Venga il tuo regno

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39 «E pure ricco! Mi disse che c’ha una villetta al Monte Pellegrino.» «Pure? Ma ce l’ha un amico questo qua da farmi conoscere?» si era messa a ridere Rosa. «La finisti? Non lo so Rosa, non lo so se ti conviene…» Poi erano tornate di nuovo serie. «Bianca. Mi devi promettere che starai attenta, mi capisti?» «Sì, Rosa. Te lo prometto.» Uscito dal portone di quella palazzina, Giuseppe si era infilato in macchina e Natale si era guardato bene dal fare commenti o qualsiasi domanda, eccetto l’unica che il suo lavoro gli richiedeva: «Dove andiamo, don Giuseppe?» «All’Arenella, da Fanuzzu» fu la risposta e Natale mise in moto. Giuseppe si accese una sigaretta, aprì il finestrino, poi si girò a guardare quell’uomo che ormai da anni era la sua ombra. Lo guardò guidare in silenzio attraversare mezza Palermo come sempre, con una sigaretta sotto a quei grossi baffi neri, curati, le guancione olivastre sempre ben rasate, e pensò che quello era uno dei due uomini di cui lui si fidava ciecamente, perché “lui sì che era una brava persona!”. L’altro, manco a dirlo, era Stefano. «Natale, da quanto è che lavori per me?» «Ad aprile si fecero quattro anni, don Giuseppe.» «Dai tempi del Falco?» «Sì.» «E basta con ‘sto “don”, Natale! Quante ne abbiamo passate insieme, ah? Non è ora che mi chiami solo Giuseppe?» «Non ce la faccio, ma come vussia desidera.» Giuseppe si era messo a ridere. “Sono quattro anni che questo vede più a mìa che alla moglie, sono quattro anni che questo ogni santo giorno è lì pronto a essere scannato per me, e ora non ce la fa a chiamarmi per nome…” “Mi ha aspettato dappertutto, di giorno, di notte, mi ha guardato le spalle quando io non mi reggevo in piedi. Mi potrebbe essere padre, lui ora avrebbe la sua stessa età. Forse è anche per questo che tengo lui come soldato, anche se ormai non corre quasi più… cos’è di me che rispetta tanto?” Stefano dal primo piano aveva riconosciuto il rumore del motore della macchina, ma era uscito lo stesso sul terrazzo. Non si fidava mai, nem-


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