Cicatrici, Luisa Ferrero

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In uscita il 31/3/2023 (15,50 euro)

Versione ebook in uscita tra fine marzo e inizio aprile 2023 ( ,99 euro)

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AVVISO

LUISA FERRERO CICATRICI

ZeroUnoUndici Edizioni

ZeroUnoUndici Edizioni

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www.facebook.com/groups/quellidized/

CICATRICI

Copyright © 2023 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-9370-601-8

Copertina: Immagine Shutterstock.com

Prima edizione Marzo 2023

Ad Alessandro, i miei occhi sul mondo.

O donne povere e sole, violentate da chi non vi conosce. Donne che avete mani sull’infanzia, esultanti segreti d ’ amore tenete conto che la vostra voracità naturale non sarà mai saziata.

Mangerete polvere, cercherete d ’impazzire e non ci riuscirete, avrete sempre il filo della ragione che vi taglierà in due.

Ma da queste profonde ferite usciranno farfalle libere.

Farfalle libere - Alda Merini

Aprì gli occhi.

La vista era annebbiata. Un sapore dolciastro le fece venire un conato di vomito.

“Dove sono? Che è successo?” pensò la ragazza cercando di orientarsi nella semioscurità.

Capì di essere sdraiata su un vecchio materasso che puzzava di piscio.

Muovendosi piano tentò di alzarsi, ma si tenne ben stretta al bordo perché tutto intorno a lei iniziò a girare. Un altro conato di vomito le ribaltò lo stomaco.

Quando la vista si abituò, mise a fuoco di essere all’interno di una stanza, forse una cantina. La sua pelle ne percepiva l’umidità e l’odore di muffa si mescolava a quello del materasso.

Un fruscio veloce, lungo la parete, la destò dai suoi pensieri terrorizzandola. Temendo i topi, raccolse le ginocchia contro il petto appoggiandosi con la schiena alla parete alle sue spalle, si fece piccola piccola. La luce dell’unica finestrella, a circa due metri sopra la sua testa, non le permetteva di distinguere altro.

Il cuore le batteva all’impazzata. Lo sentiva pulsare nel petto, in gola, in testa, ovunque.

Si stropicciò gli occhi nella speranza di trovarsi nel mezzo di un incubo da cui si sarebbe svegliata e tutto sarebbe svanito nel nulla. Non fu così.

Iniziò a urlare più forte che poteva.

«Mamma! Mamma aiuto!» gridò tra i singhiozzi mentre si tirava, con rabbia, i lunghi capelli corvini.

Pianse per un tempo che le parve infinito fino a quando un rumore la congelò.

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PROLOGO

Qualcuno stava trafficando con la serratura. Tremava così forte da non riuscire a controllare gli spasmi del suo corpo. Si fece ancora più piccola desiderando di diventare invisibile. La porta alla sua sinistra si aprì, un cono di luce spezzò il buio e la sua speranza.

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1. UNDICI GIORNI PRIMA

L’agente Martinelli riagganciò con un sospiro. “Nemmeno un mese che ho preso servizio e già mi capita una denuncia di scomparsa. Non sarò mai all’altezza, mai capace di gestire una situazione come questa. Ora vedo chi c’è in servizio e ne parlo con lui.”

Si incamminò lungo il corridoio alla volta degli uffici. Parecchi erano vuoti.

Scorse il commissario Farri seduto alla scrivania. Si avvicinò alla porta, ma si fermò sulla soglia. Bussò appena.

«Scusi, posso parlarle un attimo?»

L’uomo non alzò la testa dal pc.

L’agente si schiarì la voce e ripeté la frase con un tono più alto, e solo ora Farri si degnò di alzare lo sguardo verso di lei. «Ah, sei quella nuova. Che vuoi? Spero per te che sia importante perché io non faccio da balia a nessuno.»

«È importante, dottore! Ho ricevuto la telefonata di una donna che denuncia la scomparsa della figlia» rispose tutto d’un fiato Monica, rossa in viso.

«Lo stipite della porta sta su anche da solo. Entra.»

Il commissario Farri era un cinquantenne con ancora tutti i capelli neri e un fisico asciutto e giovanile. Solo la fronte, sempre corrugata, dava la sensazione di trovarsi davanti a un uomo inquieto. Monica non poté non guardare la mano sinistra. Portava ancora la fede. Sulla scrivania, rivolta verso di lui, una cornice celava agli sguardi curiosi la foto di una bellissima donna. Monica lo sapeva perché, un giorno che gli aveva portato delle carte da firmare, si era avvicinata abbastanza per riuscire a vederla.

Al suo arrivo al commissariato, il collega che l'aveva affiancata durante i primi giorni, le aveva raccontato che Farri era rimasto vedovo un paio di anni prima: la moglie di cui era molto innamorato aveva perso la vita in un incidente stradale. Questo aveva contribuito a inaridire ancora di più un carattere già duro. Aggiornò il commissario sotto il suo sguardo freddo e diffidente.

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«Più lentamente Martinelli, respira tra una frase e l’altra. E stai ferma con quelle mani, mi fai girare la testa. Soprattutto metti giù la mia penna.»

Solo allora, Monica si rese conto che aveva preso la Bic dalla scrivania. «Comunque, inizia a scrivere il rapporto per la segnalazione preliminare. Avvisami appena arriva la madre.»

Farri la congedò con un gesto frettoloso della mano tornando con la testa al pc.

“Stronzo!” ripeté tra sé Monica mentre percorreva su e giù il corridoio del commissariato. Camminava con la testa bassa quasi stesse osservando il pavimento in graniglia effetto minestrone che andava tanto di moda negli anni ‘60.

«Ops, scusa!» si affrettò a dire dopo aver urtato un collega che stava uscendo dal proprio ufficio.

Si fermò mortificata a guardare fuori dalla finestra. Dal mattino presto aveva spirato il libeccio e ora il sole era scintillante. Il mare si intravedeva tra i rami dei pini marittimi e del traffico dell’Aurelia arrivava soltanto un borbottio lontano.

Era irritata sia per l’atteggiamento come sempre spocchioso del commissario, sia con sé stessa. Si rendeva conto che anche il suo aspetto fisico non le era d’aiuto: magra, piccolina e con quei grandi occhi azzurri che le conferivano, ancor di più, un’aria impaurita. “Possibile che io non sappia mai tirare fuori le palle? Che debba agitarmi per tutto? Che questo lavoro non faccia per me? Ma no, Monica, è solo che ti devi fare le ossa e se fartele vuol dire passare sotto le forche caudine di Farri, pazienza!”

Un vociare in fondo al corridoio catturò la sua attenzione. Vide il collega Marongiu che procedeva verso di lei seguito, a qualche passo di distanza, da una donna. Intuendo fosse la madre di Ambra, si precipitò in ufficio. Compose l’interno del superiore avvisandolo dell’arrivo della signora Torchio. Fece un respiro profondo cercando di calmarsi. Bevve un po’ d’acqua e poi si appoggiò allo schienale assicurandosi di avere le spalle ben dritte.

Sarebbe stata all’altezza della situazione. Se lo ripeté come un mantra.

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«L’agente Martinelli?» chiese Francesca affacciandosi alla porta.

«La signora Torchio, immagino. Si sieda pure» rispose Monica porgendole la mano.

La madre di Ambra aveva gli occhi arrossati e i capelli scarmigliati. La tshirt, la tuta e le sneakers indicavano che la donna non aveva badato a cambiarsi prima di uscire.

«Le ho portato la foto di Ambra. Anzi, le foto: sono due. Le più recenti che ho trovato» pronunciò agitata porgendogliele con le mani tremanti.

L’agente Martinelli le osservò con attenzione rimanendo colpita dai lunghi capelli biondi e dal fisico statuario della ragazza.

«Le prendo io.»

Francesca si voltò e Martinelli, alzandosi in piedi e provocando un fragoroso rumore con la sedia, disse: «Le presento il commissario Farri».

Leo Farri, dopo freddi convenevoli, rivolse alla signora Torchio una serie di domande.

La donna iniziò a parlare nervosa. Le sue risposte risultarono subito confuse in merito a orari e compagnie frequentate dalla figlia.

Monica, che stava verbalizzando, alzò di colpo lo sguardo appena udì le parole di Farri.

«La fermo subito, signora. Lei non c’è di aiuto. Non sa dirci, con precisione, a che ora è uscita sua figlia e nemmeno che cosa indossava.

Comprendo che sia agitata, ma cerchi almeno di essere più precisa nel ricordare dove è andata e con chi. Per quanto riguarda il suo ex marito ci ha solo parlato, anzi sparlato direi, della sua nuova compagna senza entrare nel merito dei rapporti tra padre e figlia.»

Francesca scattò in piedi e, guardando negli occhi il commissario, esplose: «Lei ha figli? Se sì, lo sa anche lei che le ragazze non raccontano tutto ai genitori. Ieri è scesa dalla mansarda e, senza passare in cucina, è uscita urlando: vado ma’! Ecco perché non so come era vestita. Comunque, aveva appuntamento con Arianna Melis. È la sua

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amica del cuore. È a lei che ho telefonato questa mattina quando mi sono accorta che Ambra non era rientrata e che aveva il cellulare spento. Mi ha detto che sono andate a Sanremo con un’altra ragazza che non conosco. Ma poi, giunte in piazza Colombo, ognuna di loro si è unita a un gruppo diverso». La donna pronunciò le ultime parole tra le lacrime. «La collega mi ha parlato di un messaggio su WhatsApp che non la convince, può mostrarmelo?»

Francesca tornò a sedersi, cercò nella borsa un fazzoletto e si asciugò gli occhi. Prese lo smartphone e dopo qualche secondo glielo porse.

«Ah, okay. Eccolo qui. Verbalizza Martinelli: ore ventitré e cinquantacinque. Sto bene mamma. Non cercarmi. Fra qualche giorno ritorno. TVB.»

«Come dicevo questa mattina al telefono alla sua collega, Ambra non si sarebbe mai allontanata da casa. Lei era troppo preoccupata per me. E poi, quel ti voglio bene…»

«Perché forse sua figlia non le voleva bene o non glielo diceva mai?»

«Non me lo diceva mai. Tanto meno per messaggio. Un abbraccio ogni tanto e via. Lei è fatta così.»

«Non ha risposto alle altre domande signora: era già successo che non rientrasse? Avevate litigato?»

Francesca deglutì, poi rispose: «Una volta. Si era fermata a dormire da un’amica senza avvisarmi. Le litigate capitavano spesso e soprattutto sugli orari di rientro perché, secondo lei, dovevo darle più libertà. Altro motivo di discussione erano i soldi: era un continuo chiedere».

«Va be’, ora sentiremo le amiche e il suo ex marito e vedremo.»

«Il mio ex marito? Buono quello! Liquida sempre tutto a suon di palanche, sgancia due centoni e via. È il suo metodo per comprarsi la figlia. E poi c’è quell’altra, la straniera. Come si chiama? Aspetti, mi faccia pensare, perché io in genere la chiamo quella. Ah, sì Tatjana. Ha proprio un brutto vizio: ficca il naso negli affari degli altri e io gliel’ho detto tante volte a Domenico che la madre di Ambra sono io. Io e nessun’altra!» urlò la donna con tono esasperato.

Farri la osservò con sguardo impenetrabile e aggiunse: «Non ci dobbiamo scordare che sua figlia ha vent’anni, che già una volta non è rientrata e pretendeva più indipendenza. Giusto?» Poi, rivolgendosi all’agente: «Segnati i numeri di telefono di Ambra, del padre e dell’amica e falle firmare la denuncia».

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Congedò, infine, Francesca con: «Inoltreremo subito la segnalazione, ma dubito che avrà un seguito perché le ricerche non vengono attivate nel caso in cui, come Ambra, ci troviamo di fronte a maggiorenni che abbiano manifestato la volontà di allontanarsi e che siano in buona salute. Comunque, stia tranquilla. Avrà incontrato un ragazzo e deciso di stare un po’ con lui. Vedrà che fra qualche giorno, come le ha scritto, tornerà a casa e lei la perdonerà».

Appena la donna uscì, Monica si accasciò sulla sedia. Era consapevole di quanto si fosse sentita impotente. Lei, in mezzo tra quel caterpillar di Farri e il muro di burro di quella donna fragile, piena di problemi.

Registrò, come da procedura, tutti i dati sulla scheda segnalazione scomparsa per poter attivare il piano di ricerca previsto dalla Prefettura. Decise poi, di andare a prendersi una cioccolata. Ai distributori delle bevande, vide il commissario che stava sorseggiando l’ennesimo caffè della giornata. La ragazza lo ignorò e dopo aver infilato la chiavetta

digitò il numero quattro: bevanda al gusto di cioccolato.

«Fatto tutto?»

«Sì certo, dottore» rispose.

L’uomo gettò il bicchierino facendo canestro e girò sui tacchi. Qualche passo dopo, senza voltarsi, aggiunse: «Chiama il padre e poi convoca l’amica al più presto, così ci togliamo ‘sta rogna. Tanto questa si sarà rotta le palle per qualche motivo e allontanata per fare un dispetto alla madre. Quasi tutte queste storie finiscono a tarallucci e vino».

«Avvisa il questore Catanzaro?» domandò con voce stridula l’agente.

E proprio mentre venivano sputati fuori bicchierino e bevanda, Farri bofonchiò una risposta che Monica non comprese.

Il cellulare del commissario squillò. L’uomo guardò il display: era Ghinazzi. Attese qualche secondo, poi rispose.

«So’ il Ghina, Leo. Oh, icché tumm’hai chiamato?» esordì l’ispettore Denis Ghinazzi, un toscanaccio dalla battuta pronta.

«Certo, ma tu, come sempre non hai risposto. C’è la segnalazione di una ragazza scomparsa. Dobbiamo sentire il padre e l’amica anche se, secondo me, questo è un allontanamento volontario.»

«Mezz’ora e arrivo.»

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«Non serve perché il padre ha appena comunicato a Martinelli che è fuori e rientra in tarda serata. Tu vieni domani mattina per le otto e mezza che andiamo da lui in ditta. Puntuale, mi raccomando!»

«Puntualissimo come sempre!» sogghignò l’ispettore i cui ritardi erano memorabili.

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Eccolo.

È tornato, di nuovo.

Devo fermarmi.

Non posso far finta di niente.

Non c’è un cazzo da fare: devo sdraiarmi.

Al buio.

Non ricordo il giorno in cui tutto questo è iniziato.

Questo maledetto mal di testa, è con me da tanto tempo, troppo tempo.

Colpa dello stress, dicono.

Inizia con un rumore nella testa: come un ticchettio continuo.

Una sorta di martello pneumatico che batte.

Batte e ribatte.

Rimbomba.

Rimbomba dappertutto.

Devo sdraiarmi.

Devo stendermi, immobile come una mummia, e con gli occhi chiusi.

Devo concentrarmi sulla respirazione per cercare di decelerarne il ritmo.

Mi sembra di impazzire.

Basta!

Calma, calma…

Devo solo sdraiarmi e attendere.

Passerà.

Certo, passerà.

È sempre passato.

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4. DIECI GIORNI PRIMA

L’indomani mattina quando, quasi puntuale, l’ispettore Ghinazzi giunse in commissariato a bordo del suo triciclo Piaggio MP3, trovò il commissario già in cortile che stava parlottando con alcuni agenti.

«Già operativo? E io che speravo di avere il tempo di prendere un caffettino, sai, mi sono buttato giù dal letto all’alba.»

Farri gli fece un cenno di saluto e lo osservò: non molto alto, ma atletico e scattante. “Quel sorrisetto stampato in volto non lo digerirò mai” pensò salendo in auto.

Con poche parole, scarne e concise come era solito fare, il commissario aggiornò il sottoposto sulla vicenda e su dove si stavano recando.

«Eccolo qua, capo» disse Ghinazzi mentre era intento a leggere sullo smartphone le notizie trovate in rete.

«Ricci srl. Specializzata nel settore dei serramenti e infissi. Tutto ebbe inizio sulle montagne piemontesi dove Cesare Ricci iniziò a dedicarsi alla produzione di mobili. Negli anni Novanta la piccola falegnameria si trasferì nell’imperiese e si specializzò in infissi di qualità. Ora il testimone è passato al nipote, Domenico Ricci, che continua a gestire l’azienda con grande serietà e professionalità.»

«Ghina, basta. Ho capito!» lo interruppe Farri con tono brusco.

«No, è per dire capo che si sono fatti i lilleri questi piemontesi» ribatté

l’ispettore con tono ironico ben consapevole di aver toccato un nervo scoperto perché le origini di Farri erano proprio sabaude. Giunsero in breve tempo a Diano Castello.

«Svolta alla prossima, ci siamo. Via Argine Destro.»

La via si aprì su una serie di capannoni. L’ultimo stabile in fondo a sinistra era un edificio più basso e di architettura elegante. Una facciata a vetri su cui risaltava l’insegna della Ricci accoglieva i clienti nello showroom dell’azienda.

Parcheggiarono nel piazzale poco distante dall’ingresso.

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Ghinazzi aprì la porta e cedette il passo al superiore. Quando furono all’interno, un sensore di movimento fece tintinnare un campanello che segnalò la presenza dei due.

Una ragazza sorridente, in un sobrio tailleur blu, andò loro incontro e li fece accomodare in sala d’attesa. Li informò che il signor Ricci era in leggero ritardo, ma che sarebbe arrivato al più presto.

Ghinazzi si stravaccò sulla prima poltroncina che gli capitò a tiro e iniziò a sfogliare una rivista di arredamento presa dal tavolino posto al centro della stanza. Il commissario, invece, rimase in piedi. Lanciò un’occhiata di rimprovero all’ispettore, poi iniziò a gironzolare osservando le fotografie appese alle pareti che narravano la storia dell’azienda.

Dopo una decina di minuti di attesa, Ghinazzi scocciato balzò in piedi. «Allora, mi fo’ un giro qui intorno» pronunciò sbuffando. Mentre l’ispettore giocherellava con i serramenti in mostra facendoli scorrere avanti e indietro sui binari degli espositori, vide sopraggiungere un’appariscente donna bionda che procedeva con andatura sicura nonostante gli alti tacchi dei sandali gioiello. Dietro di lei un uomo obeso e sudaticcio cercava di raggiungerla. Non riuscendoci, le ordinò di fermarsi.

I due iniziarono un’accesa discussione.

L’ispettore Ghinazzi scivolò, non visto, dietro a degli infissi in rovere poco lontani dalla coppia.

I due continuarono a battibeccare fin quando la donna si svincolò dalla presa dell’uomo e procedette con lunghe falcate verso la sala d’attesa.

«Piano Tatjana, cazzo! Che figura mi fai fare?» bisbigliò l’uomo asciugandosi le tempie imperlate di sudore. La ragazza rallentò borbottando qualcosa in una lingua dell’Est.

«Il commissario Farri? Buongiorno, sono Domenico Ricci, lei è Tatjana Kazaj, la mia compagna. Scusi il ritardo. Avete notizie di mia figlia?»

«Noi no. E lei? Ha sentito Ambra?»

Domenico Ricci rispose affranto: «Ma no, da quando Francesca mi ha telefonato ho provato più volte a chiamarla, ma niente. Il telefono è sempre irraggiungibile.»

«Che lei sappia, c’erano dei dissapori tra Ambra e la sua ex moglie? Che rapporti c’erano tra lei e sua figlia? E tra Ambra e la signora Kazaj?»

«Ambra è una brava ragazza, solo un po’ ribelle. Peccato che dopo il diploma non abbia voluto andare all’università. Questo è l’unico cruccio

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che mi ha dato. Il problema vero è la mia ex moglie che ha scaricato su di lei tutte le sue frustrazioni di donna abbandonata.»

«Se mi posso permettere, Ambra non ne poteva più della madre. Non mi stupirei che se ne sia andata per qualche giorno proprio per farla pagare a Francesca» intervenne Tatjana.

«Comunque, Ambra l’ho vista domenica scorsa e poi non l’ho più sentita. Viene da noi ogni quindici giorni. I nostri rapporti sono buoni» specificò il signor Ricci.

«Che lei sappia frequentava qualcuno?»

«Mia figlia è una ragazza bella e solare, credo avesse delle simpatie ma, sa com’è, è un’età in cui si fa fatica a confidarsi con il padre.»

«E lei signora, ha qualche informazione da aggiungere?» incalzò Farri squadrandola con diffidenza.

«No, non l’ho vista. Ci siamo sentite al telefono. Voleva che le consigliassi l’abbinamento giusto per un paio di short gialli che aveva acquistato.»

«Tutto qui?»

«Sì, cioè… si è anche lamentata di sua madre e dei suoi continui attacchi di ansia.»

«E del ginecologo non ci dice niente? Per quale motivo le ha chiesto il numero?»

La voce fuori campo sorprese i due alle spalle facendoli sobbalzare. Farri, che non si era perso una mossa del collega, aveva simulato così bene che Ricci e la donna non si insospettirono e non sentirono Ghinazzi avvicinarsi.

I due lo fissarono deglutendo nervosamente.

«Oh bimba, so’ il Ghina. Siamo usciti ora dalla ditta Ricci. Ricordami un po’: per che ora è convocata la Melis?»

Monica rispose imbarazzata: «Alle undici e trenta, isp.»

«Okay. Sono le dieci, ci vediamo più tardi.»

Farri e Ghinazzi stavano percorrendo l’Aurelia in direzione Imperia. L’ispettore, al volante, guardò di sottecchi più volte il collega che non proferiva parola dal momento in cui avevano lasciato la Ricci srl. Dopo qualche minuto, con l’espressione più seria di cui era capace, si decise a rompere il silenzio. «Incazzato?»

Leo Farri continuò a osservare il paesaggio sfilare veloce oltre il finestrino.

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«No dico, hai visto che le mie bischerate quasi sempre tornano utili?»

Farri si decise a rispondere: «A parte che le tue bischerate, come le definisci tu, sono degli atteggiamenti indisponenti, e poi hai avuto culo!»

«Vabbè, chiamiamolo culo. In realtà, se fossi rimasto come te, rigido e ingessato in quell’ufficio, ‘un s’avea questa chicca!»

«Comunque, occorrerà verificare con il dottor Dezzuto se questo fatidico appuntamento sia già avvenuto e quale sia il motivo della visita: se è la richiesta della pillola come ha detto la compagna del Ricci, o altro» sentenziò Farri.

«Ovvìa, per farmi perdonare l’insubordinazione, ti porto a conoscere un amico e beviamo una spuma. L’hai già bevuta? Sai cos’è?»

«Vada per la spuma, anche se non so cos’è. Sbrighiamoci, però, perché vorrei tornare in commissariato. Novità in ufficio? Cosa ti ha detto la pinguina al telefono?»

«Nessuna novità. La Melis arriva alle undici e trenta. E poi, basta chiamarla pinguina. Martinelli è giovane, deve imparare. Non riprenderla in continuazione!» concluse l’ispettore mentre parcheggiava a Porto Maurizio.

Quando i due uomini entrarono al Molo 56, il proprietario del cocktail bar uscì da dietro il bancone e andò loro incontro: «Che piacere vederti, Denis! Però quando sei con belle figliole ‘un passi mai» pronunciò concitato, mentre abbracciava l’ispettore Ghinazzi.

«Fai il serio, Duccio. Lui è il mio capo, il commissario Farri. Non deve capire quanto siamo grulli!» rispose Ghinazzi.

«Buongiorno commissario. Ci scusi sa, forse lei non è abituato, ma due toscani insieme…» aggiunse Duccio stringendo la mano a Leo Farri. «Ora, il mio amico ti racconterà cos’è la spuma. Vengo qua ogni tanto a berla. Portacene due bionde. Noi ci sediamo fuori» precisò Denis mentre si dirigeva verso un tavolino all’esterno, seguito da Leo. Dopo pochi minuti, Duccio che era un omino piccolo e magro, giunse con due bicchieri di una bevanda giallognola.

«Facci lo spiegone, sennò questo ‘un beve» disse l’ispettore.

«La spuma è una bibita analcolica gassata a base di acqua, zucchero, caramello, spezie e aromi vari. Si fidi commissario.»

Farri sorseggiò la bibita, mentre gli altri due lo osservavano lanciandosi strane occhiate. Solo quando sembrò gradire, Ghinazzi ironizzò: «Forse mi è andata bene, Duccio. Stavolta ‘un mi licenzia!»

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Leo Farri commentò: «In effetti, devo dire che non è male. Ha quella punta di amarognolo che è rinfrescante e dissetante».

«E poi c’ha anche tante altre qualità, ma qui ‘un si posson dire» concluse Duccio mentre si allontanava.

Il commissario e l’ispettore, tra un sorso di spuma e l’altro, si scambiarono le proprie impressioni su Domenico Ricci e la compagna. Concordavano sul fatto che i due non fossero allarmati per la scappatella di Ambra. Ipotizzarono che il rapporto amicale tra la ragazza e Tatjana avesse favorito qualche confidenza tale da giustificare questo loro atteggiamento.

Il telefono di Leo Farri prese a squillare. Il commissario lo sfilò dalla tasca e l’allontanò quanto bastava per leggere il display, aveva dimenticato gli occhiali in commissariato. Serrò la mascella e il dettaglio non sfuggì all’ispettore.

Il commissario si alzò dirigendosi verso il mare. «Leonardo?» fece in tempo a sentire Ghinazzi, prima che Farri si allontanasse troppo.

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«Insomma, non mi sembri nemmeno un po’ sconvolta. La tua amica è scomparsa e tu, niente» sentenziò il commissario.

Arianna Melis scavallò le gambe mettendo in evidenza una piccola farfalla rossa tatuata sul polpaccio destro.

Iniziò a tormentare una ciocca dei capelli castani.

«Non è che non sono sconvolta, è che proprio non so dove sia andata» rispose la ragazza cambiando tono e atteggiamento.

«Quindi, ricapitoliamo: avete preso insieme il bus delle sedici e trenta alla fermata di Taggia, siete arrivate alle diciassette a Sanremo. Chi avete incontrato in piazza Colombo? C’era qualcun altro con voi?» chiese l’ispettore Ghinazzi.

«Un’amica, Samira Massoud. Chi abbiamo incontrato? Ma che domanda è, come faccio a dirglielo: c’era il mondo. Ci si ritrova tutti là e poi i vari gruppetti si dividono. C’è chi va al Caipirinha per un aperitivo, chi si reca nella via pedonale a fare shopping, chi va alla spiaggia libera e chi, come me, si mette in coda da Grom. Non ho idea di dove sia andata Ambra.»

«Martinelli, chiama un po’ questa Massoud Samira e falla venire qui al più presto» ordinò il commissario.

«Oh, signorina. Non farci perdere tempo, è il momento di dire tutto quello che sai. Ambra doveva incontrare qualcuno? Era già successo che tornaste a casa ognuna per i fatti propri?»

Farri non le diede il tempo di rispondere: «Perché ho la sensazione che quest’uscita a tre sia uno stratagemma? Una bella scenetta per far stare tranquilli i vostri genitori. Forse sei tu che dovevi incontrare qualcuno, e hai lasciato la tua amica, correggimi se sbaglio».

La ragazza dimostrava più dei suoi vent’anni sia per il trucco accentuato, sia per lo sguardo provocatorio con cui reggeva gli occhi del commissario.

«Io sono tornata in macchina con Stefano, il mio ragazzo.»

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A un tratto l’ispettore Ghinazzi sembrò avere un’intuizione: «Come era vestita Ambra?»

Arianna fece una smorfia e girò gli occhi al cielo. «Con un paio di short gialli, camicetta di voile abbastanza scollata e i sandali. Mi ha fatto rosicare: con quelle gambe, gli occhi della piazza erano quasi tutti per lei! Sembrava, pure, piuttosto su di giri al punto che Samira le ha chiesto cosa si fosse fumata. Lei rideva e rideva sbattendo i lunghi capelli biondi di qua e di là. Bah…»

«Ho capito perché non te ne importa niente di lei, sei invidiosa! Altro che amica del cuore come dice la mamma di Ambra» la interruppe l’ispettore.

«Ah, la stordita le ha detto così? Quella non sa niente di Ambra: non ha nemmeno capito che le sue telefonate erano così insistenti che sua figlia spegneva il telefono.»

«Non mi hai ancora risposto: Ambra doveva incontrare qualcuno? Vi ha detto il perché di tanta euforia?» aggiunse Farri, mentre Martinelli comunicava che Samira Massoud sarebbe arrivata entro un’ora.

«Che ne so io, può essere… nelle ultime settimane faceva la misteriosa. Avrà incontrato un figo non del giro e non raccontava nulla per paura dei commenti.»

I due poliziotti congedarono la Melis dicendole di rimanere a disposizione.

«Queste hanno le bocche cucite, capo. Non si fanno mica le scarpe una con l’altra. Come dar loro torto? L’abbiamo fatto anche noi alla loro età, o no?» commentò Denis.

Samira Massoud si sedette davanti a loro.

Era una ragazza piccola, graziosa e con la pelle color caffellatte. I lunghi ricci neri erano domati da un cerchietto di plastica.

«Sarà una cosa lunga?» esordì con tono scocciato mettendosi sulla difensiva.

«Sei appena arrivata e te ne vuoi già andare. Hai capito che questo è un commissariato di polizia? Che l’agente Martinelli sta verbalizzando?» la riprese Farri brusco.

Samira, comprendendo di aver esagerato, rispose mortificata alle domande confermando quanto detto da Arianna sull’ora e sugli amici.

«Che cosa hai fatto tu a Sanremo?» le domandò Farri.

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«Sono andata nella via dello struscio per fare degli acquisti: da Kiko e da Calzedonia. Come può vedere le mie sono spese normali perché il mio budget è minimo. Non sono certo andata a comprarmi un portafoglio di Gucci.»

«Chi è che si sarebbe comprato un portafoglio di Gucci?» intervennero all’unisono i due poliziotti.

«Ambra. Ma non sabato, tempo fa.»

«Perché questa vena polemica?» la incalzò Ghinazzi.

«Ma no, niente. Ci sta, l’avevamo capito tutti che ad Ambra i soldi non mancavano. D’altronde, ha il papino con la ditta!»

«Cosa ci racconti di Ambra? Doveva incontrarsi con qualcuno?» la pressò il commissario.

«A me, non ha detto niente. Comunque, sabato l’ho vista piuttosto strana. Ho avuto l’impressione che si stesse guardando intorno proprio alla ricerca di qualcuno. Di più non saprei dirle.»

«Hai notato qualcosa in particolare?» intervenne Ghinazzi.

«Beh, se devo essere sincera, mi è sembrata un po’ euforica. Come quando si è brilli, per intenderci.»

«Tu come sei andata a casa?» le chiese a conclusione Farri.

«Con il bus delle ventitré e trenta.»

«Si credono tutte ganze, ste ragazze!» intervenne Ghinazzi stiracchiandosi rumorosamente sulla sedia.

I due colleghi ricapitolarono le poche informazioni ottenute. L’uscita a tre era un pretesto, arrivate a Sanremo ognuna faceva i cavoli propri.

Ambra sembrava essere su di giri e forse doveva incontrare qualcuno. Sospettavano che su Ambra le due amiche sapessero qualcosa di più, forse più Arianna che Samira. Comunque, non sembravano preoccupate.

«Giusto per scrupolo, capo, vo’ a fa’ un giro al poliambulatorio Riviera

Salute di Diano Marina sperando di ottenere, grazie al mio charme, qualche informazione sulla visita della Ricci dal dottor Dezzuto.»

Monica rise, ma si bloccò appena si accorse dell’occhiataccia di Farri.

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Erano le ore diciannove quando Farri, di ritorno da un sopralluogo alla casa vacanze in località Diano Borello dove si era verificato un furto, parcheggiò la macchina di servizio nel cortile del commissariato.

Notò che il triciclo dell’ispettore era già lì, sotto gli occhi ammirati di due agenti.

«Non vi piacerà mica ’sto baraccone» pronunciò sottovoce mentre passava davanti ai due.

Gli agenti scattarono sull’attenti.

Monica, che era arrivata con lui, non disse nulla, ma guardò i colleghi facendo una smorfia di disappunto per l’infelice battuta del commissario.

Farri si diresse verso l’ufficio dell’ispettore.

Non appena sentì quel rumore che lo faceva uscire dai gangheri si bloccò: oltre la porta era udibile il rimbalzo veloce di una pallina con cui il collega era solito giocherellare.

Ghinazzi aveva la strana abitudine di far rimbalzare una pallina da tennis contro la parete ogni volta che doveva raccogliere le idee, cosa che Farri odiava, ma i continui rimbrotti del superiore non gli avevano ancora fatto perdere questa mania.

«Direi di chiudere la partita qui» esordì il commissario spalancando la porta dell’ufficio.

«Capo, ti consiglio di bussare la prossima volta perché non vorrei mai colpirti. Vabbè: game over.»

«Come è andata al poliambulatorio senza decreto?» chiese Farri.

«Ma che domanda superflua, bene! La brunetta con le ciglia ‘flap flap’ non ha saputo resistermi. Mi è bastato un oh bimba con ‘odesto sorriso te tummai illuminato la serata.»

«Ghinazzi, al sodo.»

«Allora, l’appuntamento della ragazza dal dottor Dezzuto era fissato per giovedì scorso. Ambra si è presentata puntuale e probabilmente lo scopo della visita era proprio quello di farsi prescrivere la pillola

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anticoncezionale. Insomma, questa vuole scopare tranquilla» ridacchiò Denis.

«Perché dici probabilmente?»

«Perché Virginia non mi ha rivelato questa informazione, ma non l’ha nemmeno smentita. Ha sbattuto le ciglia e io ho compreso.»

L’agente Martinelli li interruppe per avvisarli che la madre di Ambra era in portineria.

Il commissario uscì dall’ufficio seguito dall’ispettore.

«Ci sono novità, commissario?» chiese la donna precipitandosi verso di loro.

Ghinazzi notò che Francesca era pallida, con gli occhi cerchiati, e comprese tutta la sua disperazione.

«Nulla di rilevante, signora. Abbiamo ascoltato il suo ex marito e la signora Kazaj.»

Le parole del commissario furono interrotte da quelle indignate della donna: «Che avranno, senz’altro, dato tutta la colpa a me! Domenico si è preso sempre solo il bello della figlia, i problemi me li sono smazzati da sola!»

«Si calmi, signora Torchio perché da quanto è emerso dal padre e dalle due amiche che erano con lei sembrerebbe che Ambra dovesse incontrare qualcuno, forse un ragazzo conosciuto da poco. Piuttosto, ha per caso controllato se dalla camera di Ambra manca qualcosa?» riprese Farri con tono calmo.

«Beh, senz’altro lo zaino. Poi, non ho trovato il bel vestito a fiori che mia figlia indossava il giorno della maturità e ho immaginato, ed è per questo che sono qui, che fosse il vestito con cui è uscita. Può esservi utile?» rispose Francesca tormentandosi le mani sudate.

«Certo. Ora segnaliamo il tutto. La terremo informata» concluse il commissario accompagnandola verso l’uscita.

«Aggiorniamo la segnalazione con questa notizia: la ragazza aveva con sé un cambio. Forse, a questo punto, anche più di uno.»

«Lo faccio io» rispose l’ispettore mentre tornavano verso gli uffici. Ghinazzi tornò con la mente a sette anni prima. A sua sorella Claudia e al suo zaino. Da fratello maggiore riteneva di dover proteggere quella sorella più piccola di lui e quindi, spesso, frugava tra le sue cose per capire se stesse frequentando qualcuno. Aveva trovato una scatola di

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preservativi e, pur sospettando che Claudia si fosse rimessa con quel poco di buono di Massimo, era stato zitto.

“Maledetto me! Non riesco mai a tenere la bocca chiusa, ma quella volta non ho parlato. Avrei forse potuto evitare ciò che è successo?” pensò avvicinandosi al pc. Poi, allontanando dalla mente il senso di colpa dovuto a quei brutti pensieri che lo tormentavano da allora, si mise al lavoro.

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La mia mente dà segni di squilibrio.

Nei momenti di lucidità, mi rendo conto quanto sia fragile il filo al quale è legato il mio futuro.

Devo agire. Lo so.

So anche, però, che la riuscita del piano è influenzata da troppe incognite.

Troppe variabili non previste.

Non posso permettermi di sbagliare.

Tutto deve funzionare.

Tutto deve essere perfetto.

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8. NOVE GIORNI PRIMA

«Bonjour Daniel! Il solito?» esordì con tono allegro il proprietario del bar La Cambusa situato sotto i portici del quartiere Oneglia di Imperia. Il saluto era per un giovane con un borsone da tennis a tracolla.

Daniel Bonnet si fermava da lui a far colazione ogni giorno prima di andare al lavoro.

Di origine francese era il tipico uomo che non passava inosservato: alto, moro, fisico prestante, sempre abbronzato e con un’intrigante erre pizzicata.

Daniel annuì e si sedette al tavolino d’angolo, posto vicino alla vetrata. Dopo qualche secondo, gli fu servito un cappuccino doppia schiuma con sopra il disegno di un cuore di cacao e un croissant alla marmellata.

«Il cuore te l’ha fatto Nina. Le ho detto che sei sposato, ma da quando sei il suo maestro di tennis, si è presa una cotta» sussurrò l’uomo chinandosi su Daniel.

Il giovane sorrise compiaciuto e fece un cenno alla barista dallo sguardo estasiato.

Un vociare concitato proveniente dall’esterno mise tutti in allarme. Baristi e avventori uscirono per vedere cosa fosse successo. Mirko, il ragazzo delle consegne, arrivò di corsa: «La signora Costa, la signora Costa è morta!»

«Ma cosa dici? Dove? Che è successo? Qualcuno ha chiamato l’ambulanza?» chiese Silvio, il proprietario de La Cambusa.

Daniel Bonnet balbettò: «Cosa? Cosa è successo a Valeria? Si è sentita male?»

Davanti all’ingresso del centro commerciale Galleria degli Orti, a un isolato dal bar, si era formato un assembramento di persone. Un paio di uomini bloccavano l’ingresso ripetendo: «Indietro! L’ambulanza è già arrivata. Lasciate libero il passaggio!»

Daniel, giunto insieme a Silvio e agli altri cercò invano di entrare dentro la Galleria: un piccolo centro commerciale di una ventina di negozi posti a semicerchio attorno a un giardinetto. Vi si accedeva attraverso un

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portone ad arco sotto i portici di via Bonfante, la via principale di Imperia.

«Daniel, cos’hai? Ti senti male?» domandò Silvio vedendo che il giovane, appoggiato alla parete, era impallidito.

L’auto con a bordo il commissario Farri e l’ispettore Ghinazzi giunse a sirene spiegate. Mentre i due poliziotti scendevano di corsa, alcuni agenti stavano già isolando la zona deviando il traffico e tenendo alla larga i curiosi.

«Buongiorno commissario, ho solo potuto constatare il decesso» disse il medico rivolgendosi a Ghinazzi, che più agile di Farri era arrivato per primo nei pressi del negozio Tesori d’Arte.

«Il commissario sono io!» specificò Farri giungendo subito dopo e allungando la mano all’uomo.

«Chiama la Scientifica, il medico legale e avvisa il PM» ordinò Farri all’ispettore.

«Dove l’avete trovata?» chiese Leo Farri.

«Nell’ufficio sul retro, seduta allo scrittoio. L’ingresso principale era chiuso mentre l’uscita di sicurezza che si affaccia sul cortile era spalancata. Siamo, quindi, entrati da via Monti e la prima cosa che abbiamo notato è stato un vassoio a terra con tazze, tazzine e bicchieri frantumati» precisò il medico del 118.

«Ah, sì… mi è già stato riferito che a trovarla è stato il ragazzo del bar. Ora sentiremo lui e tutti i presenti per farci un quadro della situazione» concluse il commissario.

Mentre la Scientifica era al lavoro, Farri tentò di entrare per osservare la scena del crimine.

«E che cazzo, commissario!» urlò il capo della Scientifica. «Ci lascia lavorare in pace? Se proprio non può fare a meno di entrare, si metta almeno quella minchia di calzari!» continuò con voce concitata il dottor Restuccia con marcato accento palermitano.

Tutti i tecnici si bloccarono osservando Farri che indietreggiava offeso. Poi ripresero silenziosi il loro lavoro. Uno di loro si portò in diversi punti per fotografare da varie angolazioni la scena del crimine e tutti gli oggetti presenti. Poi, si soffermò a lungo sul cadavere riprendendolo da ogni lato. Anche da vicino. Lo scrittoio Luigi XVI, su cui era riverso il

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corpo di Valeria Costa, fu oggetto di analisi accurate alla ricerca di impronte, capelli, pelucchi o altro.

Arrivò anche il medico legale che indossando tuta bianca, soprascarpe, guanti, mascherina e cuffietta iniziò a esaminare la vittima. Terminato il suo lavoro, la dottoressa Triolo, una donna ormai prossima alla pensione, bassa e piuttosto robusta, fece entrare Farri e Ghinazzi ed esordì con tono brusco: «La donna è stata strangolata con un oggetto che al momento non saprei identificare. Sembra una beffa perché, guardate qui, le ha lasciato sul collo uno strano segno a forma di piccoli rombi, quasi un ricamo semplice ed elegante che fa pendant con l’abito in pizzo che indossa» precisò indicando con il dito il collo di Valeria Costa. Poi, continuò in modalità velocizzata indicando il viso della morta: «Vedete questi segni? Sono emorragie petecchiali, le stesse che danno il colorito rosso bruno alla sclera. Un chiaro indizio di morte per strangolamento. L’assassino era alle spalle della vittima ed è proprio qui che deve aver incrociato ciò che ha usato per ucciderla» pronunciò, indicando un segno di colore bluastro. «Vedete questi graffi sul collo? Sono unghiate auto inflitte nel disperato tentativo di allentare la stretta del laccio o di quel che era, e potrei dirvi che è una costante nei casi di strangolamento. In sede autoptica analizzeremo l’eventuale materiale biologico presente sotto le unghie» terminò la dottoressa Triolo, mentre spulciava gli appunti presi.

«Scusi, non vorrei interferire, ma ho appena notato che l’orologio al polso della donna ha il vetro frantumato» intervenne Ghinazzi.

«Stavo per dirlo. Ed è fermo alle otto e dieci. Anche questo è tipico perché la casistica ci insegna che l’aggredito prima cerca di strapparsi via dal collo ciò che lo sta stringendo, poi rotea le braccia in aria. Lei le avrà sbattute sullo scrittoio. Rileveremo anche tutti gli ematomi presenti sul corpo» concluse il medico legale allontanandosi.

«Che tipo, miss simpatia!» commentò Leo Farri che non amava essere trattato con sufficienza, soprattutto dalle donne.

«Vabbè, si sarà scocciata per la mia osservazione» rispose l’ispettore.

Sopraggiunse Martinelli per domandare al commissario se si sarebbe diretto al bar La Cambusa per sentire il giovane Mirko o se lo doveva convocare in commissariato e per riferire che Daniel Bonnet, genero della vittima, era stato accompagnato al Pronto Soccorso per un malore. Appena fece un passo oltre lo scalino d’ingresso vide una scena che la

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fece inorridire. Non le era mai capitato di trovarsi faccia a faccia con una morte violenta, quella vera, diversa da quella dei film. Si pietrificò e si sentì mancare le gambe.

Farri intuendo che l’agente era prossima a un malore, la rimbrottò: «Esci. Non vorrai mica vomitare o svenire qui!»

Monica corse fuori.

«O bellina, te ttu mi sembri il cencio della ‘mi mamma! È la prima volta, vero? Capita a tutti, non ti preoccupare e non ti vergognare. Ora sei battezzata» le disse Ghinazzi avvicinandosi. «Non devi lasciarti impressionare, se ci tieni a fare il poliziotto» gli sussurrò in un orecchio, dopo averle dato una carezza sulla spalla. «È il nostro mestiere» aggiunse allontanandosi.

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Poco dopo le quindici, il cadavere fu infilato nel sacco mortuario e una volante scortò il carro funebre fino all’obitorio dell’ospedale di Imperia per l’autopsia.

La Scientifica fece una perquisizione scrupolosa che si protrasse per parecchio tempo. Farri seguì le operazioni.

I poliziotti lasciarono il negozio con il materiale sequestrato sigillato in buste e in scatole di cartone: agende, quaderni con appunti di contabilità, documenti bancari, smartphone e MacBook Pro rinvenuti sullo scrittoio. Un gruppo di giornalisti attendeva con ansia e curiosità sulla strada. Erano arrivati alla spicciolata per essere i primi a scrivere di un omicidio che l’indomani avrebbe occupato le prime pagine dei quotidiani locali. Forse anche di qualche giornale nazionale.

“Maledetti avvoltoi!” pensò il commissario. Poi sbraitò seccato:

«Conoscete la procedura e non devo ricordarvela. Per il momento non rilasciamo interviste. Esiste il segreto investigativo e non posso rivelarvi proprio nulla. Per favore, lasciateci passare. Ne parleremo al momento opportuno».

L’umore di Leo Farri, che già non era buono, divenne pessimo nel momento in cui gli squillò il cellulare e lui riconobbe il numero interno della questura di Imperia.

Rassegnato accettò la chiamata.

Era la segretaria del questore Catanzaro che, acida come sempre, lo travolse con un fiume di parole: «Commissario, stiamo tenendo a bada la stampa, ma il questore vuole che sia emesso un comunicato, anche sintetico. Provveda. Siete convocati tutti domani mattina in questura alle nove. Si aspetta che riusciate ad arrivare già con un piano investigativo dettagliato».

Denis Ghinazzi aveva da poco congedato Mirko e Silvio, quando vide sopraggiungere Farri. Intuì quanto fosse alterato sia perché procedeva

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lungo il corridoio del commissariato con passo marziale, sia perché dopo essere entrato nel proprio ufficio sbattè la porta.

Attese una decina di minuti, poi andò a comunicargli quanto emerso nei due interrogatori. “Ghina, vedi un po’ di non far bischerate, perché oggi non è giornata” pensò mentre bussava alla porta.

Riferì, controllando gli appunti presi sul suo solito taccuino nero, che dal ragazzo del bar aveva ottenuto ben poche informazioni: come ogni mattina, alle nove in punto aveva fatto un altro giro di consegne, tra cui quella per Valeria Costa.

Poiché i negozi al centro commerciale Galleria degli Orti aprivano alle dieci, era passato come al solito dal retro la cui porta stranamente era aperta. Entrò e vide la donna riversa sullo scrittoio. Intuì subito che era morta per via della lingua penzoloni e degli occhi sbarrati. Gli cadde il vassoio dalle mani e corse via urlando.

Più interessanti erano le informazioni ottenute da Silvio. L’uomo non solo aveva confermato quanto detto da Mirko in merito agli orari, ma aveva aggiunto che da quando era rimasta vedova la donna si recava in negozio molto presto e sempre prima delle otto di mattina. Gli aveva raccontato che quello era il momento migliore per evadere le ordinazioni e controllare le bolle di consegna. Intorno alle nove, attendeva il barista con la colazione: un centrifugato di frutta e un trancio di focaccia di Recco.

«Cioè, in pratica, abbiamo saputo un cazzo!» lo interruppe brusco Leo Farri.

«Lasciami almeno finire, così capisci!» rispose l’ispettore mordendosi la lingua per aver utilizzato la sua solita modalità irritante. Farri, sbuffando e alzando gli occhi al cielo, riprese: «Sbrigati allora, non ho tempo da perdere!»

«Vengo al dunque: al bar era presente anche Daniel Bonnet, genero della vittima. Come ogni mattina, va a bersi il solito cappuccio prima di andare in negozio dalla suocera perché da alcuni mesi sostituisce la moglie Sara, incinta. Accorso come tutti nei pressi del Tesori d’Arte, è impallidito e sembrava stesse per avere un malore. Gli amici, per sicurezza, lo hanno accompagnato in Pronto Soccorso.»

«E questo Bonnet, adesso dov’è? L’avete sentito? Che avete fatto fino a ora, dormito?» esplose il commissario irritato.

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«Tranqui Leo! Ho già mandato Martinelli in pronto. Attenderà le sue dimissioni e lo porterà qui.»

«Okay. Occorrerà sentire anche la figlia, o i figli. Sai quanti sono? Visionare le registrazioni delle telecamere, sentire cosa hanno riferito i commercianti vicini e i clienti».

«Ho già tutto, capo. Perché qui ‘un si dorme. Valeria Costa ha una sola figlia: Sara. Ora dovrebbero arrivare i verbali redatti dagli agenti che si sono occupati di interrogare le persone presenti sul luogo. Per quanto riguarda le telecamere, ho fatto richiesta di sequestro dei filmati. Purtroppo, su via Monti, dove si affaccia il retro del negozio, non sono state installate.»

Ghinazzi ritornò in ufficio e per concentrarsi, ma anche per allentare la tensione che aveva accumulato, iniziò a giocherellare con la palla da tennis tirandola, con discreta forza, contro la parete per poi riprenderla al volo. Sorrise perché era ben consapevole che mentre lui così avrebbe diminuito lo stress, Farri si sarebbe caricato a pallettoni. «Sono tornata, isp. Il signor Bonnet è di là in attesa. Vado a dirlo a lui?» disse Martinelli affacciandosi alla porta e indicando con il pollice l’ufficio di Farri.

«Fatti un po’ vede bellina: te ttu hai ripreso ‘olore, ‘un sembri più il cencio della ‘mi mamma, ma la tovaglia a fiori della ‘mi nonna» rispose l’ispettore ridacchiando. Poi aggiunse: «Stoppati Monica. Da lui, per ora, è meglio non andare perché gli stanno girando».

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10. OTTO GIORNI PRIMA

Finì di asciugarsi il viso e ripose l’asciugamano. Guardò il suo volto riflesso nello specchio: lo sguardo rimpicciolito da un lieve accenno di borse sotto gli occhi, sulla testa vortici di ricci sbrigliati da un sonno inquieto, la piccola cicatrice sul labbro che era sempre lì a ricordargli di quel delinquente arrestato anni prima quando era commissario. Le spalle ancora possenti, ma quel ventre piuttosto appesantito non era certo sintomo di ottima forma. “Però, non sono poi così male… d’altronde ho sessantasette anni” pensò il questore Catanzaro. Era ora di vestirsi, di prepararsi per quella lunga giornata in questura. Era stufo di tutte quelle rogne: furti, spaccio, prostituzione, risse e ora anche la morta ammazzata.

“Questa proprio non ci voleva e a poco più di un mese dalla tanto attesa pensione” sospirò mentre gettava ancora uno sguardo sui dépliant della MSC Crociere.

Sua moglie Palmira lo chiamò per il caffè.

«Mi vesto e arrivo. Dammi cinque minuti.»

Indossò l’abito blu di lino e la camicia Oxford. Si decise a scegliere una cravatta. Ne aveva tantissime e tutte della nota marca Marinella. Optò per quella con piccole meduse bianche.

Bevve il caffè in piedi com’era solito fare, e uscì.

Di lì a poco, avrebbe dovuto incontrare le solite facce: Farri, che tanto desiderava fare carriera ma non ne aveva le competenze; Ghinazzi con quella sua faccia da schiaffi, ma geniale, davvero geniale; e poi quel manipolo di agenti incompetenti.

Tutti là ad attenderlo con gli occhi bassi «Come se io fossi chissà quale aguzzino» bofonchiò tra sé. Era vero: ogni tanto gli capitava di alzare un po’ la voce, ma non lo facevano forse tutte le persone stressate per i carichi di responsabilità e impegni? In effetti, qualche volta aveva esagerato, soprattutto negli ultimi mesi, e questo per il semplice motivo che non vedeva l’ora di andarsene in pensione. Aveva già i biglietti per

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una crociera nel mediterraneo come giusto coronamento di una brillante carriera. Lui e sua moglie avevano un piano molto preciso diviso per giorni e per spiagge con tanto di escursioni e ristoranti.

Si aggiustò la cravatta specchiandosi nella vetrina di un negozio, passò vicino al Museo del Mare e giunse in piazza Duomo. Si soffermò a osservare il maestoso edificio della questura. L’unica cosa che gli dispiaceva era il fatto che, quando nel 2019 si sarebbe celebrato il centenario, lui sarebbe già stato in pensione.

Osservò il suo ufficio: l’unico con il balcone. Anche se a lui non era mai capitato, come a molti suoi predecessori del passato, di affacciarsi per rivolgersi alla popolazione, ogni tanto usciva perché lo faceva sentire potente e importante.

“È proprio bella la questura di Imperia!” pensò con una punta di orgoglio. Lo affascinavano soprattutto gli archi centrali, le colonne lisce e senza fregi, le finestre con le preziose cornici in contrasto di colore e il fatto che i tre piani fuori terra nella parte centrale diventavano quattro. “Disciplina, razionalità e ordine, proprio come piace a me”.

Ignorò il piantone all’ingresso che gli rivolse un saluto ossequioso e proseguì lungo il corridoio. Il passo deciso, le braccia oscillanti e la notevole statura gli conferivano un atteggiamento fiero.

Farri e i suoi erano già arrivati da oltre un quarto d’ora.

Il commissario camminava su e giù per la sala riunioni in evidente stato d’ansia, Martinelli parlottava sottovoce con altri due agenti. L’unico che non manifestava alcuna preoccupazione era l’ispettore Ghinazzi che, seduto sul davanzale della finestra, stava scorrendo le notifiche sullo smartphone.

Appena gli agenti si accorsero dell’arrivo del questore, smisero di parlare e si bloccarono. Farri si fermò e tirò fuori dalla cartellina i documenti del caso Costa, quasi dovesse ripassare. Ghinazzi saltò giù dal davanzale, mise in tasca il cellulare e osservò, con un sorrisetto, la scenetta che si era creata.

«Buongiorno a tutti. Veniamo subito al dunque» esordì Catanzaro.

Il commissario, in imbarazzo e quasi balbettando, iniziò a esporre i fatti: il ritrovamento del cadavere, il colloquio con il medico legale, l’assenza delle telecamere sul retro del negozio, le deposizioni del barista e del ragazzo delle consegne. Aggiunse che avevano ascoltato anche Daniel

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Bonnet, genero della vittima, che si trovava, al momento del ritrovamento del cadavere, all’interno del bar La Cambusa.

«E di questo cosa si sa?» lo incalzò il questore ancora prima che lui terminasse la frase.

«Poco dottor Catanzaro, ieri era ancora stordito dai calmanti che gli avevano somministrato al pronto soccorso. Oggi, io e l’ispettore Ghinazzi ci recheremo a casa sua per interrogarlo e per sentire la figlia di Valeria Costa» rispose Leo Farri.

«Credo di averle fatto ben capire ieri, tramite la mia segretaria, che volevo venisse qua già con un piano di indagini ben dettagliato e con una rosa di sospettati. Si rende conto di chi stiamo parlando? Valeria Costa è figlia del defunto onorevole Eugenio Costa e socia onoraria del prestigioso Sanremo Yacht Club. Questa è l’Imperia che conta!» sbraitò

Catanzaro alzandosi in piedi e battendo una poderosa manata sul tavolo in legno pregiato.

Ghinazzi, leggermente in disparte, si godeva la scena osservando quanto il commissario fosse sudato.

«Non è proprio così! Un’idea ce la siamo già fatta, ma prima di comunicargliela avevamo intenzione, come da procedura, di verificarla» intervenne, bluffando, l’ispettore.

«Ah. E poteva dirmelo prima Farri, no? Ghinazzi, mi fido del suo intuito. Attendo aggiornamenti al più presto» concluse Catanzaro mentre usciva sbattendo la porta.

Farri ebbe un attacco di gastrite e alterato: «Ghina, ma che cazzo hai detto? Ma quando la smetti di raccontare palle, al questore poi!»

«Keep calm, Leo. Ho solo detto quello che voleva sentirsi dire. Così per un giorno o due sta buonino. Non ti sei reso conto che i suoi modi erano più urticanti delle meduse che aveva su quella ridicola cravatta?» rispose Ghinazzi con tono ironico.

Il commissario inghiottì il boccone amaro e concluse: «Ora io e te andiamo a casa Bonnet. Voi, tutti in commissariato a rivedere i verbali delle deposizioni di ieri. Al nostro ritorno faremo un briefing riepilogativo. Veloci!»

Monica lo guardò attonita. Ghinazzi le fece l’occhiolino.

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Maledetta insonnia!

Rivedo tutta la scena…

Fa la furba e mi dà le spalle.

È seduta, impettita sulla sedia del suo tanto decantato scrittoio Luigi XVI.

Ride sarcastica.

Si prende gioco di me.

E poi quelle parole, quelle maledette parole.

È troppo.

Devo agire.

Devo farla tacere.

All’inizio esito perché un’interruzione vorrebbe dire… stare al di qua.

Ma quell’interruzione non c’è stata.

Ci sono invece i lembi della cinghia insieme ai capelli sciolti della stronza.

E quasi mi sembra che quei lembi mi stiano ammiccando e mi stiano dicendo: «Tirami, tirami. Cosa aspetti?»

Tiro e il primo singulto, un verso animale simile a un rutto, mi sorprende.

Non ho mai sentito nulla di simile.

Non perdo mai la concentrazione del compito da portare a termine, della cosa da finire in fretta.

Una parte del mio cervello registra tutto: le sue mani si slanciano in avanti a cercare un appiglio, poi tentano di liberare il collo dalla stretta.

Non ci riescono.

Mi sembra un’eternità.

Poi, la sua lingua penzoloni grossa e livida.

E quegli occhi sbarrati. Continuo a stringere forte, sempre più forte.

Non ho la certezza che sia già morta per cui devo continuare a stringere.

Devo finire, così do ancora uno strattone.

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INDICE Prologo.................................................................................................................5 1. Undici giorni prima..........................................................................................7 2...........................................................................................................................9 3.........................................................................................................................13 4. Dieci giorni prima..........................................................................................14 5.........................................................................................................................19 6.........................................................................................................................22 7.........................................................................................................................25 8. Nove giorni prima..........................................................................................26 9.........................................................................................................................30 10. Otto giorni prima..........................................................................................33 11.......................................................................................................................36 12.......................................................................................................................37 13.......................................................................................................................42 14.......................................................................................................................46 15.......................................................................................................................51 16.......................................................................................................................55 17. Sette giorni prima.........................................................................................58 18.......................................................................................................................61 19. Sei giorni prima............................................................................................65 20.......................................................................................................................69 21.......................................................................................................................70 22.......................................................................................................................74 23.......................................................................................................................77 24. Cinque giorni prima.....................................................................................81 25.......................................................................................................................84 26.......................................................................................................................87 27.......................................................................................................................90 28.......................................................................................................................91 29.......................................................................................................................94 30. Quattro giorni prima.....................................................................................97 31.....................................................................................................................100 32.....................................................................................................................103
33.....................................................................................................................106 34.....................................................................................................................107 35. Tre giorni prima.........................................................................................111 36.....................................................................................................................115 37.....................................................................................................................119 38.....................................................................................................................122 39. Due giorni prima........................................................................................123 40.....................................................................................................................126 41.....................................................................................................................129 42.....................................................................................................................133 43.....................................................................................................................137 44. Un giorno prima.........................................................................................141 45.....................................................................................................................144 46.....................................................................................................................145 47.....................................................................................................................149 48.....................................................................................................................153 49.....................................................................................................................154 50.....................................................................................................................157 51.....................................................................................................................161 52.....................................................................................................................162 53. Il giorno......................................................................................................165 54.....................................................................................................................168 55.....................................................................................................................169 56.....................................................................................................................174 57.....................................................................................................................177 58.....................................................................................................................178

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