VIVA - IV 2025

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Il

Lo sfogliabile di n.4 | ottobre-dicembre 2025

tva.aqp.it

VIVA l’ulivo che cresce piano.

Viva i bambini che assaggiano la terra.

Viva i trulli che raccontano la civiltà della pietra che siamo stati.

Viva l’intelligenza artificiale che non si sostituisce a noi ma che ci fa comodo.

Viva l’acqua che scorre sicura nelle condotte.

Viva l’acqua per i contadini, viva l’acqua per la focaccia e il pane di Altamura.

Viva questa acqua che bagna la terra e la benedice.

Viva le storie che scorrono.

VIVA è una di queste.

Periodico de La Voce dell'Acqua registrato al Tribunale di Bari, Num. R.G. 1158/2011 del 21/04/2011

Direttore responsabile: Vito Palumbo comunicazione@aqp.it

Un progetto editoriale di

L’EDITORIALE

Il futuro abita qui

Guardare l’Italia dalle sue fratture, dove la terra cede, dove l’acqua scava, dove la pietra conserva, significa ripensare il rapporto tra noi e ciò che ci sostiene. È da questa prospettiva, fragile e fertile allo stesso tempo, che nasce il nuovo numero di VIVA, dedicato alla rinascita delle città e ai paesaggi che le attraversano.

Le città italiane sono oggi il primo fronte della crisi climatica: la crisi idrica avanza, gli eventi estremi si moltiplicano, le estati diventano sempre più torride, mentre reti e infrastrutture mostrano limiti strutturali ormai evidenti. La mancanza d’acqua, che un tempo riguardava solo alcune aree del Paese, oggi tocca territori diversi e distanti, dal Nord industriale alle aree interne del Sud. È il segno di un cambiamento profondo che riguarda anche il modo in cui viviamo, consumiamo, abitiamo gli spazi urbani.

Da qui parte il dossier dedicato alla trasformazione delle città: luoghi esposti alla vulnerabilità climatica, ma allo stesso tempo laboratori di transizione ecologica, mobilità sostenibile, gestione dell’acqua che tentano di ricomporre un nuovo equilibrio tra tecnologia e natura.

In questa direzione, la rubrica “Cose dell’altro mondo” è dedicata alle soluzioni contemporanee di adattamento: parchi che diventano rifugi termici, quartieri che si trasformano in città spugna, capaci di trattenere e restituire lentamente l’acqua, piazze pensate come bacini temporanei, paesaggi urbani che dialogano con i fenomeni atmosferici senza subirli. Il nostro sguardo ha incrociato la visione proposta

da Terrae Aquae, il progetto del Padiglione Italia alla Biennale Architettura di Venezia: un invito a guardare il Paese dal mare, a considerare l’acqua non come un confine ma come un principio progettuale. Il Mediterraneo diventa così una lente per ripensare il rapporto tra città, coste e clima, suggerendo che solo integrando natura, infrastrutture e cultura potremo affrontare le nuove urgenze ambientali, guardando il territorio dai suoi sistemi naturali. Come abbiamo fatto a Gravina in Puglia, dove l’area archeologica del Padre Eterno emerge come una lezione di intelligenza antica: un luogo in cui, da 7000 anni, l’uomo si adatta al paesaggio, seguendo la logica dell’acqua che scava, custodisce, modella. Qui, lungo il Sentiero dell’Acqua e della Pietra, il territorio, abitato con misura, è rifugio e memoria.

A completare lo sguardo, l’economia circolare come linguaggio culturale che trasforma materiali e comunità, fino ai progetti che mettono al centro la partecipazione, il riuso e la bellezza condivisa.

Ciò che attraversa queste pagine è la stessa consapevolezza: il futuro non si costruisce ampliando, ma approfondendo. Pietra, acqua, memoria, città: elementi che tornano a intrecciarsi per ripensare il Paese in chiave climatica.

VIVA invita i suoi lettori a spingersi oltre: osservare con occhi nuovi, abitare con più cura, immaginare città che non solo resistono al cambiamento ma lo trasformano in possibilità. Non c’è progresso senza ascolto. E non c’è futuro senza un nuovo patto con l’acqua che ci tiene in vita.

IPSE DIXIT

Se vi è una magia su questo pianeta, è contenuta nell'acqua.

Loren Eiseley

SOMMARIO

Dossier

Città in metamorfosi 4

1/5

L'intervista.

Mariagrazia Midulla

Responsabile Clima ed Energia WWF Italia

"La natura deve tornare nelle città"

Acqua e città: la sfida parte da Sud 2/5 3/5 4/5 5/5

Smart city: il digitale al servizio dell'ambiente

L'Italia in movimento a due velocità

Rifiuti: progressi, divari e obiettivi di efficienza

Sulla strada

Nel silenzio del Padre Eterno 16

Ti racconto

Giuseppe Mastronuzzi "Ho scoperto cos'è il Mal d'Antartide" 22

Cose dell'altro mondo

Dalla Cina all'Europa: reinventare il domani 26

Il futuro è oggi

La bellezza di ciò che ritorna 30

Custodi della terra Il falco grillaio 34

Arte e cultura

Quando la terra incontra l'acqua 36

Parole come gocce Un pianeta senz'acqua 39

10 in condotta Il clima “influenza” la transizione energetica 40

dossier | CITTÀ IN METAMORFOSI

Verso una rinascita urbana

Le città italiane sono oggi il campo di battaglia decisivo della sfida climatica. Luoghi dove si concentra la maggior parte delle emissioni e degli impatti (ondate di calore, alluvioni, siccità) ma anche i laboratori più vivaci di innovazione e resilienza. Dai dati di Ecosistema Urbano 2025 e del WWF Urban Nature 2025 emerge un Paese che cambia a velocità diverse: al Nord nascono esperienze di parchi urbani e rifugi climatici; al Sud persistono ritardi strutturali su trasporti e gestione dei rifiuti. L’EY Smart City Index 2025 mostra che digitalizzazione, inclusione e

transizione ecologica si legano, sempre più, a progetti che trasformano i centri urbani in ecosistemi intelligenti e partecipativi. Il cammino resta lungo: la mobilità, come documenta MobilitAria 2025, è ancora il tallone d’Achille, mentre cresce la consapevolezza che la vera modernità è lo spazio restituito alle persone. Questo dossier racconta come le città italiane stanno affrontando la crisi ambientale, incrociando analisi, dati e buone pratiche. Si parte dal ruolo delle smart cities, dove la rivoluzione digitale incontra la transizione ecologica;

si passa alla mobilità sostenibile e si analizzano poi le sfide legate alla gestione dell’acqua e al ciclo dei rifiuti, specchi fedeli della capacità di innovare e di coinvolgere i cittadini. È qui che si gioca il futuro ambientale, economico e sociale dell’Italia: un futuro che non passa solo per le innovazioni tecnologiche, ma per una nuova idea di città come organismo vivente, capace di adattarsi, respirare e generare benessere per tutti. Il dossier apre una riflessione su come le nostre città possano diventare il motore di un futuro più verde, giusto e condiviso.

DOSSIER / CITTÀ IN METAMORFOSI 1/5

MARIAGRAZIA MIDULLA

La natura deve tornare nelle città

Il benessere, la salute e la sicurezza delle persone nei prossimi anni dipendono da come si deciderà di gestire negli spazi urbani la convivenza con la natura. È quanto emerge nel report “Adattamento alla crisi climatica in ambito urbano: ripensare le città come sistemi viventi di natura e persone” del WWF, lanciato, ad ottobre scorso, nella IX edizione di Urban Nature, il festival della natura in città. Un’occasione per

riflettere sul tema con Mariagrazia Midulla, Responsabile per il clima e l'energia del WWF Italia, l’associazione ambientalista che dal 1966 fa parte del network internazionale WWF, organizzazione non governativa dedicata alla conservazione della natura.

Quali sfide sono chiamate ad affrontare le città per diventare luoghi più resilienti e capaci di convivere con il cambiamento

climatico?

Il 70-80% delle emissioni proviene da aree urbane che però nello stesso tempo sono anche quelle più vulnerabili all'impatto del cambiamento climatico. Qui si creano delle vere e proprie isole di calore anche a causa dalle auto in circolazione.

Si comincia a parlare di rifugi climatici come abbiamo fatto anche noi, ma bisogna creare

Mariagrazia Midulla

Responsabile Clima ed Energia WWF Italia.

"Le aree urbane sono le più vulnerabili all’impatto del cambiamento climatico"

nelle città degli ambienti che siano adatti al nuovo clima cercando il più possibile di contenere l'aumento della temperatura. È molto importante che ci siano delle infrastrutture verdi, con alberature e vegetazione appropriate.

In che modo la gestione del territorio influisce sulla nostra sicurezza e sul modo in cui affrontiamo gli impatti del cambiamento climatico?

Bisogna fare in modo che i fiumi abbiano, il più possibile, il loro corso naturale perché l'aumento esponenziale delle piene diventa una minaccia di proporzioni gigantesche, quindi anche il lavoro di rinaturazione dei fiumi va portato avanti.

La natura deve tornare nelle città e non da nemica o da ospite indesiderata. Dobbiamo cercare di integrare la natura nelle nostre

città, di farlo in modo rispettoso e soprattutto in un modo di mutuo beneficio. Le città a misura di persone devono ripensare i punti di incontro, magari negli spazi verdi, negli spazi naturali che potrebbero costituire il tessuto della nuova città come la vorremmo.

Quali sono le principali difficoltà che l’Italia incontra nell’organizzare una strategia efficace di adattamento e quali segnali positivi si possono comunque intravedere?

L'Italia non ha un piano. Purtroppo quello che dovrebbe essere un pò il tessuto connettivo che era il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), è rimasto lettera morta.

Alcune città stanno già lavorando e tra queste spiccano Bologna e Roma.

I valori al centro dell'identità e dell'operato del WWF

INTEGRITÀ

I principi su cui si fonda il WWF ispirano ogni attività nel quotidiano. Si agisce con integrità, responsabilità, trasparenza facendosi guidare dai fatti e dalla scienza in una ricerca continua di apprendimento ed evoluzione.

CORAGGIO

Ogni azione necessaria in difesa della Natura si affronta con coraggio. È quotidiano il lavoro per il cambiamento e per ispirare le persone e le istituzioni a schierarsi contro qualsiasi minaccia che metta in pericolo le specie, gli ecosistemi, il futuro del mondo.

Si onorano le idee, la dignità e la conoscenza delle persone e delle comunità che vivono il territorio. È un lavoro senza sosta quello di garantire il diritto di ogni essere vivente a un futuro sostenibile.

Ogni sfida è possibile attraverso il potere dell’azione collettiva e dell’innovazione.

La collaborazione è un punto di forza per le azioni messe in atto con la partecipazione di chi ha scelto di difendere una casa comune: il nostro pianeta.

Rapporto WWF Urban Nature 2025

DOSSIER / CITTÀ IN METAMORFOSI 2/5

Smart city: il digitale al servizio dell'ambiente

Il modello della smart city in Italia non è più un esercizio teorico. Secondo l’EY Smart City Index 2025, i centri urbani più avanzati – da Bologna a Milano, da Torino a Trento – stanno dimostrando che la digitalizzazione può diventare motore della transizione ecologica.

Sensori, reti e piattaforme IoT (Internet of Things) raccolgono e analizzano in tempo reale dati su traffico, qualità dell’aria, consumi energetici o rifiuti, permettendo una gestione più efficiente delle risorse e una pianificazione urbana basata sull’evidenza.

Le piattaforme IoT sono il cuore pulsante delle città intelligenti: reti di dispositivi interconnessi che comunicano tra loro e con l’amministrazione, ottimizzando servizi e riducendo sprechi. Dai lampioni che si accendono

L'Italia accelera sulla città digitale per ridurre i consumi, migliorare l'aria e pianificare servizi.

solo quando serve, ai cassonetti che segnalano il riempimento, fino ai sistemi che monitorano le perdite idriche o i livelli di smog, la tecnologia si mette al servizio della sostenibilità.

È da qui che prende forma il concetto di city digital twin: la rappresentazione virtuale della città capace di simulare scenari e prevenire criticità ambientali, da utilizzare come strumento

collaborativo per la progettazione dello spazio urbano e per la gestione di aspetti legati alla mobilità, all’inquinamento, al consumo delle risorse, all’accessibilità dei servizi pubblici.

In questo scenario si distinguono Bologna, prima in Italia per integrazione tra dati e partecipazione civica; Milano, che con Forestami coniuga tecnologia e verde urbano; Torino, laboratorio per la mobilità intelligente; e Trento, esempio di efficienza energetica e inclusione. In Puglia, la control room di Acquedotto Pugliese monitora e tutela la risorsa idrica. Bari sta digitalizzando i servizi urbani e Lecce sperimenta piattaforme climatiche e comunità energetiche locali. L'innovazione, se condivisa, può rendere le città più sostenibili e umane.

Lo Smart City Index è composto da un totale di 323 indicatori, che coprono tutti gli aspetti relativi alle Smart Cities.

EY Smart City 2025

Le città italiane tra sostenibilità, digitalizzazione e inclusione

IL DOCUMENTO

Le comunità energetiche rinnovabili

Le Comunità Energetiche

Rinnovabili (CER) rappresentano una delle leve più concrete della transizione energetica italiana. Introdotte dal DL 162/2019 consentono a cittadini, imprese, enti locali e associazioni di produrre, condividere e consumare energia rinnovabile all’interno di una stessa area elettrica. Ogni comunità è un soggetto giuridico autonomo, senza scopo

di lucro, che mira a generare benefici ambientali, economici e sociali: riduzione delle emissioni, abbattimento delle bollette e contrasto alla povertà energetica. Il modello è incentivato dal PNRR, che prevede contributi fino al 40% dei costi per i Comuni sotto i 50.000 abitanti.

In Italia sono già oltre 200 le CER attive, con progetti virtuosi a Brescia, Torino, Imola e Cagliari.

In Puglia, diverse amministrazioni — tra cui Bari, Lecce e Taranto — stanno avviando studi di fattibilità e partnership pubblico-private per impianti fotovoltaici condivisi, in linea con la vocazione solare della regione e con le nuove regole del GSE (Gestore dei Servizi Energetici). Piccole reti locali di energia pulita, partecipate e solidali: un tassello chiave per le città intelligenti e vivibili del futuro.

Fonte: Joint Research Centre (JRC), "Energy communities: an overview of energy and social innovation".

Licenza: CC BY-SA 4.0.

DOSSIER / CITTÀ IN METAMORFOSI 3/5

L'Italia in movimento a due velocità

La mobilità urbana italiana resta il vero banco di prova della transizione ecologica. Secondo MobilitAria 2025 ed Ecosistema Urbano 2025, dopo un breve slancio post-pandemia, l’auto privata è tornata a dominare: il 64,7% degli spostamenti avviene su quattro ruote, con un tasso di motorizzazione tra i più alti d’Europa.

Al contrario, le modalità a basso impatto — piedi, bici, micromobilità e mezzi pubblici — si fermano al 31%, un dato che segna la distanza dalle città europee più avanzate.

Il divario territoriale persiste.

Al Nord crescono tramvie, piste ciclabili e sharing mobility: Bologna, Milano e Torino investono in reti elettriche e infrastrutture integrate, mentre città come Reggio Emilia o Mantova hanno già livelli di ciclabilità comparabili con l’Europa centrale.

Al Sud, invece, le grandi città faticano a ridurre traffico e inquinamento. Napoli, Palermo e Catania sono fra le più congestionate, con trasporto pubblico debole e piani di mobilità sostenibile rallentati. In questo quadro si inserisce

Mentre al Nord le città ampliano reti ciclabili e servizi di sharing, al Sud si continua a fare i conti con infrastrutture deboli

l’Urban Award 2025 che fotografa un cambio di passo proprio nelle grandi città: Torino, Firenze e Roma dimostrano che anche le metropoli possono innovare con ciclabili universitarie, incentivi digitali e regolamenti sulla sharing mobility più efficaci. Menzioni speciali per Palermo – dove la bici diventa anche gioco ed educazione – e per Noceto, laboratorio virtuoso di mobilità dolce in cui la rete ciclopedonale comunale è diventata colonna portante della vivibilità quotidiana. Il vero fiore all'occhiello è il Comitato Piedibus Noceto, attivo dal 2010: 75 volon-

KYOTO CLUB - CNR-IIA 8° Rapporto Mobilitaria 2025

IL DOCUMENTO

L'impatto delle auto negli spostamenti urbani e la prospettiva di una loro riduzione grazie all'uso dei mezzi pubblici. (Fonte: 8° Rapporto Mobilitaria 2025)

Fonte: Rapporto ISFORT 2023 sulla mobilità degli italiani (grafico tratto dal Ecosistema Urbano. Rapporto sulle performance ambientali delle città 2025 di Legambiente).

tari e 200 bambini accompagnati ogni giorno a scuola a piedi.

Riconosciuto formalmente come servizio pubblico con delibera comunale, è un caso unico in Italia. La Puglia rappresenta una via di mezzo. Bari, tra le città pilota del progetto Mobility as a Service, sperimenta servizi digitali integrati e rinnova parte della flotta elettrica,

ma resta carente la rete ciclabile e la logistica urbana a emissioni zero. Lecce e Brindisi migliorano nell’offerta di trasporto pubblico, ma l’intermodalità è ancora limitata e il parco auto troppo inquinante.

Il rapporto Focus2R mostra che la mobilità a due ruote cresce del 53% rispetto al 2015: 11 metri di

piste ciclabili ogni 100 abitanti e oltre 45 mila bici in sharing, concentrate però al Nord.

La sicurezza rimane un nodo irrisolto, soprattutto per ciclisti e motociclisti.

In sintesi, l’Italia si muove, ma lentamente e in ordine sparso: qualche eccellenza, molte resistenze, e un potenziale ancora da liberare.

Hyla, il futuro corre a idrogeno

Un piccolo prototipo, un grande passo verso la mobilità del futuro.

Si chiama Hyla la vettura a idrogeno ideata e realizzata dagli studenti dell’Università del Salento, protagonista all’Hydrogen Grand Prix (H2GP), la competizione internazionale a Chemnitz, in Germania, che sfida le nuove generazioni a progettare veicoli alimentati da energia pulita. Il team salentino ha gareggiato nella categoria più avanzata, H2 Prototype Class, dove contano solo l’ingegno, la precisione e la capacità di trasformare l’idrogeno in movimento.

Dietro Hyla c’è un lavoro di squadra che unisce competenze di meccatronica, automazione ed energia sostenibile, con l’obiettivo di formare giovani capaci di innovare davvero. Il nome, ispirato al salentino “eccola” e alle iniziali “Hy” dell’idrogeno, racchiude spirito locale e visione globale. Main partner dell’iniziativa è Acquedotto Pugliese che affianca l’Ateneo in un percorso di ricerca e sperimentazione dedicato alla transizione ecologica, alla valorizzazione dei talenti e alla costruzione di un futuro più pulito e intelligente per il territorio.

DOSSIER / CITTÀ IN METAMORFOSI 4/5

Acqua e città: la sfida parte da Sud

In Italia, la gestione dell’acqua è diventata uno dei temi più urgenti per capire quanto le città siano davvero pronte ad affrontare la crisi climatica. Le reti idriche obsolete, le perdite ancora elevate e un consumo di suolo che continua a crescere limitano la capacità dei centri urbani di trattenere, gestire e riutilizzare la risorsa più preziosa.

I rapporti Urban Nature 2025 ed Ecosistema Urbano 2025 mostrano un Paese dove la scarsità idrica e le piogge intense si alternano senza che infrastrutture e pianificazione siano sempre all’altezza della sfida.

Allo stesso tempo, iniziano a comparire esempi concreti di gestione innovativa dell’acqua nello spazio pubblico con le prime piazze d’acqua, progettate per accogliere in modo controllato le piogge

intense e restituire lentamente l’acqua al suolo.

A Bologna, con l’Arena dell’Acqua nel quartiere Lazzaretto, e a Milano, nel tratto riqualificato di via Pacini, queste piazze diventano luoghi doppi: aree di socialità per la maggior parte dell’anno ma capaci di trasformarsi in bacini di sicurezza quando il meteo lo richiede.

In questo quadro, la Puglia rappresenta un territorio fragile ma anche sorprendentemente innovatore.

La regione è priva di risorse idriche, ha falde costiere vulnerabili e porta acqua potabile – sempre più scarsa a causa della crisi climatica – nelle case di 4 milioni di persone da molto lontano, grazie una grande e complessa infrastruttura interregionale. Tuttavia, proprio da questa condizione nasce una

In un momento storico legato alla crisi idrica e ai cambiamenti climatici, l'acqua diventa un indice di resilienza urbana.

delle esperienze di riuso più avanzate del Paese.

La città di Bari è stata recentemente premiata alla fiera Ecomondo tra le dieci eccellenze italiane nel settore “Ripristino della Natura” dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. Il riconoscimento riguarda il grande progetto “Bari Costa Sud, Parco costiero della cultura, del turismo e dell’ambiente”: un intervento di riqualificazione urbana e ambientale che ridisegna sei chilometri di fascia costiera con 4.000 nuovi alberi, 56 ettari di orti urbani e oltre 20 chilometri di percorsi ciclopedonali.

L’approvvigionamento idrico del parco costiero è previsto attraverso acque affinate provenienti dall’impianto consortile di Bari Est gestito da Acquedotto Pugliese Un primato nazionale. Bari è

infatti la prima città italiana a utilizzare acque reflue affinate per irrigare un parco urbano, aprendo la strada a una pratica che sarà estesa anche al Parco della Rinascita e al Parco della Giustizia. Un modello che ha attirato l’interesse di molte altre città e che si inserisce nel lavoro di confronto e scambio di buone pratiche promosso dall’Osservatorio della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile.

In una regione dove la scarsità idrica è strutturale, questo progetto dimostra come l’innovazione tecnica, ambientale e amministrativa, possa trasformare una criticità in un’opportunità.

E racconta un’Italia che, per costruire città più resilienti, ha bisogno di partire proprio dai territori che più soffrono la crisi climatica e che, per questo, sono costretti a immaginare soluzioni nuove prima degli altri.

4.000 nuovi alberi, 56 ettari

di orti urbani, oltre 20 chilometri di percorsi ciclopedonali

e un sistema di gestione idrica che riutilizza le acque affinate provenienti dall’impianto

consortile di Bari Est gestito da AQP.

Bari città modello con il progetto Parco Costa Sud.

Un fiuto infallibile contro le perdite

Un alleato a quattro zampe contro lo spreco idrico. Si chiama Ippolito ed è un giovane labrador retriever addestrato da Acquedotto Pugliese per individuare le perdite d’acqua nascoste sotto terra. Il suo straordinario fiuto gli consente di riconoscere le tracce di cloro rilasciate dall’acqua potabile che fuoriesce dalle condotte, segnalando così punti di dispersione invisibili ai sensori tradizionali.

Questa innovativa tecnica, già sperimentata con successo in Australia, Regno Unito e Stati Uniti, è oggi unica in Italia, dove AQP è la prima azienda del settore a introdurre lo sniffer dog come strumento operativo nella ricerca perdite. Un esempio

di come l’intelligenza naturale possa integrarsi con la tecnologia, unendo empatia, addestramento e innovazione per proteggere una risorsa vitale.

Lo “sniffer dog” si affianca al vasto piano di risanamento e digitalizzazione delle reti idriche avviato da AQP: oltre 700 km di condotte già

rinnovate con 293 milioni di euro e nuovi interventi in corso per altri 1.300 km, con un investimento di 800 milioni entro il 2029

Grazie a queste strategie, nel 2024

AQP ha ridotto i prelievi di circa 100 milioni di metri cubi d’acqua rispetto al 2009, l’equivalente di un intero invaso risparmiato.

DOSSIER / CITTÀ IN METAMORFOSI 5/5

Rifiuti: progressi, divari e obiettivi di efficienza

Come gestiamo davvero ciò che buttiamo? La questione rifiuti, spesso relegata a problema tecnico, è invece un indicatore preciso di come funzionano le nostre città, di quali modelli economici alimentiamo e di quanto siamo disposti a cambiare per ridurre l’impatto ambientale.

Nel 2024 la filiera italiana del riciclo degli imballaggi ha raggiunto un nuovo record: il 76,7% dell’immesso al consumo è stato riciclato, oltre 10,7 milioni di tonnellate, mentre sommando il recupero energetico si arriva all’86,4%. I dati della Relazione

In Italia la qualità della raccolta differenziata resta una sfida ancora aperta.

CONAI raccontano un sistema maturo, in cui crescono sia il riciclo sia l’uso di imballaggi riutilizzabili, ormai oltre 1,24 milioni di tonnellate. Una fotografia che mette in

luce un Paese che corre, ma non ovunque nello stesso modo.

Le imprese stanno accelerando sull’eco-design, spinte anche dalla modulazione del contributo ambientale in base alla riciclabilità: dal 2018 i pack non riciclabili si sono più che dimezzati.

La filiera della plastica, storicamente la più complessa, ha superato per la prima volta la soglia europea del 50% di riciclo, centrando l’obiettivo 2025 con un anno di anticipo.

Sul fronte dei Comuni, oltre il 97% della popolazione è coperto da convenzioni con CONAI e più della metà dei materiali avviati a riciclo arriva proprio dalle raccolte urbane, a testimonianza del ruolo centrale dei comportamenti domestici. Tutte le macroaree registrano aumenti nei conferimenti: Nord +2,7%, Centro +6,2%, Sud +5,1%.

Il Nord consolida i propri standard, mentre il Sud alterna eccellenze e ritardi strutturali, con una qualità della raccolta non sempre adeguata e una dotazione impiantistica ancora fragile.

In sintesi, il quadro nazionale mostra che la filiera del riciclo funziona, le imprese stanno cambiando e i cittadini fanno la propria parte. Il punto debole resta la disomogeneità territoriale. Per colmarla servono impianti, politiche stabili e una cultura del riciclo che diventi strutturale: è qui che si giocherà la partita della nuova economia circolare, al Nord come al Sud.

IMBALLAGGI E RICICLO: IL REPORT CONAI 2024

76,7%

IMBALLAGGI IMMESSI

1,24 milioni t

IMBALLAGGI

AL CONSUMO RICICLATI + 50%

RIUTILIZZABILI

RICICLO DELLA PLASTICA (OBIETTIVO UE)

Legambiente: i Comuni rifiuti free

Il rapporto Comuni Ricicloni 2025, fotografa i Comuni Rifiuti Free – quelli sotto i 75 kg/ abitante di secco residuo – ancora troppo pochi nel Mezzogiorno 209 rispetto ai 424 Comuni del Nord. La Puglia rappresenta questa dinamica: una regione che negli ultimi dieci anni ha compiuto

progressi significativi nella raccolta differenziata, ma che fatica a trasformare il miglioramento quantitativo in una riduzione reale degli scarti. Nelle classifiche dei Rifiuti Free compaiono soltanto due comuni pugliesi: Leporano, miglior comune regionale nella fascia

Mappa dei Comuni "rifiuti free" secondo il dossier di Legambiente.

5.000–15.000 abitanti e vincitore per la Puglia nella graduatoria nazionale, e Sammichele di Bari, stabile nei suoi risultati e inserito tra i migliori nella stessa categoria. Nei 257 comuni pugliesi, il numero così ridotto di realtà virtuose segnala quanto lavoro resti da fare.

Speciale Comuni Ricicloni 2025 Il documento

Nel silenzio del Padre Eterno

C’è un punto, a Gravina in Puglia, in cui la terra sembra cedere, come se volesse scivolare piano nel vuoto che lei stessa ha creato. È qui, sul ciglio del burrone, che il tempo si ferma e la pietra diventa racconto. Il luogo ha un nome che spiazza: Padre Eterno. Un nome cristiano per un sito che affonda le radici in un passato pagano, in cui il culto dei morti e quello della vita non conoscevano confini. Forse è proprio questa la magia della Puglia:

la capacità di unire i contrari, di tenere insieme l’ombra e la luce, la fede e il mistero.

Scoperto alla fine degli anni Ottanta, il sito archeologico del Padre Eterno si affaccia su una delle gole più spettacolari del paesaggio delle gravine. Qui, la pietra di tufo racconta una storia che comincia nel VI secolo a.C. e arriva fino al Medioevo, attraversando epoche, culture e civiltà. Lungo il costone occidentale del torrente Gravina si apre una necropoli antichissima,

dove le tombe scavate nella roccia convivono con resti di abitazioni, canalizzazioni medievali e una chiesa rupestre dedicata, appunto, al Padre Eterno. È un luogo che sembra sospeso tra la terra e il cielo: camminare lungo il corridoio tufaceo che si affaccia sul burrone è un’esperienza vertiginosa, un passaggio sottile tra la storia e l’abisso.

Ma il fascino del Padre Eterno non risiede solo nella sua posizione: è nel suo paesaggio interiore che

si rivela tutta la sua profondità. Le tombe, le cavità, i segni del lavoro umano raccontano di una civiltà che ha saputo fondersi con la materia, vivere in simbiosi con la roccia. Le pareti tufacee, ancora segnate dai colpi degli scalpelli, portano l’impronta di gesti antichi: chi scavava qui cercava riparo, ma anche un contatto con il sacro. Ogni anfratto custodisce un frammento di quotidianità — una brocca spezzata, un coccio di ceramica (ci sono i resti delle fornaci), un solco scavato per far defluire l’acqua - come se la vita e la morte convivessero nella stessa pietra. In alcuni punti del sito, si intravedono piccole fosse per neonati, testimonianza del rito dell’enchytrismos, in cui i più piccoli venivano deposti in grandi vasi di terracotta, simbolicamente restituiti al grembo della terra. È un gesto arcaico e commovente, che racconta di un rapporto con la natura fatto di intimità e accettazione.

Il paesaggio è ruvido e silenzioso. L’odore della pietra scaldata dal

sole si mescola a quello del timo selvatico, mentre il vento porta con sé l’eco del torrente. Sembra quasi di poter ascoltare la voce delle generazioni che hanno vissu-

Al Padre Eterno la pietra è memoria viva, capace di trattenere il respiro di chi ha vissuto, pregato e combattuto qui.

to qui, di chi ha scavato, pregato, sepolto, amato.

Tra i segni lasciati dall’uomo si riconoscono le basi di alcune case e su una di queste i resti del colonnato nella parte esterna, vasche per la pigiatura dell’uva,

e un intricato sistema di canaletti che facevano defluire il vino in una vasca sottostante, un modello che trova riscontro nella Valle dei Templi di Agrigento, a testimoniare l’influenza ellenica anche nelle viscere della Murgia. Proprio in questa commistione di sacro e profano si percepisce la continuità della vita: il rito del vino e quello della sepoltura, il lavoro e la fede, la pietra e la carne, uniti nello stesso linguaggio di gesti e simboli. Ma è nelle tombe dei guerrieri che il Padre Eterno rivela la sua anima più profonda.

Quando gli archeologi della Soprintendenza scavarono qui tra il 1988 e il 1994, trovarono due sepolture intatte: una del V e una del IV secolo a.C., con corredi straordinariamente ricchi.

La prima custodiva un uomo privo di elmo ma con uno strìgile, un cinturone e schinieri in bronzo cesellati: forse un atleta tornato vincitore da un agone, celebrato come un eroe.

La seconda, invece, conteneva un segue

L’area archeologica

Padre Eterno e il Ponte Acquedotto sul torrente Gravina.

A destra:

Gli scavi archeologici a Padre Eterno.

foto Pietro Amendolara

SULLA STRADA

Vista panoramica della città di Gravina dalla necropoli di Padre Eterno.

Sotto:

L’ingresso della chiesa rupestre “Padre Eterno”.

foto Pietro Amendolara

elmo bronzeo, una lancia, un tripode, fasci di spiedi e vasellame da banchetto. Segni di un guerriero caduto in battaglia, forse durante la seconda guerra sannitica. Due destini opposti — il sudore dello sport e il sangue della guerra — uniti dalla stessa onorificenza: quella riservata a chi aveva meritato di essere ricordato per sempre. Gli studiosi ipotizzano che la comunità di allora, pacifica e contadina, abbia voluto elevare i due uomini al rango di eroi, ringraziandoli con il dono più grande che si potesse offrire: la memoria. Oggi, tra le fenditure del tufo e le erbe che spuntano dalle tombe, si percepisce ancora un’aura di rispetto. Forse per questo, nei secoli successivi, il luogo divenne rifugio per gli eremiti medievali che riutilizzarono le cavità come cappelle di preghiera. La cripta del Padre Eterno, o della Déesis, conserva ancora tracce di un ciclo pittorico affascinante: una grande Deesis con Cristo benedicente, la Vergine, cinque santi. Gli affreschi, databili tra il XIII e il XV secolo, resistono al tempo come una preghiera sussurrata. Le colonne tagliate, il pavimento abbassato, le aperture murate raccontano le trasformazioni di un edificio che non ha mai smesso di essere vivo. È un tempio che, pur nella sua umiltà rupestre, ha attraversato il tempo con la forza della fede e l’intelligenza della pietra. Il Padre Eterno è un frammento del Parco Archeologico di Botromagno che si estende su circa 400 ettari: un’area che conserva le trac-

Ogni dettaglio, dalle vasche per la pigiatura dell’uva fino alle tombe, mostra l’ingegno e la ritualità di una comunità antica.

ce del neolitico e dell’antica città peuceta di Silvium, distrutta dai

Romani nel 306 a.C. Sulla collina di Petramagna, poco distante, gli scavi hanno riportato alla luce resti di mura, ceramiche di importazione magnogreca – probabilmente provenienti da Metaponto – e una rete di insediamenti rurali che

documentano la continuità della vita anche dopo la distruzione. Il tutto immerso in un paesaggio che alterna burroni, pascoli, campi di grano e un silenzio che pare scolpito nella roccia.

La Gravina che dà il nome alla città, è un canyon naturale lungo chilometri, scavato dall’acqua nel banco di tufo calcarenitico.

Le sue pareti ospitano un autentico mosaico rupestre di grotte, tombe, cripte, stalle e frantoi ipogei, testimonianza di una convivenza millenaria tra natura e uomo. La parte più antica, quella che si affaccia direttamente sul centro storico, è un universo parallelo di anfratti e silenzi, dove il tufo giallo assorbe la luce e la restituisce dorata.

E mentre si percorre il sentiero che conduce al Padre Eterno, si percepisce la logica antica con cui gli abitanti sceglievano i luoghi: dove c’era acqua, dove la pietra era compatta, dove la terra offriva erbe e pascoli (e dove il bosco “Difesa Grande” offriva selvaggina), lì si costruiva.

Oggi, nel sito, guide e archeologi locali raccontano, passo dopo passo, le stratificazioni della civiltà

peuceta, i riti del simposio, le pratiche dell’enchytrismos, i segni del cristianesimo rupestre. L’area archeologica del Padre Eterno è anche visitabile con guide autorizzate che accompagnano i gruppi lungo le strade della città, le chiese rupestri, attraversando il ponte acquedotto sino alla necropoli. Le visite al tramonto, quando il sole cala dietro la collina e il burrone si tinge di rosso, sono le più suggestive. Il silenzio si fa denso e si ha la sensazione di sentire ancora il passo degli antichi, il suono del martello che scava, la voce di chi, un tempo, ha scelto di vivere qui.

Guardare verso il burrone, accanto alla cripta, è come stare tra due mondi.

Sopra, la città moderna con i suoi rumori lontani e sotto, la Gravina che sussurra.

Il Padre Eterno è un luogo che riesce a farsi ascoltare. Ogni segno, ogni graffio sul tufo, ogni traccia racconta lo stesso messaggio: la vita non scompare, cambia forma. E così la morte, in fondo, è solo un’altra maniera di restare, nella pietra che accoglie, nella pietra che resiste.

Il Sentiero dell'acqua e della pietra

L’area archeologica del Padre Eterno si trova nel cuore del Sentiero dell’Acqua e della Pietra, recuperato e curato dalla guida ambientale Ezio Spano. È una narrazione geopoetica, oltre che percorso escursionistico, che lega storia, natura e spiritualità. Per tre ore di cammino, lungo circa 14 chilometri, si attraversano falesie, grotte, chiese rupestri e necropoli, scoprendo la Gravina

come un paesaggio vivo e parlante. Ogni tratto racconta l’ingegno con cui l’uomo ha saputo adattarsi al tufo, sfruttando l’acqua e la pietra come risorse, come rifugio, come linguaggio del sacro. Qui, dove la storia si fa materia e il silenzio diventa voce, le aree archeologiche di Padre Eterno e Botromagno raccontano 7000 anni di storia, in un alternarsi di panorami che restituiscono la misura del tempo. Camminando tra pietra,

vento e memoria, si comprende come questo paesaggio sia un archivio a cielo aperto, modellato per millenni dall’acqua e dalla presenza dell’uomo.Il sentiero tocca anche il complesso delle Sette Camere e l’area naturalistica di Capotenda, tra orchidee spontanee, canyon e panorami. Tramite il QR-code è possibile vedere la puntata del format “Racconti di terra e di acqua” su TVA, dedicata proprio al sentiero.

Ostuni, uliveto.

TI RACCONTO

GIUSEPPE MASTRONUZZI

Ho scoperto cos'è il Mal d'Antartide

Da 35 anni si dedica allo studio delle variazioni climatiche e delle variazioni del livello del mare, con ricerche in ogni parte del mondo, ma ciò che non dimenticherà mai è il 2023.

Il prof. Giuseppe Mastronuzzi, Direttore del Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell'Università degli Studi di Bari, ci racconta la partecipazione alla 38esima Spedizione Italiana in Antartide coordinata dall'ENEA e dal CNR.

Nell'ambito di questa attività di ricerca, quali sono state le attività che avete svolto?

Nell’ambito del progetto “DisGeli” a cui ha preso parte l’Università degli Sudi di Bari, in circa due mesi, fra il mese di dicembre e il mese di febbraio, il lavoro si è svolto in due distinte fasi: la prima a bordo della nave rompighiaccio “Laura Bassi” in navigazione nel Mare di Ross e nella Baia di Terra Nova, e la seconda a terra, presso la base italiana, la stazione Mario Zucchelli. Sfruttando innovative tecnologie robotiche, anche grazie all’analisi di immagini satellitari e rilievi di geofisica marina, sono stati raccolti realizzati rilievi geomorfologici dei fondali marini e del Gerlasche

Inlet, nonchè di Thetys Bay e dell’Adelie Cove. In queste ultime due insenature, essendo irraggiungibili dalla nave perché strette e con fondali poco profondi, si è operato con veicoli UNMANNED che abbiamo messo in mare direttamente partendo da terra. I rilievi sono stati utili per individuare in un mare che adesso non è occupato da ghiacciai, sul fondo, le tracce di vecchi ghiacciai, quelli che per intenderci sono stati presenti sino alla loro fusione negli ultimi 7-8 mila anni, particolarmente accelerata negli ultimi secoli. In più sono stati realizzati dei rilievi direttamente a

Giuseppe Mastronuzzi Ordinario di Geografia fisica e Geomorfologia e Direttore del Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali dell'Università degli Studi di Bari.

terra per campionare le sabbie che corrispondono ai vecchi livelli del mare.

Cosa avete potuto rilevare attraverso queste attività?

Vedere i fondi degli oceani antartici segnati da impronte di ghiacciai che non ci sono più, vedere il perimetro costiero dell'Antartide con spiagge emerse che indicano la presenza di ghiacci con uno spessore molto più elevato, riconoscervi zone costiere segnate dall'effetto del ruscellamento delle acque conseguente alla fusione glaciale, non può che indicare il fatto che anche l'Antartide, il continente del freddo estremo (si arriva a -100°C) sta soffrendo il notevole riscaldamento climatico. Il fatto che ci sia un cambiamento climatico con la riduzione del ghiaccio non significa solo innalzamento del livello del mare a scala mondiale. Purtroppo questo comporta delle modifiche alla circolazione oceanografica sempre alla stessa scala; quindi si assiste ad una significativa modifica della distribuzione delle sostanze alla base della catena trofica. In più l’aumento della temperatura dell'acqua e l’aumento di

CO2 in atmosfera comportano anche l'acidificazione del mare con conseguenze anche queste drammatiche rispetto a certe componenti. Pensiamo a agli organismi che hanno bisogno di carbonato di calcio per costruire il loro scheletro: i coralli o semplicemente le nostre cozze il cui guscio è fatto di carbonato di calcio.

Cosa ha rappresentato per lei questa esperienza?

È stata la più forte esperienza di confronto con la natura che ho avuto nella mia vita, nonostante

io abbia visto tutti gli ambienti del pianeta Terra: dalla foresta equatoriale alla foresta pluviale, al deserto caldo e a quello freddo. Diciamo che l'Antartide è un mondo a sé, è un posto assolutamente unico nel pianeta, un altro pianeta nel pianeta. È un posto che condiziona la psicologia e il fisico. Si parla tanto di Mal d’Africa: io credo di essere stato colpito dal Mal d'Antartide, sicuramente.

Dopo quell’esperienza a quali progetti si è dedicato?

Sono 35 anni che mi dedico allo segue

"L'Antartide è un mondo a sé, è un posto assolutamente unico, un altro pianeta nel pianeta”

In queste pagine alcune immagini della spedizione in Antartide.

studio delle variazioni climatiche e delle variazioni del livello del mare.Questo progetto di ricerca in Antartide è parte di un approccio che per definire le variazioni del pianeta, in particolare le variazioni della morfodinamica costiera come conseguenza delle variazioni climatiche, non ha trascurato altre aree del pianeta. Devo dire di essere fortunato; ho conosciuto buona parte del pianeta grazie a progetti di ricerca, però proprio in questo periodo mi sembra giusto sottolineare che nell'Università di Bari, il Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, è coordinatore di tanti progetti concatenati sul clima. Sono coinvolto quale responsabile o come parte di altri gruppi di ricerca. Il progetto GAIA ha un approccio geomorfologico destinato a capire quali sono le aree dell'Italia e del Mediterraneo che verranno sommerse con il prossimo sollevamento del livello del mare connesso ai cambiamenti climatici.

Archimede, un altro progetto del Dipartimento che è coordinato dal professor Giovanni Scicchitano è dedicato a capire come impattano lungo le coste del Mediterraneo centrale i nuovi fenomeni meteorologici che sono i medicane, cioè i cicloni tropicali mediterranei.

Il progetto Interreg MICA è destinato a comprendere quali sono gli effetti a scala sanitaria, sociale e urbana dell'innalzamento del livello del mare legato ai cambiamenti climatici. Una serie di grossi progetti che servono a costruire il futuro della ricerca con nuovi ricercatori da trattenere nel nostro meraviglioso mondo.

Qual è il progetto che la porterà in Nuova Zelanda?

Mi porterà in Nuova Zelanda un progetto in collaborazione con il

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO COMPORTA DELLE MODIFICHE ALLA CIRCOLAZIONE OCEANOGRAFICA,

ALTERANDO LA DISTRIBUZIONE DELLE SOSTANZE

ALLA

BASE DELLA CATENA TROFICA.

professor Giovanni Scicchitano da diversi anni. A febbraio del 2026 ci sarà il Congresso Internazionale dei Geomorfologi, i ricercatori che studiano le variazioni dell'ambiente (come evolvono i fiumi, le coste, i laghi, le pianure). Lì il Dipartimento coordinerà una delle sezioni scientifiche più importanti, quella sulle coste. Grazie al progetto GAIA, essendo la Nuova Zelanda una zona esposta a processi estremamente energetici legati alle mareggiate e nella quale storicamente ci sono stati terremoti violenti e conseguenti tsunami, andiamo a realizzare

rilievi per applicare in alcune aree gli algoritmi matematici che abbiamo sviluppato nel Dipartimento: questi sono finalizzati a capire se l'accumulo di blocchi di dimensioni anomale lungo la fascia costiera sia da imputare all'impatto di mareggiate particolarmente energetiche o a tsunami. Ciò permette anche di capire qual è il rischio al quale è esposta la popolazione che vive lungo le fasce costiere e delle zone nei quali questi blocchi vengono riconosciuti. Un progetto allo stesso tempo utile e straordinario.

COSE DELL'ALTRO MONDO

Dalla Cina all'Europa: reinventare il domani

Le città del futuro non sono un’astrazione: si stanno costruendo ora, nei cantieri che provano a cucire insieme tecnologia, natura e vita quotidiana. Dopo un secolo di cemento e tubi, la nuova direzione è chiara: meno città-macchina, più città-giardino; meno difesa rigida contro l’acqua e il clima, più convivenza intelligente con entrambi.

A Stoccarda, la Polar Bear House spinge al massimo il concetto di edificio sostenibile: casa passiva, materiali riciclati, componenti smontabili, gestione intelligente di energia e acqua piovana. In Francia, l’Ecoquartier Ginko a Bordeaux sperimenta un quartiere riscaldato all’80% da energie rinnovabili locali, intrecciando canali, parchi, percorsi pedonali e

Le città del futuro sostituiscono il cemento a paesaggi urbani capaci di dialogare con acqua, clima e vita quotidiana.

ciclabili con una forte attenzione all’aspetto sociale. Il Centro Culturale Stavros Niarchos di Atene, progettato da Renzo Piano, ridisegna il rapporto fra città e natura su un’area di oltre 200.000 m². Ospita l’Opera Nazionale

Greca, la Biblioteca Nazionale e un ampio parco urbano, sovrastato da un grande tetto fotovoltaico che garantisce quasi completa autonomia energetica. La Shanghai Tower, terzo grattacielo più alto al mondo, è una città verticale che usa doppia facciata per risparmiare energia, geotermia, pannelli solari e raccolta dell’acqua piovana per ridurre consumi ed emissioni.

In questa trasformazione, architetti, paesaggisti, urbanisti e comunità stanno riscrivendo il vocabolario urbano: parole come New European Bauhaus, sponge city, water square segnano il passaggio da infrastrutture invisibili a nuovi spazi pubblici da vivere, belli oltre che utili. Accanto all’acqua, la trasformazione tocca edifici e quartieri.

Il New European Bauhaus (NEB) prova a dare un’anima al Green Deal europeo: non basta rendere le città efficienti, ma devono essere anche giuste e belle.

Tre i pilastri: sostenibilità ambientale (materiali ecologici, efficienza energetica, infrastrutture verdi), inclusione sociale (spazi pensati per tutti, processi partecipati), qualità estetica e culturale (luoghi che generano benessere, non solo

Studio Bankwitz, Ampliamento della Polar Bear House, Kirchheim unter Teck, Stoccarda.

(Fonte: www.bankwitz.de)

LA RIGENERAZIONE URBANA DEL NEW BAUHAUS

Il New Bauhaus rappresenta un approccio innovativo e sostenibile alla trasformazione delle città europee. L'iniziativa, promossa dalla Commissione Europea, mira a coniugare estetica, sostenibilità e inclusività, ispirandosi ai principi del movimento Bauhaus del XX secolo. La rigenerazione urbana secondo il New Bauhaus si basa su tre pilastri fondamentali: sostenibilità ambientale, inclusione sociale e qualità estetica.

metri quadri).Nei progetti NEB la rigenerazione urbana diventa multidisciplinare: architetti, designer, artisti, comunità lavorano insieme per trasformare strade, scuole, piazze in ambienti che riconnettono le persone alla natura, con suoli permeabili, alberi, acqua in superficie, materiali naturali.

Se il NEB offre una cornice culturale, è dalla Cina che arriva una delle innovazioni più radicali nella gestione dell’acqua: le città spugna. Il concetto lo ha sviluppato il paesaggista e urbanista Kongjian Yu, cresciuto in

un villaggio monsonico tra risaie, stagni e piccoli argini di terra. Da quell’esperienza ha ricavato un’idea semplice e rivoluzionaria: invece di combattere l’acqua con tubi e cemento, bisogna trattenerla, rallentarla, lasciarla lavorare per noi.

Yu ha parlato di “tecnologia verde” contro “tecnologia grigia”: dighe basse, suolo permeabile, zone umide, parchi allagabili che funzionano come spugne urbane. Dal 2013 il modello è diventato politica nazionale in Cina. Non tutte le città hanno funzionato bene, ma realtà come Sanya,

Haikou e Pechino oggi resistono meglio alle piogge estreme rispetto al passato. Lo studio di Yu, Turenscape, ha esportato questa visione nel mondo: dai “giardini galleggianti” dello Yongning River Park alle foreste urbane del Benjakitti Forest Park a Bangkok, fino ai progetti in Kazan, Parigi, Abu Dhabi, Città del Messico. Obiettivo dichiarato: arrivare a un vero e proprio “pianeta spugna”, in cui ogni città contribuisce alla resilienza del sistema idrico globale. In Europa l’immagine più

segue

COSE DELL'ALTRO MONDO

Le "città spugna"

SONO PROGETTATE

PER RESISTERE

ALLE INONDAZIONI, ALLA SICCITÀ E

ALL’INQUINAMENTO

IDRICO INTEGRANDO

TETTI VERDI, PAVIMENTAZIONI

PERMEABILI, GIARDINI

PLUVIALI E ZONE UMIDE.

UN APPROCCIO CHE

NON SOLO GESTISCE

L’ACQUA IN MODO

SOSTENIBILE, MA CREA

ANCHE SPAZI PUBBLICI

DI VALORE.

LA FILOSOFIA DELLA

SPONGE CITY

È STATA SVILUPPATA

DALL'ARCHITETTO

KONGJIAN YU, RECENTEMENTE SCOMPARSO.

rappresentativa di questa nuova urbanistica è quella delle piazze d’acqua (water squares).

A Rotterdam, città costruita sotto il livello del mare, il collettivo De Urbanisten ha trasformato la gestione delle piogge in un progetto urbano visibile e coinvolgente: piazze che per il 90% del tempo sono campi da basket, gradinate, spazi per il gioco; e nel restante 10% diventano bacini di accumulo per le piogge intense.

La Benthemplein Water Square è l’esempio manifesto: tre bacini con funzioni diverse, che si riempiono gradualmente quando le precipitazioni diventano critiche, alleggerendo il sistema fognario. L’acqua che arriva è filtrata, il ristagno è temporaneo, gli spazi restano in parte fruibili. È adattamento climatico, ma è anche teatro urbano, paesaggio, identità: l’infrastruttura smette di

essere invisibile e diventa luogo di vita quotidiana.

Da Rotterdam il modello si è allargato: Copenaghen ha avviato un piano ventennale di prevenzione delle inondazioni, con parchi allagabili e bacini di raccolta; Barcellona lavora da anni su un enorme sistema sotterraneo di raccolta delle acque meteoriche, controllato da sensori e stazioni di pompaggio.

L’acqua non è più solo un rischio da smaltire, ma una risorsa da trattenere, mostrare, usare.

Anche l’Italia inizia a sperimentare questo modello: il progetto “Città Metropolitana Spugna” a Milano ha messo a sistema 90 interventi tra capoluogo e comuni limitrofi, co-finanziati dal PNRR. L’idea è la stessa di Kongjian Yu e di Rotterdam, declinata nella pianura lombarda: più suolo permeabile, più verde, più acqua trattenuta e riutilizzata.

Kongjian Yu

Architetto, paesaggista ed urbanista (1963-2025).

Sopra: Illustrazione Polypipe

Nella pagina seguente: Benjakitti Forest Park (Fonte: turenscape.com)

Sono previsti 300.000 m² di nuove superfici verdi, 2.000 alberi e 32.000 arbusti e un risparmio energetico annuo di oltre 120.000 kWh. Bacini di laminazione, parchi che trattengono l’acqua, strade che drenano invece di respingere la pioggia: si passa da una gestione

“riparativa” delle emergenze a un'infrastruttura preventiva, capace di attenuare gli impatti prima che diventino disastri. Le città del futuro, insomma, non saranno solo più smart o più verdi: saranno più umane, più lente, più porose. E se oggi

guardiamo a Shanghai, Rotterdam, Pechino o Bordeaux come “cose dell’altro mondo”, la vera sfida è fare in modo che quel mondo – fatto di città spugna, piazze d’acqua, quartieri circolari – diventi, il prima possibile, semplicemente casa.

"WATER SQUARES": L'ESEMPIO DI ROTTERDAM

UNA DUPLICE FINALITÀ: SPAZIO PUBBLICO E LUOGO DI STOCCAGGIO PER L'ACQUA PIOVANA. È L'IDEA CONCEPITA DAL

GRUPPO MULTIDISCIPLINARE

OLANDESE DE URBANISTEN E DALLO STUDIO MARCO VERMEULEN PER LA BIENNALE DI ARCHITETTURA DI ROTTERDAM DEL 2005.

Rotterdam, Watersquare Benthemplein

IL FUTURO È OGGI

La bellezza di ciò che ritorna

Un esperimento collettivo. Un modo per coniugare creatività, sostenibilità e cultura del riuso in un’unica esperienza. A marzo 2025, ha preso vita, ad Altamura, Abitare Circolare School L’idea alla base di questo progetto è stata semplice, ma radicale: restituire valore a ciò che consideriamo scarto, riscoprendo il potenziale estetico, etico e sociale dei materiali e dei gesti quotidiani.

Abitare Circolare School nasce come estensione naturale del percorso Abitare Circolare, presentato nel 2021 alla Biennale di Architettura di Venezia: una ricerca che indaga il valore degli scarti come

beni comuni e futuri asset culturali, capaci di unire dimensione ambientale, sociale e progettuale. Promosso dall’associazione Esperimenti Architettonici ETS APS, il progetto è uno dei vincitori della call “Protagonisti per la Sostenibilità: Piccole Azioni per Coinvolgere Cittadini e Istituzioni”, promossa da Fondazione PuntoSud con il sostegno della Commissione Europea e della Fondazione Cariplo. Durante i nove mesi di attività, la scuola ha alternato incontri teorici, workshop pratici e momenti di confronto pubblico, con l’obiettivo di costruire una visione nuova e condivisa della sostenibilità. Persone diverse per età e forma-

zione, ma accomunate dal desiderio di sperimentare soluzioni concrete per un futuro circolare. Insieme hanno scoperto che il primo passo verso la sostenibilità non è tecnico, ma culturale: imparare a guardare con occhi nuovi ciò che abbiamo già. Non solo “fare meglio con meno”, ma ripensare il valore stesso dei materiali e il modo in cui interagiamo con ciò che ci circonda. Nei laboratori, la teoria è divenuta esperienza tangibile. Si è lavorato con carta, tessuti e scarti alimentari, esplorando materiali e tecniche di sperimentazione del riuso. Gli scarti di cucina si sono trasformati in pigmenti per tinture

Il progetto

ABITARE CIRCOLARE

SCHOOL

È UN PROGRAMMA CHE

DIFFONDE I PRINCIPI

DELL’ECONOMIA CIRCOLARE ATTRAVERSO ESPERIENZE PRATICHE

SU RIUSO, RICICLO E UPCYCLING.

NON SOLO EFFICIENZA, MA CREATIVITÀ E VALORE CONDIVISO.

naturali e stampe a secco, le fibre tessili dismesse hanno dato vita a nuove mise en place, tappeti e piccoli complementi d’arredo, mentre carta e cartone riciclati hanno trovato forma in oggetti decorativi e supporti per l’allestimento della tavola finale. L’approccio è stato quello del design circolare, ma anche dell’artigianato contemporaneo, dove la tecnica non cancella la sensibilità e la funzionalità convive con l’immaginazione. Un gruppo tutto al femminile ha guidato il cuore operativo del progetto: Marghita D’Alò, project manager e tutor dei laboratori Re-text, Selenia Marinelli, tutor del workshop Biomateriali DIY, e Isabella Milano, ideatrice di S-carta-re. Insieme hanno coordinato i laboratori dedicati ai biomateriali, alla carta riciclata e ai tessuti di recupero, offrendo ai partecipanti la possibilità di sperimentare la sostenibilità come processo, fatto di tentativi, errori e invenzioni quotidiane.

Da ogni prova è nato un oggetto unico, frutto di un’idea che racconta come la materia, se ascoltata, sappia rigenerarsi. I laboratori hanno attraversato la Murgia e oltrepassato la Puglia giungendo

Tavola della Circolarità, l'installazione conclusiva di Abitare Circolare School.

Il progetto è un viaggio intergenerazionale e partecipativo per tutti i cittadini

sino in Basilicata.

L’elemento chiave del percorso è stato il “Passaporto dei Materiali”, uno strumento ideato per raccogliere tutte le informazioni sui materiali e sugli oggetti sviluppati nei laboratori: provenienza, impatto, tracciabilità, energia e acqua impiegate, grado di circolarità. Un dispositivo di conoscenza e trasparenza che rappresenta la volontà di coinvolgere cittadini e istituzioni disengaged, costruendo fiducia e promuovendo un approccio basato su dati concreti e misurabili.

In Abitare Circolare School non c’è stata soltanto una dimensione pratica. È stato generato un luogo di riflessione, dove l’economia circolare è diventata linguaggio culturale e sociale.

Gli incontri teorici hanno introdot-

to i principi fondamentali del ciclo di vita dei materiali, del Life Cycle Assessment, della Corporate Social Responsibility e delle politiche europee sulla gestione dei rifiuti. Tutto questo nell’ottica di dare a ciascun partecipante strumenti di consapevolezza: capire cosa c’è dietro gli oggetti che usiamo, quali percorsi compiono prima di arrivare nelle nostre mani e come possiamo restituire loro una seconda vita. È un modo di abitare il mondo con attenzione e rispetto. Durante il progetto anche il cibo è entrato a far parte del racconto. Attraverso un percorso di sperimentazione condotto con un laboratorio dolciario del territorio, si è esplorata la possibilità di ripensare l’attività in pasticceria: recuperare ingredienti, ottimizzare processi di cottura, ridurre sprechi e scoprire nuove combinazioni sensoriali. In cucina, come nel design, si parte da ciò che c’è, reinventando con intelligenza e gusto, trasformando l’ordinario in straordinario.

Nove mesi dopo, a fine ottobre, con La Tavola della Circolarità, quella visione ha preso forma in un evento concepito come un nuovo punto di partenza più che una conclusione: un momento per

segue

IL FUTURO È OGGI

"La circolarità non è un concetto astratto, ma un modo concreto di prendersi cura del mondo che abitiamo, di immaginare nuove soluzioni condivise"

celebrare la creatività sostenibile, la manualità condivisa e la forza di una comunità che impara a trasformare ed allo stesso tempo a trasformarsi. Durante l’evento aperto alla cittadinanza si sono incontrati i risultati materiali e immateriali del percorso: una grande installazione conviviale, ideata e realizzata insieme ai partecipanti, simbolo di un modo diverso di stare insieme. Attorno a quella tavola si celebra il traguardo di una restituzione collettiva: la condivisione di un tempo e di un pensiero. Ogni elemento – dalle stoviglie agli arredi – proviene dal riuso e dalla creatività. È una narrazione visiva e tattile: non solo cosa è stato fatto, ma come è stato fatto, attraverso la collaborazione, la curiosità, la fiducia reciproca.

Mangiare insieme, raccontarsi esperienze, scambiare idee: gesti semplici che diventano strumenti di evoluzione sociale. Attorno alla tavola si riconosce una comunità che ha scelto di non sprecare, di costruire bellezza condivisa, di valorizzare ciò che la quotidianità spesso scarta. In un mondo dominato dalla velocità e dalla produzione continua, Abitare

Sotto:

Biblioteca delle cose, Agorateca, Altamura (BA).

(foto Esperimenti Architettonici)

Sopra e a destra: Laboratori creativi organizzati da Abitare Circolare School.

Circolare School ha scelto un’altra strada: quella dell’ascolto e della rigenerazione.

“Con Abitare Circolare School vogliamo ispirare le persone a considerare gli scarti come un bene comune e un patrimonio culturale,” racconta Saverio Massaro, presidente di Esperimenti Architettonici e curatore del progetto. La sostenibilità non è moda o imposizione, ma atto creativo e collettivo: un gesto che nasce dal basso e cresce insieme alla comu-

nità che lo pratica.

Alla fine, ciò che resta di Abitare Circolare School, oltre ai manufatti realizzati nei laboratori, è una nuova consapevolezza diffusa: la certezza che la bellezza può nascere da ciò che è già qui, che la creatività è uno strumento di cambiamento e che la sostenibilità è una forma di cultura.

È un’eredità che si misura negli occhi di chi, dopo questo percorso, non vede più uno scarto come qualcosa da eliminare, ma come

una promessa di futuro.

La vera innovazione è nel processo, al di là del prodotto finale. Nel coraggio di provare, nel piacere di fare insieme, nella capacità di immaginare possibilità nuove per le cose, i luoghi e le persone. Il progetto lascia un modo di vivere e di pensare che può generare valore, in ogni gesto quotidiano. La circolarità, quando diventa esperienza comune, non finisce, continua a trasformarsi, come la materia che le dà forma.

Spazi che rigenerano: l’Agorateca

Riuso, partecipazione e creatività condivisa sono i principi che hanno guidato due importanti progetti attivati ad Altamura negli ultimi anni, frutto della collaborazione tra realtà del territorio e volontari europei. Il progetto Cometa ha dato vita al Knowledge Garden, un’aula all’aperto realizzata attraverso un percorso in due fasi: prima la co-progettazione partecipata con studenti, insegnanti e cittadini, poi un cantiere di autocostruzione che ha trasformato un’area inutilizzata del giardino dell’Istituto Comprensivo “Bosco-Fiore” in un nuovo spazio per la comunità educante.

Guidato dall’architetto Marco Terranova e dalla designer Gabriella Mastrangelo, il progetto ha coinvolto volontari del Corpo Europeo di Solidarietà, creando un luogo che oggi accoglie attività didattiche e momenti di socialità. Accanto a questo percorso si inserisce La Biblioteca delle Cose, un servizio di scambio e condivisione di oggetti ancora funzionanti ma poco utilizzati.

Un’alternativa concreta all’acquisto e al possesso individuale: qui ci si può rifornire di ciò che serve solo occasionalmente, risparmiando risorse e riducendo sprechi. È un modello di consumo collabo-

rativo, in cui gli oggetti restano in circolo, le persone condividono e la comunità cresce. Ciò che unisce queste due iniziative è la capacità di creare relazioni nuove: far incontrare vicini che prima non si conoscevano, trasformare volontari in cittadini attivi, far sentire ciascuno parte di un progetto più grande del singolo gesto. Knowledge Garden e Biblioteca delle Cose dimostrano che architettura, partecipazione e sostenibilità possono rigenerare luoghi e abitudini, restituendo valore a ciò che già esiste e rafforzando il senso di appartenenza: la circolarità applicata alla vita di tutti i giorni.

La storia del rapace amico dei cittadini

Elegante e maestoso, il falco grillaio è il simbolo vivente del Parco della Murgia Materana. Specie vulnerabile, inserita nella lista rossa Iucn (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura), dal 2004 è stata classificata da Birdlife international anche come “Spec1”, cioè minacciata di estinzione a livello mondiale. Il falco grillaio frequenta le aree aperte per cacciare soprattutto insetti, ma anche piccoli rettili e micromammiferi.

Caratterizzato da un forte istinto gregario, nidifica in primavera in ambienti antropizzati, dove costituisce affollate e vivaci colonie. Perchè grillaio? Il nome fa riferimento alla sua alimentazione costituita per l’80% da insetti, in particolare ortotteri della specie Dociostaurus maroccanus, comuni in estate sui piani carsici della Murgia e tra le coltivazioni senza antiparassitari e fitofarmaci. È conosciuto anche con il nome di Falco Naumanni, un omaggio

al naturalista tedesco Johann Andreas Naumann. Il grillaio frequenta aree aperte, calde, secche, semi-steppiche generalmente al di sotto dei 1.000 metri, evitando le aree umide e forestate e le aree coltivate intensivamente in quanto necessita di elevate densità di insetti di grosse dimensioni.

Sia in Puglia che in Basilicata occupa anche aree urbanizzate utilizzate per la nidificazione ma anche per la formazione dei roost (rifugi collettivi), dove i nidi sono localizzati in muri o sottotetti di vecchi edifici, mentre in al-

tre aree nidifica su pareti rocciose o sabbiose, cave o cumuli di pietre. Gli spostamenti migratori del grillaio vengono effettuati in piccoli gruppi o stormi lassi, a volte formati anche di centinaia di individui. Il grillaio ha una spiccata filopatria, con gli adulti che tendono a rioccupare la colonia riproduttiva frequentata l’anno precedente ed i giovani, alla loro prima riproduzione, che si disperdono molto poco rispetto alla colonia nativa, con una distanza massima registrata di 136 km.

Falco grillaio

Foto Luigi Esposito

Falco grillaio

Caratteristiche

IL FALCO GRILLAIO È UN UCCELLO RAPACE DIURNO DALLE DIMENSIONI

PIUTTOSTO CONTENUTE, MA SNELLO ED ELEGANTE. LA SUA LUNGHEZZA

È COMPRESA TRA I 27-30 CENTIMETRI, MENTRE LA SUA APERTURA ALARE

RAGGIUNGE I 60-70 CENTIMETRI. DIFFERENZE DI COLORE, PESO E DIMENSIONI

CONTRADDISTINGUONO GLI ESEMPLARI MASCHI E GLI ESEMPLARI FEMMINE.

Presenza sul territorio

È UN INTREPIDO MIGRATORE: QUANDO ARRIVA L’AUTUNNO VOLA IN AFRICA,

PERCORRENDO OLTRE 5.000 KM, PER POI TORNARE AL NIDO ALL’INIZIO

DELLA PRIMAVERA.

INSIEME ALLA BASILICATA, LA PUGLIA COSTITUISCE L'AREALE PRINCIPALE

DI NIDIFICAZIONE, CON IL TRIANGOLO TRA MATERA, ALTAMURA E GRAVINA

CHE PRESENTA IL MAGGIOR NUMERO DI COPPIE. NUMEROSI ESEMPLARI SI POSSONO OSSERVARE NEL PARCO DELLA MURGIA MATERANA E NEL PARCO

DELL'ALTA MURGIA.

Minacce

LA POPOLAZIONE EUROPEA HA SUBITO UN DRASTICO DECLINO. TRA LE CAUSE DI QUESTO CROLLO SOPRATTUTTO DEMOGRAFICO C'È IL CAMBIAMENTO

CLIMATICO CHE HA CONTRIBUITO A RIDURRE O MODIFICARE GLI HABITAT DI CACCIA, COSÌ COME L'AGRICOLTURA INTENSIVA E IL PASSAGGIO A COLTURE

DIVERSE SONO CONNESSE ALL'USO DI PESTICIDI CHE CAUSANO LA MORTE DEGLI INSETTI E L'AVVELENAMENTO DELLE SPECIE CHE SI CIBANO DI ESSI.

INOLTRE L'ABBATTIMENTO O LA RISTRUTTURAZIONE DI VECCHI EDIFICI SPESSO

COMPORTANO LA PERDITA DI SITI DI NIDIFICAZIONE. ALTRE MINACCE PER IL

GRILLAIO POSSONO ESSERE LE COLLISIONI CON I CAVI DEI TRALICCI O DELLE PALE EOLICHE E DAL BRACCONAGGIO.

ARTE E CULTURA

Quando la terra incontra l'acqua

Terræ Aquæ. L’Italia e l’intelligenza del Mare, è il progetto espositivo alla 19. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, promosso dal Ministero della Cultura e curato da Guendalina Salimei.

Non una soglia metaforica, ma un punto fisico e concettuale. È stata questa la chiave di lettura di Terræ Aquæ. L’Italia e l’Intelligenza del Mare, il progetto espositivo del Padiglione Italia alla Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, dal 10 maggio al 23 novembre 2025.

La soglia è il limite in cui terra e acqua smettono di funzionare come elementi separati e rivelano la loro natura di sistema unico, complesso e vulnerabile. Così si rivela il carattere reale del Paese lungo quelle coste dove infrastrutture, ecosistemi, economie e comunità si toccano, si urtano, talvolta si ricompongono. Già in quel passaggio iniziale è apparso chiaro che la mostra non avrebbe trattato il mare come immagine evocativa, ma come spazio operativo: un ambiente che obbliga a ripensare progettazione, geografie politiche e modi dell’abitare contemporaneo.

Terræ Aquæ ha mostrato un’Italia diversa da quella che siamo abituati a mappare. Non quella dei confini amministrativi o delle linee di sviluppo urbano, ma quella che si legge solo dalle sue coste: un

Paese che si definisce dove la terra smette, dove l’acqua comincia a negoziare spazio, risorse, futuro. Una lente che ha reso evidente ciò che normalmente resta confuso: la distanza, spesso enorme, tra il modo in cui abitiamo il nostro territorio e il modo in cui quel territorio reagisce. La mostra, curata da Guendalina Salimei e promossa dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, ha messo in luce un nuovo punto di vista: non più una penisola che scruta l’orizzonte, ma un arcipelago culturale e biologico che dall’acqua riceve forma, identità, opportunità, fragilità.

Il Mediterraneo “allargato” è diventato la lente con cui leggere trasformazioni climatiche, tensioni geopolitiche, migrazioni, ricostruzioni urbane.

La mostra ha raccolto più di 600 contributi tra progetti realizzati, ricerche, utopie, visioni, segnando una mobilitazione collettiva rara e necessaria.

L’obiettivo era chiaro: ridefinire la relazione critica tra terra e acqua, tra paesaggio e infrastrutture, tra memoria e trasformazione. E scoprire che questa relazione non è solo un tema architettonico, ma un gesto politico, umano, poetico.

segue

Nelle prime due immagini:

Luigi Filetici, Mare Mosso Progetto video

Indagine su luoghi strategici italiani nel Mediterraneo, che si concentra su porti e aree commerciali come snodi geopolitici.

In basso:

La Quadreria

foto Andrea Avezzù courtesy: La Biennale di Venezia

ARTE E CULTURA

L’ingresso alla prima Tesa è una dichiarazione di intenti: un Muro Bicefalo che fende lo spazio come una scogliera o un’infrastruttura. Da un lato, una videoproiezione mostra la storia dell’Italia vista dal mare, con le sue bellezze e le sue fragilità. Dall’altro, una quadreria ottocentesca ospita visioni future, mappe, disegni: l’Italia che potrebbe essere, se ascolterà il suo mare. Un passaggio obbligato, quasi iniziatico con il visitatore a

Nel Giardino delle Vergini, l'Arca di Ulisse svela tracce materiali e immateriali dei territori costieri italiani.

Kazoun con Long Winter, una città ghiacciata di vetro e ghiaccio che racconta la precarietà della nostra permanenza sul pianeta; Alfredo Pirri con Paradisi, pavimento di specchi infranti che costringeva a camminare nel riflesso spezzato del futuro; Anna Muskardin con la sua scultura come “ritratto cosmico” del rapporto tra corpo e mare. A tessere il tutto, i suoni profondi dell’acqua registrati da David Monacchi in MOTI

tre volumi, pensato come parte integrante della struttura critica di Terræ Aquæ. Un portolano contemporaneo che organizza il materiale della mostra in tre direzioni: riflessioni teoriche e saggi; la mappatura dei linguaggi e delle pratiche che componevano l’allestimento; i contributi del public program, le discussioni, i workshop e gli sguardi che hanno attraversato il Padiglione durante i mesi della Biennale. Tre volumi

cavallo tra due mondi: la memoria e il potenziale.

Nella seconda Tesa, il percorso diventa orizzontale, diffuso, inclusivo.

Il Pontile della Ricerca si estende lungo tutta la navata: tavoli con monitor interattivi, video di università, fondazioni, associazioni; un teatro per talk; i filmati dell’Istituto Luce Cinecittà; il reportage fotografico Mare Mosso di Luigi Filetici e le mappe geopolitiche di Laura Canali.

Il Padiglione Italia è attraversato da opere d’arte capaci di restituire la fragilità, la potenza, la ritualità del mare: Thomas De Falco con la sua colomba tessile e la performance The Earth still Sings; Agnes Questionmark con Draco Piscis, creatura mitologica che emerge dall’acqua; Marya

Il percorso si conclude nel Giardino delle Vergini, con l’Arca di Ulisse: un’arca “naufragata” che raccoglie materiali, reperti e dati, organizzati in otto tappe ispirate ai viaggi dell’eroe omerico. Una metafora evocativa: tutto ciò che accade in mare lascia sotto forma di traccia un’eredità sulla costa. E sta a noi leggerla, preservarla, rigenerarla.

Persino le casse dell’allestimento sono state recuperate da imballaggi speciali destinati allo smaltimento: un gesto concreto di economia circolare.

Terræ Aquæ ha riportato il Mediterraneo al centro: “luogo e soluzione”, come ricordato dal presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco.

Parallelamente alla mostra, Electa ha pubblicato un catalogo in

che funzionano come strumento di orientamento fuori dalla mostra, utili a leggere ciò che il mare sta già ridisegnando.

Perché Terræ Aquæ ci riguarda da vicino? Perché è stata portatrice di un messaggio: il mare non è un confine. È un archivio, un laboratorio, un alleato, una minaccia, un ponte tra passato e futuro. E l’Italia, con i suoi 8.300 km di coste, non può più permettersi di considerarlo uno sfondo. Deve farne un interlocutore. Un compagno di progetto. Un’intelligenza da cui imparare. La mostra ci ha ricordato che il futuro dell’Italia non sta solo sulla terraferma. Sta nel modo in cui saprà ascoltare il movimento dell’acqua. E nel modo in cui saprà, finalmente, tornare a dialogare con il suo mare.

Parole come Gocce

UN PIANETA SENZ'ACQUA

Fred Pearce

Il Saggiatore

424 pagine

€ 26,00

L'acqua come bene comune per tutti. Eppure ci sono popoli che non hanno accesso a questo bene prezioso. Un pianeta senz'acqua rivela come dietro un rubinetto aperto ci sia un mondo sotterraneo intimamente collegato, che, se osservato accuratamente, può descrivere lo scarto apparentemente irrecuperabile tra paesi ricchi e paesi poveri, spiegare i movimenti di popolazione verso il Nord del pianeta e mettere sotto gli occhi di tutti le conseguenze dei cambiamenti climatici degli ultimi decenni. A raccontarlo ci ha pensato Fred Pearce in un volume di 424 pagine dove si affronta la desertificazione a cui sta andando incontro la Terra. Pearce si imbarca in un viaggio attorno al globo alla scoperta degli scompensi generati dalla presenza o assenza di fonti idriche: dalle dighe sul fiume Mekong progettate dalla Cina, che rischieranno di minare il sostentamento degli abitanti di Cambogia e Vietnam, al dirottamento del letto del fiume Giordano da parte di Israele per trasportare acqua nelle sue città, prosciugando così una valle intera; dal lago Ciad, che negli ultimi cinquant'anni ha perso più del 90% della sua superficie, innescando conflitti ed emigrazioni forzate che coinvolgono milioni di persone, fino al Rio Grande, ormai sempre più spesso ridotto a un rigagnolo fangoso, ma da cui dipendono le coltivazioni di un'intera regione. Uno sguardo sul nostro presente e passato recente per afferrare ciò che ci aspetta nel futuro.

in condotta

Storie di eccellenza

Il clima “influenza” la transizione energetica

La domanda è: il clima influenza la transizione energetica? Certamente, è la risposta diretta. Alessandro Reina, professore al Politecnico di Bari fa un'analisi dettagliata di come ci sia una relazione circolare complessa e strettamente interconnessa. Da un lato i cambiamenti climatici influenzano il fabbisogno energetico globale, alterando i modelli di consumo e aumentando la domanda in determinati settori. Dall’altro l’uso di energia, specialmente quella che deriva da combustibili fossili, è una delle principali cause dell’aumento delle emissioni di gas serra, che accelerano il riscaldamento globale.

L’Unione Europea ha stabilito obiettivi precisi tra il 2020 e il 2030, concernenti la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, l’incremento della quota di energie rinnovabili nell’ambito del consumo energetico e il miglioramento dell’efficienza energetica.

INTERVISTA su tva.aqp.it

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