Il LUNEDI’ DELL’ANGELO ovvero la Pasquetta e il nostro vecchio “Rio” Nei tempi in cui ero bambina si usava , come per alcuni si usa ancora, organizzarsi con i parenti per “fare pasquetta”. Poiché eravamo diverse famiglie a riunirci, potevo godere della compagnia di cugini più grandi e più piccoli. E poi era l’occasione di provare cucine diverse; c’era la zia che portava uno stanato di pasta al forno, um’altra che aveva fatto una focaccia … insomma ogni nucleo familiare esponeva, racchiusa in allegre tovagliette di cotone la propria inventiva nella preparazione del cibo, in occasione di queste escursioni in campagna, ogni anno. Veramente, a mio parere, pur di stare in mezzo alla natura, nei bei giorni di primavera, anche se ci si accontentasse solo di un panino e un bicchier d’acqua, il loro sapore sarebbe, comunque, di festa e di allegria. Alcuni miei zii, poi, avevano una conoscenza appropriata e precisa dei luoghi più idonei a celebrare questa famosa pasquetta. Fattorie abbandonate, antichi frantoi, e , tre le mura diroccate di questi resti immersi nel verde smagliante della primavera, sentivi l’odore di umido delle muffe e dei muschi … scoprivi strani ragni arrampicati su eleganti ragnatele e le solite sfuggenti lucertole, abitanti consueti di questi posti.A me piaceva molto esplorare, trovando tra i fili d’erba il fiore più inatteso, beandomi del colore di fragili, sottili petali dischiusi, della forma di alcuni rami, del ricamo che costruisce, talora, l’ombra fitta delle foglie. E poi, rovesciando il capo verso l’alto, ci si poteva, finalmente, ubriacare d’azzurro, quell’azzurro intrepido che è di tutte le primavere, quando il cielo viene appena abitato da qualche nuvola candida che pare veleggi pigramente per farsi accarezzare dalla tenera luce del sole. La cosa più bella è, poi, che qui al sud la pasquetta si giocava al doppio. Il giorno dopo, si ripartiva per fare il “Rio”. Quindi quel ragazzino che, stanco, si addormentava la sera, dopo una giornata all’aperto, col pensiero già ne pregustava un’altra, per il giorno dopo. Questa tradizione pare sia stata ripresa dalle politiche locali, proponendo il “Rio” nel parco di Rauccio. Sono stata anche lì, ma trovo che in questi posti sia tutto troppo organizzato, mentre il bello delle pasquette che io ricordo con nostalgia, stava anche nell’improvvisazione, nei posti che se volevi potevi ammirare in tranquilla solitudine, nella semplicità un po’ selvaggia di sedersi su un sasso o perfino per terra, pazienza se dal piatto barcollava pericolosamente la tua pietanza, o se dovevi difenderlo dalle formiche. Il bello era avere tanti zii, zie e cugini insieme con la tua famiglia, che chiacchieravano, e poter liberamente, anche all’improvviso inventare un nuovo gioco tra ragazzi. Molti oggi prenotano il posto negli agriturismi per poter mangiare all’aperto e in compagnia. Manca ormai il senso dell’avventura. Comunque quel che mi scandalizza di più è sentire persone che preferiscono rimanere chiuse in casa a riposare, pur di affrontare il rischio del traffico e forse il fastidio di una giornata diversa, all’aperto, per la quale, evidentemente, non sentono alcuna attrattiva. Naturalmente, anche se ognuno ha i suoi gusti personali, io non sono d’accordo, perché considero un imperdibile occasione la gita della Pasquetta. Infatti, cosa c’è di più bello che lasciarsi baciare in fronte dal primo sole di Primavera, il giorno successivo alla Pasqua e, magari, anche il giorno dopo?! La natura canta in coro le meraviglie del suo Creatore e anche la nostra umanità, stanca a volte, e confusa, ha bisogno di riannodarsi a questa armonia di note, fatta di brezze, di profumi, di luce nuova. Abbiamo bisogno di sentire vicina la primavera per far rifiorire il senso del bello e del buono che è in noi. Quindi Buona Santa Pasqua, ma anche buona Pasquetta … Buon Rio… a tutti quanti. Piera Rasenti Fuecu nesciu 12 pg
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