Relazione La Spezia

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XXVII congresso provinciale ACLI LA SPEZIA

c/o Urban Center, sabato 5 ottobre 2024

Relazione del Presidente uscente Francesco Passalacqua

Mi sono chiesto in queste ultime. settimane quale contenuto avrei potuto dare a questa relazione. congressuale.

Non volevo fosse una rendicontazione di fine mandato, né, inevitabilmente, una indicazione programmatica per il futuro.

Rendicontare e programmare è importante certo, ed a volte è una necessità che la trasparenza esige, ma rendiconti e programmi non sono mai le ragioni che fondano le nostre scelte di felicità e di senso.

Ho pensato quindi che la relazione potesse essere il tentativo di condividere le suggestioni che sono oggi per me l'appartenenza alle ACLI .

Quello che dirò, pertanto è una restituzione personale del tutto parziale e non assoluta di cosa sono per me le ACLI, un frammento marginale, come lo è in tutto e da sempre, l'esperienza di vita di ciascuno.

Le Acli mi hanno. aiutato a comprendere meglio proprio questo: nessuna nostra esperienza del presente o del passato può essere assorbente quella altrui e non può essere quindi paradigmatica

Perché non si è soli, ma solo parte di un tutto - direbbe Raimon Panikkar che noi non abbiamo la vita in dono ma noi siamo il dono della vita

Una associazione è generativa solo se in ogni tempo viene consegnato non un prontuario d’uso ma una spazio accogliente libero e disposto a contenere traduzioni inedite.

Sarà per questa sigla associativa LE ACLI che si declina al plurale ed al femminile.

Questo acronimo LE ACLI dice di una eccedenza che parla. di molteplicità....le ACLI sono certo pretesa di promozione. sociale, sono prossimità con i servizi, sono fedeltà a democrazia ed al lavoro, sono circoli territoriali e comunità di approfondimento, sono contributo al discernimento e presidi di legalità, sono soggetto promotore di giustizia sociale , sono scelta netta di campo, comunione e profezia, pensiero divergente e sinodale nella chiesa e nella politica

Tutto questo molteplice agire è il fare condiviso delle ACLI dove di certo ciascuno può trovare un suo specifico corrispondente.

Anche per me le Acli sono stato l’incontro di una corrispondenza eppure persino questa corrispondenza mi pare che alla fine non mi potrebbe bastare per restare nelle ACLI .

Non vi è una ragione, neppure la piu nobile , che valga la scelta di stare e di sentirsi integralmente (e non saltuariamente) dentro una storia, se non quella che questa diventi una opportunità di vita ed un pretesto di amicizia.

Amicizia

E’ quindi l’amicizia oggi per me la cifra della dimensione relazionale , personale ed associativa.

Allora qui ringrazio subito gli amici incontrarti in questi anni di ACLI; non faccio nomi e non faccio elenchi. Gli amici lo sanno, perché l’amicizia è il volto disvelato delle relazioni ; perché si può essere innamorati, si può stimare e persino amare senza che l’altra persona lo sappia, ma di certo non si può essere amici ad insaputa dell’altro, dell’altra

Le ACLI sono state e restano per me il volto degli amici; il volto custode di quello che a mio avviso è un paradigma fondativo

Un paradigma fondativo dentro la crisi della polis

Oggi non esistono più architetture di citta’. non esiste più la polis intesa come il luogo condiviso istituzionale sorgivo di etica, condotte esemplari ,comportamenti orientati, discernimenti di valore

Sono crollati i grandi mondi di riferimento, le universali codificazioni che hanno segnato e scandito la vita, l’agire ed il discernere delle persone.

Come ha scritto Michel De Certeau: «un’esperienza tellurica si sostituisce alle protezioni offerte dal “corpo di senso” che garantiva un ‘universo senza smentita».

E chi tentasse di aggrapparsi alla memoria di tali tetragoni edifici si troverebbe solo ad attraversare macerie e cadaveri dove sono rimasti imprigionati corpi e libertà; perché quelle costruzioni di senso, una volta crollate, si sono trasformate in ingombri asfittici ed irrespirabili , in prigioni opprimenti per la vita delle persone.

Anche il cristianesimo istituzionalizzato in un prontuario di formule e pratiche svuotate è dentro questo tempo e parte di questo declino.

Se non possiamo quindi più fare affidamento a queste istituzionalizzate codificazioni a me pare che l’unica matrice originaria di nuovi processi istituenti possa davvero essere solo l’amicizia.

Ed allora mi paiono condivisibile le conclusioni cui giunge Iva Illich nella parte finale delle sue conversazioni pubblicate in Italia con il titolo “Pervertimento del cristianesimo”

“Non mi è stato possibile ricercare l’amicizia come qualcosa che sorgesse da un luogo e dalle pratiche ad esso pertinenti. È stata invece l’etica sviluppatasi intorno alla mia cerchia di amici a nascere come risultato della nostra ricerca di amicizia e della pratica che ne facevamo. È un’inversione radicale del significato di philia: per me l’amicizia è stata la sorgente, la condizione e il contesto perché potessero avvenire il coinvolgimento e l’affinità di pensiero;”

Etica l’ethos non richiede un etnos ovvero una originaria provenienza, una appartenenza di origine.

L’esperienza dell’amicizia è quindi la matrice generatrice dell’etica e della vita cristiana.

Amicizia come stare in relazione.

L’amicizia vive solo nella RELAZIONE e ci consente di avere una definizione di noi stessi; noi non siamo quello che mangiamo ma le relazioni che viviamo

Ma noi abbiamo bisogno di una definizione perché senza un limite definito un perimetro definito non potremmo mai aver percezione di noi stessi e degli altri.

Il perimetro ci restituisce la possibilità di conoscere l’altro come il diverso da noi che non diventa differenza ma legame.

La soglia

Per fare questo dobbiamo sostare su quel crinale della nostra definizione che si chiama soglia.

Un crinale che non è LIMES (perimetro fortificato dentro al quale proteggerci impauriti) ma LIMEN soglia dove scrutare orizzonti e liberare sguardi. Sentinelle disarmate del mattino e non austeri guardiani della fede e delle appartenenze, inflessibili miliziani posti a protezione dei nostri consolidati assetti per decidere chi entra e chi deve restare fuori.

Stare sulla soglia è anche invito ad abitare l’associazione come una compagnia che NON tende a pensare di poter progredire nella conoscenza solo entro la cerchia di persone che hanno la loro stessa formazione, ma nella frequentazione di amicizie sfidanti il pregiudizio ed il pre-dato

La soglia come processo istituente che si innesta dentro e fuori le codificazione ufficiali

Stare sulla soglia parla del mistero, di mondi sconosciuti, parla di differenze , parla di tutto quanto non appartiene al nostro mondo codificato. Senza la fantasia della soglia esiste solo l’inferno dell’Eguale

Questo nostro tempo ci sfida ad avere comunità non di provenienza ma comunità di destino, a stare sulla soglia dell’incerto, del mistero, dell’inutile. Non è facile.

Il paradigma dell’inutile nella società della prestazione

Viviamo dentro una società che oggi ci impone una progressiva accelerazione dove tutto è prestazionalizzato e funzionalizzato; siamo dentro la società della prestazione

Il sistema tecnocapitalistico, ovvero tecnonichilista, come lo chiamano i nostri amici sociologi Magatti e Giaccardi - è l’unico elemento che percepiamo come assoluto, assorbente ed immutabile,

E’ la nuova definizione di Dio, è l’unico Dio che presiede e domina la nostra vita e ci toglie libertà

Ma non più imponendo scenari di repressione.

Ma promuovendo scenari di abilitazione dove in ciascuno singolarmente viene alimentata una coazione ad agire ad essere performante ed utile, a dare compulsiva forma alla

propria individualità senza conoscere la relazione che esige il tempo della sosta e dell’ascolto

Tutto deve corrispondere ad una utilità secondo il paradigma tecno-capitalistico

Tutto è ridotto a dato misurabile, algoritmo, prestazione .

Anche il bene, il volontariato anche il religioso ed il politico i luoghi educativi e gli spazi associativi: un unico grande schema dove non siamo più solo consumatori ma noi stessi diventiamo oggetti di consumo.

Ha vinto il capitale.

E così non sappiamo più sostare su un tempo ed uno spazio che non abiliti funzioni, che non produca utilità, che si sottragga al paradigma prestazionale dove tutto deve ossessivamente precipitare.

Avvertiamo che ci manca il respiro ma non siamo in grado di fermare questa modalità centrifugata di vivere

Abbiamo smarrito il tempo della coscienza, il tempo della spiritualità senza il quale non vi è né esperienza di fede né possibilità di narrazione.

Anzi è entrata in crisi la stessa capacità di narrare.

Abbiamo infatti piu informazioni, tutte le informazion i possibili, ma non conoscenza

Viviamo nella società dell’immagini ma siamo privi di immaginazione

Stiamo dentro l’epoca social ma non coltiviamo relazioni.

Il filosofo sudcoreano Han ci ricorda che “l’intelligenza non coincide con lo spirito. Solo lo spirito è capace di pervenire ad una nuova strutturazione delle cose, ad una nuova narrazione. L’intelligenza calcola e fa operazioni. Lo spirito narra. Le scienze umane guidate dall’uso dei dati non sono proprio scienze dello spirito, ma scienze dei dati. I dati espellono lo spirito. In un mondo saturato dai dati e dall’informazione si dissolve la capacità di narrare.”

E senza narrazione non c’è storia, non c’è pensiero, non c’è politica, non c’è esperienza di fede.

Trovate nella cartellina una favola di Peter Maar riportata proprio nel libro di Han “crisi della narrazione”. Se ne avete voglia leggetela, ci narra come tornare a ridare vita al pensiero al tempo sospeso , alla parola che non definisce alla risposta che non risolve.

La speranza ed il coraggio della PACE

Le attese non sono aspettative perché l’attesa inizia proprio laddove finisce l’aspettativa: è LO SPAZIO DELLA SPERANZA.

Sulla pace noi con Papa Francesco chiediamo il coraggio di nutrire questa speranza.

Accettare che esistono passaggi non definibili e posture non risolutive

Non sono anche i dibattiti sull’attualità imprigionati dentro questa ossessione del prestazionale e dell’utile immediato?

Non è forse la contestazione che ci sentiamo fare quando affermiamo il coraggio della pace?

Non ci viene spesso contrapoosto come la pace non sia una soluzione?

Come se lo fosse la guerra ben sapendo con evidenza che non lo è.

Certo la scelta della pace non corrisponde alla logica del problem solving.

Ma io credo che affermare il coraggio della pace non sia una soluzione ma una scelta.

Il filosofo Silvano Petrosino ci ricorda la differenza tra un problema ed una questione.

Un problema è un ostacolo che si frappone al raggiungimento di un mio scopo. Posso quindi esercitarmi nella sua soluzione. Entra cosi in gioco la consueta dinamica del problem solving.

Ma altra cosa è una questione: le questioni non hanno possibilità di essere risolte o rimosse.

Se ho una malattia terminale non ho un problema, ho una questione

Le questioni quindi non possono essere risolte. possono solo essere attraversate.

Guerra e pace allora non sono due soluzioni alternative perché non sono soluzioni, sono scelte di come attraversare e stare dentro i tempi difficili dell’orrore, del male, dell’inumano.

E tuttavia ci saranno esiti differenti a seconda di quale scelta di postura abbiamo deciso di assumere dentro le questioni che attraversiamo. E di questo ne siamo responsabili.

Come Acli, con Papa Francesco, pensiamo che l’umanità abbia bisogno di attraversare la terza guerra mondiale a pezzi con il coraggio di questa speranza di pace e non con le retoriche belliciste utili peraltro solo al mercato delle armi ed alle dinamiche degli imperi.

Vivere o sopravvivere

Termino con una interrogazione che Adriano OLIVETTI poneva al Convegno di Urbanistica del 1955 :

“Possiamo ben separare la domenica dai sei giorni feriali? Possiamo avere due tipi di condotta, due specie di progettazione, cioè una in proporzioni nane, per gli usi del sabato e dedicata alla bellezza, agli ideali, alla bontà ed alla verità; l’altra di vaste proporzioni e di stampo grossolano, per la supposta utilità pratica, impastata di bruttura, squallore e barbarie di nuovo conio, avallata dal consenso generale?”

Questa interrogazione ha un’eco nella riflessione che il filosofo sudcoreano Han traccia:

“Nell’esausto trascinarci attraverso la mera successione da un momento presente ad un altro, da una crisi ad un’altra crisi, passando da un problema al prossimo problema, la vita rallenta diventando sopravvivenza. Vivere non si esaurisce nel risolvere i problemi, Chi vive solo risolvendo problemi non ha alcun futuro”

Auguro alle Acli di avere futuro, di avere respiro e di custodire l’amicizia.

La Spezia, 05 Ottobre 2024 Francesco Passalacqua

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