal of Science.

Fattori di rischio vecchi e nuovi

Le cause all’origine dei tumori sono spesso complesse e ancora non del tutto note, ma in linea generale ve ne sono alcune con le quali l’uomo è entrato in contatto sin dalla sua origine. Si tratta innanzitutto dei fattori endogeni, ovvero presenti all’interno dell’organismo stesso: le mutazioni che portano alla trasformazione tumorale di una cellula possono comparire casualmente durante i processi di replicazione cellulare e non c’è motivo di pensare che i nostri antenati ne fossero immuni. Certo è che, essendo l’aspettativa di vita dell’epoca molto più bassa rispetto a quella attuale, gli uomini della preistoria avevano meno possibilità di sviluppare mutazioni, semplicemente perché vivendo meno a lungo andavano incontro a un numero minore di replicazioni cellulari nel corso della loro esistenza. I fattori di rischio esterni possono invece rientrare in tre grandi categorie: fattori fisici, chimici e virali. Le radiazioni solari, responsabili di alcuni tu-

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mori della pelle, erano presenti anche nell’antichità, così come il radon, una sostanza chimica potenzialmente pericolosa, sprigionata da alcuni tipi di rocce. Stesso discorso vale per alcuni virus noti per la loro capacità di dare origine a tumori come il virus dell’epatite B e C (tumore del fegato) o il Papilloma virus (tumore della cervice uterina). I numeri cambiano quando si parla di fattori di rischio che sono comparsi o si sono notevolmente modificati nel corso degli anni: l’epidemia di obesità tipica del mondo moderno ha senza dubbio aumentato il numero di casi di tumori, in particolare di quelli del colon-retto, il fumo di sigaretta ha contribuito enormemente all’aumento dei tumori del polmone e alcuni inquinanti industriali rendono difficile per il nostro organismo resistere agli attacchi quotidiani che possono portare al cancro.

La malattia esiste da quando c’è l’uomo

Fare diagnosi col calendario

Ma se i tumori erano presenti anche nell’antichità e addirittura in epoca preistorica, perché non ne abbiamo notizia? Un primo problema è legato alla definizione di cancro e a come la malattia veniva descritta: Imhotep, medico dell’Antico Egitto vissuto attorno al 2600 a.C., descriveva quello

TUMORI ANTICHI

rima della recente scoperta sudafricana, il più antico tumore maligno osservato in un fossile umano era un cancro presente nella mandibola di un esemplare di Homo ritrovato nel 1932 a Kanam, in Kenya, dal paleontologo britannico Louis Leakey. L’osso risale probabilmente al Pleistocene e ha un’età di circa 1 milione di anni, ma

che potrebbe essere un tumore al seno, ma data la mancanza di dati più precisi non possiamo essere certi che si trattasse proprio di cancro. Si deve aspettare la fine del XVIII secolo per avere descrizioni anatomicamente accurate di tumori maligni così come oggi li conosciamo. Un secondo ostacolo all’identificazione di tumori antichi risiede nel fatto che gli organi e i tessuti molli in genere non si conservano e molte informazioni vengono quindi perse, a meno che non vengano effettuate procedure di mummificazione. Proprio da alcune mummie vecchie di migliaia di anni ritrovate in Perù arrivano i segni di un possibile tumore nella parte superiore del braccio di una giovane donna. I casi di tumori antichi finora rinvenuti interessano prevalentemente le ossa. Questo fatto è facilmente spiegabile: le ossa sono le parti dell’organismo che meglio si conservano fino a noi e inoltre i tumori ossei primari sono più comuni nei giovani, come doveva essere probabilmente la maggior parte dei nostri antenati al momento del decesso. Infine, ma non certo meno importante, i reperti disponibili sono spesso molto piccoli e di conseguenza solo grazie a tecnologie molto sofisticate è possibile arrivare a una diagnosi di tumore sufficientemente attendibile.

ci sono ancora dubbi sulla datazione corretta, così come ci sono dubbi sul tipo di tumore presente, identificato dagli studi ogni volta come una neoplasia diversa, da osteosarcoma a linfoma di Burkitt a osteomielite traumatica. Non mancano però casi di tumori benigni nella Preistoria, come l’osteoma osteoide, scoperto sempre a Swartkrans, nelle

vertebre di uno scheletro di Australopithecus sediba: età stimata 1,9 milioni di anni. Infine, vale la pena ricordare che anche i fossili di altri animali contribuiscono a sostenere l’idea che il cancro fosse presente già nell’antichità. Tra i più remoti, un caso di osteosarcoma benigno in un fossile di pesce di circa 300 milioni di anni, ma sono stati osservati tumori benigni anche nei dinosauri del Giurassico e in mammut di 2324.000 anni fa.

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FARMACOVIGILANZA Come funziona

La farmacovigilanza funziona se si comunica bene Il caso della sospensione di un noto chemioterapico in Francia (poi riabilitato) ha risvegliato l’attenzione sul modo con cui le autorità raccolgono ed elaborano i dati sugli effetti collaterali delle cure

a cura di AGNESE CODIGNOLA i sono 18 morti. Anzi, 27. O, per meglio dire, 48, ma la decisione se utilizzare ancora il farmaco sospetto è lasciata ai medici. È la primavera del 2017 e in Francia, anche grazie alla grande attenzione del quotidiano Le Figaro, scoppia lo scandalo docetaxel: a quanto pare negli ultimi vent’anni risulterebbero molti decessi sospetti per enterocolite o sepsi tra i pazienti trattati con questo chemioterapico. Ma nessuno sembra in grado di dire se è vero, e a che cosa siano dovuti, visto che il farmaco non ha mai destato motivi particolari di preoccupazione. È così che viene sospeso l’uso di una molecola importante per la cura dei tumori del seno, del polmone e della testa e del collo. Quello che è successo, rico-

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struito durante l’estate, si può riassumere così: un vero pasticcio provocato da un incredibile caos metodologico. Il provvedimento di sospensione è infine revocato in luglio. GLI EFFETTI DELLA CONFUSIONE L’indagine era partita da varie segnalazioni ai centri di farmacovigilanza, istituti che raccolgono ed elaborano tutte le segnalazioni di effetti collaterali attesi e inattesi legati al consumo di un farmaco. Un’attività presente in tutti i Paesi evoluti e coordinata anche a livello sovranazionale. Ma i 31 istituti coinvolti nella faccenda del docetaxel, coordinati da quello di Tolosa, hanno separato i propri dati da quelli arrivati da altre sedi, quali i centri delle aziende produttrici e quelli di alcuni laboratori non facenti parte della rete della vigilanza, e l’Agence

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nationale de sécurité du médicament (l’analoga della nostra AIFA – Agenzia italiana del farmaco) non se n’è accorta. Risultato: confusione sui numeri, percentuali sballate, timori diffusi e accuse infondate. Qualcuno ha messo sotto accusa la versione generica del prodotto, appena introdotta. Altri il prodotto di marca, nel quale la concentrazione di farmaco, proprio per contrastare l’arrivo dei generici, è stata aumentata dell’un per cento senza segnalazioni (non obbligatorie quando l’aumento rientra nel 5 per cento). E le domande restavano senza risposta, per via della confusione nelle segnalazioni: i decessi sono stati causati da enterocolite, sepsi o entrambi? E si sono avuti in tutti i tumori trattati o solo in quelli mammari? Alla fine la rilettura dei dati ha portato a escludere motivi di pericolosità e a ripristinare

l’uso del farmaco, sia generico sia di marca. In altre parole: molto rumore per nulla. Ma la domanda è: si poteva evitare questa circostanza nociva per i pazienti? Che cosa non ha funzionato? NORME BEN PRECISE L’incidente francese colpisce perché la farmacovigilanza, ormai, dovrebbe rispondere a normative europee molto chiare, pensate proprio per evitare crisi del genere e, anzi, per far sì che un problema emerso in un certo Paese sia immediatamente individuato e risolto prima che arrivi anche in altri. Ma evidentemente è un ambito talmente delicato che anche un piccolo intoppo può mandare in tilt il meccanismo. Secondo il Regolamento europeo del 2010 (numero 1235) è da considerare effetto avverso da segnalare qualunque “effetto nocivo e non


FAKE NEWS

In questo articolo:

IL CASO PAPILLOMA

farmaci effetti avversi farmacovigilanza

voluto conseguente all’uso di un medicinale”, definizione in cui sono incluse anche le reazioni causate da errore terapeutico, abuso o uso improprio del farmaco, uso off label (cioè non conforme alle indicazioni contenute nell’autorizzazione all’immissione in commercio), sovradosaggio, nonché le reazioni avverse associate a esposizione al medicinale per motivi professionali, ma anche quelle derivanti dall’uso corretto della terapia. La definizione è ampia, proprio per avere il miglior controllo possibile e maggiore sicurezza. In Italia si fa riferimento alla Rete nazionale di farmacovigilanza (RNF), attiva dal 2001 e incaricata di raccogliere, gestire e analizzare le schede di segnalazione inviate dai cittadini e dagli operatori e poi di trasmettere le informazioni a un network che coinvolge le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano, le aziende sanitarie locali, molti ospedali e centri di ricerca e, ovviamente, le aziende farmaceutiche. Dal 2006 le attività di farmacovigilanza sono state potenziate attraverso il collegamento all’Eudravigilance, il database europeo che raccoglie tutte le segnalazioni di sospetti effetti avversi provenienti da ogni Stato membro. A sua volta, la rete europea fa riferimento all’Organizzazione mondiale della sanità (e al suo database VigiBase). Difficile quindi che qualcosa sfugga all’attenzione degli esperti. Le segnalazioni possono farle non solo i medici, ma an-

che gli operatori sanitari e i semplici cittadini, andando a compilare un’apposita scheda sul sito vigifarmaco.it. SI PUÒ FARE DI PIÙ In Italia a coordinare il flusso di informazioni è l’AIFA e i dati mostrano che negli ultimi anni, proprio grazie al network europeo, il numero totale di segnalazioni è passato dalle 5.709 del 2005 alle 11.493 del 2008 per arrivare alle circa 30.000 del 2012. Secondo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, da sempre attentissimo alla farmacovigilanza, si dovrebbe però fare di più. Spiega infatti il farmacologo: “Non ci si può basare solo sulla raccolta delle segnalazioni spontanee di medici, infermieri o pazienti. È necessario che le autorità di salute pubblica sostengano ricerche di farmacovigilanza attiva, per individuare eventuali tossicità in base agli stessi criteri che si usano per quantificare gli effetti positivi indotti dai farmaci sotto indagine, e che la stessa autorizzazione a mettere in commercio un nuovo farmaco (o, come in Francia, una nuova formulazione di un vecchio farmaco) scaturisca da un chiaro bilancio tra il risultato dei due tipi di valutazioni. In Italia poi le informazioni non circolano in maniera ottimale, arrivano a medici e cittadini in ritardo e spesso con grandi lacune, e tutto questo lascia spazio a chi diffonde falsi allarmi su giornali e social media, con risultati disastrosi per la salute”.

Dal 2006 i controlli sono stati potenziati

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nche in Italia, per restare all’ambito oncologico, in primavera è scoppiato uno scandalo alimentato da una trasmissione della Rai, Report, nella quale le informazioni sono state presentate in modo ambiguo e forse incompleto. Con il risultato di alimentare i timori contro un vaccino, quello per il Papilloma virus (HPV), che sta facendo letteralmente crollare i tassi di incidenza di tumore della cervice e che – ormai lo si sa, dopo milioni di ragazze e ragazzi vaccinati in tutto il mondo – è sicuro. Proprio come avvenuto in passato in altri casi eclatanti, un medico sospettato di conflitto d’interessi, la danese Louise Blint, ha affermato che 53 sue pazienti avrebbero sviluppato la misteriosa Sympathetic Nervous System Dysfunction, una non meglio definita sindrome che darebbe stanchezza cronica e altri sintomi difficilissimi da associare a una causa specifica. La Danish Health and Medicines Authorities ha quindi chiesto una verifica all’Agenzia europea per i farmaci (EMA) che, dopo un’analisi basata sul suo database di segnalazioni di effetti collaterali, ha negato ogni nesso tra vaccino e sindrome. Tuttavia, secondo molti, lo avrebbe fatto in modo sbrigativo, alimentando così involontariamente il complottismo che circola nel web. Qualcosa, quindi, non ha funzionato, e la colpa è anche del modo con cui l’Agenzia europea per il farmaco ha comunicato le proprie conclusioni, come ha affermato il Cochrane Nordic, un gruppo di esperti che ha reso noto un documento di accusa sulla vicenda. C’è insomma ancora molto da fare, perché gli effetti collaterali dei farmaci preoccupano tutti e sia le accuse sia le assoluzioni devono essere comunicate con attenzione e precisione.

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NUTRIZIONE Le feste

In questo articolo:

alimentazione sana Natale Capodanno

Cenoni senza eccessi per mantenersi sani Basta qualche accorgimento per evitare che il periodo delle feste invernali si trasformi in un’abbuffata costante, a scapito della salute

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a cura della REDAZIONE rrivano le feste invernali e con esse tutti gli eccessi a tavola. C’è un modo per evitare di risentire a lungo degli effetti negativi di un’alimentazione decisamente squilibrata senza per questo rinunciare a queste giornate speciali? In realtà basta qualche accorgimento. Rispetto ad altre tradizioni natalizie, come per esempio quella anglosassone, quella italiana risente pur sempre dell’influsso positivo della dieta mediterranea: non mancano infatti sulla tavola festiva il pesce e le verdure, sebbene abbondino anche la carne (che invece andrebbe limitata), gli zuccheri e soprattutto i grassi (in particolare il burro e il mascarpone, presenti in grandi quantità nei classici dolci delle feste). L’errore principale, però, riguarda l’apporto calorico: è pur vero che non c’è festa senza cibo, ma negli ultimi dieci giorni di dicembre si consumano

troppe calorie, soprattutto considerando che difficilmente si riesce a smaltirle stando in casa a chiacchierare con parenti e amici. E a poco serve restare a stecchetto nei giorni che precedono le vacanze, anzi: si rischia di arrivare alla tavola del Natale affamati e frustrati, e mangiare ancora di più. Secondo un’indagine condotta dal servizio nutrizionale dell’Ospedale Niguarda di Milano, gli eccessi maggiori riguardano appunto il consumo di grassi (non solo di origine animale, ma anche vegetale come l’olio d’oliva che fa benissimo alla salute purché non si esageri), di alcol (vino e superalcolici), frutta secca (anche questa salutare se consumata in quantità ragionevoli e durante tutto l’anno, ma ricca di calorie se consumata tutta in una volta) e soprattutto di salumi, che dovrebbe-

Stare a stecchetto prima delle feste non è una buona strategia

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Le ricette

LE RICETTE DI AIRC Ecco due ricette proposte da AIRC che possono alleggerire la classica cucina delle feste senza compromettere il sapore e il piacere. Il ragù di lenticchie sostituisce le proteine animali con quelle vegetali in una preparazione che può servire anche per comporre cannelloni e lasagne. La crema di nocciole spalmabile fatta in casa accompagnerà con soddisfazione di tutti il pandoro o il panettone e sarà ottima anche per la colazione delle feste.

ro essere eliminati da una dieta salutare e soprattutto da una dieta attenta alla prevenzione delle malattie come il cancro e i disturbi cardiovascolari. Frequente (e negativo) anche il consumo di alimenti preconfezionati: patatine fritte e snack in busta per aperitivi, panettoni e pandori come dessert.

I consigli Per riparare ad alcuni degli errori più comuni nella cucina delle feste basta seguire qualche semplice consiglio. Per esempio è utile controllare l’apporto di sale utilizzando piuttosto le spezie per insaporire le pietanze, e limitare i grassi nella produzione dei condimenti, sostituendoli con salse a base di vegetali, funghi o ancora agrumi. Tra le cotture, prediligere quelle leggere ma saporite. Un pesce di buona qualità rende benissimo al vapore o al forno, i primi possono essere prodotti partendo da pasta integrale, cereali e verdure. Per i dessert, via libera alla frutta in tutte le sue declinazioni: macedonie, sorbetti e gelati, accompagnati da salse a base di yogurt magro. Qualche eccesso durante le feste familiari è più che giustificato, ma dovrebbe essere limitato alle giornate festive e non protrarsi per le due settimane che intercorrono tra Natale e la Befana. Pandori e panettoni arrivano nei supermercati mesi prima del Natale e rimangono in offerta quasi fino a marzo, spingendo a un consumo eccessivo

Ragù di lenticchie Ingredienti (per 4 persone) • • • • • • • • • • •

100 g di lenticchie 1 carota 1 gambo di sedano ½ cipolla o 1 scalogno spezie e aromi (rosmarino, salvia, alloro, cannella, chiodi di garofano, noce moscata…) olio extravergine d’oliva quanto basta ½ bicchiere di vino rosso 450 ml di polpa di pomodoro 300 ml di acqua 300 ml di latte vegetale (soia o riso) non zuccherato sale marino integrale

Preparazione Tritare finemente carota, sedano e cipolla. Rosolarli in una pentola con l’olio, poi aggiungere le lenticchie e le spezie e gli aromi secondo la combinazione che è più di proprio gusto. Mescolare e continuare a girare finché i legumi non saranno ben tostati. Aggiungere il vino e farlo evaporare completamente, poi aggiungere il pomodoro, l’acqua e la metà del latte vegetale. Aggiungere sale e coprire. Mescolare saltuariamente e far cuocere per 50 minuti. Quando le lenticchie saranno cotte, aggiungere il latte vegetale restante e far asciugare, poi frullare con il minipimer per ottenere la consistenza di un ragù. Assaggiare e regolare il sale. Spolverare con semi di sesamo. di dolci molto ricchi di burro. Le feste aziendali e con gli amici si sommano a quelle familiari, peggiorando il bilancio nutrizionale. L’unica soluzione è il controllo rigoroso di ciò che si consuma in quelle occasioni.

Crema di nocciole spalmabile Ingredienti • 100 g di nocciole tostate, senza pelle • 50 g di cioccolato fondente • 1 cucchiaio di zucchero • 15 g di cacao amaro in polvere • 10 ml di acqua • 10 g di olio extravergine d’oliva

Preparazione Frullare le nocciole con cacao amaro. Sciogliere a bagnomaria il cioccolato, poi aggiungere l’acqua. Far raffreddare e versare l’olio. Unire gradualmente il composto nel frullatore e frullare fino a ottenere una crema liscia. Trasferire in un barattolo di vetro e conservare in frigo per massimo 2 settimane. Se il sapore dell’olio d’oliva risultasse troppo intenso, è possibile sostituirlo con un olio vegetale a freddo di sapore neutro (arachidi o mais). Per quel che riguarda gli alcolici, un bicchiere di vino rosso a pasto e un brindisi con le bollicine sono più che accettabili, ma è bene non superare queste dosi, specie se non si è abituati a bere. Da evitare gli antipasti sott’olio, le salse e i salumi che, tra l’altro, spingono anche a consumare molto pane, aumentando la quantità totale di calorie. Nel comporre i pasti, non esagerare con il numero di portate: un antipasto a base di vedure, un solo primo, un secondo e un dolce sono più che sufficienti per festeggiare a dovere. Da evitare, per esempio, il vassoio di formaggi alla fine del pasto, che fa schizzare in alto il computo totale delle calorie e dei grassi. DICEMBRE 2017 | FONDAMENTALE | 19


IFOM – ISTITUTO FIRC DI ONCOLOGIA MOLECOLARE Invecchiamento cellulare

In IFOM si studia come invecchia la cellula L’eterna giovinezza è una prospettiva allettante, ma non sempre per una cellula. L’invecchiamento cellulare può essere infatti uno dei meccanismi che giocano un ruolo cruciale nella formazione di tumori. Ecco perché è importante sapere come funziona

IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare che svolge attività scientifica d’avanguardia a beneficio dei pazienti oncologici, è sostenuto dalla Fondazione italiana per la ricerca sul cancro-AIRC, attraverso lasciti testamentari (vedi p. 31).

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In questo articolo: ricerca IFOM longevità invecchiamento

a cura di AGNESE CODIGNOLA e cellule del nostro organismo invecchiano. Tuttavia, invecchiando perdono in parte l’efficienza che permette loro, quando sono giovani, di riparare tutti i danni che subiscono quotidianamente. Ma che cosa succede, a livello molecolare, quando una cellula invecchia? In che cosa ciò rappresenta un vantaggio e in che cosa costituisce un pericolo? E si possono sfruttare i singoli passaggi per trovare terapie più specifiche ed efficaci contro i tumori? Per rispondere a queste domande è necessario comprendere le diverse fasi in ogni più piccolo particolare. Per questo all’IFOM lavorano sull’invecchiamento cellulare quattro gruppi di ricerca, i cui risultati hanno fatto luce sul fenomeno, segnando un punto di svolta.

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ONCOLOGIA E LONGEVITÀ Italiano di nascita, americano d’adozione, Valter Longo è autore di importanti pubblicazioni nelle quali si dimostra che le cellule sane sottoposte allo stress del digiuno ringiovaniscono; nello specifico, le cellule staminali presenti in tutti i tessuti vengono stimolate a crescere, così come fanno alcuni elementi del sistema immunitario, che escono da un digiuno rinvigoriti. Ma la mancanza di nutrimento ha una potente azione anche sulle cellule tumorali, metabolicamente molto attive e sempre affamate: favorisce infatti un fenomeno noto come “risposta differenziale allo stress”, cioè

una sorta di iperreattività che ne causa la morte, sia in presenza che in assenza di chemioterapia. Il ricercatore, studiando organismi quali il lievito, ha descritto per la prima volta alcune delle vie genetiche che portano a questi esiti (le più note sono Ras-PKA e Tor S6K) e ha dimostrato che i protocolli più efficaci prevedono brevi periodi di digiuno (quattro-cinque giorni) intervallati da una dieta normale (per tre settimane). Al momento, in collaborazione con diversi centri clinici in Italia, Europa e Stati Uniti, Longo sta verificando il ruolo delle singole classi di nutrienti in pazienti con tumori del seno, del colon retto, della prostata e con linfomi. INTEGRITÀ DEL GENOMA Il fulcro della vita della cellula è il suo genoma, racchiuso nel DNA. Anche se lo si immagina come un nastro che fluttua all’interno della cellula, in realtà esso trascorre la sua intera esistenza, moltiplicandosi milioni di volte, in uno spazio molto angusto dove muoversi – e cioè duplicarsi, ripararsi, trascrivere le proprie basi, accendere o spegnere certe sequenze e non altre – è molto complicato. Basti pensare ai numeri: nel suo insieme, il genoma è lungo due metri e contiene tre miliardi di basi racchiuse in 46 cromosomi. Ma tutto questo occupa non più di sei micron, cioè millesimi di millimetro, nei quali avviene tutto quello che serve a garantire la vita. Per questo il gruppo diretto da Marco Foiani, dal 2009 anche direttore scientifico di IFOM, si occupa della stabili-

tà del genoma, proprietà che fa la differenza tra una cellula sana e una malata e che tende a degradarsi proprio con l’invecchiamento della cellula. Il team del ricercatore comprende matematici, fisici e ingegneri che, sfruttando le più avanzate tecniche di microscopia, cercano di capire che cosa avviene in situazioni reali, normali o patologiche. Nei suoi sviluppi più clinici, il gruppo di Foiani studia come alcuni farmaci già in uso e altre molecole sperimentali prevengano l’invecchiamento cellulare stimolando la riparazione del genoma. RISPOSTA AL DANNO AL DNA E SENESCENZA CELLULARE Ogni cellula ha un limite, detto “limite di Hayflick”: non può replicarsi all’infinito, se è sana. Per questo, a un certo punto, va incontro a invecchiamento (senescenza), uno stato che non permette più alcun tipo di proliferazione. Scopo degli studi di Fabrizio d’Adda di Fagagna, un passato tra Trieste e Gran Bretagna, è capire che cosa innesca la senescenza – che è anche un argine alla proliferazione incontrollata – e che cosa invece fa fallire questo destino. Fabrizio d’Adda osserva soprattutto la vita e le avventure dei telomeri, i cappucci dei cromosomi che si consumano nel tempo, che non sono riparabili e la cui funzionalità è strettamente legata al rischio di cancro, così come quella dei geni che regola-

no la risposta cellulare all’invecchiamento. Comprendere a fondo tutto ciò significa individuare i passaggi cruciali della vita di una cellula e, potenzialmente, nuovi bersagli di terapia. METABOLISMO DEL DNA Nei primi anni 2000 Vincenzo Costanzo ha fatto una scoperta sensazionale, che ha fornito a tutti i ricercatori del mondo un modello sperimentale utilissimo: ha dimostrato che aggiungendo DNA estraneo a ovociti fecondati di un rospo (lo xenopus laevis), questi reagivano attivando la complessa catena di eventi della risposta al danno del DNA, meglio nota come DDR. Per la prima volta era quindi possibile studiare in vitro cosa succede quando il DNA è sotto attacco. È ciò che ha fatto Costanzo collaborando anche con alcuni premi Nobel, prima in Gran Bretagna e poi, dal 2013, presso IFOM. Con un approccio che sfrutta tecniche molto diverse, dalla microscopia alla biologia, dallo studio nei malati alla genetica, ha dimostrato che ci sono tre grandi famiglie di proteine (e relativi geni) che traducono la DDR in azioni complete: i sensori, i mediatori e gli effettori, e che molte di queste proteine (quelle identificate per ora sono una cinquantina) sono fondamentali per la vita della cellula, tumorale e non. Chiarire come una cellula reagisce al danno del DNA potrebbe aprire la via a nuove terapie, non solo contro i tumori.

La cellula che invecchia è un modello per il cancro

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NOTIZIE FLASH

Dal Mondo Se sei stanco, meglio muoverti Viene dall’uso di nuovi biomarcatori la conferma che l’esercizio fisico è utile per combattere la fatigue da cancro: secondo alcuni studi presentati alla conferenza ASCO che si è tenuta a Chicago, infatti, i malati che svolgono attività regolare presentano livelli più bassi di due nuovi marcatori associati al danno muscolare, e in generale hanno una migliore qualità della vita. Secondo gli autori, i benefici di un’attività anche modesta possono dare giovamento a tutti i malati, a condizione di cominciare con molta gradualità, puntando a raggiungere l’obiettivo di 150 minuti a settimana, in media una ventina di minuti al giorno.

Non sul corpo, ma sulla psiche La chemioterapia preoccupa ancora, ma le donne che si trovano ad affrontarla oggi hanno timori diversi rispetto a quelli di quindici anni fa. Una ricerca tedesca ha interpellato un campione di donne con tumore della mammella o dell’ovaio ponendo loro alcune domande prima, durante e dopo il trattamento chemioterapico, per aggiornare il quadro rispetto a un’analoga indagine realizzata nel 2002. Gli effetti collaterali considerati più significativi non sono di tipo fisico, ma sociale e psicologico: “Questo può essere spiegato con il fatto che le moderne terapie per contrastare nausea e vomito sono molto efficaci” spiega Beyhan Ataseven, autrice della ricerca. “D’altra parte la perdita di capelli è ancora oggi una questione irrisolta, che tocca soprattutto le pazienti a inizio trattamento”. Col passare del tempo ci si abitua all’idea, e altri effetti salgono in cima alle preoccupazioni. Tra questi, le difficoltà del sonno e l’ansia riguardo alle possibili ripercussioni della propria malattia sugli equilibri familiari.

Meglio sorvegliare che curare Nel cancro papillare della tiroide, la sorveglianza attiva potrebbe essere meglio della chirurgia immediata, quando il tumore è piccolo e a basso rischio. È questa la conclusione di uno studio su circa trecento pazienti che hanno scelto la sorveglianza attiva. Grazie al monitoraggio con imaging in 3D, si è potuto verificare che generalmente i tassi di crescita del tumore sono bassi e quindi le misurazioni ripetute del volume della massa possono essere sufficienti a segnalare i tumori che richiedono un intervento chirurgico. La preferenza per la sorveglianza attiva è stata recentemente espressa anche dall’Associazione americana della tiroide.

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Grasso addominale, il vero pericolo

Per le donne in menopausa, non sarebbero tanto il peso o l’indice di massa corporea a contribuire al rischio di cancro, bensì il grasso addominale, quello concentrato sulla pancia e attorno ai fianchi. È questa la conclusione di uno studio presentato al congresso della Società europea di oncologia medica (ESMO) di Madrid da un gruppo di ricercatori danesi che con uno studio osservazionale prospettico hanno seguito per 12 anni quasi 6.000 donne (dell’età media di 71 anni), cercando di determinare il ruolo del peso nell’aumento del rischio di cancro, compreso quello del polmone. ”L’obesità era già stata associata in precedenza al ri-

schio di cancro, ma il legame con il polmone è nuovo e interessante” ha commentato Andrea De Censi dell’Ospedale Galliera di Genova.

Problemi di comprensione

Scegliere di sperimentare

Secondo una ricerca condotta tra i malati di cancro di un ospedale della Pennsylvania, negli Stati Uniti, circa un malato su due non conosce lo stadio del suo tumore, e addirittura uno su tre non sa dire se la malattia è attiva, in remissione, o se è del tutto guarito. Lo studio, pubblicato sul Journal of Oncology Practice, è basato sui questionari spediti per posta a oltre 200 pazienti che sono stati seguiti negli ultimi due anni: le risposte degli interessati sono state poi confrontate con le rispettive cartelle cliniche. Secondo gli autori, è la conferma della difficoltà di comprendere e registrare tutte le informazioni, spesso molto complesse, fornite dai medici.

Perché un malato di cancro decide di partecipare a una sperimentazione clinica? E perché un altro, invece, sceglie di non farlo? Potrebbe dipendere dalla scarsa comprensione dei concetti alla base della ricerca in medicina. L’oncologa irlandese Catherine Kelly ha chiesto a oltre mille malati con un tumore metastatico di rispondere a domande sulla metodologia dei trial clinici, a partire dal concetto base della randomizzazione, cioè della distribuzione casuale in uno dei possibili gruppi di trattamento. Quasi tre persone su quattro non sapevano che uno dei presupposti essenziali per capire se un farmaco funziona consiste nel dividere i partecipanti della sperimentazione assegnandoli a una terapia o all’altra con una procedura casuale, senza che né i medici né i soggetti stessi sappiano che cosa viene somministrato. Ugualmente, tre malati su cinque non comprendono che in assenza di prove occorre mantenere la cosiddetta “equidistanza clinica”, e sono convinti che il medico sappia già, prima dell’avvio della sperimentazione, quale terapia funziona meglio.

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TESTIMONIANZA Tumori pediatrici

La forza di resistere a malattie e avversità Una quindicenne si trova, nel giro di pochi mesi, ad affrontare una leucemia e la perdita del padre. Oggi che è guarita, si spende per chi sta vivendo la stessa esperienza

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I NUMERI

onoscere i numeri dei tumori infantili in Italia non è semplice: a raccoglierli ci prova l’AIRTUM che raggruppa tutti i Registri tumore regionali. L’ultimo rapporto sul cancro in età pediatrica è del 2012, ma tiene conto di dati che arrivano fino al 2008. Dieci anni, in questo settore, possono essere un’eternità, in termini di guadagno in sopravvivenza. Nonostante ciò, il rapporto di cinque anni fa dava già una misura degli enormi passi compiuti dall’oncologia pediatrica. I decessi, nel 2008, erano circa un terzo di quelli registrati nei primi anni Settanta. Ci si ammala anche di meno:

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In questo articolo:

tumori pediatrici leucemia linfoblastica acuta testimonial AIRC

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a cura di FABIO TURONE leonora Guzzi aveva quindici anni, e frequentava il liceo classico, quando la diagnosi di leucemia linfoblastica acuta le cambiò la vita: i medici informarono i suoi genitori – entrambi laureati in medicina: psichiatra il papà Roberto, odontoiatra la mamma Elisabetta – che decisero di portarla all’Ospedale San Gerardo di Monza, a due passi dalla loro casa di Sesto San Giovanni e sede di un reparto di ematologia pediatrica all’avanguardia nel mondo, grazie alla direzione di Giuseppe Masera e alla presenza di un medico che si è meritato il soprannome di “Dottor Sorriso”, Momcilo Jankovic. “Il dottor Jankovic mi mostrò un libro e mi spiegò la mia malattia parlando di animaletti, i globuli bianchi, e di una battaglia in corso nel mio organismo. Non ha mai usato la parola tumore” racconta oggi Eleonora, a undici anni di distanza dalla diagnosi, e a sei dalla completa guarigione. “Credo che

dal 1995 a oggi il numero di leucemie linfoblastiche acute (che rappresentano l’80 per cento dei tumori infantili) è diminuito del 2 per cento l’anno. Ogni anno, tra il 2003 e il 2008, in Italia sono stati diagnosticati 164 casi di tumore maligno per milione di bambini (0-14 anni) e 269 casi per milione di adolescenti (15-19 anni). A cinque anni dalla diagnosi è ancora in vita (secondo i dati del 2008), l’82 per cento dei bambini e l’86 per cento degli adolescenti. Da allora queste percentuali sono ancora aumentate, mentre si affaccia il problema di studiare meglio come seguire nel tempo questi ex malati che, diventati adulti, possono andare incontro a malattie legate anche alle terapie effettuate.

non conoscere i dettagli mi abbia aiutato ad andare avanti giorno dopo giorno. Con i miei genitori Masera fu molto drastico e diretto. Innanzitutto spiegò loro che nel giro di pochi anni la sopravvivenza della leucemia linfoblastica acuta era passata dal 20 per cento a oltre il 70 per cento nel 2006, e poi li rassicurò e chiese la loro collaborazione: ‘Noi cureremo la ragazza. Voi pensate a non viziarla’”.

Accettare le cure L’obiettivo immediato dei due pediatri – medici eccezionali premiati entrambi con la massima onorificenza del Comune di Milano, l’Ambrogino d’Oro – era quello di aiutarla ad accettare le cure e affrontarle con positività: “Mia mamma ha gestito la situazione in modo molto razionale, mentre mio papà ha avuto una reazione più emotiva, davvero devastante. Anche la mia sorellina, che all’epoca aveva undici anni, non accettò le spiegazioni rassicuranti del medico, e uscì dalla stanza” racconta Eleonora. Tre mesi dopo la diagnosi, la famiglia è colpita da un lutto tremendo: un infarto si porta via il papà Roberto.

la malattia, che però non arrivano più. “La ripresa fisica è stata molto veloce, e io all’inizio avevo un’energia incredibile” ricorda. “La ripresa mentale è più difficile”. Gli effetti delle terapie si manifestano anche come fame frequente: “In alcuni momenti avevo un gran bisogno di mangiare qualcosa, ma non sempre i professori mi lasciavano mangiare in classe. Non capivano”. D’altra parte la situazione era complicata dal fatto che era lei stessa a voler essere trattata “in modo normale”.

La laurea e il futuro Il diploma di maturità, ottenuto con fatica, rappresenta un momento di svolta: si iscrive alla Bocconi e ottiene la laurea triennale in Economia e management, dopo aver trascorso un periodo a Singapore. Poi per la laurea specialistica si trasferisce per oltre un anno in Cina, a Shanghai, dove per tre mesi lavora per Ermenegildo Zegna. “Dopo due anni di terapie e tre di controlli ho avuto dal dottor Jankovic il ‘Passaporto del guarito’. Da allora non faccio più controlli particolari, se non in chiave di prevenzione cardiovascolare, vista la familiarità. Mi tengo aggiornata, e so che alcuni studi recenti segnalano nei sopravvissuti a tumori pediatrici qualche effetto tardivo delle terapie, ma per il momento preferisco vivere con positività, accettando la casualità della vita”. Dopo aver lavorato a Verona per un’azienda farmaceutica, da poco si è trasferita di nuovo a Milano, in una grande società di consulenza, e oggi dedica con piacere parte del suo tempo libero a raccontare, anche attraverso la sua attività di testimonial per AIRC, la sua esperienza per aiutare chi ci sta passando: “Mi piace raccontare la mia storia, perché so quanto è stato importante per mia mamma ascoltare i racconti degli altri. E perché ogni volta che racconto la mia esperienza finisco per riviverla un po’, e per scoprire qualcosa di nuovo”.

La ripresa è fisica ma anche psicologica

Difficile capire È un periodo davvero difficile per Eleonora, che quando riesce a tornare a scuola fatica a ritrovare la sintonia con i compagni di classe e con i professori: “Dopo il primo ricovero avevo deciso di tagliare a zero i capelli, in parte caduti a causa delle terapie, e sono andata a scegliere la parrucca con una carissima amica”. La parrucca contribuisce a creare una situazione un po’ strana, la ricerca della normalità anche nell’aspetto fisico finisce alle volte per far sì che Eleonora senta poca empatia da parte dei compagni e di molti professori, sempre più distanti: lei si impegna allo spasimo ed è convinta di meritare gli ottimi voti che aveva prima del-

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SPERIMENTAZIONE ANIMALE Ricerca che cura

Senza il modello animale niente vaccino anti-HPV Il prestigioso premio Lasker-DeBakey è andato quest’anno ai due medici che hanno scoperto, su modelli animali, come riuscire a produrre un vaccino contro il virus che causa il cancro della cervice uterina

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a cura di DANIELA OVADIA on sono poche le scoperte, nel campo della ricerca contro il cancro, che devono la loro esistenza alla sperimentazione animale. Lo dimostra anche uno dei prestigiosi premi Lasker, il Lasker-DeBakey per la ricerca in clinica medica, che è andato quest’anno a Douglas R. Lowy e John T. Schiller, due medici e ricercatori statunitensi, per aver messo a punto i modelli sperimentali che hanno portato allo sviluppo di un vaccino contro il Papilloma virus umano (HPV), responsabile della quasi totalità dei casi di cancro della cervice uterina.

Ancora mortale Sono circa cinquecentomila ogni anno le donne che, nel mondo, ricevono una diagnosi di cancro della cervice.

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Ne muoiono, ogni anno, circa duecentocinquantamila, prevalentemente in Paesi in via di sviluppo, dove le pratiche di prevenzione (in primis il Pap test che consente una diagnosi precoce e permette di intervenire prima che il tumore metastatizzi) sono ancora poco diffuse o difficili da seguire. Ma l’HPV è responsabile anche di altri tumori, in particolare di alcuni che colpiscono la testa e il collo. Per questo la scoperta di un vaccino contro il principale responsabile è considerata una delle grandi scoperte della medicina degli ultimi decenni.

Bovini, conigli e proteine

I due ricercatori sono stati premiati per “gli sviluppi tecnologici che hanno permesso lo sviluppo dei vaccini contro l’HPV e gli altri tumori causati dal Papilloma virus”. La loro ricerca

In questo articolo: ricerca scientifica premio Lasker vaccino anti-HPV

è cominciata studiando i Papilloma virus che colpiscono i bovini, i conigli e i cani. I primi vaccini, infatti, sono stati sviluppati proprio per prevenire il contagio tra animali. Grazie a questi studi, sono stati in grado di lavorare anche sulla forma umana e i risultati potrebbe salvare milioni di donne. “Il modello più simile a quello umano è quello del Papilloma virus bovino” ha spiegato Lowy. “Il virus infetta le cellule in un modo molto simile a quello che accade nelle donne e induce mutazioni simili a quelle che riscontriamo nelle biopsie di cancri della cervice umani”. Ma non solo: grazie agli studi su roditori, Lowy e Schiller sono riusciti a capire che gli anticorpi contro la proteina L1 dei conigli sono in grado di indurre una risposta immunitaria protettiva contro l’infezione. Hanno quindi potuto verificare se lo stesso accade con gli anticorpi anti-L1 umani, confermando l’ipotesi. È per questo che le forme più nuove di vaccino contro l’HPV disponibili sul mercato (quelle utilizzate per vaccinare le ragazze al compimento dei dodici anni di età) contengono solo le proteine L1, cioè quella componente del virus che risveglia i rispettivi anticorpi e permette di acquisire l’immunità dall’infezione. “Senza un modello animale affidabile, non saremmo mai giunti alla produzione del vaccino” ha detto Schiller. “E, soprattutto, non saremmo mai riusciti a produrre un vaccino che contiene solo un frammento proteico del virus, quindi più sicuro dei vaccini con virus attenuato”.

ZIKA E TOPI CONTRO IL GLIOBLASTOMA

l virus Zika, trasmesso dal morso di alcune zanzare presenti soprattutto in America Latina e ritenuto responsabile della nascita di bambini con gravi danni neurologici e microcefalia, potrebbe essere utile nella battaglia contro il glioblastoma. Si tratta della forma più comune di tumore cerebrale,

difficile da trattare perché ricco di cellule staminali tumorali che resistono alle comuni terapie. Un gruppo di ricercatori del National Institute of Allergy and Infectious Diseases statunitense ha pensato di sfruttare la capacità del virus di raggiungere le cellule cerebrali fetali (che hanno analogie strutturali

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con le staminali tumorali) per far sì che fossero infettate e distrutte. La sperimentazione, per ora, è stata condotta nel topo e i risultati sono promettenti. Ora bisogna passare a una sperimentazione sull’uomo, non prima di aver studiato un modo per rendere il virus non pericoloso per il paziente.


I CANI MALATI AIUTANO LE DONNE

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tudiando alcuni tumori mammari in cagne, i ricercatori dell’Istituto di farmacologia e tossicologia dell’Università di Zurigo hanno scoperto che le cellule che circondano il cancro nell’animale hanno caratteristiche simili a quelle delle cellule che circondano i tumori al seno nelle donne. La scoperta potrebbe essere di grande aiuto per la ricerca scientifica, fornendo un modello di malattia molto più affidabile di quello attualmente utilizzato, che coinvolge soprattutto topi. “Si tratta di studi di veterinaria che aiuteranno anche a curare le cagne malate” ha spiegato Enni Markkanen, autrice della scoperta. “Come veterinario mi pare bellissimo pensare che questi animali malati possano un giorno essere curati con efficacia e allo stesso tempo, rispondendo al loro ruolo di migliori amici dell’uomo (e della donna) possano aiutare la cura del cancro al seno anche negli esseri umani”.

John T. Schiller e Douglas R. Lowy, vincitori del premio Lasker 2017


RACCOLTA FONDI Eventi

L’ITALIA IN ROSA PER AIRC

Insieme ai partner AIRC pensiamo a mamme e bambini Il successo della campagna #NastroRosa AIRC per il tumore al seno. E poi Babbi Natale, Enrico Brignano, Mediafriends e Ubi Banca uniti a sostegno di tutti i bambini 28 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2017

La notte del 1° ottobre, grazie all’iniziativa promossa da AIRC e Anci, Associazione nazionale comuni italiani, centinaia di Comuni in tutta Italia hanno illuminato monumenti e palazzi comunali lungo tutto lo stivale, regalando uno spettacolo molto suggestivo. Un segno fortissimo della vicinanza di AIRC al territorio e di come l’obiettivo di rendere il tumore al seno curabile al 100% sia sentito anche dalle istituzioni locali. Anche i cittadini hanno partecipato con entusiasmo all’iniziativa, condividendo sui social media le foto dei monumenti in rosa della loro città con l’hashtag #NastroRosaAIRC. Migliaia di esercizi commerciali e farmacie, insieme ai supermercati Tigre e Oasi del Gruppo Gabrielli, ai garden dell’Associazione italiana centri giardinaggio, e le lounge di NTV-Italo treno, hanno distribuito le spillette Nastro Rosa AIRC per sensibilizzare il pubblico a “indossare la propria partecipazione alla campagna”. Un bellissimo omaggio a quello che costituisce il simbolo universale della campagna internazionale ideata venticinque anni fa da Evelyn H. Lauder, moglie del primogenito di Estée Lauder, fondatrice dell’omonima casa di cosmetici.


UBI BANCA X AIRC

UN SORRISO SOTTO L’ALBERO

Prosegue fino a dicembre l’impegno di Fabbrica del Sorriso, campagna di raccolta fondi e di comunicazione promossa da Mediafriends per dare un futuro migliore ai piccoli pazienti oncologici, attraverso le due maratone televisive e radiofoniche di primavera e autunno e numerosi eventi sul territorio. Grazie alla generosità del pubblico, nelle precedenti edizioni sono stati raccolti oltre tre milioni di euro che sono stati destinati a quattro associazioni attive nell’ambito della ricerca, assistenza ospedaliera, assistenza domiciliare e miglioramento della qualità di vita dei piccoli pazienti. Grazie alla quota dei fondi raccolti nel 2016 e 2017, AIRC ha finanziato sei progetti di ricerca e potrà garantire continuità ai ricercatori per lo sviluppo di nuove terapie e farmaci più efficaci e meno tossici. A dicembre torna anche la “Babbo Running”, la marcia non competitiva che vede le strade di molte città invase da un gioioso esercito di Babbi Natale. Una quota delle iscrizioni sarà destinata a Fabbrica del Sorriso.

La partnership UBI X AIRC, giunta al suo quinto anno, continua a garantire sostegno alla ricerca scientifica grazie alle tante e differenziate attività messe in campo. UBI Banca è vicina ad AIRC in molti modi: la straordinaria mobilitazione dei dipendenti permette ad AIRC di raccogliere fondi attraverso la distribuzione dei Cioccolatini della Ricerca, mentre le donazioni aziendali consentono ad AIRC di distribuire gratuitamente nelle scuole primarie kit didattici sui temi della scienza, dei corretti stili di vita e del dono. UBI Banca sensibilizza anche i clienti, raggiungendo un pubblico sempre più vasto. Richiedendo la speciale Carta Enjoy AIRC, Ubi Banca donerà due euro per ogni attivazione e rinuncerà a una percentuale della commissione sulla transazione. Grazie all’applicazione UBIPAY si può donare anche con smartphone tramite la funzione di invio denaro Jiffy.

ENRICO BRIGNANO IN SCENA PER AIRC

Protagonista sul grande schermo e in tv, ma anche a teatro, Enrico Brignano apre la stagione invernale del suo divertente spettacolo “Enricomincio da me” con un appuntamento speciale in programma mercoledì 20 dicembre all’Auditorium Conciliazione a Roma. I fondi raccolti dalla serata, organizzata a favore del Comitato AIRC Lazio, contribuiranno a finanziare i migliori progetti di ricerca per la cura dei tumori pediatrici.


IL MICROSCOPIO

Federico Caligaris Cappio Direttore scientifico AIRC

La grande sfida di studiare la metastasi

ATTENTI ALLE TRUFFE AIRC non effettua la raccolta fondi “porta a porta”, con incaricati che vanno di casa in casa. Nel caso dovesse succedere, stanno tentando di truffarvi. Denunciate subito la truffa chiamando la polizia (113) o i carabinieri (112).

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a parola metastasi significa la disseminazione delle cellule tumorali dalla primitiva sede di origine ad altri organi. Il problema è imponente: le metastasi sono responsabili del 90 per cento delle morti per cancro e in ogni caso influiscono negativamente anche sulla qualità di vita dei pazienti. Per contrastare questo grande problema irrisolto AIRC ha lanciato un nuovo Programma speciale di ricerca 5 per mille. Il concetto generale che informa la ricerca sulle metastasi è enunciato con i termini inglesi “seed and soil” (letteralmente “seme e terreno”) come originariamente proposto dal medico inglese Stephen Paget. L’idea è che, così come per avere un buon raccolto occorrono un buon seme, una buona semina e un terreno favorevole, una disseminazione metastatica favorevole al tumore (e ovviamente sfavorevole per il paziente) si verifica quando ci sono delle cellule tumorali (i semi) capaci di migrare dalla loro sede originale e di incontrare nei tessuti dove si localizzano un microambiente (il terreno) che ne favorisca l’attecchimento e il progressivo sviluppo. La capacità di colonizzare organi e tessuti è una caratteristica di tutti i tipi di cancro, ma occorre considerare che il cancro è una costellazione di oltre un centinaio di malattie clinicamente diverse, che esiste una grande variabilità tra pazienti con lo stesso tipo di tumore per quanto riguarda la propensione a metastatizzare e che alcuni organi quali fegato, polmoni e cervello hanno una particolare predilezione a essere metastatizzati. Inoltre la cellula neoplastica disse-

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minata in organi a distanza dal tumore primitivo spesso entra in una sorta di letargo da cui può risvegliarsi anche a distanza di anni. Per poter intervenire terapeuticamente occorre quindi capire quali sono i motivi della variabilità tra pazienti, quali i fattori che favoriscono la disseminazione metastatica, quali meccanismi permettono il letargo delle cellule metastatiche e ancor più quali ne inducono il risveglio e l’attivazione. Occorre comprendere perché certi organi sono più vulnerabili e quali sono i termini del dialogo tra microambiente e cellula neoplastica. Un passo per AIRC importante è stato aggiungere ai classici progetti triennali i Programmi speciali 5 per mille che hanno significativamente contribuito a potenziare la ricerca oncologica italiana e prodotto risultati scientifici e clinici importanti per la comunità. Facendo tesoro di questa esperienza e consapevole della necessità di tenere il passo con i rapidissimi progressi scientifici e soprattutto tecnologici, AIRC si è interrogata su come offrire nuove opportunità in grado di fare la differenza per la ricerca e dunque per i pazienti. Così nel 2017 è nato il nuovo Programma speciale AIRC 5 per mille per sviluppare nuovi approcci al trattamento della malattia metastatica basati sulla comprensione dei meccanismi biologici che portano alla disseminazione tumorale. AIRC è convinta che i ricercatori sapranno presentare idee originali perseguite con assoluto rigore che verranno selezionate da un comitato internazionale: i progetti vincitori verranno resi noti ad aprile 2018.


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