Tre giri di chiave

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2 L’incubo va in scena

Paolo arriva mezz’ora dopo, invece. Colpa del pupo che gli ha vomitato addosso e stava per soffocare. Anche a lui la giornata è iniziata di traverso, ma mai come a me. «Bene, ora che c’è anche l’avvocato, possiamo iniziare?» tuona Tardini. Nessuno di noi due se lo fila. «Che gli hai detto, Gabriele?» «Che non l’ho ammazzata io. Non so nemmeno di cosa è morta! Non me l’hanno voluto dire. Siamo stati assieme fin verso l’una, l’una e mezza di notte, poi me ne sono tornato a casa. Lei aveva la giornata libera e poteva dormire fino a tardi. Se fossi rimasto assieme a lei, non sarebbe successo niente!» Non so cosa mi stia capitando. Di colpo mi prende l’angoscia e scoppio a piangere. Devo avere già bruciato tutta l’adrenalina. «Dai, Gabriele, fatti forza. Collaboriamo con la polizia e ce ne andiamo a casa. Non mi pare che ci siano elementi contro di te. Al massimo nell’attesa di accertamenti ti possono dare i domiciliari, parlerò col Commissario.» Lo guardo attraverso gli occhi velati. Rabbia e dolore mi soffocano. «Lei non c’è più, capisci? Non la potrò più riabbracciare…» Bevo un bicchiere d’acqua e mi rinfranco, ma è una consolazione da niente. «Iniziamo» annuncio poco dopo. Nome, cognome, occupazione, eccetera… È quando mi chiedono in che rapporto sto con la deceduta, che mi saltano di nuovo i nervi. «Abbiate più rispetto! Siete proprio delle macchine. Sospettosi, infidi, senz’anima…» Paolo mi stringe il braccio. Mi calmo. «Conosco Monica da circa sei mesi. Abitiamo appartamenti separati, ma viviamo assieme più o meno dallo stesso periodo. Troverete abiti e cose nostre in entrambe le case.»


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