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ECCOCI ALLA FINE DEL TERZO ANNO PASTORALE

Periodico della parrocchia San Bernardino Realino in Lecce

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2 Luglio 2009 In questo numero:

Don Sturzo a 50 anni dalla morte

Carissimi parrocchiani, con la solennità di San Bernardino Realino, si conclude questo terzo anno pastorale che ha impegnato notevolmente la nostra comunità parrocchiale in particolare nei tempi forti dell’anno liturgico: avvento, quaresima, mese mariano, dove si è notato una crescente partecipazione e un maggiore interesse grazie all’instancabile lavoro dei membri del consiglio pastorale. Anche quest’anno i nostri ragazzi, attraverso il cammino dei sacramenti: prima confessione, prima comunione e cresima, hanno raggiunto gli obiettivi prefissati grazie al servizio delle catechiste. Facendo il bilancio posso ritenermi soddisfatto del buon lavoro realizzato in questo anno pastorale, naturalmente la positività non ci esime dall’impegnarci ulteriormente per costruire il Regno di Dio. Come ben sapete proprio in questi giorni, in concomitanza con la festa di San Bernardino, stiamo assistendo al congedo dell’arcivescovo mons. Ruppi e all’arrivo di mons. D’Ambrosio. Come ricordate il 16 aprile scorso arrivò l’ufficialità della designazione, da parte del Papa Benedetto XVI, del nuovo pastore che avrebbe preso la guida della Chiesa di Lecce. Dopo circa un ventennio si chiude l’episcopato leccese di Sua Eccellenza Cosmo Francesco Ruppi per raggiunti limiti d’età. E’ stato un tempo nel quale tante opere sono state intraprese e realizzate dalla forte guida del nostro pastore, il quale ha costantemente e devotamente operato per la crescita spirituale e territoriale portando pienamente a termine il progetto programmatico della sua prima lettera pastorale “giovani, vocazioni e famiglia”. Mons. Ruppi, in questo ventennio, è stato punto di riferimento e guida non solo per la Chiesa di Lecce ma anche per le istituzioni, che sempre ha saputo richiamare a quei valori che sono essenziali per una società, quando notava che questi sfuggivano di mano, ricordando sempre l’importanza dell’unità e del bene comune, del dialogo, del rispetto e della comprensione. Importantissimo è stato il suo impegno e la sua predisposizione verso la comunicazione. Profondo conoscitore dell’arte del giornalismo, mons. Ruppi ha saputo usare i mezzi di comunicazione come strumento idoneo alla sua missione spirituale in particolare con Radio Maria e la catecehesi domenicale in tv, senza dimenticare il settimanale diocesano l’Ora del Salento. Non possiamodimenticare,grazie a lui, la visita a Lecce del Santo Padre Giovanni Paolo II nel 1994 per inaugurare il nuovo Seminario e indire il Sinodo diocesano e naturalmente nemmeno la corposa produzione di lettere pastorali che rimarranno per la nostra diocesi punti di riferimento spirituale e pastorale. Come comunità di San Bernardino, in particolare, ringraziamo Sua Eccellenza mons. Ruppi per l’attenzione e l’amore di padre che ha sempre rivolto nei confronti della nostra parrocchia. Il suo impegno, la sua determinazione e la sua tenacia hanno portato a ciò che noi, quotidianamente, stiamo vedendo crescere sotto i nostri occhi, tra le nostre case, cioè la costruzione della nuova chiesa, da tutti voi tanto attesa. Tante altre cose si possono ricordare ma non serve vivere di ricordi ma fare tesoro di quello che una persona può insegnarci per la nostra vita, dove la tristezza si mescola con la trepidazione e l’attesa del nuovo che non si conosce come ci ricorda un proverbio “ci lassa la strata ecchia e piia la noa sape c’è lassa e nu sape ce troa” provocando un senso di timore. Del nuovo vescovo mons. Domenico D’Ambrosio si conosce già la grinta e la voglia di comunicare con tutti, dimostrata nelle varie lettere che sono state riportate dal nostro settimanale l’Ora del Salento, dove si denota lo spessore umano e spirituale che metterà al servizio della nostra diocesi come ha fatto nelle sue precedenti esperienze episcopali. Si dice che nella Chiesa i cambi sono una nuova ventata dello Spirito Santo che arricchisce, noi siamo pronti a ricevere il nuovo pastore per essere da lui guidati in questa nuova avventura, consapevoli che lo Spirito del Signore supera sempre le “alchimie umane”. Siamo sicuri che al nostro fianco ci sarà anche il nostro nuovo pastore, mons. Domenico D’Ambrosio, al quale diamo il più caloroso benvenuto e facciamo i migliori auguri per l’inizio di questo nuovo episcopato qui tra noi. Prepariamoci tutti il 4 luglio per accogliere Sua Eccellenza mons. Domenico D’Ambrosio, nostro pastore e guida, al quale garantiamo il nostro affetto, la nostra vicinanza e la nostra preghiera. Don Michele


“Pregate, pregate sempre senza stancarvi mai” E’ il titolo dell’ultima lettera pastorale che il nostro arcivescovo, Cosmo Francesco Ruppi, ha voluto donare al clero della diocesi di Lecce al termine del suo servizio episcopale. Non è un testamento, ma solo un invito alla preghiera, scrive l’arcivescovo, il quale esorta a non trascurare mai la preghiera, perché essa non solo è il respiro dell’anima, ma in essa si trovano la grazia e la forza per affrontare le vicende liete e tristi della vita. Ma che cos’è la preghiera? La preghiera è il dono più grande che Dio fa all’uomo. Sant’Alfonso diceva: “Chi prega si salva, chi non prega non si salva” e Santa Teresa di Gesù Bambino scriveva: “Per me la preghiera è uno slancio del cuore, un semplice sguardo verso il cielo, un grido di gratitudine e di amore nella prova, come nella gioia”. Purtroppo accade che quando siamo sereni e contenti, scrive l’arcivescovo, sentiamo l’entusiasmo della preghiera, quando invece viene la notte buia troviamo difficoltà a pregare, facciamo fatica a sollevare lo sguardo verso Dio. La preghiera non ha stagioni e Gesù ci dà l’esempio: prega prima di essere battezzato e prima, di trasfigurarsi sul monte, prima di compiere i miracoli e dopo aver moltiplicato i pani, e prega sul mare di Tiberiade. L’evangelista Luca fa riferimento alla preghiera fatta da Gesù nel Getsmani la notte del giovedì santo, quando raccomanda ai tre discepoli di “pregare per non entrare in tentazione”. ...pregare per Nei momenti più decisivi della sua missione, Gesù si non entrare in rivolge al Padre con una preghiera calorosa e continua; prega prima di scegliere i discepoli e anche prima di tentazione... interrogarli sulla sua identità e prima di consegnare a Simon Pietro il compito di essere pietra e fondamento della chiesa (Lc 9, 18). Gesù vedendo la debolezza dell’apostolo Pietro e conoscendo la sua spavalderia, dice di aver molto pregato per lui: “Io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 32). Sono certo, continua mons. Ruppi nella sua lettera, che Gesù prega, non solo per Pietro, ma per tutti gli apostoli e i loro successori, prega per tutti quelli che il Padre gli ha affidato; Gesù prega per i pastori, per i battezzati, ma anche per tutti gli uomini della terra, perché tutti sono nel cuore di Dio. Gesù per pregare si ritirava in luoghi solitari e deserti. La prima preghiera deve essere dunque la preghiera silenziosa, quella che facciamo nella solitudine della nostra casa, dinanzi al Ss. Sacramento, guardando il cielo, e quella che facciamo nell’intimità della nostra vita, portando le gioie e le sofferenze. Dalla preghiera Gesù riceveva la forza della evangelizzazione, la grazia di compiere la volontà del Padre, infatti la vita di Gesù è una continua preghiera: dalla preghiera appresa nella casa di Nazareth, alla preghiera del tempio, a quella nella vita pubblica. Anche sulla croce le sue ultime parole sono brevi preghiere. Gesù non solo prega molto e sempre, ma ci insegna come si deve pregare. Lo fa soprattutto nel discorso della montagna, raccomandando di pregare in segreto, perché “il Padre tuo che è nel segreto e il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà” (Mt 6, 5-6). Bisogna pregare con fede, non è infatti importante la quantità di preghiera, ciò che conta è manifestare e testimoniare che ciò che diciamo con le parole lo abbiamo veramente nel cuore. La vera preghiera consiste nel manifestare la fede e nel mettere in pratica l’insegnamento del Signore:” non chiunque dice Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21). San Paolo insegna: “Qualunque cosa facciate in parole e opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di Lui a Dio Padre” (Col 3,17). Il rapporto con Dio, che è in fondo il vero senso della preghiera, può essere mantenuto mentre lavoriamo, nei momenti di svago, e in tutte le attività quotidiane. Dice l’arcivescovo: “a volte mi hanno domandato: Vescovo come dobbiamo pregare? Come fare, tra le tante occupazioni a trovare il tempo per la preghiera?” La risposta immediata è: pregare con le labbra, con la mente, col cuore e con la vita. Pregare non vuol dire fuggire dal mondo, ma essere immersi nei problemi della terra, chi prega non riduce la sua azione, ma la sublima e la corrobora. La stessa cosa vale per lo studio, per l’impegno sociale e politico, per le responsabilità professionali: ognuno deve offrire a Dio quello che fa, così tutta la vita diventa preghiera, specie se vissuta secondo la volontà di Dìo per la costruzione del bene comune. Anche i coniugi cristiani dovrebbero sapere che la vita coniugale, il rapporto tra di loro, con i figli e con la famiglia, deve avere il sapore della preghiera. Anche l’amarsi reciprocamente sublima la sessualità e la fa divenire forma altissima della presenza di Dio tra i coniugi cristiani, a ciò contribuisce il dono dello Spirito Santo, ricevuto durante il sacramento del matrimonio. Giovanni Paolo II, concludendo il grande Giubileo, formulò l’augurio che le nostre comunità diventino “autentiche scuole di preghiera”, occorre allora, continuava il Papa, che l’educazione alla preghiera diventi punto qualificante di ogni programmazione pastorale. Nell’enciclica Spe Salvi, Benedetto XVI, indica che il primo luogo della speranza è la preghiera, con la preghiera diventiamo ministri di speranza, perché pregando otteniamo la pace interiore e l’unione con Dio, fonte della speranza. L’arcivescovo, nella sua lettera, esorta a guardare a Maria che è modello di preghiera ed è anche la Vergine orante. La più grande preghiera di Maria è il silenzio. Sta in silenzio nel momento in cui il vecchio sacerdote profetizza la sua sofferenza, in silenzio quando incontra il Figlio sulla via del Calvario e quando le viene affidata, con Giovanni, la Chiesa intera; in silenzio mentre vive, nel Cenacolo, l’attesa dello Spirito Paraclito. E’ il silenzio della preghiera, il silenzio di chi prega col cuore nell’adempimento della volontà di Dio. Tutta la vita di Maria è preghiera! A Maria, mons. Ruppi, affida il cammino della Chiesa di Lecce, sotto la guida del suo successore mons. Domenico Umberto D’Ambrosio e a tutti noi, popolo di Dio, esorta a pregare sempre, senza stancarci mai. Fuecu nesciu 9 pg 2 Concetta Baglivo


UN SACRAMENTO PER DUE: IL MATRIMONIO I Sacramenti della Nuova Legge sono istituiti da Cristo e sono sette. Tutti toccano le tappe e i momenti più importanti della vita di un cristiano, sono un dono che Dio ci ha fatto per aiutarci a crescere e a maturare nella fede. Tutti i sacramenti ci sono dati per la nostra salvezza e per santificarci e non sono per la sola persona, in particolare “il sacramento del matrimonio”, che è per la salvezza propria e dell’altro, in quanto è ordinato al bene dei coniugi, alla procreazione e all’educazione dei figli. Dio ha creato l’uomo per amore e lo ha chiamato all’amore, avendolo creato insieme alla donna Dio benedice questo amore che è destinato ad essere fecondo: «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela”» (Gn 1,28). L’uomo e la donna sono creati l’uno per l’altro come afferma la Sacra Scrittura: «Non è bene che l’uomo sia solo. Per questo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gn 2,18 - 2,24); così che non sono più due ma uno solo, come ci dice Matteo in un passo del suo vangelo, e questo ci fa capire quale sia stato da principio il disegno del Creatore. Il sacramento del matrimonio è indissolubile, ma questo non deve essere per gli sposi un fardello da portare, perché Gesù dona la forza e la grazia per vivere questo sacramento nella nuova dimensione del Regno di Dio e in virtù di questa grazia, destinata a perfezionare questo amore, possano capire il vero senso del matrimonio: un cuore solo e un’anima sola in una donazione reciproca, che perfeziona così l’amore dei coniugi e li santifica nel loro cammino per raggiungere la santità nella vita coniugale e nell’educazione della prole. Tuttavia l’uomo fa l’esperienza del male e la loro unione è minacciata dalla discordia, dal dominio, dall’infedeltà, dalla gelosia che portano all’odio e alla rottura. Questo disordine, secondo la fede, non deriva dalla natura dell’uomo e della donna ma dal peccato, “rottura con Dio”, e per guarire hanno bisogno dell’aiuto e della grazia di Dio, che con la sua misericordia non li abbandona mai. Cristo ha voluto nascere e crescere nella santa famiglia di Giuseppe e di Maria; la Chiesa non è altro che la famiglia di Dio. Il Concilio Vaticano II chiama la famiglia “Chiesa domestica” ed è in seno alla famiglia che i genitori devono essere per i propri figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede. Il sacramento del matrimonio viene costituito da un consenso che si scambiano gli sposi. I quali devono mettere al centro della loro vita Dio, amandosi con quell’amore con cui Cristo ha amato la sua Chiesa. Quindi, in questo sacramento, gli sposi hanno ricevuto il dono dello Spirito Santo che gli ha configurati ad immagine di Cristo Sposo della Chiesa. Se la coppia vuole vivere secondo lo spirito, allora deve avere come modello Cristo Sposo. Egli è il Verbo che si è fatto carne per amore, cioè in modo pienamente gratuito: amare per amare e non per avere qualcosa in cambio. Chiamati a vivere come Gesù l’amore gratuito, vediamo come egli ha vissuto per imparare da lui come si vive l’amore fatto carne. Nei trent’anni passati a Nazareth Gesù ha espresso il suo amore per gli uomini attraverso la normalità di una vita di famiglia, facendo il falegname, parlando in dialetto, non avendo la possibilità di grandi studi ... vivendo la vita normale della sua gente. Dio si è fatto carne riponendo il suo amore straordinario nella realtà più banale: è lo straordinario vissuto nell’ordinario. Dunque, tutta la vita normale della coppia diventa un ordinario da vivere straordinariamente, perché abitato da una grazia straordinaria. Oggi però la vita quotidiana è considerata da tutti, cristiani compresi, solamente come una frustrazione. Le piccole cose di tutti i giorni, abitati da questo amore, stancano ma non consumano; sfibrano ma prendono significato: tutto assume una qualità diversa. È la spiritualità dell’ordinario che fa crescere, perché tutto nella vita è reciprocità, possibilità di esprimere l’amore: dal come ci si veste a come si lascia la casa in ordine, per conquistare ancora l’amore della moglie o del marito. Questo è vivere un amore che è veramente capace di trasformare la vita a partire da tutto ciò che è relazione. L’amore che trasforma questa vita produce la gioia di essere uniti e ciò si deve vedere perché segno di un amore che cresce secondo la grazia ricevuta. Annalaura Ginepra

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CHIUSO L’ANNO CATECHISTICO Cari ragazzi e genitori Eccoci al termine dell’anno catechistico, alla fine dei nostri incontri, dove, passo dopo passo, Gesù si è fatto presente per mezzo di tanti segni, esperienze, celebrazioni, giochi. Tutto è stato utile per aiutarci a crescere e a riscoprire la nostra appartenenza a Lui, nostro Padre, con il sacramento del Battesimo. La chiusura di un anno è il momento adatto per una verifica, per confrontare esperienze fatte e progetti da realizzare, per mettere le basi di una catechesi più coordinata al ritorno dalle vacanze. E’ stato bello incontrarci tutte le settimane per preparare i canti, pregare, ma ancora di più la Domenica per condividere insieme l’Eucarestia che significa ringraziamento per la passione e morte di Gesù, ringraziamento per il dono della vita e per ogni dono che ogni giorno riceviamo. L’Eucaristia è una ricarica gratis per tutti noi. Noi catechiste ringraziamo il Signore per aver avuto fiducia in noi, affidandoci voi ragazzi, per parlarvi di lui e del suo amore. Vi ringraziamo per la vostra attiva e vivace partecipazione e vi ricordiamo che, anche quando saremo in vacanza, abbiamo il dovere di tenere viva la nostra fede con la preghiera e la partecipazione alla messa festiva. Nel dare a voi tutti un abbraccio nel Signore vi salutiamo, vi auguriamo buone vacanze e ci diamo appuntamento per il nuovo anno. La responsabile Marinella Serafini

Un pensiero, un idea ... oppure un appello? E così è passato un altro anno fra vari impegni e fatiche. Sento il dovere di ringraziare tutte le catechiste, don Michele e altre persone che impegnando il loro tempo si dedicano ai nostri figli in maniera paziente e costante. Sono più di vent’anni, che frequento ormai la nostra parrocchia e di cambiamenti ne ho visti tanti specialmente in questi ultimi tre, tanta gente nuova, tanti bambini e tanti ragazzi e non posso fare a meno di pensare con preoccupazione al futuro di questi bambini/ragazzi. Così, proprio a questo punto mi chiedo:” come mai non riusciamo a organizzarci per offrire varie attività a questi bambini come accade in diverse altre parrocchie?” Mi è capitato quest’anno, di dare una mano per organizzare le via Crucis per le strade, e il passaggio della statua della Madonna nelle varie famiglie, nel mese di Maggio. Ho notato quanta gente ci ha accolto con gioia e quanta no, e che purtroppo anche qui in queste circostanze non mancano i disguidi, i malintesi, e le sfide di chi fa le cose meglio o più dell’altro; bè, io penso che questo sia tempo sprecato, non bisogna perdersi in chiacchiere, e, che, ognuno di noi nel “proprio piccolo” può dare un contributo a formare una fitta rete di “genitori”, dove io guardo i tuoi figli e tu guardi i miei! Rimbocchiamoci le maniche e facciamoci avanti, tutti insieme unendoci a chi già lo fa da tempo, per dare un giusto supporto e un riparo sicuro a questi bambini, perché non posso immaginare un posto migliore dove i nostri figli possano crescere, forti, sani, sereni, uniti e ricchi nello spirito, se non nella Daniela Rollo. parrocchia cioè la casa del Signore.

L’amicizia

L’amicizia è un importantissimo valore che impreziosisce la nostra vita regalandoci di giorno in giorno momenti di pura gioia e felicità. Avere un amico vuol dire condividere totalmente il proprio essere con l’altro, dare senza chiedere nulla in cambio, scoprire di non essere soli e di poter contare su una persona vera e disinteressata nei momenti più tristi della nostra esistenza. E’ una luce che illumina le nostre esperienze, che, se sincera, non si spegne mai, neppure quando l’interesse personale entra in gioco. E’ bellissimo sapere che accanto a te c’è una persona disposta ad ascoltarti, a consolarti, che sbaglia con te ma soprattutto che rischia per te. Un amico è colui che asciuga le tue lacrime, e che non fa mai nulla per fartele versare. Amicizia vuol dire anche gioire insieme, ridere, scherzare, e per quanto banale possa sembrare essa rappresenta la fonte più speciale della nostra tranquillità, in quanto stare bene con gli altri e quindi con gli amici, vuol dire anche stare bene con se stesso e trovare un equilibrio con il mondo. Potremmo dire quindi che l’amicizia altro non è che uno dei tanti modi di dare e ricevere amore, e ciò che la rende così speciale è il fatto che essa è in grado di cancellare tutte le invidie e i pregiudizi che troppo spesso sono presenti nella realtà in cui viviamo, rompendo qualunque barriera e andando oltre qualunque maschera l’uomo cerchi di indossare, perché in fondo ciò che conta realmente ad un amico non è tanto l’aspetto esteriore e materiale dell’altro, bensì la vera anima che si cela dietro tutto ciò. Senza un amico la vita sarebbe troppo vuota per essere vissuta, e le gioie prive di autenticità in quanto non condivise, frutto solo del soddisfacimento del proprio ego. Credere nell’amicizia vuol dire avere fiducia nella vita e nel bene che essa ci riserba, se solo noi fossimo disposti ad ascoltare chi ci sta intorno e a sacrificare una parte del nostro egoismo per dare voce alle esigenze dell’altro. Essere un vero amico non è però così semplice. E’ vero che è fondamentale essere se stessi, ma bisogna anche essere in grado di “esserci” sempre e comunque,senza rinfacciare mai la propria disponibilità. Si usa dire :”Chi trova un amico trova un tesoro”, ma chi può dire con estrema sicurezza di avere realmente un amico? Accade spesso infatti di rimanere delusi da un amico, perché questi sbaglia, o semplicemente perché talvolta ci aspettiamo dall’altra parte un determinato comportamento che si rivela essere nella realtà esattamente il contrario. Sono dunque le aspettative che ci creiamo a minare la vera essenza dell’amicizia, e se è vero che le cose che si amano, non si posseggono mai veramente, ma si custodiscono e si preservano soltanto, allora bisogna saper cogliere tutto il bene che un amico può darci, farlo quanto più è possibile nostro e volgerlo al meglio verso gli altri. Solo in questo modo potremo diventare delle persone migliori, grazie all’aiuto di esseri speciali: gli amici. Diacono Giuseppe Baglivi Fuecu nesciu 9 pg 4


DON LUIGI STURZO: UN ESEMPIO SEMPRE ATTUALE L’8 agosto 1959 concluse la sua esistenza terrena Don Luigi Sturzo, il sacerdote siciliano che ha legato il suo nome e l’intera sua vita alla soluzione dell’annoso problema dell’impegno politico dei cattolici. La figura di questo umile uomo di chiesa, che visse sempre con devota coerenza e dedizione il suo sacerdozio senza mai trascurare la sua missione presbiterale, risplende ancora oggi, a cinquanta anni dalla morte, come un significativo esempio di attivo militante di fede e di acuto intellettuale impegnato a tradurre in concrete scelte operative e in ampi progetti politico-economici, ispirati alla dottrina sociale cristiana, la sua intensa attività di originale riflessione teorica, sviluppatasi in un lungo arco temporale, soprattutto in ambito sociologico e storicistico. Nato a Caltagirone nel 1871, Don Sturzo, pur provenendo da un’antica famiglia baronale, sentì subito istintivamente la necessità di impegnarsi attivamente, come uomo e come sacerdote, in favore degli ultimi, che nella sua terra di origine si identificavano soprattutto con i braccianti agricoli sottoposti ad un disumano sfruttamento da parte dei latifondisti, sostenuti dal già dominante potere mafioso. E proprio in nome di una giustizia ispirata al messaggio evangelico, fin dagli ultimi anni dell’Ottocento il giovane prete (oltre a condurre una lucida riflessione giornalistica sui problemi legati all’arretratezza del Mezzogiorno) promosse la costituzione di leghe tra i contadini, per ottenere migliori condizioni di lavoro e un maggiore rispetto della dignità dei singoli. Tale iniziativa, rivoluzionaria per l’epoca e per il contesto sociale e geografico in cui fu avviata, se da un lato conseguì alcuni risultati a favore dei braccianti, dall’altro rese inevitabilmente Don Sturzo un nemico del potere costituito (mafioso e feudale), che non mancò di ostacolarlo e financo minacciarlo. Negli anni successivi, trasferitosi a Roma, Don Sturzo seguì da vicino il travaglio del movimento modernista, che, forse troppo in anticipo sui tempi, cercò di tracciare le linee di un possibile impegno politico dei cattolici, finendo però per suscitare la ferma reazione repressiva delle gerarchie ecclesiastiche. Memore di tale esperienza, Don Sturzo continuò con cautela e ponderazione la sua opera di riflessione e di elaborazione teorica di principi orientativi che consentissero ai cattolici di impegnarsi come tali nella vita politica, senza però porsi in contrasto con il magistero ecclesiastico. Tale sforzo culminò, nel 1919, nella predisposizione di un completo programma politico contenuto nell’appello ai “liberi e forti” rivolto agli italiani, in occasione della costituzione del Partito Popolare Italiano, forza non confessionale che si proponeva di offrire

uno sbocco politico ai cattolici. Il nuovo partito, tra l’altro, propugnava in particolare l’esigenza di affiancare alla promozione della democrazia politica una maggiore giustizia sociale, con la realizzazione di incisive riforme in campo agrario e industriale (divisione del latifondo con l’assegnazione delle terre ai contadini; compartecipazione dei lavoratori all’azionariato e quindi alla proprietà delle grandi aziende) e la promozione di un ampio decentramento amministrativo su base regionale. L’azione del Partito Popolare entrò quasi da subito in rotta di collisione con il fascismo, che individuò in Don Sturzo uno dei suoi più pericolosi nemici, al punto da costringerlo all’esilio nel 1924. La lontananza dalla patria non impedì a Don Sturzo la continuazione di un’autorevole e incisiva battaglia intellettuale, volta a riaffermare i principi di libertà, giustizia e democrazia che ne avevano ispirato il ruolo politico, apprezzato non solo in Italia ma anche in Europa (Sturzo era divenuto uno dei padri fondatori dell’Internazionale dei Partiti di orientamento cristiano). Rientrato in Italia solo nel 1946, nonostante venisse considerato il nume tutelare del risorto partito dei cattolici, Don Sturzo (nominato Senatore a vita) scelse di non aderire ad alcuna formazíone politica e di impegnarsi in una battaglia essenzialmente civile ed intellettuale per l’affermazione delle sue idee di giustizia e di sviluppo, per la moralità della vita pubblica e per la difesa della libertà a tutti i livelli, levandosi spesso come voce Critica verso le incipienti degenerazioni del sistema politico (la successiva evoluzione del sistema politico italiano ha confermato, purtroppo, la fondatezza dell’analisi e delle intuizioni del sacerdote siciliano, rimasto per molto tempo una voce rispettata ma inascoltata, anche in ambito cattolico). Don Sturzo ha così potuto rendersi artefice di un magistero etico e di una lezione intellettuale non destinati esclusivamente ad una parte politica, tant’è vero che il suo nome è da tempo inserito tra i padri storici della attuale democrazia italiana. La figura di Don Sturzo, comunque, continua ad essere un valido punto di riferimento per i credenti che intendano impegnarsi con coerente onestà nella vita pubblica, distinguendo con chiarezza la difesa dei valori religiosi dall’imprescindibile laicità delle moderne istituzioni civili, che devono essere fondate sul rispetto degli interessi collettivi e della dignità dei singoli cittadini, senza collusioni affaristico-clientelari. La perdurante forza profetica dell’insegnamento di Don Sturzo (confermata anche dalla successiva evoluzione del magistero sociale della Chiesa) continua, perciò, ad ispirare un concreto e credibile impegno dei cattolici per il progresso civile ed il miglioramento della vita della società e delle istituzioni. Giorgio Serafino

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SPAZIO GIOVANI SCUOLA DOLCE SCUOLA! Siamo nel bel mezzo della stagione estiva, la scuola ormai è finita da un pezzo (fatta eccezione per i maturandi e gli studenti che la dovranno frequentare per colmare i debiti). Ammettiamolo: per tutti i ragazzi, anche i cosiddetti secchioni, è un vero sollievo; insomma niente compiti, niente verifiche, niente interrogazioni. Per 3 mesi un po‛ di libertà, di leggerezza senza il peso e la responsabilità di impegnarsi costantemente per non deludere le aspettative dei genitori, ma soprattutto le proprie. Sembra incredibile: gli ultimi giorni di scuola sono davvero duri, lunghissimi tanto si è impazienti che finiscano al più presto. Eppure l‛euforia, la gioia indescrivibile del giorno in cui si salutano i compagni e in particolare i cari prof inizia ad affievolirsi con il passare del tempo. Perché, certo, possiamo dire che spesso le lezioni da sorbirsi siano davvero pesanti, per non parlare di tutti i compiti in classe e i pomeriggi passati insieme ad un‛equazione di algebra dal risultato irraggiungibile, ma è pur vero che nessuno di noi ragazzi, anche chi afferma di non andare proprio d‛accordo con la scuola, non può negare che con la propria classe si passino dei bei momenti. Si impara qualcosa in più della metrica in poesia o della Rivoluzione Russa in storia: si impara a stare insieme, a rispettarsi, ad accettarsi reciprocamente, si impara a convivere con le persone. Pensiamoci: trascorriamo quasi più tempo a scuola e con gli impegni che da essa derivano che con i nostri genitori, almeno durante l‛anno scolastico. Da settembre a giugno viviamo ogni giorno per 5 o 6 ore con altri ragazzi della nostra età, con un insegnante che cerca di farci da guida per quel breve periodo di tempo che è la sua lezione, sforzandosi di non essere noioso (anche se a volte non ci riesce per niente), tentando di prenderci dal verso giusto, trattandoci da adulti quando serve e non solo da ragazzi, cosa che persino i nostri genitori non fanno così spesso. Chiunque abbia la fortuna, come del resto ce l‛ho io, di vivere una situazione del genere può dire che il tempo che trascorre a scuola è senza dubbio migliore rispetto a quello che passa lontano dalla sua famiglia o da casa in altri luoghi. Forse ad alcuni sembrerà strano, ma esistono ancora bravi insegnanti che sanno fare bene il loro lavoro e ragazzi non “che non hanno valori”, come afferma buona parte degli adulti (la stessa probabilmente che non si sforza di comprenderli e aiutarli), ma in gamba e che già dai primi anni del liceo pensa seriamente al suo futuro, ha delle ambizioni, dei sogni da realizzare che condivide con gli altri compagni, non per essere soddisfatto dello stipendio che un giorno porterà a casa a fine mese, ma del fatto che ci sia arrivato con le sue forze, grazie a quello che ha imparato durante il suo percorso. E questa non è un‛utopia. Agnese Centonze

TRA AUTOSTIMA E SNOBISMO L‛autostima è la valutazione che ognuno di noi fa di se stesso. Ma cosa significa veramente? Sembra un argomento semplice ma in realtà è molto complesso, innanzitutto perché non esiste un‛autostima uguale per tutti e poi non esistono dei parametri applicabili e ciascuno di noi. Ma avere un eccessiva autostima può farci “sentire superiori”? Di solito ciò vuol dire averne una forte mancanza chi deve per forza snobbare gli altri lo fa sempre per autodifesa, impone davanti a se una maschera mostrando solo apparenza dietro alla quale si nascondono situazioni e pensieri ben diversi; diciamo che vorrebbe essere quello che fa vedere ma in realtà è l‛esatto opposto. Ecco perché lo infastidisce vedere qualcuno migliore di lui, lo deve per questo sminuire, per non sentirsi inferiore come in realtà così facendo dimostra di essere. Se una persona si ama per quello che è e sa di valere non ha bisogno di conferme dal mondo esterno, lo sa e lo mette in pratica; chi invece ha bisogno di continue conferme ha in se un profondo senso di insicurezza. Ma è anche vero che il mondo è bello perché siamo tutti diversi e pensarla in modo diverso non vuol dire essere nel torno o nella ragione, ma semplicemente vedere le cose da due punti differenti. Chi è ben sicuro di ciò che crede, rispetta l‛altra opinione ma non la condivide. Il contrario accade nel “sentirsi superiori”: si ha bisogno di sminuire gli altri per la paura che questi lo facciano prima, la stupidità li porta ad essere superiori sentono di sapere tutto e non valutano la necessità degli altri. Sono potenti quando indossano una divisa, un marchio, una medaglia ma, non sanno che ad ogni inchino si allontanano dall‛essere sinceri e in grado di instaurare dei rapporti umani basati sul rispetto. Fuecu nesciu 9 pg

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Alessia Paladini


24 maggio: festa del perdono Quest‛anno il nostro Parroco, ha voluto che la Festa del Perdono coincidesse con la domenica dell‛Ascensione di Nostro Signore. Quale festa più bella per i nostri bambini, ricevere il perdono da Dio Padre per le offese a Lui recate. Ritornare puri e candidi come il giorno del Battesimo. Durante la settimana di preparazione al sacramento della Riconciliazione, detto anche di “Guarigione”, il nostro Parroco ha presentato ai bambini la parabola del figlio prodigo. Ma la domenica che si è celebrata la festa, ha voluto far conoscere la storia di Zaccheo, uomo lontano da Dio, il quale viene invitato da Gesù a scendere dall‛albero, perché è suo desiderio andare a casa sua, suscitando scalpore nella folla. Noi catechiste abbiamo illustrato la storia di Zaccheo su di un cartellone, con un albero di sicomoro spoglio e nudo, “simbolo di peccato”! L‛albero poi, si è rivestito dei fiori che i bambini man mano hanno attaccato dopo la confessione e l‛albero da secco e spoglio che era è divenuto rigoglioso “simbolo di guarigione”. Ecco ricordiamo tutti di essere come Zaccheo ogni volta che ci allontaniamo da Dio e come lui accettiamo l‛invito di Gesù per ritornare ad essere suoi amici. catechista M.Rosaria

La prima confessione ...

vista con gli occhi dei genitori.

Ed eccoci già la prima confessione... che commozione! Non me la immaginavo proprio così, organizzata nei minimi particolari e ricca di significati. Pensando alla mia, prima confessione, ricordo solo di averla fatta poche settimane prima della comunione e senza la presenza dei genitori. Invece qui, sono rimasta piacevolmente sorpresa; addirittura qualche incontro con i genitori prima dell‛evento, dove, ci hanno detto, tra l‛altro, di portare la veste bianca e la candela, usata il giorno del battesimo. Confesso di avere avuto, come tutti gli altri genitori, un attimo di panico, perché, sicuramente erano state messe da parte come “ricordino”, ma dove? E così anche in casa si è creata un‛aria di ricerca, di preparazione e fervore, che hanno portato indietro il giorno del battesimo e di tanti altri piccoli ricordi. Il momento più commovente è stato quando i piccoli sono andati, uno ad uno, avanti da don Michele e inginocchiandosi hanno strappato simbolicamente il foglio dell‛esame di coscienza”, che avevano portato. Subito dopo hanno ricevuto un fiore (di carta) da attaccare su un grande albero (disegnato su un cartellone). E‛ stato veramente bello. Dopo tutto c‛è stata una grande festa con tanti pasticcini nella sala parrocchiale, dove non ho potuto fare a meno di notare i faccini finalmente rilassati e sereni dei bambini. Tutto questo mi ha fatto scappare qualche lacrima, ed io, come penso, anche tutti gli altri genitori, mi sono chiesto “come sarà l‛anno prossimo quando faranno la prima comunione?”

Daniela Rollo

Con la celebrazione del 24 Maggio 28 bambini della nostra parrocchia hanno ricevuto per la prima volta il perdono dei loro peccati. La celebrazione, a mio parere è stata bellissima, emozionante fino alle lacrime per alcuni di noi genitori. Tutti i bambini si sono accostati al sacerdote con in mano il loro foglietto, dove avevano riportato tutti i loro “peccatuccí”, dopo un attento esame di coscienza, sapendo che i peccati confessati al sacerdote, sono peccati presentati alla Chiesa e a Dio, e i bambini hanno imparato che tutto questo si fa non solo per ottenere il perdono del Signore, ma soprattutto per conoscere la propria vita impegnandosi a correggerla. Ogni bambino dopo la confessione tornava al posto dove lo attendevano i genitori e lui li abbracciava, e la mamma aveva tra le mani la stessa vestina bianca del Battesimo, pronta a farla “rindossare” al bambino, ormai “puro” come quel giorno. I bambini si sono preparati a questa “Festa” tutto l‛anno catechistico, ma specialmente durante la settimana di preparazione: filo-conduttore di tutta la settimana è stata la parabola del «Figlio prodigo», ed esaminando a fondo questo brano i bambini hanno vissuto questa preparazione a questo evento, pronti a ricevere il “dono del perdono” da parte del padre rappresentato dal sacerdote. Sono una mamma che vivo intensamente questi momenti “forti”; mi piace seguire i figli nelle loro “tappe”, precedute sempre da un‛adeguata preparazione. Grazie alle nostre catechiste, al lavoro e all‛impegno dimostrato, grazie al nostro parroco per tutto quello che fa e nonostante i diversi impegni, segue personalmente i bambini e i ragazzi per constatare l‛effettiva preparazione prima di ricevere i sacramenti, e Don Michele fa di tutto ad essere oltre a un Padre, un fratello e amico dei nostri bambini. Anna Maria Micella Fuecu nesciu 9 pg 7


Squadra di calcio San Bernardino Realino

V B a u c o a n n e z e

Orario delle Sante Messe Domenica ore

8,30 19,30

la voce degli atleti

Sono passati due anni da quando ho cominciato a giocare al calcio nella squadra della parrocchia San Bernardino Realino. Sono passati sia nel calendario, che sulle mie ginocchia, che molte volte si sono fatte male, ma sono guarite perché la voglia di giocare era tanta. Ho imparato tanto, sia dal mister, sempre disponibile e paziente, sia dai compagni, a volte duri, ma sempre amici. Nella speranza di risultati sempre migliori, auguro a tutti di passare una serena e felice Estate. Gabriele De Pascalis Sono Ismaele e faccio parte da tre anni dell‛associazione sportiva di calcio “San Bernardino Realino”. Ogni anno, agli inizi, della primavera cominciamo un torneo interparrocchiale tra le squadre iscritte al C.S.I. Noi è da tre anni che giochiamo però non abbiamo mai preso una coppa, perché la maggior parte delle partite le abbiamo perse. Noi sugli altri campi di calcio ci troviamo in svantaggio perché sono più grandi del nostro e quindi dobbiamo correre di più. Tutti noi, compresi i due allenatori, vorremmo un campo più grande e in erba sintetica. Le nostre speranze sono riposte in Don Michele, per vedere se farà di tutto per farci finanziare questo progetto. Ismaele Centonze Sono Riccardo Ginepra e faccio parte dell‛associazione sportiva “San Bernardino Realino” da tre anni. In questa associazione si sono organizzati dei tornei di calcetto a 5 contro altre squadre che facevano parte di altre associazioni come la nostra, che fanno parte del C.S.I. In questi anni, finora, non abbiamo vinto niente, però a me importa che ci siamo divertiti. Ogni anno, quando fissiamo i tornei con le altre squadre, organizziamo, prima della festa del santo patrono di Lecce, dei tornei che svolgiamo tra di noi, cioè tra i giocatori nostri. Per me, fare parte di questa associazione è bellissimo e divertente, infatti, quando arriva il giorno in cui si svolge l‛allenamento o la partita ufficiale, mi sento molto felice. Riccardo Ginepra Sono Christopher e faccio parte dell‛associazione sportiva “San Bernardino Realino”. Quest‛anno mi è piciuto molto giocare in questa “scuola calcio” con Riccardo, Gabriele, Ismaele, Vincenzo, Giammarco, Salvatore ed altri. Il nostro campo, pur essendo piccolo, basta a far partecipare tutti noi. Per me il simbolo del pallone è un simbolo di tolleranza e di amicizia tra noi ed altri bambini di tutto il mondo. Speriamo che con i soldi che rimangono per fare la Chiesa, facciamo un campo più grande e di erbetta sintetica. Abbiamo fatto molti tornei tra di noi e contro altre squadre che fanno parte del C.S.I. Questa associazione è molto bella e, vi prego, fate venire i vostri figli (se volete) a giocare con noi e vedrete che diventeranno altri bambini. Io faccio parte di questa associazione da tre anni e mi sono divertito. Anche se abbiamo perso il campionato, l‛anno prossimo ci rifaremo e cercheremo di arrivare al primo posto, se sarà possibile. Quest‛anno di calcio divertente se n‛è andato e aspettiamo che arrivi l‛altro. Christopher Tortorelli

giorni feriali ore 19,30 RISPARMIO QUOTIDIANO

Numeri utili Parrocchia San Bernardino Realino Via degli Oropellai,10 73100 Lecce tel 0832/359014 cellulare 3389769293 Sito internet parrocchiale www.sanbernardinorealino.com

email donmichele@sanbernardinorealino.com Fuecu nesciu 9 pg

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Impaginazione Giovanni Contino

una formazione dell‛A.S. San Bernardino Realino


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