Fondamentale dicembre 2013

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Numero 5 - dicembre 2013 - Anno XLI - AIRC Editore - Poste Italiane spa Sped.

in Abb. Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 LO/MI - ISSN 2035-4479

NOBEL

Dal telomero al trasporto cellulare: il massimo premio ruota intorno al cancro

ENDOMETRIO BAMBINI

Trent’anni di ricerche hanno cambiato il destino dei pazienti pediatrici

Un altro tumore che si può battere con la prevenzione

Diego Pasini, il ritorno a casa

STUDIA LE REGOLE DELLA CELLULA


SOMMARIO

FONDAMENTALE dicembre 2013

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In questo numero: DI RICERCATORE 04 VITA Alla scoperta dell'identità cellulare

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Il project manager della ricerca, un nuovo ruolo sempre più necessario

PROFESSIONI PER LA RICERCA Lo scienziato coordinatore dei grandi progetti

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NOTIZIE FLASH Dal mondo

Elizabeth Blackburn, premio Nobel 2009, ospite di AIRC per parlare di telomeri e invecchiamento

L’EREDITÀ DEI TELOMERI Il massimo premio ai segreti dell'invecchiamento STILI DI VITA - ENDOMETRIO Una revisione indica i rischi e come evitarli PSICONCOLOGIA L'impalpabile sintomo che peggiora la vita PROGRESSI DELLA RICERCA Cinquant'anni di progressi a favore dei più piccoli RICERCA IN VETRINA La cura si basa sul livello di rischio

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TUMORE AL SENO Crescono i casi sotto i 45 anni

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RUBRICHE Domande e risposte PREMIO NOBEL 2013 Vescicole e membrane come auto nel traffico IFOM Quattro gruppi si scambiano segnali INIZIATIVE Il cancro visto dagli adolescenti

FONDAMENTALE

Anno XLI - Numero 5 Dicembre 2013 - AIRC Editore DIREZIONE E REDAZIONE: Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro sede legale: via Corridoni, 7 - 20122 Milano sede operativa: Via San Vito, 7 - 20123 Milano tel. 02 7797.1 - www.airc.it - redazione@airc.it Codice fiscale 80051890152 Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 128 del 22 marzo 1973. Stampa Roto 2000 Casarile (Milano)

In ambito pediatrico i tumori sono sempre più curabili

DIRETTORE RESPONSABILE Niccolò Contucci CONSULENZA EDITORIALE Daniela Ovadia (Agenzia Zoe) COORDINAMENTO EDITORIALE Giulia Cauda REDAZIONE Martina Perotti, Cristina Zorzoli, Cristina Ferrario (Agenzia Zoe) PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Umberto Galli TESTI Agnese Codignola, Cristina Ferrario, Anna Franzetti, Daniela Ovadia, Chiara Segre, Fabio Turone, Cristina Zorzoli

Tumore al seno nelle giovani: come difendersi e curarsi

FOTOGRAFIE Armando Rotoletti (copertina e servizio a p. 4), Corbis, Istockphoto

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EDITORIALE

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Il dovere di informare, il dovere di informarsi

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appiamo bene quanto la conoscenza sia un aspetto fondamentale per combattere il cancro. Per questo, negli anni, la nostra comunicazione è cresciuta di pari passo con i risultati della ricerca. 40 anni fa Fondamentale è stata la prima grande iniziativa editoriale di sensibilizzazione che abbiamo messo in campo e con il tempo è diventata una delle più autorevoli pubblicazioni italiane d’informazione oncologica.

Fondamentale è per voi, per i nostri soci. Se noi abbiamo il dovere di informare sui progressi della scienza e della medicina e, in particolare, su ciò che i nostri ricercatori scoprono grazie al vostro contributo, voi, in quanto cittadini, avete il dovere di informarvi, attraverso fonti serie e accreditate, su come mantenervi in salute e curarvi al meglio. Una corretta informazione su solide basi scientifiche permette anche di sfatare molti falsi miti. Inoltre, in un'epoca in cui la prevenzione è la cura più efficace, i comportamenti virtuosi messi in atto da ciascuno di noi possono contribuire molto alla battaglia contro il cancro, affiancandosi al lavoro dei ricercatori. Il vostro ruolo come destinatari di questa rivista è duplice: siete lettori e ambasciatori insieme. Da un lato potete accedere a notizie sempre aggiornate sui corretti stili di vita e sulle novità diagnostiche e terapeutiche in campo oncologico, dall’altro potete condividerle con chi vi sta vicino per amplificare i benefici che l’essere correttamente informati ha sulla salute di tutti. Rendere il cancro sempre più curabile dipende dalle capacità e dalla passione dei ricercatori, ma in larga misura anche dalla partecipazione e dalla sensibilità di ciascuno di noi. Oggi voglio invitarvi a diffondere la rivista che arriva nelle vostre case tra gli amici, a condividere il vostro atteggiamento di fiducia verso AIRC con chi vi sta vicino. Condividete!


VITA DI RICERCATORE LL Diego Pasini

In questo articolo:

Alla scoperta dell’identità cellulare

mobile carica all’inverosimile. “Ricordo ancora che dalla montagna di bagagli nel retro dell’auto spuntavano due bottiglie di olio di oliva, di cui per anni ho continuato a rifornirmi in Italia” riprende. “L’auto era talmente carica che sulle salite del passo autostradale del San Bernardino ci facevamo strombazzare dagli autisti dei tir, impazienti”. Sul sedile accanto sedeva la moglie Daniela – conosciuta negli anni dell’università e sposata poco dopo la laurea, nel 2003 – incinta di pochi mesi: “Tempo addietro avevamo discusso dell’ipotesi di trasferirci all’estero per qualche anno per permettermi di crescere professionalmente, e avevamo concordato che sarebbe accaduto al termine dei tre anni di dottorato, ma a scombussolare i nostri piani è arrivato un imprevisto” ricorda. “Al responsabile del mio laboratorio all’IFOM-IEO, il ricercatore danese Kristian Helin, offrirono infatti di andare a dirigere un nuovo centro di ricerca appena costruito a Copenaghen, chiamato Biotech Research and Innovation Centre, dove mi propose di seguirlo per proseguire le ricerche e completare il triennio con lui”.

Start-up differenziazione cellulare epigenetica

Formatosi allo IEO di Milano, il giovane titolare di Start-up grant è tornato a lavorare nel suo laboratorio di partenza dopo una lunga parentesi in Danimarca

a cura di FABIO TURONE nche la vita di un ricercatore biomedico può imporre, a volte, fatiche fisiche estenuanti, in condizioni climatiche inimmaginabili: Diego Pasini lo ha imparato a proprie spese, quando si è trovato su un marciapiede, a Copenaghen, a dover scaricare e portare nella sua nuova casa – su su fino all’ultimo piano – mobili e suppellettili accatastati ordinatamente in sei bancali consegnati dal camionista che li aveva trasportati dall’Italia. “Facendo tutto al risparmio avevo messo in conto la fatica, ma non

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avevo previsto che all’inizio di gennaio una fitta coltre di neve e il freddo pungente avrebbero complicato non poco le operazioni” racconta sorridendo il ricercatore dello IEO, seduto nel suo ufficio milanese presso il campus IFOM-IEO, in una calda giornata settembrina.

Una partenza improvvisa Proprio dalla natìa Milano, e proprio dallo stesso campus, era partito con destinazione Danimarca all’indomani della Befana del 2005, in un’auto-

Complessi regolatori La nuova avventura al Biotech Research and Innovation Centre, BRIC in sigla, si preannunciava affascinante: lì avrebbe potuto proseguire le sue ricerche sul cosiddetto “complesso Polycomb” un gruppo di proteine che svolgono un ruolo determinante nello sviluppo e nel funzionamento delle cellule sane e malate. “Ognuno di noi è formato da circa 10.000 miliardi di cellule, ciascuna delle quali deve svolgere delle funzioni specifiche. Soltanto l’interazione tra cellule che hanno sviluppato capacità diverse, infatti, consente l’esistenza e il funzionamento di un orgaDiego Pasini nismo complesso con alcuni suoi come il corpo collaboratori al umano” spiega Pasicampus IFOM-IEO ni. Ciascuna cellula


contiene all’interno del nucleo tutte le informazioni necessarie per la vita e non solo quelle che le servono a svolgere le proprie funzioni specializzate: “Sostanzialmente il nucleo della cellula può essere considerato il più piccolo personal computer del mondo. Solo una piccola parte dell’informazione contenuta nel DNA è utilizzata dalla cellula, e infatti le cellule con funzioni differenti utilizzano parti diverse di questa informazione: è il nucleo che, come un computer, processa i segnali che la cellula riceve dall’esterno, garantendo alla cellula stessa di esistere e di interagire con l’ambiente circostante”. È un processo delicato, poiché una cellula destinata a specializzarsi, diventando per esempio una cellula del fegato, non solo deve saper trovare ed eseguire le informazioni necessarie, ma deve anche saper riconoscere – ed evitare – le

istruzioni che la trasformerebbero magari in una cellula del sangue. È un meccanismo molto sofisticato che consente a ogni cellula di avere sempre sotto controllo la propria identità, anche quando la differenziazione è completa e l’elemento deve eseguire il suo compito.

Proteine lucchetto “L’accessibilità a tutte le informazioni è regolata dalle proteine che condensano il DNA e funzionano essenzialmente come dei lucchetti che permettono o impediscono di leggere informazioni specifiche” riprende Pasini. “Quando questi meccanismi di controllo sono alterati, le cellule possono cominciare a leggere

male le informazioni contenute nel proprio DNA perdendo quindi la loro identità. Questi errori, che in larga parte sono controllati e tollerati dal nostro organismo, a volte possono generare patologie, e favorire per esempio l’insorgenza di tumori”. L’insieme delle modificazioni che entrano in gioco influenzando la trasmissione dell’informazione prende il nome di epigenetica. In un certo senso, sono gli imprevisti che obbligano la cellula a cambiare programma e sono le contromisure che normalmente le permettono di continuare a funzionare. Un po’ come per l’imprevisto che avrebbe reso inutile la sfacchinata su per le scale nell’inverno scandinavo:

Se i meccanismi di controllo vanno in tilt compare il cancro

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VITA DI RICERCATORE LL Diego Pasini

“Nell’appartamento, che avevo scelto nel corso di una delle rapide visite effettuate sul finire dell’anno precedente, entrava acqua dal tetto, per cui ben presto abbiamo dovuto traslocare nuovamente” racconta con un sorriso da cui traspare appena un pizzico di disappunto. “Anche l’impatto con l’inverno scandinavo, in cui il sole sorge a mattina inoltrata e tramonta nel primo pomeriggio, non è stato semplice, ma con l’arrivo dell’estate, e la nascita di Alberto, tutto è cambiato. In

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Danimarca la gestione dei bambini è facilissima, e sono previsti anche sostanziosi contributi economici”.

Un nuovo inizio E così, mentre la ricerca prosegue con ottimi risultati – tanto che a Pasini viene offerto di rimanere dopo la fine del dottorato con una fellowship triennale del Ministero della salute danese che gli assicura un ottimo stipendio e la copertura dei costi di ricerca – arriva anche la pic-

IN DIFESA DELL’IDENTITÀ

e ricerche del gruppo diretto da Diego Pasini allo IEO si concentrano sui meccanismi che regolano i normali processi di differenziamento cellulare (quelli che fanno sì che una cellula diventi per esempio parte della pelle o del fegato) e il loro coinvolgimento nello sviluppo dei tumori. Oggi si sa che all’origine di quello che si manifesta come un tumore ci sono numerose alterazioni, in parte scritte nel genoma, e in parte legate all’interazione con l’ambiente. “I meccanismi cellulari che controllano l’identità della cellula sana sono gli stessi che vengono direttamente o indirettamente coinvolti nello sviluppo tumorale: infatti, qualsiasi processo oncogenico è caratterizzato dalla perdita della propria identità cellulare” spiega Pasini. La determinazione dell’identità cellulare è un processo molto complesso, che coinvolge molteplici stimoli che concorrono al processo di differenziamento. Nel nucleo della cellula, il DNA è associato a numerose proteine con cui viene formata la cromatina, una struttura ipercondensata. La cromatina è

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estremamente dinamica: bastano variazioni anche molto localizzate del suo stato di condensazione per modificare la trascrizione dei geni, e quindi alterare il significato del messaggio con le istruzioni per il funzionamento della cellula. “Il mio laboratorio, realizzato grazie ai fondi dello Start-up grant AIRC, studia questi complessi meccanismi molecolari sia in condizioni normali sia in condizioni patologiche. La conoscenza dettagliata di questi meccanismi è infatti un presupposto fondamentale per lo sviluppo di terapie oncologiche sempre più personalizzate”.

cola Emma, finché sul finire del 2008 la prospettiva di concorrere per i fondi Start-up AIRC spinge Pasini a tentare il salto di qualità: “Ho contattato lo IEO, dove sapevo che da anni operano molti gruppi di ricerca interessati all’epigenetica, per cui ci sono strumenti – tra cui la piattaforma di genomica – e competenze all’avanguardia, e ho presentato la candidatura per uno Start-up grant AIRC”. Il progetto supera la rigorosa selezione degli esperti stranieri di AIRC e l’avvio del nuovo laboratorio parte all’inizio del 2010: “La formula di finanziamento per cinque anni con verifica alla fine del primo triennio è fantastica, perché offre la possibilità di lavorare investendo su risultati di mediolungo periodo, sapendo che di fatto il primo anno serve per avviare il nuovo laboratorio da zero”. Ora l’attività di ricerca – sempre concentrata sulle oltre 50 proteine del complesso Polycomb – è portata avanti insieme a otto collaboratori, di cui sei dottorandi e due post-doc: “È un lavoro in cui conta anche la massa delle ricerche, non solo la qualità” spiega Pasini. “Finora abbiamo prodotto due pubblicazioni su riviste di prestigio, e abbiamo in corso di pubblicazione due studi, di cui uno sull’effetto che il blocco di alcune di queste proteine potrebbe avere sull’attività proliferativa del tumore. È un ambito di ricerca promettente, in cui però allo stato attuale ogni risposta genera molte nuove domande”. Sul piano familiare, il rientro in Italia ha comportato il ritorno alle classiche difficoltà nella gestione dei figli, attorno ai quali ruota di fatto la vita sociale della famiglia: “Daniela ha ripreso a lavorare nell’ufficio legale in cui era prima che partissimo, per cui abbiamo fatto da subito molto affidamento sull’aiuto dei nonni, che abitano vicino a noi”. Poi quest’estate è arrivata la piccola Anna, per la quale si troverà presto un nuovo equilibrio: “In Danimarca mia moglie si è occupata dei bambini molto più di me, ma con la piccola ci organizzeremo per dividere il lavoro”.


PROFESSIONI PER LA RICERCA Manager della scienza

Lo scienziato coordinatore dei grandi progetti Il project manager della ricerca è una figura ancora poco conosciuta ma cruciale per gestire i molteplici aspetti di un progetto, dalla supervisione scientifica alla gestione finanziaria fino alle strategie di comunicazione e trasferimento tecnologico

a cura di CHIARA SEGRE immagine romantica dello scienziato solitario e intuitivo, che giunge a una scoperta guidato solo dall’ispirazione e dal genio, distaccato dal resto del mondo, è ormai un ricordo del passato o di vecchi film nostalgici. La moderna ricerca, e in particolar modo quella biomedica, è sempre più un’impresa collettiva, che coinvolge team di scienziati di diverse discipline, prime fra tutte la biologia e la medicina, ma anche la farmacologia, l’informatica e l’ingegneria biomedica. Una buona scienza è, però, condizione necessaria ma non sufficiente a portare avanti un progetto di ricerca: per garantirne il successo occorrono anche un’attenta gestione delle risorse economiche e umane, e un lavoro di coordinamento e comunicazione tra le diverse professionalità coinvolte. Un progetto di ricerca è dunque come una macchina molto complessa, formata da ingranaggi diversi ma tutti essenziali. Se qualcosa non gira come dovrebbe, l’intero meccanismo si inceppa. Ed ecco che entra in gioco il

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COME SI DIVENTA… PROJECT MANAGER DELLA RICERCA a natura transdisciplinare di questa professione rende impossibile tracciare un percorso di studi univoco. Dopo una laurea scientifica e un dottorato di ricerca sul campo, può essere utile frequentare un master di specializzazione o un corso di perfezionamento, ormai sempre più numerosi in molte città d’Italia. Da diversi anni l’Università Bocconi di Milano realizza il Master in Management per la sanità mentre la Fondazione Il Sole24Ore offre una Business School in Management del settore sanità, pharma e biomed. L’Università del Molise, in collaborazione con la Fondazione Neuromed, ha avviato, a partire dall’anno accademico 2012/2013, il Master di primo livello specifico in Management dei laboratori di ricerca biomedica, mentre all’Università Cattolica di Milano è attivo il Master di secondo livello in valutazione e gestione delle tecnologie sanitarie. Chi desidera superare i confini nazionali e trovare opportunità di perfezionamento all’estero, avrà solo l’imbarazzo della scelta. A partire dalla prestigiosa Harvard Business School negli USA, moltissime università offrono i cosiddetti Master of Business Administration (MBA): corsi di formazione post universitaria di alto livello in cui si acquisiscono doti manageriali e amministrative.

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PROFESSIONI PER LA RICERCA Manager della scienza

In particolare quest’ultima mansione è una delle maggiori responsabilità del project manager: valutare come allocare i fondi per le diverse unità di ricerca ed evitare gli sprechi, abilità essenziale in un mondo della ricerca sempre più frenetico e dipendente dai finanziamenti, spesso scarsi. Un project manager, insomma, è il braccio destro operativo del ricercatore che coordina il gruppo: si assicura che, una volta delineati gli obiettivi scientifici, si tenga la giusta rotta e ci si muova coerentemente verso la sua realizzazione, avendo sempre ben chiara la visione di insieme.

Serve studiare la scienza project manager della ricerca: un po’ scienziato, un po’ manager, un po’ comunicatore.

Il polso della situazione Cosa fa, nell’attività quotidiana, un project manager di ricerca? Lo spiega Ann Zeuner, direttore del Reparto di biotecnologie ematologiche e oncologiche dell’Istituto superiore di sanità a Roma. Oltre a gestire il suo gruppo di ricerca, è anche project manager di un programma 5 per mille di AIRC, coordinato dall’ematologo Ruggero De Maria, il cui obiettivo è lo studio delle cellule staminali del cancro “dormienti”, per capire come renderle più sensibili alle chemioterapie. “Le attività quotidiane di un project manager sono molteplici” spiega Zeuner. “Da questioni puramente pratiche come l’organizzazione di meeting e incontri tra le varie unità di ricerca clinica e biologica, alla revisione critica del progetto, al disbrigo degli aspetti amministrativi e burocratici, fino alla gestione degli aspetti logistici, delle risorse umane e finanziarie”.

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Ma se il project management è l’arte di pianificare, organizzare e gestire le componenti di un processo per raggiungere uno scopo prestabilito, come si combina la spinta creativa e, talvolta, imprevedibile della ricerca scientifica con obiettivi e tempi prefissati a tavolino? È forse un binomio inconciliabile? Non la pensa così Cecilia Melani, dirigente medico e ricercatrice all’Istituto nazionale tumori di Milano, e braccio scientifico dell’Ufficio di trasferimento tecnologico dell’Istituto: “Una buona ricerca non può prescindere da un’ottima organizzazione. Una pianificazione accorta permette di far fruttare al meglio le risorse umane ed economiche, sempre limitate. Questo significa anche, e soprattutto, un’attenta pianificazione scientifica” continua Melani. “In ogni progetto di ricerca è ovviamente insito un certo grado di incertezza e imprevedibilità. Proprio per questo lo studio della letteratura scientifica, congiunto alla gestione di

tutte le risorse disponibili, permette di ottimizzare il processo di ricerca e ottenere risultati concreti nel minor tempo possibile”.

Talvolta sono ex ricercatori Sulla stessa linea di pensiero è anche Pascale Romano. Dopo una laurea e un dottorato in biochimica a Oxford e più di dieci anni di ricerca in ambito oncologico, è ora project manager di un vasto programma di ricerca di medicina molecolare, finanziato con il 5 per mille di AIRC e coordinato da Pier Paolo Di Fiore all’Istituto europeo di oncologia di Milano. Il gruppo è composto da biologi, bioinformatici e clinici che studiano le cellule staminali del tumore al seno, per caratterizzarne la biologia, il profilo genetico e mettere a punto nuovi marker diagnostici e terapie più efficaci. “Una parte cruciale del lavoro del project manager” racconta Pascale Romano “è quella di essere sempre periodicamente aggiornati sul lavoro di ogni singola unità di ricerca. In questo modo si tengono sott’occhio i progressi sui diversi fronti, si identificano eventuali blocchi o colli di bottiglia e si può intervenire tempestivamente in modo che l’ingranaggio globale non si arresti”. Un project manager deve quindi essere estremamente versatile: deve gestire eventuali conflitti, mostrare grandi doti di negoziazione e interfacciarsi con diversi professionisti; di fatto un “mediatore culturale”. Non è un compito da poco, come racconta Romano: “La grande sfida è stata la creazione di un vero e proprio linguaggio condiviso tra le diverse professionalità: per esempio, comprendere le specifiche esigenze del medico che deve anche occupar-

Un ruolo multidisciplinare che richiede doti di mediazione

... l’articolo continua su: www.airc.it/project-manager


In questo articolo: project manager ricerca comunicazione

si dei pazienti e del ricercatore che deve attenersi ai tempi sperimentali, e trovare occasioni di incontro e di condivisione dei dati”.

Anche legge e gestione Come si diventa project manager della ricerca? Sicuramente occorre una profonda conoscenza delle dinamiche della ricerca e del metodo scientifico; una formazione scientifica e, possibilmente, un’esperienza di ricerca sul campo sono condizioni quasi obbligate. “È essenziale conoscere dall’interno come lavora il mondo scientifico per comprendere le problematiche e costruire il linguaggio condiviso” afferma Pascale Romano. Ma conoscere la scienza non basta. Occorre acquisire

competenze di tipo legale, amministrativo e gestionale. “Di certo frequentare master o corsi di specializzazione aiuta. Quello che conta di più, però, è non avere paura di mettersi in gioco, studiare e imparare. Insomma, costruirsi con lavoro ed esperienza le proprie competenze” conclude Melani. “E l’elasticità mentale tipica di un ricercatore aiuta anche in questo”. Un’altra qualità fondamentale nel profilo professionale di un project manager di ricerca è, per Ann Zeuner, la comunicazione, a diversi livelli: interpersonale, per coordinare le risorse umane, tecnico-scientifico, per scrivere report e articoli scientifici e per partecipare ai congressi. Infine non ha meno importanza la comunicazione rivolta ai “non addetti ai lavori”: prima

di tutto i finanziatori, a cui occorre rendicontare regolarmente il proprio lavoro, ma anche la società in senso più ampio, come le scuole e il grande pubblico. “In questo modo si instaura un circolo virtuoso: la società finanzia la ricerca, la ricerca restituisce risultati alla società, che a sua volta rifinanzia nuova ricerca” conclude Zeuner. Un project manager di ricerca è dunque un “tuttofare altamente specializzato”; in un mondo come quello della ricerca, sempre più complesso e articolato, i ricercatori e gli scienziati di domani quindi dovranno diventare sempre di più professionisti multitasking, non solo preparati dal punto di vista tecnico-scientifico ma con competenze economico-amministrative, comunicative e di problem solving.

I FINANZIAMENTI DELLA RICERCA

Una delle responsabilità maggiori di un project manager della ricerca è reperire e gestire al meglio finanziamenti, o grant, per realizzare i progetti di ricerca. Il processo di assegnazione dei grant è molto rigoroso e prende in considerazione numerosi fattori come la solidità scientifica del

progetto, le competenze scientifiche del proponente, il potenziale innovativo ma anche la fattibilità tecnica ed economica. Le valutazioni vengono eseguite col criterio della peer review, avvalendosi dei massimi esperti internazionali in ogni specifico campo di ricerca. È questo il

metodo adottato anche da AIRC. Inoltre, i beneficiari dei grant sono tenuti a redigere regolari resoconti sia dei risultati scientifici sia di come sono stati utilizzati i fondi erogati, nel massimo rispetto della trasparenza e per garantire la migliore gestione dei finanziamenti.


NOTIZIE FLASH

Dal mondo

Sogni d’oro con lo yoga

Una buona igiene orale contro l’HPV Oltre alla prevenzione della carie, esiste un’altra buona ragione per prendersi cura di denti e gengive: secondo uno studio statunitense, infatti, una scarsa igiene orale apre le porte all’infezione della bocca da parte del papillomavirus (HPV), indipendentemente da altri fattori di rischio noti, come il fumo di sigaretta o rapporti sessuali orali. In effetti, il virus, noto soprattutto per il suo legame con il tumore della cervice uterina, può infettare anche la bocca e la faringe, dove assume un ruolo di primo piano nello sviluppo dei tumori della gola. Lo studio, pubblicato sulla rivista Cancer Prevention Research, ha analizzato poco meno di 3.500 persone di età compresa tra i 30 e i 64 anni con infezione orale da ceppi di HPV a basso rischio di dare origine a cancro e ceppi ad alto rischio. I risultati mostrano che le infezioni orali da HPV sono più frequenti se l’igiene orale è scarsa o se ci sono malattie gengivali o problemi dentali.

Due sedute di 75 minuti ogni settimana possono migliorare la qualità e la durata del sonno nelle persone che, dopo un tumore, non riescono più a dormire bene. La chiave per raggiungere questi risultati è lo yoga, in base ai dati di uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Oncology. Lo studio statunitense ha coinvolto 410 persone – quasi tutte donne – metà delle quali hanno seguito per un mese uno specifico programma di yoga basato sia su posture fisiche sia su tecniche di respirazione e meditazione, oltre alle terapie standard seguite da tutti i partecipanti. Come spiega Karen Mustian, autrice del lavoro, grazie allo yoga il sonno è migliorato, indipendentemente dal fatto che in origine ci fossero solo lievi disturbi o una vera e propria diagnosi di insonnia e si è ridotto notevolmente l’uso di farmaci per dormire. Il risultato è degno di nota soprattutto se si pensa che molte persone (tra il 30 e il 90 per cento secondo le diverse stime) hanno problemi di sonno dopo una diagnosi di tumore a causa dell’ansia o del dolore e che lo yoga si può praticare anche a casa senza costi eccessivi.

Il rischio si combatte anche a tavola Una dieta quotidiana sana e basata sulle raccomandazioni degli esperti è in grado di ridurre il rischio di tumore del pancreas. Lo conferma un gruppo di ricercatori statunitensi dalle pagine del Journal of the National Cancer Institute in base ai risultati di un’analisi che ha coinvolto poco meno di 537.000 uomini e donne. La qualità dell’alimentazione è stata valutata grazie a un questionario ad hoc: in base alle risposte è stato infatti

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possibile individuare le persone che seguivano più da vicino le raccomandazioni delle linee guida sulla buona alimentazione e quelle che invece se ne discostavano in misura più o meno ampia. Dopo aver seguito i partecipanti per circa 10 anni, i ricercatori sono arrivati a dimostrare che nelle persone che mangiavano in modo sano il rischio di tumore del pancreas si è ridotto del 15 per cento.


Una vita di qualità dopo il tumore del seno Dopo il tumore del seno la qualità della vita non peggiora. Secondo uno studio canadese pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Oncology, dopo anni dal trattamento per il tumore le donne si dichiarano soddisfatte della loro qualità di vita quanto quelle che non hanno mai dovuto affrontare il cancro. Gli autori hanno intervistato più di 500 donne al momento della diagnosi di tumore del seno e subito dopo e hanno risentito a distanza di oltre 10 anni le 285 che non avevano avuto

ricaduta della malattia. “Subito dopo le terapie, dolore, nausea e fatigue possono rendere difficile la vita quotidiana” spiega Pamela Goodwin, coordinatrice del lavoro, “ma a lungo termine la situazione migliora e non si discosta molto da quella delle donne che non hanno avuto il tumore”. La notizia positiva è che non bisogna aspettare troppo a lungo per vedere i primi miglioramenti: la qualità di vita aumenta infatti già nel primo anno dopo la diagnosi. “E non bisogna inoltre dimenticare che

grazie ai continui progressi in campo terapeutico, il dolore e i disagi legati ai trattamenti sono sempre minori” concludono gli autori.

Il potere delle parole

Scovare il tumore ovarico sul nascere

I termini utilizzati dai medici possono avere un peso enorme nelle scelte terapeutiche dei pazienti, come dimostra uno studio pubblicato sulla rivista JAMA Internal Medicine. Elissa Ozanne dell’Università della California e i suoi colleghi hanno realizzato un sondaggio su 400 donne sane, alle quali è stato chiesto che cosa avrebbero fatto nel caso di una ipotetica diagnosi di carcinoma duttale in situ, la forma più blanda di tumore del seno, sulla quale si può intervenire con la chirurgia, il trattamento farmacologico o la semplice sorveglianza nel tempo, senza intervento iniziale. “La malattia è caratterizzata dalla presenza di cellule anomale nei dotti che trasportano il latte, non genera metastasi e solo in pochi casi si trasforma in un tumore pericoloso” spiega l’autrice. Eppure quasi la metà (47 per cento) delle donne coinvolte ha scelto l’intervento chirurgico se il medico ha utilizzato il termine “cancro” per descrivere la malattia, mentre la percentuale è scesa al 34 e al 31 per cento se il medico ha parlato di “lesione mammaria” o di “cellule anomale”. Questi risultati dimostrano ancora una volta l’importanza del linguaggio utilizzato nella comunicazione tra medico e paziente, entrambi coinvolti nella scelta del trattamento.

Esame del sangue più ecografia. Due esami semplici da eseguire e che potrebbero aiutare la diagnosi precoce di tumore ovarico, una malattia difficile da diagnosticare nelle sue fasi iniziali perché resta asintomatica per molto tempo. Secondo i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista Cancer da Karen Lu, del M.D. Anderson Cancer Center di Houston (USA) e colleghi, misurare il livello del marcatore CA-125 e il suo cambiamento nel tempo permette di ottenere buoni risultati nella diagnosi di questo tumore, grazie all’utilizzo di una specifica formula matematica che identifica i casi “ad alto rischio”. Nella loro analisi, Lu e colleghi hanno coinvolto 4.000 donne in post-menopausa in un percorso di screening in due fasi: si parte con l’esame annuale del livello di marcatore per determinare la categoria di rischio (bassa, intermedia, alta) e poi si procede con un secondo esame del sangue dopo un anno nel caso di rischio basso o dopo tre mesi nel caso di rischio intermedio o con un’ecografia (ed eventuale intervento chirurgico) nel caso di rischio alto. “I risultati sono preliminari” spiega Debbie Saslow dell’American Cancer Society, “ma sono molto promettenti perché permettono di identificare il tumore e lo individuano già nelle sue fasi iniziali quando le possibilità di cura sono maggiori”.

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L’EREDITÀ DEI TELOMERI Elizabeth Blackburn

In questo articolo: invecchiamento telomeri Nobel

Il massimo premio ai segreti dell’invecchiamento Partecipando alla sessione AIRC del convegno The secret of longevity, il premio Nobel che ha studiato i telomeri ha raccontato come la sua scoperta abbia influenzato la ricerca sulla senescenza delle cellule e delle persone a cura di FABIO TURONE a ricetta del successo, per lei, è davvero semplice: “Basta guardare ai fatti, al dato scientifico”. È così che Elizabeth Blackburn è arrivata a vincere il premio Nobel per la medicina, nel 2009, per la scoperta della telomerasi, una delle molecole cruciali nel processo di invecchiamento delle cellule, che l’organismo usa per riparare i danni dell’età e guadagnare più

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anni di vita in buona salute. I telomeri sono la parte terminale dei cromosomi, e ne proteggono la struttura con un meccanismo analogo al cilindretto di plastica che oggi viene usato alle estremità dei lacci delle scarpe per evitare che si sfilaccino. LA CHIAVE DELLA GIOVINEZZA “Sono in corso moltissime ricerche che stanno esplorando il ruolo della telomerasi non solo in malattie come leucemie e linfomi,

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o nei tumori del tratto intestinale, ma anche in fibrosi polmonare, cirrosi epatica e diabete, e in generale sul funzionamento del sistema immunitario” ha spiegato a Venezia, in occasione della nona conferenza The future of science in cui è stata l’ospite d’onore della sessione organizzata da AIRC proprio sul tema dei telomeri e dell’invecchiamento. La telomerasi, se conserva “giovani” le cellule, ha anche un effetto indesiderato: quello di aiutare le cellule tumorali a evitare la morte cellulare programmata, che permet-terebbe all’organismo di non sviluppare la malattia. “Sono da tempo in corso molte ricerche su possibili farmaci che agiscano sulla telomerasi, per mantenere giovani le cellule sane e per eliminare le cellule malate, ma al momento è difficile dire se e quando potranno

essere disponibili” spiega. La scoperta che le è valsa il premio Nobel – e che la Blackburn ha condiviso con la sua ex studentessa Carol Greider, oggi alla Johns Hopkins School of Medicine di Baltimora, e con Jack Szostak, del Massachusetts General Hospital – è arrivata oltre vent’anni fa, partendo da una curiosità di tipo puramente scientifico e apparentemente priva di ricadute pratiche: nessuno allora immaginava che avrebbe aperto così tante nuove prospettive negli studi sull’invecchiamento e sulla genesi dei tumori. “Oggi il test che misura la lunghezza dei telomeri fornisce indicazioni interessanti sullo stato di salute presente e futuro, anche se per il momento si tratta di informazioni utilissime sul piano statistico, e quindi per la ricerca, ma che dicono ancora poco


sulla salute e sulle prospettive future di ogni singolo individuo”. Proprio su questo aspetto cruciale, la Blackburn è entrata in rotta di collisione con un’azienda americana con cui aveva lavorato allo sviluppo e commercializzazione di un test destinato alla popolazione generale: “I fatti dicono che al momento il risultato del test fornisce un’indicazione puramente statistica, che richiede quindi moltissima cautela nell’interpretazione del significato pratico, delle ricadute sulla salute delle persone, ma per rendere più appetibile il suo prodotto l’azienda intendeva attribuirgli un valore predittivo che al momento è impossibile verificare e quantificare. Per cui ho smesso di collaborare con loro. Però stiamo conducendo molte ricerche che, se da un lato ci dicono che la lunghezza dei telomeri oscilla nello stesso individuo, e suggeriscono che questo possa avvenire anche in risposta all’adozione di uno stile di vita migliore, per esempio con la meditazione, dall’altro ci segnalano per esempio che in alcuni sottogruppi selezionati di popolazione la misurazione della lunghezza dei telomeri potrebbe avere un valore prognostico. Un esempio è uno studio che abbiamo in corso all’Università di San Francisco su un gruppo di malati di cancro della vescica, in cui il sottogruppo che presenta diagnosi di depressione appare particolarmente a rischio quando ha anche – in aggiunta a tutto il resto – telomeri più corti”.

Elizabeth Blakburn ha tratto l’insegnamento sulla “importanza di mettersi al servizio della gente con gentilezza e al meglio delle proprie possibilità”, come ha raccontato durante la cerimonia del Nobel. Nata in Australia, e più precisamente in Tasmania, fin da bambina è stata attratta dagli animali selvatici, e da tutte le forme di vita osservabili nei dintorni di casa, dalle meduse sulla spiaggia alle formiche. Ma la sua curiosità di ricercatrice in erba si è manifestata ben presto anche con l’abitudine di ospitare nel giardinetto di casa animaletti di tutti i tipi, cani, gatti e conigli fino a polli, porcellini d’India, canarini, pesci rossi e girini. “Un vero zoo!” ricorda sorridendo, per lasciare poi spazio a un pensiero meno allegro: “Tra i motivi che mi hanno spinta a impegnarmi molto negli studi, fin da piccola, c’erano i problemi familiari tra i miei genitori”, che si sono separati mentre lei viveva i difficili anni dell’adolescenza. Dopo la laurea in biochimica e un Master all’Università di Melbourne, ebbe l’opportunità di emigrare per compiere gli studi di dottorato all’Università di Cambridge, in Gran Bretagna, dove si specializzò nel sequenziamento del DNA ottenendo nel 1975 il diploma di dottore di ricerca. Da lì, un nuovo salto per arrivare all’Università Yale, negli Stati Uniti. Era a tutti gli effetti un “topo di laboratorio”, come ama oggi ricordare: “Ero davvero focalizzata sulla scienza, la scienza, la scienza”. Ma la ragione principale del trasferimento oltreocea-

Le applicazioni pratiche richiedono più tempo

LA MEDICINA NEL SANGUE Seconda di sette figli, dai genitori, entrambi medici,

RICADUTE PRATICHE

IN AIRC SI STUDIANO I TELOMERI nche in Italia diversi ricercatori sostenuti da AIRC studiano l’invecchiamento cellulare per combattere il cancro. Comprendere a fondo in che modo una cellula invecchia può aiutarci a elaborare terapie per far “invecchiare” in modo mirato le cellule tumorali ed eliminarle. È l’idea alla base del progetto di Gerry Melino, direttore del Dipartimento di medicina sperimentale e scienze biochimiche dell’Università Tor Vergata di Roma, che ha scoperto il ruolo di due geni cruciali per l’invecchiamento, chiamati p63 e p73. La telomerasi è da tempo oggetto dello studio di Maria Pia Longhese che, con il suo laboratorio all’Università di Milano Bicocca, sta studiando i meccanismi d’azione e regolazione di questo enzima che determina il destino delle nostre cellule. Anche Anna Maria Biroccio, nel suo laboratorio presso l’Istituto Regina Elena di Roma, studia la proteina telomerica TRF2 e le sue possibili applicazioni antitumorali. Infine da molti anni Fabrizio D’Adda di Fagagna dirige, anche con l’aiuto dei fondi AIRC, l’unità di ricerca “Risposte al danno al DNA e senescenza cellulare” presso l’Istituto FIRC di oncologia molecolare, dove ha già raggiunto traguardi importantissimi nella comprensione dei meccanismi di regolazione cellulare che dipendono dai telomeri.

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L’EREDITÀ DEI TELOMERI Elizabeth Blackburn

no era legata al fatto che il suo collega e fidanzato, il biochimico e biofisico John Sedat, aveva trovato un lavoro in quella università, e i due avevano deciso di sposarsi. Si stabilirono quindi a New Haven, nel Connecticut: “Lì ho cominciato a studiare i telomeri in un organismo unicellulare chiamato Tetrahymena – che ho sempre chiamato affettuosamente ‘schifezza dello stagno’. All’epoca ero convinta che le rivendicazioni per i diritti delle donne non fossero appropriate in un laboratorio di ricerca, luogo in cui è la scienza a parlare, però ebbi occasione di vedere casi

in cui le donne partivano svantaggiate. In un certo senso non si guardava abbastanza ai fatti”. Un episodio che le rimase impresso è legato al responsabile del suo laboratorio, Joe Gall, che aveva una sensibilità particolare per l’equità anche in questo ambito: “Un giorno Joe entrò in laboratorio sventolando un foglio e annunciando che la sua ex studentessa Mary Lou Pardue aveva appena avuto la cattedra al Massachusetts Institute of Technology. Io non riuscivo a capire la ragione di questa eccitazione, e dissi che certo era giusto che l’avesse avuta, perché era

Per arrivare al Nobel conta anche chi hai vicino

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molto brava. Il tenore della risposta di Joe mi fece pensare che per una donna non fosse sufficiente essere molto brava, per cui il trionfo di Mary Lou era particolarmente meritato. Era un messaggio importante da trasmettere al laboratorio”. All’epoca, fu infatti una delle prime donne a ottenere la cattedra nel prestigiosissimo istituto di Boston. COMPAGNI E AMICI E se Elizabeth Blackburn è riuscita a diventare una delle poche donne vincitrici di un premio Nobel per la medicina – dieci in tutto sui 201 premiati dal 1901 al 2013 – una parte del merito va probabilmente a quel mentore illuminato e al solido rapporto con il marito

che l’ha aiutata a credere in se stessa e a resistere alle avversità: “È difficile spiegare esattamente il tipo di appoggio che è stato in grado di darmi” racconta. “Non è stato solo l’incoraggiamento, ma anche e soprattutto una solida convinzione nelle mie capacità di ricercatrice”. Come premio Nobel oggi Blackburn è chiamata a collaborare con molti progetti diversi, ma è una convinta sostenitrice della necessità di dedicarsi a fondo a un certo argomento: “La multidisciplinarietà è essenziale per la scienza moderna, ma solo se ti dedichi a fondo e con convinzione allo studio di un argomento, e lo svisceri, allora avrai qualcosa da dire agli altri e potrai cominciare a occuparti di ulteriori discipline”. E pazienza se per sostenere le tue ragioni devi metterti contro il presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush. Accadde nel 2004, quando faceva parte del comitato di bioetica composto da scienziati di massimo livello chiamati a fornire consulenze al mondo politico sulle implicazioni etiche della ricerca biomedica: “Mi sono più volte dichiarata contraria alla legislazione con cui era stata drammaticamente limitata la possibilità di ricerca sulle cellule staminali”. Bush la sollevò dall’incarico, e a nulla valsero le intense proteste della comunità scientifica. Pochi anni dopo, però, l’Accademia del Nobel ha riconosciuto la sua validità scientifica e onestà intellettuale.


STILI DI VITA Tumore dell’endometrio

Una revisione indica i rischi e come evitarli Gli esperti fanno il punto della situazione sui fattori di rischio del tumore dell’endometrio e puntano il dito contro chili di troppo, zuccheri in eccesso e sedentarietà

a cura di CRISTINA FERRARIO ermare il cancro prima che inizi. Un obiettivo che può sembrare difficile da raggiungere ma che in realtà è più vicino di quanto si pensi e che rappresenta la filosofia alla base del lavoro svolto quotidianamente dai ricercatori del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (WCRF – World cancer research fund). Nel settembre 2013 gli esperti di questa associazione hanno infatti pubblicato un aggiornamento sui fattori di rischio per il tumore dell’endometrio (il tes-

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suto di rivestimento interno dell’utero), cioè su tutti quei fattori – sostanze chimiche, comportamenti, caratteristiche genetiche eccetera – che possono in qualche modo favorire l’insorgenza e lo sviluppo della malattia. La buona notizia è che molti di questi fattori rientrano tra quelli definiti “modificabili” e quindi è possibile intervenire per ridurre il rischio di ammalarsi. ATTENZIONE ALLA BILANCIA I risultati dell’analisi WCRF hanno confermato che anche per il tumore dell’endometrio l’eccesso di peso e di grasso corporeo rappresenta

EPIDEMIOLOGIA

COME SI STUDIA LO STILE DI VITA li studi epidemiologici sono utilizzati dai ricercatori per identificare i fattori di rischio per una particolare malattia mettendo a confronto diversi gruppi di persone, per esempio sani e ammalati della malattia che si vuole studiare, nel tentativo di capire se ci siano

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differenze in grado di spiegare l’origine della patologia. Una volta identificato un possibile fattore di rischio entra in gioco la statistica che, grazie a calcoli specifici, permette di stabilire se l’osservazione è frutto del caso o se invece è pregnante. Anche se questi studi coinvolgono in genere popolazioni molto ampie, spesso un singolo studio non consente di coinvolgere un numero di persone sufficiente per raggiungere risultati davvero attendibili. Si cercano allora

tutti i lavori pubblicati sull’argomento di interesse (revisione sistematica della letteratura) e li si analizza tutti insieme dopo complessi calcoli che permettono di confrontare anche dati raccolti con metodi e su popolazioni differenti (metanalisi). Unendo, per esempio, i dati di 10 studi con 1.000 partecipanti ciascuno, l’epidemiologo potrà basarsi su un campione di 10.000 persone per raggiungere le proprie conclusioni.

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STILI DI VITA Tumore dell’endometrio

un importante fattore di rischio. Dopo aver analizzato più di 50 studi, gli esperti hanno infatti definito numerose e convincenti le prove che dimostrano l’associazione tra questa caratteristica e l’insorgenza del tumore dell’endometrio. Non si tratta certo di un dato del tutto nuovo. “Nella nostra ricerca abbiamo trovato lavori dei primi anni quaranta nei quali già si notava che le donne con tumore dell’endometrio mostravano una tendenza maggiore verso l’obesità” spiega Elisa V. Bandera, docente di epidemiologia all’Università del New Jersey, negli Stati Uniti, e una delle coordinatrici della recente pubblicazione. Nessun dubbio, quindi, sulla necessità di dimagrire in caso di sovrappeso o obesità: “Un aumento di cinque punti nell’indice di massa corporea fa crescere del 50 ALIMENTAZIONE

ZUCCHERI, CIBO E GLICEMIA indice glicemico (IG) di un alimento è un numero che indica la velocità di aumento dei livelli di glucosio nel sangue (glicemia) dopo aver ingerito una data quantità dell’alimento in questione (contenente 50 g di carboidrati). La velocità di incremento è

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per cento il rischio. E più abbondanti sono i chili in eccesso, più rapido è l’aumento del rischio, sia prima sia dopo la menopausa” affermano gli autori. E l’analisi non si è fermata qui. È stato possibile infatti dimostrare in modo più convincente che oltre ai chili che compaiono sul display della bilancia, anche i centimetri del girovita assumono un’importanza fondamentale nel determinare il rischio per l’endometrio: sale del 13 per cento ogni cinque centimetri in eccesso nella circonferenza vita. Tutti dati che sottolineano il ruolo di primo piano del grasso addominale nell’insorgenza di questa malattia. Parlare di chili di troppo spesso non basta. Bisogna anche fare attenzione agli effetti non visibili del cibo che quotidianamente portiamo a tavola: cibi con alto carico glicemico (vedi il box sotto) e un eccesso di carboidrati sono stati identificati quali fattori di rischio. Entrambe le categorie di alimenti aumentano infatti il livello di glucosio nel sangue in modo molto rapido, inducendo il rilascio di insulina, e i risultati si traducono anche in un aumento del rischio di tumore dell’endometrio. C’È ANCHE CHI CI PROTEGGE A volte può sembrare che gli esperti di salute e vita sana ci indichino solo cosa non fare e cosa evitare. Nella loro analisi però, gli esperti WCRF hanno identificato anche al-

calcolata rispetto a quella di un alimento di riferimento (zucchero o pane bianco). Mangiare un alimento con alto IG causa un picco momentaneo molto alto di glucosio nel sangue, mentre consumare alimenti con basso IG porta a un aumento più moderato e duraturo. Il carico glicemico serve invece per definire le variazioni di glicemia causate da un alimento in base al suo IG e alla quantità di carboidrati che contiene. Si calcola applicando una semplice formula:

In questo articolo: prevenzione endometrio obesità

cuni fattori che probabilmente proteggono dal tumore dell’endometrio: l’esercizio fisico e il caffè. La vita sedentaria, e in particolare lo stare molte ore seduti, sembra essere pericolosa per la salute dell’endometrio (oltre che per quella in generale) anche se i dati disponibili non sono ancora abbastanza convincenti, mentre lo sono certamente i risultati relativi all’attività fisica di qualunque genere. In base all’analisi di 19 studi è emerso infatti che muoversi per motivi di lavoro o di piacere ha un effetto protettivo contro il tumore dell’endometrio. “E non serve certo diventare atleti” spiegano gli esperti WCRF. “Bastano anche 30 minuti di movimento al giorno”. Buone notizie infine anche per le amanti del caffè: questa bevanda è stata classificata tra i probabili fattori protettivi dell’endometrio, con una riduzione del sette per cento nel rischio per ogni tazza bevuta, anche di decaffeinato. “Questo dato è molto interessante ma deve essere approfondito” spiega Elisa V. Bandera. “Non dobbiamo dimenticare che un eccessivo consumo di caffè può avere effetti collaterali anche gravi in alcune persone e inoltre molti studi non hanno tenuto conto di tutto quello che in genere aggiungiamo nella

carico glicemico = indice glicemico X grammi di carboidrati nell’alimento / 100 Più alto è il carico glicemico, maggiore sarà l’aumento della glicemia e il conseguente rilascio di insulina.


IL TUMORE

bevanda: latte, panna e zucchero possono introdurre a loro volta dei rischi”.

CATTIVO, MA NON TROPPO

GLI ORMONI IN PRIMO PIANO I meccanismi alla base dei legami tra fattori di rischio e tumore dell’endometrio non sono sempre chiari. Di certo le cellule dell’endometrio sono molto sensibili all’azione degli ormoni, soprattutto degli estrogeni, che ne favoriscono la crescita: ecco perché il rischio di tumore aumenta nelle donne che non hanno avuto figli, in quelle con menopausa tardiva e in quelle che hanno fatto uso di terapie ormonali a base di soli estrogeni, mentre diminuisce con l’uso della pillola contraccettiva a base di estrogeni e progestinici. E sempre gli ormoni possono spiegare il legame tra eccesso di grasso corporeo e tumore dell’endometrio: l’obesità influenza infatti i livelli di molti ormoni e fattori di crescita come per esempio insulina e leptina che possono stimolare la crescita delle cellule tumorali. Nelle persone obese, inoltre, l’organismo ha una sensibilità ridotta all’insulina e di conseguenza il pancreas ne produce sempre di più incrementando il rischio di diversi tumori. Come se non bastasse, il tessuto adiposo è il principale sito di produzione degli estrogeni nelle donne in me-

endometrio è lo strato di cellule che riveste la parete del corpo dell’utero, cioè di quella parte dell’organo posta più lontano dall’apertura vaginale. Anche le cellule dell’endometrio possono dare origine a un tumore che in genere colpisce le donne in menopausa, con un picco attorno ai 60 anni. Secondo i dati dell’Associazione italiana registri tumore (AIRTUM) sono 8.200 i tumori al corpo dell’utero attesi per il 2013, un numero in lieve aumento nel corso degli anni a causa soprattutto dell’aumento della vita media.

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L’aspetto “positivo”, se così si può dire, del tumore dell’endometrio è che solo raramente è asintomatico. Proprio la presenza di sintomi precoci come perdite anomale di sangue tra un ciclo e l’altro o quando è sopraggiunta la menopausa permette infatti nel 70 per cento dei casi di trovare la malattia quando è ancora localizzata e quindi più facilmente curabile. E se gli esami confermano la presenza della malattia si ricorre a uno dei molti trattamenti oggi disponibili: chirurgia, radioterapia, chemioterapia e terapia ormonale. In attesa dell’introduzione di nuovi trattamenti ora in fase di studio, non bisogna dimenticare che grazie alla diagnosi precoce la curabilità sfiora l’80 per cento.

nopausa, ormoni che fanno lievitare il rischio di neoplasia dell’endometrio. Infine, l’obesità è associata a uno stato infiammatorio lieve ma cronico che può favorire l’insorgenza di molti tipi di cancro. “Alcuni dubbi devono ancora essere chiariti, ma mantenere un peso forma e fare regolarmente esercizio fisico aiuta a ridurre il rischio di tumore dell’endometrio. In termini di scelte alimentari, una dieta ricca di vegetali e povera di grassi e zuccheri raffinati aiuta a tenere sotto controllo il peso e probabilmente contribuisce a proteggere dal cancro attraverso altri meccanismi” conclude Bandera.

Con l’obesità diminuisce la sensibilità all’insulina

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PSICONCOLOGIA Misurare lo stress

In questo articolo: stress psiconcologia qualità di vita

L’impalpabile sintomo che peggiora la vita Spesso i malesseri psicologici accompagnano la malattia oncologica fin dalle prime fasi: con questo articolo inizia una breve serie dedicata alla diagnosi e al trattamento dello stress, considerato dagli esperti il campanello d’allarme per il benessere del paziente

Difficile misurare un disagio soggettivo

a cura di DANIELA OVADIA International Psycho-oncology Society (IPOS), che riunisce gli esperti di benessere psicologico in ambito oncologico, lo ha chiamato il sesto segno vitale dopo i cinque classici parametri del benessere di un individuo: temperatura, pressione arteriosa, polso, frequenza respiratoria e intensità del dolore. È lo stress, un parametro tanto subdolo e impalpabile quanto essenziale nell’influenzare la qualità di vita di tutti e in particolare dei malati di cancro. “È ben noto, da tutti gli studi, che la diagnosi e la cura del cancro si accompagnano a conseguenze psicologiche significative, con manifestazioni di stress che solo negli ultimi anni sono state prese realmente in carico e valutate” spiega Lea Baider, psiconcologa e rappresentante di IPOS, che ha recentemente lanciato una campagna internazionale perché la misurazione dello stress faccia parte delle valutazioni effettuate di routine quando si fa una visita oncologica oppure si è ricoverati. “Studi recenti dimostrano che le conseguenze dello stress, in particolare la depressione e l’ansia, colpiscono il 30-40 per cento dei pazienti”. Non a caso, nel 2007, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha puntato il dito proprio sulla depressione, in particolare su quella che si manifesta associata a una malattia cronica o duratura, in primo luogo il cancro. Non solo: gli effetti dello stress sull’umore persistono durante tutta la cura e anche dopo, specie se non trattati.

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Manca la diagnosi formale “Malgrado questi dati, spesso i disturbi dell’umore non vengono formalmente diagnosticati e, soprattutto, non vengono trattati adeguatamente, con farmaci o sostegno psicologico, né si verifica a distanza di


I PUNTI DELLA CAMPAGNA INTERNAZIONALE Una diagnosi di cancro e il trattamento che ne consegue possono dar luogo a conseguenze emotive significative da parte dei pazienti tempo l’andamento degli stessi” afferma ancora Baider nel documento che lancia la campagna internazionale. Le ricerche dimostrano, tra l’altro, che i pazienti con elevati livelli di stress non curato sono meno assidui nelle terapie, meno attenti alle scadenze e, di conseguenza, ottengono risultati inferiori anche nella cura del tumore stesso. Le ragioni che giustificano la mancata presa in carico sono tante, prima fra tutte la giusta tendenza del medico a considerare gli aspetti più urgenti, cioè la chirurgia e i suoi esiti e poi le eventuali terapie farmacologiche, i loro effetti collaterali e le ricadute. C’è però un altro problema: mentre i parametri fisiologici si misurano facilmente, con prelievi o test diagnostici, come si può quantificare l’impalpabile? Come è possibile dare una misura oggettiva e non solo soggettiva del disagio psicologico? Gli esperti dell’IPOS propongono l’uso di scale validate e condivise a livello internazionale, in modo da poter confrontare i risultati e stabilire linee guida comuni per il trattamento. “Un comitato dell’OMS ha deciso, anni fa, che il disagio psicologico durante la malattia venga considerato sotto la dicitura generica di stress, che può comprendere sintomi diversi, dalla depressione all’ansia ai disturbi alimentari. È un approccio corretto perché sono tutti sintomi dipendenti dallo stato di malattia, quindi manifestazioni di un disagio che ha una causa comune” afferma Baider.

Un disturbo multifattoriale La definizione precisa di stress è racchiusa in un documento dell’OMS emesso nel 2003: “È un’esperienza spiacevole multifattoriale di natura emozionale, psicologica, sociale o spirituale che interferisce con la ca-

Trattare lo stress emozionale deve essere considerato parte integrante della qualità delle cure erogate Il livello di stress deve essere valutato a ogni visita così come si fa con gli altri parametri vitali Quando gli aspetti psicologici della malattia vengono trascurati, aumenta il carico sociale e finanziario della sua gestione pacità di far fronte al cancro, ai suoi sintomi fisici e al trattamento”. Per identificarlo bisogna quindi interrogare ogni paziente e non fermarsi al primo colloquio. Oggi molti ospedali offrono un supporto psiconcologico al momento della diagnosi ma, se durante il primo incontro il malato appare tranquillo, non viene più valutato: lo stress, invece, può comparire anche a distanza di tempo, durante la cura oppure persino dopo.

Uno strumento rapido Nel 1997, il National Comprehensive Cancer Network ha raccomandato a tutti gli oncologi di fare ai pazienti una semplice domanda: “Quanto è stressato?” Da allora sono stati elaborati strumenti più sofisticati per quantificare le risposte, per esempio chiedendo di indicare il livello di stress su una scala da 1 a 10. Ciò consente anche di valutare se il sintomo sta migliorando o peggiorando nel corso del tempo. Per facilitare il compito degli oncologi, che rimangono il primo filtro ma che non sempre hanno un’adeguata formazione psicologica, gli esperti dell’NCCN hanno adottato un test “a termometro”, in cui vengono esaminati diversi parametri di vita quotidiana, poi valutati in base a una

scala colorata: rosso significa emergenza e disagio, verde benessere, giallo una situazione da tenere sotto controllo prima che sfugga di mano. “È un sistema già utilizzato per altri parametri vitali come il dolore” spiega Baider. “Non richiede più di due o tre minuti e può essere usato in qualsiasi contesto”. A questo si affianca una lista di azioni: il paziente deve dire se, nel corso dell’ultima settimana, ha faticato a portarne a termine alcune. Si va infatti dalla cura dei figli alle faccende domestiche, dal lavoro alla vita di relazione, fino alla perdita di interesse per quelli che fino a quel momento sono stati i propri interessi personali. In questo modo si ottiene una misura precisa delle difficoltà. Le linee guida dell’NCCN consigliano un supporto psicologico a chiunque faccia fatica a svolgere i propri compiti in cinque o più aree della vita, oppure a chi si situa, quanto a livelli di stress, nella zona rossa del termometro. “La funzione delle campagne internazionali e della diffusione di semplici strumenti di screening è quella di rendere i medici più consapevoli di un problema, ma anche di invitare i pazienti, e soprattutto i loro familiari, a chiedere aiuto e supporto anche per questo aspetto spesso negletto della malattia oncologica” conclude l’esperta.

La verifica andrebbe effettuata a ogni visita di controllo


PROGRESSI DELLA RICERCA Tumori pediatrici

a cura di AGNESE CODIGNOLA gni anno in Italia circa 1.600 bambini e ragazzi con meno di 15 anni si ammalano di tumore; tra gli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 18 anni i nuovi casi sono un migliaio circa. L’incidenza dei tumori nella fascia di età 0-18 non è cambiata in modo sostanziale negli ultimi decenni, ma i tassi di sopravvivenza sì, e talvolta in modo spettacolare. Oggi per la maggior parte delle neoplasie si supera il 6070 per cento di sopravvivenza e in alcuni casi si arriva anche a valori superiori. A rendere possibile questo successo hanno contribuito molti fattori, come spiega Franca Fossati Bellani, una delle fondatrici dell’oncologia pediatrica

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italiana, per molti anni direttore dell’oncologia pediatrica dell’Istituto nazionale tumori di Milano e oggi presidente della sezione provinciale della Lega italiana per la lotta contro i tumori: “Non c’è un elemento unico ma, come in pochi altri ambiti dell’oncologia, una compresenza di tanti fattori. Data l’età dei piccoli pazienti, con tutto ciò che questo comporta per loro e per le famiglie, l’oncologia pediatrica si è infatti sviluppata naturalmente e prima di altre secondo un approccio multidisciplinare, poiché ciò su cui si punta è anche la preservazione della qualità di vita per gli anni futuri. Oltre a questo, poiché per fortuna i pazienti sono relativamente pochi, già dalla fine degli anni sessanta sono nati dei network che, a livello nazionale e internazionale, hanno

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Cinquant’anni di progressi a favore dei più piccoli Se un tempo i tumori pediatrici erano gravati da tassi di mortalità altissimi, oggi la situazione è completamente ribaltata. Merito soprattutto della multidisciplinarietà e della ricerca di base aiutato molto ad accelerare gli studi. Tra questi, nel 1969 in Europa è stata fondata la SIOP (Società internazione di oncologia pediatrica), che ha dato e dà un grande contribu-

to allo sviluppo di programmi di cura molto efficaci”. SI IMPARA DALLA LEUCEMIA La cura dei tumori solidi (che prima dei cinque anni


ATTENZIONE ALLA FAMIGLIARITÀ

In questo articolo: tumori pediatrici linfomi sarcomi

sono prevalentemente quelli del rene, i sarcomi di Ewing e del cervello, mentre prima dei due anni quelli della retina), ha tratto grande beneficio dalle strategie applicate nelle leucemie, come ricorda la stessa Fossati Bellani: “In generale si integra la procedura chirurgica con l’impiego, oggi molto meno utilizzato rispetto al passato, della radioterapia. La chirurgia ancora oggi è spesso indispensabile, ma ha subito nel tempo una vera e propria trasformazione. L’asportazione della massa tumorale mantiene infatti un ruolo cardine nella terapia dei tumori solidi, ma nel tempo è diventata sempre più accurata e attenta alle conseguenze sulla vita futura dei piccoli malati”.

sua famiglia in ogni fase dell’evoluzione della malattia sono stati riconosciuti molti anni fa, per sostenere in modo adeguato e professionale quella crisi emozionale che l’evento-tumore determina. Lo scopo, in molti casi raggiunto proprio grazie alla grande sensibilità e professionalità dei tanti che lavorano in questo ambito, è mantenere un buon equilibrio nel rapporto tra tutti i membri della famiglia e preservare il progetto di vita di ciascuno, rafforzando i valori di ognuno nel momento dell’incertezza, umanamente così comprensibile, sull’esito della malattia”.

La chirurgia è sempre più attenta agli esiti

FARMACI E SOSTEGNO PSICOLOGICO Ma non c’è solo la chirurgia, ci sono anche i farmaci, sempre più specifici. Ancora Fossati Bellani: “I chemioterapici citotossici (prima o dopo l’intervento) vengono utilizzati in maniera sempre più efficace e tutto ciò ha migliorato le percentuali di sopravvivenza anche di tumori un tempo molto difficili da curare come il neuroblastoma allo stadio 4 e il sarcoma di Ewing metastatico”. Attorno all’oncologia pediatrica si è poi sviluppata una serie di servizi non ancora altrettanto presenti e attivi per il paziente adulto, quelli psicosociali. Spiega Fossati Bellani: “I bisogni del bambino, dell’adolescente e della

OGGI GUARISCE LA MAGGIORANZA Pochi ambiti dell’oncologia hanno conosciuto progressi così significativi come quello dei tumori del sangue nei bambini, dai quali guarisce oggi la stragrande maggioranza dei pazienti. Spiega Franco Locatelli, direttore dell’Unità operativa di oncoematologia dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma: “Le cause dei successi ottenuti negli ultimi anni vanno ricercate nell’approccio per così dire olistico alla malattia, ma anche nella strettissima collaborazione tra ricerca di base e ricerca clinica oltre, naturalmente, all’apporto delle tecnologie e delle scoperte della genetica. Tutto ciò ci ha consentito di avere farmaci sempre più efficaci e di giungere a un traguardo un tempo ritenuto irraggiungibile: il trapianto di cellule staminali dal midollo di uno dei due genitori, messo a punto anche grazie a fondi AIRC proprio in questo ospedale”. Tra i bambini malati di

UNA SCOPERTA CHE AIUTA LA PREVENZIONE uando in una famiglia c’è una diagnosi di tumore in un bambino, i genitori si chiedono subito, angosciati, se anche gli altri eventuali figli sono a rischio. La risposta finora è sempre stata negativa tranne nel caso di sindromi tumorali ereditarie. In uno dei primi studi sistematici condotti sull’argomento, gli oncologi dell’Huntsman Cancer Institute dell’Università dello Utah hanno verificato, basandosi sui dati dei Registri, la storia clinica delle famiglie di oltre 4.400 bambini cui era stato diagnosticato un tumore negli ultimi 43 anni, e hanno trovato molte correlazioni cliniche tra il bambino o il ragazzo malato e i suoi parenti. In generale, infatti, se la diagnosi avviene prima dei 18 anni il rischio di fratelli, genitori e figli è doppio rispetto a quello dei pari età cresciuti in famiglie senza tumori pediatrici e, se l’obiettivo si restringe sulle diagnosi avvenute prima dei quattro anni, il tasso è addirittura quadruplo. Questo – hanno sottolineato gli autori sull’International Journal of Cancer – non significa che a un dramma ne debba seguire necessariamente un altro, ma solo che il rischio, per i parenti stretti, è maggiore e che si deve tenerne conto intensificando i controlli, che possono salvare la vita. Che fare dunque se un bambino della famiglia sviluppa un tumore prima dei 18 anni? Il consiglio degli esperti dello Utah è quello di analizzare con la maggior precisione possibile la storia clinica di tre generazioni, con particolare attenzione per la presenza di tumori, e di rivolgersi a un centro per il counselling genetico, per decidere insieme come procedere con i vari membri della famiglia. Inoltre, i genitori dei bambini che si ammalano prima dei cinque anni dovrebbero essere sempre informati sull’aumento del rischio negli altri eventuali figli. In questo modo, concludono gli autori, si possono salvare molte vite ed evitare che eventuali forme neoplastiche vengano scoperte quando sono già avanzate e quindi più difficili da curare.

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PROGRESSI DELLA RICERCA Tumori pediatrici

leucemia linfoblastica acuta – la forma più frequente dell’infanzia – il trattamento con i farmaci permette di guarire l’80 per cento dei malati; tra coloro che non rispondono, però, un altro 5-10 per cento viene salvato dal trapianto, un tempo caratterizzato da tassi di successo molto bassi, ma oggi assai più efficace. Ancora Locatelli: “I piccoli pazienti un tempo potevano contare solo sui fratelli e, in caso non ne avessero, dovevano sperare che ci fosse un midollo compatibile tra i donatori (in Italia circa 400.000,

con una probabilità che ve ne sia uno compatibile che si aggira attorno al 65-70 per cento). Poi, anche grazie al costante sostegno di AIRC, siamo riusciti a capire come ottenere un numero sufficiente di staminali del genitore, e il destino di molti pazienti è cambiato”. Accanto a ciò ci sono nuovi farmaci, la cui scoperta è dovuta anche all’introduzione, a livello europeo, dell’obbligo di condurre studi specifici prima di proporre terapie con indicazioni pediatriche. “Tra questi vi è il blinatumumab, un anticorpo che si

L’ematologia ha vissuto il cambiamento maggiore

“Rispetto alla seconda metà dello scorso secolo, oggi gli interventi sono molto meno demolitivi, più attenti alla preservazione dell’osso e in generale della qualità di vita. Inoltre, questi malati in genere sono sottoposti a vari cicli di chemioterapia prima e dopo l’intervento e oggi i progressi assicurati dalla diagnostica molecolare ci permettono di classificare meglio ogni malato, cercando la via terapeutica più adatta. Tutto ciò ci ha portato a tassi di sopravvivenza che superano il 70 per cento e a ragazzi destinati ad avere una vita molto più simile a quella dei coetanei rispetto a quanto avveniva alcuni anni fa”. Ma la terapia degli osteosarcomi non si esplica solo attraverso la chirurgia e la chemioterapia classica: la ricerca, anche in questo caso spesso sostenuta da AIRC, ha portato a nuovi farmaci tra i quali la trabectidina, messa a punto in collaborazione con Maurizio d’Incalci dell’Istituto Mario Negri di Milano, farmaco che sta suscitando grandi speranze perché dotato di un meccanismo d’azione multiplo. Infine, fondamentale è stato ed è l’apporto delle associazioni di genitori e del volontariato, che sostengono ogni aspetto della malattia, dalla ricerca all’assistenza alla riabilitazione.

Di cosa si ammalano i piccoli pazienti oncologici? In questo grafico sono riassunte le percentuali di incidenza delle varie forme tumorali secondo i dati AIRTUM

sta rivelando molto efficace nei bambini e che potrebbe contribuire a elevare ulteriormente le percentuali di successo” conclude Locatelli. UN APPROCCIO CONSERVATIVO Anche nel campo dei tumori ossei i progressi sono stati molto importanti e in numerosi casi legati all’oncologia pediatrica italiana e, in particolare, ai medici e ai ricercatori dell’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, che da diversi anni si prende cura dei bambini e dei ragazzi colpiti da osteosarcoma. Spiega Katia Scotlandi, responsabile del laboratorio di oncologia sperimentale dell’Istituto:


RICERCA IN VETRINA Leucemia mieloide acuta infantile

In questo articolo: oncoematologia tumori pediatrici trapianto di midollo

La cura si basa sul livello di rischio Una nuova classificazione può modificare le strategie di intervento e renderle più efficaci

a cura della REDAZIONE n grande studio italiano, cofinanziato anche da AIRC, ha dimostrato quanto è vincente la strategia adottata dagli oncoematologi italiani di suddividere i piccoli pazienti malati di leucemia mieloide acuta (LMA) in fasce di rischio per scegliere il trattamento più adatto. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Blood e ottenuti dai migliori centri italiani per lo studio delle leucemie infantili, consorziati da molti anni in una efficace rete di collaborazione sotto la sigla dell’AIEOP, Associazione italiana ematologia oncologia pediatrica.

U

Più trapianti del previsto I ricercatori hanno valutato il destino di 482 bambini con LMA trattati negli anni 2000 e 2001. All’epoca era stato avviato uno studio che prevedeva appunto la valutazione del livello di gravità della malattia anche sulla base di parametri come i marcatori molecolari, l’età del piccolo malato e altri fattori che influenzano la prognosi. Su questa base è stato effettuato un numero di trapianti di midollo maggiore di quello atteso se si fossero usati solo

i comuni parametri clinici. A distanza di più di dieci anni, la scelta si è rivelata vincente. Il trapianto allogenico (cioè da donatore) è stato usato in 114 bambini considerati ad alto rischio, quello autologo (con cellule staminali del sangue provenienti dal paziente stesso) in 102 casi. I tassi di sopravvivenza e guarigione sono stati maggiori di quelli attesi e questa strategia ha permesso di diminuire il divario del rischio di ricadute tra i gruppi a basso e ad alto rischio.

Concrete speranze “I bambini sono stati trattati con protocolli terapeutici diversi in relazione al loro livello di rischio” spiega Franco Locatelli, responsabile dell’Unità operativa di oncoematologia all’Ospedale Bambino Gesù di Roma, che ha coordinato il lavoro di 23 centri distribuiti lungo tutta la penisola. “Quasi nove piccoli pazienti su dieci sono andati incontro a una remissione completa e, di questi, in media, solo uno su quattro ha avuto poi una ricaduta”. La sopravvivenza a otto anni nel gruppo a rischio più basso è stata superiore all’80 per cento, ma anche nei bambini che si erano presentati con situazioni più gravi ha comunque raggiunto il 64 per cento.

LA RICERCA IN BREVE Cosa si sapeva Il trapianto di midollo da donatore o autologo è una terapia utile nella leucemia mieloide acuta infantile Essendo un intervento potenzialmente rischioso, veniva usato con parsimonia Cosa aggiunge questa ricerca Una nuova classificazione dei livelli di gravità della malattia permette di comprendere meglio qual è il rischio del singolo bambino Grazie a ciò si sono potuti aumentare i trapianti effettuati Sopravvivenza e ricadute nel gruppo trapiantato si avvicinano a quelle del gruppo a minor rischio, indice del fatto che la strategia di cura più aggressiva funziona Fonte: “Pession A. et al. Results of the AIEOP AML 2002/01 multicenter prospective trial for the treatment of children with acute myeloid leukemia”. Blood. 2013 Jul 11; 122(2):170-8.


TUMORE AL SENO Giovani

Crescono i casi sotto i 45 anni Il tumore al seno, considerato malattia dell’età adulta e matura, si presenta sempre più spesso in età giovanile. La ricerca si interroga sull’approccio più corretto a questa patologia

UNITE È PIÙ FACILE

Gli Stati Uniti, che prima di altri Paesi si accorgono delle nuove emergenze sanitarie, hanno visto nascere in anni recenti un’associazione dedicata esclusivamente alle donne giovani colpite da cancro al seno. Si tratta di Young Survival Coalition, un gruppo che riunisce le “sopravvissute” (termine che in italiano suona molto

male ma che in inglese indica semplicemente coloro che superano la fase acuta di malattia) per favorire lo scambio di informazioni. Il loro sito internet (www.youngsurvival.org) fornisce informazioni pratiche e offre la possibilità di conoscere altre giovani che hanno dovuto affrontare lo stesso percorso travagliato. Il sito è esclusivamente in lingua inglese.

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a cura di AGNESE CODIGNOLA i sono età in cui curarsi, soprattutto se si deve far fronte a un tumore, pesa più che in altre. È quanto accade nel mondo dei tumori del seno quando questi colpiscono donne in giovane età. Gli esperti lamentano una scarsa adesione alle cure e quindi risultati inferiori a quelli che si potrebbero ottenere. Eppure negli ultimi sei anni l’incidenza dei tumori al seno in Italia tra le giovani tra i 25 e i 44 anni è cresciuta del 29 per cento. E se una parte di queste nuove diagnosi è da annoverare ai casi di tumore al seno non invasivo (i cosiddetti carcinomi in situ) che fino a qualche anno fa non sarebbero mai stati identificati in quanto regrediscono da soli o comunque non progrediscono verso la malignità, si assiste anche a una crescita reale di forme più preoccupanti. Per fortuna si tratta ancora di un’eventualità rara, ma poiché le campagne di screening con mammografia ed ecografia non offrono, sotto i 45 anni, un profilo rischio-beneficio sufficiente, gli esperti invitano le più giovani a prendere almeno consapevolezza dell’esistenza della malattia nelle fasce di età meno “classiche”, per non trascurare a cuor leggero eventuali sintomi.

C

per così dire normali, che non si sviluppano in donne considerate particolarmente a rischio. Le giovani, però, da tanti punti di vista, non sono donne come le altre. Spiega Fedro Peccatori, responsabile del Dipartimento di ginecologia dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, che negli ultimi anni ha dedicato molto tempo alla cura e alla ricerca proprio dei tumori mammari che insorgono nelle giovani: “Quando una ragazza viene colpita da un tumore al seno entrano in gioco molti elementi da tenere in considerazione, perché i suoi progetti di vita, la sua identità di donna, la percezione che ella ha di sé possono essere influenzati. È quindi ancora più importante, in queste pazienti, instaurare da subito un dialogo a tutto campo, affrontare tutti i dubbi, le angosce, le speranze, per aiutare la donna a compiere le scelte più adeguate”.

Da giovani si trascurano i segnali di allarme

Donne speciali per età La malattia, dunque, sembra in crescita tra le giovani, cioè in quella fascia di età non coperta dai programmi di screening pubblici (perché non sono sufficientemente efficaci, come abbiamo detto) e quindi, oltretutto, più a rischio di scoprire la neoplasia quando questa è già relativamente avanzata, nel malaugurato caso in cui non si riveli una delle forme più benigne. E non si tratta di tumori solo ereditari o legati alle alterazioni dei geni BRCA 1 e 2 ma, nella stragrande maggioranza dei casi (circa il 95 per cento), di tumori

Diverse risposte alle cure Le giovani vivono una condizione peculiare rispetto alle donne più anziane anche dal punto di vista della malattia, che può richiedere approcci terapeutici diversi da quelli codificati per le donne più mature, capaci di integrare la giusta intensità di trattamento con la necessità di non compromettere i progetti per il futuro. Ancora Peccatori: “Benché nella maggior parte dei casi si assista a una guarigione, ci sono ancora casi in cui le cure non sono sufficientemente efficaci. Ciò è legato a due fattori: il primo è la generale peggiore adesione alle cure delle giovani, soprattutto negli anni in cui possono essere consigliate terapie ormonali che hanno indubbiamente effetti collaterali più difficili da accettare in giovane età. La seconda è di natura biologica, perché non è ancora chiaro se questi tumori, per molti aspetti indistinguibi-

In questo articolo: mammella età giovanile screening

li da quelli della donna più adulta, contengano in realtà differenze tali da determinare una maggiore resistenza alle cure”. La ricerca di queste differenze, oggetto anche di progetti AIRC, sta puntando su uno degli elementi che potrebbe contribuire a influenzare negativamente l’esito delle terapie: la prossimità con la gravidanza. Spiega l’esperto: “Una donna giovane molto spesso ha avuto nei mesi precedenti alla diagnosi una gravidanza cui spesso ha fatto seguito un periodo di allattamento. Le trasformazioni macroscopiche cui va incontro la mammella in questo periodo così particolare sono per molti aspetti paragonabili a un’infiammazione, un fattore di rischio per i tumori. Ci potrebbe quindi essere un nesso tra i due eventi, anche se la gravidanza esercita a mediolungo termine un ruolo opposto, cioè protettivo”. Dal punto di vista delle terapie, i protocolli stabiliti per le donne più mature spesso vengono adattati al profilo della paziente più giovane, Numerose per esempio cercando, nei campagne cinque anni di terapia con puntano a il tamoxifene previsti dopo informare l’intervento per chi ha un le più tumore sensibile agli estro- giovani geni, una finestra di tempo nella quale permettere alla donna di concepire un figlio. Inoltre la ricerca sta puntando su farmaci più specifici, che dovrebbero avere come obiettivo circuiti biologici particolarmente rappresentati nel seno più giovane. La speranza, quindi, è che in futuro la curabilità aumenti e diminuiscano gli effetti collaterali delle terapie. Nello stesso tempo proseguono gli studi sugli screening, per cercare di capire se è utile anticipare i controlli e con quale strumento diagnostico.

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Domande

Quanto pesa

e risposte S

Quando si asporta un tumore e si scopre che nei linfonodi vicini vi sono cellule maligne significa che ha già colpito altri organi? a presenza di cellule maligne nei linfonodi più vicini al tumore primario non significa per forza che tali cellule siano già andate a “colonizzare” altri organi al di fuori dei linfonodi stessi. Questi, infatti, sono centraline del sistema immunitario che, per un certo periodo, possono arginare la diffusione della malattia. Certamente però significa che sono aumentate le percentuali di rischio di avere un tumore secondario o una recidiva. C’è però un rimedio: le cure possono tenere conto di questo dato e prevedere sostanze in grado di eliminare le cellule metastatiche per riportare il rischio di ricaduta a livelli più bassi.

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la cura del cancro sulla spesa sanitaria?

i discute sempre più spesso del problema dei costi nella cura del cancro, dato che l’introduzione di nuovi farmaci può, a volte, essere insostenibile per i sistemi sanitari pubblici. Ora uno studio pubblicato su Lancet Oncology nel mese di ottobre scorso dà una misura del peso sociale della malattia in Europa: nei 27 paesi dell’Unione si sono spesi, nel 2009, 126 miliardi di euro. Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna insieme spendono i due terzi della cifra complessiva, 83 miliardi. Il tumore più costoso è quello al polmone (che costa 18,8 miliardi). In Italia il costo totale del cancro è di 16,454 miliardi di euro, pari a 114 euro per persona, contro i 102 medi europei. In queste stime ci sono le terapie ma anche i costi dei giorni di malattia e quelli sostenuti dalle famiglie.

Dopo una biopsia, mi hanno detto che il neo che ho sulla pelle è un melanoma, ma superficiale. Cosa significa? È pericoloso o no? tumori crescono a partire da un piccolo gruppo di cellule mutate e quindi, se presi per tempo, possono essere limitati a un sottilissimo strato di tessuto maligno, facilmente asportabile e non ancora in grado di generare metastasi. I tumori superficiali possono presentarsi anche negli organi interni, per esempio limitandosi al primo strato di un tessuto, come accade in alcune forme di cancro del seno. In genere sono completamente curabili con la sola asportazione della parte di tessuto malata, senza ulteriori terapie. L’obiettivo di una buona diagnosi precoce è proprio quello di identificare il maggior numero di casi in fase iniziale, per curarli completamente e senza effetti collaterali.

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PREMIO NOBEL 2013 Trasporto cellulare

Vescicole e membrane come auto nel traffico Il Nobel ha premiato la scoperta di un meccanismo cellulare di base eppure essenziale per la comprensione di molte malattie a cura della REDAZIONE uest’anno il più ambito premio scientifico per la medicina e fisiologia è andato a tre scienziati che hanno studiato un meccanismo di base essenziale alla sopravvivenza e moltiplicazione delle cellule: il sistema di trasporto. Ogni cellula, infatti, produce ed esporta molecole. Per esempio, l’insulina è prodotta e rilasciata nel circolo sanguigno mentre i neurotrasmettitori vengono inviati da una cellula nervosa all’altra. All’interno della cellula queste sostanze viaggiano avvolte dentro vescicole la cui “parete” è costituita per lo più da frammenti di membrana cellulare. I tre scienziati hanno quindi scoperto i principi molecolari che stanno alla base del trasporto di una sostanza da un luogo all’altro ma, soprattutto, i segnali che regola-

Q

no questo processo complesso consentendo, come un gigantesco ufficio postale, che il messaggio corretto arrivi nel luogo giusto e nel momento adatto. LAVORANO IN PARALLELO Randy Schekman ha scoperto un gruppo di geni che funge da regolatore del traffico. James Rothman ha svelato la macchina proteica che consente alle vescicole di fondersi con il bersaglio per trasferire nel punto giusto il contenuto. Thomas Südhof ha dimostrato come i diversi segnali istruiscano le vescicole a rilasciare il contenuto con estrema precisione, come accade nelle cellule nervose, quelle da lui più studiate. Se il complesso sistema di navigazione intracellulare va in tilt, possono comparire malattie come il diabete o i disturbi immunologici o nervosi. Anche i tumori possono

Tre strade diverse verso un’unica meta

James E. Rothman è nato nel 1950 a Haverhill, Massachusetts, negli Stati Uniti. Si è laureato alla Harvard Medical School nel 1976. Ha studiato per anni le vescicole cellulari e ha lavorato anche in ambito oncologico al Memorial Sloan-Kettering Cancer Institute di New York. Attualmente è direttore del Dipartimento di biologia dell’Università di New Haven, nel Connecticut. Randy W. Schekman è nato nel 1948 a St Paul, Minnesota, negli Stati Uniti. Ha studiato all’Università della California e alla Standford, sotto la guida di un altro premio Nobel, Arthur Kornberg. Attualmente lavora al Dipartimento di biologia molecolare e cellulare dell’Università di Berkeley, in California. Thomas C. Südhof è nato nel 1955 a Göttingen, in Germania, dove si è anche laureato e addottorato in neurochimica. Nel 1983 si è trasferito negli Stati Uniti, allo Howard Hughes Medical Institute e poi all’Università Standford. Ha studiato i meccanismi di trasmissione del segnale nei neuroni.

comparire perchè qualcosa non funziona nella regolazione del traffico. Ecco perché lo studio del cosiddetto “signalling” è essenziale per la moderna oncologia molecolare e costituisce un ambito di grande potenzialità. Randy Schekman, per esempio, è stato affascinato dal sistema di trasporto cellulare fin dai primi anni settanta e ne ha studiato le basi genetiche nei lieviti, scoprendo i primi geni regolatori. James Rothman ha invece studiato il sistema nelle cellule di mammifero, tra gli anni ottanta e novanta, e ha scoperto quale complesso proteico consente alle vescicole di fondersi con la membrana della cellula in un punto preciso. Dopo qualche anno di studi paralleli, è apparso chiaro che i geni scoperti da Schekman nei lieviti erano proprio quelli che codificavano per le proteine

identificate da Rothman nei mammiferi. Thomas Südhof era invece interessato a capire come si parlano i neuroni, come comunicano le cellule nella nostra corteccia cerebrale. Le nostre sinapsi sono infatti una centrale di trasmissione vescicolare molto raffinata e precisa. Negli anni novanta Südhof ha scoperto che, in quel caso, a governare il sistema ci pensano gli ioni calcio. Le applicazioni pratiche derivate da queste scoperte sono innumerevoli, anche nell’ambito oncologico, come si può leggere nell’articolo a pagina 28 di questo numero di Fondamentale. Quel che è certo è quanto hanno scritto i giudici del premio Nobel a sostegno della propria decisione: “Senza questa organizzazione meravigliosa e precisa, la cellula cadrebbe nel caos totale”.

... l’articolo continua su: www.airc.it/nobel2013


IFOM - ISTITUTO FIRC DI ONCOLOGIA MOLECOLARE Nobel 2013

In questo articolo: ricerca di base signalling Nobel 2013

Quattro gruppi si scambiano segnali Anche nell’istituto milanese finanziato da FIRC operano gruppi di ricerca che studiano il traffico cellulare, in linea con il premio Nobel di quest’anno a cura della REDAZIONE e cellule, tutte quante, per dividersi e moltiplicarsi utilizzano i sistemi di trasporto interno ed esterno studiati dai tre vincitori del premio Nobel per la medicina e la fisiologia (vedi pagina 27 di questo numero di Fondamentale). Nei tumori, però, questi meccanismi assumono un’importanza ancora maggiore poiché, quando sono inefficaci, la cellula più facilmente si moltiplica e dà origine alla neoplasia. Per questo anche in IFOM, l’Istituto FIRC di oncologia molecolare di Milano, ci sono ben quattro gruppi di ri-

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cerca che lavorano su argomenti che hanno direttamente a che fare con il Nobel di quest’anno, che dimostrano anche quanto sia importante la ricerca di base, quella che studia i meccanismi di funzionamento di cellule e organismi per poi applicare le conoscenze acquisite allo studio delle malattie. DIRETTAMENTE DAL LIEVITO AL MOSCERINO “C’è stato stupore a Stoccolma al momento dell’annuncio” dice Thomas Vaccari, a capo del laboratorio “Regolazione della soppressione tumorale attraverso l’endocitosi in Drosophila” di IFOM, dove

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è tornato nel 2009, dopo un lustro negli Stati Uniti, grazie a una Start-up quinquennale di AIRC. “Tutti si aspettavano un premio all’epigenetica, invece è andato agli scopritori dei processi di fusione tra membrane, un affare di lipidi e di proteine, anche se regolate a loro volta dal DNA, come tutto ciò che avviene nella cellula”. Il suo laboratorio si occupa di traffico vescicolare nel modello del moscerino della frutta, in particolare di un gruppo di proteine chiamate ESCRT eSNARE che sono tra quelle studiate sui lieviti dal Nobel Randy Schekman, col quale Vaccari ha potuto collaborare direttamente durante la sua permanenza all’Università della California a Berkeley. “Tutte le molecole di signalling, cioè che regolano la comunicazione tra le

cellule, sono coinvolte nei tumori perché hanno una stretta relazione con il sistema vescicolare. I tumori infatti sfruttano e distorcono il traffico vescicolare per indurre le cellule a comportarsi in modo favorevole alla diffusione della malattia”. LA RICERCA A RITROSO Biologa molecolare, esperta nello studio dei linguaggi di propagazione dei segnali cellulari, Simona Polo dirige all’IFOM l’unità di ricerca “Ubiquitina e trasmissione del segnale”. “Ci occupiamo di capire come funziona l’endocitosi, una sorta di infrastruttura che genera, raccoglie, elabora, trasmette, smista e organizza nello spazio cellulare istruzioni, segnali e informazioni da cui dipendono molteplici processi cellulari, com-

Dal modello del Nobel al moscerino della frutta


GLOSSARIO ENDOCITOSI È un processo che riguarda la membrana delle cellule, attraverso il quale la cellula stessa ingloba molecole o corpuscoli presenti nello spazio extracellulare, modificando la forma della sua membrana plasmatica, per racchiudere il materiale da introdurre nella cellula in una vescicola, detta “vescicola endocitica”. Questa vescicola si sposta all’interno della cellula stessa trasportata dai microtubuli, un complesso sistema di “funi” alle quali la vescicola stessa rimane ancorata. SIGNALLING Dall’inglese, indica l’insieme dei sistemi usati dalla cellula per inviare informazioni da un punto all’altro della stessa, oppure da una cellula all’altra. Le “parole” del signalling sono costituite da proteine e altre sostanze che fungono da messaggi e che devono essere dirette correttamente al bersaglio.

presi tutti quelli che possono provocare il cancro se vengono alterati” spiega. Partendo da questo aspetto generale della vita della cellula, Polo e i suoi collaboratori si sono concentrati sull’ubiquitina, una proteina chiave in molti processi, compresa la formazione dei tumori, a sua volta “premiata” con il Nobel nel 2004. “Ora sto cercando di avviare

un nuovo filone di ricerca con un approccio innovativo, a ritroso, in un certo senso. Dopo aver caratterizzato nei dettagli un enzima dell’ubiquitinazione, siamo andati a cercare quali membri della stessa famiglia risultavano alterati nei pazienti con cancro, sfruttando il Cancer Genome Atlas. Ne abbiamo trovati alcuni molto interessanti e praticamente sconosciuti dal punto di vista funzionale, che intendiamo studiare”.

essere sfruttati dalla cellula tumorale per trasformarsi da entità indolente e poco mobile in un corridore dei nostri tessuti. Il primo è spesso utilizzato come un volante per “guidare” letteralmente il motore molecolare dell’actina e consentire lo spostamento. Il modo in cui il traffico di membrane controlla il motore del citoscheletro di actina è stato oggetto di diverse pubblicazioni del gruppo di Scita perché bloccare questa interazione potrebbe essere una strategia nella lotta contro le metastasi.

Membrane e vescicole governano il movimento

MOVIMENTI E MEMBRANE Giorgio Scita dirige il programma “Meccanismi di migrazione e invasione dei tumori”. La principale sfida della ricerca oncologica è combattere la tendenza del cancro, in particolare di quelli aggressivi, a disseminarsi e colonizzare organi distanti per formare metastasi. Nell’ultimo decennio si è scoperto che le cellule tumorali nel loro viaggio metastatico adottano strategie di invasione dei tessuti diverse ed estremamente flessibili. “È un po’ come quando, dovendo muoversi in una città congestionata decidiamo di usare la bicicletta, piuttosto che la metropolitana, o un automobile a seconda delle condizioni ambientali e di traffico. Questa flessibilità rende il tumore particolarmente resistente a trattamenti con singoli farmaci” spiega. Da qui la necessità di identificare le basi molecolari e i processi biologici che il tumore adotta nel corso del suo viaggio. Il traffico di membrane (strettamente legato alle scoperte dei Nobel 2013) e il rimodellamento del citoscheletro di actina sono due di questi processi, che, come spiega Scita, possono

QUESTIONI DI COMUNICAZIONE Pier Paolo Di Fiore, direttore del progetto “Endocitosi, signalling e cancro” è forse quello che, per la vastità dei progetti portati avanti nel suo laboratorio, più rappresenta l’importanza delle scoperte premiate col Nobel. “Un obiettivo di lungo termine del nostro gruppo di ricerca è di spiegare il ruolo dell’endocitosi e del signalling nel cancro” spiega. “I nostri contributi hanno cambiato il modo con cui questo meccanismo è percepito nel mondo dell’oncologia: non più una semplice macchina ma uno strumento che è vitale per la cellula, che regola il corretto funzionamento dei messaggi sia nel tempo sia nello spazio”. Il suo gruppo sta stu-

diando alcuni meccanismi molecolari che governano l’endocitosi dell’EGFR, un fattore di crescita epiteliale importante nel cancro. Alcune proteine coinvolte nella regolazione del fenomeno, come Numb e Notch, hanno anche funzioni di soppressione del tumore, per esempio nel carcinoma della mammella. “Si tratta di imparare un linguaggio, quello della cellula, che ogni tanto viene usato a sproposito provocando le malattie” conclude. “Nel capirlo possiamo anche intervenire per cercare strumenti in grado di riportare la comunicazione alla normalità”.

IFOM, l’Istituto di oncologia molecolare che svolge attività scientifica d’avanguardia a beneficio dei pazienti oncologici è sostenuto da FIRC, Fondazione italiana per la ricerca sul cancro, attraverso lasciti testamentari. Per fare un investimento in un futuro senza cancro, quindi, basta aggiungere un lascito, anche piccolo, nel tuo testamento. Visita il sito www.fondazionefirc.it o telefona allo 02 79 47 07, riceverai anche la Guida su come farlo. Grazie.

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INIZIATIVE Sostegno psicologico

In questo articolo: associazioni adolescenti psiconcologia

Il cancro visto dagli adolescenti Che fare quando un cancro colpisce mamma o papà? Non esiste una risposta univoca, ma tante risposte individuali. E c’è chi può aiutare i ragazzi a trovarle a cura di CRISTINA FERRARIO n programma di ascolto e di aiuto rivolto ai ragazzi tra i 12 e i 21 anni, creato con lo specifico obiettivo di dare una mano ai figli adolescenti e nella prima età adulta ad affrontare la malattia del genitore in una fase della vita già di per sé complessa e delicata. È questo, in sintesi, l’obiettivo del progetto “Caro figlio” che ha preso il via all’inizio del 2013. Ideatori e promotori sono gli esperti di Attivecomeprima (associazione di pazienti che hanno superato un cancro del seno - www.attive.org), in particolare Stefano Gastaldi e Manuela Provantini, gli psicologi e psicoterapeuti che lo seguono più da vicino. “L’idea di dare il via a questo progetto è nata, come sempre succede nella nostra associazione, dall’ascolto dei bisogni

U

delle persone che incontriamo” spiega Manuela Provantini. “I genitori malati di tumore chiedevano spesso un aiuto per gestire il difficile confronto con i figli nel momento della malattia e visto che noi due abbiamo una formazione specifica relativa ad adolescenti e giovani adulti, la strada da percorrere ci è sembrata subito piuttosto chiara”. A oggi sono stati seguiti circa una decina di ragazzi, alcuni “incoraggiati” dai genitori a prendere parte agli incontri, altri arrivati di loro spontanea iniziativa per cercare risposte che non riuscivano a trovare da soli.

Non è solo questione di tumore Non è semplice essere adolescente: cambia il corpo e cambia il modo di re-

PER PRENDERE CONTATTO Per prendere parte al progetto o per avere informazioni è sufficiente chiamare il numero 02 6889647 oppure scrivere una mail all’indirizzo segreteria@attive.org. Attivecomeprima, fondata da Ada Burrone esattamente 40 anni fa, ha sede a Milano, in Via Livigno 3, dove hanno luogo gli incontri, ma “tutti possono chiamare e chiedere aiuto o consiglio”, precisano gli esperti.

lazionarsi con gli altri e con la vita, e il cancro che colpisce uno dei genitori complica ulteriormente queste già difficili dinamiche. Ma negli incontri con gli esperti i ragazzi non parlano solo di tumore. “Mi è capitato di notare che il cancro dei genitori diventa una sorta di ‘scusa’ per parlare di sé” spiega Provantini. “Gli incontri sono in un certo senso un modo per fare ordine e spesso si arriva a parlare del tumore del genitore solo nei momenti più difficili della malattia”. Gli argomenti trattati e le tempistiche dipendono dall’esperienza personale e dal rapporto genitore-figlio. “Se in casa non si parla mai di emozioni, sarà certo difficile parlarne con noi” spiega la psicologa, “ma a volte la malattia serve anche a superare alcune dinamiche che si sono instaurate negli anni in famiglia”. I risultati già ci sono: i figli si aprono di più non solo per quanto riguarda la malattia. “Il prossimo passo è un questionario che distribuiremo a genitori e figli per conoscere la loro opinione sul progetto e raccogliere commenti e consigli” conclude Provantini.


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