Why marche 38

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PRIMO PIANO

Nel ricordo dei cibi più caratteristici L’aspetto propiziatorio del Capodanno era spesso assecondato da cibi caratteristici di questa giornata: oltre ai chicchi di uva appositamente appassita un altro alimento da contare con cura come auspicio di abbondanza erano le lenticchie, tradizione relativamente recente nelle Marche, ma comunque già assimilata e testimoniata da decenni: le lenticchie, tonde e brune come il bronzo, ricordavano le monete, e venivano cucinate nell’abbinamento con la carne suina, ottimale per tutti i legumi, ed in queste giornate “di grasso” assoluto non mancavano di certo quegli insaccati speciali succulenti come cotechini e di zamponi. La diffusione e codificazione anche nelle Marche di questa pietanza tradizionale di Capodanno si deve probabilmente anche al ricettario di Pellegrino Artusi La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (prima edizione nel 1891), modello sempre maggiore nei primi decenni del secolo scorso per la convivialità borghese italiana di tutta Italia. Una tradizione locale celebrava poi un episodio agiografico della vita di San Silvestro, commemorato nella giornata del 31 dicembre, quando nel fabrianese si prepara un piatto di broccoli, moltiplicati dal religioso nell’orto secondo leggenda (a Frontone qualcuno ricorda come si servissero lessati e conditi con olio, sale e pepe sopra del pane bruscato con l’aglio sulla graticola). Per questa festività inaugurale dell’anno si cercava di non far mancare nel pranzo l’altra presenza irrinunciabile delle grandi occasioni conviviali, ossia il dolce: spesso si trattava di semplice ciambellone, ma tra le tipicità dolciarie di Capodanno va ricordata a Pioraco la “crescia co lu paulittu”, ossia la torta con dentro una monetina (in origine il “paolo”, conio risalente al Regno della Chiesa), agognato portafortuna per il commensale che l’avrebbe trovata nella propria fetta, come secondo una tradizione assai comune in particolare nel Nord Europa.

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Quando i proprietari terrieri invitavano i contadini a tavola Alcuni contadini marchigiani, particolarmente fortunati per la generosità dei loro proprietari, vivevano a Capodanno la gioia di un pranzo memorabile: i coloni rispettavano l’obbligo (da qualcuno chiamato l’“onoranza”), sancito dai contratti mezzadrili, di portare i capponi al padrone in questa giornata. Venivano invitati così con l’occasione dai padroni più sensibili e illuminati, per un pranzo di ritrovo, divenuto nel tempo tradizione annuale “gentile” (e “gentilizia”). Erano diversi i possidenti che offrivano questo pasto festivo ai contadini ad apertura di anno: sia i privilegiati signori che invitavano (spesso erano i parroci), sia gli umili che erano invitati condividevano quel ritrovo conviviale con punti di vista ovviamente diversi ma con identico piacere: si ricorda la sala da pranzo con la tavola ben apparecchiata con tovaglie bianche e piatti filettati d’oro, l’arrivo dalla cucina dei piatti “reali” fumanti e profumati di pastasciutta, le bistecche e le salsicce gocciolanti di grasso (nel pesarese anche la “pasticciata” di carni miste), caldarroste, cesti con arance, mandarini, noci ed uva, ed infine ciambellone o “pizza bianca-nera”, caffè e vinsanto.


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