VicenzaPiù Viva n. 5, 25 febbraio 2024

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Enigmi,

V icen za P iù Viva

€ 4,00 con gli inserti Cool Tecno Sport

25 febbraio 2006 - 2024 Da 18 anni Sponsor ufficiale Vera informazione

Il carcere di Vicenza: problemi di … coscienza. Anche

Madame, perché i vicentini la odiano?

Tav Tac, Don Zorzanello resiste, Envision la certifica

Indagini a Trapani su vicentina City Green Light

Nuova serie, n. 5 / Mensile - 25 Febbraio 2024
storie, radici, farse, drammi, personaggi:
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Indice

• Editoriale. VicenzaPiù compie 18 anni. Di vera informazione (Giovanni Coviello) ....................... p. 5

• Violenza (di genere?) mediatica su un uomo: Cristina Gallio, falsa accusatrice di Vincenzo Vozzolo assolto. Ma il suo nome non c’è sul GdV (Giovanni Coviello) .................................. .......... p. 6

• La vicentina City Gr een Light: è un’inchiesta giudiziaria trapanese ad accendere la luce illuminando scenari ancora tutti da scoprire. Salvo che per la stampa locale (Angelo Di Natale) p. 8

• Il passaggio dell’alta velocità per Vicenza sarà certificato dal sistema internazionale Envision dell’università di Harvard (Luciano De Rugna) ................................................ p. 11

• TAV, vicentini rassegnati? La diocesi no. Don Matteo Zorzanello: “ci sarà impatto sociale e ambientale, cittadini hanno diritto di protestare” (Tommaso De Beni) ........................................ p. 14

• Vicenza, la città delle boomers (Giulia Guidi) p 16

• Una mente allenata ... by Petrus ........................................................... p. 19

• Esiste ancor a la spesa "intelligente"? Alcuni consigli su come orientarsi anche a Vicenza (Benedetta Ghiotto e Matteo Boschetti)

• La paur a di guardare al di là delle sbarre (Sabrina Germi) ....................................... p. 24

• Car cere di S. Pio X: tra vicende drammatiche e reali necessità (Benedetta Ghiotto) .................... p. 26

• Meno tensioni al carcere di Vicenza incrementando le attività lavorative al suo interno (Jacopo Maltauro) p 28

• Angela Barbaglio, nominata a Vicenza Garante per le persone private della libertà nella casa circondariale e per tutte quelle che sono in stato di arresto (Giovanni Coviello).................................. p. 30

• Francesca De Munari, la tuttofare dell’antiquariato di Vicenza (Tommaso De Beni)

• Stadio Menti: ieri, oggi e domani (Giulia Guidi) ............ .................................... p. 36

• Il CONI e il CSI nella rinascita dello spor t italiano nell'immediato dopoguerra (Sergio Serafin) p 38

• Cold case: Lud wig e il mistero del terzo assassino (Giulia Guidi) ................................... p. 41

• Noi, boomer s. I miti (Massimo Parolin) ...................................................... p. 43

• Perché i vicentini odiano Madame? (Giulia Guidi) p 48

• Un coc ktail di musica e brividi (Agnese Fiorenzato) . ........................................... p. 51

• Il pittor e vicentino Luigi Brunello: i suoi quadri al Chiericati, ma anche in un mercatino dell’usato (Claudio Mellana) p 52

• Immer sione nell’arte alla Fondazione Bisazza di Montecchio Maggiore (Marta Cardini) ................. p. 54

• Il tema delle escor t e della prostituzione è un tabù per troppe e troppi a Vicenza, ma le atlete del Vicenza Volley lo affrontano con maturità (Marco Ferrero) ........................... p. 56

• Gianmaria Gaspar ri, Patricia Labee: galeotto fu il palazzetto di Vicenza, la prima di tante storie sportive “in rosa” (Edoardo Ferrio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 58

• Francesca Zara da Vicenza a Vicenza nel segno di Gorlin e Concato (Edoardo Ferrio) .................. p. 62

• Foroncelli, l'ala di Vicenza che studia da grande per una maglia azzurra (Edoardo Ferrio) ............... p. 66

• Mr Robot: storia di un hacker contro il capitalismo, ma anche molto di più (Tommaso De Beni) p 69

• Donna Vicenza. L'enigma di un'icona devozionale (Agata Keran) .................................. p. 70

• Illuminazione a LED: l'innovazione che illumina il futuro di case, uffici, impianti sportivi, strade e capannoni industriali (Edoardo Pepe) ................................................ p. 72

• Cosa r esterà della parola scritta? (Marco Ferrero) ............................................. p. 74

• Fake news e fact checking: come riconoscere le notizie false (Iacopo Bernardini) p 76

• Una mente allenata ... by Petrus. (Soluzioni) ................................................. p. 78

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L'Editoriale

VicenzaPiù compie 18 anni. Di vera informazione

Non siamo depositari della verità, ma è vero che la cerchiamo senza condizionamenti da 18 anni. A volte la verità non è unica, ma noi siamo gli unici ad essere editori di noi stessi da 18 anni ininterrottamente. Non è vero che l’informazione non paga, ma è vero che chi la fa veramente non deve essere a busta paga dei poteri e degli uffici stampa. La libertà di stampa non esiste per chi non la persegue, magari per non essere trascinato in tribunale da chi può temerariamente pagare laute parcelle ai suoi avvocati. Siamo usciti in edicola 18 anni fa come VicenzaPiù e ci siamo tornati, affiancandola alla testata web VicenzaPiu.com omonima di ViPiu.it, in cui Vi è l’acronimo di Vicenza informa ma anche di Vera informazione, facendola pagare, il giusto, a chi vuole la libertà di leggere “chi scrive cosa” con libertà. Non esiste la vera informazione gratuita se non è di bassa qualità e se non è solo un raccoglitore di pubblicità. E se vivi solo di pubblicità chi decide cosa e come scrivi? I lettori non leggono più la carta stampata? È falso, non leggono la carta stampata che sa di inchini e copia e incolla ma anche quella che è di parte a prescindere e magari solo perché è una parte a finanziarla, direttamente o indirettamente. Non sbagliamo mai? Non è possibile, ma se sbagliamo non lo facciamo mai sui fatti, checché ne dicano, a volte, certi “giudici”, che non ci contestano i fatti ma le “espressioni”, comode da rigirare a proprio favore da parte di avvocati ben pagati da chi può farlo, magari dopo illeciti profitti. Se sbagliamo lo facciamo solo sulle opinioni, che magari ci fanno, ad

esempio, supporre (o “sognare”) un politico migliore di qualche altro. Ma le opinioni, che per loro natura sono opinabili, siamo pronti a rivederle, positive o negative che fossero o siano o saranno, sulla base dei fatti. Mai a comando.

Lo diciamo noi? No, lo confermano i nostri lettori da 18 anni e chi, dandoci linfa vitale rivolgendosi a loro, fa pubblicità su VicenzaPiù, senza condizionamenti e “ostracismi” da parte di certi poteri che ancora provano a sopravvivere a se stessi, nonostante i danni da loro provocati alla città, alla provincia e a suoi cittadini, danni che hanno quasi ridotto Vicenza e il Vicentino a una provincia periferica nonostante le grandi potenziali che ancora ha e che noi vogliamo aiutare a dispiegarsi dando spazio, accanto alle nostre firme più note, anche ai giovani che scrivono e imparano a farlo su VicenzaPiù e su ViPiu.it.

È così che, a pochi mesi dal ritorno in edicola come bimestrale siamo già diventati un mensile con inserti di tecnologia a portata di mente, di storie di sport, di cultura meno impaludata e più cool. È così che dalla distribuzione in città siamo passati a 115 edicole dei Comuni intorno a Vicenza per un totale di oltre 310.000 abitanti, alla collaborazione con club sportivi storici, che diffonderanno il nostro mensile tra atleti e pubblico, ed a presentazioni pubbliche frequenti sui temi chiave di ogni numero per approfondirne i contenuti e per accedere a molti più lettori… consapevoli e partecipi di quanto leggono sui nostri mezzi.

Oggi, 25 febbraio 2024, dopo il n. 1 del 25 febbraio 2006, compiamo 18 anni. La nostra storia è raccontata anche dalla 281 copertine della prima serie, che spesso rappresentano problemi ancora irrisolti ma denunciati da noi da quel dì, e ne potrai seguire l’evoluzione anche abbonandoti qui https://www.vipiu.it/ rivista/. Saremo contenti se ci farete i vostri auguri continuando a leggerci e invitando altri a informarsi sulle nostre testate, Questi auguri li ricambiano oggi e ogni giorno augurandoci di poter continuare a fare Vera Informazione, il sale indispensabile della Democrazia. Grazie

n. 5 / Febbraio 2024 - 5
 TRANSIZIONE CONTINUA, di Claudio Mellana Sfoglia le copertine di VicenzaPiù

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Violenza (di genere?) mediatica su un uomo:

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Cristina Gallio, falsa accusatrice

di Vincenzo

Vozzolo

assolto. Ma il suo nome non c’è sul GdV

Sono più gravi le fake news o le notizie non date? Un esempio

Sono più gravi le fake news o le notizie non date? Vediamo di chiedercelo, ad esempio, dopo questa notizia letta il 27 dicembre 2023 sul GdV, che alla vicenda di Vincenzo Vozzolo, accusato di molestie a un’impiegata delle Poste ma pienamente assolto anche in Appello, aveva dato ampio spazio sia nelle fasi di indagine che in quelle processuali, tanto più che le violenze alle donne, fisiche o psicologiche che siano, sono, purtroppo, all’ordine del giorno e, con la loro drammaticità, fanno, come si suol dire, notizia.

Ebbene sul quotidiano locale, già condannato per le prime notizie per diffamazione, a fine dicembre si leggeva che il direttore dell’ufficio postale di piazza Castello, Vincenzo Vozzolo, è stato nuovamente assolto in appello dopo nove anni di procedimenti legali sulle “accuse di violenza sessuale e stalking avanzate da un’impiegata“. La Corte d’Appello di Venezia ha confermato la decisione di primo grado, respingendo l’appello della parte civile, che cercava il risarcimento dei danni civili.

Nel 2014, l’impiegata aveva denunciato Vozzolo per molestie sessuali, affermando di essere

stata oggetto di apprezzamenti indesiderati e contatti fisici non richiesti. Nel settembre 2020, il Tribunale collegiale aveva emesso la prima assoluzione, sostenendo che il fatto non sussisteva. La recente assoluzione in appello ha sancito l’innocenza di Vozzolo anche dal punto di vista civilistico, con la Corte che ha rilevato la mancanza di prove sufficienti per supportare le accuse.

La difesa del direttore ha commentato che le denunce infondate danneggiano le reali vittime della violenza di genere. La Corte ha inoltre ordinato all’impiegata di coprire le spese del dibattimento,

evidenziando la totale mancanza di fondamento nelle accuse contro Vozzolo e concludendo così una vicenda giudiziaria lunga e controversa.

Notizia, che abbia sintetizzato, e che riporta la conclusione della vicenda, ma parzialmente.

Se è vero, infatti, che informa che le accuse al direttore delle Poste, erano infondate, non capiamo perché fare e rifare solo il nome e cognome dell’accusato, totalmente assolto in tribunale ma non si sa ancora se lo sia stato nel ricordo (lettori e pubblica opinione) di chi per lungo tempo ha letto delle sue malefatte non… fatte.

n. 5 / Febbraio 2024 - 6  Notizie non date
 Ex Palazzo delle Poste centrali di Vicenza, al centro delle false accuse di Cristina Gallio al direttore Vincenzo Vozzolo

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Immaginiamo che Vincenzo

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Vozzolo abbia subito, lui e la famiglia (moglie e figli), traumi non certo cancellabili solo dalla penna del magistrato.

Ma allora perché la penna (o la tastiera) del collega del GdV non ha riportato anche i nomi e i cognomi di chi, stando alla sentenza di appello, avrebbe calunniato Vozzolo facendogli subire una violenza ora, finalmente per lui, famiglia e amici, acclarata?

Di sicuro lo avrà fatto per una dimenticanza che ora proviamo a rimuovere qui ricordando, però, quante volte succede questo: si accusa mediaticamente Tizio, la

gente lo percepisce come colpevole, ma quando viene assolto o non si ridà a Tizio la stessa visibilità (a me è successo e, anche se non è un fatto connesso, Vincenzo è un mio compaesano); oppure, quando si riporta la notizia, perché non si scrive chi ha generato le falsità su cui si è basata l’accusa.

Dalla sentenza, messa il 20 settembre e depositata il 2 ottobre 2023 e a cui il collega avrà attinto le sue informazioni (potete leggerla qui, ndr) tre mesi dopo la decisione, magari con l’aiuto di un qualche legale desideroso di notorietà, si legge facilmente che le false accuse sono state rivolte

IL BISTROT DEL TENNIS

al direttore delle Poste da Cristina Gallio, con la testimonianza (falsa o errata per un qualche risentimento a cui la sentenza accenna?) a supporto della collega Moira Cassano., la cui testimonianza per il giudice è “non credibile“.

Quando si mette una sentenza generalmente si dice che “giustizia è fatta“.

Ma ora che ci sono i nomi di tutti, dell’accusato innocente, Vincenzo Vozzolo, dell’accusatrice mendace, Cristina Gallio, e della testimone non credibile, Moira Cassano, forse giustizia è fatta un po’ di più...!

Presso

Contra'

n. 5 / Febbraio 2024 - 7
 Notizie non date
Centro sportivo TENNIS PALLADIO 98
della Piarda 9, Vicenza
informazioni: 393 9599279
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La vicentina City Green Light: è un’inchiesta giudiziaria trapanese ad accendere la luce illuminando scenari ancora tutti da scoprire. Salvo che per la stampa locale

E la memoria va al filo siculo-vicentino, dall’arresto nel '92 del boss mafioso stragista

Madonia a Costozza di Longare agli affari di Matteo Messina Denaro nell’oreficeria berica

Prima che scattasse la tagliola sulle notizie contenute nelle ordinanze di custodia cautelare, abbiamo fatto in tempo a leggere – e quindi a riferirne anche testualmente qualche passo, come si conviene al buon giornalismo - quella emessa dal Gip di Trapani ed eseguita il 24 gennaio scorso, con l’accusa di corruzione, turbativa d’asta e rivelazione di notizie riservate nei confronti di un politico locale, l’ex assessore ai lavori pubblici del Comune

Dario Safina, attualmente componente, eletto nelle liste Pd, del consiglio regionale, arrestato nell’ambito di un’inchiesta della Procura che vede indagate altre persone tra le quali un manager siciliano dell’impresa vicentina City Green Light, in passato del gruppo Gemmo e fornitrice anche di illuminazioni stradali a Vicenza.

È Christian Valerio, messinese, che nel suo profilo linkedin si definisce ‘Business Unit Director & Energy Manager at City Green Light’. Che agisse in nome e per conto della società veneta, se anche per solo proprio ‘tornaconto’, non vi sono dubbi a leggere l’ordinanza di custodia cautelare nella quale sono racchiusi gli elementi raccolti nel corso delle indagini, di cui, in perfetta solitudine, ha riferito a Vicenza solo ViPiu.it (nostra testata web, ndr).

Ad una prima lettura fa impressione la distanza fra il livello degli intrighi in cui – era il 2021 – si cimentavano l’assessore e il manager e quello degli affari della società che il primo favoriva, per la felicità del secondo, in cambio dello ‘scrocco’ (così, compiacendosi, lo definiva il politico) di alcune decine di migliaia di euro.

Safina - rimesso in libertà sei giorni dopo, con obbligo di soggiorno a Trapani ed Erice - non è accusato di avere intascato per sé il danaro, che, nella ricostruzione degli inquirenti, era destinato a fargli acquisire grandi benefìci elettorali ed era, comunque, servito a

inficiare con atti di corruzione il procedimento di affidamento di servizi per decine di milioni di euro da parte del Comune di Trapani alla società vicentina con sede in via Zampieri. Insomma, la tangente ‘riscossa’ da Safina era un regalo indebito che egli, per suo ‘merito’, poteva offrire alla città alla quale però contemporaneamente e correlativamente infliggeva il costo di un’aggiudicazione plurimilionaria viziata. Alla notizia dell’arresto, e delle indagini, il pensiero corre a quel fiume carsico che da tempo sembra –idealmente - scorrere dalla Sicilia al Veneto (che dal Carso non è distante), dissolvendo nell’invisibilità sotterranea i confini tra affari leciti ed illeciti, modellando interessi borderline e creando spazi d’azione per trame mafiose spesso in sinergia con alcuni dei fenomeni alla base dei più inquietanti misteri italiani, al

n. 5 / Febbraio 2024 - 8  Notizie non date
 Cristian Valerio, energy manager City Green Light

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crocevia tra mafia, eversione nera, pezzi deviati delle istituzioni, massoneria coperta, criminalità organizzata di varia estrazione.

L’elenco dei fatti è smisurato. Di recente s’è appreso che il boss latitante Matteo Messina Denaro faceva affari nel distretto orafo vicentino, mentre un anno prima che cominciasse quella latitanza, nel ’92, un mafioso condannato per le più gravi stragi di mafia come Giuseppe Madonia veniva arrestato nei Colli Berici, a Costozza di Longare dove viveva tranquillamente con un’altra identità. E per Trapani e Castelvetrano passa uno dei filoni d’affari più redditizio, ovvero gli investimenti del super boss ormai defunto nel settore dell’eolico e dell’energia, con connessioni, propaggini e cointeressenze che ancora una volta ci portano in Veneto.

Nel caso dell’inchiesta venuta alla luce a gennaio scorso, le ipotesi d’accusa circoscrivono l’ambito degli affari illeciti a specifici episodi di corruzione e di turbativa d’asta imputabili all’ex assessore del Comune di Trapani e al manager siciliano dell’impresa vicentina. Tralasciando qui il filone delle indagini (sulla ‘Trapani servizi’, partecipata dal Comune) che non riguardano la società vi-

centina, Safina è accusato di “essersi accordato preventivamente con Valerio turbando la procedura ad evidenza pubblica di project financing per la manutenzione dell’illuminazione pubblica, informandolo preventivamente sulle tempistiche di pubblicazione, sui contenuti e l’importo di base del bando, consentendo quindi alla citata società di ottenere l’aggiudicazione della procedura con la presentazione di una offerta congrua rispetto a quelle degli altri concorrenti; nonché di avere promesso l’affidamento alla citata società, al di fuori di ogni procedura concorsuale ad evidenza pubblica, dei lavori di rifacimento dei sistemi di illuminazione degli impianti sportivi denominati Campo Aula e Campo Coni”.

Dicevamo della sensazione di sorpresa prodotta dalla distanza tra gli intrallazzi dei quali sono accusati i due indagati da una parte e il tipo di business della City Green Light dall’altra. È utile allora soffermarsi su quest’ultima.

A giudicare dai capitali finanziari di cui dispone, è un pezzo importate di potere italiano, ubicato a Vicenza un po’ per i tratti distintivi di una certa vocazione industriale, un po’ per la sua genesi che rimonta alla Gemmo spa, il colosso

nel campo delle infrastrutture fondato da Livio Gemmo, il ragazzo di Thiene che tornato dalla grande guerra rifiutò un posto sicuro per fare l’apprendista nella locale cooperativa elettrica, imparare i fondamentali e aprire, nel 1919 a 21 anni, il suo primo laboratorio di elettricista. Livio fu anche ottimo calciatore, del Thiene, del Vicenza e del Verona con la cui maglia gli archivi documentano una storica doppietta al Milan.

Quasi un secolo dopo Gemmo spa, ormai alla quarta generazione di famiglia, conferisce il ramo d’azienda ‘pubblica illuminazione’ alla CityGreenLight nella quale investe 33 milioni di euro Fiee (Fondo italiano per l’efficienza energetica), primo fondo chiuso dedicato esclusivamente a progetti di investimento in equity nel settore dell’efficienza energetica, gestito dall’omonima Sgr. Era il 2018 e l’operazione si legava all’annuncio che questo fosse solo il primo passo nell’ambito di una più ampia operazione con l’ingresso, nel capitale della società, di investitori finanziari di elevato profilo per altri cento milioni.

Partnerships che già sei anni fa rendevano l’azienda, insediata a Vicenza in via Zampieri, il primo operatore privato nel settore in Italia con più di 350 mila punti luce, un programma di investimenti per il 2018 di oltre 45 milioni di euro, un portafoglio commesse superiore al mezzo miliardo di euro e un fatturato pari a 55 milioni.

Oggi l’impresa, sempre attiva nel settore dell’illuminazione pubblica, dell’efficienza energetica e dei servizi per la smart city, è partecipata, oltre che dal Fiee, anche dal fondo infrastrutturale paneuropeo Marguerite e dalla Banca europea per gli investimenti (Bei). I dati dell’ultimo bilancio approvato rivelano i frutti del finanziamento da 197 milioni

n. 5 / Febbraio 2024 - 9  Notizie non date
 Dario Safina

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di euro ottenuto a fine settembre 2022 per sostenere il suo piano di crescita anche attraverso operazioni di M&A (Mergers & Acquisitions, acquisizioni e/o fusioni) come quello del ramo d’azienda illuminazione pubblica di Ceie Power spa.

Per la cronaca City Green Light, amministrata dal manager padovano Alessandro Visentin proveniente da Gemmo spa (alla quale, come visto, deve, proprio per ‘gemmazione’, la nascita), è nata nel 2017, opera in oltre 250 comuni in Italia, serve oltre cinque milioni di cittadini, con quasi un milione di punti luce, cento gallerie stradali e mille e seicento telecamere di sicurezza.

Il fondo Fiee è stato il primo ad entrare nel capitale a febbraio 2018, con un investimento iniziale di 33 milioni, poi ampliato ad oltre 58. Subito dopo è stata la volta del fondo Marguerite II, con un investimento iniziale di circa euro 40 milioni.

Oggi il capitale della società è suddiviso tra Marguerite Infrastructure Italy II (40,72%), Fiee (33,77%) mentre la restante quota del 25,51% fa capo alla Banca Europea per gli Investimenti, mediante Ipin 2E.

Il gruppo ha chiuso il 2022 con ricavi per 136,3 milioni di euro, un ebitda di 54,5 milioni e un debito finanziario netto di 7,5 milioni. Sul fronte del debito gli istituti che hanno concesso il prestito da 197 milioni, con scadenza a 7 anni, sono Intesa Sanpaolo, Cassa Depositi e Prestiti, UniCredit, Bnl Bnp Paribas e Sparkasse – Cassa di Risparmio di Bolzano.

Insomma, potere, credito bancario generoso e sostegno dei migliori salotti finanziari del Paese non mancano a questa ‘srl’ vicentina, una vera e propria ESCo (Energy Service Company) nata pochi anni fa e che oggi ha un ca-

pitale versato di 50 milioni, 145 dipendenti, in aumento rispetto ai 132 dipendenti dell’anno precedente (7 dirigenti, 14 quadri, 108 impiegati e 14 operai) e una certa propensione a radicarsi nei territori, come per esempio in Sicilia. Qui, con gara Consip, la City è risultata due volte aggiudicatrice di contratti di nove anni.

Perciò, almeno a guardare le cose in superficie, risulta strano il modusoperandi raccontato dall’inchiesta in corso a Trapani. È tutto frutto dell’iniziativa, per reciproco illecito vantaggio individuale, dei due indagati o c’è una rete di interessi che si muove, spesso sotto traccia, come nei tanti incroci d’affari, di potere e, qualche volta, di delitti tra la Sicilia e il Veneto, fra il Trapanese e il Palermitano da una parte e il Vicentino dall’altra?

Il politico siciliano coinvolto, Dario Safina, è un avvocato eletto a sorpresa all’Ars (Assemblea regionale siciliana i cui membri, nella regione a statuto speciale, hanno il titolo di deputato) il 25 settembre 2022, sulle ali dell’esperienza di assessore comunale nella giunta guidata da Giacomo Tranchida, Pd, che ne è stato il principale sponsor: gli affidamenti alla City vicentina oggetto d’inchiesta risalgono al 2020 e 2021.

Sul sindaco ‘democratico’ le cronache documentano lo strano sostegno ottenuto nelle elezioni di fine maggio ’23 da parte della Lega e, in particolare, del suo esponente locale di primo piano Girolamo Turano, assessore regionale e deputato all’Ars alla sesta legislatura. Tranchida è stato rieletto al primo turno (con il 42%, in Sicilia sufficiente per schivare il ballottaggio) riuscendo così nella sua sesta elezione a sindaco (due mandati a Valderice, due a Erice e due a Trapani). Riuscire ad avere, contemporanea-

mente, il sostegno del Pd e della Lega (con strappo di Turano, benedetto da Salvini), non è certo cosa da poco. Probabilmente si tratta di dinamiche fisiologiche aventi tutt’altre, cgreeonvincenti, motivazioni.

Qualcuno, però, potrebbe vedervi l’ombra di certi intrecci come il giro di tangenti e d’affari intorno a Vito Nicastri, il re dell’eolico colpito da una confisca da 1,3 miliardi di euro e ritenuto uomo di Matteo Messina Denaro. In uno di questi giri è rimasto impigliato Paolo Arata, genovese dal lungo cursus honorum all’ombra del potere di Andreotti e Carlo Vizzini, incarichi nella Pontificia Università Antonianum, poi parlamentare di FI, quindi consigliere, per l’energia, di Matteo Salvini allora vice premier nel governo Conte I. Arata, capace di far passare un emendamento attraverso il sottosegretario leghista Armando Siri (genovese anch’egli, ex giornalista Mediaset, un patteggiamento per bancarotta fraudolenta e diversi scandali nel proprio curriculum) aveva un chiodo fisso: l’eolico in Sicilia.

Ovvio che nell’isola il vento sia una risorsa e possa anche essere un affare.

Ma la folata che seguiva Arata portava sempre allo stesso punto: verso Francesco Isca - imprenditore che solo dopo si scopre essere toccato da sospetti di collusione con la mafia - e verso Nicastri, uomo di Eolo e del superlatitante di Castelvetrano noto come ‘U Siccu’ o ‘Diabolik’, allora attivissimo ma introvabile. Il vento, che spingeva certi affari in odor di mafia, in quegli anni non voleva proprio saperne di soffiare alle spalle degli investigatori. E cambiava direzione.

Si poteva arrestare il vento?

n. 5 / Febbraio 2024 - 10

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Il passaggio dell’alta velocità per Vicenza sarà certificato dal sistema internazionale Envision dell’università di Harvard

Le risposte dell’ing. Nicoletta Antonias (responsabile Infrastrutture Sostenibili di RFI) alle nostre domande, che sono quelle dei cittadini

di Luciano De Rugna

Del passaggio dell’alta velocità per Vicenza certificato dal sistema internazionale Envision dell’università di Harvard e della sua efficacia reale che dipenderà moto dal ruolo di controllo e stimolo dell’Amministrazione cittadina condizionato dall’applicazione post progettuale del sistema abbiamo scritto su ViPiu.it (link https:// www.vipiu.it/leggi/passaggio-alta-velocita-vicenza-certificato-sistema-internazionale-envision-universita-harvard-efficacia-reale/) dopo che Il 15 gennaio scorso la giunta comunale e Rete Ferroviaria Italiana - società capofila del Polo Infrastrutture del Gruppo FS Italiane - hanno annunciato l’avvio del processo di certificazione e dopo che nella commissione territorio del 7 Febbraio si è cercato di capire in che modo tale certificazione possa influire sulla progettazione e realizzazione di un’opera che, nel bene o nel male, sarà cruciale nello sviluppo della nostra città.

Envision è un sistema di rating messo a punto dall’Università di Harward in collaborazione con l'Institute for Sustainable Infrastructure che misura il livello di sostenibilità ambientale delle infrastrutture. Lo strumento è stato portato in Italia dalla società di consulenza ICMQ che lo ha adattato alle normative italiane ed europee. Ad oggi ICMQ risulta l’unico ente accreditato per il rilascio della certificazione.

Vista la complessità del tema e la difficoltà di inquadrare questa operazione nel complesso dei provvedimenti che riguardano il passaggio della TAV a Vicenza abbiamo provato a chiarire alcuni aspetti rivolgendo delle domande all’ing. Nicoletta Antonias (responsabile Infrastrutture Sostenibili di RFI).

Ci interessava sapere se l’università di Harvard è in qualche modo coinvolta nel processo di certificazione, se le certificazioni ottenute da RFI ad oggi sono quindi state rilasciate da ICMQ e se sarà sempre ICMQ l’Ente che assegnerà il livello di certificazione per i lotti infrastrutturali che interesseranno Vicenza.

Per ottenere la certificazione Envision, RFI si avvale di ICMQ e dei suoi verificatori qualificati direttamente dall’Institute for Sustainable Infrastructure (ISI). RFI ha già ottenuto diverse certificazioni Envision seguen-

do questa prassi e lo stesso avverrà anche con i progetti di Vicenza.

Nella tratta Verona-Padova ci sono 2 lotti costruttivi che interessano la nostra città: il secondo lotto “Attraversamento di Vicenza” e il terzo lotto “Vicenza – Padova”: seguiranno entrambi il percorso di certificazione Envision?

La linea AV/AC Verona-Padova è composta da tre Lotti Funzionali, due dei quali interessano la città di Vicenza: il 2° Lotto Funzionale “Attraversamento di Vicenza” (a sua volta costituito da 2 Lotti Costruttivi) e il 3° Lotto Funzionale “Vicenza-Padova”. In particolare, si procederà con la certificazione Envision del 2° Lotto Funzionale; per il 3° Lotto Funzionale, invece, l’iter partirà al completamento del Progetto Definitivo. In ogni caso, il Protocollo Envision sarà preso a riferimento per integrare criteri di sostenibilità nello sviluppo del progetto, individuando

n. 5 / Febbraio 2024 - 11
 TAV TAC
 Envision e la conferenza stampa del 15 gennaio, l'ing. Nicoletta col sindaco Giacomo Possamai

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soluzioni orientate alla salvaguardia ambientale, all’uso efficiente delle risorse in un’ottica di economia circolare, alla tutela del patrimonio paesaggistico e culturale, a una maggiore resilienza dell’infrastruttura ferroviaria e alla creazione di nuovi scenari di mobilità sostenibile, per una valorizzazione complessiva dei territori interessati.

Dal sito ICMQ abbiamo ricavato che, con la consulenza della stessa ICMQ, RFI ha messo a punto due linee guida per l’ottenimento della certificazione, una per le Stazioni ferroviarie e una per le Infrastrutture ferroviarie. Il secondo lotto, oltre al raddoppio della linea ferroviaria, prevede anche il rinnovo della stazione storica di Vicenza e la realizzazione di una nuova stazione in zona Fiera: è possibile prevedere che ci saranno 3 percorsi di certificazione? Due per le stazioni e uno per l’infrastruttura?

RFI, in sinergia con ICMQ, ha sviluppato documenti di riferimento specifici per l’applicazione del Protocollo Envision nell’ambito dell’infrastruttura lineare ferroviaria e delle stazioni, tenendo conto del contesto normativo nazionale. Al momento è prevista la certificazione dell’infrastruttura, ma non è escluso che in futuro possano essere interessate

dal processo di certificazione anche le due stazioni citate.

Dal sito istituzionale di Envision si ricava che il protocollo si può articolare in due versioni: la versione 2 valuta il processo di progettazione di un’opera, mentre la versione 3 estende la valutazione anche alla fase di costruzione e realizzazione dell’opera. Quali fra le due versioni saranno adottate per le opere vicentine?

Dal 2019 è possibile certificare i progetti infrastrutturali esclusivamente secondo il Protocollo nella Versione 3, che prevede due percorsi alternativi:

1) Design + Post-construction: consente di ottenere una pre-certificazione alla fine della fase di progettazione, a cui deve seguire necessariamente una conferma al completamento della fase realizzativa;

2) Post-construction: al completamento della fase di costruzione dell’infrastruttura.

Per i progetti in questione si adotterà il primo percorso, prevedendo anche una valutazione preliminare del livello di sostenibilità (Preliminary Assessment) degli stessi.

Il secondo lotto “Attraversamento di Vicenza” è già alla fase di progettazione definitiva (da agosto 2020 può essere consultabile sul sito del Comune di Vicenza). Sarà

necessario intervenire sul progetto e, se sì, in che misura ed in quali punti per renderlo compatibile con il percorso di certificazione?

Il Progetto Definitivo del 2° Lotto Funzionale “Attraversamento di Vicenza” è stato approvato con Ordinanza n. 15 del Commissario Straordinario in data 13.07.2023. Con la sottoscrizione del Secondo Atto Integrativo tra RFI e Iricav Due, avvenuta in data 27.07.2023, abbiamo avviato la progettazione esecutiva. Il Protocollo Envision valuta il livello di sostenibilità del progetto sottoposto a valutazione. In base al livello raggiunto, si potranno pianificare interventi migliorativi, soprattutto in fase di cantiere.

Il percorso di certificazione valuta 64 crediti in 5 categorie: avete già iniziato una prima misurazione di questi aspetti relativamente al Lotto 2 “Attraversamento di Vicenza “? In questo caso, siete in grado di fornire una prima valutazione per ognuna delle cinque categorie?

- Quality of Life: miglioramento della qualità della vita della comunità

- Leadership: coinvolgimento della comunità e analisi degli aspetti legati alla vita utile dell’infrastruttura

- Resource Allocation: materiali e risorse energetiche e idriche

- Natural World: aspetti legati alla tutela e alla salvaguardia dell’ambiente e delle specie

- Climate & Resilience: aspetti legati alle emissioni e alla resilienza dell’infrastruttura. Come anticipato, è in corso una valutazione preliminare per la performance di sostenibilità del progetto prima di procedere con il percorso di certificazione vero e proprio. In particolare, ci sono alcuni aspetti da tenere in considerazione:

• l'infrastruttura migliorerà i collegamenti tra i territori, grazie anche agli interventi volti a potenziare l'intermodalità;

• la città sarà valorizzata attraverso l’integrazione di nuove modalità di trasporto, la creazio-

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 Rendering della stazione di Viale Roma

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ne di percorsi ciclopedonali e un generale processo di rigenerazione urbana, per una mobilità più sostenibile e inclusiva;

• saranno adottate misure per ridurre l'impatto ambientale del cantiere;

• cittadini e stakeholder verranno coinvolti a vari livelli durante la fase di realizzazione del progetto, con l’obiettivo di condividere la trasformazione urbana e rendere il cantiere stesso uno spazio di interesse per la città.

Per i due lotti che riguardano

Vicenza, osserviamo che sul tema della leadership sembrano emergere forti carenze dovute al fatto che nella progettazione non è stato adottato lo strumento legislativo del dibattito pubblico (processo di informazione, partecipazione e confronto con i cittadini e le comunità interessate).

Il processo di certificazione Envision può a vostro parere correggere questa mancanza?

Il Protocollo Envision valorizza tutte le iniziative di informazione, partecipazione e ascolto. Nel corso dello sviluppo progettuale, quindi, precisiamo che sono stati comunque promossi diversi momenti di confronto e ascolto con stakeholder e comunità di riferimento. In aggiunta, saranno

avviate iniziative di coinvolgimento specifiche per mantenere il dialogo con la cittadinanza e gli enti interessati, per esempio attraverso appositi infopoint. L’obiettivo, in un’ottica di trasparenza, è quello di condividere costantemente il valore del progetto per il territorio e lo stato di avanzamento dei lavori.

Relativamente alla categoria

“Natural World“, il percorso di certificazione Envision, che garanzie mette in campo per evitare situazioni come quelle che si sono presentate , per esempio, con la realizzazione dell’autostrada Valdastico SUD dove è stata certificata, per lunghi tratti della massicciata, la presenza di rifiuti e scorie che rilasciano sostanze pericolose per la salute umana ?

Il Protocollo Envision valuta l'attenzione posta alle tematiche ambientali sia in fase di progettazione sia in fase di cantiere. In particolare, RFI richiede contrattualmente alle imprese costruttrici di adottare un Sistema di Gestione Ambientale del cantiere ai sensi della norma UNI EN ISO 14001. Questo strumento garantisce una sorveglianza efficace sugli aspetti ambientali del cantiere e consente di disporre di evidenze oggettive rispetto alle attività di controllo portate avanti durante i lavori.

Relativamente alla categoria “Resource Allocation” vista la grande quantità di demolizioni previste dal progetto (almeno due ponti e molti edifici) come può il sistema di certificazione vincolare il costruttore alla massima ottimizzazione di riciclo e riutilizzo del materiale demolito?

Il Protocollo Envision promuove interventi finalizzati all’attuazione di più efficaci politiche di sostenibilità in cantiere. In relazione alla gestione dei rifiuti, quindi, sarà privilegiato il conferimento a impianti di recupero autorizzati piuttosto che lo smaltimento in discariche, promuovendo un processo di economia circolare. Vista la natura dell’opera, l’alto interesse pubblico della stessa e visti i criteri di trasparenza che lo stesso protocollo promuove, ritenete che sarà possibile per i cittadini accedere alla documentazione completa emessa dagli enti interessati ed oggetto del percorso di valutazione?

I cittadini possono accedere a diverse informazioni sul progetto. Innanzitutto, ICMQ, dopo aver valutato la documentazione di sintesi del progetto, rilascia un certificato con il livello di sostenibilità raggiunto che resta disponibile sul sito web dell’ISI. La documentazione progettuale –presa a riferimento anche per la certificazione Envision – è inoltre consultabile sul portale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Infine, sarà possibile ricorrere a canali di comunicazione specifici, tra cui infopoint e una casella di posta elettronica dedicata, per raccogliere informazioni più puntuali sul progetto e sullo stato di avanzamento dei lavori.

Envision

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 L’ing. Nicoletta Antonias (responsabile Infrastrutture Sostenibili di RFI) in Commissione territorio il 7 febbraio

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TAV, vicentini rassegnati? La diocesi no. Don

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Matteo Zorzanello: “ci sarà impatto sociale e ambientale, cittadini hanno diritto di protestare”

Intervista al responsabile Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Vicenza, direttore della pastorale giovanile e reggente del tempio di San Lorenzo

di Tommaso De Beni

Si chiama come il prete investigatore reso celebre da Terence Hill, ha la passione per la chitarra, ascolta Bob Dylan. Don Matteo Zorzanello, è responsabile della Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Vicenza, direttore della pastorale giovanile e con altri quattro sacerdoti della diocesi di Vicenza è reggente del Tempio di San Lorenzo. Il 13 dicembre ha partecipato, con un contributo video, all’incontro con la cittadinanza tenutosi al Teatro Astra e avente come tema la linea cosiddetta TAV, cioè dell’alta velocità, e del suo attraversamento dentro la città di Vicenza. Proprio di questo tema, centrale nei prossimi anni, e della posizione sua e della Diocesi al riguardo, abbiamo voluto parlare con lui.

Don Matteo, lei è contro la TAV?

C’è stata una riflessione condivisa con la commissione pastorale sociale del lavoro. La questione TAV non è tanto sull’essere d’accordo o meno, bensì riflettere sulle modalità con cui i lavori arrivano in città e sulle conseguenze: abbattimenti di case, inquinamento, etc.; c’è stata poca condivisione e poca informazione nei confronti della cittadinanza. Ci sarà un impatto sulla viabilità, sull’inquinamento, ci saranno molti abbattimenti, tra cui l’albergo cittadino di via Giordano

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e il centro sociale Bocciodromo. La mia domanda è: siamo sicuri che non ci fossero alternative? Lei teme quindi che il volto della città post TAV possa essere meno sociale?

Siamo sicuri che l’amministrazione attuale, e anche quelle successive, si faranno carico del sociale, ma sono problemi importanti, l’albergo cittadino ospita persone in difficoltà, anche con disagi psichici, che altrimenti sarebbero per strada. C’è un gruppo di lavoro e di pensiero, c’è stato un confronto con il vescovo che ha accolto le riflessioni e ha emesso un comunicato stampa a settembre, i cittadini hanno diritto di dire la loro opinione e di protestare.

Ma lo stanno veramente facendo?

La mia impressione è che ci sia una sorta di disaffezione, di rassegnazione, del tipo “la mia opinione non conta, non posso fare nulla, se il tracciato dei lavori non tocca la mia abitazione allora non importa”; è venuta meno la socialità, la solidarietà. Lo vediamo anche con i dati del volontariato, in calo dopo il Covid. Penso per esempio alla questione Dal Molin, sicuramente diversa, ma oggi non c’è una mobilitazione della stessa portata.

Forse c’è delusione proprio perché le battaglie del passato sono state perse. O magari il movimento no tav viene visto come troppo politicizzato ed estremista?

In passato non si è riusciti a cambiare le cose e allora non si fa più

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 Don Matteo Zorzanello

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niente, sì. Probabilmente c’è anche questo atteggiamento. Per quanto riguarda il movimento ci sono molte anime, purtroppo il modo di comunicare fa risaltare alcune cose e non altre, è una cosa che avviene sempre. Come ho già detto nell’intervento mostrato al Teatro Astra, vorrei che si provasse a sognare la città del futuro. Per esempio, se si fa

la ferrovia allora si punta sui treni e non sulle auto, allora magari non si fa la quarta corsia dell’autostrada. Invece si fa tutto, c’è una cementificazione sfrenata.

Questo interesse della diocesi vicentina ai temi ambientali segue l’influenza di papa Francesco?

Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ del 2015 ha messo in relazione

fede cristiana e cura del creato, sul modello di Francesco d’Assisi: un buon cristiano non può non essere attento alla cura del creato. Nell’enciclica Laudate deum, dell’ottobre 2023, si parla di ecologia integrale: se tutto è un dono, bisogna rispettare le altre persone, la pace, la giustizia, l’ambiente; è tutto collegato, gli effetti climatici creano problemi sociali come l’immigrazione, oltre che problemi di salute.

Perché una città molto cattolica come Vicenza è diventata fredda su questi temi?

Probabilmente i vicentini non vogliono occuparsene perché sanno che la TAV verrà realizzata lo stesso, quindi non c’è la voglia di impegnarsi in una battaglia che si considera già persa in partenza, ma sarebbe importante parlare anche del futuro, di altre opere, di altri casi.

Prossimi eventi?

Sicuramente a settembre, mese del creato, si tornerà a riflettere e guardarsi attorno e a essere protagonisti del territorio; ci saranno quindi nuovi incontri con la cittadinanza.

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 Don Matteo Zorzanello parla sulle scale di Palazzo Chiericati

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Vicenza, la città delle boomers

Le donne nate negli anni ‘60 sono la fascia demografica più numerosa.

Questa ed altre curiosità nei dati statistici 2023 elaborati dal Comune

Le vedi sedute a ciacolare sorseggiando un caffè, nella pausa tra un impegno e l’altro. Camminare di fretta sui tacchi, parlando al telefono. Sfiancarsi in palestra per contrastare gli effetti della menopausa, per poi sfoggiare look arditi nelle serate out. Del resto il loro inno era e sarà sempre “Girls just wanna have fun”. Sono loro le padrone di Vicenza, le boomers. Emerge dai dati sull’andamento demografico cittadino nel 2023 elaborati dall’ufficio statistica del Comune, secondo i quali la fascia delle 55-59enni è la più numerosa, battendo i coetanei per 267 unità.

Le ragazze degli anni ‘80 vivono in una città in cui i residenti sono in lieve ma costante calo dal 2010. La popolazione risulta complessivamente di 110.471 abitanti (110.536 nel 2022). La differenza tra nascite e decessi si mantiene negativa (come accade ormai costantemente dal 2006): nel 2023 si sono verificati 1.253 decessi a fronte di 733 nascite (meno 520 unità). Il saldo migratorio (cioè il rapporto tra iscritti per immigrazione e cancellati per emigrazione), è invece positivo per 455 unità, dato che mitiga il decremento della popolazione.

Nel dettaglio, sono 4.759 le iscrizioni totali registrate nel 2023 e 4.304 le cancellazioni. Le iscrizioni dall’estero sono in totale 1.207, di cui 165 italiani rientrati e 1042 stranieri.

La città delle donne over 40 Vediamo un po’ di numeri: i residenti in città sono in maggioranza femmine, con una percentuale del 52%. (57.454 femmine a fronte di 53.017 maschi). L'età media è di 46,8 anni (46,7 nel 2022), 44,8 anni per i maschi e di 48,7 per le femmine. Negli ultimi 15 anni questo dato è in costante aumento. Anche l’indice di vecchiaia (il rapporto percentuale tra la popolazione over 65 e quella in età 0-14 anni) presenta una curva in crescita: 220 anziani ogni 100 giovani (206 nel 2022, 212 nel 2021, 205 nel 2020 e 201 del 2019).

I bambini fino ai 14 anni sono appena 12.601, con una leggera prevalenza maschile (6.541 maschi e 6.060 femmine), e rappresentano l’11,4% del totale dei residenti. Decisamente meno degli ultra ottantenni, per capirci, come emerge chiaramente dalla “piramide dell’età” elaborata dall’Ufficio statistica del Comune. Un bambino su 4 (24,1%) ha cittadinanza

straniera (3.036) e ⅔ sono nati all’ombra del Palladio; solo 590 sono nati all’estero.

Benvenuti e addii

Nel 2023 sono nati appena 733 bambini, (395 maschi e 338 femmine), 10 in meno dell’anno precedente. Gli ultra novantenni residenti in città sono il doppio. Anche i nuovi arrivi di bambini da genitori stranieri sono leggermente diminuiti rispetto a quelli del 2022 (185 contro 204), e restano inferiori anche rispetto al 2021 (197) e al 2020 (217). Delle nascite di bambini stranieri, l’81,6% è proveniente da paesi extra UE (40,4% di nazionalità asiatica, 39,7% di nazionalità africana, 17.2% europea non UE, 2.7% provenienti dal continente americano e dall’Oceania).

Il tasso medio di natalità resta sostanzialmente invariato: 6,6 nati ogni 1000 abitanti, contro i 6,7 del 2022 e del 2020 e i 6,3 del 2021. Il trend si mantiene comunque sostan-

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 Demografia

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zialmente negativo dal 2014, l’anno a partire dal quale si registra un forte calo demografico.

I decessi tra i residenti a Vicenza nel 2023 sono stati 1253, 159 in meno rispetto al 2022 e soprattutto rispetto agli anni del Covid. Il mese con la mortalità più elevata è stato marzo (129 decessi), mentre quello che ha registrato il minor numero di deceduti è settembre (85).

Chi va e chi viene

Vicenza città con pochi movimenti e, soprattutto, senza allontanarsi troppo. Escludendo le nascite, le persone che, nel corso del 2023, sono state iscritte nei registri anagrafici di Vicenza (per cessata irreperibilità anagrafica, immigrazione, rimpatrio o altro) sono 4.759 (2.394 maschi e 2.365 femmine), con un aumento di 548 unità rispetto al 2022. Dei nuovi iscritti nel 2023, 2.578 sono italiani (in crollo di quasi mille unità rispetto al 2021), 2.181 di nazionalità straniera (1.538 l’anno scorso). Rispetto agli ultimi 10 anni si nota un considerevole incremento percentuale degli stranieri iscritti rispetto agli italiani, anche se questo dato non si ripercuote sul numero totale di stranieri residenti, che negli ultimi 5 anni ha subito delle variazioni minime: a calare è la popolazione italiana.

Il bilancio con l’emigrazione è in positivo, visto che sono state 4.304

(2.110 maschi e 2.194 femmine) le persone che nel 2023 sono state cancellate dall’anagrafe (per irreperibilità anagrafica, emigrazione, espatrio, altro), 293 in più rispetto all’anno precedente; un terzo sono stranieri (circa 1.400).

Le new entry provengono in gran parte dalla prima cintura di Vicenza (864 persone, contro le 972 del 2022) o da altro Comune della provincia (707, contro le 726 del 2022) e solo 497 (459 nel 2022) arrivano da altre province del Veneto. I cittadini immigrati da altre regioni italiane sono 1.040 (1.057 nel 2022). Le immigrazioni dall’estero sono 1.207 (866 nel 2022), di cui 165 italiani rientrati nel Paese (136 nel 2022) e 1.042 cittadini stranieri (730 nel 2022).

Anche le “fuoriuscite” hanno riguardato soprattutto i Comuni della cintura (979 emigrazioni, contro le 1.127 del 2022) o della provincia (775, a fronte delle 813 del 2022), mentre 411 persone si sono trasferite in altri Comuni veneti (18 in meno del 2022) e 664 in un'altra regione.

I Comuni di destinazione più scelti sono stati Torri di Quartesolo (166), Caldogno (142) e Monticello Conte Otto (138) nella cintura; Isola Vicentina (50), Montecchio Maggiore (49), Camisano Vicentino (40) e Grumolo delle Abbadesse (37) per la restante provincia.

Le cancellazioni a seguito di espatri sono state 391 (425 nel 2022).

“Anche oggi mi sposo domani” Vicenza non è decisamente una città per l’amore, almeno secondo i dati statistici e sempre che si consideri il matrimonio come il coronamento dell’unione tra due persone. Nel 2023 sono stati celebrati appena 243 matrimoni, 25 in meno rispetto al 2022. Facendo il rapporto tra la popolazione residente e i riti, il dato che emerge (2,7%) è decisamente inferiore rispetto a quello nazionale, che si attesta sul 3,7%. Prosegue la tendenza della scelta del rito civile (190) a fronte di 53 matrimoni celebrati in chiesa. Da quando nel 2006 i riti religiosi sono stati superati da quelli civili, la forbice a favore di questi ultimi si sta costantemente allargando. I matrimoni rispecchiano la composizione dei residenti: su 243 celebrazioni di matrimoni il 72% è tra cittadini italiani, il 20,2% tra italiani e stranieri e il 7,8% tra cittadini stranieri. Appena 11 le unioni civili (6 tra maschi e 5 tra femmine).

Un altro dato interessante che emerge dai dati del Comune, è l’età media degli sposi: se nel 2000 era 23 anni e mezzo per lui e 30 per lei, l’anno scorso sono arrivati “all’altare” a 42 anni lui e poco più di 38 lei. Insomma, l’aggettivo “novelli” assume una sfumatura quasi ironica. Anche questo dato stride con quello nazionale, che pone a 34 anni di età media per lo sposo e 32 per le neo signore.

A fronte di circa 250 nuove coppie ufficiali, l’anno scorso negli uffici del Comune ci sono state 41 separazioni e 45 divorzi. Non è mancato anche lo scioglimento di un’unione civile. I residenti vicentini divorziati sono quasi triplicati negli ultimi 23 anni: erano quasi 2.250 nel 2000, sono oltre seimila oggi. Il dato curioso è che a Vicenza risiedono molte più divorziate che divorziati: circa 3700 le ex mogli a fronte di neanche 2.300 ex mariti. Volendo tentare un’interpretazione,

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si può supporre che gli uomini tendano ad abbandonare il tetto domestico ed entrino in quelle circa 1.700 emigrazioni verso la cintura cittadina e la provincia. Magari qualcuno si è spinto anche oltre.

“Famiglie”

Pochi bambini, pochissimi matrimoni, molti over 50 sono i tre elementi visti finora che fanno da premessa ai dati sulle famiglie vicentine nel 2023. Secondo l’Ufficio statistica del Comune, il numero di famiglie è aumentato rispetto all'anno precedente: i nuclei familiari sono 53.184 (+157), un dato simile a quello del 2012, prima del calo nel settennato 2013-2020. Ma il dato veramente eclatante è il crollo del numero medio dei componenti per famiglia, passato dal 2,33 di 23 anni fa al 2,06 registrato nell’anno appena trascorso. Il dato nazionale è di 2,3 componenti per famiglia. Un 2,06 ulteriormente ribadito e declinato dal dato sulle “famiglie per numero di componenti”: nel 2.000 le famiglie con un solo componente erano 15mila, quelle con due componenti quasi 13mila, quelle con tre 9.600, circa 7.000 con 4 e 1.600 con 5 componenti o più; l’anno scorso la fotografia è stata ben diversa: le famiglie mononucleari sono cresciute a 23mila (il 44%), stabili quelle con due componenti (26%), mentre calano di 2.000 unità quelle con tre e di 1.500 quelle con 4, stabili le famiglie numerose.

Un vicentino su 7 è straniero I cittadini stranieri sono leggermente aumentati (17.514 rispetto a 17.421 del 2022) e rappresentano il 15,8% del totale dei residenti. Come detto, da 5 anni a questa parte questo dato presenta variazioni minime, dopo la forte crescita tra il 2000 e il 2013, quando sono passati da 6.300 a 19.650.

Il 31,1% degli stranieri ha cittadinanza in paesi europei extra UE

(tra questi, Serbia 11,1% del totale, Moldavia 5,5%, Albania 5%), il 24,7% proviene da paesi dell’Asia (in questo gruppo le comunità più numerose sono quelle di Cina e Pakistan con il 5,2% ciascuna), il 19,5% dall’Africa (tra questi, 6,1% Nigeria, 3% Marocco), il 19,4% da Paesi UE (in gran parte Romania 15,7%), e il 5,2% dal Continente Americano.

Dei 3043 stranieri residenti che sono nati in Italia, la maggior parte (83%) è nata a Vicenza, eppure sembrano non tenerci troppo a diventare italiani: nel corso del 2023 sono stati 775 i residenti che hanno acquisito la cittadinanza italiana (404 maschi e 371 femmine). Oltre al loro contributo come forza lavoro e risorsa economica, l’età media degli stranieri, poco meno di 31 anni, contribuisce ad abbassare l’età anagrafica. Come i vicentini “autoctoni”, anche tra gli stranieri dominano le donne, una tendenza iniziata nel 2010: l’anno scorso, a Vicenza c’erano oltre 9mila femmine e 8.500 maschi.

Se un vicentino su 7 è straniero, il rapporto varia di quartiere in quartiere: la maggioranza vive a San Felice Cattane (23%) e, in 4mila, rappresentano un quarto dei residenti totali (circa 20mila) della zona. Molto gettonato anche San Pio X (15,8%), dove gli stranieri sono circa 2.800 su 12.250 italiani, e il centro storico (8,5%), dove sono oltre un decimo

dei residenti italiani. Percentuali praticamente nulle nei quartieri più periferici, come Maddalene, Bertesina, Campedello, Gogna, e nel supervip Monte Berico.

Una Vicenza di mezza età e sola

Come sta, quindi, la città del Palladio, almeno secondo i dati diffusi dall’Ufficio di statistica del Comune?

Dal punto di vista demografico, vengono accentuate le medie nazionali sull’età e sulla frammentazione dei nuclei famigliari. Con le conseguenze del caso. Se è vero che creando più occasioni di aggregazione e di divertimento si potrebbe ravvivare la città, lo è altrettanto che, con una larga fetta di popolazione che ha già superato i 40, e anche da un po’, c’è bisogno di altre cose: tranquillità, servizi alla persona, iniziative culturali, ristorazione di qualità. Un 50/60enne difficilmente esce tutte le sere, ma quando lo fa ha il potere d’acquisto per concedersi qualcosa di bello e di buono. I bambini sono pochissimi: evidentemente Vicenza non è una città per genitori, che, forse, nella cintura o in altre cittadine, trovano realtà più raccolte e ben servite. Infine, Vicenza deve confrontarsi con il dato che è anche una città di stranieri, sempre di più nati al San Bortolo. Si sta facendo abbastanza per una vera e solida integrazione culturale? Forse no.

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Giochi con parole e fatti vicentini

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1 Edificio di Andrea Palladio in Contrà Porti a Vicenza

12 Ingegnere in tre lettere - 14 Mateo, scrittore del "Siglo d'Oro" - 15 Il biscotto di Saronno - 17 La Osaka tennista

18 Copia piratata di software - 19 I catanesi lo preferiscono quando è spento - 21 Film TV a episodi - 23 Sud Sud-Est

24 Nel canale - 26 La chiesa vicentina che ha sull'altare maggiore un polittico del 1404 di Battista da Vicenza - 30 Un successo di Bob Dylan - 32 Romanzo di Hermann Hesse - 33 Spesso comincia così - 35 Agnese... per Pedro - 37 Si raddoppia brindando

38 Può correggere il caffè - 40 Il genere di Fabri Fibra

41 Sestetto dimezzato - 43 Fa fermare la compagnia - 44 Il petrolio inglese - 45 Gruppo che produce e distribuisce energia elettrica e gas - 47 Si coglie e si pilucca - 48 Conosciuti ai più

49 L'Ozpetek regista (iniz.) - 50 Il comune del broccolo fiolaro51 Vi gioca in casa il Famila Basket

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1 Si portano nei picnic - 2 Duella col terzino - 3 Il musicista Janácek - 4 Ricevute, accettate - 5 Tragedia di Voltaire

6 Nel centro di Poznań - 7 L'architetto del Teatro Olimpico

1 Edificio di Andrea Palladio in Contrà Porti a Vicenza - 12 Ingegnere in tre lettere - 14 Mateo, scrittore del "Siglo d'Oro" - Copia piratata di software - 19 I catanesi lo preferiscono quando è spento - Sud Sud-Est - 24 Nel canale - 26 La chiesa vicentina che ha sull'altare maggiore un polittico del 1404 di Battista da Vicenza - 30 Un successo di Bob Dylan - Spesso comincia così - 35 Agnese... per Pedro - 37 Si raddoppia brindando - Il genere di Fabri Fibra - 41 Sestetto dimezzato43 Fa fermare la compagnia - Gruppo che produce e distribuisce energia elettrica e gas - L'Ozpetek regista (iniz.) - 50 Il comune del broccolo fiolaro -

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8 Ama "na donna" a Trastevere - 9 La erre di RAM in informatica

10 Wind... azienda di telefonia - 11 Mutano tetti in tettoie

12 Johannes che dipinse "Luce ampia" - 13 La valle trentina di Cles - 16 Un ponte di Andrea Palladio lo attraversa a Torri di Quartesolo - 18 Antagonista del dog - 20 Poco adatto - 22 Tasto del PC - 23 Il fotogramma d'inizio di un film - 25 Vi nacque Mario Rigoni Stern - 27 Prima di feb. - 28 È formata da iniziali

29 Si accolgono in casa - 31 Eroga pensioni (sigla) - 34 Uno si corre a Siena - 36 "... Trek" col capitano Kirk - 37 Il più alto punto della montagna - 39 Winnie the..., orsacchiotto dei cartoni - 40 Canta "Ti pretendo" - 42 Avverse per il poeta - 43 Uno da cui si discende - 46 Iniziali di Crozza - 47 In mezzo alla viuzza48 Si leggono in francese

1 Si portano nei picnic - Ricevute, accettate - 5 Tragedia di Voltaire - 6 L'architetto del Teatro Olimpico - 8 Ama " na donna" a Trastevere - 9 La erre di RAM in informatica - Mutano tetti in tettoie12 Johannes che dipinse "Luce ampia" - 16 Un ponte di Andrea Palladio lo attraversa a Torri di Quartesolo - Poco adatto - 22 Tasto del PC - 23 Il fotogramma d'inizio di un film - Prima di feb. - 28 È formata da iniziali - 29 Si accolgono in casa - Uno si corre a Siena - 36 "... Trek" col capitano Kirk - Winnie the..., orsacchiotto dei cartoni - 40 Canta "Ti pretendo" - Iniziali di Crozza - 47 In mezzo alla viuzza - 48 Si leggono in francese.

Lo schema contiene già alcuni indizi, ma ne potrai aggiungere altri rispondendo esattamente ai quiz proposti. Risolvere quindi il sudoku normalmente, sapendo che bisogna riempire la griglia con i numeri da 1 a 9, in modo che ogni numero compaia una sola volta in ciascuna riga,colonna e quadrato 3x3 (indicato da un bordo in grassetto).

Critto

CRITTO Petrus

Per risolvere il gioco, aiutatevi con la parola stampata e con gli incroci sostituendo a numero uguale lettera uguale.

Per risolvere il gioco, aiutatevi con la parola stampata e con gli incroci sostituendo lettera uguale.

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 Pausa attiva 123456 78 9 10 11 1213 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 3031 32 3334 35 36 37 38 39 40 4142 43 44 45 46 47 48 49 50 51 CRUCIVERBA                                                                                              Petrus
Civena 1 Corso Palladio
Bissari Arnaldi 2 Piazza XX Settembre B4Chiericati 3Contrà Pasini C6 Angaran 4Contrà Porti D6Barbaran da Porto 5Contrà San Paolo D7 Arnaldi Tretti 6Piazza dei Signori E3 Cordellina 7 Piazza Matteotti G6 del Capitaniato 8 Viale Eretenio I1Alidosio Conti 9 Contrà Riale Associa ogni palazzo di Vicenza al relativo indirizzo. Ognuno di essi è contrassegnato da una coordinata che indica una casella del sudoku dentro la quale dovrai inserire il numero associato all’indirizzo.
A4
B3
petrusmi@hotmail.it
1234567 3189 5 10 56 11 5 1211 898 37 13 2337 8 11 17 537 11 5 101214 8 1111 3 2 11 15 297 16 7 156 2 6 11 2 16 8 15 88 36 7 R 6 U 12 O 2 T 4 A 8 6 8 17 15 7 317 13 15 2665 5 15 22 13 8 17 72447 16 12 8 17 8 13 47 14 5467 18 8 11 58 8 1813 2 11 2

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Esiste ancora la spesa "intelligente"? Alcuni consigli su come orientarsi anche a Vicenza

Supermaket, discount o negozi di vicinato affilano le armi che l’inflazione spunta sempre di più

Il prezzo della spesa media per famiglia è aumentato considerevolmente già a partire dal primo periodo pandemico. Questo aumento è dovuto in prima istanza alla cosiddetta stagflazione, ossia la crescita generale dei prezzi di pari passo con una mancanza di sviluppo economico che ha condannato il Paese a un periodo di stagnazione economica. I riflessi sociali di questa situazione finanziaria sono peggiorati dalla retribuzione dei lavoratori. Nel 2020, la retribuzione media annua dei lavoratori dipendenti è stata considerevolmente più bassa del 2019. In particolare, il dato del Veneto (-1.368 euro) è più accentuato della media nazionale (-1.287 euro).

Nemmeno nel successivo 2021, presentatosi come un anno di transizione, di ripartenza economica, è stato possibile invertire questo trend negativo a causa dello scoppio della guerra in Ucraina. Secondo i dati di settembre 2023, riportati dal Comune di Vicenza, l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) ha registrato un incremento dello 0,7% rispetto al mese precedente e del 5,4% rispetto allo stesso mese del 2022. Statisticamente, gli aumenti maggiori si sono verificati per i servizi di ristorazione e l’abbigliamento, mentre i prodotti alimentari sono diminuiti dello 0,3%.

Di primo acchito anche un solo lieve calo del costo alimentare potrebbe essere recepito come una buona notizia, tuttavia assume una sfumatura diversa, se confrontato con l’anno precedente: ecco, dunque, che si può notare come i prodotti alimentari siano rincarati di oltre il 9%.

Allora sorge una domanda spontanea: Vicenza è una città per ricchi? A rispondere è l’Unione Nazionale Consumatori che, nella classifica delle città italiane più care, pone Vicenza in un una posizione intermedia, cioè al 42° posto (ed il Veneto in decima posizione nella classifica nazionale) con un rincaro annuo di 1.420 €.

Con il Patto antinflazione, ormai concluso, i prezzi dei prodotti di prima necessità dei supermercati

si erano pressappoco allineati, lasciando alla gente la scelta su dove conveniva fare la spesa. Ad oggi con l’inflazione ancora elevata ed il divario sempre maggiore tra ricchi e poveri, sta diventando sempre più significativo per un numero crescente di persone ottimizzare gli acquisti.

Carne: conviene il macellaio o il supermercato?

Anche se all’occhio di un compratore distratto la carne può sembrare uguale, coerente con il principio della nonna “tutto fa brodo”, la qualità è ciò che fa la vera differenza. Di fatto, i prodotti di carne dei supermercati possono provenire da diverse fonti e preparazioni, molto spesso orientate a poter essere conservate con

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l’obiettivo finale di essere vendute ad un maggior numero di persone. Per fare in modo che ciò accada, si possono utilizzare diversi metodi: la refrigerazione, in cui il prodotto viene conservato tra 0 e 4 gradi per evitare la crescita batterica; la congelazione, di solito al di sotto dei -18 gradi che però può incidere maggiormente sulla qualità della carne; l’imballaggio sottovuoto, il quale impedisce l’ossidazione. Nella grande distribuzione è più comune la congelazione, che garantisce una durata maggiore ma ha importanti riflessi sulla qualità del prodotto e

sulle sue caratteristiche e proprietà biochimiche.

Se invece si sceglie di comprare dal macellaio si hanno diversi vantaggi, in primis l’opportunità di un servizio personalizzato. Ad oggi, molti si specializzano nella vendita di carne fresca e di alta qualità, con una maggiore scelta di tagli, o addirittura offrono prodotti unici con provenienza selezionata ma anche straniera. Se si è più esigenti e disposti a sacrificare un po’ la convenienza, si può essere più tranquilli sulla provenienza e sulla freschezza dei prodotti optando per tagli di

prima scelta di sola origine italiana se non regionale.

Tuttavia, ci sono alcune considerazioni da fare nel caso il prodotto macellato sia acquistato presso la macelleria. Oltre al prezzo, molto spesso leggermente più alto per il servizio e l’attenzione nella scelta della carne anteriore alla vendita, bisogna tenere conto anche degli orari di apertura del negozio e della ridotta presenza di personale. Insomma, in base alle proprie preferenze è possibile scegliere di combinare le due possibilità, rinunciando ad un po’ di risparmio per un servizio più attento e sano, optando invece per il supermercato per la spesa di tutti i giorni.

Panifici e latterie

I panifici e le latterie offrono prodotti più freschi rispetto al supermercato essendo prodotti o giungendo in negozio giorno per giorno, ma anche in questo caso l’acquisto da tali esercizi commerciali può risultare difficoltoso da conciliare con gli orari del lavoratore medio. Inutile dire che, avendone la possibilità, è consigliabile acquistare dai negozi di quartiere. Così facendo, non solo

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si supportano le attività indipendenti, ma anche la qualità dei prodotti è migliore perché molto spesso i prodotti provengono direttamente dal negoziante con ingredienti di qualità e senza conservanti rispetto soprattutto al pane dei supermercati che, salvo casi non più rari in cui la cottura avviene nel market stesso, può essere congelato o precotto. Acquistando dalle latterie inoltre c’è la possibilità che vi sia maggiore disponibilità di prodotti tipici locali e l’occasione di supportare l’agricoltura locale riducendo così l’impatto ambientale. Ma anche in questo caso non sono sempre più frequenti le catene distributive che si approvvigionano di prodotti locali a un prezzo competitivo viste le quantità che trattano.

Insomma la vecchia regola di confrontare i prezzi (e le offerte), se si ha tempo e voglia (o necessità) è quella principale.

I negozi etnici di Vicenza

Se cerchiamo un prodotto etnico per riassaporare un gusto provato in viaggio o desideriamo, se stranieri, prepararci un nostro piatto tipico, spesso si deve ricorrere a ingredienti che normalmente non riusciamo a trovare nei supermercati. Giungono in soccorso il gran numero di negozi etnici presenti soprattutto nella zona di Viale Milano. Di fatto, i cittadini stranieri rappresentano circa il 15% della popolazione di Vicenza. Per questo motivo molte persone decidono di supportare le varie comunità presenti aprendo un esercizio con i prodotti tipici dei Paesi di provenienza. Per esempio, in Corso SS. Felice e Fortunato c’è Yigo market, un negozio dove principalmente sono venduti prodotti asiatici. Poi, per organizzare una serata a tema, ci si può andare per procurarsi tutto il necessario come noodles e soju, un liquore tipico coreano ricavato da riso o frumento, per poi conclude-

re con dei dolcetti tipici giapponesi come i Mochi

Se invece stiamo cercando dei prodotti tipici del Nord Africa e sudamericani li potremmo trovare al Supermercato Etnico di Via Firenze. Il locale è un po’ piccolo, ma è ben fornito di spezie e caramelle tipiche oltre che di articoli che troveremmo anche nei supermercati, che offrono sempre più spesso prodotti etnici per rispondere alle esigenze dei 15.000 vicentini non… di Vicenza. Diversamente se volessimo dei prodotti dell’est Europa potremmo rivolgerci al Mix Markt in Viale Milano. Il negozio fa parte di una catena italiana fondata nel 2008 in cui sono venduti principalmente prodotti moldavi, ucraini, rumeni, polacchi, bulgari, armeni e georgiani. Al suo interno vi è un reparto di alcolici molto ben fornito in particolare di amari tipici e, soprattutto, di snack e insaccati che normalmente non vedremmo esposti sugli scaffali.

Consumatori: chi sono e cosa cercano

Fermandosi fuori dai vari supermercati si incontra ogni genere di consumatore, da quello occasionale

all’abitudinario da anni. In cima alla lista degli habitué c’è indubbiamente quella dei pensionati, solitamente donne, che fanno normalmente la spesa di prima mattina. Se fermate nella loro faticosa camminata fuori dal locale commerciale, le clienti “anziane” chiariscono subito che il supermercato è solo una delle mete della spesa mattutina. Prediligono il supermercato per la pasta, le poche cose già pronte che acquistano “come il pesto” e i prodotti di igiene personale o della casa che sia. Solitamente raccolgono tutto in un carrellino in tela che poi viene riempito durante il percorso. Mete obbligatorie sono successivamente il panificio, dove magari trovare anche qualche dolce per il pranzo, il fruttivendolo e il macellaio mentre il pescivendolo rimane per i più una visita sporadica, perché il costo del pesce fresco è meno alla portata. Tutti questi esercizi commerciali che frequentano si ritrovano all’interno del quartiere, prediligere i negozi “vissin casa” evidenzia tanto la ricerca di comodità di tali consumatori, quanto un certo radicamento verso la tradizionale quotidianità. Infatti, domande inerenti alla qualità dei prodotti

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acquistati o alla possibile frequentazione di esercizi commerciali un po’ più lontani, vengono zittite dalla frase dialettale “mi me son sempre trovà ben fasendo così”.

Tutt’altro discorso invece si può fare per i consumatori occasionali che si recano al supermercato sporadicamente in funzione di ciò che manca in dispensa e in quel contesto esauriscono la loro spesa. Per questo “tipo” di consumatore il focus rimane lo stretto necessario, riportato in maniera pedissequa nella lista della spesa, nella maggior parte dei casi telematica. Non sorprende, dunque, che nessun rappresentante di questa categoria sia stato disponibile a fermarsi per rispondere a qualche domanda. Per costoro la spesa non è un momento della propria giornata, da investire di quotidianità, ma una fastidiosa incombenza che spezza l’avvicendarsi della loro fitta agenda.

Insomma, anche fare la spesa è un’arte. Il modo con cui si sceglie il prodotto e il luogo dove si compra, nonché il carrello finale tratteggiano figure sociali diverse in relazione al tempo a disposizione, all’età, al lavo-

ro e alla disponibilità economica. La crescita dei prezzi con l’accentuarsi dell’inflazione, nonostante la vasta gamma di supermercati, negozi etnici o negozi di vicinato evidenzino prezzi e tempistiche per l’acquisto diversi, ha avuto forti impatti sulla popolazione. Ed ecco dunque che in primis diviene ancora più povero chi povero è già. Una realtà ben

mostrata dai dati Istat: se dividiamo in cinque fasce di spesa le famiglie italiane, a settembre 2022 gli italiani con i cordoni della borsa più stretti facevano i conti con un’inflazione del 17,5% contro il 10,4% del quinto con la spesa maggiore. Ma rimane sconfitta anche la classe media che, in un’ottica di forte biforcazione tra ricchezza e povertà, si spezza in favore dell’una o, più spesso, dell’altra. In quest’ultimo caso, crescente è la diffusione dei cosiddetti woorking poors, di coloro cioè che pur avendo un lavoro stabile, il cui stipendio, però, non basta più a sostenere a pieno le spese di tutti giorni. Costoro sono dunque costretti ad operare dei tagli ove possibile a partire dalla spesa, per la quale vengono prediletti discount a basso prezzo e qualità rispetto ai supermercati migliori se non agli esercizi commerciali autonomi. Il carrello della spesa di una persona o famiglia dice molto sulle condizioni e la qualità della vita che questa stessa sperimenta e, di conseguenza, sul presente impoverimento che la società sta vivendo

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Asiago €/kg 11,8€ 11,8€ 11,8€ 11,8€ Non c’è 11,80€ 11,80€ 11,50€ Non c’è 11,50€ Pasta (spaghetti Barilla 0,5kg) 0,99€ 0,99€ 0,99€ 0,99€ 0,99€ 0,99€ 0,99€ 0,99€ 0,99€ 0,99€ Passata di pomodoro €/kg 2,05€ 2,89€ 1,64€ 1,65€ 1,50€ 2,05€ 2,05€ 1,50€ 1,49€ 1,70€ Vino 3,32€ 3,29€ 2,19€ 3,29€ 2,29€ 2,19€ 3,20€ 2,29€ 2,29€ 2,20€ Insaccati €/kg 11,20€ 10,60€ 10,50€ 11,50€ 8,89€ 9,10€ 10,50€ 9,99€ 8,89€ 10,5€ Grana €/kg 11,10€ 12,00€ 10,90€ 10,90€ 9,89€ 9,89€ 11,00€ 9,89€ 9,89€ 10,90€ Insalata 1,29€ 1,29€ 1,19€ 1,19€ 0,99€ 0,99€ 1,19€ 1,19€ 0,99€ 0,99€ Pane 2,99€ 4,99€ 2,99€ 3,29€ 2,99€ 2,69€ 3,39€ 2,99€ 2,99€ 3,29€ Mele Melinda €/kg 1,33€ 1,39€ 1,19€ 1,33€ 1,12€ 1,19€ 1,33€ 1,19€ 1,10€ 1,33€ Latte 0,89€ 1,95€ 0,89€ 1,80€ 0,85€ 0,99€ 1,80€ 1,70€ 0,99€ 1,70€
Famila A&O Conad Alì Quick Aldi Emisfero Eurospin Meta Gruppo Spar
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La paura di guardare al di là delle sbarre

Buongiorno dottoressa, sono la mamma di un detenuto del carcere, mio figlio ha una breve pena da scontare, di 4 anni, per piccoli reati tipici di chi si droga, ma non gravissimi come si potrebbe pensare. È entrato in carcere al San Pio X da poco, ma lo trovo molto addolorato, triste, piange spesso, gli manca la sua famiglia. Mi chiedo cosa possiamo fare noi, come possiamo essergli d'aiuto e soprattutto come potrà essere la sua vita dopo il carcere, esiste speranza per chi ha una fedina penale sporca? Grazie.

Mamma Sara

Carissima sig.ra Sara, l’impatto con il carcere è indubbiamente traumatico. Adattarsi non è facile, possono manifestarsi crisi di panico, disturbo di ansia generalizzata, agitazione psicomotoria, crisi confusionali, anedonia, disturbi dell’adattamento di matrice ansiosa o depressiva, disturbi alimentari, ma anche eventi deliranti e psicotici (si vedano le c.d. psicosi carcerarie – Mencacci e Loi, 2002; De Mennato, 1937; Abdalla Filho et al. 2010).

Quando un detenuto manifesta sintomi di disadattamento, come nel caso di suo figlio, che il sistema penitenziario non riesce a contenere con gli altri strumenti a sua disposizione, come la terapia psicofarmacologica ed il cosiddetto trattamento intramurario (corsi scolastici, formazione professionale, lavoro ecc.), è possibile chiedere dei colloqui di sostegno psicolo-

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gico, effettuati su richiesta diretta del detenuto oppure su segnalazione della Direzione.

L’esperienza del carcere è per suo figlio, l’esperienza del limite. Rappresenta in questo senso quanto di più prossimo al lutto esista: il lutto arriva imponendosi come “limite” invalicabile, separazione tra il prima e il dopo, evento esterno o deus ex machina totalmente al di fuori del controllo individuale da parte del soggetto, è il trovarsi in uno stato di impotenza, è la forza soverchiante della sofferenza e del dolore.

All'interno del carcere suo figlio è murato vivo, con tutti i suoi ricordi, anche una semplice lettera da parte di un familiare diventa la benzina per evolvere verso un radicale cambiamento, perchè il sostegno morale lo può trovare oltre che dentro di sé, anche in una lettera della mamma o di altre persone care.

Premesso, che il carcere di San Pio X affronta ogni giorno le sfide comuni del sistema carcerario italiano, come la mancanza

cronica di personale e il sovraffollamento delle celle; nonostante, queste note negative, vi sono innumerevoli iniziative finalizzate a migliorare la riabilitazione e il reinserimento sociale dei detenuti, attraverso programmi educativi, formazione professionale e assistenza sociale. Il carcere non è la morte, la vergogna, il fallimento, la fine, rimane sicuramente un passaggio amaro, anzi amarissimo, ma è anche un luogo pieno pieno di vita, di speranza, di domani. Il carcere è come un grande grembo dove, se si vuole, si può veramente rinascere e costruire, giorno dopo giorno, la resilienza.

A Vicenza non mancano esempi di rieducazione, come il negozio monomarca “Libere golosità”, in Corso Fogazzaro, che insieme ad altri punti vendita in provincia di Vicenza (Schio, Bolzano Vicentino, Bassano del Grappa, Malo, ...) rappresenta un ponte tra il carcere e i vicentini, attivo dall’8 dicembre 2019, gestito dalla cooperativa M25. In vendita ci sono panettoni,

 Lettere alla psicologa
 Parlatorio in un carcere

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pandori, biscotti, veneziane, crostate, grissini e cracker artigianali, nati dalle mani di un gruppo di detenuti dalla casa circondariale di Vicenza. Dodici ore di lievitazione, nessun conservante, utilizzo di materie prime di qualità.

Un'altra esperienza è il laboratorio di cucito all'interno della Casa Circondariale di Vicenza: "Un filo che unisce" nato nel 2017 grazie a tre volontarie bassanesi. Il “Filo che unisce” è quello concreto della cucitura o del sottopunto, ma è anche quello tra il dentro e il fuori del carcere, o tra i vari tasselli di vita anche imperfetti che ciascuno rappresenta.

Il problema del dopo-carcere è sicuramente cruciale e racchiude probabilmente tante domande: riuscirà mio figlio a innescare il tanto agognato cambiamento?; riuscirà a mettere la parola fine a tutto quello che finora non ha funzionato e ricominciare una nuova vita, per godersi finalmente un sole non più a strisce?

Come diceva Martin Luther King: «Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla», questa sarà ed è la grande sfida evolutiva a cui è chiamato suo figlio.

Lei, signora Sara, solleva inoltre un problema che porta spes-

so l’opinione pubblica a dividersi. Da una parte, c’è chi vede questa possibilità come un’opzione percorribile, capace di influenzare positivamente non solo la vita di chi ha sbagliato in passato, ma l’intera società. Dall’altra parte, tanti sono coloro che demonizzano e invocano carcere duro a priori per chiunque arrivi in una prigione.

Il reinserimento lavorativo e sociale è la fatica di rimontare una china col fardello di uno stigma pesante, e da noi fatto più pesante con l’obliqua crudeltà di una fittizia eguaglianza di chance. Se conoscessimo la larga sovrapposizione dell’area di devianza con l’area del disagio sociale di tipo espulsivo saremmo più accorti: la vita è per tutti in salita, ma l’erta è più aspra per chi ha inciampato e s’è ferito, e sale col passo di un ferito. E non trova lavoro perché il tempo del carcere non gli ha insegnato nessun lavoro, contro le promesse di legge: a tre su quattro ha inflitto l’ozio forzato. L’appuntamento con la recidiva lo costruiamo noi, da insensati.

“Libero”, il secondo tempo della vita di un ex detenuto, scarcerato, equivale ad “ex detenuto” e gli effetti dalla carcerazione lo seguono ovunque, rischiando di far vacillare quella gioia infinita della ritrovata libertà. L'ex detenuto ha paura di guardare al di là delle sbarre. Si trova a confrontarsi con una vita fuori dalle mura del carcere che ha cambiato assetto, gli affetti ed i sentimenti rischiano di avere una nuova forma, e la realtà potrebbe portare a rendersi conto che gli amori sono naufragati, gli amici si sono allontanati, la famiglia è cambiata per lutti, malattie, dissapori; scontrandosi con la difficoltà di un reale reinserimento all’interno della società.

E il rischio di ricadere in errori del passato è dietro l’angolo, è quella che viene chiamata recidiva,

 Lettere alla psicologa

con una percentuale in Italia intorno al 70%. Un recluso che esce dal carcere si trova disorientato. Solo o con affetti da riconquistare, ma anche senza alcun sostentamento, senza alloggio e senza lavoro. Per questo motivo, è fondamentale che voi familiari siate una presenza nella vita di vostro figlio, non un sostituto rispetto alle difficoltà che dovrà affrontare, ma un sostegno. La recidiva si può scongiurare creando tutti i supporti e le condizioni materiali e psicologiche affinché le persone detenute, una volta libere, abbiano la possibilità di effettuare scelte di vita diverse da quelle che le hanno portate in un penitenziario dove hanno scontato il loro debito con la giustizia.

Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni. (Fëdor Dostoevskij)

I miei migliori auguri. Un caro saluto

Riferimenti bibliografici Bateson, Verso un’ecologia della mente (trad. it.), Adelphi, Milano. Concato, G. Rigione, S. ( 2005), Per non morire di carcere. Esperienze di aiuto nelle prigioni tra psicologia e lavoro di rete, Franco Angeli, Milano

Cremona G., (1943) voce “Psicologia carceraria”, in E. Florian, A. Niceforo, N. Pende (a cura di), Dizionario di Criminologia, Vallardi, Milano.

Mencacci, C., Loi, M. (2002), Il problema delle patologie mentali in carcere, Parliamone, Anno XII, n. 1

Tutti i contenuti presenti in questa pagina hanno lo scopo di diffondere la cultura e l'informazione psicologica. Non possiedono alcuna funzione diagnostica e non possono sostituirsi in alcun modo ad un consulto specialistico.

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 Un uomo detenuto

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Carcere di S. Pio X: tra vicende drammatiche e reali necessità

La casa circondariale “Filippo Papa” non ha bisogno solo di più operatori, ma di maggiori competenze e sensibilità rieducative

Negli ultimi mesi, la casa circondariale “Filippo Del Papa” è stata al centro di numerosi fatti drammatici che hanno occupato anche prime pagine dei giornali, cartacei e online, e servizi in televisione. In questo clima chiunque si è sentito legittimato a scendere sulla pubblica piazza mediatica e dire la sua su quelle vicende. Eppure, le difficoltà del carcere di San Pio X sono risapute ormai da anni e hanno alla loro base la stessa conformazione del “Del Papa”.

Il primo grande problema del carcere di San Pio X è sicuramente il sovraffollamento. Infatti la struttura potrebbe ospitare al massimo 276 detenuti, ma ad oggi all’interno della casa circondariale ci sono 356 ospiti con

un sovraffollamento pari al 130%. Questo spropositato numero di detenuti, coerente con la triste media della carceri italiane, a Vicenza è ripartito in tre sezioni: alta sicurezza (per lo più esponenti del crimine organizzato), collaboratori di giustizia e i cosiddetti comuni.

Ma il sovraffollamento non è l’unico dei problemi del carcere di Vicenza. Nel sistema penitenziario la casa circondariale di San Pio X “ospita”, infatti, per la sezione dei comuni detenuti con condanne inferiori ai 5 anni ed altri in attesa di giudizio, situazione spesso a dir poco anomala e che proprio a febbraio ha causato un suicidio nel carcere di Verona di un ucraino incensurato. Ne deriva dunque una sorta di turn-over che non permette di portare avanti progetti

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 Consigliere comunale
 Carcere, zona interna nel perimetro carcerario  La casa circondariale "Filippo Del Papa" (foto di Francesco Dalla Pozza)

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continuativi di reinserimento nella società dei detenuti, scopo costituzionale delle pene di restrizione della libertà personale. L’ideale rieducativo del carcere, che mira alla creazione di un percorso funzionale all’insegnamento di un lavoro e alla creazione di un “dopo pena”, sembra così sfumare nel nulla. Nonostante ciò, sono attive nel carcere la cooperativa Elica, la cooperativa M25 ora divenuta “Il Gabbiano” e progetti come Carcere e scuola del CSI, Jonathan, nato dalla Pia Società S. Gaetano, e il Lembo del mantello della Cariats diocesana, cooperative e progetti tutti con uno sguardo al dopo fine pena. Indubbiamente, servono più progetti per abbassare la recidiva che al carcere di Vicenza è coerente con l’ alta media nazionale dell’80%.

Il terzo problema, forse quello più evidenziato sulle piattaforme social e di informazione, sta nella necessità di un maggior organico, non solo di polizia penitenziaria ma anche di assistenti sociali e psicologi che facciano fronte alle sempre crescenti problematiche psico-sociali. Tuttavia è altrettanto evidente come la panacea di tutti i mali non si ritrovi nel semplice

aumento del personale, come sono soliti evidenziare i vari operatori e visitatori della casa circondariale. Secondo numerosi operatori provenienti dai vari ambiti carcerari, infatti, bisogna aumentare in primis la competenza del personale soprattutto per quanto riguarda gli agenti della polizia penitenziaria in vista dell’aumento dell’incidenza di detenuti con disturbi psichici –comportamentali.

Date queste premesse, sorge spontanea una considerazione un po’ amara. L’invito di tanti consiglieri di opposizione, pervenuto tramite telegiornali, social, articoli, sembra limitarsi al semplice aumento del numero di agenti di polizia penitenziaria all’interno della casa circondariale, non curandosi dunque della complessità sociale che vive e si moltiplica all’interno delle mura del “Del Papa”. In quanto amministratori ma soprattutto cittadini di questa città dobbiamo cercare di rimanere legati al territorio, ascoltando i nostri concittadini che vivono e lavorano in questa realtà senza accontentarci di un’evidente soluzione posticcia e a lungo andare infruttuosa

Breve storia del carcere di Vicenza

Il Carcere di Vicenza, ufficialmente noto come Casa Circondariale Filippo Del Papa, ha una storia che risale al XIX secolo. La sua costruzione fu completata nel 1863 ed è situato nella periferia orientale di Vicenza, in Italia. Il carcere è stato originariamente progettato secondo il modello panoptico, una struttura architettonica che consente un controllo visivo centrale su tutti i detenuti da parte dei guardiani. La struttura è stata successivamente ampliata e ristrutturata nel corso degli anni per rispondere alle esigenze del sistema carcerario italiano. Durante il periodo fascista, il carcere di Vicenza fu utilizzato come luogo di detenzione per prigionieri politici. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il carcere fu occupato e gestito dai nazisti, che lo utilizzarono per detenere e interrogare i prigionieri politici e gli oppositori al regime.

Dopo la guerra, il carcere di Vicenza ha continuato ad essere utilizzato per scopi detentivi. Nel corso degli anni, sono state apportate diverse modifiche e miglioramenti alla struttura, al fine di adeguarla agli standard moderni di trattamento e riabilitazione dei detenuti.

Il carcere di Vicenza ha affrontato le sfide comuni del sistema carcerario italiano, tra cui il sovraffollamento e la necessità 

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Consigliere comunale
 Verso la detenzione ...

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Meno tensioni al carcere di

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Vicenza

incrementando le attività lavorative al suo interno

Lavorare ridurrà i disagi psicofisici e preparerà le persone detenute al dopo fine pena

L’ultimo Consiglio Comunale della nostra città si è dedicato anche alla situazione in cui versa attualmente la Casa circondariale Filippo “Del Papa”. Dal 1° gennaio al 18 settembre dello scorso anno nel carcere vicentino si sono registrati 156 atti violenti, con 10 aggressioni agli agenti della polizia penitenziaria e numerose proteste. Durante le ultime festività natalizie un giovane detenuto si è suicidato e nei primissimi giorni del 2024 un detenuto è salito sul tetto per protesta distruggendo l’impianto fotovoltaico della struttura e provocando più di 50.000 euro di danni. È un quadro preoccupante per una strut-

tura carceraria che, come la gran parte delle carceri italiane, soffre già di sovraffollamento, con circa 356 detenuti rispetto alla capien-

za ordinaria di 276 e di carenza di personale penitenziario, il quale sconta anni di tagli e di politiche dissennate. Di fronte a questo quadro mi sono speso personalmente sin dall’inizio del mandato, interloquendo con il precedente garante dei detenuti della città di Vicenza e richiedendo formalmente già ad agosto 2023 la prima convocazione in seduta congiunta delle Commissioni consiliari IV e V per affrontare la situazione. Un impegno responsabile stimolato dal fatto che il Carcere di San Pio X, che ospita anche detenuti ad alta pericolosità, si trova proprio nel cuore della nostra città, una circostanza che non può essere trattata alla leggera ma che richiede un’attenzione particolare anche da parte dell’Amministrazione comunale.

Dal mio punto di vista è necessario agire in due direzioni: creare un

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 Carcere, l'inferriata prima delle celle  Una delle celle

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dialogo stabile, aggiornato e proficuo con la direzione del Carcere e mettere in campo azioni concrete per alleggerire la tensione creatasi dentro la struttura. Per quanto concerne il primo aspetto ai primi di novembre, appresa la notizia positiva dell’assegnazione a Vicenza di una nuova direttrice in pianta stabile da parte del Ministero della Giustizia, ho subito richiesto formalmente un’audizione della stessa nelle Commissioni competenti. Il carcere è una struttura che coinvolge tanti enti, istituzioni, materie e il Comune in questo senso non può attivarsi prescindendo dall’instaurazione di una relazione positiva con

tutte le figure coinvolte. Rispetto alla necessità di adottare azioni e progettualità concrete in favore di un clima di minor tensione nella struttura carceraria, ho concentrato il mio impegno su un aspetto che ritengo efficace e di centrale importanza: il lavoro. Nelle carceri dove si lavora i detenuti subiscono e, quindi, creano meno squilibri, ci sono meno aggressioni e meno proteste. Aumentare le opportunità lavorative già esistenti all’interno del carcere significa anche aumentare il benessere psicofisico dei detenuti, i quali diventano risorsa per la struttura, contribuendo al pagamento delle spese, mettono

da parte qualche soldo per il dopo fine pena ed acquisiscono qualche competenza lavorativa, indispensabile per cercare un impiego, indispensabile per cercare un impiego. Nel carcere di Vicenza i detenuti che lavorano sono solo il 30%, meno di un centinaio. Per questo durante l’ultimo Consiglio comunale ho presentato un’Ordine del Giorno volto a rafforzare l’inserimento lavorativo dei detenuti del “Del Papa”, promuovendo un tavolo di confronto con le categorie economiche e le realtà del terzo settore del nostro territorio e stimolando le imprese a portare nuove aree produttive nella struttura, ad esempio utilizzando l’ampio capannone adiacente al carcere. Ci sono questioni su cui la politica deve trovare unità e questa è certamente una di queste, per tale ragione, ho registrato con grande piacere che l’Ordine del Giorno che ho presentato sia stato accolto all’unanimità da tutti i colleghi.

 di garantire condizioni di vita umane e dignitose per i detenuti. Nel corso degli anni, sono state implementate iniziative per migliorare la riabilitazione e il reinserimento sociale dei detenuti, attraverso programmi educativi, formazione professionale e assistenza sociale.

Oggi, il carcere di Vicenza continua a svolgere il ruolo di istituzione penitenziaria, detenendo persone condannate per una varietà di reati. È parte integrante del sistema penitenziario italiano, sottoposto alle leggi e alle normative stabilite dal Ministero della Giustizia.

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 Carcere, le finestre delle celle  Carcere, sala perquisizione

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Angela Barbaglio, nominata a Vicenza Garante per le persone private della libertà nella casa circondariale e per tutte quelle che sono in stato di arresto

“Per 44 anni magistrato metto a disposizione dell’Amministrazione comunale la mia esperienza per queste realtà, di così grande sofferenza e di così grande difficoltà”

Angela Barbaglio, appena nominata a Vicenza Garante per le persone private della libertà, ha trascorso gran parte della sua professione in magistratura tra Vicenza e Verona. È stata, infatti, magistrato per 44 anni, prevalentemente con il ruolo di pubblico ministero, assumendo come ultimi incarichi quelli di Procuratore aggiunto e poi Procuratore della Repubblica al Tribunale di Verona. Barbaglio è nata a Treviso il 27 dicembre del 1951, è figlia di un sottufficiale dell'Aeronautica militare e di un'insegnante di lettere. Si è laureata in Giurisprudenza nel 1975 presso l’Università degli studi di Padova, è in pensione da due anni e vive a Monteviale. L’abbiamo incontrata, conosciuta ed ascoltata nella sua prima audizione del 6 febbraio presso la Quarta Commissione consiliare “Servizi alla popolazione” presieduta da Luisa Consolaro.

Le avevamo chiesto ed ottenuto un’intervista per conoscere e far conoscere ai lettori le sue funzioni, ma, dopo l’audizione, abbiamo concordato che le nostre domande avevano già ottenuto risposte adeguate nella sua relazione e nelle risposte date ai membri della Commissione che sono tutti intervenuti, non solo per confermarle la fiducia

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accordatole all’unanimità per il suo ruolo, ma per avere loro stessi delucidazioni generali e, sia pure parzialmente, particolari.

Dr.ssa Barbaglio cominciamo dalla sua esperienza professionale del carcere

La conoscenza che i magistrati hanno del carcere è una conoscenza legata alla loro attività istituzionale che è quella, per quello che riguarda il settore penale, di istruire i procedimenti e, quindi, il contatto con le persone detenute è un contatto finalizzato alla raccolta dei dati che servono processualmente con l'ottica di chi in carcere va per sentire le persone e per raccogliere da loro dati che possano aiutare a istruire il processo.

Perché ha avanzato la candidatura come garante?

Avanzare la candidatura come garante, poi raccolta dal consiglio comunale di Vicenza, che ringrazio della fiducia che in questo modo mi è stata riconosciuta, è in parte un’evoluzione della mia attività precedente di magistrato il cui ruolo prima di tutto è garantire la legge anche nello svolgimento del compito di pubblico ministero. Quello che il pubblico ministero non deve mai dimenticare è che l'imputato ha dei diritti che sono dei diritti legati alla sua persona e dei diritti legati alla sua piena capacità di tutelarsi come prevede la Costituzione attraverso il principio del diritto di difesa. In questo senso non vedo e non ho visto alcuna contraddizione

 Angela Barbarglio, garante per le persone private della libertà  Garante Casa circondariale di Vicenza

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tra il mio precedenti ruolo e quello attuale, al quale mi sono dichiarato disponibile perché ritenevo che la mia esperienza potesse in qualche modo essere utile all'amministrazione di Vicenza per questa realtà, di così grande sofferenza e di così grande difficoltà. Quindi questo è lo spirito con il quale io ho avanzato questa candidatura.

A che punto è nella conoscenza della situazione attuale?

In pratica devo dire che a tutt'oggi la mia conoscenza reale del fenomeno vicentino è zero o quasi zero perché di fatto ho incontrato la nuova direttrice del carcere, Luciana Traetta, poco tempo fa e non ho ancora potuto accedere alla casa di circondariale e prendere conoscenza di quei dati che ritengo indispensabili allo svolgimento dell’incarico. Avrei potuto e posso tecnicamente fare sopralluoghi, anche senza preavviso, nella struttura carceraria ma preferisco, per correttezza, iniziare a farli appena la nuova direttrice avrà preso completamente in mano la sua attività. Quello che, quindi, posso dire è che sono pienamente disponibile a rispondere alle do-

mande del Consiglio comunale oggi in linea generale e in futuro in maniera dettagliata.

È chiaro che in via generale l’obiettivo, la ratio, si dice in diritto, del garante, figura contenuta in una legge dello Stato, è fare in modo che siano rispettati i diritti delle persone private della libertà personale. Non solo delle persone che sono in carcere, ma tutte quelle che sono in stato di arresto. Mi riferisco, per esempio, a quanti sono posti in stato di arresto o di fermo nell'immediatezza della commissione di un reato

e trattenuti per un tempo molto limitato presso celle di sicurezza delle forze dell'ordine, in attesa di essere portate davanti all'autorità giudiziaria per il processo, senza passare attraverso una casa circondariale. Anche queste sono persone private della libertà personale e quindi in qualche modo sottoposte all'attenzione dei garanti.

Qual è il ruolo del garante?

È quello di verificare che tutti i soggetti privati della libertà vedano rispettati i loro diritti, ma non solo. Direi che il suo compito è anche un compito di tipo dinamico, vale a dire di generare consapevolezza della situazione carceraria locale per cercare di sanare quanto più possibile la frattura tra il distacco di queste persone rispetto alle persone libere e, quindi, in qualche modo di cercare di favorire, attraverso questa comunicazione e questi contatti istituzionali, quell'opera di rieducazione, che fa parte della pena così come la Costituzione prevede e che comunque contribuisce o dovrebbe contribuire al mantenimento di una situazione di convivenza e di consapevolezza il più possibile estesa e il più possibile condivisa. In questo senso mi pare che vadano sia le disposizioni normative sia l'accor-

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 Visite alla Casa circondariale di Vicenza di studenti delle scuole superiori nell'ambito del progetto Carcere e Scuola del CSI  La garante Angela Barbaglio in audizione e la presidente della IV Commissione Luisa Consolaro  Garante Casa circondariale di Vicenza

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do che è stato siglato nell’agosto del 2023 (dopo il lavoro iniziato col protocollo d’intesa siglato a luglio 2022, ndr), dal Garante nazionale delle persone private della libertà personale con i comuni tramite, l'ANCI, l’Associazione nazionale dei comuni italiani

L’obiettivo prevede l'esistenza di una rete territoriale i cui dati dovrebbero essere poi utilizzati a livello nazionale per una consapevolezza di tipo generale da parte del Parlamento.

Cosa è tenuto a fare il garante?

Nel “piccolo” di questo territorio deve relazionare periodicamente ogni sei mesi al Comune sulla propria attività, prospettare la situazione e avanzare eventualmente

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proposte che possa ritenere migliorative delle varie situazioni.

Come riassumerebbe il suo ruolo generale?

Richiamo previamente un principio che direi fondamentale. Il garante delle persone private della libertà personale è nominato dal Consiglio comunale del quale ha la, fiducia che deve sapere meritare, ma non è un delegato del Consiglio. Il suo compito non è quello di eseguirne la volontà ma quello di verificare la situazione delle persone private della libertà personale, agevolare in quanto possibile la comunicazione con la realtà sociale e favorire quei tipi di proposte che possano essere strumentali a questo scopo.

Quindi il garante ha il compito di rendere edotto tutto il consiglio comunale sulla situazione che incontra e questo personalmente io intenderò farlo prendendo contatti con la Casa circondariale, cercando di conoscerne le relative realtà.

E parlo della direzione della polizia penitenziaria, degli educatori, di quanti sono preposti alla cura sanitaria delle persone detenute e anche di tutte le associazioni e gli enti che in qualche modo interloquiscono già con queste realtà, cercando di tesserne i rapporti con la realtà esterna.

Andrò in carcere periodicamente, alcuni giorni della settimana, e sarò disponibile a sentire le dichiarazioni dei detenuti. Farò tesoro anche di qualche contatto che ho con persone che già operano all'interno della casa circondariale, perché nel mio precedente ruolo facevo conversazioni sulla legalità negli istituti scolastici, sempre in compagnia di qualche detenuto in permesso che rappresentasse per la sua parte quella che è la situazione carceraria.

So, dunque, da questi miei contatti che non dovrebbero esserci neanche soverchie difficoltà di comprensione della lingua anche con i detenuti di cittadinanza straniera.

Cercherò in qualche modo di acquisire la conoscenza della verità e di quello che già si fa per cercare di vederne gli sviluppi positivi.

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 Luciana Traetta, direttrice della Casa Circondariale Filippo Del Papa al conferimento della laurea  Garante Casa circondariale di Vicenza
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Francesca De Munari, la tuttofare dell’antiquariato di Vicenza

Negozio in centro, mercatini, eventi, collaborazioni con il tribunale.

Di questo e molto altro abbiamo parlato con la titolare del negozio di via Vescovado, fondatrice, con altri, dell’associazione "Non ho l’età" e CTU per il tribunale berico

di Tommaso De Beni

Ci parli di come e quando è iniziata la sua attività

Mio padre ha aperto il negozio di antiquariato nell’84 in viale della Pace e dopo tre anni si è spostato qui in centro e quindi dall’87 il negozio è qui. Abbiamo visto tutti i passaggi dalla non ZTL alla ZTL etc.

Immagino che la città sia cambiata molto e del resto questa è una parte che porta a una piazza molto bella di Vicenza, quella del Duomo, ma allo stesso tempo molti negozi hanno chiuso, molte vetrine sono vuote, ed è diventata una parte un po’ abbandonata del centro storico. Qui, in effetti, c’è quella vista bellissima sulla facciata della cattedrale e poi c'è l'infilata sempre dritta sulla basilica. Sono tanti elementi, diciamo che è sempre una questione di leggere la realtà. È cambiato tutto e lo sappiamo. Sappiamo che le persone sono un po’ più pigre, escono di meno. In generale è più difficile portarle fuori di casa. Quindi ci può essere una questione di parcheggi, una questione di comodità. C’è l’ormai decennale questione del centro storico contro i centri commerciali. Che è stata anche oggetto di tesi della mia triennale, ecco. Dal punto

di vista dei commercianti, bisogna capire che cosa dare non solo al cittadino di Vicenza, ma anche a chi viene da fuori, perché si sta creando questa dinamica per cui il commerciante preferisce tenere chiuso perché, dice, non c'è molta gente. I pochi visitatori trovano negozi chiusi o bar e ristoranti chiusi, c'è poca accoglienza verso chi viene da fuori. E quindi questo non fa crescere la predisposizione della città verso il turista, anche perché purtroppo funziona ancora il passaparola. E quindi una città turistica si costruisce sia con le Istituzioni sia con i cittadini che lavorano per renderla

turistica. Noi l'abbiamo visto anche con l'organizzazione del mercato dell'antiquariato a luglio in viale Roma e Campo Marzio. Dopo l'una di pomeriggio, non c'erano più bar aperti, cioè da viale Roma, dal bar della stazione che chiaramente era aperto, poi tutto viale Roma erano tutti chiusi. Bisognava arrivare, penso, verso piazza dei Signori per trovarne uno aperto. Quando i mercati dell'antiquariato solitamente hanno la concomitanza con la Pasqua, spostano la data o annullano. Noi invece abbiamo raddoppiato e abbiamo fatto sia Pasqua sia Pasquetta. Quest’anno abbiamo organizzato

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 Antiquariato a 360°
 Carlo Emiliano Buffarini e Francesca De Munari alla conferenza di presentazione del mercato dell'epifania a Vicenza

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 Mercatino antiquariato a Padova (foto: PadovaOggi

il mercato dell’Epifania e purtroppo pioveva. Però abbiamo cercato di mantenerlo il più possibile esteso, primo perché gli espositori avevano già pagato gli alberghi, quindi hanno voluto comunque provare a fermarsi perché l'investimento l'avevano già fatto e secondo perché si voleva dare un segnale alla città di presenza. Anche lì, sabato 6 gennaio, molti negozi erano chiusi. Come associazione noi ci impegniamo di seconda domenica del mese a organizzare il mercato dell'antiquariato. Come si chiama e quando è nata l’associazione?

L’associazione è nata nel 2016, si chiama Non ho l’età. Il nome l’ha inventato il mio compagno Carlo Emiliano Buffarini. Abbiamo vinto il bando per il mercato dell'antiquariato di Padova e abbiamo ricevuto una bellissima accoglienza, abbiamo tante associazioni che ci scrivono per collaborare, ad esempio associazioni tipo garage d'epoca, quindi auto d'epoca da portare in esposizione, ballerini di swing, per offrire ai visitatori dell'antiquariato anche un momento culturale. Abbiamo i residenti di Prato della Valle che vengono da noi al punto informazioni che abbiamo il giorno dell'antiquariato a ringraziarci. Quindi c'è un'atmosfera veramente effervescente. I ristoratori ci chie-

dono di organizzare qualcosa insieme. Insomma tutti condividono questo progetto. Ecco, quello che noi percepiamo è che loro vedono la portata del mercato dell'antiquariato, che all'estero ha una forza incredibile, soprattutto in Francia. Con i mercati dell'antiquariato riempiono la Francia; durante l'estate c'è un paesino in Provenza dove il mercato dell’antiquariato dura una settimana. Quella è la forza del mercato dell'antiquariato che ha un target di persone, di utenti finali, di visitatori, che sono persone appassionate all'arte in generale. Poi, magari comprano anche l'oggetto piccolo. Però sono persone attente al contesto che ti visitano la mostra, che si fermano in città e questo l'abbiamo visto anche con il mercato dell'antiquariato di due giorni, a Pasqua e Pasquetta. Abbiamo fatto una bella promozione, sono venute persone da Firenze. Abbiamo cominciato organizzando anche attività culturali. Sempre con un mix tra cultura e intrattenimento. Sfilate in abiti d'epoca, con anche vespe d'epoca, giornata a tema sull'Ottocento e con quartetto d'archi e la lirica. Poi diamo una borsa di studio al Palladio Museum ogni anno per la settimana di studi palladiani per sostenere una ricercatrice, tendenzialmente una donna, studiosa di architettura.

Poi comunque finanziamo attività didattiche per quanto possibile, insomma, e organizziamo eventi culturali invitando personaggi per parlare di arte nelle tante forme che ci sono. Intorno al 2016 mi sembra sia stato il primo bando per la gestione dell'antiquariato, con affidamento sancito appunto da una Convenzione. Abbiamo detto, proviamo a vedere se si può fare qualcosa di diverso, è questo quello che ci ha spinto a proporci. La mia competenza di antiquaria e di CTU unita alla competenza del mio compagno Carlo Emiliano Buffarini, che è sempre stato nel mondo degli eventi, oltre che dj, ha portato a comunicare in maniera differente. Come venivano comunicate le solite fiere? I soliti mercati dell'antiquariato dove trovi le cose della nonna, diciamo le cose vecchie. Invece noi volevamo puntare sui giovani, cioè sì, certamente sugli appassionati, però dobbiamo anche coinvolgere qualcun altro. E in effetti ai nostri mercati si vedono anche molti ragazzi.

Com’è messo oggi il settore dell’antiquariato, come attività economica?

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Sta andando, è chiaro che non siamo più negli anni ‘80, in cui c'era così tanta richiesta che i prezzi continuavano a crescere, perché chiaAntiquariato a 360°

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ramente è la richiesta che fa crescere anche il valore intrinseco dei beni e quindi c'erano mobili che erano arrivati a costare 70, 80 milioni e che oggi magari restano invenduti. Non c'è proprio l'interesse, non che il mobile non sia bello, che non sia pregiato. Ecco, è chiaro che anche lì si è dovuto un po’ cambiare, quindi. È entrato in scena il modernariato, cioè tutta quella produzione di designer a partire dagli anni 50’- ‘60, che però ha una connotazione specifica, che quindi è di marca, di firma, quindi quella trova riscontro. L’antiquariato ha ampliato le categorie. Negli anni ‘80 andavano molto i mobili, però non ce n'erano abbastanza. Succedeva che qualche mobile non era proprio così, veniva sdoppiato. Veniva praticamente ricostruito con alcuni pezzi vecchi, per cui poi si pensava fosse solo restaurato, invece alla fine era trequarti nuovo, con qualche pezzo antico. Quindi magari adesso il mercato è meno sul mobile e più su altre cose. I dipinti si confermano, sono parte integrante dell'arredamento. Poi tavolini, piccole sculture, cornici portafoto. Poi ci sono anche i collezionisti. Quelli che hanno già magari composto una collezione un po’ più articolata, quindi vanno a cercare il pezzo invece più pregiato. Poi c’è anche la vendita online, abbiamo creato il sito Inter-

net da un po’ di anni, tramite quello abbiamo venduto anche all'estero e vendiamo all'estero. È capitato anche di qualche straniero che è passato a Vicenza e ha acquistato e poi abbiamo spedito tipo a Beverly Hills. Ci sono pochi negozi di antiquariato a Vicenza, magari ce ne sono altri con arte moderna e contemporanea ci sono. È bello anche vedere la sorpresa delle persone che entrano, perché è un negozio eclettico. Abbiamo introdotto anche il ‘900, anche il design, e forse non si aspettano di trovare un posto in una città come Vicenza, perché di solito si trovano più all'estero o nelle grandi città. Vedo che appesa alla parete c’è una sua foto con Philippe Daverio All’epoca mi era sembrato che il momento ormai non fosse più quello di una volta e ho voluto cambiare strategia, quindi ho pensato di fare un evento in negozio con un personaggio come Philippe Daverio. Non era solo un momento per la vendita, era un momento anche per gratificare il cliente o l'amico, insomma l'appassionato d'arte. E poi l'ho invitato di nuovo nel 2016.

Lei collabora anche come consulente tecnica d’ufficio per il tribunale di Vicenza Sì, sono CTU per il tribunale. In una maniera un po’ diversa perché non

mi risulta, almeno qui in zona, che ci siano CTU anche storici dell'arte o comunque laureati in storia dell’Arte e quindi si uniscono le competenze, anche in qualche maniera scientifica, di ricostruzione della storia di un'opera d'arte e si mettono al servizio del giudice perché ho seguito anche dei casi grandi di cause penali.

Come si individua, per esempio, un quadro falso?

Bisogna mettere insieme più elementi, bisogna osservarlo molto, cercare molto, poi magari dipende dal falso. Non è mai semplice dimostrarlo, perché bisogna dimostrarlo al mille per mille. Non basta dire che è falso, cioè bisogna rendere chiare ai giudici le motivazioni per cui lo è e non solo ai giudici, ma anche ai difensori dell'imputato. Di solito si falsifica la firma. La firma falsa è sempre uguale a se stessa, cioè tendenzialmente il falsario prende un modello, prende un template, ma è troppo perfetta, è troppo uguale a se stessa tutte le volte, mentre le nostre firme sono varie. Un po’ più lunghe, un po’ più strette. Quelle falsificate sono sempre, sempre le stesse. Poi altri elementi che possono essere i tipi di materiali usati per creare l'opera, perché non sempre sono solo opere pittoriche, delle volte usano materiali come plastiche, perline. Per cui anche quel tipo di elemento, andare a vedere che cosa usava l'artista e che cosa è stato impiegato nell'opera. Delle volte, i falsari copiano l'opera senza avere la consapevolezza di cosa stanno copiando. Diciamo che prendo delle cose che ho studiato all'università, gli errori che fanno i falsari, i copisti, e le uso per andare a esaminare quali sono gli elementi in quell'opera, se è originale o meno.

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 Mercato dell’antiquariato di Vicenza anche a Viale Roma (foto: Francesco Dalla Pozza)

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Stadio Menti: ieri, oggi e domani

L’impianto costruito nel 1934 è tanto amato quanto obsoleto e insostenibile. Ma fare un nuovo stadio sembra un’impresa impossibile

Il Menti. Non è solo il nome di uno stadio intitolato a un calciatore: è un’emozione, un urlo, una frenesia che i tifosi conoscono bene. È un legame inscindibile con la tribù, con l’intera città, che lo stadio lo possiede (e lo paga). È uno scrigno dei ricordi, pochi o tanti che siano. È una carta vincente, non solo perché è la posizione in cui gioca il 12° uomo, ma è stato esso stesso fattore chiave nel ripescaggio in Serie B al posto del Pisa, nell’agosto del 2014. Grazie a quel colpo da campione attempato ma decisivo, il popolo biancorosso ha vissuto la stagione migliore degli ultimi 20 anni. È, infine, una sicurezza, perché in tempi frenetici e fluidi, la fede biancorossa avrà sempre il suo tempio: ieri, oggi, domani.

Ieri

La storia dell’impianto è una fotografia dell’evoluzione della città prima e del suo invecchiare poi. Venne costruito dopo la delibera comunale del 27 marzo 1934 nelle vicinanze del vecchio campo di Borgo Casale. Ultimati i lavori il 31 agosto 1935, il nuovo stadio fu inaugurato con il nome di "Campo Sportivo del Littorio".

Danneggiato e reso impraticabile dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, nel settembre del 1945 ritorna praticabile il terreno di gioco, grazie al lavoro

del comune e di molti volontari. Nel 1949 il consiglio comunale di Vicenza decide di intitolare lo stadio al già citato Romeo Menti, deceduto nella strage di Superga con i compagni del Grande Torino.

Agli inizi degli anni ‘50 la capienza raggiunse i 17.000 posti, grazie alla demolizione della pista d'atletica e la costruzione delle parterre. Nel 1960 venne installato l'impianto d'illuminazione e nel 1967 venne quasi raddoppiata la capienza con la costruzione del secondo anello dei distinti, delle curve e dei settori laterali.

Nei primi anni novanta nuovi lavori di ristrutturazione portano al rifacimento del settore Distinti, ad eliminare le parterre e a ridurre, secondo le nuove norme, la capienza a 20.920 spettatori. Per i tifosi biancorossi, il Menti degli anni ‘90

è la cornice di momenti indelebili nella storia della squadra: la vittoria della Coppa Italia e la lunga (e sfortunata) cavalcata europea.

Attualmente, in ottemperanza delle nuove norme sulla sicurezza, la capienza del Menti è stata ridotta a 12.000 spettatori.

Oggi

Nel maggio scorso, il Comune e la società L.R. Vicenza hanno rinnovato il contratto di concessione per l’utilizzo del Menti per i prossimi tre anni, al costo di 60mila euro all’anno, 20mila euro in più rispetto all’accordo di tre anni fa. La concessione prevede l’utilizzo dello stadio, dell’antistadio e degli spogliatoi, nonché la gestione esclusiva della pubblicità visiva e fonica all’interno dell’impianto. Il prezzo così basso del triennio preceden-

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 Lo staduo menti nel 1935 (Fonte: Wikipedia)

te è giustificabile con la situazione fallimentare del Vicenza Calcio e la conseguente necessità di attirare investitori nel prezioso patrimonio calcistico cittadino.

Il Menti, che dal settembre 2022 sorge in Largo Paolo Rossi, anziché in via Schio, è un edificio di 90 anni, e li dimostra tutti. A fronte del canone annuale della società, il Comune affronta ogni anno lavori di manutenzione ed adeguamento costosi, vista la vetustà dell’impianto: l’ultimo intervento approvato dalla Giunta è una nuova centrale termica da 50mila euro. Una piccola cifra rispetto al costo degli adeguamenti che l’impianto dovrà eseguire in caso di passaggio di categoria (con ogni probabilità non per la prossima stagione…). Di fatto, lo stadio è una rosa sul petto del Comune, ma le spine pungono parecchio sulle casse.

Domani

Di costruire un nuovo stadio a Vicenza se ne parla almeno da 20 anni, e, quando qualcuno pensò di candidare Venezia per le Olimpiadi 2020, Vicenza e il Menti furono compresi nel progetto come sede per il torneo di calcio. Con i milioni del Comitato Olimpico Internazionale e degli sponsor è molto probabile che il vecchio stadio sarebbe stato quasi completamente demolito e riedificato con le moderne tecnologie ingegneristiche. La candidatura

(per fortuna) tramontò ben presto, ma non così i progetti e le fantasie su un nuovo impianto.

Già nel 2011, l’allora sindaco Achille Variati, nel “Documento del sindaco", all’interno del Piano degli interventi, inserì un «nuovo stadio, che sarà anche Arena degli eventi, a Vicenza Est». Qualcosa dev’essere andato storto.

Se ne riparlò anche durante la presidenza Pastorelli, con alcuni incontri con la società B Futura, società della Lega Serie B dedicata allo sviluppo degli impianti, ma il finale è tragicamente noto alla tifoseria e ai tribunali.

L’attuale presidente Renzo Rosso, quando portò il suo Bassano in via Schio, aveva collocato il nuovo stadio nel suo documento programmatico e, a volte, nelle interviste il punto ritorna: «Il progetto era pronto prima del Covid e l’investimento previsto era 70 milioni. Oggi i costi sono schizzati verso l’alto e hanno superato i 100 milioni. Da soli non potremo mai affrontare un simile investi-

mento e per questo stiamo lavorando alla revisione del progetto per renderlo più sostenibile» ha detto il patron a Il Giornale di Vicenza a settembre. Dal canto suo, il neo sindaco Giacomo Possamai ha prontamente rilanciato, fissando a 99 gli anni di concessione che il Comune è disposto a concedere alla società. L'amministrazione ha ribadito di voler portare avanti con convinzione l'iter per la realizzazione dello stadio.

Che Vicenza abbia bisogno non solo di uno stadio, ma di una moderna struttura polivalente (e da anni) è indubbio. Che sia necessaria una forte sinergia tra potere politico e imprenditoriale è scontato. Che Vicenza ne abbia la forza meno.

L’iconico arco del Menti, intanto, resta a guardare. Da 90 anni.

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 Mappa di Venezia, 2020  Impianti sportivi

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Il CONI e il CSI nella rinascita dello sport italiano nell'immediato

dopoguerra

Sergio Serafin (ex presidente provinciale CSI)

Il 4 giugno 1944 le truppe americane entrarono in Roma e nella città eterna liberata finiva la guerra. Nei giorni immediatamente successivi fecero ritorno nella capitale: la famiglia reale, il governo presieduto da Ivanoe Bonomi e tutti gli esponenti dell'antifascismo nell’intento di dare vita ad un nuovo assetto delle istituzioni dello Stato. Uno dei compiti più sentiti degli esecutivi che si succedettero prima e dopo la totale liberazione era la defascistizzazione delle istituzioni e l'epurazione degli apparati pubblici compromessi con il regime fascista. A tale scopo vennero nominati dei commissari con il compito, appunto, di liquidare tutti quegli enti che si richiamavano o evocavano in modo specifico quel regime. Tra questi è ben noto il caso dell'AGIP, a commissario del quale venne nominato Enrico Mattei che, come noto, fece invece l'operazione inversa di rilanciare alla grande l'azienda petrolifera.

Una cosa analoga avvenne per il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano). Qui venne nominato commissario Giulio Onesti, un avvocato torinese di matrice socialista, che pure pensò bene di far rivivere e ricrescere questa istituzione. Lo convinse il fatto che il fascismo si era collegato allo sport solo marginalmente e in apparenza acconten-

 A destra Luigi

tandosi di saluti romani, di omaggi al duce e di parate paramilitari e quindi relativamente compromesso, ma anche perché lo sport era divenuto un fatto molto popolare e di portata internazionale.

Onesti trovò subito un grande alleato nell'on. Giulio Andreotti, giovane sottosegretario alla Presidenza del Consiglio durante i governi De Gasperi. Un'alleanza che divenne di ferro e durò, non senza contrasti, sino alla fine del suo incarico quando nel 1978 fu sostituito da Franco Carraro. Sicuro del suo incarico, Onesti iniziò allora a tessere una vasta rete di rapporti non solo con il mondo politico democristiano, ma

anche e in modo non marginale, con quello ecclesiastico. Roma, subito dopo la sua liberazione, vide risorgere con grande fervore ed entusiasmo l'associazionismo cattolico, soprattutto giovanile (già combattuto e soppresso dal fascismo) sotto l'auspicio e la benedizione del papa Pio XII e l'iniziativa di un dinamico promotore, Luigi Gedda. Un illustre medico e scienziato, presidente nazionale della Gioventù Cattolica e poi dell'Azione Cattolica generale, che diventerà, in seguito, protagonista di accese battaglie politiche in occasione delle elezioni del dopoguerra. In questo ambito, ancora nel gennaio del ‘44, nasceva o meglio rinasceva

n.
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5 / Febbraio 2024
 Associazionismo
Gedda, fondatore e primo presidente del CSI, mentre premia un atleta, davanti allo sguardo di Giulio Onesti, primo presidente del CONI

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la FASCI (Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche) fondata nel 1906 e soppressa nel 1927, ma con una nuova denominazione: CSI (Centro Sportivo Italiano). Un ente di promozione sportiva di ispirazione cristiana, ma aperto a tutti non solo ai cattolici.

In un quadro di generale distruzione e disorientamento, con una guerra ancora in corso, la Chiesa mediante le parrocchie, si presentava come un’entità attiva, diffusa e significativa. Distribuite capillarmente su tutto il territorio, le parrocchie erano praticamente le uniche che potevano avvalersi di strutture ricreative e di spazi da dedicare allo sport, all’animazione teatrale, allo scoutismo ed altre attività sociali, con gli oratori o patronati o centri giovanili. Inoltre possedevano quadri dirigenti e operatori capaci di indirizzare e guidare i giovani verso queste attività.

Il CSI, dal canto suo, iniziò subito una progressiva attività organizzativa e agonistica, soprattutto con il calcio e il ciclismo, allora gli sport più seguiti, divenendo ben presto

una realtà palese e numericamente rilevante. Onesti vide allora nel CSI un iniziale interlocutore valido ed importante con cui avviare un rapporto di collaborazione e di sostegno alla sua opera. Avviò quindi una relazione con Gedda e con il suo vice, Aldo Notario, giovane professore torinese dirigente della Gioventù Cattolica. La profferta di collaborazione con il CSI, che peraltro non poneva in discussione il ruolo tecnico del CONI e delle Federazioni, venne accettata di buon grado. Ciò concesse al CSI un riconoscimento come “Ente di propaganda” e un piccolo definito contributo. Ne conseguì che i tecnici delle Federazioni nazionali si confusero ben presto con le strutture del CSI e viceversa. Un fenomeno di sinergia visibile non solo nel calcio, che aveva una sufficiente autonomia nelle categorie adulte, ma soprattutto in alcune discipline tipiche del CSI, come la pallavolo e il tennis tavolo, mentre il calcio giovanile fu per diverso tempo monopolio quasi esclusivo del CSI , dato che la FIGC se ne disinteressò sino agli anni ‘70.

Il disegno di Onesti mirava ad assegnare al CONI l’egida e il potere su tutto lo sport italiano, non solo quello riguardante gli aspetti della presenza alle olimpiadi, in forza anche di quanto recitava e recita ancora la legge istitutiva del CONI del 1942, rimasta inalterata (salvo il riferimento alla razza) che conferisce al CONI il controllo di tutta l’attività sportiva da chiunque e comunque esercitata. Su questo punto il sodalizio con Andreotti fu determinante. Oltre alla protezione politica il deputato democristiano assicurò al CONI l’autosufficienza finanziaria mediante l'acquisizione del SISAL (poi divenuto Totocalcio) il gioco a pronostici che cominciava a furoreggiare e dare cospicui introiti. Per il CSI si trattava di perseguire un’accettabile autonomia che Gedda e i suoi collaboratori riuscirono a ottenere e che in seguito interessò anche gli altri Enti di propaganda , poi meglio definiti “Enti di Promozione” che sarebbero poi nati su iniziativa e sotto la protezione dei rispettivi partiti politici: UISP (PCI), Libertas (DC), Fiamma (MSI), AICS (PSI), CSEN (PLI). A cui si sono aggiunti più tardi l’US. ACLI, la PGS (Salesiani) e il CSAI (Confindustria).

A Vicenza la guerra aveva lasciato la città molto martoriata. Oltre alla distruzione di molti edifici del centro e della periferia, gli insistenti bombardamenti avevano reso inagibili tante strutture sportive, tra queste lo stadio Comunale (che nel 1949 sarà intitolato a Romeo Menti a seguito della tragedia di Superga). Le palestre scolastiche ancora utilizzabili e degne di questo nome, rimaste miracolosamente illese, erano solo quelle di Piarda Fanton e della GIL Erano inoltre in qualche modo usufruibili la piastra all’aperto per per il basket (ove mosse i primi passi l’attività federale di pallacanestro, in attesa di poter entrare nel salone della Basilica Palladiana ricostruita) e la pista (non regolare, da 300 me-

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 Associazionismo
 Da sinistra: Andreotti, Moro, card. Dante, Colombo, Onesti, mons. Costa (assistente generale dell’A.C.), ad una celebrazione nei primi anni ’60

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tri con il fondo in carbonella, sempre nell’area della GIL Proprio ben poco. Le conseguenze della guerra, appena conclusa, avevano portato morte, dolore e distruzione. Parlare di sport voleva dire essere fuori di testa, c’era ben altro a cui pensare. Eppure, non c’era solo la ricostruzione materiale. Occorreva ricostruire un tessuto sociale dilaniato, dopo una guerra disastrosa, una guerra civile e un ventennio da dimenticare. Era necessario ripartire subito con coraggio.

Già nel maggio del’45, a neanche un mese dalla fine del conflitto, la GIAC (Gioventù Italiana di Azione Cattolica) in una delle prime sedute organizzative della Presidenza diocesana, sulla scia delle direttive romane, diede vita al Comitato provinciale del CSI, che ebbe subito la piena approvazione e la benedizione del vescovo Zinato.

Venne affidata la guida al dr. Angelo Gemo, membro della Presidenza diocesana già durante la guerra e attivo, sia pur non in armi, nella Resistenza, e da don Vincenzo Borsato, autorevole e illuminato assistente della Gioventù maschile. Il Comitato si strutturò subito con un gruppo di giovani appassionati che andarono a comporre le commissioni tecniche delle varie discipline, e nello stesso settembre avvenne il lancio di un primo torneo di calcio cittadino. In ottobre un torneo provinciale di tennis tavolo e nel novembre l’avvio del primo Campionato provinciale di calcio, nelle due categorie: Allievi (vincitrice l’Azzurra di Sandrigo) e Ragazzi (prima la Fulgor di Malo). Allora i (tanti) giovani cappellani non disdegnavano di far parte del direttivo della squadra o, sollevando la tonaca, di far da arbitri o addirittura da allenatori. Subito ne seguì il sorgere di tante società sportive un po’ in tutta la provincia. Società nate allora con il CSI e alcune ancora oggi in attività nei campionati delle Federazioni.

Stabilizzata la situazione del CONI a livello centrale, Giulio Onesti

vide la necessità di occuparsi della periferia del Paese e di estendere alle singole province l’egida e i compiti del Comitato Olimpico. A Vicenza trovò nel dr. Vittorio Morini la persona adatta e disponibile a cui affidare la presidenza provinciale. Era l’anno 1949. Morini aveva un passato di atleta e di giocatore di pallacanestro, laureato in economia e commercio, funzionario e poi presidente della Camera di Commercio. La sua nomina venne riconosciuta e poi confermata mediante votazione e reiterata ad ogni scadenza di mandato sino al 1994, quando, dopo 45 anni ininterrotti da presidente provinciale, a 79 di età, passò il testimone al prof. Umberto Nicolai.

La realtà generale dello sport nel vicentino, salvo rinascite encomiabili a macchia di leopardo, era da mani sui capelli. In questa condizione il neo presidente vide, come il suo referente massimo a Roma, nell’ente sportivo espressione dell’ associazionismo cattolico una sponda e un alleato già strutturato e organizzato con cui operare. In tal senso, il solerte responsabile del CONI, favorì presto convenzioni con le Federazioni e avviando iniziative comuni e in diverse occasioni operando con i tecnici e gli arbitri del CSI. Il legame si rafforzò con l’organizzazione dei primi Campionati studenteschi, Ma soprattutto curando una costante presenza alle varie occasioni d’incontro (convegni, congressi, assemblee, premiazioni) e alle salienti manifestazioni sportive indette dall’Associazione di ispirazione cristiana, almeno sino alla fine degli anni ‘60.

Nel 1971 il CSI, approvò un nuovo statuto che prevedeva il distacco dall’A.C. e, pur rimanendo fedele alla concezione cristiana dello sport, cessava di definirsi “Associazione cattolica” assumendo quindi una fisionomia più laica e democratica e maggiormente aperta al sociale. Nel contempo maturò la decisione di unirsi e fondersi con la FARI, la consorella Associazione sportiva e ricreativa legata all’A.C. femminile.

Nel 2024 il CSI festeggerà gli 80 anni di vita, a Vicenza sarà per l’anno dopo. Una storia, la sua, ricca di eventi, di una schiera di volontari, di tante società sportive, di innumerevoli competizioni, di progetti ed elaborazioni culturali, che in parte sono diventati cultura diffusa anche negli ambiti più generali dello sport, soprattutto giovanile. Uno sport finalizzato all’aspetto educativo, di bassa soglia, ma che non ha impedito di far nascere e maturare tanti atleti di alto livello.

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 Associazionismo
 Da sinistra: il dr. Vittorio Morini, don Giuseppe Parolin (assistente CSI) e mons. Carlo Zinato in episcopio a Vicenza nel 1962

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Cold case: Ludwig e il mistero del terzo assassino

Il gruppo, che seminò il terrore tra il ‘77 e l’84, colpì a Vicenza due volte. Ma la verità non è ancora emersa completamente

Era stata una giornata torrida, quel 20 luglio 1982. Di quelle soffocanti e umide tipiche delle estati vicentine, quando solo dopo il tramonto ci si può godere una boccata d’aria e fare due passi. E così fecero anche due frati dell’Ordine dei Servi di Maria, Mario Lovato e Giovanni Battista Pigato, uscendo dal loro convento e imboccando le viuzze che scendono da Monte Berico. Non sapevano che, a poche decine di metri dal Santuario che domina e protegge Vicenza, avrebbero incontrato il demonio. Anzi, i demoni.

Chiusi nella concentrazione delle loro preghiere non si erano accorti che, alle loro spalle erano comparse due persone. Gli assassini bloccarono la coppia di religiosi in un punto seminascosto di via Cialdini ed iniziarono a colpirli in testa con ferocia sovrumana. L’allarme venne lanciato circa mezz’ora più tardi, quando una coppia di fidanzati che stava passeggiando mano nella mano si trovò davanti agli occhi una scena raccapricciante.

Lovato era già morto mentre Pigato finirà di respirare all’ospedale San Bortolo. L'autopsia dirà che la causa della morte per Lovato fu lo sfondamento cranico con fuoriuscita di materia cerebrale, per Pigato l’affondamento della scatola cranica con

conseguente coma profondo. «Gli assassini avevano preparato l’aggressione - si legge nell’articolo su Il Giornale di Vicenza di Dino Biesuz -. I grossi martelli, quasi mazze, sono nuovi, sembrano appena comprati».

E ancora: «Uno è in mezzo al sangue, è stato usato con la parte appuntita, quella più micidiale. Imbrattato di sangue anche un sacchetto di plastica nera... L’altro martello, pure insanguinato, è un po’ staccato dalla macchia di sangue».

Per la città fu la fine dell'ebbrezza da campioni del Mondo, con il biancorosso Pablito eroe nazionale. I vicentini rimasero agghiacciati da un omicidio così feroce. E contro due frati, sotto la Madonna di Monte Berico. Chi mai poteva aver compiuto un gesto così profondamente malvagio? La risposta arrivò dopo tre

giorni, quando il brutale omicidio viene rivendicato all’Ansa di Milano da Ludwig: «Ludwig dopo il rogo di S. Giorgio a Verona ha colpito di nuovo a Vicenza sul Monte Berico. Siamo gli ultimi eredi del nazismo, il fine della nostra vita è la morte di coloro che tradiscono il vero Dio. Gli autoadesivi che alleghiamo combaciano esattamente con quelli applicati sui manici degli strumenti usati. Gott mit uns». La busta conteneva prove inequivocabili sull'autenticità della rivendicazione. Ludwig aveva già ucciso (e rivendicato gli omicidi) altre 5 volte, di cui una ancora a Vicenza, nei pressi di Campo Marzo, dove, il 20 dicembre 1980, uccisero a colpi di ascia e di martello la prostituta cinquantaduenne Alice Maria Baretta. Ci vorranno quasi due anni e altre 19

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 Wolfgang Abel e Marco Furlan (da Wikipedia)
 Cold case

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vittime prima che la polizia arresti Wolfgang Abel e Marco Furlan, due ragazzi del Veneto bene, e li condanni a 30 anni, grazie a una riconosciuta semi infermità mentale. Furlan riuscì anche a fuggire in Grecia, dal ‘91 al ‘95, mentre attendeva la conferma della condanna in Cassazione. Oggi Abel è libero ma in un coma irreversibile, causatogli dalla caduta da un albero nell’autunno del 2021. Furlan è uscito dal carcere nel 2009 ed è completamente uscito dai radar, se non per un incontro con Papa Francesco (in cui ha pianto) nel 2018. Tuttavia è molto probabile che sui delitti Ludwig non sia emersa tutta la verità, compreso il brutale omicidio di Monte Berico. Gli investigatori vicentini ipotizzarono che gli aggressori fossero almeno in tre, soprattutto in base ad alcune delle testimonianze raccolte. Federica Rossi Bortolaso disse agli inquirenti di aver notato tre ragazzi quando era uscita da messa, con delle borse di plastica simili a quelle trovate sul luogo del delitto. E li descrive: «Uno aveva capelli scuri, mossi,

lunghi fino alle spalle; uno capelli castano chiari, lunghi e mossi, folta barba e baffi; il terzo aveva capelli scuri, ed era pettinato con riga centrale». Che Ludwig celi un gruppo di giovani cresciuti all’ombra del movimento di estrema destra Ordine nuovo di Verona lo si sospetta da quasi 40 anni. Portano in questa direzione le indagini del giudice istruttore bolognese Leonardo Grassi sulle “Ronde pirogine antidemocratiche” un gruppo che sul finire degli anni ’80 divenne famoso per gli attentati incendiari a un centinaio di automobili, soprattutto utilitarie. Per Grassi, autore della sentenza-ordinanza depositata il 2 aprile del 1990, le menti dell’organizzazione sono due veronesi: Marco Toffaloni, (ora indagato per la strage di Brescia), e l’insegnante di matematica Curzio Vivarelli. Dall’inchiesta emerge che il professore era l’ispiratore politico dell’attività pirogena bolognese e colui che aveva sostituito Toffaloni alla guida del gruppo. Ma la sua immagine nasconde ombre e sfumature inquietanti. Alcuni tra gli incendiari confessano ai magistrati che Vivarelli si vantava di conoscere quelli del gruppo Ludwig. Grassi intercetta una telefonata

effettuata sull’utenza di Giovanni Gunnella, figlio di Pietro ritenuto dalla magistratura milanese una delle figure di riferimento dell’estrema destra a Verona. Dialogando con un amico, Gunnella junior gli confida il sospetto che «Curzio, amico di Furlan e Abel, è il terzo uomo di Ludwig». Per Grassi, quindi, «si può dedurre univocamente che il Vivarelli effettivamente nel 1987 e successivamente si presentava come appartenente al gruppo Ludwig».

Lo stesso Abel, nel 2011 aveva confessato alla giornalista Monica Zornetta, autrice del libro Ludwig: «La banda c’è. È composta da 4 o 5 persone più un paio di fiancheggiatori. Io l’ho capito quando Furlan è scappato a Creta. C’entra la politica, c’entrano persone facoltose legate alla destra estrema»

Ma questa ipotesi non è mai stata approfondita e scandagliata. Ludwig potrebbe essere ancora in libertà, nascosto da complici silenzi.

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 Cold case
 Uno dei volantini di Ludwig (da Wikipedia)  La lapide sbiadita sui due frati

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Noi, boomers. I miti

di Massimo Parolin

L'etimologia della parola mito è da ricondursi al greco μύθος (mythos) che tradotto in italiano significa parola, narrazione, favola, leggenda. Il termine mito è stato quindi utilizzato, sin dall'antichità, per indicare un racconto leggendario, profondamente intriso di archetipica sacralità, originatosi nella notte dei tempi. Il termine pertanto veniva utilizzato dai boomers come dai giovani d’oggi in modo improprio quando parlavano e parlano di situazioni e fatti, simboli della loro generazione, in quanto non aventi la caratteristica di leggenda o favola ma bensì della

realtà. Fatti e situazioni effettivamente da loro compiuti o vissuti. Iconico il termine corretto ma il suono di questa parola non rendeva/rende lo stesso messaggio che assicurava il lemma mito ( se qualcuno mi avesse detto da ragazzo, dopo magari avere compiuto qualcosa di “forte”: Massimo sei iconico al posto di Massimo sei un mito, avrebbe perso un amico, in quanto l’avrei ritenuta un’offesa, nella mia abissale ignoranza. Tantomeno gli 883 l’avevano capito).

Ma per non discostarci dal gergo allora utilizzato parleremo comunque di miti, classificati come tali dai boomers vicentini.

Il Racing di Corso San Felice: un viaggio all’alba dell’era videoludica. Mai saputo perché la prima e principale, iconica, sala giochi di Vicenza veniva in tal modo chiamata, corsa in italiano. Non c’era un’insegna, una segnaletica che confermasse tale denominazione. Ma nella parlata di allora così era e fine dea discussion direbbe Luciano.

Si trovava in Corso San Felice, dopo l’incrocio con Via Battaglione

Monte Berico, sulla parte sinistra andando verso la rotatoria di Viale Milano. Esattamente nel mezzo ed all’interno di una corte comune.

Il fabbricato era fatiscente, un magazzino direi. L’interno, i suoi locali erano amplissimi. Si entrava spingendo una porta pesante, metà in vetro e metà in ferro. Sul muro di ingresso a sinistra un telefono a gettoni e a destra come a sinistra i giochi. La cassa ubicata nella sala principale dove andavi a cambiare le monete in gettoni. Nessun’aria condizionata in estate e l’afa persistente era paragonabile a quella di Kuala Lumpur, ma gli indomiti giocavano lo stesso. L’iperidrosi

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 Boomers
 Il videogioco "Pong"  Il videogioco "Space intruders"

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ascellare marcando la maglietta, come la ferita del soldato, costituiva una loro decorazione al merito: dovevano scalare la top ten, che restava memorizzata e visibile ai più, potendo così gonfiare il petto con gli amici.

Nella sala di sinistra si trovavano, oltre alla macchinetta con le palline colorate chewingum ed i flippers, i giochi cabinati (i coin’op): Pac-man, Space Intruders, Tetris, Pong (la simulazione del tennis da tavolo in bianco e nero. Più che essenziale direi minimale e richiedeva un calcolo della geometria e degli angoli degno del matematico Ramanujan), solo per citarne alcuni e senza voler far torto a nessuno. In fondo a tale sala, un ulteriore locale dove trovavano posto i tennis da tavolo. Nella sala di destra quattro biliardi, dove i veci (ultradiciottenni), sigaretta penzolante dall’angolo destro della bocca come James Dean, giocavano all’italiana mentre i bocie all’americana (ultima palla da imbucare la n° 8) o a 125.

Ma il vero mito non era la sala giochi, ma il suo titolare: “Lino”. Dovessi rappresentarlo incontrerei gli stessi problemi di Kant con il noumeno, in quanto oltre la mia capacità di conoscere e di definire la realtà.

Ma perchè non provarci ed arrischiare un identikit?. Se avessi dovuto attribuirgli un’età mi sarei trovato in difficoltà. Era un uomo senza tempo: quaranta, cinquant’anni?

Calvo e glabro, panciuto, dal viso tondo e lo sguardo sfidante. La voce tonante ma che incespicava nel suono della t pronunciata con la lingua tra i denti, alla stregua del fonema anglosassone th, che per settimane, già alle medie, i professori di inglese spiegavano e rispiegavano, tormentandoci come l’insegnante di Pink … hey, teacher leave those kids alone

Le sue urla “non batthere” provenienti dal locale della cassa, dove era uso schiacciare pisolini sopra una sdraio dai fili in plastica, indirizzate ai biliardisti che sbattevano la stecca sopra il tavolo, erano il suo segno distintivo che noi, vigliaccamente, imitavamo ogniqualvolta ve ne fosse stata la possibilità. Insomma, qualcuno avrebbe detto un tipo poco affabile se la fisiognomica ha un significato.

In realtà era solo un uomo che cercava onestamente di gestire la propria attività gestendo centinaia di ragazzi anzi centinaia di diavoli scatenati

La piscina di Via Ferrarin Arrivava l’estate, finiva la scuola ed uno dei principali centri di aggregazione diventava la piscina. Alcuni preferivano Livelon, sfidando pantegane e leptospirosi, la spiaggia low cost dei Vicentini, sul fiume Bacchiglione a Polegge, oggi non più frequentata dagli autoctoni ma da badanti dell’est, ma la piscina comunale rimaneva il punto fondamentale di incontro estivo di noi boomers.

All’epoca (fine anni 70) non esistevano fantasmagorici scivoli o giochi d’acqua (il primo parco acquatico, almeno quello più limitrofo alla nostra città, nasceva infatti tra il 1980 ed il 1983: il Caneva, sulla costa orientale del Lago di Garda) ma solo le vasche.

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Ce n’erano ben quattro in luogo dell’unica rimasta oggi oltre alla pocia per l’arrivo dello scivolo, in quanto si è fatto posto successivamente all’impianto natatorio al coperto. Boomers
 La piscina di viale Ferrarin

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Tre occupavano il sedime dell’odierna, predetta, struttura coperta: la prima vasca di 15/25 mt (non ricordo esattamente la lunghezza) profonda fino ai 2 mt. e 40 cm. Non si toccava da nessuna parte a meno che non ci fosse un watusso ed utilizzata pertanto solo dai nuotatori provetti; la seconda, molto stretta, quasi una striscia, profonda 1 mt., lunga circa una decina di metri e larga tre o quattro; la terza piccolina riservata ai bimbi; la quarta, l’attualmente esistente, olimpionica.

Un solo chiosco per gelati, bibite e panini, all’estremità dell’entrata, nessun ombrellone e nessuna sdraio. Buttavamo l’asciugamano sulle lastre di cemento circondanti la piscina olimpionica, che in agosto diventavano pietre ollari incandescenti procuranti scottature di terzo grado ed il cui dolore veniva lenito solo dopo un tuffo, e prendevamo il

sole con i nostri (finti) Rayban, costume a banda larga e con a fianco il mitico stereo (chiamato proprio semplicemente così … ciò porta ti lo stereo chel mio non se taca!) ossia il mangiacassette/radio. Ah, fondamentale: nessuna crema solare. Figuriamoci! Pensate voi se dei ragazzi di 16/17 anni avrebbero potuto spalmarsela vicendevolmente davanti alle ragazze: avremmo preferito il ricovero presso il CGU (Centro Grandi Ustionati di Cesena) finanche la morte.

Pertanto le medesime compagnie di ragazzi che di sera si radunavano nei propri quartieri, di giorno si spostavano in piscina con l’unico e solo intento: conosser toxe!

Ecco che c’era quello che, davanti a loro, metteva in mostra le proprie capacità natatorie ( crawl, dorso, delfino, farfalla, Mark Spitz era un anatroccolo al confronto, …. no la rana no non era sensuale e macha), chi tacava boton con la solita banalissima scusa di un gelato, chi invece senza coraggio camminava in vasca per tutto il pomeriggio con l’amico a decidere chi doveva fare il primo passo ( va ti … no va ti … no te go dito che toca a ti … vanti vado mi però vien anca ti… macché, poi non ci andava nessuno, avere un incontro con Paolo VI sarebbe stato più facile). Il pomeriggio così scorreva veloce ed il ritorno a casa costituiva solo un pit stop perché immediatamente si riusciva, la sera era piccola per noi!

Cisco

Di personaggi particolari come Lino, Vicenza ne ha avuti diversi, passando da Geremia a Scotolati, ma quello più vicino ai baby boomers fu senz’altro Cisco, Aldo Cegalin per l’anagrafe. Morto nel 2018 a 95 anni. Il “nostro” commerciante ambulante di dolciumi e gelati. Lo trovavi davanti all’ospedale con la sua Ape Arancione oppure al parco giochi di Campo Marzo con il suo carrettino bianco a mano. Il gelato più buono? El mistareo, tutti i frutti messi sopra al cioccolato. Era il gusto del Paradiso ci diceva. Ma ciò che mangiavamo con avidità erano i suoi caramei, che lui conservava all’interno di una bachechina in vetro che poi appoggiava su un trepiedi: il suo banco di vendita itinerante.

I caramei non erano altro che spiedini di uvetta, noci, prugne, albicocche e addirittura peperoni, il gusto più deciso, che venivano caramellati. E quando li mangiavamo schioccavano nelle nostre bocche: una delizia del palato. Cisco poi aveva un sacchetto con i numeri della tombola, per chi amava il gioco d’azzardo, o si faceva pari o dispari. Se vincevi, raddoppiavi l’investimento in caramei. Chi non li ha mangiati allora e, purtroppo, oggi, chi non li può più assaggiare, non ha assaporato quanto dolce sia stata, grazie a Lui, Vicenza, Città Bellissima!

Grazie Aldo per averci regalato una “dolce” gioventù!

n. 5 / Febbraio 2024 - 45
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Bar Colazioni, pranzi veloci e aperitivi che vi conquisteranno Via Monte Cengio 46 Vicenza
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Perché i vicentini odiano Madame?

Il caso della giovanissima cantautrice che, anziché ricevere il supporto dei suoi concittadini, viene puntualmente insultata sui social

Che male ha fatto Madame ai vicentini? La 22enne di Creazzo Francesca Calearo ha vinto Sanremo come co-autrice de “La noia”, ha l’ammirazione di Vasco Rossi, con cui si è da poco incontrata in uno studio a Los Angeles, sforna successi a raffica e calca i palchi di tutta Italia ormai da 5 anni, eppure, non appena i quotidiani locali pubblicano sui social un articolo su di lei, anche il semplice annuncio di una sua esibizione, gli haters berici accorrono con la velocità delle zanzare nelle notti d’agosto sul primo lembo di pelle non spalmato di Autan.

Facendo una selezione a campione sotto alcuni post, si legge «Ma vi rendete conto? Artista? Siamo seri, strimpellattrice... Già troppo…», «Madame...fatti gli affari tuoi… impara a cantare incapace!»; sotto la data di un suo concerto, «Ok. Ottimo motivo x nn scrollarsi dal divano», «La aspetto come si aspetta una multa per guida in stato di ebbrezza». Infine «testi vergognosi, la croce e la corona di spine lasciale stare, non ti auguro neanche di viverle veramente sulla tua pelle… testi idioti scritti da ragazzine», «Adesso capisco perchè il pezzo lascia a desiderare…» sono alcuni dei commenti all’articolo sulla sua vittoria con Angelina Mango.

In questo ultimo caso, l’astio nei confronti della giovanissima cantautrice impressiona ancora di più, se confrontato con la levata di scudi da parte dei napoletani per il secondo posto del concittadino Geolier. L’intera città si è schierata al fianco dello sconfitto, gridando al complotto e accogliendolo in centinaia in aeroporto, prima di assistere al comizio del rapper dal balcone di casa.

I social hanno da tempo assunto la funzione di “sfogatoio” per tantissime persone, non solo per i vicentini, e sono comuni le stigmatizzazioni dei giovani artisti da parte delle generazioni che giovani non lo sono più da un pezzo. E, purtroppo, le ragazze e le donne sono vittime privilegiate dagli haters, se non altro perchè moltissimi sono anche di sesso femminile. Quello che colpisce del caso “vicentini e Madame” è la puntualità e l’intensità

degli attacchi che subisce, molto più dell’altra vicentina sotto i riflettori mainstream Francesca Michielin.

Madame frequentava il liceo Pigafetta quando, nel 2018, all'età di sedici anni, ha debuttato con il suo primo singolo “Anna”, prodotto da Eiemgei. Poco dopo, aveva già firmato un contratto con l'etichetta Sugar Music di Caterina Caselli. Verso la fine dello stesso anno pubblicava il secondo singolo, “Sciccherie”, con cui ha raggiunto il Disco di platino. Nell'agosto dell'anno successivo il video viene condiviso su Instagram dal calciatore Cristiano Ronaldo, titolare di quello che all'epoca era il secondo profilo più seguito al mondo, e la popolarità della giovanissima vicentina sale alle stelle e oltre.

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 Madame (foto di Mattia Guolo per Come di Vicenza)

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Nei due anni successivi, la sua carriera musicale prosegue a vele spiegate, anche con collaborazioni con artisti italiani molto noti come Marracash, Irama, Elodie, Rkomi, Negramaro, Fabri Fibra, Laura Pausini. Ma, probabilmente, è con la sua partecipazione al Festival di Sanremo 2021, subito nella categoria Campioni, che il pubblico vicentino over 30 si accorge di lei. Ed è subito “bullismo”, come quello che la cantautrice aveva raccontato, al Corriere della Sera, di aver subito nei suoi anni scolastici: non va bene l’abito, non si capisce cosa dice, sa cantare solo con l’autotune.

Quando la Sugar chiede e ottiene il Teatro Olimpico come location per il video di “Voce”, su di lei, che era probabilmente estranea alla scelta, piovono parole di pietra. Per placare gli animi, qualche giorno dopo, viene organizzato un convegno “Madame all’Olimpico, Vicenza tra Classico e Pop”, con assessori e intellettuali locali. Eppure, quando Diesel fece posare i giocatori dell’LR Vicenza in mutande sulle poltroncine rosse del capolavoro palladiano ci fu al massimo qualche imbarazzo e qualche risatina.

Mentre prosegue tra tour e nuovi successi, Madame, nel 2022, viene denunciata per “falso ideologico” con altre personalità dello sport e dello spettacolo per un falso green pass. Se Amadeus e mamma Rai fanno spallucce e la confermano nel cast del Festival 2023, per i vicentini è l’ennesima onta patita per colpa di questa ragazzetta di Creazzo, che si è “perfino” dichiarata bisessuale.

Come non giustificarla quando, nel corso di un’altra intervista, dichiara «di aver paura degli haters», e di «essere sempre stata abbastanza odiata anche a Vicenza». Invece no: senza pietà, i followers delle testate locali colgono questa ennesima occasione per esibire il loro repertorio migliore. Per nega-

re l’astio cittadino deve intervenire il sindaco in persona.

Quando è stata co-conduttrice di una puntata delle Iene, Francesca Madame Calearo ha raccontato di aver avuto un’adolescenza difficile, senza o con pochissimi amici, piena di ansiolitici e dominata da un brutto rapporto con sé stessa e con gli altri. Un’adolescenza non diversa da molte altre ma che è durata relativamente poco, visto il suo successo precoce.

Il modello di giovane donna che porta sul palco è sessualmente fluido, lontano dagli stereotipi della strafiga o della virtuosa (in entrambi i significati, musicale e morale) ed è

quindi scontato che attiri su di sé il disprezzo di qualunquisti e, fondamentalmente, ignoranti non solo vicentini. E certo, non è pensabile che i composti abitanti dell’ex sacrestia d’Italia facciano di Madame la loro portabandiera e la difendano con il pathos tipico dei partenopei.

Tuttavia, il fatto che da Vicenza emergano solo artisti che nelle canzoni e nelle interviste raccontano un certo male di vivere (Sangiovanni, ad esempio, ha recentemente annunciato una pausa per un malessere interiore; e si provi a leggere i testi del rapper Nitro…) una riflessione cittadina la potrebbe meritare. E, soprattutto, un decoroso rispetto.

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 Madame (foto di Mattia Guolo per Come di Vicenza)

di San Bernardo in Valbondiona, Alta Val Seriana (nota per le opere d'arte dal XV secolo).

La stele per le ricorrenze fogazzariane – le donne di Fogazzaro entro e fuori i suoi romanzi – che si trova nella villa fogazzariana di Montegalda. Opere dimensionalmente notevoli come la “Universale” nella hall di un'azienda leonicena. All'estero, ove è ben conosciuto, specialmente nei paesi balcanici, il pannello “Compiacimento di Dio Padre” nella parrocchiale di San Giorgio a Pirano e sempre a Pirano, in casa Tartini, la statua “il trillo del diavolo”.

Acquarelli, bronzi, oli fanno parte di collezioni pubbliche (il Crocifisso e le baute alla festa delle ciliege nella Torre Rivellina

Quattro scelte per voi dalle collane Vicenza Papers e Vicenza Popolare Acquistabili su Amazon, nelle migliori librerie e sul nostro shop https://www.vipiu.it/shop/#libri € 10,00 Due volumi a € 14,00 La tradizione vicentina raccontata attraverso le sue ricette UMBERTO RIVA UMBERTO RIVA Arte culi ‘n aria Umberto Riva trova nell'arte figurativa una dimensione mentale diversa da quella filosofia/matematica in cui ha sempre vissuto ed in cui continua a vivere. Si è compiaciuto in varie esposizioni nel Castello inferiore di Marostica, alla Galleria Elle di Vicenza, alla Galleria Art'ù ove si è esibito nello spirito dechampiano con altri quattro artisti. Altre mostre collettive ed extempore in Italia ed all'estero. A Marostica la sua prima grande opera (sedici metri quadrati) quale ornamento all'abside della chiesetta di San Marco, seguita dal “Dolore di Cristo” (alta 4,5 metri) nella chiesa
di Marostica) e private. Presente nel campo letterario come, ad esempio, i racconti pubblicati sotto il titolo "Può darsi", presente anche nella biblioteca d Marostica. Al presente, senza abbandonare la matematica per cui ha stilato alcune teorie nel campo quantistico e nel principio di indeterminazione, si dedica alla filosofia del pensiero e a conferenze ad essa rivolte anche tramite esternazioni su radio Gamma 5. Umberto Riva è nato a Vicenza, ove risiede, l'8 ottobre 1932. Editoriale ELAS Editoriale L’altra stampa icenza opolare / 2 3 € 9,90 ELAS_Ricette_copertina.indd 1 14/01/21 16:11 € 12,00 € 9,90

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Un cocktail di musica e brividi

Il cielo è turchese come turchese non è mai stato.

L’aria si fa sfiorare soltanto dalla melodia gentile di una Fender color panna.

È un lui che suona per strada, e in due giri di Do mi ha aggrovigliata e non riesco più a liberarmi.

Lo ascolto e mi dico: “Sembra che stia raccontando un segreto, a quella chitarra”. Appena tornata a casa corro a beccarlo su Instagram: “Te lo bevi uno Spritz così parliamo dell’ultima canzone degli PSICOLOGI?”

È così che prende vita questo duo musicale: canta Nova. Suona Francesco. Una voce mielosa e tersa come luce dopo un temporale incontra un accompagnamento delicato che la completa.

Nova si nasconde dietro il nome di Agnese, ragazza silenziosa, ventun'anni, è da quando ne ha quindici che canta in cameretta in quelle not-

ti di Luglio in cui i grilli feroci conquistano la collina.

Nova aspetta che in casa cali il silenzio, per essere finalmente libera di arraffare la prima penna che trova e scrivere.

Scrive. Scrive tanto. Strofe dolci come caramelle. Strofe di frasi pensate per altri. Strofe vicine che sanno d’amore. Nessuno lo può scoprire, è un segreto, ancora.

Nova al liceo fa di tutto per sembrare una diciassettenne qualunque; vuole fare cose normali, da ragazzi borghesi, feste normali da baci e sorprese.

Cerca di prenderli a pugni, quei cassetti, che strabordano di sogni. Sono sogni troppo rumorosi per riuscire a farli tacere. Sogni come mostri che da sotto il letto ti prendono, perchè altro non sanno fare.

Lei non li vuole ascoltare, i mostri fan paura, non è vero? Li chiude tutti, quei maledettissimi cassetti. Il fatto è che poi emergono, come sabbia dalle maree, nelle conversazioni, nelle canzoni, mentre cammini e sotto le scarpe, quei sogni ti si appiccicano addosso come Bubble Gum rosa. Una sera, non sapendo come o quando era cambiata, si è detta ad alta voce: “Prova”.

Un brivido l’ha attraversata dagli avambracci mordendole l’orecchio; ha capito che provare per lei voleva dire sentirsi viva. L’idea di provare era stare sull’orlo di un precipizio, lì a ripetersi “Vola”.

Che siamo tutti alla fine un po’ matti da pensare di volare, no? La vera follia è convincersi di non avercele, le ali.

Guardo giù, lo sto facendo. Guardo il fondo, lo sto guardando.

Poi guardo avanti, lo sto vedendo. Mi butto, e con queste parole lo sto facendo.

Contact us on Instagram @ferrarifranncescoo @jesuisnova

Nova è una cantautrice originaria di Vicenza, ha frequentato il liceo Fogazzaro e studia attualmente all’Accademia di Belle Arti di Brescia nel percorso di Nuove Tecnologie. Scrive brani di musica alternativa in inglese e italiano. Francesco Ferrari è un musicista di ventun’anni, impara a suonare la chitarra da autodidatta e si dedica con amore e passione agli studi di Infermieristica, che frequenta al terzo anno. Scrive testi e compone canzoni in lingua italiana.

Il duo musicale nasce nell’Aprile 2023 esibendosi in serate di cover acustiche e brani inediti dei due giovani artisti, lasciando spazio ad un 2024 ricco di voglia di esibirsi e di crescere musicalmente, tra le vie della città di Vicenza.

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 Nova (Agnese Fiorenzato)  Francesco Ferrari

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Il pittore vicentino Luigi Brunello: i suoi quadri al Chiericati, ma anche in un mercatino dell’usato.

Il ritrovamento

de “Il Cavaliere” del

1929

Capita ancora di girovagare per i mercatini dell’usato e fare un incontro che ti riempie di gioia.

Non succede spesso, malauguratamente, ma forse è proprio questa fortuna sporadica ad essere quella che maggiormente allieta.

Fortuna, e un poco di naso, mi hanno così fatto trovare un bel quadro, anche più che bello, di Luigi Brunello del 1929, cioè del periodo nel quale era ancora significativa in lui l’influenza del grande pittore Ettore Tito, di cui fu, per un periodo assistente. Ma, come scrive l’ormai scomparso ma noto editore e scrittore vicentino Giuseppe Mazzariol nel libretto che, insieme a Diego Valeri, gli amici dedicarono al Brunello dopo la sua morte, con grande fatica si liberò di quella pittura per “ritrovare colori puliti, segni immediati, tagli imprevedibili”, cioè rivendicare la sua inadattabilità al conforme. Ma un quadro non basta, bisogna conoscere l’artista. Il doveroso approfondimento ha così ulteriormente allietato la scoperta.

Nato a Vicenza nel 1883, finiti gli studi liceali abbandona la famiglia per studiare all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove, come detto, è allievo di Ettore Tito. Per vivere fa dallo scaricatore di porto al disegnatore dei figurini di moda.

Prende parte ad alcune edizioni della Biennale ma la Prima guerra mondiale lo rivendica al

fronte. Congedato si stabilisce a Padova, si sposa e ha un figlio partigiano e lui stesso attivo a

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 Il Cavaliere, Luigi Brunello, 1929, opera ritrovata da Claudio Mellana

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Roma contro il fascismo, rimanendo vedovo della prima moglie, un’ebrea morta in un campo di concentramento.

Diventa amico di Ubaldo Oppi insieme al quale affresca alcune chiese a Vicenza e Padova, tra le quali la Basilica del Santo e la chiesa arcipretale di Bolzano Vicentino.

Diventa insegnante all’Istituto d’Arte Pietro Selvatico ma ne viene allontanato perché rifiuta di iscriversi al partito fascista.

Lavora al Caffè Pedrocchi, dove restaura le antiche carte geografiche. Contrare un nuovo matrimonio con una donna di che muore in campo di sterminio perché colpevole di essere ebrea.

Il figlio entra nelle file della Resistenza e lui, in bicicletta, riesce a fuggire a Roma superando la linea gotica ad Ancona.

A Roma partecipa attivamente alla lotta contro i fascisti e al termine della guerra riesce ad ottenere dalla amministrazione comunale un locale all’Uccelliera di Villa Borghese che sarà il suo studio sino alla morte avvenuta nel 1976. Durante gli anni romani troverà il tempo di sposarsi una terza volta e di partecipare an-

cora ad alcune edizioni della Biennale e della Quadriennale

Sue opere sono esposte alla Pinacoteca Civica di Palazzo Chierigati e i suoi disegni sono inseriti nel patrimonio artistico del Quirinale.

Per spiegare il carattere dell’artista Diego Valeri è ricorso a comune sentire locale relativo ai vicentini.

“A Vicenza,” scrive Valeri “città cittadina per eccellenza, voglio dire costruita a perfetta regola d’arte (e, con in più il lampo di genio), c’è sempre stata, paradossalmente, abbondanza di spiriti bizzarri, cioè di personaggi irregolari. Questa è un’opinione che ha corso ab antiquo in tutta la regione veneta, e gli stessi vicentini confermano e non senza un poco di civetteria.”

Agli artisti la bizzarria viene sempre perdonata in cambio della bellezza che, chi più chi meno, riescono a regalarci. Più facile è poi perdonarli se hanno scelto di stare dalla parte giusta.

Luigi Brunello

Luigi Brunello, nato a Vicenza nel 1883, muore a Roma nel 1977. Compie i primi studi presso l'Accademia Olimpica di Vicenza, poi studia pittura all'Accademia di Belle Arti di Venezia. Alla Biennale Veneziana del 1909 espone "Alba" e nel 1910 "Notte d'argento''; alla Mostra dei Quarant'anni (Venezia, 1935) "Mercato", "Candido Conz pastore I" e "Placido Conz pastore Il". Espone anche alla III Sindacale Milanese del 1941.

Nel 1917 partecipa alla Esposizione Nazionale d'Arte presso la Regia Accademia di Brera e Società per le Belle Arti a Milano, presentando due disegni: "Dolorose e sanguinanti le stigmate - vita di San Francesco" e "Clara luce claror". Nel 1922 espone il dipinto "La vita". Le sue opere sono esposte nel Museo Civico di Padova e a Palazzo Chiericati di Vicenza.

Catalogo delle opere di Luigi Brunello

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 Catalogo delle opere di Luigi Brunello a firma di Giuseppe Mazzariol e Diego Valeri  Paesaggio marino, Luigi Brunello (metà sec. XX), Vicenza, Palazzo Chiericati

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Immersione nell’arte alla Fondazione Bisazza di Montecchio Maggiore

Qui è ancora attiva la mostra di Norman Parkinson, fotografo di moda. L’esposizione era stata rinviata più volte durante il periodo della pandemia

AMontecchio Maggiore si può godere appieno di un’immersione nell’arte di alto livello. Alla Fondazione Bisazza è possibile riempirsi gli occhi ammirando l’esposizione permanente di installazioni di mosaici e di fotografia di architettura. E anche della mostra “Norman ParkinsonFashion Photography 1948-1968”, ancora accessibile dopo lo sfortunato periodo del Covid che ha costretto a chiudere anche le mostre d’arte più belle. In una stanza a parte si possono ammirare inoltre le opere di Nobuyoshi Araki.

La storia della Fondazione

La location di Montecchio Maggiore per oltre sessant’anni, ha rappresentato il mondo della famiglia Bisazza. Qui, infatti, nel 1956 Renato Bisazza fondò un’azienda per la produzione di mosaici, inizialmente destinati al rivestimento esterno degli edifici. Da allora le cose sono cambiate in modo significativo e oggi gli spazi che erano destinati alla produzione ospitano la Fondazione. La trasformazione dell’edificio è opera di Carlo Dal Bianco, il cui mandato era quello di creare ambienti puliti e ordinati senza, però, cancellare le tracce del passato industriale. In risposta alle richieste, l’architetto ha conservato i pavimenti di cemento a

vista, le tracce delle vecchie fornaci e ha trasformato le pareti in vetrate che inondano di luce naturale gli interni di altezza vertiginosa. Le undici sale attualmente si estendono su una superficie di circa 6000 mq, più altri 1500 dedicati alle esposizioni fotografiche e di architettura temporanee.

La Fondazione è un’iniziativa completamente privata e non profit e, più di qualsiasi altra cosa, rappresenta la passione della famiglia Bisazza per l’arte. La sua genesi si può far risalire al 1995, anno in cui fu affidato ad Alessandro Mendini il ruolo di primo direttore artistico dell’azienda. Durante i quattro anni dell’incarico, l’architetto, recente-

mente scomparso, ha rivoluzionato non solo l’azienda ma soprattutto il campo d’applicazione della tecnica musiva. Mendini, non solo ha utilizzato le tessere musive nei suoi progetti architettonici, come le stazioni della metropolitana di Napoli, il Groninger Museum nei Paesi Bassi e i punti vendita di Swatch e Alessi, ma ha anche avviato le collaborazioni con altri designer, la cui creatività, ispirata da queste tessere minuscole, ha dato vita a mobili, oggetti e installazioni artistiche. Lo scopo era uscire da quell’immagine ristretta, legata alla realizzazione di bagni e piscine. Da allora questa è la linea adottata senza esitazioni da Bisazza. “La collaborazione con

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L'ingresso della Fondazione Bisazza

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designer e architetti contemporanei è parte integrante della nostra azienda- sottolinea Piero Bisazza, presidente della Fondazione-. È un modo per dare ai nostri prodotti la giusta collocazione nel mondo contemporaneo”.

I mosaici esposti

Arrivando al parcheggio della Fondazione, già colpisce l’entrata: un enorme mosaico che ritrae un roseto. I colori dominanti sono il rosa, il nero e il verde. Poi si entra e ci si immerge in mondo surreale, magico. Si inizia il percorso fra i mosaici tridimensionali, fra cui spicca un enorme pinocchio bianco e nero di Jaime Hayon. Si prosegue con una stanza che riproduce in gigantografia degli oggetti da cucina in argento di Sudio Job, tra cui spicca una teiera. C’è poi una maxi-poltrona di Proust, monumentale, coloratissima di Alessandro Mendini, l’automobile “Bisazza Motel” di Marcel Wanders, vari arredo bagno lussuosi in mosaico e i mobili dorati “per uomo” di Alessandro Mendini. Colpisce, poi, una stanza bianca e rosa con una lunga tavola di Emilio Pucci e il jet set di Jaime Hayon. L’esposizione si conclude con l’enorme maschera argentata e plurisfacettata Godot di Fabio Novembre e con

una grande stanza dove è riprodotto il simbolo del cuore ed è presente una Mini Cooper, sempre ricoperta di mosaici.

La mostra di Norman Parkinson

Una delizia per gli occhi è anche la mostra “Norman Parkinson, Fashion Photography 1948- 1968”, che ripercorre vent’anni della fotografia di moda attraverso lo sguardo di Norman Parkinson e di altri quattro fotografi riconosciuti a livello internazionale: Milton Greene, Terence Donovan, Terry O’Neill e Jerry Schatzberg. Le foto, a colori o in bianco e nero, ci fanno immergere nello stile unico di dive e icone della moda e del cinema. Spiccano fra le tante, le foto di Marilyn Monroe e Audrey Hepburn. Si tratta di un viaggio incantevole tra le figure e i luoghi iconici della moda degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento.

La mostra di Nobuyoshi Araky

Tra foto di nudo femminile e stile “sado-masochista”, le foto potrebbero sembrare un po’ osé e comunque dalla spiccata sessualità. A Tokyo, il 21 febbraio 2009, su uno sfondo di mosaico d’oro, il fotografo giappo-

 Il pinocchio di Jaime Hayon

nese scatta una serie di immagini, finora inedite, commissionate dalla Fondazione Bisazza. Foto di donne giapponesi legate, appese, nude o vestite colpiscono per l’audacia dell’immagine.

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 Foto di Nobuyoschi Araki La storia della Fondazione Bisazza
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 La stanza di Emilio Pucci

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Il tema delle escort e della prostituzione è un tabù per troppe e troppi a Vicenza, ma le atlete del Vicenza Volley lo affrontano con maturità

Andarle a vederle in campo, magari tifando per loro, sarà il modo di verificare come per vincere non basta la tecnica ma occorra anche personalità: la loro

Nello scorso numero, VicenzaPiù Viva ha acceso i riflettori sul tema delle escort a Vicenza anche con la storia di Ana Lucia, escort italo brasiliana. Sull'argomento abbiamo sentito il parere di quattro giocatrici della prima squadra del Vicenza Volley, militante in serie B1 femminile.

La prima voce è quella della capitana e palleggiatrice Natasha Spinello. «Non è un argomento - le sue parole - di cui si parla tutti i giorni e penso sia un po' un tabù, in Italia e anche nel mondo. Questa ragazza si è affidata a un garante per un appartamento ed è una cosa che condivido, perché penso che per loro la cosa più brutta sia essere per strada, perché non sai mai chi ti capita davanti. Credo che la scelta di vita di questa ragazza sia non dico sbagliata, perché non la posso certo giudicare, ma sicuramente difficile. Ci sono diverse strade da percorrere, poi c'è chi fa questo mestiere per scelta. Un mestiere sicuramente non facile; tu persona che lo fai credo ti estranei dai sentimenti e dalle emozioni, ovviamente è una situazione particolare quando c'è in gioco l'intimità. Penso che la maggior parte di queste ragazze sappiano stare al mondo e siano persone

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forti, perché altrimenti ti schiacciano. Spero che questa donna riesca a cambiare vita e raggiungere gli obiettivi per cui sta lavorando». A farle eco è la schiacciatrice Chiara Boninsegna. «Mi ha colpito molto l'istruzione di questa ragazza, non me l'aspettavo, devo essere sincera: spesso abbiamo un'idea un po' stereotipata in questo contesto, come se fosse che lo fai prima di studiare o perché non hai la possibilità di farlo. Da come si racconta mi sembra una persona integra moralmente, che tratta questa cosa in modo molto professionale. Si per-

cepisce una dignità importante e ha dei progetti futuri, vivendo questa esperienza come un qualcosa di temporaneo. Credo che ognuno sia libero di fare ciò che vuole con il proprio corpo, non c'è motivo di non rispettare queste persone. Mi ha dato la sensazione di una persona forte, che non si lascia spaventare e sa gestire certe situazioni».

Infine, le due centrali, Martina Pegoraro e Melissa Andeng. Per Melissa «Questa intervista è un po' inedita, racconta una storia di vita. Personalmente, leggendola, non mi è arrivata molto la parte emotiva,

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 Martina, Melissa e Chiara del Vicenza Volley mentre leggono l'intervista alla escort Ana Lucia su VicenzaPiù n. 4 (Foto: Laura Spanevello)

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perché sono emersi altri aspetti legati all'esperienza di questa persona. Mi sarebbe piaciuto leggere qualcosa sul tema della legalizzazione della prostituzione. Per questa ragazza, spero che questa esperienza attuale sia un mezzo per poi realizzarsi».

«Ognuno è libero di scegliere cosa fare nella propria vita – ecco il pensiero di Martina - e non ho il diritto di giudicare la strada intrapresa da una persona. Leggendo l'intervista mi ha colpito il fatto che abbia abbandonato la sua casa, la sua famiglia per cercare di crearsi una nuova vita, mi dispiace non abbia potuto continuare a studiare perché era ciò che desiderava. Spero che riesca a raggiungere ciò che vuole nel suo futuro realizzandosi. Spesso queste persone sono giudicate per il lavoro che fanno e non si pensa che sono essere umani, con passioni, hobby e la loro vita. Personalmente, mi è piaciuto informarmi, mi piace scoprire le storie delle persone, perché si impara sempre qualcosa da espe-

rienze diverse dalle proprie. Questa ragazza ha avuto forza per scelte difficili che ha dovuto fare».

Beh, vista la maturità nei commenti su questo argomento, da loro stesso definito tabù, tanto che anche associazioni che a Vicenza si interessano delle condizioni delle donne hanno fatto fatica ad esprimere il loro pensiero pubblicamente invece che affrontarlo magari anche per valutare la legalizzazione della “professione più antica del mondo”, come ha suggerito Melissa, c’è un motivo in più per andare ad assistere alle loro partite in cui conta la tecnica ma anche la personalità. Di personalità queste ragazze ne hanno dimostrata tanta con le loro osservazioni per cui andare a conoscerle al palasport per vedere come la mettono in campo e per tifare per loro è quasi d’obbligo. A partire da sabato 2 marzo quando il Vicenza Volley del presidente Andrea Ostuzzi, nel suo percorso per guadagnarsi i play off di promozione, affronterà alle 17 al palazzetto dello sport Città di Vicenza, in via Goldoni, la Cortina Express Imoco.

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 Natasha Spinello (Foto: Daniele Marangoni)
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 Melissa Andeng (Foto: Daniele Marangoni)

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Gianmaria Gasparri, Patricia Labee: galeotto fu il palazzetto di Vicenza, la prima di tante storie sportive “in rosa”

Uno cestista, l'altra pallavolista, si sono conosciuti nel 2004 quando lei venne a giocare per la Minetti. Da allora, la loro relazione è cresciuta vivendo lo sport a 360 gradi: dal circuito mondiale di beach volley, al loro marchio di vestiti, fino alla cura dei figli, che oggi seguono le orme dei due genitori

Lui: giocatore di basket, appassionato di sneakers e di tutti gli sport in generale, reduce dagli anni ruggenti della Pallacanestro Vicenza degli anni '90, con la doppia promozione in A2 e il titolo ceduto successivamente alla Snaidero Udine. Lei: giocatrice di pallavolo in massima serie olandese, la valigia in mano pronta a tentare l'avventura nel campionato migliore del mondo, quello italiano. Inizia così la storia di Gian Maria Gasparri e Patricia Labee, che ormai da vent'anni condividono tutto delle loro vite, da quando si conobbero al palazzetto dello sport Città di Vicenza senza mai lasciarsi.

Il tutto, ma altre storie sportive in «rosa» tutte nate a Vicenza vi racconteremo, comincia nell'estate del 2004 quando, direttamente da Ridderkerk, cittadina olandese di 40 mila abitanti appena fuori Rotterdam, arriva a Vicenza Patricia Labee. Ha appena lasciato la terra natia per cercare stabilità nella pallavolo italiana: all'epoca le giocatrici in Olanda non erano retribuite a sufficienza e far combaciare studio, lavoro, allenamenti e partite era diventato troppo faticoso. Così, ottenuto da Giovanni Coviello uno stage alla Minetti Vicenza, si fa subito

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 Patricia Labee e Gianmaria Gasparri

apprezzare come una giocatrice di banda efficiente e capace, guadagnandosi la conferma per la stagione a venire, quella 2004-2005.

«Avevo iniziato a giocare molto tardi, su insistenza di una mia professoressa.»» - racconta Patricia - «Prima praticavo ginnastica artistica, ma ero troppo rigida per questioni di muscolatura. Una volta iniziato a giocare a pallavolo però, mi ritrovai immediatamente in squadre di A1 e A2 olandese. Ci sono rimasta per dieci anni, ma ad un certo punto la situazione si era fatta insostenibile a causa dei bassi rimborsi. Così, chiamai il mio procuratore per trovare una squadra in Italia o in Francia per potermi concentrare solo sul

campo ed è così che sono arrivata a Vicenza».

È proprio tra le mura dell'allora PalaCia (fu il nostro attuale direttore ad inaugurare a Vicenza la stagione delle denominazioni sponsorizzate del palasport per cercare finanziamenti vitali per il volley, ndr) di Vicenza che Patricia fa la conoscenza di Gian Maria, appena entrato come collaboratore nella società di pallavolo. «Avevo giocato nella squadra promossa in A2 con Dalmasson nel 2000.» - spiega lui - «Poi avevo continuato giocando in varie squadre in giro per l'Italia, prima di rientrare a casa. In quegli anni avevo aperto un negozio di scarpe And1, marchio di sneakers da pallacanestro che in

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quel momento spopolava, visto che i brand di calzature sportive maggiori (Nike e Adidas su tutte) avevano deciso di puntare sul calcio. Avevamo uno dei due store in Italia di And1 e avevamo un giro di clienti da tutto il Nord. Questa mia intraprendenza mi portò a fare la conoscenza di Giovanni Coviello, che mi chiese di collaborare con la società per lavorare nel marketing e nella comunicazione della Minetti Vicenza, tramite la quale poi ci siamo conosciuti»

Non fu comunque un colpo di fulmine immediato: «Inizialmente non frequentavo le giocatrici, o almeno non spesso.»- spiega lui - «Il mio compito era quello di fare promozione all'interno delle scuole e di far conoscere le atlete alle bambine che potevano appassionarsi. Poi, piano piano, passando tempo insieme, le cose sono successe naturalmente».

Una stagione particolare, quella della Minetti Vicenza 2004-05: «Mi ricordo che quando arrivai era una squadra in ricostruzione» - spiega Patricia - «ma il livello del gruppo era altissimo. Erano arrivate in estate Sanja Starovic, Ivana Ðjerisilo, Valentina Borrelli, Frauke Dirickx, in effetti un ritorno dopo aver vinto a Vicenza Coppa Cev e Supercoppa nel 2001, e Rikka Lehtonen, e in gruppo c'erano già atlete formidabili come Paccagnella, Zilio e De Gennaro. La squadra era in gran parte nuova ma avevamo talento, anche se forse non ottenemmo quanto potevamo».

La stagione, infatti, non iniziò con il piede giusto e qualche sconfitta di troppo costò la panchina a Simonetta Avalle, sostituita da Giuseppe Nica. «Riuscimmo a recuperare in classifica in primavera» - dice ancora Labee - «e a qualificarci per i play-off come ottave. Purtroppo, però, contro Bergamo non ci fu nulla da fare e ci eliminarono subito».

Tuttavia, l'impressione che ebbe Patricia fu quella che il campionato italiano era qualcosa di diverso: «Era già

passata Maurizia Cacciatori e quelli erano gli anni del boom di Francesca Piccinini; c'erano atlete per cui arrivavano centinaia di bambine ogni domenica al palazzetto. Una dimensione che in Olanda, a livello di popolarità, non avevamo assolutamente».

«Quella della Minetti, però, era un'organizzazione di prima classe» ci tiene a sottolineare Gasparri «Il palazzetto dello sport, in assenza di altre squadre di vertice di altri sport, era completamente dedicato alla pallavolo e la squadra poteva tenere sempre allenamenti specifici o individuali. A inizio anno la squadra veniva presentata alla fiera in diretta televisiva e il settore giovanile era una vera e propria potenza, capace di rifornire la prima squadra e non solo. La macchina della Minetti era veramente formidabile».

L'esperienza di Labee nel campionato italiano però dura solo un anno, ma non per volontà della società: «Quell'estate venni chiamata da una mia amica, Mered De Vries, anche lei giocatrice, che mi fece una proposta molto allettante: entrare nel mondo del beach volley per cercare di qualificarci alle Olimpiadi» - spiega l'ex banda di Vicenza «Così, scelsi di tornare in Olanda e di cercare di coronare il sogno di andare a Pechino 2008, lasciando la pallavolo da palazzetto».

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 Patricia Labee in azione da beacher
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 Patricia Labee, la prima seduta da destra nella foto di squadra della Minetti Vicenza.jpg

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Una scelta, tra i rimpianti anche del pubblico locale per la sua bravura e il suo «fascino», che, nonostante la relazione fosse ancora fresca, Gian Maria scelse di supportare non solo emotivamente, ma anche fisicamente, trasferendosi con la sua compagna in Olanda. «Sentivamo di voler provare a restare insieme e allora andai con lei.» - racconta lui«Lasciai il negozio e trovai posto nel campionato olandese, in A2, con gli Astronauts Asterdam. Giocavo con la squadra dei giovani in seconda serie, mentre la prima squadra giocava in massima serie e partecipava

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all'Eurocup. Questo mi permetteva di continuare a giocare mentre Patricia si allenava e di seguirla poi per il resto del mondo quando iniziava il circuito».

Sì, perché come nel tennis, il beach volley poggia su un calendario internazionale, che porta le atlete a disputare tornei in ogni angolo del mondo: dal Sudafrica agli Stati Uniti, dall'Europa al Brasile alla Thailandia, costringendo a una vita di continuo pellegrinaggio. Situazione, però, non favorita dalla federazione olandese: «Non eravamo supportate, né economicamente né sportivamen-

te.» - spiega Patricia . «Dovevamo arrangiarci per tutti i viaggi e le spese e ricevevamo qualche rimborso solo in caso di piazzamenti importanti ai tornei. Così, quando magari avevamo la giornata storta e uscivamo al primo turno, ci ritrovavamo da qualche parte nel mondo senza avere aiuti di sorta».

«Facevamo una vita low cost comunque» - aggiunge lui - «cercavamo di viaggiare in maniera economica e di darci una mano con gli amici che ci eravamo fatti in giro per il mondo. Per fortuna, facendo quel tipo di vita, abbiamo trovato tante persone splendide con cui teniamo ancora rapporti. Una su tutte Rikka Lehtonen, che giusto qualche mese fa ci ha invitato in Finlandia per la sua festa di addio alla pallavolo».

Nonostante il grande sforzo profuso, il sogno olimpico di Patricia non si concretizzò. Così, nel 2008, la coppia decise di rientrare in Italia, a Vicenza. «La ritenemmo la soluzione più comoda» - dice Gian Maria - «Un po' perché qui comunque avevamo una rete più solida, un po' perché per me trovare da lavorare in Olanda sarebbe stato difficile. Ci dedicammo subito di nuovo allo sport. Patricia giocava in Serie C a Castelfranco; io girovagai per qualche squadra del territorio, fino a che non mi ruppi il crociato e non iniziai a collaborare con la Pallacanestro Vicenza. Fui assistente di Giugni, Deanesi e Tisato nella doppia promozione in Serie B e tornai come assistente di Silvestrucci l'anno successivo, prima di lasciare il mondo dei grandi e di dedicarmi ai piccini con la mia scuola di minibasket. Sono stati anni bellissimi ma preferisco concentrarmi sui bambini: ad oggi il Minibasket Vicenza vanta collaborazioni sia con la squadra maschile che la femminile, facendo da linfa ai rispettivi settori giovanili».

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 Gianmaria Gasparri con la palla a spicchi

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È proprio in quel momento che, quasi per gioco, i due decidono di lanciarsi nel settore del vestiario sportivo. «La cosa era nata come uno scherzo, ma presto ci rendemmo conto che poteva diventare qualcosa di più: avevamo capito per primi che il futuro delle magliette degli sportivi passava per la sublimazione, ovvero la possibilità di personalizzarsi in tutto e per tutto il vestiario. Piano piano ci siamo creati un nostro giro e oggi riforniamo squadre di basket, pallavolo e beach volley in tutto il mondo, nonostante le dimensioni dell'azienda siano ancora molto ridotte».

Il brand della coppia si chiama Star e il nome nasce da un concetto molto semplice: «Vogliamo che chiunque indossi i nostri vestiti si senta una stella.» - dice Patri-

cia - «Quindi, Star Sport, perché non serve giocare a livelli altissimi per sentirti una stella. Ad oggi, lavoriamo soprattutto per i tornei di beach volley delle federazioni (Olanda, Germania, Lussemburgo, Francia). Riforniamo il torneo di Palma di Mallorca, che è uno dei più grandi del mondo, e siamo stati tra i primi a lanciarci nel mercato dei sensors, ovvero i calzari specifici per la sabbia che si usano nel beach; siamo stati anche i primi ad aver creato un pantaloncino brevettato specificatamente per la pallavolo sulla sabbia, una retina che ti permette di pulire immediatamente le mani dopo ogni azione».

Per una coppia di sportivi così, però, la grande soddisfazione è quella di avere due figli appassionati come loro: «Gianmarco ha dodici anni» - dice Gian Maria - «ed è patito di pallacanestro. Ora gioca nel vivaio della Pallacanestro Vicenza con i ragazzi più grandi di un anno. È già alto un metro e ottanta a dodici anni e si impegna tantissimo. Avrebbe delle mani perfette anche per la pallavolo, ma al momento non ha interesse; anzi, ogni domenica devo accompagnarlo al palazzetto a vedere giocare la prima squadra».

«Charlotte è come me da bambina invece» - dice sorridendo Patricia - «Come me fa ginnastica artistica e si allena veramente tantissimo, anche a casa da sola. È molto determinata ma, come me, è molto alta e fatica a fare i piegamenti e i movimenti che le servono per questioni di muscolatura. Abbiamo visto però che anche lei ci sa fare con le mani: gioca a basket una volta a settimana e secondo noi potrebbe essere capace anche di giocare a pallavolo. Non la forziamo però: il suo desiderio al momento è di fare ginnastica e la lasciamo continuare».

Ad oggi quindi, la vita di Gian Maria e Patricia è concentrata sui figli e su Star Sport, anche se ovviamente si prendono il tempo per rilassarsi: «Ogni estate passiamo tantissimo tempo in una roulotte che affittiamo a Jesolo in un residence specifico per il beach volley e passiamo tre mesi a giocare». D'altronde, impossibile pensare che due così riescano a stare lontani dal pallone, da volley o da pallacanestro che sia.

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 Gianmaria e Patricia con i figli Gianmarco e Charlotte  Gianmarioa Gasparrie e Patricia Labee all'addio al volley di Rikka Lehtonen
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 Beacher vestiti Sport star

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Francesca Zara da Vicenza a Vicenza nel segno di Gorlin e Concato

L’ex giocatrice della nazionale dopo un lungo peregrinare è tornata nella società dove tutto ebbe inizio, con la possibilità di lavorare con il suo idolo, nel ricordo del presidente che lanciò l’AS Vicenza nell’élite europea del basket

Quando è stata contattata da Vicenza, Francesca Zara non ha dovuto riflettere neanche un secondo sulla possibilità di tornare nella società che l'ha lanciata nel panorama nazionale cestistico: a distanza di trent'anni, l'ex giocatrice della nazionale è quindi tornata «a casa» nelle vesti di allenatrice della prima squadra, quella stessa società che ad inizio anni '90 la portò ad esordire tra le grandi, lanciandola verso una carriera lunga e luminosa. Con un plus: quello di poter lavorare a stretto contatto con Lidia Gorlin, che quando Francesca era ancora bambina era una delle stelle della squadra che dominava l'Italia e l'Europa.

Il tutto risale allo scorso dicembre quando, dopo un inizio molto difficile (0 punti nelle prime sei partite), coach Claudio Rebellato, capo allenatore della Velcofin Interlocks Vicenza (così chiamata per motivi di sponsorizzazione), decide di fare un passo indietro e di dimettersi dal suo ruolo. Nella rosa di nomi a disposizione della società salta fuori quello di Francesca Zara, appena rientrata dall'America dove ha sostenuto un corso universitario e reduce da una stagione passata come preparatrice atletica dell'Omnia Pa-

via, formazione di basket maschile. Una grande occasione per entrambe: per la società avere a disposizione un'allenatrice che conosce l'ambiente molto bene e che ha vissuto, anche se solo da spettatrice e giovane appassionata, la grande storia dell'AS Vicenza in Italia e in Europa; per Zara, l'opportunità di tornare verso casa, per lei che è nativa di Bassano, e di contribuire alla causa della società in prima persona, cercando piano piano di immaginare un futuro in cui Vicenza possa tornare nei palcoscenici che le competono.

«Andavo sempre a vedere tutte le partite che potevo quando ero ragazzina.» - racconta Francesca, giusto prima di andare al palazzetto per l'allenamento serale - «Furono anni fondamentali, perché all'epoca Vicenza era la società più importante d'Italia e veniva da cinque anni in cui aveva dominato l'Europa; il nostro vivaio era il migliore in assoluto e ogni anno giocavamo le finali nazionali».

Non si può non citare il culto che Zara aveva in quegli anni nei confronti di Lidia Gorlin: «Ero molto piccola all'epoca ovviamente e non c'era molto modo di interagire con

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 Zara allenatrice a Vicenza

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noi. Però era uno dei perni fondamentali di quella squadra fantastica, playmaker nel ciclo dei sette scudetti consecutivi e delle cinque Coppe Campioni, che nel 1991 tornò in campo dalla maternità per contribuire alla salvezza, mettendoci

il cuore e dimostrando l'amore e la dedizione che aveva per questa maglia e questa città. In più, giocando io da guardia, cercavo sempre di apprendere qualcosa dal suo modo di giocare».

Nata a Bassano, Francesca Zara ha mosso i primi passi nel mondo del basket a Schio, prima di arrivare a Vicenza in tempo per giocare la categoria Propaganda (l'Under 13 di adesso), negli anni in cui la

società aveva la denominazione di Primigi Vicenza, noto marchio di scarpe per piccini. Quindi, nella stagione 1992-93, a soli sedici anni, la prima stagione in prima squadra, due anni coincisi con due eliminazioni ai play-off al primo turno, e l'opportunità di crescere fino alla decisione, a diciotto anni, di cambiare e iniziare a misurarsi anche altrove.

In quel momento inizia il lungo pellegrinaggio della Francesca Zara giocatrice: prima ad Alcamo, poi a Como per nove anni, dove ha raccolto i suoi maggiori successi (cinque scudetti, altrettante supercoppe, due Coppe Italia). Quindi, Napoli e poi un'esperienza in America con le Seattle Storm, con tanto di quarti di finale WNBA, la maggiore lega di pallacanestro del mondo; poi Spartak Mosca e la conquista dell'Eurolega, prima della lunga coda che l'ha portata a Parma, Umbertide, Venezia, Vigarano e Broni, dove a quarant'anni ha appeso gli scarpini al chiodo per dedicarsi alla carriera da allenatrice. Nel mezzo, anche la maglia della nazionale italiana, con due medaglie d'argento, ai giochi del Mediterraneo e alle Universiadi,

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 Salonicco Primigi Vicenza Campionessa d'Europa 1987 Nella foto Fullin, Gorlin che taglia la rete, Stanzani, Edwards e Passaro (foto dal Museo del basket di Milano)  Antonio Concato
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 Francesca Zara in Nazionale

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più di 100 partite e oltre 1000 punti, oltre che diverse presenze agli europei al femminile.

Da grande stakanovista, sfruttando la sua laurea in scienze motorie, Zara si è sempre dedicata non solo a fare l'allenatrice, ma ha sempre cercato di svolgere anche il ruolo di preparatrice atletica. La sua prima esperienza in panchina è stata come vice di Alessandro Fontana, a Broni, dove aveva chiuso la carriera da giocatrice; quindi, due stagioni come capo allenatrice di Castelnuovo Scrivia, raggiungendo sempre i play-off e un'esperienza nel basket maschile, come preparatrice atletica dell'Omnia Pavia, società di Serie B, oltre ad un'esperienza come assistente della nazionale femminile nel 2019 all’Eurobasket. Nell'autunno del 2023 è volata in America, all'Università del Wisconsin, per partecipare ad un internship in «Strength and Conditioning & Basketball», corso specifico per la preparazione di cestisti e cestiste. Quindi, al rientro dall'Italia, l'improvvisa possibilità di tornare a casa, nella società dove tutta la sua carriera aveva avuto inizio, e la chance di lavorare direttamente con il proprio idolo, Lidia Gorlin, oggi direttrice sportiva della società. Con la quale, racconta, l'intesa è subito stata ottima: «Abbia-

mo una grande affinità su quella che crediamo sia la metodologia di lavoro e su come andrebbero gestite le cose; se vogliamo ambire a riportare Vicenza dove le compete bisogna remare tutte nella stessa direzione.» - racconta Zara - «Ci confrontiamo costantemente su ogni situazione di campo ed è per me un aiuto fondamentale nella gestione del gruppo. Vedere come le ragazze stanno migliorando passo dopo passo, i risultati che piano piano stiamo ottenendo sono confortanti. Avere questa grande possibilità di condivisione e confronto è un aiuto molto grande».

D'altronde, la situazione in cui è arrivata Zara a Vicenza non era delle migliori: sei sconfitte nelle prime sei partite non sono esattamente il ruolino di marcia ideale, ma il materiale umano c'era e c'è, bisognava solo cambiare modo di lavorare. Da quel momento, Vicenza ha

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 Una giovanissima Lidia Gorlin in nazionale  Francesca Zara a Seattle
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 Zara assistente in nazionale

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iniziato a vincere le prime partite, ma al momento lotta per evitare il calderone dei play-out più che guardare in alto, anche se le prestazioni della squadra sono sempre più convincenti.

«Tornare qui dopo tanto girovagare è importante per me.» - aggiunge Zara - «Per tanti anni sono stata in giro senza mai tornare e mi piace pensare di essere qui per dare un contributo alla causa di questa società che mi ha dato tanto da giovane. Mi piace pensare poi che il progetto voglia anche essere ambizioso e voglia riportare l'AS Vicenza sui palcoscenici che merita».

L'ultima apparizione in massima serie della oggi Velcofin Interlocks è, infatti, datata 2006: troppo tempo per una squadra che tanto ha rappresentato per il basket italiano, ma i problemi societari in cui era incorsa la formazione biancorossa l'avevano sospinta addirittura in Serie C. Poi la risalita fino all'A2, dove le

biancorosse per due volte sono andate ad un soffio dal riconquistare la massima serie (due finali playoff perse di fila) prima degli ultimi anni, un po' più travagliati a livello di risultati.

Ma la fame e la voglia di risalire la china ci sono: non sarà questo l'anno buono, ma Zara è fiduciosa. Intanto però, c'è un campionato da giocare e una classifica da risalire: «Sono contenta delle ultime prestazioni delle ragazze, che stanno cambiando mentalità e continuano a migliorare. La strada verso la salvezza è ancora lunga, ma giocando così possiamo farcela».

Il prossimo impegno casalingo della Velcofin Interlocks Vicenza sarà il 3 marzo (pochi giorni dopo l’uscita di questo numero di VicenzaPiù, ndr) per una cruciale sfida contro Ancona, match in cui ottenere la vittoria potrebbe essere fondamentale nella rincorsa alla salvezza. In panchina ora ci sono

Francesca Zara e anche Lidia Gorlin, ma dove una volta stavano sedute in canotta e pantaloncini ora sono una in piedi a chiamare schemi e dare indicazioni alla squadra, l'altra accomodata, sempre pronta a dare utili consigli all'allenatrice e alla squadra.

Prima di congedarsi però, l'allenatrice ci tiene a dire un'ultima cosa, per lei molto importante: «Se c'è una persona a cui devo tutta la mia riconoscenza e la voglia di tornare a Vicenza è Antonio Concato. Quando era in vita, lo storico presidente era il secondo papà di tutte noi. Veniva a tutte le partite con Catarina Pollini, è stata una persona di grandissimo spessore umano e con spiccate doti di capacità e lungimiranza. Quello che il basket femminile ha costruito a Vicenza lo si deve soprattutto a quello che ha fatto lui quando era in vita. La mia stessa carriera non sarebbe stata la stessa se non avessi cominciato sotto la sua guida».

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 Primigi Vicenza 1988, Gorlin Gorlin in basso a sinistra con il numero 7

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Foroncelli, l'ala di Vicenza che studia da grande per una maglia azzurra

Il giocatore dei Rangers Rugby Vicenza, classe 2002, è entrato nel giro della nazionale italiana di rugby a sette; ora sogna di continuare a crescere per arrivare un giorno a giocare un Sei Nazioni con il XV italiano

Un futuro davanti tutto da costruire, un presente in cui dare battaglia, una maglia azzurra da conquistare. Questa è, allo stato attuale delle cose, la vita di Paul Marie Foroncelli, classe 2002, italiano adottato dopo essere nato nel Burkina Faso, ala dei Rangers Rugby Vicenza, impegnato nel campionato di Serie A Elite con i biancorossi, alla prima esperienza nel massimo livello della palla ovale in Italia. Un giocatore che sta procedendo verso una carriera luminosa, visto l'ingresso nella nazionale di rugby a 7 italiana, trampolino di lancio (ci auguriamo) verso quella di rugby a XV.

“Ho iniziato a giocare a rugby da bambino, quasi per caso” - racconta Foroncelli raggiunto telefonicamente mentre è circondato dal vociare giocoso di bambini -. “All'inizio praticavo basket, ballo e suonavo, ma mentre ero a scuola venni notato dal Vicenza, che mi chiese di andare a giocare con loro. Per un po' mi impegnai sul doppio fronte con la pallacanestro, ma mi stufai presto e da allora mi dedico completamente al rugby”.

Dopo Vicenza, qual è stato il tuo percorso sportivo?

“Sono andato a Treviso, dove ho frequentato l'Accademia di Rugby. Ho trascorso due anni lì, per poi spostarmi prima a Parma e poi a Brescia. Sono rientrato a Vicenza durante la stagione 2021-22 e l'anno scorso sono rimasto fisso qui, raggiungendo la promozione in massima serie. Questo è il mio secondo anno”.

Nel mezzo però, c'è stata anche la nazionale.

“Sì, ho fatto la trafila con gli Azzurri a quindici, giocando in Under 17, Under 18 e Under 20. Poi ho iniziato a giocare anche con la nazionale a 7 nel cammino che portava alle Olimpiadi. Non siamo riusciti a qualificarci e, purtroppo, in quel torneo mi sono anche infortunato alla caviglia. È stata, però, una bellissima esperienza”.

Quanto cambia giocare a rugby a sette?

“Tantissimo, perché le richieste fisiche sono totalmente diverse. Il campo è lo stesso, ma si gioca con la metà dei giocatori e le richieste su corsa e resistenza sono completamente diverse. Devi avere molto più fiato, essere molto più preciso nel passaggio, più bravo con i piedi e avere cambi direzione ed esplosività maggiori rispetto a quello classico. L'atletismo richiesto è completamente diverso”.

Ormai sei nel giro della nazionale a sette da tanti anni, però.

“Quando ho fatto il mio primo torneo, in Russia, avevo diciotto anni, ero il più piccolo della squadra e ricordo che non fu facile prendere confidenza. Però io imparo in questo modo, anche prendendomi delle docce fredde. Piano piano sono cresciuto e sono rimasto nel giro della nazionale. Quest'anno siamo andati a giocare gli

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 Paul Marie Foroncelli in azzurro

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Europei in Algarve, in Portogallo; la mia prestazione individuale è stata buona all'inizio, ma poi mi sono infortunato. Ho sofferto il non essere in campo con i miei compagni nelle partite decisive per la qualificazione alle Olimpiadi, ma dovevo riabilitarmi per la stagione di Rugby con Vicenza che era alle porte”.

Come valuti la tua prima esperienza in Serie A Elite?

“Si tratta di un campionato molto faticoso, in cui gli errori si pagano e noi abbiamo peccato un po' d'inesperienza, essendo alla prima stagione. Abbiamo lottato tanto, ma i risultati hanno sempre fatto fatica ad arrivare. Comunque, tra la Serie A normale e l'Elite c'è un abisso, è chiaro che non è facile adeguarsi subito”.

Ti piacerebbe arrivare nel XV azzurro un giorno?

“Ovviamente! Però devo ancora lavorare, e tanto”.

Cosa ti manca per raggiungere quel livello?

“Ci sono degli aspetti tecnici ma anche di esperienza. Da un lato, so di dover maturare come giocatore cercando di mantenermi umile, sfruttando le nozioni e le conoscenze di allenatori e compagni più esperti. Devo, poi, crescere ancora sulle mie skill di passaggio e di calcio; su quest'ultimo aspetto tra l'altro sto cercando di utilizzare maggiormente anche il piede debole per calciare in tutte le situazioni. So anche che ci sono dei miglioramenti che devo fare a livello tattico, prendere le scelte giuste. Dopodiché,

so che il mio livello si alzerà anche confrontandomi con avversari e compagni sempre più forti e sempre più completi, ma questo succederà solo continuando ad allenarmi per migliorare”.

In chiusura, oltre al rugby, a cosa ti dedichi?

“Studio psicologia tramite l'Università telematica. Mi sono diplomato in scienze applicate e ho scelto comunque di continuare a studiare. Comunque, dopo gli allenamenti, con la squadra facciamo dopo scuola ai bambini: li facciamo studiare e poi giocare a rugby qui al campo, dedicando a loro i nostri pomeriggi. Anzi, come sentirai dal sottofondo, devo tornare a dedicarmi a loro!”.

Anche questo è nello spirito del rugby.

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 Paul Marie Foroncelli con i Rangers Rugby Vicenza

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Mr Robot: storia di un hacker contro il capitalismo, ma anche molto di più.

La serie disponibile su Netflix ha affrontato e anticipato molti temi attuali, tra cui il difficile rapporto tra reale e virtuale

Tommaso De Beni

MrRobot è una serie tv trasmessa su Netflix dal 2015 al 2019. Affronta diversi temi tipici della contemporaneità, come per esempio la vulnerabilità inflitta dal web alle nostre vite private, le cui informazioni sono contenute in telefonini o computer che possono essere violati in qualsiasi momento dalle menti più esperte. Oppure lo strapotere della finanza, l’inquinamento ambientale, la “guerra” tecnologico-economica tra Stati Uniti e Cina, la nascita di movimenti di protesta dal basso. La serie ha affrontato e anticipato molti temi attuali, tra cui il difficile rapporto tra reale e virtuale. I dati corrono veloci sul web, gli hacker possono far fallire aziende, prosciugare banche. Ma poi ci sono anche atti di terrorismo, esplosioni, sparatorie: e quelle sono dannatamente reali. Il protagonista Elliot Anderson è un timido e introverso informatico esperto di cybersecurity che nasconde uno strano feticismo: usa le sue capacità informatiche per entrare in possesso dei dati personali e informazioni private delle persone che gli stanno accanto e poi cataloga e colleziona tutte queste informazioni. Ma più avanti nella serie il suo talento sarà chiamato a uno scopo più alto: contrastare lo strapotere delle banche, della finanza, farla pagare alle multinazionali che inquinano il territorio facendo ammalare le persone. Sullo sfondo delle avventure di Elliott c’è anche una sorta di guerra fredda tra USA e Cina, dove il predominio economico e tecnologico coincidono ed entrambe le superpotenze mondiali sanno bene quando sia importante dominare i mezzi informatici. Ecco che allora un informatico può diventare una pedina dei grandi giochi di potere e intrecci tra aziende milionarie e geopolitica. Ci sono poi temi più intimi, psicologici, come quello della vita privata e della vera natura di una persona, che devono essere nascoste alla società, o quello della disumanizzazione e alienazione dell’individuo, non più a causa delle fabbriche come ai tempi di Marx o del fordismo, ma a causa di internet, che invece di connettere realmente le

persone sembra renderle ancora più isolate, forse perché l’omogeneizzazione del villaggio globale appiattisce le diversità e le unicità umane. Ecco che allora entra in campo il tema della percezione della realtà e dei misteri della mente umana. Tutto ciò coinvolge lo spettatore per tutte e quattro le stagioni, fino all’incredibile finale, anche grazie allo stile narrativo che fa sì che il protagonista si rivolga spesso direttamente al suo pubblico. Chi è l’osservatore e chi l’osservato? Quanto siamo estranei e quanto invece partecipi e invischiati in queste situazioni?

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L'enigma di un'icona devozionale

Un confronto multidisciplinare tra arte, storia e nuove tecnologie diagnostiche

La«vera effigie» di Vincenza Pasini, testimone delle apparizioni mariane è una delle testimonianze figurative di primario interesse per la storia della pietà popolare, che si sviluppa nel tempo attorno al santuario di Monte Berico, sorto nel 1428. Nello specifico, il Ritratto di Vincenza Pasini, conservato ora al Museo d’arte sacra di Monte Berico, proviene dall’antico monastero di Ognissanti in Borgo Berga, soppresso all’inizio del XIX secolo.

È proprio questo cenobio femminile, affidato prima all’ordine degli Umiliati e, a partire dal 1571, alle monache camaldolesi, ad assumersi il compito della diffusione non solo della memoria delle apparizioni, ma anche del culto rivolto alla veggente, illuminata e consacrata dalla luce mariofanica. Seconda la tradizione, la pia donna risiedeva nei pressi della chiesa di Ognissanti e, di conseguenza, il percorso che la condusse a incontrare la Regina del cielo iniziava lì, a due passi dalle scalette che portano sul colle. Inoltre, nel 1431, il suo corpo mortale fu sepolto nel cimitero accanto alla medesima chiesa.

Il dubbio sull’effettiva datazione del ritratto della testimone delle apparizioni – che riporta il nome di un pittore del Quattrocento, Girolamo Tonisi, che per

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Agata Keran
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grazia ricevuta avrebbe dedicato un omaggio ritrattistico a «donna Vicenza Pasini da Sovizzo» – ha portato lo scorso anno a un progetto di ricerca multidisciplinare ideato e coordinato dalla scrivente, nel ruolo curatrice del Museo d’arte sacra di Monte Berico, con il contributo dell’archivista Federico Bauce e della restauratrice Carlotta Dal Santo.

Per le indagini diagnostiche non invasive sono stati coinvolti gli esperti del laboratorio CMR, Roberta Giorio e Francesco Rizzi. L’intera superficie del dipinto è stata sottoposta, in associazione alle riprese in luce visibile sia del fronte che del retro, a un’indagine riflettografica IR eseguita a due lunghezze d’onda a 750 nm e 1000 nm, da cui è emerso un disegno sottostante (underdrawing), che presenta alcune importanti divergenze rispetto allo strato

visibile all’occhio nudo, che riguardano sia i tratti fisionomici che l’abito della donna.

Tali differenze hanno sollecitato un approfondimento storico, iconografico e iconologico relativo all’opera devozionale, condotto dalla scrivente. Il focus ha portato a delineare un’ampia panoramica sul contesto religioso in cui si colloca la genesi dell’opera, collocabile nel secondo Cinquecento.

Gli esiti della ricerca, comprese le relazioni tecniche del laboratorio CMR e della restauratrice Carlotta Dal Santo, sono raccolti e pubblicati in un opuscolo documentario, il primo della serie dei «Quaderni del Museo d’arte sacra di Monte Berico» (disponibile in sede). Tutto il progetto si è avvalso della collaborazione e del supporto economico dell’Associazione Domenico Cariolato, che nell’ambito dell’omonimo premio,

promuove e sostiene progetti culturali e sociali considerati di particolare interesse per la storia e l’attualità di Vicenza.

Inoltre, l’iniziativa si inserisce nell’ambito delle iniziative di «Un Giubileo per la rinascita», in attesa dell’Anno giubilare mariano 1426-2026, in occasione del VI centenario della prima apparizione mariana a Monte Berico.

Per visitare il Museo d’arte sacra: ogni sabato ore 10-12 e 14-18 (ingresso con offerta libera).

Chi desidera conoscere le iniziative in programma o prenotare visite guidate e percorsi didattici, attuabili su richiesta anche in altri giorni, può scrivere a museomonteberico@gmail.com. Il Museo è presente su Instagram: https://www.instagram.com/museo_ monteberico/

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Illuminazione a LED: l'innovazione che illumina il futuro di case, uffici, impianti sportivi, strade e capannoni industriali

L'illuminazione a LED ha trasformato radicalmente il modo in cui percepiamo e sfruttiamo la luce in una varietà di contesti, da ambienti domestici a luoghi di lavoro, impianti sportivi, strade e capannoni industriali. Questa tecnologia, caratterizzata da efficienza energetica, durata estesa e versatilità, sta emergendo come la scelta illuminotecnica prediletta, guidando il cambiamento verso un mondo più sostenibile e illuminato.

1. Casa: una luce personalizzata e sostenibile

Nelle nostre abitazioni, l'illuminazione a LED ha rivoluzionato il concetto di… atmosfera. Le lampadine LED offrono una vasta gamma di temperature di colore e intensità luminosa, consentendo agli abitanti di personalizzare ogni

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ambiente. Dalle luci calde e avvolgenti del soggiorno alle tonalità più fresche e concentrate delle cucine, i LED offrono una soluzione per ogni esigenza.

Oltre alla flessibilità estetica, i LED sono noti per la loro efficienza energetica. Consumano significativamente meno energia rispetto alle tradizionali lampadine, garantendo risparmi a lungo termine sulle bollette energetiche e riducendo l'impatto ambientale.

2. Uffici: illuminazione intelligente per la produttività Nei luoghi di lavoro, la qualità dell'illuminazione svolge un ruolo chiave nella produttività e nel benessere dei dipendenti. Le soluzioni a LED, regolabili in intensità e temperatura di colore, permettono di creare ambienti di lavoro adattabili alle esigenze specifiche.

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City Park

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Studi dimostrano che un'illuminazione adeguata può migliorare la concentrazione e ridurre l'affaticamento visivo, contribuendo a un ambiente di lavoro più confortevole e produttivo. La durata estesa delle lampadine a LED riduce anche i costi di manutenzione, rendendole una scelta economica a lungo termine.

3. Impianti sportivi: illuminazione per prestazioni eccellenti e spettacolo visivo

Negli impianti sportivi, l'illuminazione a LED ha rivoluzionato l'esperienza per atleti e spettatori. La luce uniforme e priva di sfarfallio contribuisce al benessere degli atleti, migliorando la concentrazione e riducendo il rischio di affaticamento visivo.

Per gli spettatori, l'illuminazione a LED crea un'atmosfera dinamica, accentuando l'azione sul campo. I sistemi di controllo intelligente consento-

no spettacoli luminosi personalizzati, trasformando gli eventi sportivi in esperienze visive coinvolgenti.

4. Strade: sicurezza e sostenibilità notturna Nelle strade, l'illuminazione a LED sta progressivamente sostituendo le obsolete lampade a vapori di sodio e mercurio. La maggiore visibilità e la distribuzione uniforme della luce migliorano la sicurezza stradale, riducendo gli incidenti notturni. La lunga durata e l'efficienza energetica dei LED si traducono in risparmi significativi per le amministrazioni locali, riducendo i costi di manutenzione e l'impatto ambientale.

5. Capannoni industriali: illuminazione intelligente per la produzione sostenibil Nei capannoni industriali, l'illuminazione a LED offre soluzioni intelligenti. I sistemi di gestione per -

mettono la regolazione della luce in base all'attività, ottimizzando l'efficienza energetica e riducendo i costi operativi. La resistenza dei LED alle condizioni ambientali estreme li rende ideali per ambienti industriali, contribuendo a una produzione più sostenibile.

Conclusioni: versatilità e sostenibilità a luce led In conclusione, l'illuminazione a LED si propone come la scelta illuminotecnica per eccellenza in diverse applicazioni. Dalle case agli uffici, dagli impianti sportivi alle strade e ai capannoni industriali, la versatilità, l'efficienza energetica e la sostenibilità dei LED delineano un futuro luminoso e sostenibile. La luce a LED non è solo un'illuminazione; è un faro che guida la strada verso un mondo più brillante e consapevole.

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Cosa resterà della parola scritta?

Checosa succederà, nell’era digitale e del dominio di internet, le tracce lasciate dagli scrittori prima e dopo la creazione delle loro opere? Potremo disporre ancora delle prove e dei percorsi mentali come quelli cartacei, ricchi di annotazioni, revisioni, divagazioni, ripensamenti, disegni e correzioni? Avremo ancora la possibilità leggere gli scambi epistolari, considerato che anche le lettere si sono trasformate in scambi digitali di pensieri ed emozioni? Se è vero che non è facile rispondere con certezza, è altrettanto assodato che gli studiosi stanno, con sempre maggiore frequenza e consapevolezza, affrontando il problema; tant’è che la questione è stata al centro di un convegno internazionale ospitato dall’Università di Pavia nel dicembre del 2013 dal titolo Carte immateriali.Filologia d’autore e testi nativi digitali. Quello che è certo è che al giorno oggi sulla carta non si scrive più nulla o quasi, così come sempre meno si legge sulla carta, come testimonia, in maniera indiretta, il drammatico calo del numero delle edicole in Italia. Una quantità sempre maggiore di documentazione digitale è conservata (non custodita, che è altro discorso) negli hard-disk dei computer.

Molto poi finisce nel cloud, un collettore di memoria esterna, di proprietà di aziende private (che non durano all’infinito), protetto da password. Infine, l'obsolescenza del software gioca un suo ruolo, perché già le piattaforme digitali di 20 o 30 anni spesso non vengono più lette dai sistemi informatici attuali. Era sufficiente fare una prova con un file di Word registrato su un CD 20 anni fa per rendersi perfettamente conto.

Quanto dura la parola materiale?

Seguendo l'evoluzione della scrittura nell’arco di quasi 6.000 anni, si può osservare che in determinate condizioni il foglio di papiro, la pergamena e la carta possono durare parecchi secoli o millenni, mentre le scritte impresse su epigrafi di pietra o tavolette di argilla sfidano ancor di più il tempo. Non si può dire lo stesso dei dispositivi multimediali di memorizzazione, sui quali pesano l’usura e l’invecchiamento del materiale. Infatti il Canadian Conservation Institute ha pubblicato una ricerca sull’argomento che ha concluso: «La longevità è incerta e porta a una diffusa mancanza di fiducia da parte delle biblioteche e degli archivi», dato che, secondo gli studi, «la durata può variare da un qualche anno a più di 200 anni»; Quando i cd apparvero sul mercato (a costi esorbitanti) sembra-

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va che il problema della conservazione dei dati fosse risolto, salvo accorgersi altrettanto rapidamente, che non era così.

in ogni caso per leggerli non bastano i nostri occhi, servono programmi appositi e la tecnologia cambia velocemente. Questo vale anche per le foto digitali che ciascuno di noi scatta con gli smartphone e per ciò che scriviamo nella posta elettronica o sui social. Non per nulla molte istituzioni, inclusa la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, forniscono online istruzioni sul modo in preservare i propri ricordi digitali. E sempre più si diffonde l'abitudine di stampare i ricordi migliori al fine di garantirne la conservazione nel tempo.

I nostri figli e nipoti difficilmente troveranno in qualche cassetto o in qualche libro le vecchie foto e lettere dei familiari, come capitava prima ai loro genitori e nonni.

E in letteratura?

Se ci addentriamo nel campo della filologia, le domande poste all'inizio non sono affatto banali né premature

(condivise per altro su altri fronti, per esempio nella ricerca storiografica su fonti digitali). Il senso di quei quesiti può capirlo meglio chi poche settimane fa, proprio a Pavia, ha visitato la mostra Scartafacce, promossa dal Centro di Ricerca sulla Tradizione Manoscritta di Autori Moderni e Contemporanei dell’Università locale (Centro manoscritti), all'interno della quale si conservano molti documenti originali. Nella mostra era esposta una piccola parte di una svariata quantità di carte a disposizione: fogli usciti dalle macchine per scrivere oppure redatti a mano.

Con appunti e segni – quasi glosse di medievale memoria – vari vergati ovunque; dalle cartine delle sigarette ai moduli riciclati e agli “strappi” di carta igienica. Tutti supporti sottratti a destini più prosaici, per ospitare ispirazioni e riflessioni; colmi di note, ripensamenti, sfoghi e persino di dichiarazioni d’amore. Ebbene, tutto ciò, nell’era digitale dell’hardware e del software, che fine farà? Si può scarabocchiare un disco rigido, il cloud, i byte, una pen-drive? Non si può, ovvio.

Eppure per decine di secoli abbiamo scritto “fisicamente”, almeno fino al momento in cui abbiamo sostituito, a partire dagli anni Ottanta del Novecento e soprattutto da quando esiste il web, la fisicità della scrittura materiale, capace di condizionare elaborazione e creazione, con quella evanescente e immateriale: questa ha una consistenza virtuale sui monitor e un secondo dopo può sparire per sempre nei cestini elettronici, con l'unica e magra consolazione che si salvano gli alberi da cui viene la cellulosa. Addio a bozze, epistolari, appunti, ripensamenti, disegnini; tutti elementi che portavano le tracce della mano e della mente dell’autore.

Chi scrive ha redatto la propria tesi di laurea analizzando il lavoro filologico di uno storico di inizio Novecento. Ebbene, di ogni saggio erano conservate le versioni precedenti e alla fine era possibile ricostruire il pensiero dell'autore in ogni minimo particolare, potendo leggere nelle successive redazioni il mutare del suo pensiero.

Addio dunque nell'era contemporanea alle prospettive di di ricerca filologica, che per quel che riguarda gli ultimi 30 anni, ha visto scomparire la materia prima “tradizionale”. Il rischio della scomparsa del materiale digitale partorito dagli scrittori italiani contemporanei può cancellare non solo il lavoro dei filologi, ma può cancellare la memoria e la cultura collettive.

Il convegno Le carte immateriali è stato concepito dal Centro manoscritti, nell’ambito dell’Autografestival 2023, proprio per affrontare la crescente necessità di un’adeguata gestione e tutela di quel materiale digitale. Auguriamoci che i frutti di quei colloqui possano servire a un totale ripensamento in materia, per evitare che la nostra memoria svanisca in un mare di evanescenti byte...

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Fake news e fact checking: come riconoscere le

Iacopo Bernardini

notizie false:

Èun flusso incessante di informazioni quello che ogni giorno si inserisce nella nostra quotidianità. Tra queste, emergono sempre più frequentemente le cosiddette "fake news", ovvero notizie false, ingannevoli o esagerate, che si diffondono rapidamente attraverso i social media e altri canali online.

Il fenomeno non è solo una questione di disinformazione, ma rappresenta una vera e propria sfida per la società moderna, influenzando l'opinione pubblica e talvolta persino gli eventi mondiali. Ma cos'è una fake news, come riconoscerla e perché il fact checking diventa centrale nell'era dell'informazione digitale?

Cos'è una fake news?

Le fake news sono informazioni false o fuorvianti presentate come notizie veritiere. A differenza della semplice disinformazione, spesso sono create e diffuse con l'intento di ingannare, manipolare opinioni, promuovere agende specifiche o semplicemente per guadagno finanziario tramite clickbait. Le caratteristiche distintive delle fake news includono titoli sensazionalistici, dati inesatti, fonti non verificabili e, talvolta, la totale assenza di fatti concreti. La storia è costellata di esempi di fake news che hanno avuto un impatto significativo. Un esempio moderno potrebbe

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essere la diffusione di informazioni riguardanti i vaccini COVID-19, che hanno causato confusione e sfiducia tra la popolazione.

L'effetto delle fake news sulla società è profondo e sfaccettato. Possono portare a una distorsione della realtà, alimentare teorie del complotto, aumentare la polarizzazione politica e sociale e minare la fiducia nelle istituzioni. La loro pervasività nell'epoca digitale rende essenziale per il pubblico imparare a riconoscerle e contrastarle.

Il ruolo dei social media nel processo di diffusione I social media hanno rivoluzionato il modo in cui riceviamo e condividiamo le notizie. Tuttavia, questa trasformazione ha anche facilitato la diffusione di fake news. La natura stessa dei social media, che premia contenuti che generano forti reazioni emotive, crea un ambiente ideale per la viralità delle notizie false.

Queste piattaforme, inoltre, utilizzano algoritmi che tendono a mostrare agli utenti contenuti che rafforzano le loro convinzioni preesistenti, creando così camere di eco dove le fake news possono prosperare indisturbate. Meccanismi di condivisione e viralità. Le fake news sfruttano i meccanismi di condivisione dei social media per diffondersi rapidamente. Titoli accattivanti e contenuti

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provocatori sono più propensi a essere condivisi, indipendentemente dalla loro veridicità. Una tendenza amplificata dalla natura istantanea e superficiale del modo in cui spesso consumiamo le notizie sui social, dove un titolo o un'immagine possono determinare la percezione di un'intera storia.

In risposta alla crescente preoccupazione per le fake news, molte piattaforme hanno introdotto politiche e strumenti per identificarle e limitarne la diffusione. Questi includono l'etichettatura di notizie potenzialmente false, la collaborazione con organizzazioni di fact checking, e l'implementazione di algoritmi per ridurre la visibilità di contenuti ingannevoli. Tuttavia, la lotta contro le fake news sui social media rimane una sfida complessa, data la continua evoluzione del problema.

5 tecniche per riconoscere le fake news

1. Verificare la fonte. Controlla l'affidabilità e la reputazione della fonte delle notizie. Siti noti per la diffusione di fake news spesso hanno nomi che imitano quelli di fonti affidabili.

2. Analizzare il linguaggio. Le fake news tendono ad usare un linguaggio emotivo, esagerato o provocatorio. La presenza di errori grammaticali o di formattazione può essere un altro indizio.

3. Controllare date e contesti Verifica le date delle notizie e assicurati che siano attuali. Controlla anche eventuali immagini o video, che possono essere tratti fuori contesto o modificati.

4. Cercare altre fonti. Una vera notizia sarà riportata da più fonti affidabili. La mancanza di

copertura da parte di altri media può essere un segnale di allarme.

5. Utilizzo di strumenti di fact checking. Siti web e organizzazioni dedicati al fact checking possono essere utili per verificare le informazioni. Oltre a questi passaggi, è fondamentale sviluppare un pensiero critico. Ciò significa approcciare le notizie con uno spirito di dubbio costruttivo, ponendosi domande sul perché una particolare storia viene raccontata in un certo modo e chi potrebbe beneficiarne.

L’importanza del processo di fact checking

Il fact checking è un metodo sistematico per verificare i fatti in una notizia. Gli esperti in questo campo utilizzano una varietà di strumenti e tecniche per analizzare le affermazioni, confrontarle con fonti affidabili e determinare la loro accuratezza. Il processo può includere la consultazione di esperti, l'analisi di documenti ufficiali, la verifica di dati e statistiche e l'esame di fonti originali.

Ci sono diverse organizzazioni e iniziative dedicate al fact checking a livello globale. Queste includono siti web noti come Snopes, FactCheck org e PolitiFact, solo per citarne alcuni, nonché progetti gestiti da importanti testate giornalistiche. Si tratta di realtà che svolgono un ruolo cruciale nell'identificare e correggere le informazioni errate. Il fact checking affronta diverse sfide. La velocità con cui le notizie si diffondono online può rendere difficile tenere il passo con la disinformazione. Inoltre, il pregiudizio di conferma e la polarizzazione politica possono influenzare la percezione pubblica dell'accuratezza delle notizie. Nonostante le sfide, il fact checking rimane un baluardo essenziale contro la disinformazione. È importante ricordare che la responsabilità di contrastare le fake news è condivisa: spetta a ciascuno di noi verificare le informazioni prima di condividerle e supportare pratiche di giornalismo affidabili. Insieme, possiamo lavorare per creare un ambiente informativo più sano e affidabile per tutti.

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