Fondamentale aprile 2012

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GIPA/LO/CONV/010/2011 DCOOS5659

CONTROLLI

Dopo un cancro del seno gli esami continuano ma senza troppa ansia IFOM GUARDA LONTANO

Numero 2 - 1 aprile 2012 - Anno XL - AIRC Editore - ISSN 2035-4479

L’Istituto di ricerca finanziato da FIRC raccoglie successi clinici e si espande all’estero

PSICOLOGIA

Tornare al lavoro dopo la malattia richiede uno sforzo di comprensione reciproca

Vincenzo Mazzaferro, il padre dell’epatoncologia

IL FUTURO NEL TRAPIANTO DI FEGATO


SOMMARIO

FONDAMENTALE aprile 2012

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In questo numero: 04 07 10 12 13 16 18 21 24 26 28 30 32 33 34

VITA DI RICERCATORE Un nuovo fegato anche per i malati di cancro COME CURARE Dopo il cancro del seno è tempo di controlli PREMIO NOBEL Lo scienziato gentiluomo del Progetto Genoma NOTIZIE FLASH Dal mondo SOCIETÁ A bloccare il ritorno del malato sono le incertezze relazionali RICERCA L’insulina, chiave di volta che collega malattie lontane PROFESSIONI PER LA RICERCA Un nuovo modo di intendere la biologia PSICOLOGIA Non sempre fa paura quel che è più pericoloso TRAPIANTO Un midollo pieno di armi contro il cancro MIGRANTI Il cancro è più grave quando non lo si capisce 5 PER MILLE Con le comunicazioni interrotte le leucemie segnano il passo IFOM Uno sguardo ai pazienti e uno a Oriente LASCITI Possiamo lasciare più di una tradizione RACCOLTA FONDI Arance e Azalee SPECIALE COMITATI Dalle piazze alla piazza virtuale

FONDAMENTALE

Anno XL - Numero 2 1 aprile 2012 - AIRC Editore DIREZIONE E REDAZIONE: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro via Corridoni, 7 - 20122 Milano - tel. 02 7797.1 www.airc.it - redazione@airc.it - Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Roto 2000 Casarile (Milano) DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Contucci

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Renato Dulbecco è stato per anni a fianco di AIRC e FIRC

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CONSULENZA EDITORIALE Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) COORDINAMENTO REDAZIONALE Giulia Cauda REDAZIONE Martina Perotti, Cristina Ferrario (Agenzia Zoe) PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Umberto Galli PRODUZIONE Patrizia Brovelli RESPONSABILE EDITORIALE Emanuela Properzj

Vincenzo Mazzaferro ha stilato le linee guida per il trapianto di fegato nei malati di cancro

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Sempre più chiaro il legame tra diabete e rischio di cancro

Abbiamo paura di ciò che non è davvero rischioso e sottostimiamo i veri pericoli: tutte le trappole della percezione del rischio

TESTI Giulia Cauda, Agnese Codignola, Cristina Ferrario, Daniela Ovadia, Nicla Panciera, Martina Perotti, Fabio Turone FOTOGRAFIE Armando Rotoletti (copertina e servizio a p. 4), Corbis, Istockphoto


EDITORIALE

Piero Sierra Presidente AIRC

TANTI MODI PER AIUTARE LA RICERCA. • con conto corrente postale n. 307272; • con carta di credito, telefonando al numero verde 800 350 350, in funzione tutti i giorni 24 ore su 24 o collegandosi al sito www.airc.it; • con un piccolo lascito nel suo testamento; per informazioni, www.fondazionefirc.it oppure tel. 02 794 707; • in banca: Intesa Sanpaolo IBAN IT14 H030 6909 4001 0000 0103 528; Banca Monte dei Paschi di Siena IBAN IT 87 E 01030 01656 000001030151; Unicredit PB SPA IBAN IT96 P020 0809 4230 0000 4349 176; • con un ordine di addebito automatico in banca o su carta di credito (informazioni al numero verde 800 350 350)

L’Istituto italiano della donazione certifica con un marchio di eccellenza le organizzazioni non profit che forniscono elementi di garanzia sull’assoluta trasparenza ed efficacia nella gestione dei fondi raccolti.

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La scelta dei cittadini diventa ricerca di qualità

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l 5 per mille è uno strumento decisamente evoluto ed equo perché permette ai cittadini italiani di scegliere in prima persona le proprie priorità di finanziamento nei confronti del volontariato e della ricerca scientifica. Dal 2006 oltre un milione di italiani ha scelto AIRC, devolvendo all’Associazione il proprio 5 per mille nella dichiarazione dei redditi: questa decisione diffusa ha confermato quanto sia prioritaria la battaglia contro il cancro e la fiducia nell’operato di AIRC. A questa scelta plebiscitaria è seguito uno slancio senza pari nel mondo della ricerca oncologica, chiamato con AIRC alla grande responsabilità di rispondere in tempi brevi al compito che gli è stato affidato: avvicinare la cura ai pazienti. Sono stati avviati due programmi innovativi e poderosi per il calibro delle istituzioni che vi partecipano e per il numero dei ricercatori coinvolti: il Programma speciale di oncologia clinica molecolare, partito nel 2010, e il Programma su diagnosi precoce e analisi del rischio di sviluppare un tumore, che ha preso il via all’inizio dell’anno. Insieme affrontano il problema cancro a tutto tondo, con 14 progettualità di ampio respiro, e vedono impegnati circa 1200 ricercatori in 70 istituzioni che rappresentano l’eccellenza della ricerca oncologica italiana. Dai risultati ci aspettiamo nuove terapie molecolari al servizio dei pazienti, e più efficaci metodi per la diagnosi, la prevenzione e la prognosi del cancro. Da molti laboratori questi risultati non si sono fatti attendere e già in questi primi mesi di lavoro i ricercatori hanno raggiunto traguardi significativi. La scelta di mettere la firma al 5 per mille ad AIRC, ancora una volta, si tradurrà in ricerca di qualità, in ricerca che cura. Più saranno le firme e più il cancro potrà essere curabile.

Convocazione assemblea L’Assemblea ordinaria dei soci AIRC, a norma dell’articolo 8 dello Statuto sociale, è convocata presso la sede, in via Corridoni 7 a Milano, per il giorno 29 maggio 2012 alle ore 13.30 in prima convocazione e alle ore 14.30 in seconda convocazione, con il seguente ordine del giorno: - relazione del Consiglio Direttivo sull’attività svolta nell’anno 2011 e relazione dei Revisori dei conti; - approvazione del Bilancio di esercizio al 31 dicembre 2011; - elezione, previa determinazione del loro numero, di membri del Consiglio Direttivo per il triennio 2012/2015.

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VITA DI RICERCATORE Un trapianto di speranza

Un nuovo fegato anche per i malati di cancro Vincenzo Mazzaferro, piemontese trasferitosi a Milano, ha portato dagli Stati Uniti in giovane età la tecnica del trapianto di fegato adattandola ai pazienti oncologici e ha contribuito, anche grazie ai fondi di AIRC, a fare della città lombarda un centro all’avanguardia in questo settore

a cura di FABIO TURONE ono ben poche le professioni che portano a viaggiare moltissimo ma impongono di non fermarsi neanche un attimo, non consentendo neppure una deviazione dal percorso più breve, e sarebbe troppo facile dire che la professione che ha scelto Vincenzo Mazzaferro richiede coraggio: la cartina degli Stati Uniti che mostra con orgoglio nel suo studio al settimo piano dell’Istituto nazionale tumori di Milano (INT) conserva traccia di un’infinità di viaggi compiuti, partendo da Pittsburgh, in direzione di ogni angolo sperduto d’America e fin su nei pressi del Circolo Polare Artico. Sempre con le ore contate, e sempre con in mente un chiodo fisso: permettere a uno sfortunato donatore d’organo di restituire una vita serena a un malato di carcinoma epatocellulare. “Per questo saprei dire di che colore sono le uniformi e come lavorano infermieri e chirurghi della gran parte degli

S ha portato in Italia dagli USA la tecnica del trapianto

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ospedali d’America, in città bellissime che ho solo attraversato in ambulanza” spiega con un sorriso Mazzaferro, che al centro di Pittsburgh diretto dal pioniere della trapiantologia Thomas Starzl approdò grazie a una borsa di studio di AIRC, nel 1986.

Un incontro casuale con l’INT Il primo viaggio intrapreso, però, fu quello programmato al termine del liceo scientifico, frequentato nella natia Novara, grazie alla prima borsa di studio per studenti meritevoli: “Scelsi di andare a studiare medicina a Torino, e mi laureai con una tesi sul neuroblastoma perché la mia prima passione erano i tumori pediatrici”. Una volta presa la laurea, col massimo dei voti e con in mente il concorso per entrare nella scuola di specialità in chirurgia generale, l’improvvisa folgorazione: “A Torino ascoltai una conferenza del professor Leandro Gennari sul trattamento delle metastasi epatiche del tumore del colonretto, e decisi che era ciò di cui avrei voluto occuparmi” racconta Mazzaferro. Gennari all’epoca dirigeva la Divisione di chi-

rurgia oncologica dell’Istituto nazionale tumori di Milano, per cui fu quasi inevitabile che Mazzaferro chiedesse di frequentare lì il reparto, con l’obiettivo di sviluppare la ricerca clinica sui tumori epatici.

Esperienze sul campo I primi tempi non furono semplici perché mentre faceva pratica come volontario non pagato all’Istituto nazionale tumori lavorava anche alla guardia medica nei dintorni di casa: “Non sapevo quale sarebbe stato il mio futuro, per cui necessariamente dovevo tenere i piedi in due staffe. Di notte giravo la bassa novarese con una vecchia Panda, e alla mattina mi precipitavo in treno in Istituto” ricorda. “Di quegli anni conservo il ricordo di tantissime esperienze memorabili vissute anche da medico di campagna. Per un medico alternare la cura di un bambino febbricitante, che la mamma incinta del fratellino porta con sé nei campi di riso, alla sfida assai diversa del clinico ricercatore che somministra terapie all’avanguardia, rappresenta un sano bagno di realismo e insegna che la medicina è medicina sempre, sia che il malato soffra per un malanno banale sia per una situazione clinica inve-


rosimilmente complicata”. La svolta arrivò nel 1986, grazie appunto a una borsa di studio di AIRC pensata per favorire i giovani desiderosi di acquisire esperienza all’estero, che gli permise di prendere il volo per il centro pionieristico di Pittsburgh, in Pennsylvania, dove avrebbe potuto inseguire la visionaria idea di curare i malati di cancro del fegato con un trapianto: un’idea che a molti, in Italia, sembrava velleitaria.

AMBROGINO BIPARTISAN

a storia della medicina è piena di tecniche, strumenti, malattie e terapie che prendono il nome dal loro scopritore, ma quando Mazzaferro dovette decidere che nome dare alla lista di criteri che aveva individuato per sapere in anticipo quali malati sono destinati a trarre beneficio dal trapianto di fegato, optò per intitolarli alla città dove era approdato poco dopo la laurea. Oggi i “criteri di Milano” sono adottati in tutto il mondo, e

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A Pittsburgh doveva inizialmente restare sei mesi, ma la borsa di studio fu rinnovata. Poi gli offrirono una fellowship triennale, cui seguì l’incarico di assistant professor in chirurgia. Furono anni in cui avidamente studiava in un clima altamente competitivo e infaticabilmente acquisiva esperienza sul campo girando gli Stati Uniti in lungo e in largo. La gavetta del chirurgo trapiantatore prevede infatti di lavorare a qualsiasi ora perché, ad

ovunque permettono a oncologi e chirurghi di prendersi cura al meglio dei propri pazienti, e di ottenere i migliori risultati possibili con una risorsa limitata come gli organi per i trapianti. E Milano ha ricambiato con generosità attribuendo ben due benemerenze civiche – che i milanesi chiamano affettuosamente “Ambrogino d’oro” – a Mazzaferro e all’associazione di pazienti ‘Prometeo’ attiva nel suo reparto. Viste le polemiche che negli

esempio, in ogni momento si deve essere disponibili a partire per andare a prelevare il fegato del donatore. Nel frattempo in Italia era avvenuta una svolta: “Era ancora Umberto Veronesi il direttore dell’INT, quando il Ministero della sanità autorizzò il trapianto di fegato sui malati del centro milanese, per cui nel 1991 ebbi l’opportunità di tornare per provare ad applicare alla realtà oncologica le tecniche apprese negli Stati Uniti.”

ultimi anni hanno spesso accompagnato l’assegnazione degli Ambrogini, l’oncologo ci tiene a precisare che il riconoscimento è stato bipartisan: “Il primo è arrivato dalla giunta Moratti, e il secondo dall’attuale giunta Pisapia”. C’è anche un altro premio che Mazzaferro ricorda con profondo orgoglio, il premio FIRC che gli fu assegnato alla prima edizione, nel 1996: “Sono stato l'unico ad averlo ricevuto dalle mani di Guido Venosta, cui poi è stato intitolato” racconta con un pizzico di commozione. “E sono molto fiero di aver avuto occasione di conoscerlo e stringergli la mano”.


VITA DI RICERCATORE Un trapianto di speranza

In questo articolo: trapianto di fegato Vincenzo Mazzaferro linee guida punto più alto, senza mai perdere di vista le altre opzioni che diventavano via via disponibili per la cura: chirurgia, terapie adiuvanti, terapie loco-regionali come la radioembolizzazione fino alla terapia biologica, che è diventata disponibile negli ultimi 4-5 anni grazie al sorafenib, un farmaco ‘intelligente’ che abbiamo contribuito anche noi a sperimentare”.

Tra medicina e ricerca

“ ” I CRITERI DI MILANO

li ultimi lavori scientifici del gruppo di Vincenzo Mazzaferro, realizzati grazie a finanziamenti AIRC, hanno ampliato l'ambito di interesse della ricerca clinica sui tumori primitivi e secondari del fegato. Queste patologie vengono curate, nel reparto da lui diretto, con un approccio integrato e multidisciplinare e con una casistica che non ha confronti rispetto a ogni altra realtà sanitaria italiana. Una rigorosa analisi di tutti gli articoli scientifici pubblicati sul trapianto nei tumori (in gergo una "revisione sistematica”) ha confermato la bontà delle decisioni in merito al trapianto di fegato in pazienti oncologici, prese utilizzando i cosiddetti “criteri di Milano”. Altri studi hanno però aperto prospettive interessanti sui cosiddetti “criteri allargati”, che tengono conto del profilo genetico, identificando una nuova classificazione molecolare delle neoplasie del fegato. Questa è utilizzata anche nelle nuove linee guida che tengono conto della disponibilità di terapie innovative e dei contesti migliori in cui applicarle. È nata così una nuova branca della ricerca e della cura, l'epatoncologia, in grado di riunire tante competenze sul cancro del fegato, a lungo trascurato perché considerato non curabile. È una novità che Mazzaferro e la sua équipe hanno, ancora una volta, anticipato.

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Un intervento lunghissimo Ancora oggi il trapianto di fegato, che per i malati di epatocarcinoma è un’opzione terapeutica consolidata, comporta per i chirurghi una fatica particolarmente intensa e prolungata, ma nei primi tempi il lavoro quotidiano era talmente impegnativo e privo di soste da dare un significato nuovo all’espressione “stanco morto”: “Una volta, alla fine di un intervento in Istituto, restai da solo e crollai su una brandina in un angolo della sala operatoria” racconta divertito Mazzaferro. “Dormivo talmente pesantemente, coperto da un lenzuolo, che la suora chiamò i portantini pensando che fossi un paziente che non ce l’aveva fatta”. La fatica, sempre accompagnata da una spasmodica attenzione per tutti i dettagli richiesti dal metodo sperimentale, ha dato i suoi frutti: ancora oggi i medici di tutto il mondo seguono i “criteri di Milano” – messi a punto in quegli anni da Mazzaferro – per capire per quali malati di tumore il trapianto offre concrete speranze di guarigione. Tutto questo accadde anche grazie a una nuova prospettiva: “A Pittsburgh, e tuttora in molti centri chirurgici, si facevano trapianti pensando ai trapianti; a Milano ci siamo orientati su una ricerca che curasse i tumori epatici anche attraverso il trapianto, ma non solo. In un certo senso abbiamo cominciato a costruire la casa partendo dal tetto, cioè dal

Oggi Vincenzo Mazzaferro è direttore dell'Unità di chirurgia epato-gastro-pancreatica e vicedirettore scientifico dell'area chirurgica dell'Istituto nazionale tumori di Milano, titolare di molti progetti di ricerca clinica internazionali, insegna alla scuola di Specialità in chirurgia e, con la moglie Giuse, insegnante di matematica e scienze, conosciuta in gioventù a Novara, abita a pochi minuti di distanza dall'ospedale. Per i suoi collaboratori è sempre disponibile, anche nei rari momenti di relax, quando cura il suo giardino o mentre si occupa dell'attività scientifica, cui dedica molte ore ogni sera: “L’attività scientifica permea tutto il mio lavoro: gran parte dei nostri pazienti è arruolata in uno studio clinico, sono titolare di molti progetti di ricerca clinica e collaboro come editor e come revisore a molte riviste scientifiche internazionali”. È anche questo un modo per mettere a disposizione di tutti i frutti del lavoro condotto anche grazie ai molti finanziamenti ricevuti in tutti questi anni da AIRC: “L'indipendenza della ricerca clinica dagli interessi economici è fondamentale” sottolinea, concludendo con un dato che dice tutto sul ruolo centrale del sistema sanitario pubblico: “Quattro trapianti di fegato su 10 vengono effettuati, oggi in Italia, su pazienti oncologici. Il trapianto garantisce una sopravvivenza a cinque anni molto elevata, attorno al 70 per cento, ma è un atto medico molto impegnativo e costoso che può essere offerto ai pazienti solo in una struttura pubblica”.

L’intervento è lungo e faticoso anche per il chirurgo


COME CURARE Il follow-up dei malati

Dopo il cancro del seno è tempo di controlli Proprio quando si ha voglia di lasciarsi alle spalle la malattia e gli ospedali arriva invece il momento dei controlli periodici. Nel caso del cancro del seno la loro frequenza e modalità è stata studiata e codificata da linee guida internazionali a cura di DANIELA OVADIA l peggio è passato, il tumore del seno è stato trattato chirurgicamente, a volte con radioterapia o con una chemioterapia. Ora è tempo di lasciarsi alle spalle la malattia senza però dimenticare che, per i primi cinque anni, la ex malata di cancro è una sorta di “sorvegliata speESSUNO ciale”. “Il perioAMA I CONTROLLI do di cinque anni è ovviaCHE SONO mente arbiPERÒ NECESSARI trario: è un limite che nasce da studi epidemiologici che dimostrano come, nella maggior parte dei casi, se un tumore si ripresenta o dà

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luogo a metastasi ciò avviene in questo lasso di tempo. Ma è ovviamente una media: ogni paziente ha una propria storia, che dipende anche dal tipo di malattia che l’ha colpita, dalla sua diffusione al momento della diagnosi e dalle cure alle quali è stata sottoposta” spiega Alberto Luini, direttore della Divisione di senologia dell’Istituto europeo di oncologia di Milano. RASSICURANTI MA FASTIDIOSI Esistono però domande che ogni donna si pone fin dalla dimissione e che riguardano proprio i controlli a cui si dovrà sottoporre. Da un lato, infatti, questi hanno anche una funzione di rassicurazione nei confronti di una eventuale recidiva e danno la certezza di poter contare eventualmente su una diagnosi tempestiva; dall’altro scandiscono, non senza

apprensione, lo scorrere del tempo e rendono più difficile il voltare pagina. Proprio perché si tratta di una questione importante, le società scientifiche si sono poste il problema di uniformare gli esami e le visite sulla base di studi di costo-efficacia: in sostanza i ricercatori sono andati a vedere quanto è utile fare determinati esami e quanto, invece, può essere inutile, se non dannoso, esagerare con determinati controlli. “I protocolli di follow-up, cioè di frequenza dei controlli dopo un tumore, sono oramai ampiamente condivisi, pur nella variabilità individuale di cui si parlava prima e che garantisce alla paziente una cura personalizzata” continua Luini.

Più che i controlli strumentali, però, quel che sembra contare è la visita del medico. “Uno studio multicentrico italiano effettuato in 26 ospedali e pubblicato già nel 1994 sulla rivista JAMA aveva suddiviso le donne in un gruppo sottoposto a serrati controlli con ecografie, mammografie e altri esami e in un altro in cui si facevano solo gli esami ritenuti necessari dal medico in seguito a controlli programmati. In pratica si eseguivano solo i test utili secondo la clinica” spiega Umberto Veronesi, direttore scientifico di IEO. “Al termine dei cinque anni di sorveglianza non vi erano differenze nella sopravvivenza tra i due gruppi. Questo risultato ha ispirato i nostri protocolli di controllo: fare il neces-

La cadenza delle visite è stabilita da protocolli internazionali

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COME CURARE Il follow-up dei malati

In questo articolo: controlli mammografia frodi

s a r i o senza trasformare gli anni successivi alla malattia in un percorso a ostacoli tra un esame e l’altro, perché non serve”. LA VISITA ONCOLOGICA L’American Society of Clinical Oncology (ASCO) è una delle società scientifiche più prestigiose nell’ambito dell’oncologia clinica, che si occupa principalmente della cura dei malati. Le sue linee guida in materia hanno fatto da base per tutte le altre e sono molto chiare: nel corso del primo anno si incontrerà l’oncologo ogni tre-sei mesi, quindi ogni 6-12 mesi fino al quinto anno. Dopo tale termine i controlli potranno diradarsi, ma sarà comunque il medico a consigliare la frequenza più adatta per il singolo caso. La visita comprende un’attenta anamnesi, la palpazione della mammella (se non è stata asportata interamente) e soprattutto la valutazione dello stato di salute del seno controlaterale, poiché è noto che chi ha avuto un primo cancro mammario ha un rischio più elevato della media di svilupparne un secondo.

AMICA MAMMOGRAFIA Sia che il seno sia stato ricostruito con un intervento di chirurgia estetica sia che sia stato parzialmente asportato, la mammografia annuale è un obbligo per chi è già incappata una volta nella malattia. “Non c’è alcun pericolo nel sottoporsi a una mammografia anche se si è portatrici di una protesi mammaria” spiega Luini. “I materiali di cui sono fatte sono stati pensati per reggere a pressioni molto elevate, ben più intense di quelle a cui viene sottoposto un seno durante una mammografia”. In ogni caso, le portatrici di protesi sono sottoposte anche a un’ecografia annuale per verificare la posizione e la tenuta della protesi stessa. Talvolta il medico può ricorrere anche ad altre tecniche di imaging, come la risonanza magnetica, ma la mammografia rimane l’esame di base, imprescindibile. Solo le donne che hanno subito l’asportazione totale del seno e dei tessuti circostanti (mastectomia totale) sono esentate dall’esame (che però va comunque fatto sul seno sano). Le linee guida dell’ASCO prevedono anche che la donna pratichi l’autopalpazione mensile del seno, anche se questo esame non sostituisce in alcun modo la mammografia e può risultare, specie all’inizio, piuttosto complesso proprio per via della presenza di cicatrici e della eventuale protesi ricostruttiva.

La mammografia è l’esame cardine anche nel seno operato

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UN QUADRO GENERALE Nel calendario dei controlli è necessario inserire anche la visita ginecologica annuale, specie se si assumono farmaci ormonali per la prevenzione delle recidive come il tamoxifene. In questo caso è bene rivolgersi al medico anche in presenza di sanguinamenti, poiché uno degli effetti collaterali di questa cura è un lieve aumento del rischio di incorrere in un cancro dell’endometrio, cioè del rivestimento interno dell’utero. Nella maggior parte dei casi il medico eseguirà una ecografia transvaginale, tecnica che consente di misurare lo spessore dell’endometrio e di confrontarlo con quello ottenuto nella visita precedente. “Il fatto che spesso si combinino due farmaci, cioè tamoxifene e analogo LHRH, serve anche a proteggere l’endometrio dal rischio tumorale, sia pur piccolo. Ciò non esime però dai controlli ginecologici, che sono comunque necessari” specifica Luini. Le linee guida internazionali prevedono anche (ma solo in alcuni casi) che alla scoperta di un cancro della mammella segua una valutazione del rischio genetico familiare. Ciò è necessario però solo se la malattia è insorta in età giovanile (prima dei 50 anni) o in almeno due membri femminili della propria famiglia (madre e sorella, figlia e sorella e così via), se il tumore ha colpito ambedue i seni oppure se c’è un membro maschile della famiglia che ha sofferto della stessa malattia. Tutti questi sono indizi di una possibile presenza di geni di predisposizione: scoprirlo consente di sottoporsi a programmi di prevenzione delle

recidive più serrati di quelli previsti normalmente e che comprendono anche cambiamenti negli stili di vita e nell’alimentazione. “In linea generale, adottare stili di vita più salubri e un’alimentazione prevalentemente vegetale è un buon suggerimento per tutte le ex pazienti” afferma Luini, che segnala la necessità di prendere in considerazione anche i malesseri psicologici e non solo quelli fisici. È una raccomandazione condivisa dalle linee guida, che segnalano come il 30 per cento circa delle ex malate di cancro del seno vada incontro a una qualche forma di depressione proprio quando il peggio sembra passato: è una reazione comprensibile, legata anche all’abbassamento delle difese psichiche e al rilassamento che segue la consapevolezza dello scampato pericolo ma che può, se trascurata, interferire con il benessere generale. Secondo uno studio condotto da un noto centro oncologico, lo Sloan Kettering di New York, le donne depresse tendono a tralasciare i controlli previsti e a non seguire con sufficiente costanza le prescrizioni del medico, esponendosi quindi a rischi elevati di ricaduta. Infine non bisogna dimenticare l’importanza dell’attività fisica, che agisce su più fronti: rinforza l’organismo dopo le cure, migliora la mobilità in caso di linfedema (il tipico gonfiore del braccio che può derivare dallo svuotamento del cavo ascellare e dall’asportazione dei linfonodi), riduce il rischio di ingrassare legato ad alcune terapie ormonali e aumenta il tono dell’umore.

Si controllano tutti gli organi influenzati dagli ormoni

IL CASO PIP

H

a suscitato grande al- tesi è più teorica che reale, larme nel pubblico il tanto che il Consiglio supecaso delle protesi al riore di sanità, in un comuseno di marca Pip, prodotte in nicato ufficiale del 22 dicemFrancia e ritirate dal mercato bre scorso, nega che esista, perché potenzialmente sog- pur affermando che il mategette a rottura dell’involucro riale scadente di cui sono che contiene silicone e quin- fatti questi ausili può indurdi, in teoria, cancerogene. re infiammazione. In realtà il Ministero È bene sapere che su 10 della salute italiano aveva milioni circa di protesi mamgià ritirato dal mercato que- marie di marche differenti ste protesi il 1 aprile del impiantate nel mondo (per 2010, quando dalla Francia è ragioni mediche ma anche – arrivata la notizia di un uti- anzi nella maggior parte dei lizzo di materiale non con- casi – per motivi estetici) forme alle regole per la loro sono stati descritti rarissimi fabbricazione. Già allora gli casi di linfoma originatosi ospedali italiani che ne ave- dalla capsula intorno alla vano fatto uso hanno richia- protesi (sia in silicone sia mato le donne per un contenente una bacontrollo ecografico. nale soluzione sali“È una vicenda negana): 75 casi totali con tiva soprattutto per quattro decessi, l’impatto che può senza relazione con avere sulle pazienti una specifica ditta con cancro del seno, produttrice. Per quel che potrebbero penche riguarda più in sare alla ricostruziogenerale i casi di rotne come a qualcosa di tura della protesi, il potenzialmente periMinistero della salucoloso. Invece è un LA VICENDA te ha fatto sapere che momento fondamen- NON DEVE ciò è accaduto in Itatale del percorso di SMINUIRE lia, dal 2005 a oggi, guarigione, e frodi L’IMPORsolo 24 volte (e con come questa non de- TANZA DI protesi di marche difvono intaccare il RICOSTRUIRE ferenti) e che solo in principio secondo il un caso l’organismo IL SENO quale la ricostruzione ha reagito alla rottudel seno è un pezzo della ra con lo sviluppo di segni di cura, non una velleità esteti- infiammazione. ca” afferma convinto UmIn ogni caso il Ministero berto Veronesi, direttore ha stabilito un protocollo scientifico dell’Istituto euro- di verifica per le circa 5.000 peo di oncologia. donne portatrici di protesi Ma queste protesi sono Pip in Italia, che comprendavvero rischiose? In realtà de un’ecografia di controllo si tratta di un rischio poten- e, nel caso in cui si dimoziale, poiché non si sono al strasse un’alterazione delmomento verificati casi di l’involucro o un qualsiasi rottura che configurino un rischio per la salute, la sopericolo immediato. Anche stituzione delle protesi stesla cancerogenicità della so- se a carico del Sistema sanistanza contenuta nella pro- tario nazionale.

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PREMIO NOBEL Un ricordo dovuto

In questo articolo: Renato Dulbecco Progetto Genoma Umano Premio Nobel

Lo scienziato gentiluomo del Progetto Genoma Un premio Nobel per la medicina e una vita dedicata alla ricerca: questo il ritratto di Renato Dulbecco, per anni impegnato a fianco di AIRC e FIRC in un progetto sull’identificazione dei geni coinvolti nei tumori

a cura della REDAZIONE na delle menti più brillanti della nostra generazione, un uomo che con il suo impegno ha realmente contribuito a rendere il mondo migliore per tutti noi”. Così William R. Brody, attuale presidente del prestigioso Salk Institute di San Diego, in California, ricorda Renato Dulbecco, scomparso lo scorso 21 febbraio alla soglia dei 98 anni. Lo sanno bene AIRC e FIRC che, oltre ad aver finanziato le sue ricerche quando Dulbecco è tornato in Italia alla fine degli anni Novanta, hanno potuto contare più volte sulla sua disponibilità di testimonial a favore della ricerca contro il cancro. Nel 1996, per esempio, il premio Nobel è stato il volto di “storie al microscopio”, un’iniziativa effettuata in collaborazione con

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RAI per portare nelle case degli italiani le storie dei ricercatori impegnati nella battaglia contro la malattia.

Uno stretto legame col cancro Nel suo lavoro, Renato Dulbecco ha sempre guardato con particolare attenzione al cancro. La vittoria del Nobel nel 1975 è legata alla scoperta dei meccanismi che determinano la trasformazione tumorale delle cellule da parte di virus e l’idea di sequenziare il genoma umano è scaturita dal desiderio di trovare nella doppia elica del DNA le risposte giuste per cono-

Occupandosi di genetica di base ha contribuito alla ricerca sul cancro

PROGETTO LUNGIMIRANTE

Dal 1994 al 1996 FIRC finanziò il progetto “Approccio molecolare all’identificazione di geni che determinano la malignità tumorale”, coordinato da Renato Dulbecco presso il CNR. Lo stesso progetto fu sostenuto da fondi AIRC per altri tre anni, dal 1998 al 2000. Un segno inequivocabile della volontà condivisa da AIRC/FIRC e Dulbecco di agire in 10 | FONDAMENTALE | APRILE 2012

scere le basi genetiche di questa malattia. In un articolo pubblicato nel 1986 sulla rivista Science, Dulbecco scrisse che l’unico modo per capire veramente le differenze tra le cellule tumorali e quelle sane è studiare in modo sistematico i geni. “Un’idea quasi visionaria all’epoca che solo oggi possiamo apprezzare in tutta la sua importanza” spiega Paolo Vezzoni, stretto collaboratore del premio Nobel, oggi a capo dell’Unità di biotecnologie mediche dell’Istituto Humanitas di Rozzano (MI) e ricercatore presso l'Istituto di ricerca genetica e biomedica del CNR. “E per difenderla Dulbecco si scontrò con molti detrattori che consideravano il sequenziamento del DNA umano un’impresa troppo costosa e anche decisamente noiosa”. In Italia, la lungimiranza di Dulbecco trovò inizialmente il sostegno del CNR grazie al quale prese il via nel 1987 il ramo italiano del Progetto Genoma, un progetto importante per tutta la ricerca nazionale che però, malgrado avesse ottenuto ottimi risultati, venne interrotto nel 1997. Nella sua lotta contro il cancro Dulbecco conobbe in Italia altri due importanti alleati, AIRC e FIRC, con i quali iniziò una collaborazione durata per sei anni anche grazie al legame e alla lungimiranza dell’allora presidente di AIRC Guido Venosta, che permise a un ricercatore di tale qualità, che da tanti anni non lavorava in Italia, di tornare a farlo (vedi il riquadro a sinistra).

modo concreto per sostenere la ricerca di qualità come unica via per sconfiggere il cancro. Si trattava, per l’epoca, di un lavoro pionieristico, poiché poneva i geni alla base del processo di trasformazione della cellula. Oggi sappiamo che questo approccio è vincente, perché è dall’oncologia molecolare che arrivano le cure più promettenti.

Un uomo generoso Leggendo i numerosi articoli pubblicati in omaggio al grande ricercatore italiano, colpisce il fatto che nessuno degli autori si limiti a un ricordo professionale, ma tutti sentano di dover aggiungere qualcosa di personale. “L’ho conosciuto professionalmente


quando aveva già 70 anni, anche se ne dimostrava 15 di meno, viste la sua curiosità e la sua lucidità” spiega Paolo Vezzoni. Proprio al CNR Vezzoni aveva conosciuto Dulbecco e con lui aveva collaborato negli anni del Progetto Genoma. “Il primo aggettivo che mi viene in mente se penso a Renato è serio” continua. “Non certo nel senso di noioso, ma piuttosto di preciso, diretto e sincero”. Nel suo ricordo del tempo trascorso con Dulbecco, Vezzoni descrive la tenacia e la preparazione del ricercatore, cittadino italiano ormai naturalizzato statunitense, la sua voglia di “non perdere tempo” in cavilli inutili, ma anche la sua grande gentilezza e umiltà. “Renato partì nel 1947 per gli Stati Uniti con l’idea di non tornare” racconta Vezzoni ricordando l’amico da poco scomparso. Renato Dulbecco era nato a Catanzaro, in Calabria, nel 1914. Si era laureato in medicina all’Università di Torino nel 1936, dove aveva incontrato Salvador Luria e Rita Levi Montalcini, due futuri premi Nobel (vedi il box in queste pagine). Nel 1939, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, partì per il fronte come medico militare e, dopo la guerra, per gli Stati Uniti, sulla stessa nave che trasportava oltre oceano Rita Levi Montalcini. Per un paio di anni lavorò a Bloomington (nell’Indiana) con Salvador Luria. Nel 1949 si trasferì al California Institute of Technology (Caltech) e nel 1962 venne arruolato dal Salk Institute di San Diego (California). Nel 1972 tornò in Europa, a Londra, per dirigere i laboratori dell’Imperial Cancer Research Fund. Tre anni dopo ricevette il premio Nobel per la medicina per il suo lavoro sui virus oncogeni. Nel 1977 tornò negli Stati Uniti e nove anni dopo pubblicò un articolo sulla rivista Science nel quale lanciava l’idea di un progetto per sequenziare il genoma umano (il futuro “Progetto Genoma”). L’anno successivo venne nominato coordinatore, assieme al CNR, del ramo italiano di quello stesso progetto a cui tanto deve oggi la ricerca sul cancro. Tornò a vivere in Italia solo nel 1992, e vi restò fino al 1997, collaborando attivamente con il CNR, con AIRC e con FIRC. “Quando nel 1999 decise di andare

al Festival di Sanremo come copresentatore, insieme a Fabio Fazio e Laetitia Casta, aveva già 85 anni” continua Vezzoni. “Lo fece per portare il tema della ricerca scientifica sul maggior palcoscenico d’Italia e utilizzò il suo compenso per creare un fondo per i giovani ricercatori italiani”. Dal 2006 viveva nella sua casa di La Jolla, negli Stati Uniti dove, fino alla fine dei suoi giorni, ha continuato a seguire i lavori del Salk Institute. “In un certo senso restò un po’ deluso dall’immobilità che circonda la ricerca nel nostro Paese” spiega Vezzoni. “Ci vorrebbe una rivoluzione” diceva lo scienziato che, pur amando la propria terra d’origine, si rendeva perfettamente conto degli ostacoli che i ricercatori devono superare quotidianamente nel sistema italiano. Ciò non gli impedì di tornare, una volta acquisita la notorietà internazionale grazie al premio Nobel, per dare una mano alle menti più brillanti d’Italia anche attraverso il suo impegno a favore di AIRC e FIRC. “Era sempre disponibile e corretto con tutti e aveva il pregio di trovare sempre tempo ed energia per i progetti che riteneva importanti” conclude Vezzoni.

“ ”

UN BEL GRUPPO DI AMICI

Salvador Luria, premio Nobel per la medicina nel 1969, e Rita Levi Montalcini, Nobel per la medicina nel 1986, sono solo due degli amici “illustri” che Renato Dulbecco ha incontrato nella sua vita e che ne hanno influenzato le scelte e il percorso professionale. “Luria ha incoraggiato il mio lavoro offrendomi un posto nel suo gruppo di ricerca negli Stati Uniti e Rita Levi Montalcini mi ha spinto verso l’avventura statunitense aiutandomi a finalizzare i miei obiettivi di ricercatore” ha spiegato lo stesso Dulbecco. E proprio con Rita Levi Montalcini Dulbecco ha iniziato la sua nuova vita professionale oltreoceano: i due giovani ricercatori e futuri Nobel erano sulla stessa nave partita nell’autunno del 1947 alla volta degli Stati Uniti.

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NOTIZIE FLASH

Dal mondo L’appetito con la chemio

La strana coppia nemica del colon Un po’ di alcol ogni giorno e una storia familiare di tumore del colon-retto rappresentano un mix molto pericoloso per la salute del colon. Secondo un gruppo di ricercatori di Boston, infatti, le persone che consumano 30 grammi di alcol al giorno (circa due bicchieri e mezzo di vino e poco più di un paio di lattine di birra) e hanno parenti stretti con la malattia sono più a rischio di ammalarsi a loro volta di tumore del colon. “Come se non bastasse” affermano gli autori “sono le stesse che spesso consumano più carne rossa, fumano e mangiano poca frutta e verdura, tutti comportamenti che mettono a dura prova la salute. I risultati dello studio rappresentano un’ulteriore conferma dell’importanza di uno stile di vita corretto nella prevenzione di questo tumore” concludono gli autori del lavoro, pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition.

La grelina, l’ormone che stimola l’appetito ed è tanto odiato da chi litiga con i chili di troppo, potrebbe rappresentare un alleato importante contro il tumore e in particolare contro la nausea e la mancanza di appetito che la chemio spesso si porta con sé. “Alcuni farmaci chemioterapici, in particolare quelli a base di cisplatino, riducono i livelli plasmatici di grelina” spiega Yuichiro Hiura dell’Università di Osaka in uno studio pubblicato sulla rivista Cancer. “E questo può portare a disturbi talmente forti da costringere a interrompere il trattamento”. Concentrandosi sul tumore dell’esofago, i ricercatori giapponesi hanno scoperto che, tra le 40 persone coinvolte nello studio, quelle trattate con grelina dopo il primo ciclo di chemio mostravano più appetito e avevano aumentato il consumo di calorie quotidiano. E anche altri effetti collaterali della chemio sono diminuiti grazie alla grelina: nausea, vomito e anoressia si sono ridotti, migliorando la qualità della vita. Lo studio è ancora nelle fasi iniziali ma rappresenta un importante punto di partenza verso l’eliminazione di alcuni degli effetti collaterali più fastidiosi e pericolosi della chemio.

La parola alle donne Dopo una diagnosi di tumore del seno in fase iniziale, due donne su tre vogliono prendere parte attivamente alle decisioni sui trattamenti da seguire. Lo afferma dalle pagine del Journal of Clinical Oncology un gruppo di ricercatori statunitensi sulla base dei risultati di uno studio che ha coinvolto poco meno di 700 donne. Non tutte però la pensano allo stesso modo: alcune vogliono il controllo completo sulla scelta del trattamento e altre puntano invece sulla decisione presa in collaborazione con il medico, ma c’è anche chi preferisce “non pensarci” e lasciare fare allo specialista. “Le donne che partecipano alle decisioni sul trattamento in modo da soddisfare le loro aspettative iniziali raggiungono risultati migliori in molti aspetti della cura” affermano gli autori. È importante ricordare che la possibilità di scegliere non è sempre valida. Come spiegano gli esperti, infatti, per il tumore del seno in fase iniziale le opzioni di trattamento efficaci sono molte ed è corretto tener conto delle preferenze personali, ma in altri tipi di tumore la scelta è ancora oggi obbligata. 12 | FONDAMENTALE | APRILE 2012


SOCIETÀ Malattia e occupazione

A bloccare il ritorno del malato sono le incertezze relazionali Un’indagine svela che le aziende e i pazienti cronici conoscono bene le leggi che regolano i diritti di un dipendente malato. Il reinserimento in azienda è però frenato dalla scarsa comunicazione con i capi e dai pregiudizi dei colleghi a cura di NICLA PANCIERA l rientro al lavoro dopo un lungo periodo di assenza segna una tappa importante verso il ritorno alla normalità e a quella quotidianità stravolta dalla diagnosi. Lavorare assume quindi un significato che trascende la soddisfazione professionale. Spesso accade però che il rientro sia segnato da difficoltà inaspettate: coloro che non perdono il lavoro, e sono i più fortunati, si trovano a dover affrontare situazioni complesse, dove aziende, capi e colleghi sembrano impreparati a gestire una realtà che è comunque in espansione. Le cifre descrivono, infatti, un fenomeno non marginale: i malati di cancro sono sempre di più anche per l’aumento dei casi giovanili, per l’invecchiamento della popolazio-

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Non temono la fatica fisica ma la riduzione delle mansioni

ne e perché, grazie ai nuovi efficaci percorsi terapeutici resi possibili dai progressi in campo medico, con il cancro oggi si è imparato a convivere.

Relazioni complesse Il paziente viene messo nelle condizioni di poter riprendere la sua attività professionale e questo costringe a un cambio di prospettiva. Se il valore terapeutico del lavoro è noto da tempo, quanto invece non si sapeva è che le maggiori difficoltà in questo contesto riguardano le relazioni interpersonali. Lo dice un recente studio della Fondazione Giancarlo Quarta Onlus, che opera nell’ambito della ricerca psicosociale. Il progetto STARGATE – Strumenti e prassi di tutela: aspetti relazionali per la ge-

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SOCIETÀ Malattia e occupazione

stione dei collaboratori ammalati critici che tornano al lavoro dopo esperienze di cura, patrocinato dal Ministero del lavoro e dalla Fondazione Carlo Erba, analizza le difficoltà dei pazienti cronici che rientrano al lavoro e le prassi di gestione messe in atto dalle aziende.

Insensibili al problema Il fatto che colpisce, ancor prima di entrare nel dettaglio dei risultati, è la scarsa partecipazione (la cui ragione andrebbe indagata) delle aziende interpellate: a rispondere ai questionari, in forma rigorosamente anonima, sono state meno del 4 per cento (119 su 2.500). Eppure, le domande riguardavano tutte le tipologie di pazienti critici (cronici e gravi), non solo gli oncologici, che comunque sono moltissimi: stando ai dati CENSIS relativi al 2010, in Italia, dei due milioni di persone con il cancro, ben 690.000 sono in età lavorativa.

“I dati raccolti indicano chiaramente che le questioni giuridico-normative, spesso note ai pazienti e divulgate dalle stesse aziende, non sono il problema principale” spiega Lucia Giudetti Quarta, presidente dell’omonima fondazione. “I punti critici riguardano invece le relazioni interpersonali, tanto per i pazienti, quanto per capi e colleghi. L’incapacità di svolgere il proprio compito e di eseguire tutte le mansioni assegnate sembra non essere la preoccupazione primaria del lavoratore malato, che anzi si sente in grado di fare di tutto, specie quando è un lavoratore del terziario. E nemmeno dei colleghi, che sono poco interessati alle eventuali inadeguate ripartizioni delle incombenze e alle conseguenti disuguaglianze nei carichi di lavoro”. A impensierire è invece l’imbarazzo nel non sapere come, quando e cosa dire a capi e colleghi, ma anche il timore di eventuali atteggiamenti pregiudiziali da parte dei colleghi, come il venire considerati diversi (20 per cento) o

Pochi hanno partecipato all’indagine, segno di scarsa sensibilità

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essere oggetto di condiscendenza (20 per cento). Infine, c’è la paura di essere considerati un peso dai capi e di essere messi da parte. Capi e colleghi che, dal canto loro, nutrono analoghe incertezze su quale sia il modo migliore di garantire al malato curato una “nuova normalità” nell’ambiente di lavoro, dove cambiamenti di tempi e ritmi sono inevitabili. Il prevalere della dimensione umana emerge anche nella domanda aperta de-dicata alle proposte di comportamenti adeguati alle esigen-ze dei malati, dove le prassi suggerite riguardano di nuovo


In questo articolo: diritti del malato psicologia del lavoro indagini

le dinamiche relazionali. L’azione in assoluto considerata più utile (31 per cento) riguarda il “colloquio di rientro e successivi incontri per definire criteri temporanei di valutazione della prestazione”: in sostanza, c’è bisogno di parlarsi per capire come essere utili gli uni agli altri.

Nuove organizzazioni Riorganizzare le diverse competenze dovrebbe essere d’obbligo in ogni azienda, a maggior ragione al momento del rientro di un dipendente malato, al fine di permettergli di seguire l’iter terapeutico, garantirgli il posto di lavoro e una

tutela economica, con il raggiungimento di accordi soddisfacenti per entrambe le parti. Infatti, pur malato, il dipendente rimane tale e l’azienda ricava vantaggi, non solo in termini di produttività ma anche di immagine, dall’adozione di soluzioni organizzative che garantiscano la flessibilità al lavoratore e lo mettano nelle condizioni di dare il meglio di sé e di beneficiare quindi della ritrovata occupazione. Ancor più critica la condizione dei lavoratori precari che potrebbero, invece, data la natura flessibile del loro contratto, continuare a svolgere le proprie mansioni, cosa che accade davvero raramente: sembra proprio che, se non obbligata da norme, l’azienda tenda a mettere da parte il collaboratore che non è più in salute. I bisogni del malato emersi dal questionario STARGATE sono, nell’ordine, continuità nel ruolo e nella responsabilità (45 per cento), possibilità di continuare a ottenere soddisfazioni professionali (14 per cento) e verifica del proprio futuro professionale (13 per cento). “Indipendentemente dalla presenza di prassi codificate per il rientro di malati critici, l’imbarazzo nel gestire gli aspetti umani dell’occupazione, dunque, è trasversale alle varie aziende” conclude Giudetti Quarta. ”Tuttavia, porre l’accento sulle dinamiche tra persone non significa ignorare che la gratificazione professionale può facilitare il reinserimento e la risoluzione degli stessi problemi relazionali”. Per questo, in azienda, la personalizzazione del protocollo di reintegro è molto importante, così come il suo periodico

aggiornamento che segua l’evoluzione del malato ed eviti dannosi demansionamenti. Ogni paziente oncologico ha un percorso diverso, ma tutti devono comunque far fronte ad impegni ineludibili, come cure e visite mediche, che costituiscono un vero e proprio secondo lavoro. Per raccontare la diversità delle situazioni affrontate, la Fondazione Quarta ha anche messo in piedi un sito che raccoglie testimonianze e storie, aperto a chiunque abbia qualcosa da raccontare (www.ucare.it).

Più che le regole conta la formazione psicologica dei manager

SCONFIGGERE LA MALATTIA DA DISOCCUPATI

La sopravvivenza al cancro si accompagna a un aumentato rischio di disoccupazione. È questa la conclusione del primo studio sistematico condotto da un gruppo di ricercatori del Coronel Institute of Occupational Health di Amsterdam con l’obiettivo principale di valutare il rischio di disoccupazione tra adulti sopravvissuti al cancro. La ricerca,

pubblicata sulla rivista Jama, consiste in una metanalisi dei dati relativi a oltre 20.000 pazienti oncologici e 157.000 individui sani di controllo, raccolti in 36 studi, per lo più americani ed europei. Il rischio di essere tagliati fuori dal mercato del lavoro in seguito a una diagnosi di cancro, dicono gli scienziati, è 1,37 volte quello dei loro colleghi sani (cioè il 37 per cento in più). In cifre, il

33,8 per cento dei malati guariti è disoccupato, mentre lo è solo il 15,2 per cento delle persone sane. Naturalmente, i dati variano di Paese in Paese, a seconda del contesto socioeconomico, del tasso di disoccupazione nazionale, del sesso e dell’età dell’aspirante lavoratore. Ma c’è da dire che quasi la metà degli ex malati ha meno di 65 anni. APRILE 2012 | FONDAMENTALE | 15


RICERCA Diabete e tumori

L’insulina, chiave di volta che collega malattie lontane Analizzando i fattori che facilitano la crescita tumorale i ricercatori hanno scoperto che l’insulina (e livelli elevati di zucchero nel sangue) mantengono un ambiente favorevole al cancro

a cura di AGNESE CODIGNOLA uando, nel 1923, il premio Nobel per la medicina fu assegnato a Frederick Banting e a Charles Best per la scoperta dell’insulina e delle sue funzioni, nessuno avrebbe potuto immaginare che quasi un secolo dopo l’ormone avrebbe vissuto una sorta di seconda giovinezza e sarebbe stato associato a una malattia apparentemente così lontana dal diabete: il cancro. Eppure ormai da qualche anno l’insulina e i suoi squilibri – primo tra tutti il diabete – ha assunto un ruolo sempre più centrale nell’analisi dei fattori che predispongono ai tumori e nel sostentamento alla proliferazione incontrollata, in un processo molto complicato che i ricercatori stanno iniziando solo ora a comprendere nel suo insieme.

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IL NEMICO È L’INFIAMMAZIONE Le prime indicazioni sono state di tipo epidemiologico: ci si è accorti che l’incidenza di molti tumori era più alta della media nelle persone con diabete di tipo II, soprattutto se associato all’obesità (condizione nella quale i valori di insulina sono di solito alti) e che chi, tra i diabetici, si ammalava di tumore, aveva una prognosi peggiore rispetto ad altre persone simili per età, sesso e tipo di cancro, ma senza diabete. Altri indizi, poi, arrivavano dai laboratori, perché si era capito che non era possibile far crescere le cellule tumorali in vitro senza aggiungere alle soluzioni di coltura l’insulina e altri fattori a lei collegati come l’Insulin-like Growth

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Factor 1 o IGF-1. Diversi gruppi di ricerca hanno quindi deciso che era giunto il momento di vederci più chiaro, e hanno iniziato così a considerare l’insulina sotto una luce diversa. “Il messaggio fondamentale è che oggi si è capito che diabete, tumori e anche malattie cardiovascolari possono avere delle cause in comune insite nello stile di vita moderno, con tutte le sue distorsioni” spiega Riccardo Vigneri, docente di endocrinologia e direttore della Scuola di specializzazione in endocrinologia dell’Università di Catania, autore di diversi studi sull’argomento, finanziati da AIRC. “Vita sedentaria, alimentazione scorretta, scarsa attività fisica e fumo sono tutti fattori che influenzano il rischio di sviluppare

malattie cronico-degenerative, con meccanismi che prevedono per alcuni passaggi fondamentali comuni. Il principale è forse l’infiammazione, che si instaura per tutte queste cause e che aumenta sensibilmente tutti gli indici di rischio. Per quanto riguarda poi i rapporti tra tumori e diabete, nello specifico, la situazione inizia a essere più chiara, anche se restano molti punti da spiegare”. IN VITRO E IN VIVO Il fatto che il rischio oncologico sia più elevato nei diabetici potrebbe avere diverse cause. Chiarisce ancora Vigneri: “I dati ottenuti da studi in vitro suggeriscono che l’insulina, di per sé, sia un fattore che alimenta la proliferazione delle cellule cancerose: se da qualche parte nell’organi-


In questo articolo: diabete insulina fattori di rischio

smo c’è un tumore anche piccolo, silente, che cresce poco, ma inizia a essere immerso in un microambiente ricco di insulina, può accadere che la sua natura cambi e che esso inizi a crescere ed essere sostenuto nella sua proliferazione, trasformandosi in qualcosa di più pericoloso”. Questo, tra l’altro, spiegherebbe alcuni dati molto discussi nella comunità scientifica secondo i quali alcune forme di insulina a rilascio ritardato per diabetici sembrerebbero associate a un ulteriore aumento del rischio oncologico nelle s p e rimentazioni in vitro. “È giusto dirlo perché a questi studi è stato dato molto risalto sulla stampa, ma è bene non confondere le cose” sottolinea con forza Vigneri. “Tutte le linee guida affermano che è indispensabile curare bene il diabete e che in alcuni casi le insuline a rilascio ritardato funzionano meglio di quelle tradizionali. Il fatto che ci siano dei sospetti è oggetto di diversi studi ma il rischio derivante dalle complicanze del diabete resta comunque molto più elevato e immediato, e va combattuto c o n tutti gli

strumenti che abbiamo a disposizione incluse, se necessario, le insuline a lento rilascio". UN CIRCOLO VIZIOSO L’azione di stimolo alla crescita delle cellule dovuta all’insulina non è l’unica che lega diabete e cancro. Spiega ancora l’esperto: “Quando si instaura un diabete, tutto l’organismo ne risente ed è dimostrato che l’iperglicemia altera il sistema immunitario, indebolendo le sue capacità di reazione di fronte a un tumore in crescita”. Vi sono poi delle specificità d’organo: è noto che tra i diabetici c’è un tasso di tumori epatici che è fino a tre volte quello del resto della popolazione, e di tumori del pancreas che è doppio. Nel caso del fegato, tuttavia, si tratta anche di conseguenze indirette della malattia. Sottolinea Vigneri: “Chi ha un diabete è più esposto al virus dell’epatite che, come è noto, può avviare la cirrosi e quindi il tumore. In più chi ha il diabete è spesso obeso e l’obesità provoca la steatosi epatica, anch’essa primo passo verso la cirrosi e poi una degenerazione in senso tumorale. Le malattie tipiche del benessere sono insomma collegate tra di loro, e poiché sono causate dallo stile di vita non bisogna mai dimenticare la prevenzione, che si attua conducendo una vita attiva, evitando abitudini pessime quali il fumo, tenendo sotto controllo il peso e adottando una dieta equilibrata. E, se ci si ammala, non bisogna mai trascurare il controllo scrupoloso della glicemia, che si ottiene con uno stile di vita adeguato e con le giuste terapie”.

Diabete, tumori e malattie cardiovascolari hanno basi comuni

LA METFORMINA È UN VECCHIO ANTIDIABETICO

UN FARMACO PREVENTIVO stato uno dei primi antidiabetici orali a essere introdotto in clinica, e per questo è da tempo fuori brevetto, costa pochissimo ed è molto conosciuto, essendo stato utilizzato da milioni di pazienti in tutto il mondo per molti anni. La metformina potrebbe però diventare presto qualcosa di molto di più: una molecola che previene il cancro. Anche in questo caso, le prime osservazioni sono state epidemiologiche: si è cioè osservato, su grandi numeri di pazienti, che coloro che la assumevano avevano un abbassamento piuttosto netto del rischio di sviluppare un tumore. Ci si è chiesti quindi il motivo di tutto ciò, e lo si è individuato in un’azione specifica che questo farmaco – ma non altri – esercita contro una proteina molto importante per il cancro, chiamata chinasi AMP, che regola il dispendio energetico della cellula, e senza la quale la proliferazione (che richiede moltissima energia) non può procedere. Recentemente, poi, uno studio pubblicato su Cancer Prevention Research dai ricercatori della McGill University di Montreal ha indicato un’ulteriore azione: quella di inibitore della produzione di radicali liberi, molecole molto reattive e dannose per il DNA che si generano sempre durante l'infiammazione tipica del diabete e del cancro. Dal punto di vista clinico, quindi, la metformina assolve a più funzioni contemporaneamente: fa diminuire le cellule maligne, previene il diabete e le malattie cardiovascolari a esso collegate, fa calare il grasso addominale (fattore di rischio per le stesse malattie del cuore e dei vasi) e il colesterolo cosiddetto cattivo, e abbassa l'infiammazione generalizzata tipica della sindrome metabolica, anticamera del diabete. Il tutto a costi molto più bassi rispetto a quelli delle terapie più innovative. Ecco perché sono già in corso sperimentazioni cliniche del farmaco come agente preventivo anche in non diabetici o come cura per il cancro, in aggiunta alla chemioterapia. È presto per dire se diventerà una molecola importante per la prevenzione farmacologica del cancro, ma i presupposti autorizzano a esplorare fino in fondo questa ipotesi.

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PROFESSIONI PER LA RICERCA Il biotecnologo

Un nuovo modo di intendere la biologia Sempre più numerosi nei laboratori che si occupano di studiare il cancro, i biotecnologi sono oggi i protagonisti di una ricerca che unisce la conoscenza della biologia classica e quella delle nuove tecnologie

a cura di CRISTINA FERRARIO ecnicamente si definisce biotecnologo colui che utilizza materia vivente per affrontare e risolvere un problema biologico. “Detta così forse la definizione non è molto chiara” spiega Sabrina Arena, laureata in biotecnologie mediche, un’esperienza negli Stati Uniti e oggi senior post doc dell’IRCC di Candiolo, alle porte di Torino. “Possiamo dire che i biotecnologi lavorano direttamente a livello di DNA (il nostro patrimonio genetico), RNA e proteine,

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avvalendosi delle più moderne tecniche di genetica e biologia molecolare”. E in effetti la figura del biotecnologo, così come oggi la intendiamo, nasce proprio verso la metà degli anni Ottanta con la scoperta delle tecniche del DNA ricombinante, note anche come ingegneria genetica. Grazie a queste procedure, frutto di una ricerca continua cominciata già attorno al 1950 con la descrizione della molecola di DNA, oggi è possibile, per esempio, individuare i geni responsabili di una malattia o della produzione di

Nasce a metà degli anni Ottanta per formare biologi orientati alla ricerca

In questo articolo: formazione biotecnologia ricerca

una molecola importante per la nostra salute e modificarli per “rimetterli sulla retta via” o produrre molecole che combattano la malattia in modo sempre più efficace.

Particolari strumenti di lavoro La particolarità del biotecnologo è rappresentata dunque dai suoi strumenti di lavoro che, a differenza di quelli utilizzati in molte altre professioni, organismi viventi. Nei suoi esperimenti il biotecnologo utilizza diversi sistemi viventi che lo possono aiutare a raggiungere un obiettivo: lieviti, batteri o cellule coltivate di origine umana e animale che, se usate nel modo giusto, diventano alleati preziosi nella lotta contro molte malattie, incluso il tumore. Un esempio molto importante di utilizzo delle biotecnologie in campo medico è la produzione dell’insulina, che ha aperto la strada a tutti i successivi brevetti di questo tipo. Nel 1982, infatti, fu messo a punto negli Stati Uniti un sistema per produrre la preziosa molecola in laboratorio: in questo caso lo strumento utilizzato era una cellula batterica di Escherichia coli nella quale era stata inserita, sotto forma di frammento di DNA, “l’informazione” necessaria per produrre l’insulina umana.

DISCIPLINA NUOVA O PRATICA ANTICA?

Siamo abituati a pensare alle biotecnologie come a qualcosa di molto moderno e strettamente legato al progresso in campo medico e biotecnologico, ma forse è il caso di rivedere almeno in parte questa posizione. Se il biotecnologo è colui che utilizza organismi viventi come strumenti per raggiungere i propri obiettivi, siano questi alimentari o medici o ambientali, possiamo dire

che le biotecnologie sono antichissime. Già migliaia di anni fa, infatti, l’uomo utilizzava microrganismi per produrre birra, vino, pane, yogurt e formaggi anche se in modo inconsapevole, cioè senza sapere che alla base dei processi che permettevano, per esempio, al pane di lievitare c’era un essere vivente, il lievito. Solo con Louis Pasteur, verso la metà del 1800, si cominciò a

capire “chi” c’era dietro questi processi di trasformazione alimentare. Lo scienziato francese può quindi essere considerato in un certo senso il padre della biotecnologia, anche se sono dovuti passare ancora molti anni prima dell’avvento delle tecnologie di ricombinazione del DNA che sono alla base delle moderne biotecnologie.


I COLORI DELLE BIOTECNOLOGIE

La ricerca oncologica ringrazia Secondo i dati forniti da Assobiotech (Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie) sono più di 600 i farmaci e le terapie biotecnologiche finora utilizzati per trattare oltre 100 malattie e, tra questi, più di 200 servono per il trattamento dei tumori. “Le biotecnologie e i biotecnologi possono fare molto per la ricerca sul cancro” spiega Sabrina Arena “e io come ricercatrice vivo questa realtà ogni giorno”. Proprio grazie alle biotecnologie, infatti, sono già stati compiuti passi da gigante nella terapia di molti tumori: basta pensare al fatto che tutti i cosiddetti “farmaci intelligenti”, che oggi rappresentano una realtà nella pratica clinica di tutti i giorni e una grande speranza per molti malati, sono frutto

Oggi le biotecnologie rappresentano una risorsa fondamentale nel mondo della ricerca e non sono limitate al mondo medico-sanitario: le tecniche utilizzate sono infatti trasversali e possono essere applicate in molteplici settori. Per cercare di semplificare e mettere un po’ d’ordine nel mondo tanto vasto delle biotecnologie è stata introdotta una classificazione “per colori” che distingue: • biotecnologie rosse: per il settore salute

delle biotecnologie. Lavorare sul DNA con sistemi viventi come cellule umane, virus e batteri ha permesso ai ricercatori di tutto il mondo di scovare i geni coinvolti nella formazione e nella crescita dei tumori e di studiare strategie per accenderli e spegnerli a seconda delle esigenze, ma ha anche permesso di identificare i bersagli molecolari per colpire le cellule malate senza danneggiare quelle sane

• biotecnologie verdi: per il settore vegetale • biotecnologie bianche: per il settore ambientale e industriale

In alcuni casi si parla anche di biotecnologie blu, per indicare quelle applicate al settore marino e acquatico. Una classificazione così schematica e semplicistica può in alcuni casi generare confusione o non essere sufficiente per categorizzare al meglio alcuni prodotti biotecnologici, ma aiuta a capire, almeno a grandi linee, di quale settore di applicazione si sta parlando.

circostanti con una precisione impensabile per i farmaci tradizionali e con una riduzione drastica degli effetti collaterali. “La biotecnologia è la via da seguire per arrivare a terapie oncologiche sempre più efficaci, precise e personalizzate” afferma la giovane ricercatrice. “E il biotecnologo può essere una delle guide in questo percorso lungo e difficoltoso, ma sicuramente ricco di soddisfazioni”.

... l’articolo continua su: www.airc.it/biotecnologo

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PROFESSIONI PER LA RICERCA Il biotecnologo

Si affronta anche il tema della medicina traslazionale

Simili ma non identici Da diversi anni è aperto un dibattito piuttosto acceso sulle differenze tra le figure del biologo e del biotecnologo, entrambe presenti nei laboratori di ricerca. “Quello che posso dire è che, rispetto a quando ho iniziato la mia carriera di ricercatrice, la composizione dei gruppi presenti nel laboratorio è molto cambiata” chiarisce Sabrina Arena, che è anche vicepresidente della Sezione Piemonte dell’ANBI, l’Associazione nazionale dei biotecnologi italiani. “Se 10 anni fa la maggior parte di chi stava dietro al bancone aveva una laurea in biologia con specializzazione in biologia molecolare, oggi i due terzi dei ricercatori hanno alle spalle una formazione da biotecnologo”. E in effetti biologo e biotecnologo non sono la stessa cosa. “Anche se per molti aspetti le due figure si so-

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vrappongono, ci sono differenze che non possono essere trascurate” chiarisce la ricercatrice. Cambia soprattutto la formazione: in un certo senso potremmo dire che mentre il percorso di chi si laurea in biologia è più orientato agli aspetti “classi-

ci” della disciplina, magari con un approccio più globale e teorico, quello del biotecnologo è un percorso formativo molto applicativo e interdisciplinare, con un forte accento sull’evoluzione delle nuove tecnologie nel campo delle scienze della vita. Nel corso di laurea in biotecnologie vengono affrontati anche aspetti di tipo legislativo e commerciale (per esempio brevetti e licenze) e, in particolare nel settore medico, si affronta anche il discorso della medicina traslazionale, quella che permette di portare la scoperta dal laboratorio fino al letto del paziente. “Insomma, rispetto alla laurea in biologia cambia il modo e il punto di vista con il quale ci si accosta agli aspetti molecolari della ricerca” spiega la giovane ricercatrice. “Le due figure in laboratorio si completano a vicenda: anzi, è solo con la collaborazione multidisciplinare (biologia, biotecnologia, chimica, fisica informatica e altro ancora) che si può parlare di una ricerca completa e di successo”.

COME SI DIVENTA… BIOTECNOLOGO. a strada che porta a diventare biotecnologo è ormai ben definita. Chi decide di dedicarsi a questo tipo di studi non deve far altro che iscriversi al corso di laurea in biotecnologie presente ormai da 20 anni nelle università italiane. Dal 1992, anno nel quale è stato istituito il primo corso in biotecnologie agroindustriali a Verona, la situazione è decisamente cambiata e oggi sono 40 gli atenei italiani che offrono la possibilità di frequentare un corso di laurea in biotecnologie. Il percorso di studio è organizzato secondo la formula “3 + 2”: una laurea triennale e la possibilità di proseguire il percorso universitario con un ulteriore biennio di specializzazione. Va precisato che i corsi sono a numero chiuso (è obbligatorio il superamento di un esame di ammissione) e non tutti gli atenei prevedono la presenza di tutti gli indirizzi di laurea (medico, industriale, agrario, veterinario eccetera), ma l’offerta è oggi piuttosto completa e non sarà difficile trovare la propria strada. Il sito CNSB (Coordinamento nazionale studenti in biotecnologie – www.cnsb.it), per esempio, nella sezione “studenti” offre una panoramica delle università italiane presso le quali è presente un corso di laurea in biotecnologie.

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PSICOLOGIA Percezione del rischio

Non sempre fa paura quel che è più pericoloso Se ne sono accorti gli esperti di sanità pubblica: ci sono rischi che tendiamo a sottovalutare e che invece hanno gravi conseguenze per la salute. Viceversa tendiamo a sopravvalutare rischi di piccola entità. Gli esperti di comunicazione del rischio sono alla ricerca di una soluzione basata sull’informazione a cura di FABIO TURONE omunicare una brutta notizia, o segnalare un pericolo più o meno imminente, non è mai semplice: parlare del rischio di cancro – anche solo ipotizzandolo – è senz’altro uno di questi casi, ma la nostra vita quotidiana è in realtà costellata da un’infinità di attività potenzialmente rischiose che ci mettono davanti a una scelta. Non sempre ci fermiamo a riflettere su cosa è più saggio fare VOLTE (o evitare di fare), e ABBIAMO non di rado finiamo per adottare istintivaPAURA DI mente comportaCOSE CHE menti dettati dal desiNON SONO derio di evitare un peUN VERO ricolo che però ottenRISCHIO gono il risultato opposto, perché poggiano su basi molto fragili o del tutto inesistenti. Sappiamo che dovremmo sforzarci

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L’ONCOLOGIA CON 5 P

“Analizzare e descrivere le scorciatoie cognitive che mettiamo in atto per decidere in modo rapido, e gli errori cognitivi che spesso queste scorciatoie comportano, è un esercizio analogo a quello di svelare le illusioni ottiche” spiega Gabriella Pravettoni, che dirige il Centro di ricerca interdipartimentale sui processi decisionali (IRIDe) dell'Università di Milano, dove insegna scienze cognitive. “In alcuni contesti cadiamo in vere e proprie trappole cognitive, che deformano le informazioni portandoci a prendere decisioni sbagliate. Questo è molto importante nel campo della medicina, di cui mi occupo in particolare, perché anche medici e pazienti devono imparare a non cadere nelle trappole cognitive associate alle esperienze passate, allo stato emotivo e a molti altri fattori”. Nell'ambito specifico dell'oncologia, e in particolare della medicina personalizzata, questo approccio ha portato il gruppo diretto dalla professoressa Pravettoni a elaborare e

proporre un nuovo modello che punta a incorporare anche gli aspetti psicologici nell'approccio al paziente. “Finora quando si parlava di medicina personalizzata si faceva essenzialmente riferimento alle caratteristiche genetiche della malattia e del paziente, senza prendere in considerazione in alcun modo gli aspetti psicologici e cognitivi legati alle sue scelte e alle decisioni terapeutiche, anche per i loro riflessi sulla qualità della vita. Abbiamo quindi proposto – con un articolo pubblicato di recente sulla rivista Nature Reviews Clinical Oncology – di affiancare alle quattro P che descrivono l'oncologia del presente e del futuro (personalizzata, predittiva, preventiva e partecipatoria) la quinta P della psicologia cognitiva, sempre più necessaria per arrivare a proporre una terapia davvero personalizzata e capace di considerare bisogni, necessità, intime convinzioni e aspettative di ciascun paziente, accrescendone in questo modo l'efficacia”.

Allontanarsi dalle zone più inquinate è utile per i disturbi respiratori

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PSICOLOGIA Percezione del rischio

per acquisire un’abitudine sana o perderne una rischiosa, ma non sempre riusciamo a regolare la nostra vita in base a ciò che la ragione detta. In una certa misura – spiegano gli esperti che hanno concentrato la propria attenzione sul complesso argomento della percezione del rischio – è un fenomeno inevitabile.

Comprendere le cifre Le cifre, che necessariamente sono alla base di qualsiasi valutazione scientifica dell’entità di un pericolo, sono importanti, ma spesso contribuiscono a creare una contrapposizione tra chi le capisce, ed è abituato a studiarle e analizzarle, e

... l’articolo continua su: www.airc.it/rischio

chi invece le trova poco chiare. L’esperto di rischio David Ropeik – che insegna all’Università di Harvard e ha da poco pubblicato un libro dedicato al fenomeno del divario nella percezione del rischio e intitolato Perception Gap – la spiega così: “Tutti i giorni ci sentiamo chiedere perché abbiamo così paura di eventi che potrebbero causare danni enormi ma sono estremamente improbabili,

I FATTORI DI PERCEZIONE DEL RISCHIO

Gli studi sulla percezione del rischio hanno individuato molti fattori che influenzano la nostra “decisione” subcosciente di aver paura di qualcosa, e determinano le caratteristiche della nostra paura e della nostra reazione. Ecco l'elenco stilato da David Ropeik, autore di alcuni libri sul rischio e docente all’Università di Harvard, che su questo tema, nell'ottobre scorso, ha tenuto una conferenza anche al festival di BergamoScienza. FIDUCIA: Più abbiamo fiducia in una determinata persona o in un comportamento, meno avremo paura, e viceversa. RISCHIO E BENEFICIO: Più grande è il beneficio che si percepisce essere associato a

qualsiasi scelta, meno si tende ad avere paura dei rischi associati a quella stessa scelta. CONTROLLO: Quando si pensa di poter controllare la situazione – in senso fisico, ma anche in senso psicologico e di partecipazione al processo decisionale – qualunque situazione diventa meno spaventosa. LIBERTÀ DI SCELTA: Le situazioni in cui ci rimane la possibilità di scegliere se e come affrontare un pericolo tendono a fare meno paura di quelle in cui un analogo rischio ci viene imposto dall'esterno (come è il caso, per esempio, dei rischi ambientali). NATURALE o CREATO DALL'UOMO: I rischi naturali in genere ci spaventano meno di quelli derivanti dalle attività umane. Per questo

percepiamo come più pericolosa la vicinanza con un’industria rispetto al cibo che mettiamo in tavola, indipendentemente dalla valutazione reale dei rischi associati. TERRORE: Peggiori sono le conseguenze (in termini di maggiore sofferenza) di un rischio, più esso ci spaventa. Ecco perché per molto tempo la prevenzione del cancro è stata scarsamente seguita: meglio non far niente che affrontare la paura della malattia. CATASTROFICO o CRONICO: Ci fanno più paura le cose che possono uccidere molte persone in uno specifico momento e in uno specifico luogo (come un attentato terroristico) rispetto a quelle che causano lo stesso numero di morti in modo cronico, distribuiti nello spazio e nel tempo


come per esempio un incidente aereo, e non facciamo nulla per evitare ciò che ha molte più probabilità di capitarci ma appare meno terrificante, come un cancro legato a stili di vita sbagliati. Una posizione che inviti ad assumere un atteggiamento razionale nei confronti del rischio finisce in realtà per diventare irrazionale, perché presuppone che tutti siano freddi calcolatori capaci di confrontare numeri e prendere sempre le decisioni più scientifiche”. Occorrerebbe dunque riconoscere che la modalità istintiva, emotiva e affettiva di percepire il rischio fa parte della natura umana, e bisogna farci i conti poiché fa parte del sistema decisionale. Per spiegare ciò che questo significa in concreto, Ropeik cita un caso clinico storico raccontato dal grande scienziato Antonio Damasio: il paziente Elliott, che dopo un intervento chirurgico al cervello si svegliò perfettamente in grado di

usare i numeri, ma totalmente incapace di attribuire loro un valore, e che per questo motivo era incapace di fare una qualsiasi scelta: “La chirurgia aveva danneggiato le connessioni fra l’area della corteccia cerebrale (dove pensiamo e prendiamo le decisioni) e l’area limbica del cervello (associata ai sentimenti), per cui Elliott era in grado di elaborare i fatti, ma non riusciva ad attribuire loro nessun significato, nessuna valenza, nessun ‘pro’ o ‘contro’” racconta Ropeik. “Come ha spiegato Damasio, le emozioni e i sentimenti possono mandare all’aria i processi legati al ragionamento, ma l’assenza di emozioni è altrettanto dannosa, e altrettanto capace di compromettere la razionalità. Persino quando disponiamo di un’informazione completa ed esauriente, insomma, le nostre percezioni su qualsiasi cosa rimangono soggettive”. A questo si aggiunge il fatto che solo raramente disponiamo di un’informazione chiara, esauriente e completa, giacché di solito dobbiamo chiarirci le idee in una giungla di dati in parte contraddittori.

(come una malattia o gli incidenti d’auto). INCERTEZZA: Più ampia è l'incertezza sulla reale entità di un rischio, maggiore il timore. L'incertezza può nascere quando non ci sono dati concreti o quando non siamo in grado di comprenderli (le cose invisibili sono incerte per definizione e questo spiega il particolare timore suscitato da potenziali rischi invisibili come le onde elettromagnetiche). IO E LORO: A prescindere dai fatti, qualsiasi rischio sembra più grande quando pensiamo che possa riguardarci direttamente. Non importa se colpisce una persona su un milione se temiamo di essere quella persona. FAMILIARE o NUOVO: Quando sentiamo parlare per la prima volta di un rischio, e non ne sappiamo molto, abbiamo più paura di quando abbiamo convissuto con lo stesso rischio per un

po' e l'esperienza ci aiuta a vederlo in prospettiva. BAMBINI: Temiamo di più i pericoli che colpiscono i bambini rispetto a quelli che riguardano la popolazione adulta. PERSONIFICAZIONE: Un rischio associato a una specifica persona ci terrorizza di più di uno che statisticamente è altrettanto reale, ma lo è solo astrattamente nella nostra mente. CORRETTEZZA/MORALITÀ: Ci fanno arrabbiare di più i rischi che riguardano i poveri, i deboli e i disabili rispetto a quelli che toccano i ricchi e i potenti. Ci arrabbiamo quando chi è esposto ai pericoli non fruisce per questo di nessun beneficio. CONSAPEVOLEZZA: Più siamo consapevoli di un rischio – grazie ai media ma anche ai contatti sociali – più ne siamo preoccupati.

In questo articolo: rischio paura stili di vita

La personalità influenza il nostro modo di fare scelte

Una scelta di termini In un contesto dominato dall’incertezza, da un lato ci sono numerosi fattori psicologici che contribuiscono a ridimensionare o a ingigantire i rischi che ci circondano (vedi box) e dall’altro ci sono molti modi diversi in cui un determinato rischio per la salute può esserci presentato, con effetti assai diversi secondo la modalità scelta per rappresentarlo: rischiamo quindi di percepirlo come più temibile di quanto non sia in realtà o viceversa siamo portati a trascurarlo. Secondo il biostatistico David Spiegelhalter, che insegna comprensione pubblica del rischio all’Università di Cambridge, in Inghilterra, esistono oltre 2.400 modi per “gonfiare artificialmente” un rischio – per esempio allo scopo di magnificare i benefici effetti associati a un “nuovo farmaco miracoloso”. Basta scegliere le parole, cambiare il modo di rappresentare graficamente i numeri: nel mondo di oggi questi metodi vengono usati di frequente, perché la paura è un fortissimo incentivo a spendere soldi nel tentativo di proteggere se stessi e i propri cari. Spiegelhalter sta lavorando alla messa a punto di alcuni metodi per permettere all’uomo della strada di farsi un’idea chiara della reale entità dei rischi associati, per esempio, all’uso di un farmaco o a determinate scelte di vita, e in generale è giunto alla conclusione che occorra resistere all’istinto di rifuggire qualsiasi forma di rischio: al contrario incoraggia tutti a conoscere meglio il rischio per assumerlo consapevolmente in piccole dosi, sapendo che fa parte della vita quotidiana, e il passaggio involontario dalla padella alla brace, dalla sottostima di un rischio importante alla sovrastima di uno trascurabile, è assai comune. In sostanza è l’informazione a garantire a ciascuno di noi la possibilità di fare le scelte utili sia dal punto di vista razionale sia da quello emotivo, anche nel delicato campo della prevenzione e della salute: e poiché in questo caso si parla di cifre e percentuali, sta agli esperti e a chi dà loro voce, come i giornalisti e i divulgatori, imparare a comunicare in modo comprensibile con la popolazione interessata.

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TRAPIANTO Trapianto di midollo

In questo articolo: trapianto di midollo sistema immunitario registri donatori

Un midollo pieno di armi contro il cancro Il trapianto di midollo osseo è una procedura sempre più frequente anche in ambito oncologico. Ma servono persone disposte a mettersi in gioco donando

a cura di CRISTINA FERRARIO a anni vai in giro a dire che sei unico... è maledettamente vero”. L’ADMO, Associazione donatori di midollo osseo (www.admo.it), ha scelto questo slogan per ricordare a tutti che solo una persona su 100.000 è compatibile con chi sta aspettando un trapianto di midollo osseo e per sottolineare l’importanza di diventare donatori. Sì, perché ciascuno di noi può mettere a disposizione di chi è meno fortunato il proprio midollo osseo che, grazie ai progressi della ricerca e della medicina, rappresenta oggi un’efficace terapia per i tumori e una speranza per molte ma-

“D

lattie genetiche, autoimmuni e neurodegenerative. QUELLE CELLULE TANTO PREZIOSE Dal punto di vista pratico, il trapianto di midollo osseo non prevede il prelievo e il reimpianto di interi organi come succede per il trapianto di cuore, fegato o rene, ma soltanto di alcune cellule chiamate staminali emopoietiche, contenute nel midollo prelevato dalle ossa del bacino. A prima vista, il midollo ha l’aspetto di normale sangue. Le staminali emopoietiche sono cellule non ancora differenziate, che possono dare origine a tutte le cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) e di altri or-

Non si preleva un organo ma si aspira il midollo con un ago

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gani e tessuti e che possiedono una grande capacità di riprodursi – ogni giorno generano tra i 200 e i 400 miliardi di nuove cellule. Proprio grazie a queste loro caratteristiche le cellule staminali emopoietiche possono essere prelevate senza creare alcun problema al donatore: in 710 giorni il midollo osseo prelevato si ricostituisce spontaneamente e tutto torna come prima. Oltre che dalle ossa del ba-

cino, le cellule staminali emopoietiche possono essere prelevate anche dal sangue del cordone ombelicale raccolto al momento del parto oppure dal sangue periferico (quello del circolo sanguigno), dopo un trattamento con fattori di crescita che ne aumentano il numero. PROBLEMI DI CONVIVENZA Tradizionalmente il trapianto di midollo osseo viene proposto nel caso di malattie

SERVONO DONATORI

TUTTI I NUMERI DEL TRAPIANTO sufficiente un rapido sguardo ai dati relativi ai trapianti effettuati in Europa per capire quanto è importante mettersi in gioco e diventare donatori. Nel 1973: 16 trapianti di cellule staminali emopoietiche (tutti da midollo osseo) Nel 1983: 1.353 trapianti (totali) Nel 1999: 17.800 trapianti (5733 allogenici e 12067 autologhi, cioè con midollo prelevato dal paziente stesso prima di una terapia potenzialmente dannosa) Nel 2006: 10.492 trapianti da donatore non consanguineo

È


del sangue come leucemie, linfomi e mielomi nei quali il midollo malato viene rimpiazzato da quello sano del donatore, ma da qualche tempo se ne stanno studiando le potenzialità anche in caso di altri tipi di tumore (mammella, colon, rene e melanoma) oppure nel caso di alcune malattie genetiche (talassemia) e autoimmuni (lupus eritematoso o sclerosi multipla). Rimanendo in campo oncologico, per esempio, per curare alcuni tumori solidi sono necessarie dosi di terapia molto elevate che distruggono le cellule malate, ma danneggiano in modo irreparabile anche il midollo osseo. In questi casi si procede dunque con un trapianto di midollo che sostituisce quello rovinato dal trattamento e permette al paziente di sostenere tutto il peso delle cure. I ricercatori stanno studiando anche il modo di utilizzare questo trapianto come una vera e propria immunoterapia che sfrutta il sistema immunitario per distruggere le cellule tumorali. “Per evitare i problemi di rigetto e la temibile ‘malattia del tumore verso l’ospite’ (in inglese GvHD, Graft versus Host Disease) che rende vani tutti i tentativi di cura, si neutralizza il sistema immunitario di chi riceve distruggendolo con farmaci o radiazioni” spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Rozzano. “Questa tecnica si chiama trapianto mieloablativo. Se questo non accade, come nel caso del trapianto non mieloablativo, le cellule immunitarie del donatore possono riconoscere come nemiche quelle del ricevente e distruggerle. È la reazione definita

‘trapianto verso tumore’” (GvT, Graft versus Tumor), un’arma che, se ben calibrata, potrebbe portare alla cura di molti tumori ancora oggi non curabili”. PROCEDURE SICURE E COLLEGAMENTI GLOBALI Diventare donatore oggi è piuttosto semplice: basta presentarsi presso uno dei Centri Donatori presenti su tutto il territorio nazionale – sul sito ADMO sono disponibili tutte le informazioni per trovare quello più vicino – per sottoporsi a un prelievo di sangue e per firmare l’adesione al Registro italiano donatori di midollo osseo (IBMDR, www.ibmdr.galliera.it). Il campione di sangue viene analizzato per verificare che non ci siano malattie incompatibili con la donazione e soprattutto per definirne le caratteristiche di compatibilità, necessarie perché il trapianto vada a buon fine. Si tratta di criteri piuttosto restrittivi che riguardano i geni del sistema HLA (Human Leucocyte Antigens), deputato al controllo del riconoscimento dei diversi

Una rete trova il donatore giusto

tessuti dell’organismo, e che rendono difficile trovare il donatore adatto: anche tra due persone strettamente imparentate la probabilità di essere compatibili non supera il 30 per cento. Tutti i dati raccolti dall’IBMDR entrano a questo punto in una rete mondiale e il midollo dei donatori italiani (oltre 370.000) viene messo a disposizione in modo gratuito e senza limiti geografici. Quando arriva una richiesta di midollo, la ricerca si attiva in tutto il mondo e, una volta identificato, il potenziale donatore viene contattato per ulteriori analisi prima del trapianto. Se tutto procede senza intoppi, il donatore si sottopone al prelievo – l’intervento prevede l’aspirazione del midollo dalle

ossa del bacino, dura meno di un’ora e viene effettuato sotto anestesia – e le cellule raccolte vengono trapiantate al paziente con una procedura molto simile a una normale trasfusione di sangue. Una volta entrate nell’organismo della persona che riceve il trapianto, le cellule staminali sanno come muoversi e si posizionano nella loro sede di competenza dove iniziano a svolgere il loro lavoro.

UNA CONSULENTE CERTIFICATA

IDENTIKIT DEL DONATORE ecnicamente si distinguono due diversi donatori di midollo: • potenziali, iscritti ai registri donatori e a disposizione di chiunque ne abbia bisogno (quasi 335.000 in Italia e oltre 18,6 milioni nel mondo) • effettivi, quelli che hanno già donato. Possono diventare donatori tutte le persone di età compresa tra i 18 e (preferibilmente) i 35 anni, con un peso superiore ai 50 kg e che non siano affette da malattie croniche, malattie del sangue e altre malattie trasmissibili come AIDS o epatite. Una volta iscritti al Registro donatori, la disponibilità a donare resta valida solo fino ai 55 anni (anche se questa soglia si sta alzando negli ultimi anni) e comunque fino all’ultimo, cioè anche nel caso sia già stato identificato un paziente APRILE 2012 | FONDAMENTALE | 25 compatibile, il donatore può tirarsi indietro e decidere di non donare.

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MIGRANTI Diritto alla salute

In questo articolo: immigrazione prevenzione campagne informative

Il cancro è più grave quando non lo si capisce Un rapporto dell’Associazione italiana di oncologia medica lancia l’allarme: gli immigrati muoiono più facilmente di cancro perché non conoscono le regole della prevenzione. Un progetto mira a diffondere anche tra chi è arrivato da poco i principi della diagnosi precoce a cura di DANIELA OVADIA n Italia c’è chi muore più degli altri per colpa del cancro. Non perché la malattia si presenti in forma più aggressiva ma perché la diagnosi arriva troppo tardi, quando le cure più efficaci sono già fuori tempo massimo. Sono le persone immigrate che, in media, secondo dati presentati a un recente convegno dall’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) scoprono di essere malati con circa 12 mesi di ritardo rispetto ai loro vicini di casa. La ragione principale è la mancanza di accesso alle informazioni: le misure di screening e di diagnosi precoce sono poco note e anche quando lo sono il rapporto con il servizio sanitario non è semplice sia per questioni linguistiche sia per ragioni normative. Per questo AIOM ha deciso di avviare un progetto multietnico intitolato Problematiche oncologiche nei migranti: dall’emergenza alla gestione. “Fino a qualche anno fa la medicina dei migranti era essenzialmente una medicina di emergenza, che risolveva malattie acute legate alla povertà e alla precarietà. Oggi non è più così:

I

gli immigrati sono una quota importante della società italiana e sono parte integrante della popolazione sulla quale il sistema sanitario nazionale si trova ad agire” spiega l’oncologo Carmelo Iacono che per AIOM ha presieduto il convegno che si è tenuto a Bologna per il lancio del progetto.

Una mediazione culturale Con 4,5 milioni di stranieri residenti (il 7,5 per cento di tutta la popolazione), si comprende facilmente come il sistema sanitario italiano abbia bisogno di mediatori in grado di facilitare la comunicazione tra malato, medico e ospedale, soprattutto quando si parla di prevenzione. “Contiamo di realizzare opuscoli informativi in diverse lingue da diffondere in collaborazione con altre società scientifiche e di creare un’area del nostro sito dedicata ai ragazzi im-

Nate in Italia, le seconde generazioni informano le prime

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migrati, che sono quasi un milione, di cui più della metà nati in Italia” spiega Iacono. “Dobbiamo spiegare loro che cosa è la malattia, per sfatare miti e credenze e diffondere i principi della prevenzione e della diagnosi precoce affinché facciano da mediatori, loro che vivono a cavallo tra due lingue e due ambienti diversi”. Se infatti è ormai comune che un ospedale possa contare su un servizio di traduzione e di mediazione linguistica e culturale, questo intervento, pur utilissimo, arriva spesso quando il male è compiuto e la malattia si è instaurata: in sostanza non ha un impatto misurabile sulla diagnosi precoce.

Stili di vita sbagliati I dati AIOM sono preoccupanti anche perché registrano un aumento dei tumori più direttamente correlati a stili di vita sbagliati: polmone, testacollo, colon-retto, stomaco. Crescono ovviamente anche quelli legati al mancato accesso allo screening: collo dell’utero, seno e ancora colon-retto. Infine in molte popolazioni immigrate si verifica una maggiore incidenza di cancro del fegato dovuto a cirrosi epatica, in gran parte provocata da un’infezione da epatite B cronica. “Si tratta di persone provenienti da Paesi dove questa infezione ha una diffusione molto ampia e dove la vaccinazione, che in Italia è obbligatoria, praticamente non esiste” continua Iacono. Sulla salute dei migranti non può non pesare anche la


Stili di vita sbagliati accrescono il rischio tra gli stranieri

C’È CHI L’HA GIÀ FATTO

difficile condizione di vita, e infatti in oltre il 30 per cento dei casi i tumori sono in qualche modo riconducibili a una dieta scorretta. L’abitudine al fumo è molto diffusa e spesso rappresenta un momento conviviale a portata di tasche non fornitissime e quindi è ancora più difficile da contrastare della stessa abitudine in una persona con una vita lavorativa e sociale stabile. Che questo sia il punto importante lo dimostrano anche le statistiche che registrano un miglioramento degli stili di vita nei migranti che raggiungono appunto la stabilità: il cibo diventa più sano, i luoghi di abitazione più salubri e anche l’abitudine al fumo cala. Ciò che più preoccupa è però l’adesione agli esami di screening. Per quel che riguarda la mammografia, per esempio, si registra già un diva-

Il problema del rapporto tra immigrati e servizio sanitario non è solo italiano. Mentre alcuni Paesi di più antica tradizione immigratoria come la Francia dispongono da almeno un decennio di strumenti di intermediazione linguistica e culturale altri che, come l’Italia, affrontano il problema da meno anni si affidano alle iniziative delle associazioni non profit. È il caso della Svizzera, Paese nel quale la locale Lega per la lotta contro i

rio tra Nord e Centro-Sud (l’esame è eseguito in media dal 55 per cento delle donne del Nord e dal 40 per cento di quelle del Centro-Sud) ma cala ulteriormente se si considerano le comunità straniere.

Serve più consapevolezza “C’è un problema di consapevolezza del rischio, che è molto sottostimato specie dalle donne che vivono sole e che svolgono lavori stancanti come la badante” spiega ancora Iacono. In molti casi la responsabilità è dei datori di lavoro

tumori ha promosso un progetto di educazione alla salute e accompagnamento dello straniero lungo tutto il percorso che va dalla prevenzione alla diagnosi fino alla cura. I materiali di base (schede multilingue, istruzioni per facilitare l’accesso al sistema sanitario e alle assicurazioni private e molte altre informazioni) sono raccolti nel sito del progetto Migesplus (www.migesplus.ch) e sono disponibili anche con la traduzione in italiano.

che non concedono alla lavoratrice le ore di riposo previste dal contratto o i giorni di permesso per l’esecuzione di esami diagnostici. In altri casi, invece, bisogna fare i conti con usi e costumi che impediscono a una donna di farsi visitare o esaminare da un uomo. Un problema che è stato persino sollevato presso i comitati etici di alcuni ospedali: se da un lato non è concesso a nessuno di scegliere il proprio medico all’interno del sistema sanitario nazionale, dall’altro rifiutarsi di garantire la visita da parte di un medico donna può mettere in serio pericolo l’incolumità della donna straniera, specie se invece che di prevenzione si parla di cure necessarie, come quelle oncologiche.

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5 PER MILLE Leucemie e mieloma

In questo articolo: 5 per mille Federico Caligaris-Cappio leucemia linfatica cronica

Con le comunicazioni interrotte le leucemie segnano il passo Il programma di ricerca sui marcatori della leucemia linfatica cronica e del mieloma multiplo portato avanti dal gruppo dell’Istituto San Raffaele diretto da Federico Caligaris-Cappio raccoglie i primi promettenti risultati

a cura di DANIELA OVADIA ono 135 i ricercatori, tra clinici, medici e scienziati, coinvolti nel progetto di ricerca sulla leucemia linfatica cronica e sul mieloma multiplo diretto da Federico Caligaris-Cappio, direttore del Dipartimento di oncologia presso l’Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano e finanziato grazie ai fondi raccolti con il 5 per mille. Partito due anni fa, il programma, come tutti quelli finanziati con analogo bando, ha una forte impronta traslazionale: si chiede infatti ai ricercatori di arrivare, entro i primi tre anni, a risultati utili per i pazienti. Solo chi avrà raggiunto il traguardo vedrà il proprio finanziamento prorogato per altri due anni.

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Comunicazioni proibite Il progetto di Caligaris-Cappio è stato selezionato da un comitato composto esclusivamente da scienziati stranieri con il primo dei due bandi messi in piedi da AIRC, quello

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rivolto all’oncologia molecolare. E infatti lo scopo dello studio è scoprire in che modo le cellule di questi due tumori del sangue comunicano con l’ambiente circostante e, soprattutto, quanto questi scambi contribuiscano alla diffusione e al peggioramento della malattia. “Ci sono alcune forme che progrediscono molto rapidamente, altre che invece restano praticamente quiescenti per molti anni. Stiamo individuando i marcatori molecolari che caratterizzano questa diversità di comportamento” spiega Caligaris-Cappio. “Si tratta di elementi importanti sia dal punto di

vista della conoscenza scientifica della malattia (perché ci consentono di individuare bersagli sensibili sui quali orientare eventuali terapie mirate) sia da quello clinico: il medico può infatti analizzare le cellule del suo paziente e capire se si tratta di una forma più o meno aggressiva. E anche se non abbiamo ancora strumenti per modificare lo stato delle cose dal punto di vista molecolare (sebbene questo sia lo scopo finale del nostro progetto) possiamo già decidere di trattare con cure più aggressive chi è a rischio di un’evoluzione meno favorevole”.

Isolare le cellule dall’ambiente Come accade con i tumori solidi – che ricevono nutrimento e informazioni dalla ricca rete di vasi che li circonda e che gli scienziati stanno cercando di “soffocare” con i farmaci antiangiogenetici – così i tumori del sangue ricevono nutrimento e informazioni dall’ambiente circostante attraverso particolari messaggi che vengono ricevuti dalla cellula maligna. “Una volta individuati questi elementi, possiamo interferire con i messaggi usando farmaci adatti” spiega ancora Caligaris-Cappio. “C’è un’analogia concettuale con quanto si sta cercando di fare nei tumori solidi. Siamo stati i primi a proporla: oggi è una teoria più che confermata da lavori eseguiti in tutto il mondo”. Come tutti coloro che hanno godu-


I DUE SORVEGLIATI SPECIALI Moli enormi

di dati genetici vengono archiviate nei computer

Il programma del San Raffaele studia due tipi di cancro ematologico, la leucemia linfatica cronica e il mieloma multiplo. La prima è la forma di leucemia più diffusa. Colpisce i maschi più delle femmine. L’incidenza è di circa 10 casi su 100.000. Nella maggior parte dei casi si tratta di una malattia a lentissima evoluzione, per la quale inizialmente ci si limita a sorvegliare il malato con ripetuti controlli. Solo in caso di aggravamento o di evoluzione verso una forma acuta si procede a trattamenti farmacologici. Il mieloma multiplo è un tumore che colpisce le plasmacellule, componenti molto importanti del sistema immunitario. Le cellule di mieloma producono in grande quantità una proteina nota come componente monoclonale (Componente M), un particolare tipo di anticorpo. La crescita anomala delle plasmacellule può creare problemi anche alle altre cellule del sangue (globuli bianchi, globuli rossi e piastrine) e dare origine, per esempio, a un indebolimento delle difese immunitarie, anemia o difetti nella coagulazione. Il mieloma è un tumore tipico dell’età avanzata e la sua diffusione si è mantenuta piuttosto stabile nel tempo, mentre la mortalità è in lieve calo. È una patologia leggermente più diffusa negli uomini che nelle donne: nel nostro Paese in media vengono diagnosticati ogni anno 9,5 nuovi casi ogni 100.000 uomini e 8,1 nuovi casi ogni 100.000 donne. Viene trattato con diversi farmaci a seconda dello stadio e dell’evoluzione.

to di un finanziamento nell’ambito dei programmi 5 per mille di AIRC, anche questo gruppo verrà sottoposto, tra un anno, a una valutazione ufficiale che sancirà il termine del primo triennio. Loro, però, si sono dotati anche di un ulteriore sistema di controllo: un advisory board, cioè un comitato di tre persone – uno svedese, un inglese e un esperto statunitense – che già quest’anno, nel mese di aprile, valuterà l’andamento della ricerca. “Siamo ottimisti. Abbiamo raggiunto ottimi risultati, riconoscendo alcuni bersagli importanti contro i quali sono disponibili farmaci già registrati. Li abbiamo provati su cellule in vitro e in modelli sperimentali con un esito ottimo. Ciò significa che entro un anno contiamo di passare a studi di fase 1, cioè direttamente su pazienti selezionati”. Poiché i farmaci da loro individuati non sono del tutto nuovi ma sono registrati per altre indicazioni, i

tempi per la diffusione della cura al letto di tutti i pazienti sono molto più brevi di quelli previsti per sostanze del tutto nuove, che devono passare anche la lunga fase preliminare degli studi di tossicità. “A noi basterà dimostrare che effettivamente la sostanza che abbiamo individuato agisce sul bersaglio cellulare prescelto e che questo ha un effetto sull’evoluzione della malattia”. La grande forza del gruppo che opera presso il San Raffaele risiede anche nella banca dati di pazienti che ha a disposizione: “Quando troviamo un marcatore che potrebbe essere legato a una determinata evoluzione della malattia possiamo andare a vedere se nei pazienti che abbiamo curato in anni passati era presente e se effettivamente è correlabile con quanto è accaduto loro. Questo perché, essendo un grande ospedale, abbiamo raccolto cartelle cliniche e campioni di cellule per moltissimi anni”.

Una banca dati enorme consente di verificare le ipotesi teoriche

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IFOM - ISTITUTO FIRC DI ONCOLOGIA MOLECOLARE Bilanci

Uno sguardo ai pazienti e uno a Oriente L’Istituto di ricerca finanziato da FIRC è oramai una realtà di punta nella ricerca oncologica mondiale. Merito di una precisa visione strategica che parte dall’Italia per guardare all’estero

a cura della REDAZIONE ar crescere realtà di successo partendo dal nulla è sempre un’impresa complessa. Può diventare un vero exploit quando la realtà di cui si parla è un istituto di ricerca scientifica che ha la sua base logistica in Italia, Paese notoriamente poco incline a favorire gli investimenti in ricerca. Eppure è quanto è acIL CORTILE caduto con DELL ISTITU IFOM – l’istiTO RICAVATO tuto di ricerDA UNA EX ca oncologiFABBRICA ca voluto e finanziato da FIRC, la Fondazione italiana per la ricerca sul cancro – che ha aperto le sue porte con il nuovo millen-

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nio. Ora, a distanza di più di un decennio dalla messa in attività dei primi laboratori, è tempo di bilanci. Non per guardare al passato, però, bensì per tracciare una strategia di sviluppo futuro, come tiene a precisare Marco Foiani, direttore scientifico di IFOM. “I primi anni sono stati piuttosto complessi e sono stati dedicati soprattutto al reclutamento del nucleo iniziale degli scienziati. Si voleva raccogliere il meglio non solo dall’Italia ma da tutta Europa e, qualche volta, anche da più lontano. Ci siamo riusciti grazie alla visione strategica di Pier Paolo Di Fiore, che mi ha preceduto nella direzione scientifica dell’Istituto” spiega Foiani. IFOM è nata anche grazie al sodalizio con altre realtà scientifiche importanti, dall’Istituto europeo di oncologia (IEO) all’Università di Milano,

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con la quale IFOM e IEO condividono diversi programmi di dottorato, molto ambiti anche da studenti stranieri, dall’Istituto Mario Negri (che in IFOM collabora principalmente allo studio dei meccanismi dei farmaci che bloccano la formazione di nuovi vasi tumorali) fino alla Fondazione San Raffaele del Monte Tabor e all’Istituto nazionale tumori di Milano, con il quale IFOM sta mettendo a punto nuovi test diagnostici. Altre opportunità nasceranno anche dalla collaborazione

con organizzazioni di ricerca dell’Estremo Oriente, presso le quali sono state aperte vere e proprie “succursali” (vedi anche il riquadro a lato). DALLA BASE ALLA PRATICA Lo scopo di IFOM è sempre stato quello di indagare i meccanismi molecolari della cellula, sia quelli patologici, che danno luogo alle malattie, sia quelli fisiologici, che riguardano il funzionamento di una cellula sana. “IFOM non è un ospedale, è un centro di ricerca oncologi-

Il focus rimane lo studio dei meccanismi cellulari


In questo articolo: IFOM strategie della ricerca bilancio scientifico

ca la cui funzione è fornire il substrato per lo sviluppo di cure sempre più efficaci contro il cancro: se però non si conosce bene quello che si vuole combattere, le probabilità di successo sono drasticamente ridotte”. Ricerca, in oncologia, significa spesso studiare geni e proteine coinvolti nella trasformazione maligna della cellula. Ecco perché i filoni perseguiti inizialmente hanno sfruttato le enormi potenzialità aperte dalla decodifica completa del genoma umano, avvenuta più o meno in concomitanza con la nascita del polo scientifico milanese. “Gli investimenti iniziali, attuati attraverso un bando AIRC, sono andati soprattutto all’acquisto e alla messa in opera di piattaforme tecnologiche che potessero servire non solo ai nostri laboratori, ma anche ai laboratori di tutta l’Italia” spiega Foiani, che racconta anche perché si è voltato pagina: “Purtroppo anche se le infrastrutture sono messe in piedi con fondi di charity lungimiranti come FIRC, spesso i laboratori italiani non possono permettersi tecnologie così dispendiose e questo ci ha fatto riflettere sul ruolo che un centro come IFOM deve avere non solo nel proprio Paese, ma nel quadro generale della ricerca scientifica mondiale. E in ogni caso, anche se questo modello è stato per il momento abbandonato in at-

tesa che il contesto economico italiano migliori, ha dato notevoli frutti scientifici”. UNA PORTA VERSO LA CLINICA Per portare i risultati delle ricerche al letto dei pazienti, è necessario che gli scienziati scambino opinioni ed esperienze con i medici. “In IFOM questo avviene grazie a un continuo confronto con i medici dell’IEO, che ci aiutano a focalizzare le nostre ricerche”. Per Foiani bisogna quindi continuare a investire su questa interazione, che dovrebbe consentire di applicare al paziente le conoscenze derivate dalla ricerca. “Ciò detto, la ricerca di base rimane il substrato fondamentale senza il quale non ci sarebbe alcun risultato concreto”. In IFOM ci si concentra sull’identificazione di nuovi bersagli terapeutici e sulla messa a punto di marcatori tumorali che facilitino la fase diagnostica e il controllo dell’efficacia delle terapie. Inoltre si lavora su “vecchi” farmaci per riposizionarli. “Questa è un’attività a cui tengo molto e che deriva proprio dall’individuazione dei potenziali bersagli molecolari. Ci sono sostanze che sono già in commercio da anni, magari per curare malattie del tutto diverse dal cancro, ma che agiscono su bersagli molecolari rilevanti per il cancro. I vantaggi sono innumerevoli, rispetto a un farmaco del tutto nuovo. I tempi di sperimentazione sono ridotti e i costi sono decisamente più bassi. Spesso si tratta di mole-

GUARDARE ALL’ESTERO

IL FUTURO? È NEL NETWORKING uando è nato, IFOM ha adottato da subito il modello del network, ovvero della rete di collaborazioni con altri istituti scientifici. Inizialmente limitata all’Italia, ora questa rete allarga le sue maglie e guarda verso l’Asia, come spiega Marco Foiani: “Dopo aver aperto un laboratorio in collaborazione con Singapore, stiamo per inaugurare un progetto analogo a Bangalore, in India. E stiamo esplorando le possibilità offerte dal Giappone”. A chi si chiede perché andare così lontano, Foiani ribatte con chiarezza: “Chi dona i propri soldi per la ricerca vuole risultati. E le statistiche ci dicono che i Paesi in pieno sviluppo, dal punto di vista della produzione scientifica, sono proprio quelli asiatici. Lì i ricercatori di IFOM troveranno l’ambiente giusto per portare a termine rapidamente il compito che è stato loro affidato e poi torneranno qui a portare avanti il progetto. In questi Paesi noi possiamo essere partner alla pari e far valere la nostra specificità in quanto centro di ricerca italiano”.

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cole per le quali non c’è più nemmeno un brevetto”. UN PERCORSO LIBERO Come si trovano i ricercatori di base, per lo più biologi, in questo contesto orientato alla cura? “Si trovano bene perché il percorso scientifico di un ricercatore non può essere forzato. Non c’è nulla di più sbagliato che obbligare un buon scienziato di base a fornire per forza un’applicazione della sua ricerca. È un percorso personale, che viene quando i tempi sono maturi”. Per ottimizzare i risultati, IFOM punta sempre più su team multidisciplinari: “La ricerca contro il cancro ha bisogno oggi di figure con formazioni molto diverse, dall’informatica alla fisica, che affianchino il biologo o il biotecnologo”. In IFOM questa è già realtà, anche se i problemi non mancano. “Per

fare buona ricerca bisogna essere mobili, specie se si è giovani. Per questo non incentiviamo la carriera interna: chi si è formato da noi, poi deve partire. E purtroppo questo significa che spesso se ne va all’estero, perché il sistema italiano non è aperto, non facilita l’inserimento di chi non è rimasto a presidiare il proprio posto fin dai primi anni di formazione”. Oltre alla qualità del personale serve anche la stabilità economica, una caratteristica che fa di IFOM un’isola felice, come afferma Foiani: “Come tutti abbiamo risentito della crisi, ma sono orgoglioso di poter dire che, contrariamente a quanto è accaduto ad altre charity straniere, FIRC ha sempre fatto investimenti sicuri e solidi che garantiscono al nostro istituto di poter programmare con relativa serenità il proprio futuro”.

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LASCITI Chi ha scelto di sostenere FIRC

Possiamo lasciare più di una tradizione Giannola Nonino, signora della grappa friulana, sostiene l’iniziativa di FIRC

a cura della REDAZIONE

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uali motivazioni l’hanno indotta a partecipare all’iniziativa e a dare il buon esempio?

Quando, oltre dieci anni fa, la mia grande amica Etta Melzi Carignani de Novoli mi ha proposto di entrare a far parte del cda del Comitato AIRC Friuli-Venezia Giulia ho accettato con entusiasmo. Ricordo che allora la parola cancro era un tabù, suscitava paura al solo pronunciarla e ho creduto che partecipare al sostegno della ricerca anche con una testimonianza di impegno personale potesse essere utile e doveroso. I grandi passi avanti fatti sia nella ricerca sia nella prevenzione mi hanno convinta che è soprattut-

to con la condivisione e la partecipazione di tutti che riusciremo a sconfiggere i tumori.

Secondo lei è davvero un’azione alla portata di tutti? Anche un lascito di pochi euro è importante. L’iniziativa e la diffusione del lascito testamentario hanno proprio questo obiettivo e consentono a ciascuno di sentirsi protagonista e partecipe del progetto in base alle sue possibilità.

Ne ha parlato in famiglia? Certamente e ci siamo lasciati coinvolgere con entusiasmo dalla proposta di Firc. Ritengo che alla base di tutto ci siano i principi tramandati dai miei genitori. Il mio papà e la mia mamma mi hanno trasmesso il rispetto, l’amore e l’attenzione verso i problemi del prossimo. È stato naturale che questi stessi valori, condivisi da mio marito, diventassero il perno della nostra vita e del nostro lavoro, e che fossero condivisi da tutta la famiglia, in particolare dalle nostre figlie Cristina, Antonella ed Elisabetta, che a loro volta li hanno fatti propri e passati ai loro figli.

Cosa vuol dire ai lettori per convincerli a fare un lascito? Ognuno di noi rifletta: prima o poi tutti lasciamo questo mondo e in base alle disponibilità di ciascuno di noi abbiamo l’obbligo di contribuire a migliorare la vita di chi è meno fortunato. Quindi: sosteniamo la ricerca in ogni campo, faremo felici per primi noi stessi. Fonte: Messaggero Veneto (2010)

io padre era innamorato della sua terra e mi ha trasmesso l’attaccamento alle mie radici, la conoscenza del territorio e dei suoi frutti. Questi valori, condivisi dalla mia famiglia, in particolare dalle mie figlie, sono diventati il perno della nostra vita e del nostro lavoro. Passione, conoscenza e determinazione ci hanno sempre guidato nella ricerca dell’eccellenza e rappresentano la nostra forza: desideriamo quindi sostenere i ricercatori che, con lo stesso spirito, si impegnano quotidianamente per sconfiggere il cancro. Per questo, in accordo con la mia famiglia, ho scelto di disporre un piccolo lascito a favore della Fondazione italiana per la ricerca sul cancro”.

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Giannola Nonino e le figlie Antonella, Elisabetta e Cristina

UN LASCITO PER LA RICERCA hi sono gli eredi e come vengono stabiliti? Quali sono le quote di riserva a favore dei figli e del coniuge? Come si redige un testamento?

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Effettuare un lascito testamentario è molto semplice: – testamento olografo: basta scrivere su un foglio di proprio pugno cosa si vuole destinare (per esempio una somma di denaro) e a chi, datarlo e firmarlo. Il testamento potrà essere poi affidato a una persona di fiducia o a un notaio; – testamento pubblico: viene ricevuto dal notaio alla presenza di due testimoni e poi custodito dal notaio stesso. Con la Guida al testamento, aggiornata secondo le leggi vigenti, effettuare un lascito testamentario è diventato un gesto semplice. E lo può diventare per tutti: basta richiederla gratuitamente contattando tel. 02 79 47 07 www.fondazionefirc.it


RACCOLTA FONDI Arance e azalee

Da meno 20 a 3,1 milioni

Donne e scienza

a cura della REDAZIONE evicate come non se ne vedevano da trent’anni, temperature polari che sono andate anche a 20 gradi sotto lo zero: un inverno così poteva mettere strade e città in crisi, tappare la gente in casa e frenare tutti. Tutti tranne i nostri volontari. Ventimila temerari che non si sono persi d’animo e, armati di guanti, sciarpe e berretti, hanno sfidato il freddo e la neve contro le previsioni più allarmanti. Ogni regione ha valutato la situazione e la distribuzione si è protratta per più giorni, in alcuni casi fino a tre settimane. I problemi sono indubbiamente stati notevoli, ma alla fine AIRC ce l’ha fatta. Il grande progetto di lottare contro il cancro ha unito come sempre gli animi nobili dei volontari e le reticelle di arance si sono trasformate in 3,1 milioni di euro grazie alla generosità degli italiani, che hanno capito l’emergenza e risposto prontamente all’appello di AIRC. Oltre al contributo della Regione Siciliana è stato come sempre prezioso anche quello degli studenti di 672 scuole, impegnati nella distribuzione del prezioso frutto.

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a cura della REDAZIONE n 670.000 cestini, domenica 13 maggio l’Azalea festeggerà le mamme e sosterrà la ricerca. Ma non solo. In piazza insieme ai fiori troverete una pubblicazione tutta al femminile con le storie di grandi scienziate, a volte neglette dalla storia, come la scopritrice della doppia elica del DNA. Sarà interessante leggere e scoprire come incentivare l’occupazione femminile nella ricerca

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faccia bene alla società e naturalmente alla scienza. Scopo di questa edizione speciale è di raccontare come non tutto sia facile per le donne nel mondo della scienza ma anche quanto sia possibile raggiungere risultati importanti se si programma bene la propria attività. Completa il tema la guida pratica ai sintomi da non sottovalutare per la diagnosi precoce dei tumori nella donna: quando meritano una visita, cosa possono nascondere e quali sono gli esami diagnostici consigliati (ma anche quando è inutile preoccuparsi).

YouTubers 4 AIRC Gli YouTubers, star del web, hanno condiviso un’intera giornata con i ricercatori AIRC in IFOM – Istituto FIRC di oncologia molecolare – e da questa esperienza è nato il documentario Una giornata da ricercatori. Guglielmo Scilla (Willwoosh), Claudia Genolini (Cicciasan), Daniele Selvitella (Daniele doesn’t matter) e Giulio Fanelli (Juliusfahn) continueranno a collaborare con AIRC per tutto il 2012.


Dalle piazze alla piazza virtuale Dal mese di aprile le iniziative dei nostri Comitati regionali arrivano anche sul sito internet di AIRC

Abruzzo - Molise... Tel. 085 352 15 - com.abruzzo.molise@airc.it - www.airc.it/abruzzo

Nottefonda per AIRC Chieti Tributo a Fabrizio De André presso il Supercinema grazie alla disponibilità dei Nottefonda, che hanno devoluto tutto il ricavato del loro concerto straordinario Le donne e gli uomini di Fabrizio De André alla ricerca sul cancro.

In breve dall’Abruzzo-Molise a cura della REDAZIONE on solo arance e azalee: i Comitati regionali e le loro delegazioni organizzano ogni anno numerosi eventi, grazie all’impegno di migliaia di generosi volontari, che mettono le loro capacità e il loro tempo al servizio dell’Associazione, e alla stretta collaborazione con le realtà locali. Iniziative di informazione e sensibilizzazione, manifestazioni culturali, sportive, ricreative non avranno più limiti di spazio. Di seguito potete leggerne un assaggio, ma da questo numero gli eventi regionali sbarcano sul web in una nuova veste: ogni Comitato avrà a disposizione uno spazio riservato in cui mostrare con maggiori dettagli e gallerie fotografiche più ricche i mille volti di AIRC e dei suoi volontari in azione su tutto il territorio nazionale.

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... l’articolo continua su: www.airc.it/comitati 34 | SPECIALE COMITATI | APRILE 2012

Teramo Per tre fine settimana i volontari della città sono stati presenti all’interno del Centro commerciale Gran Sasso di Piano d’Accio con un’originale iniziativa: i clienti dei negozi del Centro hanno avuto l’opportunità di far incartare i propri doni natalizi in cambio di un’offerta libera in favore della ricerca. A testimoniare il gesto solidale uno stemma AIRC applicato sul regalo. Anche quest’anno l’ormai tradizionale calendario del Comitato Abruzzo-Molise si è presentato puntuale all’appuntamento con l’anno nuovo. Il tema delle suggestive fotografie scelte per il 2012 è quello delle fioriture d’Abruzzo.

Basilicata... Tel. 0971 411 208 - com.basilicata@airc.it - www.airc.it/basilicata

Uova di cioccolato nelle scuole Tornano anche quest’anno per Pasqua nelle scuole di tutta la regione le uova di cioccolato del Comitato Basilicata. L’iniziativa, che raccoglie fondi a favore della ricerca, ha anche come obiettivo quello di avvicinare in modo gioioso i giovanissimi al problema del cancro.


Calabria...

Emilia Romagna...

tel. 0984 41 36 97 - com.calabria@airc.it - www.airc.it/calabria

Tel. 051 244 515 - com.emilia.romagna@airc.it - www.airc.it/emiliaromagna

Matrimonio a Parigi

Una Serata sotto le Stelle

Cosenza Un cine-panettone a sostegno della ricerca: il Comitato Giovani Calabria ha organizzato presso il cinema Citrigno una proiezione speciale del film Matrimonio a Parigi, a cui hanno partecipato Massimo Boldi e Biagio Izzo. L’intero ricavato della serata è stato devoluto ad AIRC.

Modena Il gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria ha organizzato l’ormai tradizionale festa estiva presso Villa Rangoni Machiavelli dedicando la raccolta fondi al nostro Comitato. Nonostante un improvviso temporale estivo la festa è continuata fino a tarda serata. Un grazie agli organizzatori e ai partecipanti per il loro generoso contributo.

Gioiosa Jonica (RC) Un’occasione durante le festività per riflettere e raccogliere fondi a favore della ricerca: per il terzo anno consecutivo la cena di beneficienza organizzata dalla Consulta giovanile presso il ristorante Barone Rosso è stata un successo.

Catanzaro In occasione della messa in scena al Teatro Politeama dell’atteso musical I promessi sposi è stata organizzata una lotteria a favore della ricerca sul cancro. In palio il gioiello disegnato dal maestro orafo Gerardo Sacco per la protagonista dello spettacolo.

In breve dall’Emilia Romagna Piacenza Presso il Circolo dell’Unione è stato presentato il libro fotografico Alla ricerca di Piacenza, a cura di Fausto Aosta e Mauro Molinari e arricchito dalle fotografie di Carlo Pagani. Le copie del volume sono disponibili presso il Comitato. Si ringraziano per il sostegno a questa iniziativa il Comune, la Provincia di Piacenza, l’Unione Commercianti e Confindustria Piacenza. San Rocco al Porto (Lodi) Il Rugby Lyons ha organizzato presso La Corte Biffi una serata dedicata alla prevenzione dei tumori maschili. Gli atleti della squadra piacentina hanno “indossato” il simbolo della serata, un paio di baffi, per sensibilizzare i partecipanti. Un ringraziamento alla Società e a tutta la squadra per il loro impegno fuori dal campo in favore della nostra Associazione.

Friuli - Venezia Giulia... Tel. 040 365 663 - com.friuli.vg@airc.it - www.airc.it/fvg

Campania... Tel. 081 403 231 - com.campania@airc.it - www.airc.it/campania

Uova per la Ricerca Napoli Appuntamento per il quarto anno consecutivo con la generosità di Casa Ascione. In occasione della Pasqua si è tenuto presso il loro showroom un cocktail che ha inaugurato la distribuzione delle uova di Gay Odin a favore di AIRC. In ogni uovo è stato inserito un ciondolo e, a sorpresa, era possibile trovare una preziosa creazione di Casa Ascione. Napoli - 24 maggio - Si terrà presso il Teatro delle Palme un concerto tenuto da bambini per altri bambini. Sul palco un’orchestra speciale di 18 ragazzi tra i 6 e i 15 anni provenienti dal rione Sanità eseguirà brani composti per l’occasione.

La mano dell’uomo Trieste In occasione della Mostra dell’Antiquariato la consigliera Tina Campailla ha organizzato, come fa da vent’anni, l’esposizione dedicata ad AIRC. Oltre 200 gli oggetti in mostra che riproducono, in vari materiali e tipologie, le mani dell’uomo. Anche diverse autorità cittadine hanno visitato il ricco stand. Trieste Presso le sale dell’Expomittelschool ospiti e avventori hanno gustato il menù preparato da alcuni vip in occasione dell’iniziativa Quochi di Quore, organizzata da Rossana Bettini Illy. In cucina lo chef Alessandro Borghese, l’attore Renato Pozzetto, il chirurgo Vittorio Ramella e il pittore Fabio de Visintini. Camerieri e sommelier sono stati Sergio Balbinot, Oscar Farinetti, Pierluigi Zamò, Antonio Paoletti, Fabrizio Nonis. Le quote di partecipazione all’iniziativa sono state devolute ad AIRC.


Lazio...

Lombardia...

Tel. 06 446 336 5 - com.lazio@airc.it www.airc.it/lazio

Tel. 02 779 71 - com.lombardia@airc.it www.airc.it/lombardia

Tory Burch per AIRC

Love Design

Roma In occasione della presentazione della nuova collezione della stilista Tory Burch è stato organizzato un evento di raccolta fondi a favore di AIRC presso la boutique di via del Babuino.

Milano Quinta edizione di Love Design, manifestazione biennale che si è svolta al PAC di Milano e che è riuscita a riunire ancora una volta il meglio del design italiano alla portata di tutti. In tre giorni oltre 20.000 persone hanno visitato le sale della mostra per ammirare e, soprattutto, portare a casa uno degli oltre 2.000 oggetti donati dalle 53 aziende partecipanti. Un ringraziamento va a tutti coloro che ci hanno permesso di realizzare con successo l’iniziativa: ADI - Associazione per il Disegno Industriale, che sin dalla prima edizione ha affiancato AIRC, le aziende donatrici, i partner tecnici, gli oltre 100 volontari che hanno donato il loro tempo per assistere i visitatori.

In breve dal Lazio Roma Presso il The Westin Excelsior Rome è stata organizzata una cena per raccogliere fondi a favore della ricerca. Ad animare la serata anche l’estrazione istantanea di ricchi premi donati dalle maggiori aziende del lusso italiano. Sacrofano (Roma) Una torta per la vita: è quello che hanno messo in pratica le donne di Sacrofano, che hanno raccolto fondi distribuendo dolci squisiti fatti in casa.

Liguria... Tel. 010 277 058 8 - com.liguria@airc.it www.airc.it/liguria

Notte nera… a Boccadasse Boccadasse (Genova) Erano in tanti a ballare sulla spiaggia del borgo di Boccadasse per una serata di divertimento e solidarietà a favore de “I Giovani dell’AIRC”. Cinque ballerine, un dj, quattro percussionisti africani, tra cui Inrahim Sampou, uno dei più conosciuti suonatori di Djembé, hanno scatenato il pubblico con danze tribali. Organizzatore della serata il dj Celso Armento.

In breve dalla Liguria Zoagli (Genova) Dancing party a inviti al Pietra di Luna. Cocktail e buffet a bordo piscina per una serata esclusiva di divertimento e di solidarietà grazie all’impegno della pr Francesca Loj di By Tarocchi, di Dj Celso e della presentatrice Fabrizia. Noli (Savona) Risate per tutte le età nel cuore del centro storico di uno dei più bei borghi d’Italia con la prima edizione del “Premio Città di Noli”, festival di comici emergenti organizzato dal Comune e dalla Provincia di Savona. Gli artisti si sono sfidati alternandosi tra una serie di esilaranti sketch. Al vincitore è andato un bellissimo piatto realizzato dal laboratorio di ceramiche artistiche Herrison. Aprile – Genova - A Palazzo Lomellino “Moda & Glamour per la Ricerca”: sfilata di alta moda e aperitivo della Sartoria Adaesse. Giugno – Portofino (Savona) - Serata di Gala a inviti al Molo Umberto I “Ciappella”, in collaborazione con i Volontari Baia di Portofino.

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In breve dalla Lombardia Milano In occasione della presentazione della nuova collezione di gioielli ideati e disegnati da Antonini Milano, Sergio Antonini e Marina Borromeo hanno organizzato un cocktail presso lo showroom di Piazza Borromeo. Un momento unico per ammirare le nuove preziose creazioni e per poter contribuire al sostegno della ricerca oncologica. Milano Anche quest’anno non è mancato l’appuntamento con il Chiosco Giannasi e “il pollo allo spiedo più buono della città”: piazza Buozzi è stata presa d’assalto dagli amici di AIRC, complice il bel tempo, per poter acquistare le mille delizie preparate dal signor Giannasi. Una giornata di successo, giunta alla sua quinta edizione, che permette di raccogliere in poche ore importanti contributi in favore della ricerca. Un grazie di cuore a Dorando Giannasi e al suo staff.

Marche... Tel. 071 280 413 0 - com.marche@airc.it www.airc.it/marche

Memorial Fabrizio Liuti Macerata Moltissimi i partecipanti per la seconda edizione del torneo di tennis organizzato dall’Associazione C. e G. Giuseppucci con il patrocinio del Comune in memoria dell’amato giornalista sportivo Fabrizio Liuti.

In breve dalle Marche Civitanova Marche (Macerata) Gli studenti del liceo classico dell’I.I.S. Leonardo Da Vinci hanno messo in scena con grande impegno uno spettacolo teatrale natalizio a favore di AIRC presso il Teatro Rossini. Senigallia (Ancona) Più di 200 giocatori hanno partecipato al torneo di burraco organizzato con il patrocinio del Comune presso la prestigiosa Rotonda a Mare. A seguire un tea time per tutti i partecipanti.


Piemonte - Valle d’Aosta...

Sardegna...

Tel. 011 993 335 3 - com.piemonte.va@airc.it - www-airc.it/piemonte

Tel. 070 664172 - com.sardegna@airc.it www.airc.it/sardegna

In pista con l’Orchestra Orchidea Strambino (Torino) L’Orchestra Orchidea ha organizzato in collaborazione con il Circolo ricreativo C.R.C.R. una serata di ballo in onore della ricerca. Hanno reso speciale quest’occasione diversi artisti del mondo del liscio piemontese.

Burraco e musica Alghero Grande festa con la musica di Mariano Melis dei Tazenda e un ricco buffet per la conclusione del torneo di burraco che si è svolto nel nuovissimo centro Quartè Sayal al quale hanno partecipato tantissimi amici di AIRC. Cagliari Tornei sportivi e dimostrazioni di ginnastica sono stati alla base della manifestazione di solidarietà organizzata dal Dopolavoro Ferroviario di Cagliari in favore della ricerca oncologica.

In breve da Piemonte-Valle d’Aosta Sant’Ambrogio (Torino) Anche quest’anno gli Atropina Club hanno organizzato un concerto rock per la ricerca presso la birreria “La Sacra Birra”. Torino Gioia, nostalgia e molti dubbi di un gruppo di amiche sono al centro della commedia brillante Il salotto di Lucrezia, portata in scena al Teatro Alfa dalla compagnia Rosso Vermiglio.

Sono in vendita i biglietti della lotteria AIRC: primo premio una Suzuki Alto. Tutte le informazioni sulla pagina del Comitato Sardegna su www.airc.it

Puglia...

Sicilia...

Tel. 080 521 870 2 - com.puglia@airc.it - www.airc.it/puglia

Tel. 091 611 034 0 - com.sicilia@airc.it www.airc.it/sicilia

Omaggio a Domenico Modugno Tre appuntamenti con Gennaro Cannavacciuolo e il suo spettacolo Volare per il sostegno della ricerca sul cancro. A Selva di Fasano (Brindisi) è stato un appuntamento dell’Estate Silvana, grazie al patrocinio dell’Amministrazione comunale e all’impegno della consigliera Primarosa Labbate e di Filomena Scagliusi, responsabile della città di Polignano a Mare. Lo spettacolo, si è spostato poi al Teatro del Fuoco di Foggia, grazie alle consigliere Mirella Alberini Tavasci e Maria Giovanna Tamma e al patrocinio dell’Amministrazione provinciale, e infine al Politeama Greco di Lecce, col patrocinio dell’Amministrazione comunale e la sapiente organizzazione della consigliera Gabriella Alemanno.

In breve dalla Puglia Bari Presso il Circolo della Vela si è tenuta una serata, fortemente voluta dalla consigliera Marilia Dentamaro, che ha visto protagonista al pianoforte Bruno Filippini. Bitonto Al Teatro Traetta concerto vocale Un canto di speranza, organizzato dalle consigliere Grazia Pice e Tina Pasculli in collaborazione con il Centro ricerche di storia e arte e il Kunitachi College of Music di Tokyo, grazie all’interessamento del maestro Vito Clemente. Barletta Per il quinto anno la famiglia Nigro e il personale del ristorante Il Brigantino, capeggiato dallo chef Vincenzo De Palo, hanno dedicato ad AIRC una serata con menù speciale. Con l’estate torna anche l’appuntamento con Masserie aperte alla Ricerca, giunto alla settima edizione. Da non perdere!

Volare Palermo Un folto pubblico, proveniente anche dalla provincia, si è radunato al Teatro Dante, dove la delegazione AIRC con la consigliera Giusi Zalapì ha proposto Volare, una reinterpretazione personale del repertorio musicale e di prosa di Domenico Modugno che ha avuto come protagonista Gaetano Cannavacciuolo.

In breve dalla Sicilia Catania e provincia Grazie all’instancabile impegno del professor Angelo Messina si sono tenuti anche in quest’anno scolastico 80 incontri diretti ai ragazzi delle scuole elementari e medie sull’importanza dell’alimentazione e dei corretti stili di vita. Fra i relatori Paolo Vigneri, Luca Lo Nigro, Antonio Mistretta, Francesco Pane, Livia Manzella, Antonio Circo, Nunzio Crimi e altri. Palermo In molte scuole della città si stanno svolgendo anche quest’anno le conferenze scolastiche volte a promuovere tra i ragazzi la cultura della prevenzione. Sotto la direzione della responsabile della campagna, Giovannella Scaccianoce, i ricercatori offrono ai ragazzi consigli su sana alimentazione e stili di vita corretti. Floridia (Siracusa) Il gruppo musicale Non solo medici ha organizzato una serata da ballo presso l’Open Land. La delegata AIRC della città, Anna Sarnataro, insieme al suo gruppo, ha sostenuto attivamente l’iniziativa coinvolgendo numerosi concittadini che hanno chiesto a gran voce il bis. Grande successo anche per il sorteggio di premi messi a disposizione da negozianti e amici.

Bari Dedicare una giornata molto speciale alla ricerca: è quello che hanno fatto Grazia Iannone e Giuseppe Signorile che, in occasione del loro matrimonio, hanno rinunciato a qualsiasi regalo pregando i loro amici di fare una donazione ad AIRC.


Toscana...

Umbria...

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Un brindisi per la ricerca

Mostra del ricamo

Firenze Nell’incantevole cornice del Museo Stefano Bardini, aperto in esclusiva per AIRC, la maison d’alta gioielleria Vhernier ha offerto un cocktail per raccogliere fondi per la ricerca. Ogni bicchiere di champagne dava la possibilità di vincere gioielli in argento e ebano creati appositamente da Vhernier, che ha anche offerto una delle proprie creazioni come super premio.

Assisi (Perugia) Telaio, aghi e fili al servizio della ricerca sul cancro: la delegazione cittadina, guidata da Lucia Smurra Di Tullio, ha organizzato una mostra mercato di pezzi unici realizzati da appassionate ricamatrici il cui intero ricavato è stato devoluto ad AIRC.

In breve dalla Toscana

Perugia Presso l’autosalone Toymotor si è svolta l’estrazione dei ricchi premi della lotteria che ha permesso di raccogliere importanti fondi per la ricerca.

Borgo San Lorenzo (Firenze) La palestra Gymnasium ha organizzato per AIRC un open day in cui è stato possibile provare quello che la struttura offre ai propri clienti e raccogliere fondi per la ricerca. San Piero a Sieve (Firenze) Al campo sportivo Le Cortine di Scarperia si è svolto un triangolare di beneficienza tra tre squadre del campionato amatori U.I.S.P. del Mugello: lo Scarperia, il Reconquista di San Piero a Sieve e il Caffè '90 di Borgo San Lorenzo.

Veneto... Tel. 041 528 917 7 - com.veneto@airc.it www.airc.it/veneto

Serata Starwood Venezia Serata di gala e beneficienza presso l’Hotel Europa & Regina per contribuire al finanziamento di due borse di studio per giovani ricercatori intitolate «Starwood Hotels & Resorts». Menù raffinato e musica di Guido Lembo e del suo gruppo Anema e Core di Capri per gli oltre duecento ospiti. Si ringraziano per la collaborazione: Diego Gianaroli per Antica Tostatura Triestina, Anna Licia Balzan, René Fernando Caovilla, Nicola Cassano, Donatella Cristiani Alberto Del Biondi Spa, Lorenza di Panigai, Deutsche Bank Private Wealth Management, Valerio Fiori, Gemmo spa, Golf Club Frassanelle (Padova), Giorgio Spanio, Dino Tosato EstCapital, Franco Sabbadin, Famiglia Zambon, Giovanni Zillo Montexillo, Zoppas Industries Spa. Venezia Nella splendida cornice del Casinò Municipale si è tenuta la sesta edizione del torneo di burraco dedicato ad AIRC, seguito da un drink e ricchi premi per i partecipanti. Il Comitato Veneto ringrazia tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento: il Casinò Municipale di Venezia; gli arbitri, Anita Toccane, Achille Iarice e Renzo Ongaro; 38 | SPECIALE COMITATI | APRILE 2012

Lotteria provinciale

È reperibile presso il Comitato Umbria Diario gastronomico umbro. Esercizi di cucina (e di pensiero) tra gusto, tradizione e buone pratiche alimentari, ideato da Ida Trotta e arricchito dalle serigrafie di Serena Cavallini. Il volume raccoglie la storia, le curiosità e le ricette della tradizione culinaria regionale.

Massimiliano e Raffaele Alajmo per Ristorante Quadri; Al Duca d’Aosta; Rossella Benetton per Ristorante Monaco & Gran Canal; Francesca Bortolotto Possati per De Pisis al Bauer il Palazzo; Campo Marzio Design Venezia; Dino e Grazia Collavo; Geox; Gruppo Coin SpA; Gran Teatro La Fenice; Le Noir Boutiques; Veronica Marzotto; Carlo e Giovanni Moretti; Nicolò e Francesca Noto; Pellicceria Francetich, Montegaldella, Vicenza; Fabrizio ing. Plinio Spa; Eligio Paties per Ristorante Do Forni; Raffaella di Montalban; Salmoiraghi & Viganò; Fiorella Scroccaro per Ristorante Da Ignazio; Dino Sesani; Torrefazione Marchi; Vino Fantasma, Castello di Sorci (Anghiari-Arezzo).

In breve dal Veneto Venezia Anche quest’anno Hard Rock Cafè continua la buona tradizione di Pinktober, iniziativa di raccolta fondi per la ricerca contro il cancro del seno in tutto il mondo. In Italia la manifestazione è chiusa da tre concerti di presentazione del nuovo album di Beverley Knight, regina del soul americana. Venezia All’Ateneo Veneto è stata ricordata Fulvia Sesani, maestra di cucina internazionale che ha divulgato le tradizioni e i piatti tipici lagunari. Per l’occasione è stato proiettato un filmato sulla sua attività e presentato un libro sulla cucina e le antiche ricette della Serenissima. Fulvia Sesani ha sostenuto AIRC fin dalla prima edizione delle Arance della Salute e si è prodigata nell’organizzare per molti anni Cioccolata in Palazzo (vedi foto), evento legato al Carnevale e organizzato con il Club Il Fornello.



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