VdG Magazine Viaggi del gusto

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VDG MAGAZINE VIAGGI DEL GUSTO | ANNO 2 | N.17 | MENSILE | Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. C/RM/19/2011 | Belgio Euro 9,30 | Canton Ticino Ch.Fr. 11,50 | Costa Azzurra Euro 11.90 | Stati Uniti

AGOSTO 2012 - EURO 4,90

TRENTINO, UN MONDO A PARTE AGRICOLTURA, ECONOMIA, TURISMO: I MIRACOLI DELLA COOPERAZIONE

Cibo e salute, i consigli della Fondazione Veronesi Birra e gelato artigianali: cosa c’è da sapere Il personaggio del mese: Gualtiero Marchesi In viaggio: Venezia, Napoli, Palermo e Stoccolma Gite fuoriporta, tra i giardini incantati del Lazio Legambiente dà i voti alle spiagge italiane Occhio ai consumi, il vademecum del turista Artigianato: Made in Carcere, la stoffa per ricominciare


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viaggi del gusto

editoriale

di Domenico Marasco

domenico.marasco@vdgmagazine.it

La cooperazione in Trentino. Un modello da imitare Viviamo una fase economica difficile, è notorio. In un mondo in cui tutto – rapporti umani ed economici, merci, trasporti, comunicazione – è stato “selvaggiamente” globalizzato. Tutto tranne i diritti. Un mondo nel quale è assente perfino la sola semplice idea della reciprocità negli scambi commerciali. In attesa che la politica di tutta l’Europa si svegli, cosa si potrebbe fare? Per cercare di capirci qualcosa, siamo andati in Trentino, a vedere come funziona un sistema economico i cui risultati hanno dello straordinario. I soliti immancabili detrattori e i dietrologi di professione obietteranno che quella è una regione a statuto speciale che ha beneficiato e continua a beneficiare di ingenti risorse pubbliche. Tutte chiacchiere, fidatevi. Di risorse pubbliche ne sono state erogate (e malamente sprecate) in tutte le aree del Paese. Eppure non tutte le regioni italiane oggi possono vantare gli standard di sviluppo di questa regione. Basta andare in Trentino e vedere con quale equilibrio, oggi, quella terra sostiene, attraverso il sistema della cooperazione e della sussidiarietà, il proprio territorio, le risorse naturali, gli abitanti. Vedere 4 mila agricoltori di mele che si sono alleati dando vita a un consorzio, quello della Melinda, che esporta il prodotto in tutto il mondo, è semplicemente incredibile. Questi piccoli produttori, tutti proprietari di frutteti non più ampi di un ettaro in media, producono mele di qualità, tutelano il loro territorio e riescono anche a guadagnare e vivere bene. Le loro stesse facce trasmettono la serenità, le motivazioni, i valori che muovono la loro terra. E che dire di altre realtà produttive come Cavit e Mezzacorona? Anche qui, migliaia e migliaia di agricoltori che tengono i propri vigneti come i salotti di casa. Migliaia e migliaia di viticoltori che producono vino d’eccellenza e, tutti assieme, come un sol uomo, grazie alle cooperative da loro formate, esportano nel mondo il frutto del proprio lavoro, senza le finanze spericolate e i trucchi contabili.

Qui c’è un buon senso e una semplicità di vivere e di lavorare che quasi destabilizza. Abbiamo conosciuto quindi la Federazione Italiana Allevatori della provincia di Trento. Lì in Trentino allevano bovini che vengono commercializzati e consumati sul territorio. Una filiera completa che soddisfa il fabbisogno di tutta la regione. Così è anche per il Trentingrana, la coop trentina che produce formaggio. Tutti meccanismi perfetti di un circuito economico da studiare e replicare nel mondo. Altro che il sistema anglosassone o il capitalismo americano spinto all’estrema stupidità dal credito al consumo, o ancora l’economia cinese che si ingrassa sul non-rispetto di chi lavora e su un deficit di coesione sociale che mai potrà essere colmato! Bisogna andare in Trentino per capire cosa è stato capace di fare l’uomo! Personalmente, se io oggi penso al Trentino, nel cuore mi spunta una speranza e mi fa pensare che un altro mondo è ancora possibile. Dite che mi sono innamorato? Ebbene sì. Di un modello vincente e degli uomini e delle donne tra i migliori del nostro Paese. Ps. Questo numero di agosto segna il debutto, sulla nostra rivista, di altre due prestigiose collaborazioni: Legambiente e la Fondazione Umberto Veronesi. La prima si occuperà di segnalarci ogni mese i territori italiani più virtuosi in termini di rispetto dell’ambiente e di turismo sostenibile. La seconda, invece, ci spiegherà di volta in volta come fare a tutelare la nostra salute attraverso una corretta alimentazione. Dire che siamo orgogliosi di queste altre due “medaglie” che andiamo ad appuntarci sul petto, è superfluo. Ogni giudizio, lo lasciamo a voi lettori. Buon viaggio e buone vacanze a tutti.

3




sommario sommario agosto 2012

42

52

12 Dall’Italia e dal mondo

16 Occhio ai consumi Il vademecum del turista

46

18 Fatti e contraffatti La birra: istruzione per l’uso 22 Scienza e vita L’analisi sensoriale dei latticini 24 La salute nel piatto Gli alimenti-alleati: il pesce azzurro 26 Almanacco di Barbanera 28 Appuntamenti

52 Cover story Un territorio definito “il giardino vitato più bello d’Europa”. Un’agricoltura avanzata e un ambiente che, gestito come un “bene di tutti”, garantisce lavoro, turismo e indotto. È il miracolo del Trentino “cooperativo”. Un mondo a parte. Da tutto.

panorama

cibo&territorio

40 A Genova rinasce l’olio Costa

68 La birra artigianale

Gli eredi della dinastia di armatori hanno ripreso la vecchia tradizione. Dopo un secolo

42 Il re del tonno di Lampedusa

Così Pasqualino Famularo ha costruito la sua storia di imprenditore ittico di successo

Sempre più italiani la preferiscono, anche al vino. Vi presentiamo uno speciale sulla birra fatta in casa e sui piccoli marchi di qualità

78 Gelato, vizi e virtù Quali sono le caratteristiche per le quali il più classico dei peccati di gola dell’estate, si può dire davvero artigianale? Ve lo spieghiamo noi

44 Ospitalità italiana

Sauro Scarabotta e il suo sogno realizzato: aprire un ristorante a San Paolo del Brasile

46 Il personaggio: Gualtiero Marchesi

88 Napoli gastronomica

Un tour gourmand tra le viuzze, le piazze e i monumenti partenopei, alla ricerca dei piatti della tradizione più genuini e saporiti

Lo chef italiano più famoso del mondo ci svela come la cucina diventa arte

48 Imprese: la pasta di Verrigni L’antico pastificio di Roseto degli Abruzzi

festeggia 110 anni di gusto e di passione

64 Il buono a tavola

Una regione, due popoli, due culture: le ricette della cucina del Trentino-Alto Adige

Panoramica della Valsugana

88 6


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sommario sommario agosto 2012

102

98

VillaLante - Archivio Grandi Giardini Italiani

inviaggio

piaceri

94 La Valnerina

114 Le mani raccontano

Oltre la Cascata delle Marmore, c’è un’Umbria nascosta fatta di natura e borghi da favola

98 I giardini incantati del Lazio Una passeggiata fuoriporta tra i parchi privati di alcune delle residenze storiche più belle d’Italia

102 L’Italia in mostra: Venezia La Biennale di Architettura è l’occasione giusta per un salto nella città più famosa del mondo

106 La pagina verde di Legambiente La classifica delle spiagge italiane più pulite: Eolie, Cilento e Sardegna a “gonfie vele”

8

Made in Carcere: le borse fatte a mano dalle detenute pugliesi di Lecce e Trani

116 I piaceri di Bacco

Glera: il tipico vitigno a bacca bianca delle colline trevigiane. Che sa di Prosecco

118 Bellezza e benessere

140 Le selezioni

114

Non rinunciamo ai benefici del sole, ma, ovviamente, con le dovute attenzioni

128 Libri 130 Soste d’arte 132 Spettacoli

108 Città in 24 ore, Palermo

134 Trendy

110 Città in 24 ore, Stoccolma

136 Style

116



contributors agosto 2012 Direttore Responsabile Domenico Marasco

FONDAZIONE VERONESI

RICCARDO LAGORIO È nato a Brescia 44 anni fa, vive con la valigia sempre pronta, il blocnotes e la penna sempre in mano, ferri del mestiere di cronista vecchio stampo. Allievo prediletto di Luigi Veronelli, lo hanno definito “food scout”. Di scoperte del patrimonio gastronomico ne ha fatte davvero molte, migliaia. I lettori di VdG lo sanno bene, visto che ogni mese ne propone sempre di nuove. pag. 78

E' stata voluta da Umberto Veronesi nel 2003 essenzialmente per sostenere la ricerca scientifica. Ma il pallino del professore è stato sempre quello della divulgazione. Ecco allora che la Fondazione ha scelto VdG per spiegare al grande pubblico i concetti di salute e corretta alimentazione. pag. 24

GIUSEPPE PULINA

LEGAMBIENTE Da 30 anni rappresenta in Italia la “sentinella dell’ambiente”. Gli affaristi la temono come la peste. Le istituzioni la guardano con rispetto. Il suo credo? Tenere alta l’attenzione sulle emergenze ambientali e valorizzare invece chi rispetta il territorio. pag. 106

Sassarese dalla nascita 55 anni fa, insegna zootecnia speciale nell’università della sua città e, con i Sardi, condivide, oltre all’aria ed alla terra, soprattutto il mare. Che ama solcare in canoa, quando non é troppo occupato a studiare il perchè tutti ritengano le pecore poco intelligenti. pag. 22

Coordinatore editoriale Francesco Condoluci redazione1@vdgmagazine.it Editing Gilda Ciaruffoli Grafica e impaginazione Daniel Addai Carlo Fontana

ROBERTO RABACHINO Piemontese, 54 anni, giornalista, scrittore, docente universitario e sommelier. Ha fatto del vino una ragione di vita e di lavoro: al punto che lo scorso anno a New York è stato eletto presidente dei degustatori di vino di 29 nazioni nel mondo. Presiede anche l’associazione italiana dei giornalisti dell’agroalimentare e, per non farsi mancare nulla, su VdG ogni mese racconta la storia di un vitigno e cura la rubrica “il Personaggio”. pag. 46/116

hanno collaborato a questo numero: Lucrezia Argentiero Olga Carlini Gilda Ciaruffoli Claudia Dagrada Silvana Delfuoco Maria Pia Fanciulli Marishel Fecchi Francesca Frediani Rosalia Imperato Riccardo Lagorio Walter Liber Lucia Lipari Stefania Monaco Giuseppe Pulina Rosario Ribbene Antonio Romeo Giancarlo Roversi Ida Santilli Marco Scataglini

Foto Editor Giuseppe Magaretti

Foto: Fotolia Stampa: PuntoWeb Srl 00040 Ariccia (Roma) Distribuzione Italia Messaggerie Periodici ME.PE. S.p.A. Via G. Carcano 32 20141 Milano Editore: Opera Italia Srl Via Pola 15 20124 Milano

Abbonamenti

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abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D. leg. 196/2003 scrivendo a: Opera Italia Srl Sede legale: via Pola 15 20124 Milano Redazione: via Pola 15 20124 Milano tel. 0289053250 fax 0289053290 Registrazione Tribunale di Milano n. 92 del 10/02/2011 L’editore ha ricercato con ogni mezzo i titolari dei diritti fotografici senza riuscire a reperirli. È ovviamente a piena disposizione per assolvere quanto dovuto nei loro confronti

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Cerchiamo agenti e venditori di spazi pubblicitari

Viaggi del Gusto Magazine, AirOne Magazine e Ursa Major Magazine cercano persone di professionalità affermata, o da formare, nel settore della vendita di spazi pubblicitari e nel ruolo di agenti di commercio. L'area di lavoro è individuata nelle seguenti regioni: Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Calabria, Campania, Liguria, Valle d’Aosta. I candidati interessati sono invitati a spedire il proprio curriculum a info@operaitaliasrl.net

collaboratori&ambasciatori Abruzzo Michele Caracino Gaetano Castaldi

Giovanni Merone Stefania Monaco Francesca Oliverio

Basilicata Isa Grassano Angela Pino

Liguria Alessandro Baffigi Barbara Bacigalupo Anna Orlando

Calabria Salvatore Chiarella Lucia Lipari Antonio Romeo Raffaele Romeo Campania Ferdinando Cappuccio Luisa Del Sorbo Rosalia Imperato Emilia-Romagna Luca Campana Marco Landucci Chiara Mojana Gianluigi Pagano Giancarlo Roversi Luca Sardi Nerino Trentini Fruttuoso Zucchini Friuli Venezia-Giulia Valentina Coluccia Lazio Francesco Maria Bucarelli Domenico Bruno Alessandro Mei

Lombardia Cesare Assolari Roberto Bonsi Massimiliano Bruni Lorenzo Foti Francesca Frediani Valentina Gavarini Riccardo Lagorio Eugenio Meloni Umberto Mortelliti Aldo Pagnussat Giampaolo Perna Saro Trovato

Roberto Rabachino Mauro Rosta Puglia Lucrezia Argentiero Bruno Micai Jolanda De Nola Nunzio Pacella Mariella Piscopo Sergio Siciliano Sardegna Roberto Dall’Acqua Annalisa Bernardini Lino Erriu Giuseppe Pulina Sicilia Cesare Aldesino Rosario Ribbene Marco Scapagnini

Marche Michela Pallonari Ferruccio Squarcia Giorgio Tassi

Toscana Elena Conti Marco Ghelfi Rosanna Ercole Mellone Marco Scataglini Antonio Tartarelli

Molise Giovanni Scapagnini Ida Santilli

Trentino Alto-Adige Francesca Negri

Piemonte Monica Coviello Silvana Delfuoco Donato Lanati Gian Nicolino Narducci

Umbria M. Pia Fanciulli Veneto Benedetta Frare

si ringraziano per la concessione di immagini e documenti: 10

la Provincia Autonoma di Trento, l'Azienda per il Turismo della Valsugana, la Trentino Marketing Spa e la Federazione della Cooperazione Trentina


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dall’Italia e dal mondo di Francesco Condoluci

redazione1@vdgmagazine.it

Il commento

Spending review: via l’Istituto per la Dieta Mediterranea, restano pensioni e stipendi d’oro Anche l’agricoltura, in Italia, paga il suo prezzo per la riduzione della spesa pubblica con la quale il Governo Monti ha deciso di raggranellare i risparmi necessari a evitare l’aumento dell’Iva. Il decreto varato a luglio, conferma le indicazioni già delineate dal ministro delle Politiche agricole, Mario Catania, prima dell’approvazione del provvedimento: con la pianta organica del ministero agricolo già ridotto all’osso, i sacrifici per la causa comune saranno concentrati tutti sugli enti collegati al ministero. E così è stato, ma non per tutti.
Sotto la scure del ministro Catania, tra gli altri, è finito l’Inran, l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione che esiste dal 1939 e che, tra le altre 12

cose, ha strutturato la Dieta Mediterranea. È previsto che le sue competenze e le sue attività passino al Centro per la ricerca agricola (Cra). Ma il taglio, secondo quanto denunciato dagli stessi ricercatori Inran, comporterà il rischio di perdere 80 posti di lavoro oltre alla dispersione di un patrimonio di ricerca scientifica e alla storica eredità culturale dell’ente. L’Inran realizza ogni 10 anni le linee guida per una sana alimentazione e la prossima revisione era prevista per il 2013 ma, con la soppressione, le nuove linee guida rischiano di non vedere mai la luce, così come rischiano di essere interrotti i progetti avviati con le scuole in tutta Italia per combattere l’obesità infantile.

Sento parlare di tagli agli sprechi pubblici più o meno da quando avevo appena raggiunto l’età della ragione. E, nel frattempo, è passato più di un quarto di secolo. L’argomento, in Italia, è sostanzialmente ciclico. Come un dolore articolare non curato che torna a farsi sentire, puntuale, ogni cambio di stagione. Ieri era l’inflazione e il gonfiarsi del debito pubblico, poi le campagne elettorali all’americana condotte a colpi di slogan a effetto, oggi lo spread galoppante e la crisi dell’euro. In pratica, c’è sempre stata una ragione contingente dietro ogni impulso di governo (improvvisamente) votato a una revisione della spesa o anzi, alla spending review, come la chiamano oggi i bocconiani dall’eloquio forbito del gabinetto Monti. Mai però che i governi (di qualunque colore o estrazione) abbiano deciso di mettere mano alla pletora di spese che gravano nella contabilità dello Stato sotto la voce “pubblica amministrazione” – patrimoni immobiliari, prebende, benefit, diarie, missioni, enti-carrozzone – per una scelta spontanea, programmatica e attraverso un’azione razionale e progressiva dettata non dalla contingenza ma da quella “diligenza del buon padre di famiglia” che dovrebbe (com’è sancito dal diritto pubblico di questo Paese) informare l’azione amministrativa. Morale della favola: tutte “le sforbiciate” varate sull’onda della contingenza o non hanno spostato di una virgola il problema o hanno visto i loro effetti abrogati da successive moratorie. Basta prendere il caso delle Province e delle Comunità Montane: sono a rischio-cancellazione da anni, ma, tra proroghe e deroghe, continuano a stare lì e drenare risorse pubbliche. Per non parlare degli ospedali con 5 posti letto di cui, a tutt’oggi, è pieno il Sud o delle elefantiache strutture para-regionali (società di servizi per il lavoro, l’ambiente, la comunicazione etc.) lasciate in piedi solo per fare clientela. La spending review del governo dei tecnici è destinata tuttavia a inaugurare una terza via: quella dei tagli che in luogo di alleviare i problemi del Paese, finiranno per aggravarli. Da oltre un secolo, le teorie economiche insegnano che, in recessione, l’unica cosa che non bisogna fare è tagliare l’occupazione, diminuire i consumi, scoraggiare gli investimenti. Tutto quello cioè che invece ha fatto il governo Monti, con i suoi tagli lineari e non selettivi. Che hanno cancellato, tra le altre cose, lo storico istituto (e forse anche tutti i suoi livelli occupazionali) che ha contribuito a far diventare la Dieta Mediterranea patrimonio mondiale dell’Umanità. Ma non hanno minimamente sfiorato le pensioni d’oro, gli stipendi da top-manager e tutti gli sprechi dei più alti livelli dirigenziali. A ulteriore dimostrazione, con buona pace di tutti, che nemmeno il supertecnico Monti ha il coraggio e la visione necessaria a dare un’idea di futuro a questo povero Paese.


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news Brasile: il governo vara un programma contro il consumo di cibo-spazzatura

UE: da luglio un logo distintivo per il “bio” made in Europa Se non c’è “l’eurofoglia”, state in guardia! Dallo scorso mese di luglio, i consumatori di prodotti biologici hanno uno strumento in più per riconoscere il vero bio made in Europa. È il “logo di produzione biologica dell’Unione Europea” che dal 1° luglio dev’essere obbligatoriamente apposto sull’imballaggio di tutti gli alimenti preconfezionati provenienti dai paesi comunitari, per distinguerli dai prodotti extraeuropei e non biologici. Il marchio – una “foglia europea”, con le 12 stelle bianche su uno sfondo verde brillante – che è stato scelto, tra 3.500 proposte, dagli stessi cittadini dell’UE attraverso un sondaggio, deve figurare su tutti gli alimenti e le bevande confezionati in Europa con almeno il 95% di ingredienti prodotti con metodo biologico. Il logo resta facoltativo invece per i prodotti non confezionati e per quelli importati. Da questo mese di agosto, inoltre, entreranno in vigore anche le nuove norme sul vino biologico.

La guerra al trash-food si va sempre più globalizzando. Da poco, anche il Brasile ha cominciato ad adottare infatti delle misure di contrasto al consumo – sempre più diffuso nel Paese verde-oro – del cibo spazzatura. Partendo dalle scuole, dove un programma di educazione alla sana alimentazione consentirà ai giovani studenti brasiliani di poter consumare un pasto al giorno proveniente da coltivazioni locali. Il cibo che sarà servito negli edifici scolastici aderenti al programma, dovrà inoltre essere al 70% fresco o comunque trattato al minimo. Secondo le autorità del Brasile, il piano ha un duplice ordine di ragioni: da un lato, quello di ridurre le malattie causate da una alimentazione scorretta (obesità, malattie cronichedegenerative) che gravano sempre più sulla sanità pubblica, e dall’altro valorizzare la cucina e l’agricoltura tradizionali, danneggiate dalle campagne pubblicitarie delle multinazionali che incentivano il consumo di snack, merendine e fast-food.

Argentina: messi al bando i prosciutti Made in Italy Suini italiani banditi dalle tavole argentine. La decisione arriva dalle autorità di Buenos Aires, che, nel quadro di una politica protezionistica finalizzata a tutelare il prodotto interno e arginare l’uscita di valuta dal paese, hanno fatto sottoscrivere dalla loro Segreteria del Commercio un accordo con i produttori nazionali di carne suina per impedire l’importazione di prosciutti di Parma e San Daniele e il consumo da parte degli argentini, in cambio dell’impegno a migliorare la loro produzione in futuro e limitare gli acquisti di materie prima dall’estero. Una scelta subito contestata dalla World Organization for International Relations (WOIR) secondo la quale il blocco deciso dal governo di Baires sull’import di carne suina dall’Italia (264 tonnellate di salumi nel 2011, pari all’1% circa della produzione made in Italy) violerebbe le regole del commercio internazionale. La misura è stata anche impugnata dalla Commissione Europea in sede di WTO.

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Allarme FAO: tra 40 anni il mondo rischia carenza di acqua e di cibo Entro il 2050, la produzione agricola mondiale dovrà crescere del 60% per poter dare una risposta alla crescente domanda di alimenti in tutto il pianeta. È la previsione contenuta nell’Agricoltural Outloook pubblicato dalla Fao e dall’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (Ocde). Il rapporto delle due istituzioni mette anche in guardia sull’aumento dei costi dei prodotti agricoli nei prossimi decenni, dovuto alla scarsa produttività dei terreni degradati o interessati da cambiamenti climatici estremi. Per questo motivo, Ocde e Fao lanciano un appello ai governi “per nuove politiche che affrontino il problema della produttività insieme a quello della sostenibilità”. Lo studio stima che il 25% di tutta la terra coltivata nel mondo è molto degradata, e che la mancanza d’acqua ha raggiunto livelli critici in molti Paesi. «Maggiore produttività, una crescita eco-sostenibile e mercati più aperti saranno elementi essenziali per riuscire a soddisfare il fabbisogno alimentare e nutrizionale delle generazioni future», ha detto il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria.



occhio ai consumi

Breve vademecum per turisti Qualche consiglio per evitare di correre inutili rischi, o spendere più del dovuto, durante le ferie estive. Sotto i riflettori: le agenzie di viaggio, i tour operator e le tariffe del roaming internazionale

La vacanza dovrebbe essere un momento piacevole per poter rigenerare fisico e mente ma, molto spesso a causa di qualche imprevisto, può trasformarsi in un vero incubo. Ecco alcuni consigli per affrontare in modo pratico i principali inconvenienti estivi. Per quanto riguarda la scelta del viaggio possiamo rivolgerci a un’agenzia, optare per viaggi last minute o trovare qualche buona offerta in modo autonomo. Se ci si affida a un’agenzia, una volta scelto il pacchetto vacanza, questa è responsabile come mandatario, cioè solo per il corretto adempimento delle formalità di vendita, prenotazione e informazione; mentre per la qualità, l’adempimento dei servizi, in caso di annullamento del viaggio, per disagi in loco e se la struttura e le condizioni igieniche non sono quelle descritte e corrispondenti alle illustrazioni del catalogo, sarà il tour operator a essere responsabile. In caso di vacanza 16

di Marco Bacchetta e Giulia Rosani Associazione Civici Consumatori www.civiciconsumatori.it

rovinata ci si può dunque rivolgere in loco al referente del tour operator o altrimenti inviare un reclamo all’agenzia e all’organizzatore entro 10 giorni dal rientro per poter ottenere o un rimborso o un risarcimento. Le cronache parlano poi di molti casi in cui i turisti vengono abbandonati a se stessi anche in luoghi lontani. Un rimedio a tale situazione è rappresentato dal Fondo Nazionale di Garanzia che, in caso di insolvenza o di fallimento del tour operator o dell’agenzia, consente il rimborso del prezzo pagato oltre che il risarcimento del danno. Per poter accedere al FDG è necessario presentare un’istanza allegata da documentazione inviata tramite raccomandata. Ogni istanza deve riferirsi a un singolo contatto e può essere destinata a una pluralità di soggetti sottoscriventi il medesimo contratto. La stessa tutela è prevista anche nel caso in cui si scelgano offerte last minute o si acquisti una vacanza on line. In questi casi però sarà necessario valutare l’effettivo risparmio proposto e verificare prima del pagamento chi sia il soggetto con cui operiamo in modo tale da escludere la possibilità che si possa trattare di agenzie e tour operator improvvisati, fasulli e senza autorizzazione amministrativa. Un altro tipo di problema che può investire il turista riguarda le telefonate, specie se effettuate dall’estero. Con l’inizio di luglio sono entrate in vigore nell’Unione Europea le nuove tariffe per il roaming internazionale. Sono più economiche e confermano l’impegno della Commissione europea nel rendere più bassi i prezzi per le chiamate, l’invio degli SMS e il download dei dati. Le tariffe indicate dall’UE indicano il prezzo massimo che gli operatori telefonici mobili possono richiedere ai loro clienti per cui vi invitiamo a confrontare le varie offerte.

Last minute o prenotazioni on line? Prima di pagare valutate l’effettivo risparmio e verificate di non aver a che fare con agenzie e tour operator improvvisati o fasulli


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fatti e contraffatti

di Marishel Fecchi

Test chimici su resti di brocche mesopotamiche hanno rivelato che 7 mila anni fa in Iran la birra era già un prodotto diffuso. Su tavolette sumere di 6 mila anni fa sono riprodotti uomini che ne bevono con una cannuccia da un vaso comune. Sempre dei sumeri si conosce una poesia di 3900 anni fa in cui si elogia la patrona della produzione della birra, dalla quale si evince anche la prima ricetta scritta per la sua produzione partendo dal pane d’orzo. “Ninkasi, tu sei colei che cuoce il baffir nel forno che mette in ordine la pila dei cereali sbucciati tu sei colei che bagna il malto posto sui terreni tu sei colei che tiene con le mani il grande dolce mosto di malto / Ninkansi, tu sei colei che versa la birra filtrata nel tino di raccolta / è come l’avanzata impetuosa del Tigri e dell’Eufrate”.

Birra:

istruzioni per l’uso In Mesopotamia ne andavano matti. La bevevano tutti i popoli mediterranei. Germanici e Celti veneravano divinità a questa bevanda dedicate. In Italia la grande passione è esplosa solo da pochi decenni, investendo però ogni gruppo sociale. Uomini, donne, giovani e anziani la bevono, e stanno imparando a conoscerne anche le varie caratteristiche e categorie. Approfondiamole insieme

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Ma questi sono solo esempi che testimoniamo la familiarità delle popolazioni antiche con la birra. Esempi che potrebbero proseguire a lungo. In Egitto infatti gli operai che costruivano le piramidi ricevevano da bere non acqua ma birra. Gli Ebrei ne parlano nel Deuteranomio. I Greci la consumano durante la festa della dea Demetra, divinità delle messi, e durante i giochi olimpici (perché era proibito bere vino). Ai tempi era un prodotto di importazione, portato dai mercanti Fenici. Gli Etruschi, come i Romani, la chiamavano cervisia, in omaggio alla dea Cerere, signora delle messi. La vera diffusione della birra in Europa si ebbe però con le invasioni dei popoli germanici e celtici: esiste una leggenda che narra come gli Irlandesi derivino da un semidio, Fomarione, che era dotato di potenza e immortalità grazie al segreto della fabbricazione della birra. Anche i fiamminghi avevano il loro dio della birra, Gambrinus. Insomma chi non aveva Dionisio o Bacco aveva il dio della birra! Le birre allora non contenevano luppolo. La prima documentazione storica dell’uso del luppolo risale a un monaco carolingio dell’822 d.C. E proprio ai monasteri si deve la fabbricazione della birra in grande stile, anche perché sui terreni dei loro conventi piantavano il luppolo e avevano cereali a sufficienza, le loro fonti inoltre offrivano acqua pura e abbondante. Naturalmente (allora come oggi) se un prodotto ha successo iniziano le frodi. Così Federico I il Barbarossa, nel 1156, punì il sindaco di Augsburg perché nei locali della sua città veniva offerta birra diluita, e nel 1516 Guglielmo IV con suo fratello Ludwig X di Baviera emisero la famosa Reinheitsgebot, la legge sulla purezza della birra, in cui si diceva che gli unici ingredienti per la birra dovevano essere acqua, malto e luppolo, eliminando per legge tutte le erbe e i funghi (a volte allucinogeni) che venivano aggiunti senza controllo. Per quanto riguarda l’Italia, si deve arrivare alla metà del 1900 per avere le prime fabbriche, tutte ancora nelle mani di imprendi-


Le birre più comuni in Italia La legislazione italiana divide la birra in 5 categorie che si basano sul grado Plato, cioè la quantità di zucchero disciolto in 100 gr di mosto prima della fermentazione. A noi però questa definizione non dice niente: per sapere cosa si compra, poiché sull’etichetta c’è solo il grado alcolico, bisogna moltiplicare questo dato per 3 e si ottiene il grado saccarometrico. Le categorie sono: • Analcolica (non le prendo in considerazione, un mio amico le chiamava “povere birre castrate”) • Leggera: 1,2/3,5% di alcool • Birra: maggiore del 3,5% di alcool • Speciale: 3,5-5% di alcool • Doppio malto: 3,5-6,5% di malto Questo per la legge. Per noi le più comuni sono: tori d’oltralpe (Wuhrer, Dreher, von Wunster etc.). È poi solo con il boom economico che si raggiunge una produzione pari a 1.500 mila hl (con 200 mila hl di import): è il periodo in cui i teutonici invadono le nostre coste, vogliono una birra come a casa loro, e noi impariamo per imitazione. In questo periodo la birra diventa la bevanda estiva per eccellenza, fresca e allegra. Oggi in Italia si producono 13 milioni di hl, se ne importano 6 milioni e se ne esportano 2, di cui circa la metà in Inghilterra e 3/4 nel resto d’Europa.

Ingredienti base Premesso che nella birra sono contenuti 8 mila componenti (ottomila! Il vino ha “solo” 1200 componenti), di cui 400 sono aromi, il tutto è sviluppato da 4 ingredienti. Luppolo: si usano solo i fiori femminili non fecondati che contengono luppolina, la sostanza che conferisce il sapore amaro e che è la causa del senso di appetito che viene dopo aver bevuto birra. Il fiore del luppolo è molto delicato e si può utilizzare fresco solo durante il suo raccolto, da noi in Europa da fine agosto a fine settembre. Altrimenti deve essere congelato.

Ale: la classica inglese. Ad alta fermentazione, presenta corpo pieno e fruttato con poco alcool. Si dividono in diverse tipologie come Mild, Bitter, Belgian, Indian, Scotch, Old, Barley Wine. Abazia o Trappiste: Ale belghe così chiamate perché nate nei monasteri. Sono tutte doppio malto ma molto dissimili l’una dall’altra. Possono subire diverse fermentazioni, da cui il nome duble, tripel, quadrupel. Sono corpose e di forte contenuto alcoolico. Si bevono in bicchieri dall’imboccatura larga.

Bock: birra a bassa fermentazione, doppio malto, chiara e forte, originaria della Bassa Sassonia ma diffusasi sopratutto in Baviera. Ricca e vellutata, ha una struttura persistente, 6,5% di alcool. Si beve in bicchieri a forma di coppa. Lager: termine generale che comprende tutte le birre a bassa fermentazione. È la tipologia più diffusa. Chiara, fresca, media alcolicità. In Inghilterra sono solo chiare, in Baviera scure, nella Repubblica Ceca sono dolci e poco alcooliche, in USA sono considerate soft drink. Si bevono nella classica colonna conica. Pils: prende il nome dalla città di Pilsen in Boemia. Birra dorata a bassa fermentazione, la capostipite del 90% delle birre oggi bevute. Presenta un aroma floreale, gusto secco, schiuma abbondante. Si divide in: Pils boeme di colore dorato con forte sapore di luppolo, e tedesche più pulite, più secche. Si bevono nei calici a chiudere. Weizen: tipica bavarese, birra fresca e dissetante a base di orzo e frumento (weizen) che non deve essere inferiore al 50%. Acidula, non amara perché povera di luppolo. È detta anche Weissbier (weiss = bianco) a causa dei lieviti in sospensione che le danno un aspetto lattiginoso ma anche un sapore complesso che ricorda la banana matura e il chiodo di garofano. Si beve nei tipici Weizenbecher.

“Deve essere stato un uomo saggio chi ha inventato la birra” (Platone)

Chi è nato prima, il pane o la birra? È un po’ come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina. Nel lievito: se si aggiunge più farina si ottiene il pane, più acqua la birra 19


fatti e contraffatti

Boccali e salute… senza esagerare Duemila anni fa Plinio scriveva che le egiziane usavano la schiuma della birra per rinfrescare la pelle del viso. Oggi sappiamo perché: l’alto contenuto di vitamina B6 (Pyridoxina) che ha un effetto antiseborreico e contribuisce a mantenere la pelle pulita. La birra contiene più di 30 minerali: 1l di birra copre il fabbisogno di un adulto per quanto riguarda il magnesio, il 65% per la niacina (serve alla tonicità della pelle e regola l’influsso dei raggi UV), il 20% del potassio, poi ci sono le vitamine del gruppo B2 e molte altre ancora.

Birra: bevanda alcolica ottenuta per fermentazione di mosti zuccherini dovuta alla saccarificazione dell’amido contenuto nella cariosside di alcuni cereali e aromatizzata con luppolo 20

Acqua: importantissima, e non solo perché costituisce la percentuale più alta. Alcune birrerie utilizzano acque dolci, cioè poco mineralizzate, altre con molto calcare. La maggior parte delle birrerie ha la propria fonte, controllata continuamente. Al masto-birraio interessano calcare, solfati e cloruri. Il calcio aiuta la separazione del malto e del luppolo durante la macerazione e la cottura permettendone un miglior sfruttamento, scurisce la birra e la rende torbida. Rame, manganese e zinco inibiscono il rapprendimento dei lieviti; i solfati rafforzano l’amarezza, i cloruri danno spessore e rafforzano la dolcezza. Malto: per malto si intende un cereale, per lo più orzo, fatto germogliare finché il germoglio raggiunge circa i 2/3 della lunghezza del chicco, e poi tostato. È lo stesso processo che si utilizza anche per la preparazione del malto per il whisky. Quando il seme germina produce degli enzimi che trasformano gli amidi in zuccheri semplici atti a essere fermentati. Lieviti: sono sostanzialmente due. Il saccaromices cerevisiae, per la birra ad alta fermentazione, processo durante il quale il lievito sale in superfice (obergerig); sono birre che prima dell’avvento della pastorizzazione erano destinate al consumo immediato (Ale). E Il saccaromices carlbergensis (untergerig). In

questo caso il lievito cade sul fondo del tino di fermentazione. Sono birre che hanno bisogno di maturare, per questo dette Lager (deposito). Una volta, per produrre questa birra si doveva far scorte di ghiaccio: a Monaco di Baviera tagliavano i lastroni di ghiaccio che d’inverno si formavano sul fiume Isar. Esiste poi una categoria, detta “spontanea”, che non usa lieviti aggiunti ma che sfrutta quelli presenti spontaneamente nell’aria. Tipica è la Lambic, prodotta a sud-ovest di Buxelles, nel Payottenland. Si lascia fermentare all’aperto, ponendo i tini di fermentazione in zone ben areate. Questa birra non è frizzante, ma interessantissima nel gusto. A volte viene rifermentata usando Lambic di diverse annate: il prodotto è una birra spumeggiante detta Gueuze, se si aggiunge frutta si ottiene invece il Kriek.

Ma cosa può contenere, (e non dovrebbe) la birra? Coloranti: caramello semplice, solfito ammoniacale (sostituisce otticamente il malto). Edulcoranti: aspartame, saccarina, neosperidina (se i cereali che si usano sono di cattiva qualità). Additivi: acido lattico, ascorbico, ascorbato di sodio, acido citrico. Antiossidanti. Anidride solforosa, solfiti. Occhio alle etichette dunque: solo acqua, malto e luppolo. Solo così chi beve birra campa 100 anni!



scienza e vita

di Giuseppe Pulina Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari

Quando il gusto è al servizio della scienza Parliamo di analisi sensoriale. Una tecnica che consente, attraverso l’utilizzo di tutti gli organi di senso, di misurare quanto viene percepito di un prodotto alimentare in modo oggettivo e ripetibile. In particolare, nel settore lattiero-caseario è utilizzata al fine di tutelare e valorizzare i prodotti a denominazione di origine

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Si sente sempre più parlare di analisi sensoriale dei prodotti agroalimentari, ma per molti consumatori questa tecnica coincide con la degustazione. Nel caso dell’olio di oliva, l’analisi sensoriale è un obbligo per la certificazione delle Dop, ma il suo utilizzo è in costante crescita in tutto il settore agroalimentare, compreso quello dei prodotti di origine animale, fra i quali un posto preminente spetta ai latticini. Per capirne di più, ospitiamo nella nostra rubrica la professoressa Alessandra Del Caro, una delle studiose di maggiore rilievo dell’Università italiana in questo settore. Alessandra, ci puoi dire cosa è l’analisi sensoriale in poche parole? L’analisi sensoriale é una scienza vera e propria costituita da un insieme di tecniche che permettono, attraverso il corretto e attento utilizzo degli organi di senso, di misurare quanto viene percepito di un prodotto alimentare in modo oggettivo e ripetibile. Il suo rigoroso utilizzo la rende notevolmente differente dalla degustazione in quanto l’analisi sensoriale prevede la selezione degli strumenti


di misura, in questo caso gli esseri umani, i quali dovranno essere addestrati per costituire un panel di giudici. Un ruolo chiave nella selezione dei giudici è rappresentato dalla figura del panel leader, persona di notevole professionalità formata nel tempo attraverso l’acquisizione di conoscenze di psicofisiologia della percezione, merceologia, statistica e informatica, psicologia e tecnica della comunicazione. Il panel leader deve essere capace di individuare gli strumenti più idonei per rispondere ai quesiti sensoriali che l’azienda gli propone e deve essere in grado di progettare, organizzare, elaborare i risultati ottenuti. Inoltre, per poter ottenere valutazioni oggettive e ripetibili, le condizioni e le modalità di valutazione dei prodotti alimentari, quali temperatura, quantità di prodotto, luogo nel quale deve essere effettuato l’assaggio e tecniche di valutazione devono essere rigorosamente standardizzati. Segue un severo trattamento statistico dei dati ottenuti. Mi sembra di capire che la differenza con la degustazione sta in un giudizio collettivo… È proprio così. Infatti, nonostante l’analisi sensoriale preveda comunque l’utilizzo degli organi di senso, le differenze con la degustazione diventano importanti; in particolare è da sottolineare il fatto che non si assaggia mai da soli! L’analisi sensoriale prevede infatti l’assaggio di gruppo, attraverso il panel.

Quali sono le principali applicazioni di questa tecnica? L’analisi sensoriale ne ha molteplici, in tutti i settori alimentari: per controllare la qualità delle materie prime e del prodotto finito, per immettere sul mercato un nuovo prodotto, per riposizionarne uno già esistente, per innovarne la formulazione, per valutare le modifiche sensoriali che un prodotto può subire durante la conservazione, per ottenere un confronto tra un prodotto di un’azienda e i prodotti competitivi che possono essere presenti sul mercato… E nel caso dei latticini? Nel caso dei prodotti lattiero-caseari possono essere effettuati test per la valutazione dei diversi tipi di latte, ad esempio per valutare differenze sensoriali legate al contenuto di grasso o proteine, oppure dovute a differenti trattamenti termici ai quali il latte è sottoposto e così via. Possono essere valutate differenze sensoriali legate al tipo di caglio utilizzato, alla temperatura e ai tempi di coagulazione applicati, ai cambiamenti subiti dai formaggi durante la maturazione… Nel campo dell’analisi sensoriale si riconoscono tre grandi categorie: test discriminanti, che permettono di valutare eventuali differenze nei prodotti sottoposti a diverse condizioni di trasformazione o di conservazione; test descrittivi, effettuati da giudici esperti, che permettono di descrivere qualitativamente e quantitativamente il latticino utilizzando attributi sensoriali per la valutazione delle caratteristiche olfattive, gustative, dell’aroma e della consistenza del prodotto e sono quindi in grado di fornirne in maniera inequivocabile il profilo sensoriale; test affettivi che permettono invece di conoscere il giudizio dei consumatori relativamente a parametri quali accettabilità e piacevolezza, questi ultimi molto utilizzati nelle ricerche di mercato.

L’analisi sensoriale, se utilizzata rigorosamente e se seguita da un severo trattamento statistico dei dati ottenuti, è in grado di mostrare caratteristiche di obiettività paragonabili ad altre verifiche di tipo chimico e strumentale applicate alla valutazione degli alimenti Nelle immagini, il panel protagonista dell’analisi sensoriale. Nella pagina accanto la professoressa Alessandra Del Caro

Puoi farci qualche esempio concreto? Nell’ambito del settore lattiero-caseario, l’applicazione dell’analisi sensoriale in Europa è rivolta in particolar modo alla tutela e valorizzazione dei prodotti a denominazione di origine (Dop, Igp e Stg), con l’obiettivo di ottenere delle descrizioni estremamente attendibili e in grado di discriminare i prodotti tipici da altri simili presenti sul mercato. Ad esempio, i pecorini italiani a denominazione di origine possono essere descritti molto bene attraverso l’utilizzo dell’analisi sensoriale, con nel caso del Fiore sardo Dop che ho studiato recentemente con la collaborazione dei ricercatori dell’agenzia Agris-Sardegna. Il profilo di questo formaggio Cru a 3 e a 6 mesi di stagionatura, ha permesso di evidenziare la struttura sensoriale che meglio lo descrive, come le sue caratteristiche di aroma di caglio e di affumicato, di piccantezza, di friabilità e granulosità, e lo rende in grado di essere distinto da altri prodotti presenti sul mercato.

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la salute nel piatto

a cura della Fondazione Umberto Veronesi testi di Daniele Banfi (giornalista scientifico)

sabile sino a poco tempo fa. Ma oltre a questo nobile scopo, la Fondazione Umberto Veronesi è impegnata in un’altra attività particolarmente importante: ovvero la divulgazione scientifica. Essa si può sintetizzare nella frase “Libertà di sapere, libertà di scegliere”: giusto a significare che, soltanto avvicinandosi ai temi del mondo scientifico, è possibile fare scelte consapevoli nei confronti della propria salute. Per questo la Fondazione ha scelto di parlare di medicina e di scienza a tutti, dai bambini agli adulti, di ogni genere ed età, in modo semplice e comprensibile. Ogni anno lo facciamo attraverso l’organizzazione di iniziative d’informazione e diffusione della conoscenza tramite convegni e conferenze nazionali e internazionali, laboratori scientifici per gli studenti e lezioni aperte sempre corredate da strumenti di approfondimento. Con lo stesso spirito abbiamo ideato il sito www.fondazioneveronesi.it, oggi un vero e proprio portale sulla salute costantemente aggiornato, ricco d’informazioni, novità, approfondimenti sui temi della scienza e della medicina dove è possibile trovare sempre tanti suggerimenti utili per vivere in salute. Se anche tu hai a cuore il progresso della scienza collegati al nostro sito e scopri come poterci aiutare!

Obiettivo: aiutarvi a restare sani In poco meno di 10 anni, la Fondazione voluta dal professor Umberto Veronesi è diventata un baluardo nazionale nel sostegno alla ricerca medico-scientifica e nella divulgazione dei temi legati alla tutela della salute. A partire da questo mese, vi spiegheremo – anche dalle pagine di VdG – nella maniera più semplice e comprensibile, tutto quello che c’è da sapere sulla buona e corretta alimentazione

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La Fondazione Umberto Veronesi nasce nel 2003 allo scopo di sostenere la ricerca scientifica. Un obiettivo di fondamentale importanza poiché il progresso delle scienze è la più grande risorsa che possediamo per cambiare in meglio la vita di migliaia di persone, per garantire nuove soluzioni e nuove terapie ai malati e per farci sperare in un futuro migliore. Il progresso scientifico dunque, non può fare a meno dalla ricerca. Per questa ragione, la Fondazione Umberto Veronesi ha deciso di mettere in campo tutte le risorse possibili per promuoverla. Un piano d’azione che avviene nella maniera più concreta possibile, ovvero finanziando borse di studio per medici e giovani ricercatori e sostenendo progetti di altissimo profilo. Nel 2003, abbiamo iniziato con l’erogazione di 4 borse di studio e oggi, dopo meno di dieci anni e grazie al contributo di tanti sostenitori che hanno a cuore il progresso della scienza, abbiamo erogato 95 borse di studio e finanziato ben 26 progetti di ricerca. Un risultato straordinario e impen-

In alto: i ricercatori sostenuti nel 2012 dalla Fondazione Veronesi con, in prima fila, lo stesso professor Umberto Veronesi. Sotto, un momento di didattica dedicato ai più giovani


Gli amici del cuore: pesce azzurro e omega-3 “Noi siamo quel che mangiamo”, si sa. C’è una strettissima relazione tra dieta, malattie cardiovascolari e tumori. Ma nella lotta per la salute, possiamo contare su degli alimenti-alleati. Tra questi il pesce, e in particolare le specie contraddistinte dal dorso di colore blu: acciughe, pescespada, tonno, sgombro, sardine. Il loro consumo previene l’accumulo di colesterolo e trigliceridi, e quindi il rischio infarti e ictus. Ma attenzione alla cottura!

L’ipotesi che l’alimentazione di tutti i giorni possa avere a che fare con l’insorgenza o, al contrario, con la prevenzione delle malattie ha attirato l’attenzione dei ricercatori già a partire dagli anni ‘40 del secolo scorso. Oggi sappiamo con certezza, grazie ai numerosi studi scientifici pubblicati sull’argomento, che esiste una precisa relazione tra dieta, insorgenza di malattie cardiovascolari e cancro. Ecco perchè, ora più che mai, la frase “siamo quel che mangiamo” rappresenta la pura verità. Tra gli alimenti che sicuramente dovremmo preferire per una sana e corretta alimentazione vi è il pesce, e in particolare quello azzurro. Per riconoscerlo, basta osservare la sua pigmentazione, ovvero blu scura a livello del dorso e argentea invece sul ventre. A questa categoria appartengono le acciughe, il pesce spada, il tonno, lo sgombro, le sardine e molti altri. Ma perchè così tanto interesse per il pesce azzurro? Semplice: perchè esso è in grado di prevenire, se consumato costantemente, lo sviluppo di diverse malattie tipiche della società industrializzata come quelle cardiovascolari. Nonostante questo tipo di pesce si distingua rispetto agli altri per essere più ricco di lipidi, la sua capacità di proteggere il cuore è dovuta alla pre-

senza dei grassi omega-3, capaci di contrastare l’accumulo di colesterolo e trigliceridi nel sangue, prevenendo quindi la formazione di trombi e coaguli che possono causare infarti e ictus. Ecco perchè il suo consumo – in particolare se per 3-4 volte a settimana – rappresenta un vero e proprio toccasana per il nostro cuore. Attenzione però a come cucinarlo. Molte delle qualità nutritive del pesce azzurro si possono perdere in caso di cottura prolungata. Ecco quindi il nostro consiglio: un’ottima regola per calcolare il giusto tempo di cottura consiste nel misurare lo spessore massimo di un pesce e cuocere 10 minuti ogni due centimetri e mezzo. La norma vale per qualunque sistema di cottura e qualunque tipo di specie. Solo così non perderete le straordinarie proprietà nutrizionali del pesce azzurro!

Buona norma per una perfetta riuscita del pesce azzurro è quella di misurare lo spessore massimo del pesce e cuocerlo per 10 minuti ogni due centimetri e mezzo

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almanacco di barbanera

di M. Pia Fanciulli

Sole e luna Il Sole Il 1° sorge alle 05.54 e tramonta alle 20.18 l’11 sorge alle 06.04 e tramonta alle 20.06 il 21 sorge alle 06.14 e tramonta alle 19.521 Il 1° agosto si hanno 14 ore e 24 minuti di luce solare, mentre il 31 luglio se ne hanno 13 ore e 10 minuti: si perdono, dall’inizio alla fine del mese, un’ora e 14 minuti di luce.

La Luna Il 1° tramonta alle 05.04 e sorge alle 19.36 L’11 sorge alle 00.19 e tramonta alle 15.27 Il 21 sorge alle 10.30 e tramonta alle 21.34

Nel caldo cuore dell’estate Nel periodo più atteso dell’anno, quello che regala a tutti – anche a chi c’è già stato – qualche giorno di vacanza, la bella stagione trova il culmine tra le avvisaglie del suo epilogo. Mentre si cercano nel cielo le stelle di San Lorenzo a cui affidare amori, sogni e desideri

Da ricordare Giovedì 2 agosto – Il Perdono d’Assisi Un incipit per questo mese che può essere occasione di una visita alla città di Assisi, nel cuore dell’Umbria. È qui infatti che il 2 agosto di ogni anno si celebra il cosiddetto “giorno del Perdono”, ricorrenza che si lega a San Francesco e all’indulgenza plenaria che si ottiene recandosi nella città del Santo. E tradizione vuole che per l’occasione passi anche la buona “nuvola del Perdono”, portatrice di una pioggia benefica, utile alla campagna, agli uomini e agli animali, inviata proprio dall’amatissimo patrono d’Italia per dare a tutti sollievo dal gran caldo.

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La Luna è all’Apogeo venerdì 10 alle ore 13. È al Perigeo giovedì 23 alle ore 21. Luna in viaggio In questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 3, 6, 7, 11, 12.

Mercoledì 15 agosto – Ferragosto Il mese in cui entra il segno della Vergine, è anche quello in cui si conclude la raccolta dei cereali. Anticamente i romani festeggiavano in questo periodo varie divinità tra cui la dea Opi, detta anche Bona, che proteggeva i raccolti. Non a caso a Ferragosto festeggiamo l’Assunzione della Madonna che ha ereditato tante funzioni benefiche che erano state proprie di divinità femminili pagane. Ed è anche il giorno delle tradizionali scampagnate, quelle in cui, nonostante il gran caldo, la grigliata, il barbecue all’aperto per carni e verdure sono i grandi protagonisti. C’è chi coglie un nesso possibile tra il martirio di san Lorenzo, appunto sulla graticola, celebrato il 10 agosto, e quest’usanza così radicata da sfidare addirittura le brucianti temperature!


luna piena

Belli e sani Soprattutto in estate è fondamentale prendersi cura degli occhi. Per sfiammarli, magari dopo una giornata di mare, di sicura efficacia sono gli impacchi con infuso d’eufrasia: basterà un cucchiaio di pianta secca in una tazza d’acqua bollente. Un’altra famosa ricetta fitoterapica è la lozione di fiordaliso: basta bollire per 10 minuti un cucchiaino di fiordaliso in una tazza d’acqua, lasciar riposare per 10 minuti e filtrare. Applicare sugli occhi compresse imbevute di questa lozione al mattino e alla sera. Per tonificare cosce e glutei è invece fondamentale stimolare la circolazione sanguigna e linfatica, e la doccia può essere l’occasione giusta. Prima di bagnarsi effettuare un massaggio leggero, a risalire, con un guanto di crine sulla pelle asciutta. Poi terminare la doccia con un getto di acqua fredda. Infine fare un automassaggio con olio di mandorle a cui si siano aggiunte per 100 ml di olio dieci gocce di olio essenziale di ginepro o rosmarino. Questo è però anche tempo di viaggi o, magari, di più o meno lunghi tragitti che nel fine settimana ci conducono nei luoghi che abbiamo scelto per il nostro relax. In questo caso assai utile sarà tenere in automobile un cuscino con alcune gocce di olio essenziale: basilico o menta piperita per rimanere svegli nei lunghi tratti, il limone per rinfrescare.

luna nuova

primo quarto

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domenica

• Quando la mora è rossa, il fuso ingrossa.

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lunedì

• Per Sant’Agostino (28 agosto), attacca il lume sotto il camino.

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martedì

• Le piogge d’estate son di corte durate.

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venerdì

Orto e dintorni Con il gran caldo e la partenza per le vacanze, importante rastrellare bene il tappeto erboso per rimuovere lo strato di feltro, ovvero di erba morta, in eccesso. Se troppo ispessito, si rischia infatti di provocare danni per soffocamento. Quanto invece alle piante in vaso, se non abbiamo nessuno a cui affidarle basterà lasciare una o più bottiglie piene d’acqua con il collo infilato nel terreno. Il liquido uscirà lentamente, annaffiandole un po’ alla volta. Quanto all’orto, è tempo di seminare in Luna calante (dal 3 al 16) bietole, cicorie, indivie, ravanelli e spinaci. È anche il momento di diradare i carciofi e di raccogliere il basilico: le aromatiche possono essere congelate per l’inverno. Raccogliere cipolle, patate e pomodori da conservare. Con la Luna crescente (dal 18 al 31) zappare e moltiplicare le fragole. Trapiantare, dall’inizio del mese, i finocchi e tutte le varietà di cavolo.

Saggezza popolare Saggezza popolare • Chi nasce d’agosto non ha la testa a posto. • San Lorenzo l’innocente (10 agosto), mille luci in cielo accende. • Agosto, chiappa, spenna e metti arrosto. • Stelle cadenti arrivano i venti. • Agosto giostra uva, fichi e fortuna nostra.

• Zucchina e melone sono buoni di stagione • Ad agosto prepara la cucina e a settembre la cantina.

ultimo quarto

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di Gilda Ciaruffoli

appuntamenti

agosto Sicilia In costume per un bagno di storia

1 Mercoledì 2 Giovedì

Giochi cavallereschi, esibizioni di falchi in simulazione di caccia, cucina medievale, musica e spettacoli di cavalli d’alta scuola, incontri culturali, riproposizione della moneta ventimigliana. Tutto questo è la Giostra dei Ventimiglia, manifestazione storico-rievocativa dedicata al Medioevo e alla valorizzazione di uno dei borghi Più Belli d’Italia, che di quel periodo conserva intatti le caratteristiche e l’impianto urbanistico, con un’attenzione particolare alla ricostruzione degli ambienti e all’esposizione dei prodotti tipici. 4-5 agosto, Geraci Siculo (Pa) www.comune.geracisiculo.pa.it

3 Venerdì 4 Sabato 5 Domenica

Lombardia Assaggi paradisiaci Nella splendida cornice del centro storico di Ardesio, torna Ardesio DiVino, rassegna enogastronomica dove selezionati viticoltori e artigiani del gusto propongono in assaggio e in vendita le proprie eccellenze. La rassegna prevede numerose iniziative: dalle degustazioni agli incontri con i produttori, dalla cena DiVina del venerdì (su prenotazione) a quelle ecosostenibili all’aperto a base di prodotti tipici. E ancora, una Piccola Scuola di Cucina dove uno chef insegna i segreti di alcuni piatti tipici della tradizione italiana, laboratori ludico-creativi per bambini e imperdibili concerti. 4-5 agosto Ardesio (Bg) Info: www.ardesiodivino.it

Trentino-Alto Adige Sfilate d’altri tempi Un corteo nuziale, bande musicali, gruppi da ballo folcloristici e carri trainati da cavalli sui quali sono rappresentati i mestieri di una volta. Questi i protagonisti della manifestazione Val Gardena in Costume in occasione della quale è possibile ammirare i costumi tipici dei gardenesi – tra i più ricchi dell’arco alpino – e fare un tuffo ne “la vita da zacan“ (la vita di una volta), tema dell’evento di quest’anno. 5 agosto, Santa Cristina (Bz) Info: www.valgardena.it

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Marche Bentornati “happy days”!

Johnny Farina, Freddy “boom boom” Cannon, Narvel Felts e Marshal Lytle. Sono questi i grandi ospiti del Summer Jamboree 2012. Nove giorni di sana baldoria a ritmo di rock and roll, rockabilly, doo wop, rhythm ‘n’ blues... cantato, suonato, ballato, vissuto dalla mattina a notte fonda. Da tutto il mondo arrivano qui appassionati in vestitio d’epoca che trovano nel Festival Internazionale di Musica e Cultura dell’America Anni 40 e 50 il gusto, i ritmi, gli accessori, l’abbigliamento e il cibo tipici di quel mitico periodo. 4-12 agosto, Senigallia (An) Info: www.summerjamboree.com



appuntamenti

agosto

6

Lunedì

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Martedì

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Mercoledì

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Giovedì

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Sabato

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Domenica

Tutta Italia La notte che piovve vino

Sotto le stelle cadenti della notte di San Lorenzo, è di scena Calici di Stelle, manifestazione organizzata nelle cantine del Movimento Turismo del Vino e nelle piazze delle Città del Vino. L’edizione 2012 promette un calendario ricco di eventi, dalle degustazioni alle visite guidate, dai menù a tema proposti dagli chef alle rievocazioni storiche, dalle passeggiate notturne ai trekking urbani, a musica, mostre, mercatini, cinema e teatro. Tra una degustazione e l’altra è inoltre possibile osservare il cielo sotto la guida di esperti dell’Unione Italiana Astrofili. 10 luglio, località varie - www.movimentoturismovino.it

Puglia Mare Nostrum in festa Si riversano e si incontrano nel cuore del Salento, in un unico evento contenitore, arti, mestieri e creatività che hanno fatto la storia, caratterizzano e danno lustro ai popoli del Mediterraneo. ARTi Mediterranee è infatti un evento dedicato ai popoli del Mare Nostrum, una vera e propria opera in movimento che prende forma dando spazio all’arte, al design, alla tradizione, alla danza, al gusto, alle arti marinare e a molto altro ancora! Particolare attenzione è rivolta ai sapori: dal cous cuos alle friselle, dal Negramaro al Nero d’Avola, le eccellenze “mediterranee” trovano qui ampio spazio e invitano a scoprire nuovi profumi, sensazioni e gusti. 8-12 agosto, Galatina (Le) Info: www.artimediterranee.it

Emilia-Romagna C’è vita sotto le stelle Nella notte di San Lorenzo, 10 agosto, e nella serata successiva, sono numerosi nella zona di Brisighella gli eventi che propongono il binomio stelle e vino. Nel bel borgo romagnolo, solo il 10, si svolge Lacrime di San Lorenzo – le Perseidi, con osservazioni astronomiche e degustazioni enogastronomiche; mentre l’11 è la volta della Notte Blu con Calici sotto i Tre Colli: le Stelle nel Borgo, durante il quale la grande anima della musica si unisce alle migliori produzioni vinicole locali. E ancora, presso il parco della Torre di Oriolo dei Fichi, è in programma Calici sotto la Torre, con musica, buon cibo e tanto vino, mentre a Castel Bolognese si svolge Passeggiando sotto le Stelle, un itinerario gustoso lungo il Parco Fluviale. 10-11 agosto, località varie (Ra) Info: www.brisighella.org

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Umbria Tutti a “Caccia del Toro”

Come ogni anno le vie del centro Storico di Città della Pieve sono animate con lo storico Palio dei Terzieri. Protagonista una sorta di corrida risalente al Tardo medioevo, disputata con l’uso di lance. Durante la manifestazione, gli arcieri di tre diverse fazioni si sfidano tirando frecce su sagome di tori di razza Chianina fissate su una piattaforma girevole. Tre sono i minuti a disposizione per centrare le sagome. Numerose le manifestazioni musicali e teatrali collaterali. Aperte anche le caratteristiche taverne per gustare piatti tipici della tradizione umbro-toscana. Foto: Marco Possieri. 8-19 agosto, Città della Pieve (Pg) Info: www.paliodeiterzieri.it



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Campania Effetti speciali a Corte

La rievocazione storica Lumina in Castro è dedicata quest’anno al periodo Rinascimentale, con particolare attenzione alla casata dei Conti Orsini di Lauro e di Nola. Nel Primo Cortile è possibile ammirare spettacoli di compagnie d’armi, archibugieri, giullari di corte, mentre la rappresentazione itinerante nel Secondo Cortile, “Ferro e Sangue”, illustra le vicissitudini e la tragica fine della casata degli Orsini, tra musiche di sottofondo, effetti speciali e colpi di scena. Aperti al pubblico anche il Terrazzo Panoramico, la Farmacia, il Corridoio della Fortuna, le Sale della Foresteria. 19-26 agosto, Lauro (Av) Info: www.prolauro.it

Lombardia C’è una strada nel bosco… Lamponi, ribes bianco e rosso, more per una cucina gustosa e salutistica. Numerosi gli appuntamenti che allietano la Valle Camonica per i due giorni di festa di A Tutto Bosco. Si comincia con una cena dedicata alle ricette tradizionali della zona presso Lozio, in località Sommaprada; la domenica poi è la volta di una mostra mercato dei prodotti camuni e di un pranzo a base di gnoc del cola (gnocchi di farina e burro, il prodotto di punta di Lozio) e frutti di bosco. Lozio sorge a mille metri sul livello del mare, luogo ideale per fresche passeggiate immerse nella natura e nella storia, ed è considerata la capitale delle confetture ai frutti di bosco. 18-19 agosto, Lozio (Bs) Info: www.nonsolopiccolifrutti.it

Marche Ducato in festa Torna la Festa del Duca, per ricordare con spettacoli, mostre e laboratori artistici, cinema, poesia, teatro, danza, mercati rinascimentali e artigiani, la maestosità della corte dei Montefeltro. Tra le novità 2012 due grandi giochi organizzati presso Borgo Mercatale: il Calcio Storico Fiorentino, che sottolinea la grande amicizia che unisce le città di Urbino e Firenze, e l’Aita, gioco di origine militaresca tipico della corte dei Montefeltro, riproposto per la prima volta al pubblico. Non manca infine la possibilità di assaporare i piatti tipici della tradizione urbinate e rinascimentale. Foto: Paolo Mini. 17-19 agosto, Urbino (Pu) Info: www.urbino-rievocazionistoriche.it

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Puglia Viaggio tra i sensi e le tradizioni

Torna il Festival dei Sensi, raffinata manifestazione organizzata nella valle dei trulli che permette ogni anno al pubblico di assaporare la sensualità dei luoghi attraverso il ritmo lento della scoperta, della degustazione, della frequentazione di cose sane e sensate. I vari appuntamenti in programma hanno come teatro alcune tra le più belle masserie e dimore storiche di Cisternino (Br), Locorotondo (Ba) e Martina Franca (Ta). Seguendo il filo conduttore dei treni, tema e simbolo dell’edizione 2012, viene proposto quest’anno un viaggio attraverso luoghi e tradizioni, a partire da quelle enogastronomiche. 17-19 agosto, località varie Info: www.festivaldeisensi.it



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Piemonte Briciole lungo il sentiero La Mangialonga è una passeggiata enogastronomica non competitiva che, snodandosi per 4 km tra i sentieri della Langa del Barolo, offre ai partecipanti l’opportunità di camminare in mezzo ai vigneti, circondati dai vasti panorami collinari che caratterizzano lo scenario paesaggistico langarolo, accompagnando la dimensione naturalistica con la degustazione di prodotti e piatti tipici piemontesi abbinati a ottimi vini, provenienti sia dalla variegata produzione locale che da quella tedesca, in particolare dal distretto vinicolo ospite di Oberrotweil. 26 agosto, La Morra (Cn) Info: www.mangialonga.it

Valle d’Aosta Vette di dolcezza Full immersion di quattro giorni per scoprire e celebrare l’alimento goloso per eccellenza, ChocolaThuile si svolge in quella che, dal 2009, è stata eletta Città del Cioccolato da Chococlub, l’Associazione Italiana Amatori Cioccolato. Il programma si sviluppa in tre giorni di mostra mercato e uno, il lunedì, riservato agli operatori del settore. Lavorazioni artigianali con selezionate materie prime, vere e proprie eccellenze a Km 0, sono le specialità proposte dagli espositori, che offrono anche momenti degustativi. I ristoranti propongono menù ad hoc. 24-27 agosto, La Thuile (Ao) Info: www.chocolathuile.it

Trentino-Alto Adige Più latte per tutti Nella cornice naturale della malga Fane, si festeggia uno degli alimenti più preziosi e fondamentali della nostra alimentazione. Nel corso della Festa del Latte Alto Adige vengono svelate curiosità sui prodotti caseari e organizzate tante interessanti attrazioni per tutta la famiglia: un sentiero informativo sulla lunga tradizione della produzione e lavorazione del latte altoatesino nonché della sua genuinità, le fiabe sul latte, i salti nel fieno e tante altre divertenti attività per i più piccoli. I giochi e i divertimenti sono accompagnati da musica tradizionale altoatesina. 25-26 agosto, Valles (Bz) - Info: www.altoadigelatte.com

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Liguria Pensandoci meglio…

Il Festival della Mente è il primo in Europa dedicato alla creatività e chiama a raccolta filosofi, scienziati, scrittori, artisti, musicisti, psicoanalisti, storici, attori e registi che hanno avviato riflessioni originali sulla natura e sulle caratteristiche di una delle più apprezzate tra le capacità umane. Ottanta gli eventi che hanno luogo nel cuore storico della città. La sezione ApprofonditaMente inoltre propone un rapporto più stretto tra pubblico e relatore con lezioni-laboratorio, a numero chiuso. Foto: Giuliano Benacci 31 agosto-2 settembre, Sarzana (Sp) Info: www.festivaldellamente.it



appuntamenti in breve

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1 Piccolo Festival Della Narrazione

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Per ricordare l’intima atmosfera dei trebbi, l’evento è ambientato nel luogo di incontro per eccellenza delle nostre nonne: il lavatoio. Performance teatrali, narrazioni, musica, poesia e danza. 2, 10 e 17 agosto, Massa Lombarda (Ra) Emilia-Romagna Info: www.romagnadeste.it

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2 Sagra del mare flegrea Vetrina per i ristoratori flegrei capaci di mettere in tavola piatti gustosi e ispirati dalla tradizione locale. Gli artigiani propongono pezzi unici e le serate sono rallegrate da artisti famosi nel panorama popolare campano. 2-5 agosto, Monte di Procida (Na) Campania Info: www.sagradelmareflegrea.com

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5 Giostra d’Europa Occasione d’incontro per cavalieri provenienti da varie città europee sede di rievocazioni storiche.
 4-5 agosto, Sulmona (Aq) – Abruzzo Info: www.giostrasulmona.it

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6 Un gusto tutto italiano Mostra mercato dei migliori prodotti alimentari d’Italia, degustazioni critiche, incontri con i produttori. 4-5 agosto, Porlezza (Co) – Lombardia Info: www.comune.porlezza.co.it

9 Sagra del panino della nonna Sapori genuini, musica, allegria e ospitalità. I panini con il loro prelibato companatico sono i protagonisti della serata. 8 agosto, Giovinazzo (Ba) – Puglia Info: www.sagradelpanino.it

3 Riviviamo il centro storico Degustazioni, performance, danze acrobatiche, vibrazioni sonore, giocoleria, magia e personaggi bizzarri presso il Castello Orsini. 3-5 agosto, Ponticelli Sabino (Ri) – Lazio Info: www.universitaagrariaponticelli.it

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4 Un viandante alla Corte dei Tarlati Carnevale storico più antico d’Italia, nonché tra i dieci più antichi d’Europa. 4-5 agosto, Bibbiena (Ar) – Toscana Info:
www.la-mea.it

10 Gira lu mundu Festival internazionale del folklore. 11-12 agosto, Pellaro (Rc) – Calabria Info: www.peddaroti.it 11 Palio delle Quercigliole

7 Camignada Corsa tra i rifugi alpini delle Dolomiti durante la quale non manca l’occasione di gustare i sapori tipici locali. 5 agosto, Misurina (Bl) – Veneto www.caiauronzo.it/camignada.html

8 La notte dei briganti
 Art Festival delle Province Meridionali: protagonisti artigiani e artisti locali che espongono e spiegano il loro lavoro. 5 agosto, Grottaglie (Ta) - Puglia Info: www.lanottedeibriganti.it 36

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Corsa a cavallo per le vie del borgo. 12 agosto, Ripalimosani (Cb) – Molise Info: www.ripalimosanionline.it


12 Palio dei Normanni

16 Mele al museo

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Riti ed emozioni per una delle più antiche rievocazioni storiche della Sicilia. 12-14 agosto, Piazza Armerina (En) – Sicilia Info: www.comune.piazzaarmerina.en.it

Per una settimana i visitatori di 10 Musei Provinciali dell’Alto Adige trovano ad aspettarli una sorpresa: le gustose e rinfrescanti mele Royal Gala Marlene, per un percorso fra cultura e gusto. 13-19 agosto, località varie (Bz) Trentino-Alto Adige Info: www.musei-altoadige.it

Si celebra una delle specialità Dop regionali, il lardo della località della bassa Valle d’Aosta con degustazioni e folklore tipico. 23-26 agosto, Arnad (Ao) – Valle d’Aosta Info: www.lovevda.it

13 Serenata dei menestrelli Tra gli appuntamenti più significativi dell’Agosto Corcianese; festa medievale che prosegue il 14 con la Processione del Lume e il 15 con il Corteo storico del gonfalone. 13 agosto, Corciano (Pg) – Umbria Info: www.promozionecorciano.it

Festa in Prato della Valle. Spettacolo di musica e fuochi d’artificio. 15 agosto, Padova – Veneto Info:
www.padovanet.it

Corteo storico e manifestazione equestre. Sbandieratori e tamburini, giochi e cene a tema nelle contrade. 15 agosto,
Fermo – Marche Info:
www.cavalcatadellassunta.it

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Manifestazione dedicata a ricette a base di patate. 24-26 agosto, Allein (Ao) – Valle d’Aosta Info: www.lovevda.it

23 La corsa degli scalzi Manifestazione tipica accompagnata da mostre, concerti e sagre. 24 agosto-3 settembre, Cabras (Or) Info: www.sardegnaturismo.it

14 Fuochi di Ferragosto

15 Cavalcata dell’Assunta

22 Feta di Trifolle

17 La torta dei Fieschi Festa in costume con un grandioso corteo storico, un torneo cavalleresco e la distribuzione di fette di una gigantesca torta. 14 agosto, Lavagna (Ge) – Liguria Info: www.tortadeifieschi.it 18 Festa dei Popoli della Mitteleuropa

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Momento di aggregazione tra popoli confinanti, con la partecipazione di rappresentanze d’Austria, Ungheria, Slovenia e Croazia. 17-19 agosto, Cormons (Go) Friuli-Venezia Giulia Info: www.mitteleuropa.it

24 Vivo Vegetariano Pranzo vegano e stand da tutta Italia. 26 agosto, Nogaredo (Tn) – Tentino-Alto Adige Info: www.vivovegetariano.it 25 Sagra del peperone Evento che celebra i peperoni di Carmagnola, apprezzati in tutta Italia. 31 agosto-settembre, Carmagnola (To) Piemonte Info: www.comune.carmagnola.to.it

19 Festa del mangione 10

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Giochi, musica, balli e degustazione di prodotti tipici. 17-21 agosto, Baronissi (Sa) – Campania Info: www.festadelmangione.it

20 Sagra del vino e della lumaca Percorso enogastronomico itinerante, allietato da artisti di strada. 17-18 agosto, Irsina (Mt) – Basilicata Info: www.terradisud.com 37


Dove eternamente fiorisce la vite... Strada delle Treziese, 1 - 31049 S. Stefano di Valdobbiadene (TV) - Italy - Tel. +39.0423.975291 - Fax +39.0423.975571 - info@colvetoraz.it - www.colvetoraz.it


Panorama 52

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A Genova rinasce l’olio Costa Gli eredi della dinastia di armatori hanno ripreso la vecchia tradizione. Dopo un secolo

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Il re del tonno di Lampedusa Così Pasqualino Famularo ha costruito la sua storia di imprenditore ittico di successo

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Ospitalità italiana Sauro Scarabotta e il suo sogno realizzato: aprire un ristorante a San Paolo del Brasile

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Il personaggio: Gualtiero Marchesi Lo chef italiano più famoso del mondo ci svela come la cucina diventa arte

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Imprese: la pasta di Verrigni L’antico pastificio di Roseto degli Abruzzi festeggia 110 anni di gusto e di passione

52 Trentino, un mondo a parte Agricoltura, economia, turismo: i miracoli della cooperazione

da pag. 64 Rubriche Il buono a tavola

Le cantine trentine di Mezzacorona 39


storie dall’Italia che merita

Rinasce l’olio a Genova. Dopo un secolo In origine furono le bottiglie confezionate da Giacomo Costa e spedite Oltreoceano a bordo dei piroscafi con la famosa etichetta “Dante”. Da lì venne l’idea delle navi da crociera, che fece passare in secondo piano l’attività oleicola. Fin quando non sono arrivati i rampolli Eugenio e Pio a riprendere la tradizione, ripartendo da zero, con il porta a porta che ha bypassato la Grande Distribuzione di Anna Orlando foto di Massimo Ferrari 40

Come è nata la Costa Crociere? In pochi sanno che la compagnia di navigazione, la prima italiana dedicata all’attività crocieristica, nasce in realtà dall’olio. La storia ha radici lontane e la conoscono bene Eugenio e Pio Costa, che oggi onorano il nome di famiglia con la rinnovata attività imprenditoriale legata all’olio d’oliva. «L’abbiamo sempre sentita raccontare da bambini, da nonno Eugenio e da nostro padre Lorenzo», affermano i due fratelli col sorriso e l’allegria che li contraddistingue, non disgiunta da un po’ di sano orgoglio, che è la benzina per qualsiasi imprenditore. A metà ’800 Giacomo Costa, cresciuto in una famiglia di commercianti, fonda la Giacomo Costa fu Andrea. Utilizza l’olio sardo e lo distribuisce, ma poi inizia anche a produrlo con il primo stabilimento messo su a Genova nel 1924; infine, acquista due piroscafi per esportarlo Oltreoceano. Ecco l’ori-

gine dei Costa armatori: prima l’olio e poi i passeggeri. Durante la Grande Guerra, la flotta di 8 navi si riduce a una ma i Costa non si perdono d’animo e, guidati dalla figura carismatica di Angelo, neo presidente di Confindustria dell’epoca, comprano la prima motonave nel 1946. Sarà la prima di una lunga serie che solcherà i mari, salpando da centinaia di moli vicini e lontani, al suono delle ciminiere gialle su cui si staglia la grande “C”, simbolo della compagnia.

Dall’altra parte dell’Oceano Ma torniamo all’olio. Da New York, Eugenio Costa scrive alla moglie nel 1903: «La lingua inglese, certo per me, è uno scoglio, tuttavia riesco a spiegarmi... non riesco però a capire nulla e all’albergo non trovo nessuno con cui parlare». Sono le prime reali difficoltà quotidiane di un business che però è destinato a una portata internazionale. L’idea vincente


infatti, non tarda ad arrivare. L’olio dei Costa, ribattezzato col marchio “Dante” per richiamare un’italianità gloriosa, arriva presto sulle tavole di tutti gli emigranti del Nord e del Sud dell’America: a quel tempo condire con un sapore nostrano fa sentire tutti un po’ più vicini a casa. L’olio Dante cavalca dunque con successo tutti i decenni del Novecento, fino alla cessione a una multinazionale anglo-olandese nel 1985. E i Costa? Spariscono dalla scena? Nient’affatto.

Il porta a porta col sorriso Ci hanno pensato infatti Eugenio e Pio, della sesta generazione dei Costa, a mantenere il nome di famiglia legato alla cucina italiana. Il papà, Lorenzo, rimasto nel settore dell’olio anche dopo la cessione del loro marchio più famoso, li lascia soli troppo presto. Eugenio e Pio sono giovani e senza molta esperienza, ma hanno l’olio nel sangue, e si rimboccano le maniche. Nel 1993 si lanciano nell’avventura di un nuovo marchio: il “Lorenzo Costa fu Eugenio”, così chiamato in memoria del padre e del nonno. Con umiltà iniziano quindi a girare in Vespa per consegnare personalmente campioncini del loro prodotto, sentendosi dire più di una volta: «Non posso credere che lei sia un Costa!». Eppure è così: ricominciando letteralmente da zero hanno ottenuto presto le prime gratificazioni: un ottimo parco clienti, e la medaglia d’oro per la qualità al prestigioso L.A. County Fair Olive Oil Competition di Los Angeles dal 2002 al 2008. Sono assaggiatori professionisti, sanno scegliere dai frantoi il migliore olio di prima spremitura a freddo. «Acquistiamo direttamente dai frantoi, confezioniamo nel nostro stabilimento di Genova e vendiamo noi stessi ai nostri clienti, accorciando la filiera e saltando onerosi passaggi» spiegano i due fratelli. «La qualità di un olio sempre fresco la garantiamo conservandolo in serbatoi in acciaio inox mantenuti al buio e a temperatura costante, e utilizzando bottiglie di vetro scuro. Lo consegniamo entro 10 giorni dall’imbottigliamento».

Non solo olio

In apertura: Eugenio e Pio Costa. Qui, in alto, “Raccolta delle olive in Ligura” stampa dall’archivio Costa

Nella Liguria che i Costa portano in tavola non c’è solo il loro extravergine filtrato o il mosto, dal gusto più deciso. Ma anche il pesto, dove all’olio si uniscono grana, pecorino e foglie di basilico tritato; le olive taggiasche, dalla località del Ponente ligure, che snocciolate sono ideali per condire sughi, ma che sono proposte anche nel paté, perfetto per le tartine di un aperitivo improvvisato in casa. O ancora: le acciughe pescate, salate e invasate in olio di oliva senza conservanti, ottime anche a crudo. Ma tra i prodotti più insoliti c’è certamente l’amaro, figlio di una ricetta tramandata in casa da generazioni. È un infuso di erbe con l’aggiunta di corteccia e foglie di ulivo che conferiscono a questo amaro di 32° un ottimo sapore e vere doti digestive. E si può gustare anche caldo con una spruzzata di cannella. Magari il prossimo inverno o in montagna davanti al caminetto.

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storie dall’Italia che merita

Sua maestà Pasqualino Famularo il re del tonno Erano gli anni ’40 quando il signor Gaetano fondava a Lampedusa il suo stabilimento ittico. Nel 1981, suo figlio prese le redini dell’azienda familiare mettendo al servizio di una produzione genuina e legata alla tradizione, tutto il suo estro creativo. Come? Un assaggio di tonno al finocchietto vale più di mille spiegazioni di Giancarlo Roversi

In questa foto: Pasqualino Famularo e la moglie Maria

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Come in tutte le espressioni della creatività dell’uomo esistono opere sublimi, dovute a insigni artisti, e opere dignitose, eseguite da pur bravi pittori. Così – si parva licet componere magnis – anche nel tonno conservato ci sono buoni prodotti e alcuni autentici capolavori dovuti a veri artisti del gusto, come il lampedusano doc Pasqualino Famularo, tra i principali portabandiera delle prelibatezze siciliane grazie alla sua maestria nella lavorazione di tonno e pesci conservati e affumicati, prodotti artigianalmente su

ricette tradizionali tramandate di padre in figlio. Tanti i fiori al suo occhiello. Fra questi, accanto a un unicum come la Cipollata di tonno, delicatissima e appetitosa, ha visto la luce l’inebriante Tonno al finocchietto, insaporito dall’erba selvatica che cresce abbondante a Lampedusa accarezzata dalla brezza salsa del mare di Sicilia. Ma chi pensa a un buon tonno insaporito col finocchietto selvatico o con la cipolla prende un grosso abbaglio. Questi prodotti sono preparati con tonno di prima scelta, bello e sodo come si conviene ai tonni pescati nel loro habitat d’elezione, il mare di Sicilia, dove anche i giapponesi, amanti del pesce fresco e di assoluta qualità, vengono a fare incetta non badando a spese. Il finocchietto gli dona un’armonia, una fragranza di gusto tutta particolare, sposandosi soavemente col tonno senza prevaricarlo. A fare da catalizzatore lo splendido olio d’oliva siciliano. Detta così sembrerebbe una specialità di facile preparazione. E invece no. Per raggiungere l’amalgama, l’equilibrio perfetto di sapori, ci vuole l’estro e il talento di Maria, la moglie di Pasqualino, che ha messo a punto questa sua creatura attraverso lunghe e amorose sperimentazioni. Così oggi tutti possono goderne la squisitezza. Anzi, una volta assaggiato il tonno al finocchietto di Famularo, il normale tonno sembrerà gareggiare nel campionato dilettanti e non nella serie A. È una ghiottoneria fatta apposta per un pasto veloce, ma può essere anche inserita in un pranzo ricercato con contorno di verdure verdi crude o anche con un po’ di carota tagliata a julienne oppure accompagnata da legumi bolliti come ceci o fagiolini. Per la delizia degli intenditori di recente sono apparse alla ribalta due nuove specialità: il Tonno con peperoni arrostiti e la Bomba afrodisiaca. La prima, a base di tonno rosso siciliano e di delicatissimi peperoni passati al forno, ammalia il palato per il garbato amalgama dei sapori. Suadente anche la Bomba afrodisiaca, giustamente piccante e in grado di dare una sferzata di vitalità all’organismo e di risvegliarlo dai torpori. Forse per questo, esplodendo in una gustosa risata, Pasqualino Famularo la definisce il Viagra naturale che non richiede la ricetta medica. Info: www.famularo.it



ospitalitàitaliana

Dall’Umbria a ritmo di Samba Sauro Scarabotta ci racconta la storia del suo Friccò, ristorante di San Paolo del Brasile selezionato tra i 7 migliori ambasciatori della cultura gastronomica nazionale tra le strutture certificate Ospitalità Italiana – Ristoranti Italiani nel Mondo di Gilda Ciaruffoli

«Il nome è quello di una ricetta tradizionale umbra della zona di Gubbio, mio paese natale. Il friccò è infatti un piatto tipico preparato con diversi tipi di carne – brasato al vino bianco, olio extravergine di oliva, rosmarino, aglio e pomodori freschi – a tutt’oggi uno dei grandi successi del mio locale, da sempre presente in menù». Nato nella “città dei matti” (con tre giri di corsa attorno a una fontana qui ci si aggiudica anche la patente

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ufficiale “da matto”), Sauro Scarabotta ha realizzato un sogno che forse in principio folle poteva sembrarlo, ma che poi si è rivelato vincente: quello di spargere i semi dell’educazione e della cultura gastronomica italiana in giro per il mondo, avendo il coraggio di cercare il giusto terreno fertile fuori dalla propria terra. Nato nel 1965, Scarabotta si è laureato alla School of Hospitality di Assisi. In Italia, ha lavorato presso il rinomato ristorante Locanda dell’Angelo e per grandi catene alberghiere come Hyatt e Sheraton anche in Germania, Giappone, Cile e Argentina: i primi passi verso la realizzazione del suo progetto di portare la vera cucina italiana oltre i confini nazionali. Poi lo sbarco in Brasile: «nel 1994 – ci racconta – ho accettato l’invito da parte dello chef Giancarlo Bolla a lavorare nei suoi


In apertura, gli accoglienti interni del Friccò di San Paolo. A destra, un sorridente ritratto di Scarabotta e l’ingresso del suo locale

ristoranti. Ho iniziato a La Tambouille, successivamente al Leopoldo e infine al Bar des Arts di San Paolo». È però il 17 marzo del 1997 che inizia ufficialmente la sua carriera da solista – poi in coppia con la moglie Rita –, proprio con il Friccò. «Dapprincipio si trattava di una rosticceria, ma dopo due anni dall’apertura abbiamo deciso di ristrutturare totalmente gli ambienti e abbiamo visto nascere il ristorante nella sua forma attuale», prosegue lo chef. «Nel tempo, grazie al successo decretato dalla clientela, il Friccò è cresciuto, migliorato, ed è stato in grado di offrire ai nostri ospiti una calda atmosfera, un servizio e un’ospitalità molto attenta, accanto a un menù sempre più importante». Menù all’interno del quale uno spazio privilegiato è dedicato alle verdure. Ci spiega infatti Scarabotta: «come chef mi definisco un vegetariófilo, un amante delle piante, e presento il meglio della cucina italiana in ricette uniche e gustose, specialmente per la pasta fatta in casa e i piatti preparati con ingredienti freschi e prodotti di stagione». Nel tempo inoltre il Friccò è stato arricchito di un’importante cantina di vini che si affaccia sulla sala principale. Ad oggi la lista raccoglie circa 500 etichette con una capacità di 3.500 bottiglie. La selezione evidenzia le etichette di diverse regioni italiane, dal Piemonte alla Toscana, dal Veneto alla Sicilia, alla Campania. Passando ovviamente per l’Umbria. Qual è stato il criterio che ha portato Scarabotta a identificare questa ricca selezione? Il più semplice: «ho scelto i vini migliori che abbia mai assaggiato e che meglio si adattano allo stile della mia cucina». La carta dei vini inoltre fornisce ai clienti informazioni tecniche sui produttori e la composizione della loro scelta, nonché curiosità dal mondo del vino. Ricordiamo infine che, oltre all’attività di ristoratore, Sauro Scarabotta è parte attiva nella gestione di Abaga (Associazione Brasiliana di alimentari elevati) e consulente per Costa Crociere.

«Ciò che ho fatto in questi anni non è stato altro che portare avanti le basi dell’educazione e della cultura italiana, avendo il coraggio di cercare un “buon terreno” fuori dalla mia terra per poterle sviluppare. Ho creduto nelle mie idee e nei miei valori, rispettando al tempo stesso la cultura, le persone e le regole del paese che mi ha ospitato»

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ilpersonaggiodelmese

Gualtiero Marchesi

Il maestro dell'essenzialità «Ho sempre avuto l’ambizione di fare cose semplici»: lo chef forse più famoso al mondo ci racconta la sua filosofia, spiegandoci come sia possibile "arricchire la cucina per sottrazione". E svelandoci il suo sogno: riuscire a mettere sempre di più la propria esperienza al servizio della cultura gastronomica. Aiutando i giovani cuochi a diventare prima artigiani e poi artisti di Roberto Rabachino 46

Gualtiero Marchesi nasce a Milano nel 1930. Il suo approccio con la gastronomia avviene in giovane età, quando comincia a far pratica nella cucina del ristorante dell’albergo Al Mercato di proprietà dei genitori. Successivamente perfeziona le sue tecniche culinarie presso alcuni dei migliori ristoranti francesi quali il Ledoyen a Parigi, Le Chapeau Rouge a Digione e il ristorante dei fratelli Troisgros a Roanne. Ritorna in Italia nel 1977 e inaugura a Milano il suo ristorante di via Bonvesin de la Riva riscuotendo un immediato successo: una stella Michelin, che diventano due già nel 1978. Le migliori guide lo propongono ai vertici della ristorazione e nel 1985 la Michelin, per la prima volta in Italia, attribuisce al suo ristorante le tre stelle. Nel 1990, a conferma del ruolo che riveste nell’ambito internazionale, viene fregiato dal ministro della Cultura e della Comunicazione Francese, Jack Lang, dell’onorificenza di Chevalier dans l’ordre des Arts et des Lettres. Durante il suo percorso professionale e umano, Gualtiero Marchesi entra in contatto con diverse realtà che contribuiscono a rafforzare in lui l’idea e il bisogno di trasmettere ad altri ciò in cui crede e a cui ha dedicato la sua vita. Nel gennaio 2004 apre

i battenti Alma, Scuola Internazionale di Cucina Italiana: Marchesi ha sempre affermato che l’esempio è la più alta forma di insegnamento, e con Alma questa convinzione può esprimersi in una dimensione estremamente articolata.Alma ha sede nella splendida Reggia di Colorno, a pochi chilometri da Parma. Gualtiero Marchesi, nel ruolo di Rettore, mette a disposizione la sua esperienza in stretta collaborazione con l’intera équipe. Nel gennaio 2009 riceve a Madrid il Grembiule d’Oro insieme ad altri dieci cuochi internazionali che hanno influenzato la cucina dell’ultimo decennio. Nel mese di marzo 2010, in occasione dei suoi ottant’anni, il Comune di Milano dedica a Gualtiero Marchesi una grande mostra nelle sale del Castello Sforzesco. Maestro, una prima domanda: la sua è una vita trascorsa a tutelare la cucina di qualità. Quali sono state le difficoltà incontrate? Quali i risultati ottenuti? Non è semplice provare a sintetizzare il mio percorso di vita e, in generale, non mi piace parlare di difficoltà. Sicuramente ho dimostrato una mentalità aperta: sono stato tra i primi a mostrare attenzione per la cucina giapponese e a suggerire


contaminazioni tra la cucina italiana e quella di altri Paesi. Un altro merito che penso mi vada riconosciuto è quello di essermi interessato anche al design del piatto: al centro di tutto è il prodotto, l’ingrediente con le sue qualità. Ho sempre avuto l’ambizione di fare cose semplici: sono pienamente d’accordo con l’architetto Bruno Munari, che sosteneva che “Quando un progettista è povero di idee spesso usa materiali molto preziosi”. Un buon cuoco deve fare lo stesso: la bontà di un prodotto, infatti, è dentro il prodotto stesso. Ho quindi cercato di nobilitare la cucina italiana scegliendo un percorso di semplicità. Una citazione la merita anche Alma. La mia vocazione per la cucina è cresciuta nel ristorante dei miei genitori, alimentata dai cuochi che proprio Al Mercato lavoravano. Lo spirito con cui la Scuola Internazionale di Cucina Italiana è nata è esattamente questo: creare un milieu di incontro tra giovani e grandi maestri, in modo tale che i primi possano assorbire dai secondi tecniche e nozioni. Il bello puro è il vero buono: ci spiega il significato di questa sua filosofica frase? Si tratta di un aforisma che mi è stato ispirato da un commento di mia figlia: a sua volta Paola ha voluto richiamarsi alla filosofia antica, dove i concetti di bello, vero e buono stanno in compagnia. Come spiegavo prima, la mia cucina si è arricchita nel tempo per sottrazione, spingendosi verso l’essenzialità: il risultato è che si è evoluta in un puro e semplice linguaggio di immagini, capace di stimolare i cinque sensi. Ciò che è bello non può non essere anche buono. Il difficile lavoro del cuoco: artista o artigiano del gusto? Le rispondo citando una frase di Ernesto Illy, di cui potevo considerarmi un buon amico, e per cui la cucina era “chimica intuitiva”: “La cucina è di per sé scienza. Sta al cuoco farla diventare arte”. Sono convinto che il cuoco sia un artigiano che possa aspirare a diventare artista. Per esprimersi pienamente deve prima padroneggiare la tecnica e, soltanto dopo, può dedicarsi agli “esperimenti” in cucina.

In apertura Gualtiero Marchesi in mezzo ai suoi allievi cuochi. Qui in alto il suo pezzo forte: il risotto giallo con la foglia d'oro

"La cucina è chimica intuitiva. È di per sè una scienza. Sta al cuoco farla diventare arte. Ma prima di sperimentare è necessario saper padroneggiare la tecnica"

Alma ormai è diventata il simbolo dell’educazione formativa culinaria italiana. Passato, presente e futuro agli occhi di Gualtiero Marchesi... Partendo dal presupposto che l’esempio è la più alta forma di insegnamento, in soli nove anni Alma è diventata il più autorevole centro di formazione della Cucina Italiana a livello internazionale: abbiamo permesso a centinaia di studenti di incontrare i grandi maestri della cucina, della pasticceria e del mondo del vino, partecipando alle loro lezioni, emozionandosi di fronte alle loro esperienze e ammirando la loro genialità. Tutto questo ha contribuito a fare degli allievi di Alma dei veri professionisti. Per quanto riguarda il presente, mi piace ricordare che Alma è al centro di un network di 14 grandi centri di formazione nel mondo: attualmente a Colorno sono presenti studenti canadesi, coreani, brasiliani, messicani e statunitensi. Stiamo formando gli ambasciatori della Cucina Italiana nel mondo. L’auspicio per il futuro riguarda in prima persona Gualtiero Marchesi: voglio salire più spesso in cattedra, mettendo la mia esperienza ancora di più al servizio degli studenti e della cultura gastronomica. 47


panoramaimprese

110 anni di passione per la pasta La scelta di utilizzare solo grano italiano, acqua del Gran Sasso e tecniche tradizionali (arricchite da geniali intuizioni, come quella della rifilatura in oro), rendono i prodotti Verrigni un simbolo dell’eccellenza nostrana in ambito di pasta. Ripercorrendo le vicende di questa antica azienda abruzzese si ricostruisce infatti anche quella del prodotto fiore all’occhiello del Belpaese di Olga Carlini Raccontare la storia dell’Antico Pastificio Rosetano Verrigni vuol dire raccontare la storia della pasta e della sua lavorazione. È infatti dal 1898 che la famiglia Verrigni, di generazione in generazione, tramanda oltre all’amore per la propria terra, l’Abruzzo, la vocazione alla qualità più elevata, senza compromessi. Dalla scelta della materia prima, esclusivamente italiana, alle tecniche per ottenere risultati sempre migliori.

Come tradizione vuole In origine il piccolo pastificio famigliare era situato a Rosburgo – l’antica Roseto degliAbruzzi,alla periferia della quale l’azienda ancora oggi opera – e la pasta si essiccava all’aperto. I grani utilizzati venivamo macinati a pietra, e l’impasto veniva fatto impiegando l’acqua del Gran Sasso. La pasta quindi veniva, come detto, essiccata all’aria appesa a canne di bambù. In seguito, vennero sperimentati altri metodi di essiccazione attraverso l’utilizzo di “camerini” dotati di ventilatori a corrente e di fonti di calore per creare una temperatura costante; dopo aver preso forma attra-

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Veloce come… un bucatino quadrato Tra le ultime novità Verrigni, il bucatino quadrato! La sua caratteristica principale? La velocità. Questo lungo parallelepipedo, che preferisce la cottura “sdraiato” in abbondante acqua adeguatamente salata, cuoce infatti in soli 2 minuti: un record per una pasta di grande consistenza che sposa tradizione e innovazione, alla maniera di Verrigni. I tempi stretti di preparazione e il risultato eccellente soddisfano i desideri di chi vuole un piatto “veloce” ma di grande consistenza e qualità.


verso le trafile in bronzo, la pasta veniva fatta ancora essiccare all’interno di camerini mobili, lentamente e a bassa temperatura – tra 45 e 50°C – per un tempo che poteva arrivare fino a tre giorni in base ai formati e secondo l’antica tecnica del pre-incarto, in modo da non alterare le caratteristiche del prodotto e rispettare i naturali processi di fermentazione.Ancora oggi, la pasta Verrigni si contraddistingue,oltre che per la qualità delle materie prime esclusivamente italiane – come il grano,coltivatoeraccoltoancheinAbruzzonell’azienda agricola di Francesca Petrei Castelli, moglie di Gaetano Verrigni, nipote dei fondatori (in foto) –, per l’utilizzo di tecniche artigianali come questa, un processo ormai abbandonato dai più che consente alla pasta di conservare un sapore unico.

Di oro e di acqua È chiaro quindi come la forza di Verrigni sia racchiusa nel valore della propria storia ma anche nella capacità di chi oggi guida l’azienda di capire, e talvolta anticipare, i tempi. Da qui l’idea di Gaetano Verrigni di sperimentare nuove tecniche di lavorazione dell’impasto. In collaborazione con l’artigiano orafo Sandro Seccia è nata quindi la pasta con trafila in oro, che ha preso il nome di spaghettoro e fusilloro. Alla pasta, la trafilatura in oro conferisce una consistenza diversa, ricercata ed

Ce n’è per tutti i gusti

elegante, capace di esaltare il gusto dei partner – sughi e salse – e di donarle una personalità fresca e forte che si sposa armoniosamente con qualsiasi condimento. In virtù del minore stress che l’impasto subisce a contatto col metallo nobile, spaghettoro e fusilloro presentano una nuova ruvidezza e una insolita dolcezza, unite a una nota distintiva che conquista immediatamente il palato.Una menzione infine la merita l’acqua. Per la lavorazione della propria pasta,Verrigni utilizza solo acqua dell’Acquedotto del Ruzzo, proveniente dalle sorgenti del Gran Sasso a una quota di 900/1000 metri, fresca (alla temperatura di 8-10°C). L’acqua è povera di sodio, leggera, con una durezza inferiore a 12°F, dolce, con poco bicarbonato di calcio e una quantità di sali minerali inferiore a 150 mg/l, batteriologicamente pura e paragonabile a un’acqua oligominerale. L’Antico Pastificio Rosetano è inoltre certificata IFS,International Food Standard,Version 5 (Higher Level) da CSQA – ISA Italy. Antico Pastificio Rosetano Verrigni via Salara, 9 Roseto degli Abruzzi (Te) Tel. 0859040269 www.verrigni.com

Verrigni produce circa 80 formati di pasta, dalle tipologie tradizionali a quelle “giganti”, disponibili anche con semole di grano duro Kamut e Senatore Cappelli, oltre che di farro e aromatizzate (pomodoro, spinaci, peperoncino, ortica, zafferano, basilico, funghi, tartufo). Verrigni inoltre è stata una delle prime aziende italiane, negli anni ’70, ad avviare anche la produzione di pasta di semola da grani biologici certificata dall’Icea (Istituto per la certificazione etica e ambientale). Le semole di grano duro biologico, coltivato cioè senza concimi chimici, diserbanti, pesticidi e anticrittogamici, forniscono all’organismo sostanze naturali indispensabili per una corretta ed equilibrata alimentazione, specie nella linea integrale. L’essiccazione, sempre a bassa temperatura, contribuisce inoltre a non alterare le caratteristiche naturali della materia prima evitando che si inneschino meccanismi di trasformazione dell’amido che sono antitetici alla filosofia salutista del mondo biologico. Attualmente la pasta Verrigni è distribuita in alcune selezionate enoteche italiane ed è disponibile direttamente nel web nella sezione “Shop on line” del sito www.verrigni.com

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la cooperazione trentina cover story

Trentino, un mondo a parte di Francesco Condoluci

“Il territorio è un bene di tutti e come tale va gestito”. Così questa terra straordinaria ha costruito un modello vincente basato su solidarietà sociale e sviluppo economico. Un piccolo grande miracolo, quello della cooperazione che, passata indenne tra guerre, irredentismo e crisi, oggi consente a questa zona di essere ancora “il giardino vitato più bello d’Europa”

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Trentino Alto Adige

provincia di Trento


Le cime dell’arco alpino a fare da custodi silenziosi delle sue verdeggianti valli, i borghi e i castelli che ne raccontano – senza bisogno di parole – la storia e le stratificazioni culturali, le centinaia di laghi quieti che ne mitigano il clima e le asprezze montuose. Il Trentino, signori, non è un territorio, ma un’intera gamma di esperienze sensoriali. Un universo finito e completo, racchiuso in appena 6 mila kmq di vallate, altopiani, montagne da togliere il fiato, boschi rigogliosi, specchi d’acqua incantati e piccole pianure. Una regione dai mille volti, capace di eccezionali contrasti paesaggistici e climatici che trovano i loro estremi nel caldo mediterraneo dell’Alto Garda, dove si riesce a coltivare con successo anche l’olivo, e nella rigidità del Trentino Orientale dove invece il termometro, qualche anno fa, ha registrato un -41°, tanto da far guadagnare alla zona delle Pale di San Martino l’appellativo di “punto più freddo d’Italia”. C’è poco da meravigliarsi, del resto. Il Trentino è esattamente questo: una “terra di mezzo”, sotto ogni punto di vista. Per storia, destino, e forse anche vocazione.

Crocevia di popoli e culture Tradizionale porta d’accesso italiano verso l’Europa centrale, questa terra è stata da sempre un punto di passaggio e d’incontro per popolazioni e merci transitanti tra le due grandi aree situate a nord e a sud delle Alpi. Un “melting pot” di lingue e culture diverse che hanno saputo trovare alfine un’identità comune nell’autonomismo: l’abito che il Trentino cioè si è cucito addosso per poter equilibrare l’irredentismo italiano con le contiguità austro-ungariche. Oggi, questo lembo dell’antico impero asburgico percorso dal fiume Adige e in cui si parlano tre lingue – l’italiano, il tedesco nella Val di Cembra e, nella Val di Fassa, il ladino – mostra fiero i segni delle contaminazioni mitteleu-

In questa foto vigneti in Valle dell’Adige (foto di Romano Magrone, Fototeca Trentino Marketing S.p.A.)

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la cooperazione trentina cover story

Il Trentino non è un territorio, ma un’intera gamma di esperienze. Un universo finito, racchiuso in 6 mila kmq di vallate, altopiani, montagne, boschi e laghi incantati A destra, una veduta notturna delle Dolomiti di Brenta. Sotto il lago Malga Campo nella Val di Fumo ed in basso a destra un piatto di canederli (foto di Pio Geminiani, Fototeca Trentino Marketing S.p.A.)

ropee e italiche che si possono ancora leggere nei castelli disseminati sul territorio (circa 300 tra rocche, magioni, vestigia e fortificazioni), oltre che nei suoi usi, nell’urbanistica e perfino in una gastronomia che tra i piatti tipici annovera, con ugual vanto, i tirolesi canederli e l’italicissima salsiccia lucanica. Ma ciò che più di ogni altra cosa riempie gli occhi e l’anima, nell’attraversare queste valli, è l’ininterrotta armonia del panorama. Dalla sua soglia d’ingresso a sud nella Vallagarina alle Valli Giudicarie e fin lassù alle valli di Non e di Sole fiancheggiate dalle Dolomiti di Brenta, e poi ancora dall’altra parte, in Valsugana e nella Val di Fiemme che segna il confine con l’Alto Adige, la campagna in Trentino è ovunque tenuta come un giardino. “Percorrerla è una delizia. L’occhio ammira, per estensioni enormi, pergolati e filari che sembrano tanti impianti modello a scopo sperimentale”: così Cesare Battisti, patriota e martire irredentista, descriveva la sua terra nel 1901. Da allora è passato oltre un secolo, sono volate via

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due guerre e altrettante epoche storiche, ma il paesaggio trentino è rimasto tal quale a quello di cent’anni fa:“il giardino vitato più bello d’Europa”, come scrivevano gli immaginifici cronisti del tempo.

Nel cuore del sistema cooperativo “La terra è un bene di tutti e come tale va gestita” è la frase che da queste parti ripetono ovunque, come un mantra. La parola “tutti”, in effetti, è la chiave di volta per capire fino in fondo il sistema-Trentino: il miracolo di valorizzazione ambientale, sviluppo economico e solidarismo sociale, messo in piedi cioè dagli abitanti di questo fazzoletto di terra ricadente nella provincia autonoma di Trento che ha fatto della cooperazione un progetto di vita e un totem culturale, prima ancora che uno


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Oggi il Trentino vanta 512 coop attive in ogni settore, 250 mila soci, 18 mila persone impiegate e un valore di produzione agricola che supera il miliardo di euro

strumento di sostentamento. Chissà cosa direbbe oggi don Lorenzo Guetti – il geniale curato di campagna che del sistema cooperativo trentino è stato padre e ispiratore, e che in queste valli è più famoso di Peppino Garibaldi – se vedesse cosa sono stati capaci di fare i suoi conterranei, i figli dei figli di quei contadini che, alla fine dell’800, egli addottrinava a mettersi insieme a lavorare la terra e a far di conto, per tirare su le “società cooperative rurali di smercio e di consumo”. Dalle sue lezioni teorico-pratiche e dal sudore dei valligiani sarebbero nate le “famiglie-cooperative”, spacci di scorte agrarie e di beni di consumo, i “caseifici e le cantine sociali”, le “cooperative ortofrutticole” dove i contadini conferivano il prodotto delle loro terre. E poi le “casse rurali”, banche che erogavano prestiti ai contadini per il miglioramento fondiario, e ancora “consorzi elettrici” per la gestione

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foto: Albert Ceolan

Nella foto alcuni produttori, soci del consorzio Cavit al lavoro nei loro vigneti. Sotto, le baite tipiche degli altopiani trentini con i bovini lasciati liberi al pascolo. A destra in alto il castello del Buonconsiglio a Trento, sotto bagnanti al lago in Valsugana


Fototeca Trentino Marketing S.p.A. foto di Pio Geminiani

La montagna che non annoia

Se in Trentino economia è sinonimo principalmente di cooperazione, il turismo invece è un vero caleidoscopio di divertimenti e di piaceri. E non potrebbe essere altrimenti, vista la ricchezza e l’estrema eterogeneità del territorio. Benessere, sport, arte, cultura e gastronomia sono solo alcune delle possibilità che si hanno a disposizione nel visitare questo territorio che qualcuno ha felicemente ribattezzato “la montagna che non annoia”. In effetti, tra queste valli e queste cime, di tempo per annoiarsi ce n’è davvero poco. Per immergersi nella storia del Trentino, non si può prescindere da una visita a Trento, città nobile sovrastata dal Monte Bodone, che per otto secoli, fino all’800, fu antico stato ecclesiastico e sede del Principato Vescovile. Il suo centro storico, a partire dal sontuoso Castello del Buonconsiglio, antica residenza dei principi-vescovi, è pieno di tracce di quell’età che nel 1543, con il Concilio tridentino voluto da Papa Paolo III, visse uno dei suoi momenti di massimo fulgore. Ma Trento è anche città-pensatoio e culla di pensatori: oltre al già citato martire dell’irredentismo Cesare Battisti, qui ebbero i natali statisti del calibro di Alcide De Gasperi e politici illuminati come Bruno Kessler, fondatore dell’Istituto Trentino di Cultura che oggi porta il suo nome. E, altro dettaglio forse meno edificante ma comunque indicativo del grande fermento culturale e della dialettica politica che hanno sempre contraddistinto questa città, fu proprio nella facoltà di Sociologia di Trento (la prima ad essere istituita tra le università italiane) che alla fine degli anni ’60 si sviluppò, per opera degli studenti Renato Curcio e Margherita Cagol, il germe di quell’idea eversiva di

rivoluzione armata che in seguito avrebbe portato alla nascita delle Brigate Rosse destinate a diventare protagoniste dei luttuosi anni di piombo. Fuori dalle mura di Trento, la storia lascia spazio alle bellezze naturali e al relax dei centri disseminati in tutte le valli: spostandosi giù verso la sponda settentrionale del Lago di Garda, unica zona a vocazione olivicola di tutto il Nord Europa, ci sono invece i briosi centri turistici di Arco e Riva del Garda che fanno la gioia anche degli appassionati di surf da lago. A nord-ovest dell’Alto Garda c’è il parco naturale dell’Adamello-Brenta, uno dei più grandi parchi montani italiani, e la rinomata località di Madonna di Campiglio, a dominare le Valli Giudicarie, il cui nome non può non rimandare alla famosa Spressa, il formaggio Dop che una volta si produceva nei “masi”. Dall’altra parte del fiume Adige, che come una spina dorsale divide il territorio, la Valsugana e i monti Lagorai riempiono la parte orientale del Trentino: una zona connotata da castelli suggestivi come quello di Pergine e dagli splendidi laghi di Levico e Caldonazzo, location ideali per relax e cicloturismo, e da un’agricoltura ancora legata al passato che trova nelle “malghe” di montagna, fattorie locali di proprietà pubblica, l’espressione più autentica. Sui verdi altopiani della Valsugana, nelle malghe appunto, i “casari”, da giugno a settembre, praticano ancora oggi l’alpeggio: la transumanza, necessaria alla trasformazione dei prodotti caseari secondo antichi metodi tradizionali, dei bovini da latte verso i pascoli d’altura. Da quelle parti, è possibile anche “adottare una mucca” e avere in cambio burro e formaggi. Ultima, imperdibile tappa trentina, le Pale di San Martino, superbo complesso dolomitico di punte, guglie e torrioni di rara bellezza, affacciate sul Bellunese (www.visittrentino.it).

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Centoventi anni di cooperazione ben riuscita fanno del Trentino un ideale modello da seguire per uno sviluppo federale e sostenibile dell’economia territoriale di Walter Liber (Capo ufficio stampa Federazione Cooperazione Trentina)

La storia dell’economia trentina può insegnare qualcosa in questo tempo di crisi. Oggi infatti il sistema cooperativo riesce a garantire a oltre 18 mila trentini occupazione stabile, lontana dal precariato e dalle soluzioni contrattuali fantasiose. Senza licenziare, rinunciando piuttosto agli utili. Tutto ha inizio sul finire dell’Ottocento, quando l’agricoltura trentina soffriva a causa della frammentazione dei terreni, dell’arretratezza delle colture, delle alluvioni e delle nuove malattie della vite e del baco da seta. L’industria lamentava una condizione di marginalità. A seguito del cambiamento di confini dovuto alle guerre il Trentino era diventato bruscamente territorio di confine, dovendo rinunciare alla precedente posizione centrale nelle vie del commercio. L’emigrazione diventò una dura necessità per sopravvivere. In questo contesto, la cooperazione fu una vera e propria rivoluzione popolare pacifica. Fondatore della cooperazione in Trentino fu don Lorenzo Guetti, sacerdote nato a Vigo Lomaso, nelle Giudicarie esteriori, nel 1847 e morto a Fiavè nel 1898. Gli elementi

caratterizzanti della cooperazione trentina sono la democrazia nella gestione dell’impresa (una testa, un voto), il fine mutualistico, il principio della porta aperta e della parità di trattamento. La funzione sociale della cooperazione ha carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata (poi riconosciuta anche dalla Costituzione italiana, all’art. 45). Quando le società raggiunsero quota cinquanta (era il 1895), venne fondata la Federazione Trentina delle Cooperative, della quale don Guetti fu il primo presidente. Guerre, fascismo e crisi economica misero alla prova la solidità di questa organizzazione che però, in seguito al secondo conflitto mondiale, è tornata a godere di un periodo relativamente tranquillo, che le ha consentito anche di sviluppare forme innovative ed essere laboratorio a livello nazionale. Per esempio nel caso della rappresentanza unitaria: dal 2000, in Trentino, la cooperazione ha un’unica società di rappresentanza politica, la Federazione, e non 3 come nelle altre parti d’Italia. Un percorso che oggi stanno percorrendo anche le centrali nazionali e che ha dato da subito frutti importanti in termini di razionalizzazione e di lobby. Negli ultimi decenni non sono mancati i momenti difficili, come quello attuale. Ma questa congiuntura sta dimostrando, ancora una volta, la forza solidaristica della cooperazione, i cui settori più colpiti sono stati sostenuti e aiutati da quelli più solidi. La storia della cooperazione coincide quindi con la storia delle popolazioni trentine, che seppero risollevarsi dalle difficoltà e dalle miserie con un rinnovato spirito di solidarietà e di autonomia.

Fototeca Trentino Marketing S.p.A. foto di Daniele Lira

Una storia lunga più di un secolo

A sinistra Don Lorenzo Guetti, ispiratore e padre della cooperazione, che in Trentino è più famoso di Garibaldi. Sopra la raccolta delle mele a Bleggio Superiore, sotto un casaro prepara il formaggio seguendo i metodi dell’antica tradizione. In basso, cooperatori impegnati nella vendemmia.

in cooperativa dell’acqua e dell’energia, coop sociali, per il lavoro, per i servizi. Oggi, il movimento trentino vanta 512 cooperative attive in ogni settore produttivo, 250 mila soci, 18 mila persone impiegate stabilmente e un valore di produzione agricola che supera il miliardo di euro. Con, in più, un plus senza eguali: malgrado la crescita economica esponenziale, le parole d’ordine, qui, sono rimaste quelle dei tempi di don Guetti: ossia “mutuo soccorso”, “reciprocità”, “impegno di uno per il bene di tutti”. Laddove quel “tutti” significa che i piccoli produttori di mele, olio, vino, latte, fragole e mirtilli producono con l’aiuto delle casse rurali (nel 2011 in Trentino, malgrado la crisi mondiale del credito, sono stati

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la cooperazione trentina

Fototeca Trentino Marketing S.p.A. foto di Ugo Visciani

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erogati 12,2 miliardi di prestiti). Che guadagnano conferendo alle coop le quali lavorano il prodotto e lo affidano a loro volta ai consorzi di secondo livello per la commercializzazione. Che i soci cooperatori possono usufruire di servizi e sostegno da parte delle strutture riunite nella Federazione Trentina della Cooperazione che fa da “chioccia” a tutto il sistema. Che l’autoproduzione consente di soddisfare il fabbisogno alimentare dei residenti e che nei ristoranti si servono rigorosamente prodotti locali. Che per sviluppare al massimo la produttività, è stato sfruttato ogni centimetro utile del territorio, ma senza stravolgerlo, anzi. Perché in Trentino, la terra resta appunto “un bene di tutti” e, prima del business, vengono gli uomini e la natura.

Prima gli uomini, poi il business Ce lo conferma per prima Paola Zanella, una deliziosa signora con la testa da manager e il cuore da ultima dei romantici. Da direttore marketing di Melinda, colosso da 200 milioni di fatturato grazie alle sue Golden Delicious e Renette, ci illustra la storia del successo mondiale delle mele della Val di Non, infilando, ogni tre

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Sopra un meleto a Castel Cles nella Val di Non. Sotto la malga Fratte sull’altopiano di Vezzena, in Valsugana


«Collaborare per competere» Intervista al presidente della Federazione Coop Diego Schelfi sulle ragioni del successo del modelloTrentino. «Il segreto? Educazione e formazione al lavoro di squadra»

A sinistra Diego Schelfi, presidente dal 2003 della Federazione della Cooperazione Trentina. Sotto l’interno del caseificio sociale Trentingrana a Segno di Taio, con le forme di formaggio messe a stagionare

di Domenico Marasco

Diego Schelfi è l’uomo che, da quasi un decennio, siede alla guida della Federazione della Cooperazione Trentina. Un mese fa, una maggioranza schiacciante lo ha (ri)confermato, per il quarto mandato consecutivo, sul ponte di comando di questa straordinaria realtà economica che da oltre un secolo, per migliaia di trentini, vuol dire lavoro, sviluppo, equità sociale e benessere. In sostanza, la cooperazione, in Trentino, entra in due famiglie su tre. «Sì, è un patrimonio con numeri incredibili – conferma Schelfi – nel settore agricolo contiamo circa 18 mila produttori, che tendenzialmente coltivano piccoli appezzamenti di un ettaro o poco più: il sistema assicura loro un reddito certo che va da un minimo di 1012 mila euro in media all’anno per i vignaioli fino ai 50 mila per chi conferisce mele di qualità. Attraverso le coop, quindi, siamo riusciti a mettere in piedi brand straordinari: nel vino, ad esempio, tra le prime 5 cantine nazionali in termini di esportazioni credo ce ne siano 2 o 3 trentine, tra cui Cavit e Mezzacorona che superano l’80% nell’export delle loro produzioni».

frasi, parole come “sentimento”,“anima”,“uomini”. Il leit-motiv è sempre quello: prima di tutto, ci sono i produttori. Anche a costo di scelte dolorose. Come intorno al Duemila, quando un’annata disgraziata in termini di produzione portò i dirigenti del consorzio a ragionare seriamente sull’ipotesi di diversificare il business e lavorare anche altra frutta. Gli agricoltori si opposero strenuamente. «Ci chiamiamo Melinda, e sono le mele che dobbiamo produrre!» urlarono in coro i soci della cooperativa. Non se ne Assomiglia a un federalismo applicato alla lettera, il vostro… fece nulla. E meno male, ricorda la Zanella, «per«Noi lo diciamo sempre: la formula cooperativa può sostituire l’economia di Staché qualche anno dopo arrivò il riconoscimento to e la privatizzazione. Le risorse del territorio che vengono gestite, fatte fruttare Dop per le mele della Val di Non». A due passi e consumate dal territorio stesso: questo è federalismo vero. Le nostre si chiamano famiglie-cooperative perché danno l’idea che siamo tutti “una famiglia”. da Mondo Melinda, tra Cles e Segno di Taio, nelAnche quando si va a fare la spesa, si stabilisce prima una relazione la Val di Non, c’è anche il quartier generale umana e poi un rapporto commerciale. È così che siamo riusciti, di Trentingrana, un consorzio di 16 caad esempio, a tenere aperte attività commerciali a 100 metri di La seifici sociali che producono burro e distanza l’una dall’altra: nessuna teoria economica riesce a spiegarlo. La globalizzazione, che io chiamo “desertificaziocooperazione è formaggi sotto l’insegna unica del ne”, avrebbe costruito un centro commerciale per tutto il Trentino; noi invece siamo riusciti a mantenere 400 piccoli negozi, mettendo tutto in rete. Non è un miracolo, ma un lavoro continuo di formazione, educazione, assunzione di responsabilità, consapevolezza, autodeterminazione. Questa, ancora oggi, è l’essenza della nostra cooperazione: mettersi assieme, capire quali sono le eccellenze su cui lavorare e darsi un’organizzazione basata su competenze e capacità, dove ognuno recita un ruolo complementare all’altro».

mettersi assieme, individuare le eccellenze su cui lavorare e darsi un’organizzazione basata su competenze e capacità

Ma la cooperazione trentina è un modello esportabile? «Assolutamente sì. Noi avevamo anche provato a farlo in Calabria, dove qualche anno fa c’era un vescovo trentino, monsignor Bregantini, che ha spinto per portare in quella terra il nostro sistema, riuscendo a far nascere tante coop per l’olio, i formaggi, i piccoli frutti. Per qualche anno la cosa ha funzionato. Poi, andato via Bregantini dalla Calabria, è venuto a mancare il leader e il progetto ha perso smalto. Oggi sono rimasti solo un centinaio di produttori calabresi che conferiscono i loro frutti qui in Trentino, alla coop Sant’Orsola. Ma io sono sicuro che la Calabria possa ancora rilanciarsi: non le manca niente, i calabresi, così come tutti gli italiani del resto, devono solo convincersi che per poter competere bisogna collaborare».

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la cooperazione trentina cover story

Sopra, filari di vite e sullo sfondo il Maso Toresella, antica villa del ’500 sul Lago di Toblino, fondata dai Principi Vescovi di Trento e oggi sede di rappresentanza di Cavit che ne ha fatto un centro enologico di sperimentazione avanzata. Nella pagina accanto uno scorcio di una tipica malga di montagna e a destra la Dacia Lodgy che ci ha accompagnato nel nostro viaggio in Trentino

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gruppo Formaggi del Trentino, altra realtà mutualistica che garantisce lavoro e reddito ai “casari” ai quali, in cambio, si chiede solo di far quel che sanno fare meglio: continuare cioè ad allevare bestiame e produrre latte sugli altipiani, seguendo le antiche tradizioni del territorio. «Bovini, caprini e suini vengono tirati su al pascolo, tutti nelle nostre terre – spiega Mario Tonina, dirigente della Federazione Provinciale degli allevatori di Trento – i nostri soci allevatori ci conferiscono le carni e noi ci occupiamo della commercializzazione, finalizzata pressoché esclusivamente dell’approvvigionamento delle famiglie trentine». Il comparto carni, qui, non ha praticamente eccedenze, avendo raggiunto un punto di equilibrio perfetto tra domanda e offerta. Ma è nel vino, con i Teroldego, i Marzemino, la Nosiola, i Muller Thurgau, i Gewurztraminer, i Pinot e la prestigiosa Trento Doc, che il Trentino cooperativo

foto: Albert Ceolan

ha costruito il suo vero capolavoro. Tra il consorzio Cavit e la coop Mezzacorona, è concentrata quasi l’intera produzione enologica provinciale: due realtà che esportano in tutto il mondo e che insieme girano un volume d’affari pari a quasi 300 milioni l’anno. Per arrivare nello stabilimento di Cavit, nei dintorni di Trento, si passa dallo splendido lago alpino di Toblino agli argini del quale si staglia maestoso il Maso Toresella, antica villa del ’500 fondata dai Principi Vescovi di Trento e oggi sede di rappresentanza di questa cooperativa di vini e spumanti tra le più importanti d’Italia. «Cavit e l’Istituto Enologico di San Michele all’Adige hanno istituito nel Maso Toresella un centro enologico di sperimentazione avanzata che punta alla creazione di prodotti particolari e di altissimo pregio – ci spiega il direttore marketing Lorenzo Vavassori – negli anni ’50 siamo nati come cantina sociale con l’obiettivo di fare


“cultura del vino”, oggi il nostro è un consorzio di secondo grado che, con 11 cooperative associate, rappresenta il 65% della produzione vinicola del Trentino». Poche decine di km più a nord, a Mezzacorona, quasi al confine con la provincia di Bolzano, c’è invece l’omonimo stabilimento, cooperativa di primo livello che coltiva solo varietà “in purezza” ed eccelle tradizionalmente per il Pinot Grigio e lo Chardonnay. Maurizio Bassetti, responsabile delle relazioni esterne, ci spiega che la loro forza è il legame con il territorio e che «la vera straordinarietà della cooperazione trentina è stata quella di non limitarsi a “fare apparati” come è successo in altre realtà cooperativistiche italiane, ma di aver creato imprese vere, i cui proprietari restano sempre e comunque i piccoli produttori. Qui a Mezzacorona, ad esempio, io, o lo stesso presidente del gruppo, siamo solo dipendenti dei nostri oltre mille soci conferitori». Detto da un dirigente di un brand oggi presente in 65 paesi del globo, fa ancora più sensazione. Ma dopotutto, il Trentino è davvero un mondo a parte. Da tutto. Soprattutto dal resto dell’Italia, che continua allegramente a dilapidare talenti e risorse naturali.

La migliore compagna di viaggio Pratica, comoda, affidabile. Per il nostro viaggio in Trentino, abbiamo scelto di farci accompagnare dalla Dacia Lodgy, l’ultima nata della storica casa rumena facente parte del gruppo Renault. La Lodgy è la prima monovolume costruita sotto le insegne del marchio Dacia: una vettura low-cost, versatile, dagli interni spaziosi e luminosi che offrono 7 posti veri e un carico incredibilmente capiente, perfetta per la famiglia e per chi cerca soprattutto il comfort alla guida. Dal centro di Trento alla Val di Non fino all’altopiano di Vezzena, tra strade urbane trafficate, tornanti a gomito, salite di montagna e lunghi rettilinei in altura, la Lodgy, in ogni condizione di guida, si è confermata un’auto di grande affidabilità, per tenuta di strada, prestazioni e consumi. Essenziale nel design esterno e nelle finiture, come nella più classica tradizione Dacia, la Lodgy non fa pesare in alcun modo la sua voluminosità, anzi: durante i nostri spostamenti, è risultata adattabile a ogni tipo di percorso e di rete stradale. Il suo navigatore integrato, dotato di Bluetooth e cartografie dettagliate, si è rivelato prezioso per pianificare le tappe del nostro tour, così come pure per consentirci di lavorare anche in viaggio, utilizzando il telefono comodamente e senza trasgredire il codice della strada. Rapporto spazio-prezzo imbattibile. Per saperne di più: www.dacia.it/ gamma-dacia/lodgy

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Il buono a tavola

di Antonio Romeo romeo_1961@libero.it

Taiadele smalzade

Smalzar, dal tedesco “schmalz” (grasso, strutto), è un verbo ormai non molto usato; sta infatti per “condire con lo strutto”, prodotto ora decisamente sostituito con altri grassi. Ingredienti: 400 gr di tagliatelle (meglio se fatte in casa) sugo di arrosto 2 cucchiai di panna da cucina rosmarino formaggio grattugiato sale Preparazione: Cuocete la pasta in abbondante acqua salata e scolatela al dente. Trasferitela in una pentola piuttosto larga, dove avrete riscaldato il sugo di arrosto con la panna e un rametto di rosmarino. Mescolate per bene a fuoco assai moderato e, infine, aggiungete il formaggio grattugiato. Servite in piatti caldi.

Sguazet

Trentino-Alto Adige: una regione, due culture, due cucine Canederli, speck, formaggi. Ma anche carne bovina, latte, mele, frutti di bosco… la gastronomia di questa terra di confine è molto ricca e varia, perché ricche e varie sono le produzioni regionali. Ma è soprattutto frutto di tradizioni diverse, alle quali i due territori – uniti dal 1948 – sono rimasti fortemente legati

La cucina trentina e quella dell’Alto Adige hanno caratteri differenti, forgiati da una collocazione geografica non facile e dalla potenza delle proprie radici storiche. L’allevamento di bovini nutriti con le erbe dei pascoli d’alta montagna ha comunque garantito a entrambi le zone una ricca produzione di carne, di latte e dei suoi derivati. Tra i formaggi più rinomati: il puzzone moena, il dolomiti a pasta tenera e il nostrano. Per quanto riguarda i salumi, prodotti tipici per eccellenza sono su tutto il territorio lo speck e le luganighe (o lucaniche).

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Canederli o baccalà? Trento ha un retaggio gastronomico particolare. Storicamente, a una cucina di sopravvivenza si affiancava infatti quella dedicata ai pranzi di lusso, quando la città era sosta d’obbligo di papi e regnanti. In tavola dominano i canederli, tondi e ricchi“soli” che riempiono il piatto e il palato, un deterrente contro il freddo e l’austerità delle montagne. Ogni vallata ha la sua specialità: con semolino, di pane, neri, di fegato di vitello, da dessert. E ancora gli strangolapreti, grossi gnocchi a base di spinaci uova e farina, e la zuppa

Le parti nobili del vitello o del capretto erano riservate al mercato e ai palati raffinati delle classi sociali più elevate. Agli altri restavano le frattaglie e le interiora, che venivano recuperate in questo piatto. Il vino e il formaggio gli davano comunque un tono di festa e di ricchezza. Ingredienti: 700 gr di frattaglie di capretto o vitello burro olio 1 cipolla 1 mazzetto di prezzemolo 1 bicchiere di vino bianco 1 cucchiaio di farina di frumento 1/2 l di brodo di carne sale, pepe, formaggio grattugiato Preparazione: Tagliuzzate le frattaglie e scottatele in un soffritto di burro, olio, cipolla tritata e abbondante prezzemolo. Quando la frittura è sufficientemente rosolata, aggiungete il vino, lasciate evaporare e aggiungete quindi la farina, mescolando accuratamente per evitare la formazione di grumi. Unite poi il brodo e mantenete una fiamma alquanto moderata, sino a quando il sugo abbia raggiunto un’adeguata densità: non deve risultare troppo liquido ma nemmeno troppo denso. Insaporite di sale e pepe poco prima di togliere dal fuoco e spolverate infine con del formaggio grana trentino grattugiato.


Canederli tradizionali in brodo

Simbolo della vecchia cucina mitteleuropea, i canederli (dal tedesco Speckknodl) trovano ampia diffusione nella cucina tipica della regione, probabilmente come tradizionale necessità di sfruttare anzitutto il pane raffermo e i prodotti caserecci. Ingredienti per 8 canederli: 300 gr di pane raffermo 150 gr di lucanica fresca 1/2 cipolla 2 uova 2 bicchieri di latte 2 cucchiai di farina di frumento 3 cucchiai di prezzemolo tritato 1 mazzetto di erba cipollina una noce di burro 1 + 1/4 l di brodo di carne sale, pepe Preparazione: Tagliate il pane a dadini e mettetelo in una terrina; sbriciolate la lucanica e aggiungerla al pane. Poi tritate finemente la cipolla e friggetela nel burro. Sbattete o frullate le uova con una parte del latte, aggiungendovi il prezzemolo e versate il tutto sul pane, poi lasciate riposare per una mezz’ora prima di incorporare farina, sale, cipolla soffritta e, se sembra il caso, ancora un po’ di latte. Quindi, con le mani bagnate, formate con l’impasto delle palle (grandi un po’ meno di una palla da biliardo) e mettetele in acqua bollente precedentemente salata. Fatele bollire a fuoco moderato per poco più di un quarto d’ora. Servite in un brodo di carne cosparso di erba cipollina.

Orzet

Della zuppa di orzo si trovano tracce in testi che risalgono al XV secolo. Un vero e proprio “piatto unico”, ricco di sostanza ed energia. Ingredienti: 200 gr di orzo mondo 50 gr di fagioli secchi 2 carote 1 patata 1 cipolla 1 gambo di sedano un pezzetto di carne affumicata (piedino di porco, osso di prosciutto o pancetta affumicata) olio extravergine di oliva del Garda Trentino sale Preparazione: Rosolate in poco olio la cipolla tagliata a dadini, quindi unitevi le carote e la patata anch’esse tagliate a dadini e il gambo di sedano, tagliato a piccoli pezzi. Aggiungete dell’acqua tiepida, i fagioli scolati e l’orzo con l’acqua dell’ammollo. Portate a ebollizione e cuocete a fuoco lento; dopo una mezz’ora, aggiungete la carne affumicata. Proseguite la cottura e, prima di togliere dal fuoco, aggiustate di sale. Servite la zuppa caldissima.

Grostoli (o grostoi)

Tipico dolce fritto trentino che viene preparato nel periodo di Carnevale. Ingredienti per 4 persone: 550 gr di farina di frumento 100 gr di zucchero a velo 2 uova 5 tuorli 50 gr di burro 1 bicchierino di grappa trentina vanillina olio per friggere Preparazione: Ponete la farina a fontana su una spianatoia e impastate nel centro tutti gli ingredienti fino a ottenere un impasto liscio e morbido. Lasciate riposare per almeno un’ora. Stendete la pasta molto sottile con il matterello e con il tagliapasta fate dei rettangoli o triangoli di forma irregolare. Friggete i grostoli in olio non troppo bollente per un paio di minuti e servite cosparsi di zucchero a velo. Variante: si chiamano krofeni e si ottengono con lo stesso procedimento, farcendo però la pasta con della marmellata di mirtillo rosso, semi di papavero tostati, fichi secchi e cioccolato.

Strudel di mele

Ingredienti per la pasta: 300 gr di farina di frumento 150 gr di acqua 40 gr di olio di semi 1 tuorlo d’uovo sale, poco aceto Ingredienti per il ripieno: 2 kg di mele renette della Val di Non 100 gr di uvetta 50 gr di pinoli 1 limone 120 gr di zucchero 30 gr di burro 50 gr di pane grattugiato cannella, rhum Preparazione: Impastate energicamente tutti gli ingredienti “per la pasta” affinché risulti un impasto elastico. Fate riposare per 30 minuti. Pelate, detorsolate e affettate le mele. Condite con tutti gli ingredienti “per il ripieno” tranne il burro e il pane grattugiato. Lasciate riposare per almeno 2 ore. Scolate quindi le mele dal liquido che si sarà formato, tostate il pane nel burro e amalgamate. Stendete la pasta a forma di rettangolo di circa 30x50 cm, con spessore molto sottile. Distribuitevi sopra il ripieno, arrotolate. Posizionate il tutto su una teglia imburrata, pennellate con dell’uovo sbattuto e infornate a 170°C per 35 minuti circa.

più famosa e più antica, l’orzet, una minestra d’orzo. Tra i secondi, gli osei scampadi – rotolini di carne cotti con burro e salvia –, le salsicce con i crauti, le braciolette di cervo e il baccalà, che viene preparato con pomodoro, grana… una lieve sapore di mare portato fin qui da Venezia durante lo storico concilio di Trento nel 1550. Altri alimenti tipici sono i frutti di bosco e il miele, in particolare quello di rododendro, pregiato perché di alta montagna. Agrodolce Alto Adige La cucina altoatesina è un mosaico di usanze gastronomiche austriache, germaniche, ungheresi; un miscuglio che ha contribuito alla creazione di menù fuori dal comune, dove prevale il gusto agrodolce. Terra di confine e di frutti di bosco, nel parco dello Stelvio maturano le fragole, aromatiche e succose, i mirtilli neri e quelli rossi, più aspri, utilizzati per preparare, con le mele renette, le spezie e la senape, la salsa che accompagna i salmì, gli arrosti di capriolo e di camoscio e il tipico stinco di maiale. È ancora la montagna a fornire le verdure per la tavola, dai finferli agli spinacetti selvatici, dalla cicoria all’erba cipollina ai semi di kumel che vengono usati nella preparazione dei pani. Pani che si possono gustare dolci e salati, e il cui impasto può prevedere scaglie di frutta, erbe aromatiche e altri semi. I primi piatti sono zuppe o brodi. Comuni alle cucine di Trento e di Bolzano sono i canederli, diversi però nell’impasto. Quelli dell’Alto Adige sono prevalentemente allo speck; caratteristici anche gli gnocchi neri che hanno come ingrediente pane di segale, farina di grano saraceno, pancetta affumicata, burro e aromi, e si servono asciutti o accompagnati con i crauti. Piatto della tradizione è la zuppa di vino che si prepara con brodo ristretto di manzo, tuorli d’uovo, vino bianco, cannella e panna liquida, e si serve con crostini fritti nel burro. Tra i secondi, di chiara influenza austro-ungarica, il gulasch e la rosticciata di carne. Il tipico dolce di questa regione, servito durante le feste natalizie, è lo zelten, fatto con mandorle, noci, frutta candita e pinoli. Molto ricca e varia è la produzione vinicola. Sia il Trentino che l’Alto Adige sono denominazioni di origine controllata e possiedono vini come il Trentino bianco e rosso, il Pinot grigio e bianco, Riesling italico e il Cabernet.

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La birra artigianale Sempre più italiani la preferiscono, anche al vino. Vi presentiamo uno speciale sulla birra fatta in casa e sui piccoli marchi di qualità

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Gelato, vizi e virtù Quali sono le caratteristiche per le quali il più classico dei peccati di gola dell’estate, si può dire davvero artigianale? Ve lo spieghiamo noi

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Napoli gastronomica Un tour gourmand tra le viuzze, le piazze e i monumenti partenopei, alla ricerca dei piatti della tradizione più genuini e saporiti

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“Un boccale di birra è un pasto da re”, scriveva William Shakespeare. E lo sa bene il 42% degli italiani che, al ristorante, la preferisce addirittura al vino. L’ultima tendenza? Scoprire i piccoli produttori o farsela da soli, a casa propria di Isa Grassano

Birra artigianale

...e sai cosa bevi

«Birra, e sai cosa bevi! Meditate gente, meditate». Era lo slogan, interpretato da Renzo Arbore e tra i più famosi degli Anni 80, che invitava gli italiani a fidarsi della bontà e della genuinità di questo prodotto. Ancora oggi la birra, tra le bevande più antiche create dall’uomo (probabilmente databile al settimo millennio a.C., registrata nella storia scritta dell’antico Egitto e della Mesopotamia) mantiene queste caratteristiche. Si degusta come il vino e si be-

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ve più del vino. Secondo i dati dell’associazione Assobirra, vi è un sorpasso storico: il 42% degli italiani la beve al ristorante, contro un 39% che preferisce il vino. L’ultima tendenza? Berla artigianale e farla in casa propria.

Birrifici indipendenti: giovani e agguerriti Ma cos’è la birra artigianale? È una birra ottenuta senza procedimenti invasivi come la pastorizzazione, che apporta maggiori benefici all’orga-


Ottenuta senza procedimenti invasivi come la pastorizzazione, la birra artigianale apporta maggiori benefici all’organismo e mantiene inalterati quei profumi che nelle “sorelle” industriali vanno perduti nismo umano e mantiene inalterati quei profumi che nelle “sorelle” industriali vanno perduti. Il consumo di birra è sempre più in crescita, come spiega Lelio Bottero, autore de La Birra Artigianale (edizioni Gribaudo, la prima guida dedicata al nuovo fenomeno dei birrifici artigianali), de Il Manuale della Birra e Birra fatta in casa e di Guida all’apertura di un microbirifcio-brewpub (ed. Lulu), ma anche produttore. «Quando da solo, a tarda sera, ero impegnato a scrivere, spes-

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Come fare la birra in casa Diventare un esperto homebrewer o avvicinarsi a quest’affascinante mondo non è difficile. Basta seguire i consigli dell’Unionbirrai (www.unionbirrai.it), l’associazione che raggruppa i microbirrifici e gli appassionati. Cosa serve? Gli ingredienti principali per preparare questa bevanda da soli sono il malto d’orzo, il luppolo, il lievito, l’acqua e lo zucchero. E poi le varie attrezzature, tra cui pentole, tanto più grandi quanto maggiore è la produzione (una ricetta base è di circa 23 litri), e un bidone fermentatore. Per familiarizzare con il processo produttivo (e con una spesa limitata), si può partire con un kit (acquistabile nei negozi di enologia o sul sito www.mr-malt.it), ovvero una latta contenente un mosto condensato già preparato e luppolato. Basta aggiungere acqua e lievito (la fermentazione va da 5 a 20 giorni). Si ha così un prodotto non pastorizzato e con caratteristiche organolettiche spesso superiori a quelle industriali in commercio. La birra autoprodotta si conserva dai 6 ai 18 mesi, a seconda della tipologia e della gradazione alcolica. Un suggerimento? Mai berla ghiacciata, come è consuetudine, ma a una temperatura tra i 10 e i 12 gradi, per gustarne meglio il sapore.

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Le materie prime alla base della birra: da sinistra, in senso orario: il malto d’orzo, una pianta di luppolo, il lievito (o meglio, la fase di lievitazione) e l’acqua

so stappavo una delle bottiglie “sperimentali” che dal 2005 producevo clandestine nel garage di casa con gli amici, immaginando modifiche e migliorie. Dalle finestre vedevo le Langhe e sentivo il profumo della terra e della pioggia, talvolta misto a quello dei fiori di pesco. Con questo spirito è nata La Niimbus, una bionda ad alta fermentazione da 6,5 alc. Vol., seguita dalla Manico rosso, ambrata da 7% alc. Vol e dall’Albina, una bianca da 5% alc. Vol. con frumento». Oggi però sono sempre di più le persone che “inventano” e “creano” birre. «Questo è dovuto – dice Bottero – sia al fattore moda, sia alla demonizzazione legislativa sul consumo di alcol (sono infatti crollati i consumi di superalcolici), ma anche, fattore decisamente più negativo, al ridotto potere di acquisto.

Siamo assestati su poco meno di 30 lt annui pro capite, valore molto lontano dagli oltre 100 lt dei tedeschi e dei cechi, ma abbiamo di poco sorpassato i cugini francesi (con cui condividiamo una grande tradizione vitivinicola) che ne consumano circa 29 lt annui. Ciò significa che l’Italia ha un consumo globale attestato sui 18 milioni di hl che per il 99% è appannaggio dei grandi gruppi industriali, lasciando la spartizione del restante 1% agli oltre 300 piccoli produttori artigianali presenti nel paese. Inoltre, c’è da sottolineare – continua Bottero – che la produzione interna copre solo il 75% del fabbisogno, lasciando all’import il 25%». Il fatturato globale delle “birre” preparate nei piccoli birrifici? «Si aggira tra i 40 e gli 80 milioni di euro» aggiunge Botte-


ro. «Un valore di tutto rispetto per un’attività che fino al 1996 non esisteva. Negli ultimi 4-5 anni la crescita delle unità produttive è stata esponenziale, ma il mercato della birra artigianale resta comunque ancora molto giovane e caotico e ben lontano dall’aver raggiunto una sua maturità. Sicuramente si avrà una ulteriore espansione con conseguente erosione di quote di mercato storicamente di competenza “industriale”. L’esempio degli Stati Uniti, dove i piccoli birrifici indipendenti hanno rosicchiato quote di mercato di una certa importanza, porta da un lato un cauto ottimismo, ma anche una maggiore attenzione da parte delle multinazionali che non staranno di certo a guardare inermi possibili perdite di fatturato e di utili». La birra, infine, riveste un ruolo importante anche in cucina: in cottura l’alcol va via ma il gusto speciale rimane. Se usata come ingrediente arricchisce diversi piatti come gnocchi, crespelle, zuppe. Accompagna prelibati piatti di pesce, arrosti di carne, persino formaggi. Del resto come diceva William Shakespeare, “un boccale di birra è un pasto da re”. Qui sotto, Lelio Bottero, esperto in tema di birre artigianali, autore di pubblicazioni in merito e produttore. A destra: il sogno di realizzare la propria birra nella cantina di casa è di (relativamente) facile realizzazione, basta seguire i consigli dell’Unionbirrai

Miti da sfatare

Buona è buona, la birra. Ma molte donne la guardano con sospetto. Sbagliando! Va sfatata infatti l’idea che faccia ingrassare. La birra contiene poche calorie. L’apporto dipende certamente dal tipo di prodotto scelto, ma in generale per 100 gr di birra normale ci si attesta sulle 35 kcal, da un minimo di 28 per le leggere a un massimo di 60 per quelle più forti.

La birra riveste un ruolo importante anche in cucina: in cottura l’alcol va via ma il gusto speciale rimane. Se usata come ingrediente arricchisce gnocchi, crespelle, zuppe. Accompagna piatti di pesce, arrosti di carne e persino formaggi 71


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La birra di Harry Potter Sono più di un centinaio i beershop in Italia, ovvero i negozi dove è possibile trovare delle birre industriali e artigianali, italiane e straniere che difficilmente si trovano nella grande distribuzione. Ci sono pure le taverne e i ristoranti con produzione di birra artigianale. Tra questi Giratempopub, di Sant’Albano Stura, in provincia di Cuneo (www.giratempopub.it), dove si può degustare la birra ispirata al mondo di Harry Potter e con caratteristiche innovative, in grado di riunire il mondo della birra e quello del vino: al mosto di birra in fermentazione viene infatti aggiunto quello di uva Moscato. Il locale più storico è invece A tutta birra, a Milano (www. atuttabirra.com). Offre produzioni internazionali, articoli per collezionisti della birra, libri in tema e prodotti per homebrewer, dai malti ai kit pronti all’uso. A Roma si trova infine Domus Birrae (www.domusbirrae.com) con una produzione tutta Made in Italy.

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Collesi, la “number one” per gli americani Bionde, rosse, nere. Semplici da approcciare o complesse e raffinate. Hanno un cuore di orzo a Km Zero e nelle vene la sola acqua del monte Nerone. Arrivano dalle Marche e hanno già conquistato gli USA! Ci siamo recati ad Apecchio, piccolo borgo medioevale in provincia di Pesaro-Urbino, per scoprire la Fabbrica della Birra Tenute Collesi, realtà nata grazie all’intuito e alla professionalità di Giuseppe Collesi e Roberto Bini. I due soci, il primo geniale imprenditore e distillatore con all’attivo grappe d’eccezione e il secondo un fuoriclasse in area commerciale, hanno infatti dato vita qualche anno fa alla produzione di birra artigianale. Lo stabilimento è immerso nella natura al confine tra Toscana e Umbria, a 700 metri sul livello del mare e circondato da campi di orzo. Made in Apecchio Il birrificio Collesi si trova dunque in una cornice paesaggistica molto suggestiva che gli consente inoltre di utilizzare l’acqua purissima del monte Nerone, perfetta per la produzione di birra. L’orzo utilizzato proviene direttamente dalle coltivazioni Collesi e viene maltato nel maltificio Cobi (il Consorzio marchigiano produttori dell’orzo e della birra, che di recente si è trasformato in consorzio italiano), di cui Giuseppe Collesi è il vice presidente. La birra Collesi è dunque un prodotto a chilometro zero, le cui selezionate materie prime contribuiscono alla creazione di una birra semplice, immediata ed elegante, per nulla banale. Ci racconta Roberto Bini: «quest’anno Collesi è stato eletto dal New York International Beer Competition come miglior birrificio internazionale, e le sue birre continuano a riscuotere premi e apprezzamenti in tutto il mondo». Le bionde, Alter ed Ego, un’ambrata Fiat Lux, una rossa, Ubi, una nera, Major, e una triplo malto, ultima nata, sono le birre che abbiamo poi assaggiato in compagnia di Giuseppe Collesi e del suo socio. «Quando vedo che la gente beve le mie birre sono soddisfatto», dichiara Giuseppe Collesi. E proprio mentre le degustiamo notia-

mo la cura e l’attenzione che Giuseppe e Roberto hanno riposto anche nel packaging. Le bottiglie sono eleganti e raffinate, con etichette dai colori vivaci e facilmente riconoscibili. Un’estatica perfetta per queste sei birre non pastorizzate, adatte anche ad accompagnare piatti importanti, a base di carne, pesce, formaggi freschi o stagionati. Il birrificio in questi mesi sta ampliando la propria sede produttiva, con un importante investimento economico; il progetto si ispira ai concetti di edilizia sostenibile a livello di consumi e di risparmio energetico. Particolare cura è stata posta alla scelta dei materiali, principalmente di provenienza locale e realizzati con materie prime aventi caratteristiche di rinnovabilità e durevolezza nel tempo. Nella parte centrale del fabbricato i nuovi locali avranno ampie vetrate con vista sull’incantevole valle, ed è in fase di realizzazione anche il giardino pensile tematico con aiuole e piante di luppolo e orzo, e dove, da una parete rocciosa, scorrerà l’acqua del Monte Nerone. Un giardino delle meraviglie che racchiude in sostanza tutti gli ingredienti che identificano la tipicità della produzione Collesi. Un luogo d’incontro e di cultura Ad Apecchio – mille e trecento abitanti, neo “città della birra” – si trovano ben due birrifici conosciuti in tutto il mondo: Amarcord e Tenute Collesi. L’Associazione Apecchio città della birra (www.apecchiocittadellabirra.com) ha messo a punto, legando istituzioni ed entità produttive, un progetto per la valorizzazione dell’intera filiera aloga­stronomica (parola che deriva da alo, birra, secondo la tradizione anglosassone). «L’intento del progetto – afferma Giuseppe Collesi – è quello di far divenire Apecchio un centro di comunicazione, cultura, formazione e un punto di riferimento e di incontro per addetti ai lavori e per gli appassionati del settore con convegni, mostre e manifestazioni. In quest’ottica è prevista per quest’anno anche l’organizzazione di un Beer Festival».



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Una bionda dal gusto piccante di Rosalia Imperato

Dall’utilizzo dell’acqua che si riversa nell’Alta Valle del Velino e dell’impiego dell’eccellente farro di Cittareale (Rieti) e dei migliori peperoncini peruviani Rocato, nonché dalla fantasia, l’estro, la passione e l’intuito dell’emergente mastro birraio Andrea Lorenzini, prende vita una birra artigianale ad alta fermentazione dal colore biondo intenso e dalla schiuma persistente e mediamente compatta. Una birra dal profumo intenso e avvolgente: al naso si evidenzia un bouquet ricco di aromi fruttati e di sentori erbacei dato dall’armonica interazione tra il lievito e i luppoli impiegati. Si percepisce, inoltre, una decisa nota piccante frutto proprio della presenza del peperoncino. All’assaggio il piccante ingrediente accende lievemente la gola offrendo una piacevole sensazione che riscalda il palato lentamente ma in maniera continua. Si chiama Chicano ed è prodotta dal Birrificio Alta Quota. «L’idea di Chicano è nata in occasione della prima edizione della manifestazione Rieti Cuore Piccante, la Fiera Campionaria Mondiale del Peperoncino» afferma Claudio Lorenzini, titolare di Alta Quota. «Insieme con l’Accademia Italiana del Peperoncino abbiamo cercato di individuare la varietà di peperoncino che meglio si sposasse con il nostro progetto. L’importante era che non fosse estremamente piccante ma molto profumato, che non andasse, quindi, a intaccare le caratteristiche organolettiche di una buona bionda, ma che le esaltasse. La scelta è ricaduta sui peperoncini peruviani Rocato. Il successo è stato incredibile: da birra prodotta esclusivamente per l’evento, è entrata di diritto nel nostro catalogo. Oggi ne produciamo circa 10 mila litri l’anno, su una produzione totale di birra di circa 70 mila litri». Una buona bionda artigianale resa ancora più stuzzicante, quindi, grazie all’uso del peperoncino, da servire a 8-10°C per accompagnare un ottimo tagliere di formaggi freschi o semi stagionati, ricchi e deliziosi piatti vegetariani, ma anche golosi dolci al cioccolato (www.birraaltaquota.it).

L’Italia ha un consumo globale di birra attestato sui 18 milioni di ettolitri, per il 99% appannaggio dei grandi gruppi industriali, lasciando la spartizione del restante 1% agli oltre 300 piccoli produttori artigianali presenti nel paese

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Kuaska: il guru della birra artigianale che viene da Genova di Anna Orlando Compirà 60 anni a breve, Lorenzo da Bove, e li festeggerà con la mamma a Nervi, nella Genova di levante. Il suo nome d’arte, Kuaska, ha origine da un personaggio, un alieno – protagonista di una pièce teatrale da lui stesso scritta – che da grande avrebbe voluto fare il poeta d’avanguardia e lo scrittore. In realtà, da Bove oggi gira il mondo per assaggiare birra, ma resta strenuamente legato alla Liguria. Cresciuto a trofie al pesto e torte di bietole, nella più sana tradizione della cucina genovese, vien da chiedersi come mai sia diventato uno dei più importanti assaggiatori di birra del pianeta. La mamma ricorda che quando era bambino, sentiva da lontano l’odore di gas se la vicina lasciava il fornello acceso. Un fiuto innato e un palato d’eccezione che sono poi stati allenati, e soprattutto animati, da una fortissima passione. Si capisce quando racconta del suo primo viaggio in Belgio negli anni ’80: «Mi ero fatto ospitare da un amico a Parigi e da lì ho preso il treno per Bruxelles, per raggiungere la zona a sudovest della città, dove dal 1500 producono il lambic, una birra acida a fermentazione spontanea, per la presenza di batteri e lieviti selvaggi che vivono in quella zona, nel Pajottenland – racconta – quella volta ho bevuto 24 litri di birra in due giorni, dal sabato mattina alla domenica sera. E mi sono letteralmente innamorato di quella birra. Che non è proprio una birra in realtà, ma una bevanda più vicina al vino. Da allora ci sono tornato tantissime volte, sono quasi di casa, tanto che loro stessi mi hanno soprannominato “il Principe del Pajottenland”». In effetti Kuaska conosce alla perfezione le complicate e lunghe fasi di fermentazione del lambic , o anche la lavorazione che porta alla spumeggiante Gueuze, detta “lo champagne del Belgio”, che nasce dall’unione di due o più lambic di età diverse. Il talento di Kuaska si è affinato negli anni e ormai lo si incontra ovunque si parli di birra artigianale, anche parchè nel 1996 ha fondato il Movimento di riferimento per questo settore. Un capitolo dell’eccellenza italiana che ha contribuito in prima persona a promuovere all’estero, da oltre 10 anni. Nel 1996 i produttori nella Penisola erano 7, praticamente tutti al Nord. Ora sono ben 450 e coprano l’intero territorio nazionale, nessuna regione esclusa. I numeri sono eloquenti. Così come le classifiche: oggi l’Italia è considerata il sesto paese al mondo per qualità in ambito di birra artigianale. Parola di Kuaska.


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La birra batte anche la crisi. Chiedetelo ai fratelli Leardi di Stefania Monaco

La crisi aguzza l’ingegno, non c’è che dire. È il caso dei fratelli Leardi di Pescara. Marco, informatore sanitario in mobilità, Gianni, in cassa integrazione dal porto, e Maria Vittoria, proveniente dall’ennesimo contratto a progetto in Confcommercio. Appiedati dal lavoro, con quel tipo di humour tipicamente italiano, i tre devono aver pensato «facciamoci una birretta!». Detto e fatto. Il sogno, d’altronde, c’era sempre stato. Al resto (paradossalmente) ci ha pensato la crisi economica. Perdere qualcosa, nella vita, talvolta può anche voler dire rinnovarsi e tentare. Per restare nel mondo della birra, ne è un esempio l’Argentina: dopo la profonda congiuntura economica di qualche anno fa, è riuscita a tirare fuori un’energia impressionante e oggi festeggia la ripresa, neanche a dirlo, con delle

In foto, i tre fratelli Leardi brindano al successo della loro nuova attività. Le loro birre portano i nomi delle figlie dei due fratelli maschi, Anita e Sofi (figlie di Marco), e Sara ed Emma (figlie di Gianni)

birre che portano il nome di 17 de octubre, la scura, Peronista la rossa ed Evita, naturalmente bionda. Tornando a Pescara, le 4 tipologie di birra prodotte dai Leardi sono frutto delle ricette di Marco che, approfittando della sua laurea in biologia, è riuscito a frequentare la prestigiosa scuola di Perugia, il Cerb (centro di Eccellenza per la Ricerca sulla Birra) approfondendo poi l’esperienza di birraio in un altro birrificio artigianale della zona, Desmond. Maria Vittoria, nel frattempo, si è lungamente applicata a degustare birra di tutto il mondo diventando una degustatrice professionista, in sintesi la critica più feroce del suo stesso prodotto. Al terzo fratello, Gianni, è toccato il compito di dare corpo e forma a tutta l’operazione: lui, del resto, di birra artigianale ne sapeva già da anni, visto che l’ha sempre bevuta e prediletta. Le neonate birre Leardi portano i nomi delle figlie dei due fratelli maschi, Anita e Sofi (figlie di Marco), e Sara ed Emma (figlie di Gianni). Un modo per condividere il sogno anche con le generazioni a venire. La Anita Blond è ad alta fermentazione, rifermentata in bottiglia ha un buon equilibrio tra malto e luppolo ed è perfetta per primi e fritture. La Sara Weiss è una buona birra di grano, molto estiva, e nonostante i suoi 9 gradi riesce a essere beverina; il sapore dolciastro dettato dallo stile Weiss ben si abbina a piatti estivi come insalate o con pizza e carni bianche. La Sofi Dark invece è una scura in stile belga che sa di malto e biscotto appena sfornato, con una lieve nota di cioccolato; contiene 7 malti che si sentono nella loro complessità al palato e che rimandano al naso sensazioni calde e avvolgenti, una nota dolce la fa ben sposare con risotti, brasati, o anche con dolci al cucchiaio. La Emma Ipa, infine, è centrata sull’amaro in perfetto stile inglese: avvolgente, lascia una bocca fresca e asciutta con una lunga persistenza ed è ottima come aperitivo o con carni rosse stufate o pesci come baccalà e tonno. Il beershop Leardi è a Pescara in via Cesare Battisti, 227 (Tel. 0852405162, www.birrificioleardi.it). Se passate di lì, armatevi di un gran sorriso, perché verrete ritratti e poi taggati sulla parete del negozio a mò di murales. Ogni cliente, per i Leardi, è un testimonial. Bere per credere!

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Gelato, vizi e virtù Colori troppo vivaci, propensione a mantenersi perfetti per lungo tempo ed elevata cremosità. Queste le caratteristiche che dovrebbero insospettirvi di fronte a un gelato che si definisce “artigianale”. Di seguito qualche consiglio per rendere la vostra dolce e rinfrescante pausa dalla calura estiva davvero buona e di qualità di Riccardo Lagorio 78

Risale almeno ai primi anni del Cinquecento l’utilizzo di gelati e sorbetti presso la corte medicea di Firenze, e quest’arte – affinata da Bernardo Buontalenti, animatore dei festini del Granduca Cosimo I – venne istituzionalizzata con Via delle Ghiacciaie, in centro città. Nel 1770 il ligure Giovanni Bosio apre la prima gelateria di New York, proprio quando i carrettini ambulanti degli italiani stanno diffondendo in Austria e Germania


l’amore per i sorbetti. Oggi la produzione del comparto della gelateria artigianale in Italia si stima in circa 350 mila tonnellate, con circa 33 mila aziende in attività, spesso a conduzione familiare. Oltre 150 mila gli addetti stabilmente occupati. Un settore economico vivace, che è in grado di fronteggiare la concorrenza dell’industria dolciaria e del gelato confezionato, settore saldamente nelle mani delle multinazionali che detengono il 68% del mercato italiano. Malgrado queste autorevoli premesse storiche ed economiche in capo alla gelateria artigianale, non sappiamo se il legislatore si è semplicemente dimenticato di normarne la produzione e l’identificazione o se questa assenza è voluta. E le associazioni di categoria si sono ben guardate dall’assumersi la responsabilità di colmare questo vuoto, quantunque impegnasse esclusivamente i propri iscritti. Così rimangono ben pochi elementi per poter distinguere un gelato realizzato realmente con prodotti freschi, come ci aspetteremmo da una bottega che si fa chiamare artigianale, da uno preparato con semilavorati e puree di frutta o miscele di frutta fornite dall’industria alimentare. «Mi sento però di diffidare da quelle gelaterie che propongono montagne di gelato che sta in piedi per ore e talvolta fuoriesce dalle vaschette. Quasi certamente lì troviamo grassi idrogenati o addensanti non naturali che servono a strutturare la consistenza del gelato», affonda Cesare Rizzini della Gelateria La Nocciola di Monticelli Brusati (Tel. 030985007), nel cuore della Franciacorta, nel Bresciano. Terra di vigne ma anche di chi ha le idee ben chiare su come deve essere un buon gelato. «Il nostro lo prepariamo con latte, panna, acqua e almeno il 50% di frutta. Nel caso del gelato alla menta, la materia prima proviene dal nostro orto; per le pesche ci approvvigioniamo da agricoltori in Valtrompia, i frutti di bosco dal Comune vicino al nostro e, dopo al massimo 24 ore dalla raccolta, lamponi, mirtilli e more si sono trasformati in gelato. Niente addensanti, se si esclude una infinitesima quantità di gomma di xantano, totalmente naturale ed estratta da un vegetale» conclude Rizzini. 79


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Sicilia: dalle neviere ai caffè parigini Secondo alcuni, la nascita del gelato è rintracciabile nelle pagine della Bibbia, cioè quando Isacco offrì ad Abramo latte di capra misto a neve; altri, invece, la affidano agli antichi romani e alle loro “nivatae pozione”, veri e propri dessert freddi. Ma tra un’ipotesi e un’altra, una cosa è certa: in Sicilia fin dall’XI secolo è documentato l’uso di produrre neve ghiacciata da utilizzare nei mesi estivi per la realizzazione di prodotti per il refrigerio del palato. E i rilievi dell’isola offrivano numerosi luoghi di raccolta della neve: l’Etna nel catanese, i Nebrodi nel messinese, Rocca Busambra e le Madonie nella zona del palermitano. Intere famiglie o squadre di “nivalora” (nevaioli), salivano in montagna per accumulare la neve all’interno delle neviere, fosse naturali o scavate dall’uomo, nelle quali la neve doveva essere prima pestata abbondantemente – in modo da farla diventare molto compatta onde favorire la formazione di ghiaccio – poi

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ricoperta con paglia e rami al fine di creare una sorta di isolante termico. I nivalori, nel periodo estivo, salivano in montagna nel pomeriggio per raccogliere la neve ghiacciata, che veniva foderata con molta paglia e caricata sui muli; le ultime consegne di cui si ha notizia risalgono all’immediato dopoguerra. Di questa prassi resta memoria nella Festa della neve di Polizzi Generosa che ogni terza domenica di luglio fa rivivere l’antica tradizione offrendo granite e gelati prodotti proprio con la neve ghiacciata delle neviere masonite (Tel. 0921684011, www. parcodellemadonie.it). Ma i primati “dell’isola dei gelati e dei sorbetti” non si esauriscono qui. Il 10 febbraio 1651 nasceva a Palermo Francesco Procopio dei Coltelli; notizia che forse, a molti, può non destare alcun interesse, se non fosse che questo siciliano fondò a Parigi – in rue des Fossés Saint Germain (antico nome dell’attuale indirizzo) – il suo caffè, portando per

di Rosario Ribbene la prima volta i sorbetti in Francia. Ai parigini servì “acque gelate”, cioè granite e sorbetti dai nomi accattivanti: fior di cannella, fiori d’anice, fragola, crema gelata e molti altri. Chi si fermava nel suo Cafè aveva la possibilità di leggere un giornale, tenere conversazioni, fruire gratuitamente di inchiostro, penna d’oca e carta. Di lì a poco, il suo locale elegante diventò il luogo d’incontro di artisti e famosi personaggi della cultura europea come Rousseau, Diderot, Voltaire e ancora, gli enciclopedisti Condorcet, D’Alembert e anche l’americano Benjamin Franklin. Durante la Rivoluzione passarono dal cafè Danton, Marat, Robespierre e pure un giovane ufficiale d’artiglieria, tale Bonaparte. L’apporto di Procopio è riconducibile alla scoperta di due elementi importanti nella fabbricazione del gelato: lo zucchero di canna invece del miele, e il sale marino assieme alla neve per farla durare più a lungo.

L’uso di produrre neve ghiacciata da utilizzare nei mesi estivi per la realizzazione di prodotti per il refrigerio del palato è documentato in Sicilia fin dall’XI secolo

In alto, il parigino Cafè Procope, oggi in rue de l’Ancienne Comédie (foto: Raoul Dobremel). Sotto la neviera Principessa (foto: V. Anselmo)


Facile dire “artigianale”… Cesare Rizzini fa parte di un esiguo gruppo di produttori di gelato artigianale autentico. Per ottenere quello che solitamente passa sotto il nome di gelato artigianale, infatti, i laboratori ripiegano su preparati in cui si trova un po’ di tutto: addensanti, coloranti, conservanti. L’arte alchemica del gelatiere spesso si riduce a una semplice aggiunta di acqua o latte a preparati di tipo industriale (del resto non esiste una vera e propria scuola ufficiale da seguire per il conseguimento del titolo di gelatiere). La maggioranza delle gelaterie utilizza infatti un prodotto definito “neutro”. Il neutro è un addensante (spesso naturale come la farina di semi di carrube, pectine o farina di guar) ed emulsionante (acidi grassi alimentari) necessario per amalgamare la materia grassa e ottenere un prodotto dalla consistenza caratteristica. Se è pur vero che mono e digliceridi di grassi alimentari aumentano il contenuto di aria e rendono il gelato più cremoso (tradotto in altri termini: il cliente paga l’aria come se fosse gelato), l’utilizzo del neutro non è da condannare in toto poiché il gelato è costituito anche e soprattutto da altri ingredienti che fanno, quelli sì, la differenza. Per esempio la scelta può essere di aggiungere latte fresco garantito proveniente da allevamenti che non utilizzano OGM per nutrire le bovine, come Rizzini, o latte scremato a lunga conservazione; cioccolato di grande livello o preparato per gelato; bacche di vaniglia o aromi che ne ricalcano il gusto. Una grande varietà di opportunità. Antonio Salerno di Caltanissetta, nella sua gelateria Il Bignè (Tel. 0934592250), utilizza ad esempio esclusivamente pistacchio di Bronte. «All’inizio i clienti si chiedevano perché il mio gelato al pistacchio fosse marroncino e non del verde semaforo di certi altri gelati. In tempi rapidi non ho più dovuto fornire la spiegazione perché i consumatori hanno capito con il passaparola che nel mio gelato c’erano pistacchi veri. La stessa cosa accade con il gelato al limone di Siracusa, il melone

Nonostante una produzione di circa 350 mila tonnellate e oltre 150 mila addetti stabilmente occupati, manca in Italia una legislazione che stabilisca chiare norme in ambito di gelateria artigianale. Al consumatore è affidato l’arduo compito di distinguere un gelato realmente realizzato con prodotti freschi da uno preparato con semilavorati di origine industriale

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trina). L’idea di creare un così unico e originale museo? È della Fondazione Bruto e Poerio Carpigiani (www.fondazionecarpigiani.it), costituitasi di recente con l’obiettivo di diffondere nel mondo la cultura del gelato fresco artigianale e di supportare l’educazione allo studio e alla salvaguardia del patrimonio alimentare, al fine di preservarne caratteristiche e tipicità. Ma un po’ ovunque si sta scatenando la mania per quello che di diritto può essere considerato un vero alimento, fresco e di alta qualità. In Brianza (nei tre centri Barlassina, Cogliate e Seregno) Monia Soligheto ha dato vita all’Albero dei Gelati (www.alberodeigelati.it), dove i gelati sono soprattutto “responsabili”, fatti con ingredienti a km 0, o con Presidi Slow Food e con prodotti equo e solidali. Persino il tradizionale carretto dei gelati (quello con la bici) è ecosostenibile, alimentato con i pannelli solari. La novità? Una linea di gelati Si chiamerà preparati con latte vegetale, perlopiù da cereali antichi, ai gusti “crema”, Gelato Museum e anche gelati dolcificati con frutCarpigiani il primo tosio (definito “insulino indipenspazio dedicato alla storia dente”), con un più basso indice e alla cultura del gelato glicemico. Tra le combinazioni molto creative ci sono Spiga e artigianale che aprirà, Madia (mais integrale con latte di a fine settembre, mais bio; dove il mais è un’ottima ad Anzola dell’Emilia fonte di fibre e ha un basso tenore di grassi) e Cioccolato bio Piura (monorigine Perù) con latte di Quinoa e Manna delle Madonie (presidio Slow Food, che ha proprietà digestive e rinfrescanti e molti sali minerali). Vi è anche “la stanza dei bambini”, un luogo ameno dove i piccoli possono colorare e dare di Isa Grassano sfogo alla propria creatività: i lavori sono poi appesi alle pareti. A ogni bambino infine si regala una bustiCioccolato, crema, pistacchio e nocciola. E ancora i na di semi di fiori, con la spiegazione degli ingrediengusti più “estrosi”, all’olio extravergine di oliva o ti, che possono essere anche seminati, magari nelle all’aglio, passando per i più “salutistici”, fatti con latvaschette vuote di gelato. Ogni mese organizzano te vegetale di kamut, miglio, grano saraceno e mananche laboratori sul gelato. Chi vuole imparare a fare dorla, dolcificati con fruttosio. Gelati per tutti i gusti gelati e sorbetti direttamente a casa propria, sempre per soddisfare la voglia di fresco. A raccontare la stoin modo sano e naturale, e offrirli a tavola in modo ria di questa golosità, ci sarà anche un Museo. Si chiacoreografico e accurato come nei migliori ristoranti, ma Gelato Museum Carpigiani, il primo dedicato alpuò seguire uno dei corsi (lezioni di circa tre ore) prola storia, alla cultura e alla tecnologia del gelato mossi a Bologna dallo chef naturista Antonio Scaccio artigianale che aprirà a fine settembre, con sede ad e dalla giornalista gastronoma Chiara Mojana. Le riAnzola dell’Emilia, vicino Bologna. Un viaggio nel gucette proposte sono basate su ingredienti biologici e sto, dalle origini a oggi, per scoprire curiosità e anche naturali e comprendono: un sorbetto, un gelato, una qualcosa in più su Bruto Carpigiani, l’ingegnere bogranita, un semifreddo e una torta gelato. La presenlognese a cui si deve il brevetto della famosa Autogetazione avviene in eleganti monoporzioni, piacevollatiera, riconosciuta tra le 34 invenzioni fondamentamente decorate con il cioccolato, il caramello e la li del XX secolo. Oltre 20 macchine originali per fare frutta di stagione (www.iocucinonaturale.com). Anil gelato (dalle antiche sorbettiere al tino meccanizzache Galatea Gelati a Tiezze di Piave (Tv) tiene lezioni to alla Motogelatiera Cattabriga) e quelle per produrper far conoscere struttura e composizioni dei gelati re cialde e coni, 24 postazioni multimediali, 10 mila e per preparare sfiziose ricette (www.galatea-gelati. immagini storiche, laboratori didattici. Il percorso mucom). E si utilizza pure “spirulì”, il nuovo gusto seale metterà in evidenza anche i processi di produdell’estate a base di alga spirulina, azzurra-verde, riczione (pastorizzazione, mantecazione) e l’evoluzione ca di aminoacidi, antiossidanti, vitamine e minerali. della conservazione del gelato (dal pozzetto alla ve-

Tutti pazzi per il gelato

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Un modo semplice per riconoscere un prodotto di qualità? Se dopo il cono avete voglia di acqua, è lecito avanzare dubbi sulla presenza reale di frutta nel gelato

di Cantalupo, le fragole di Ribera, le angurie e i gelsi nostrani e al giusto grado di maturazione. Il gusto naturale della frutta pulisce il palato, non lo impasta». Così anche gli amanti del buon gelato avranno un altro parametro per scegliere il prodotto migliore: se dopo un cono c’è desiderio d’acqua, è lecito avanzare dubbi sulla presenza reale di frutta nel gelato. Molto meno accettabile di chi usa il neutro, è l’attività di coloro che si affidano a preparati denominati “base”. La base contiene addensanti, emulsionanti, zucchero, latte in polvere, proteine e aromi di varia entità. Tramite queste basi si ottiene il fiordilatte, base appunto per realizzare vari gusti con la semplice aggiunta di pasta di caffè, nocciola, cioccolato e puree di frutta. A questo punto il lavoro del gelatiere si è talmente tanto banalizzato che parlare di artigianalità diventa, per chi scrive, improponibile. L’obiettivo del produttore in casi come questi è il risparmio del tempo di 84

lavorazione e la praticità di esecuzione, a dispetto della originalità di quanto ottenuto. Molto spesso i semilavorati riducono al minimo il lavoro e l’ingegno necessario per ottenere quel prodotto che all’inizio abbiamo definito “gelato artigianale”. Spesso è sufficiente aggiungere al semilavorato dell’acqua e riporre il tutto nel mantecatore, ottenendo in pochi minuti il gelato (?) pronto da esporre. Colori troppo vivaci, propensione a mantenersi perfetti per lungo tempo ed elevata cremosità sono elementi che dovrebbero insospettire ancor prima di avere fatto lo scontrino per il cono. A rischio è il concetto stesso di artigianalità, di saper fare italico. Del resto, l’utilizzo di additivi chimici, coloranti e aromatizzanti, e quello di emulsionanti come la lecitina di soia (spesso proveniente da coltivazioni OGM) stanno mettendo a dura prova l’arte della gelateria tricolore, come avviene in numerosi altri settori alimentari.


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Ondata di freddo (anche) nella Capitale! di Rosalia Imperato

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È un momento d’oro per gli artigiani del freddo capitolini: le insegne note raddoppiano o triplicano le loro sedi e i nuovi laboratori artigiani proliferano. Il segreto alla base del successo di tutte queste realtà? Un’accurata ricerca delle materie prime e un lavoro attento e scrupoloso per un prodotto di alta qualità. Alle porte della Città del Vaticano, troviamo, per esempio, la Gelateria dei Gracchi (www. gelateriadeigracchi.com). Quello di Alberto Manassei è un prodotto genuino e naturale, lavorato come si faceva una volta. I gusti sono classici e ben eseguiti: pistacchio, nocciola, mandorla (le specialità di Alberto), ma anche cioccolato, ricotta e pere, fragoline di bosco, fichi, pere al caramello. A due passi dal Pantheon, vale la sosta una delle botteghe della gelateria Il Gelato di San Crispino (www.ilgelatodisancrispino.com). Qui niente coni, solo coppette e i gelati vengono rigorosamente tenuti nei pozzetti. Per quanto concerne i gusti, ampia la scelta: tra le creme irresistibili meringa al cioccolato, crema al miele di corbezzolo, Passito di Pantelleria, zenzero e cannella, mentre per la frutta le varianti seguono le stagioni. Un vero artista del gelato è Ermanno Di Pomponio, patron di Neve di Latte (Via Luigi Poletti, 6 - Tel. 063208485). Per le sue creazioni sceglie solo materie prime certificate e ingredienti ricercatissimi: panna e latte biodinamici, frutta fresca biologica, le famose uova di Parisi, il pregiato cioccolato Amedei, le nocciole delle Langhe, il pistacchio di Bronte, la vaniglia di Tahiti, l’aceto balsamico

tradizionale di Modena, Champagne e distillati pregiati come il Rosé Veuve Cliquot Ponsardin del 1989 e il Cognac del 1957. Il risultato è un gelato senza compromessi e che si fa certamente ricordare. Anche Renato Trabalza, nipote di Aldo Fabrizi e della mitica sora Lella, nonché patron da oltre 25 anni dell’omonimo ristorante, lo scorso ottobre ha deciso di darsi all’arte del gelato. Per la gelateria daRe (Via Bisagno, 19 - Tel. 0664012423) il successo è stato immediato grazie a un prodotto cremoso, gustoso, ricco e al tempo stesso genuino e naturale perché preparato secondo i rigidi canoni dell’artigianalità. Tra le tante specialità: Sora Lella (crema di ricotta di pecora e composta di visciole), Dolce Luli (crema di latte caramellato al mou con mandorle pralinate e meringhe), Zabaione Amleto (crema di zabaione con marsala, mosto d’uva e amaretti) e Crema mia (crema alla cannella con pere candite aromatizzate allo zenzero). In una delle zone più trendy della città (Pigneto) troviamo, infine, Il Capriccio di Carla (Piazzale Prenestino, 30 - Tel. 3938512522). Un piccolo ma graziosissimo laboratorio accoglie tutta la golosità di una vasta gamma di gusti che incantano il palato dei migliori intenditori: torrone alla Strega, cantucci e Vin Santo, ricotta e pera, noci e fichi, croccante di amarena, crema al caffè con chicchi di caffè, vaniglia e cannella, arachidi e Nutella… e poi vari tipi di cioccolato (esclusivamente Valrhona) aromatizzati al peperoncino, all’arancia e alla menta.


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Napule è... mille sapori Emozioni uniche con il fuoco del Vesuvio nelle vene: una passeggiata tra le viuzze, le piazze e i monumenti della splendida città barocca alla ricerca dei più genuini prodotti partenopei di Giancarlo Roversi

Napoli

Campania

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A parlare di Napoli e delle sue infinite seduzioni si rischia fatalmente di fare del dejà vu, di ripetere frasi scritte mille volte. Ma questo è vero solo apparentemente perché a guardare la città con animo sensibile, a compenetrarsi con la gente nel dedalo delle sue strade, c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, ci sono emozioni nuove da provare. Per questo Napoli è unica, ieri, oggi, sempre. Come unica è la sua cucina. Una grande cucina, sia quella popolare che quella aristocratica, che aveva nella corte borbonica la sua stella cometa. Il suo massimo cantore fu un ex frate del convento di San Pietro a Maiella, Vincenzo Corrado, autore del primo trattato di cucina partenopea: il Cuoco galante, uscito nel 1773 e poi ristampato fino al 1857, che rappresenta il primo libro col maggior numero di ricette vegetariane. Nelle sue pagine si trovano tutte le specialità partenopee, dai timballi di pasta ai sartù fino alla famosa pastiera che il Corrado chiama “torta di frumento” poiché fra gli ingredienti non figurava ancora, come oggi, la ricotta. Anche oggi i piatti che propone la cucina napoletana appaiono come una del-


le marce in più per il turismo della città e del suo territorio. «La tradizione culinaria vesuviana – dice Patrizia Marino, giornalista e scrittrice partenopea – nasce da una cucina povera che si serve dei prodotti naturali a portata di mano, basandosi sulla pasta, sul pesce del Golfo e sulle verdure. Polipi, gamberi, cozze, vongole e frutti di mare sono le basi per i più svariati menù preparati o da soli o insieme alle infinite varietà di pasta. Ma guai a sbagliare gli abbinamenti! Lo spaghetto va rigorosamente usato con le vongole, le linguine con i frutti di mare, la pasta mista con la pasta e fagioli o la pasta e patate. Le cozze, piatto ricercatissimo non solo dai napoletani ma dai turisti di tutto il mondo, possono essere preparate da sole a zuppa come la famosa mpepata e cozze, servita caldissima e con abbondante pepe nero, aglio e prezzemolo tritato, o anche con altri ingredienti come i fagioli». «Una ricetta ancora attuale creata sotto il regno dei Borboni – prosegue Patrizia Marino – è la minestra maritata, chiamata così perché le verdure sono tutte mischiate tra loro insieme a ritagli di carne suina, le tracchiolelle, salsicciotti e altri

ingredienti tradizionali». Questa minestra durante l’epoca borbonica era il classico pignatto grasso: pietanza che i napoletani mangiavano quasi ogni giorno tanto da meritare l’appellativo di “mangiafoglie”, in seguito sostituito con quello di “mangiamaccaroni”.

In apertura, un tramonto sul porto di Napoli. In questa pagina, la pastiera e le cozze, ricercatissime queste ultime non solo dai napoletani ma dai turisti di tutto il mondo, e preparate da sole in zuppe (come la ’mpepata) o con i fagioli

Emozioni del palato e dello spirito Ma per godere meglio le emozioni della tavola napoletana bisogna abbinarle a quelle dello spirito attraverso la scoperta delle inestimabili attrattive della città e dei suoi dintorni. A ogni passo, lungo le sue strade in salita o a scale, pianeggianti e ondulate, larghe, strette e strettissime, il centro storico tiene in serbo un grandioso palazzo, una piazzetta, colonne votive barocche di rara bellezza, una chiesa, tante chiese, piccole e grandiose, famose e sconosciute, perché Napoli con Roma è una delle città che ne possiede di più. Soste d’obbligo, per immergersi negli umori della città e della sua gente, sono i siti turistici per antonomasia dei quali basta solo citare il nome per evocare immagini e scenari indimenticabili: Piazza del Plebiscito col Palazzo 89


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dove mangiare Hotel San Francesco al Monte Elegante albergo in uno dei punti panoramici più belli di Napoli, è situato in un antico convento dei frati francescani, e dalle sue finestre si può ammirare un panorama che abbraccia tutto il golfo. Se la vista al quarto piano, quello del ristorante, del bar e delle prime colazioni, è superba, lo scenario che offre il 7° piano è addirittura spettacolare e abbraccia un dedalo di viali ombreggiati con punti di sosta incantevoli. Corso Vittorio Emanuele, 328 Tel. 0814239409 www.sanfrancescoalmonte.it

dove mangiare Ristorantino dell’Avvocato Raffaele Cardillo propone autentici percorsi mediterranei d’enogastronomia ricercata e

genuina, senza rincorrere le mode. Via Santa Lucia 115/117 Tel. 0810320047 La Stanza del Gusto Piatti della tradizione rivisitati dallo chef Mario Avallone. Via Santa Maria di Costantinopoli, 100 www.lastanzadelgusto.com Ristorante Rosiello Situato nella suggestiva cornice di Posillipo e impreziosito da un giardino con agrumeti, frutteti e vigneti, mette in menù tutti i piatti della cucina tradizionale. Via Santo Strato, 10 www.ristoranterosiello.it Ristorante Alosclub Condotto dal patron Gennaro Alosco affiancato dallo chef Raffaele Pellino, si trova sulla collina di Lucrino. Classica cucina flegrea rivisitata con creatività e fantasia. Via Icaro 1/3 – Lucrino www.alosclub.it

Imponente e sornione, il Vesuvio incombe sulla città di Napoli, rendendo il suo golfo ancora più spettacolare

A Napoli, guai a sbagliare gli abbinamenti! Lo spaghetto va con le vongole, le linguine con i frutti di mare, la pasta mista con i fagioli o le patate

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Reale, la vicina monumentale Galleria Umberto I, il Teatro S. Carlo, uno dei massimi templi italiani della musica, il Maschio Angioino a guardia del porto. Accanto ai suoi possenti bastioni durante gli scavi della nuova metropolitana sono ritornati di recente alla luce tratti delle antiche mura della Neapolim greca. Da non dimenticare neppure la Piazza Municipio, la pittoresca Via Spaccanapoli, Via San Gregorio Armeno, famosa per le botteghe dei maestri dell’arte figulina e presepiale, e poi le vie dello shopping (Via Toledo, Via Chiaia, Via dei Mille etc.) con i punti espositivi e di vendita del sistema moda napoletano (Ulturale Cravatte, Rocco Barocco, Sarli). Senza scordare una degustazione di pasticceria tipica a La Gran Caffettiera in Piazza dei Martiri (www.grancaffelacaffettiera.com). Visita d’obbligo poi quella nei negozi di prodotti tradizionali come l’Atelier dello scultore Lello Esposito a Palazzo Sansevero, in Piazza San Domenico Maggiore (www.lelloesposito. com), che da oltre trenta anni lavora sui simboli di Napoli: Pulcinella, la maschera, l’uovo, il teschio, il vulcano, il cavallo, San Gennaro e

il corno. O come lo Showroom Ascione in Piazzetta Matilde Serao (www.ascione.it), inserito in uno dei luoghi più belli e prestigiosi della città, al secondo piano della facciata principale della Galleria Umberto I da dove si possono ammirare scorci eccezionali dei luoghi più esclusivi e densi di storia della città. Ospita un’esposizione permanente della lavorazione del corallo con pezzi formidabili per pregio artistico e valore, prodotti dai maestri corallini e gioiellieri della famiglia Ascione, a Torre del Greco a partire dal 1805. Di grande interesse, non solo per gli appassionati della musica, una sosta al laboratorio di liuteria del plettro di Raffaele Calace in Vico San Domenico Maggiore (www.calace.it) fondata nel 1825. Seguendo una gloriosa tradizione familiare vengono costruiti strumenti che oggi rappresentano il punto di riferimento per tutti i concertisti del liuto. E visto che qui la lava è di casa, nulla di meglio che concludere il nostro viaggio con un salto all’Opificio Emblema a Terzigno specializzato nella lavorazione della pietra lavica vesuviana (www.opificioemblema.it).


Amore a prima vista

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SIAMO AL VINITALY 2012 PADIGLIONE PUGLIA

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in Viaggio 94

La Valnerina Oltre la Cascata delle Marmore, c’è un’Umbria nascosta fatta di natura e borghi da favola

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I giardini incantati del Lazio Una passeggiata fuoriporta tra i parchi privati di alcune delle residenze storiche più belle d’Italia

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L’Italia in mostra: Venezia La Biennale di Architettura è l’occasione giusta per un salto nella città più famosa del mondo

da pag. 106 Rubriche

• La pagina verde di Legambiente • Città in 24 ore, Palermo • Città in 24 ore, Stoccolma

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Inviaggio

Valnerina, Umbria da favola Umbria Valnerina

Oltre la meraviglia della Cascata delle Marmore, l’entroterra umbro invita a inoltrarsi nella sua rigogliosa natura solcata da vivaci fiumi dalle acque ancora limpide, remoti borghi dimenticati dalle carte stradali, stradine a strapiombo sul nulla, torri di guardia, mummie e tracce di antichi laghi di Marco Scataglini

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Superata la barriera urbana di Terni, si entra in uno dei contesti turistici più importanti dell’Umbria, quello delle Marmore. A onor del vero, la stragrande maggioranza dei turisti si limita ad ammirare la possente cascata, prestando attenzione agli orari in cui essa è visibile per concessione dell’Enel, che la utilizza altrimenti per produrre energia elettrica (www.marmorefalls.it). La Cascata delle Marmore è uno dei simboli dell’Umbria, ma anche una delle capitali europee degli sport acquatici estremi. La ricchezza di acqua, la costanza della portata, l’orografia accidentata, ma non al punto da rendere il gioco troppo pericoloso, hanno fatto nascere a Marmore uno dei centri più importanti per il rafting e il canyoning, praticabili in totale sicurezza da chiunque, grazie alle guide esperte. Per il canyoning esistono diversi percorsi, di varia difficoltà, come Pago le Fosse (Ferentillo) o Forra del Casco (Scheggino). Rivolgendosi a Umbria Outdoor (www.umbriaoutdoor. it) si potranno inoltre concordare i percorsi più adatti alle proprie possibilità. La stessa cooperativa è in grado di organizzare trekking e uscite nelle Gole del Serra, dove si trova un percorso attrezzato proprio nel punto in cui il torrente crea un tunnel nella roccia. Il rafting è, infine, l’attività preferita da coloro che visitano Marmore. Il percorso sul Nera, lungo tre chilometri, è molto divertente e piacevole, anche grazie alla bellezza dei luoghi attraversati (Centro Rafting Le Marmore, www.raftingmarmore.com).

Fiumi, gole e borghi sconosciuti Risalendo il corso del fiume Nera (uno dei principali affluenti del Tevere), si incontrano i paesaggi sereni, verdi e tranquilli a cui l’Umbria ci ha abituato, soprattutto quando si varca la “porta” di Ferentillo, entrando così nella parte più alta della valle e ci si trova immersi in un ambiente di prim’ordine, di quelli che restano a lungo nella memoria. Gli elementi ci sono tutti: vasti boschi, acqua in abbondanza (e scevra da inquinamenti), paesini abbarbicati alle colline. E anche curiosità, come le cosiddette mummie di Ferentillo, conservate nella cripta della chiesa di Santo Stefano: forse a causa della presenza di particolari muffe (o alla natura chimica del suolo) i corpi qui sepolti si sono conservati in modo impressionante.

La Cascata delle Marmore è uno dei simboli dell’Umbria, ma anche una delle capitali europee degli sport acquatici estremi

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Inviaggio

In alto, il borgo di Ferentillo. Sotto, graffiti sui muri di un antico carcere nella “Narni sotterranea”, suggestivo percorso tra le memorie della città

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In verità, però, Ferentillo merita la visita per ben altri motivi di interesse. Basti pensare alle possenti opere di fortificazione che chiudono la valle unendo le due parti del paese, Matterello e Precetto, edificate su due colline che si fronteggiano, divise solo dal fiume e dalla strada. Poco più avanti, la splendida abbazia di San Pietro in valle sorge in una posizione magica, interamente circondata dal verde dei boschi. Di antichissime origini longobarde, conserva diversi cicli di affreschi di struggente bellezza, assolutamente imperdibili. Sulla montagna di fronte, dall’altro lato della valle, sorge il minuscolo borgo abbandonato di Umbriano, con la sua alta torre, intatta. La passeggiata che lo raggiunge è poco faticosa e ricca di soddisfazioni ambientali e paesaggistiche. Si deve arrivare al nucleo abitato di La Valle, scendere verso il fiume (strada piuttosto stretta e in netta discesa sulla destra, prestare attenzione), superarlo su un ponticello e trovare l’inizio del sentiero che sale per circa un’ora verso il borgo. Tornando verso Terni, sarà poi imperdibile una visita al piacevole lago di Piediluco, che sorge all’estremità della piana di Rieti (ma in territorio umbro), proprio al di sopra della cascata. Rappresenta, con i laghi Lungo e Ripasottile in territorio reatino, una testimonianza del grande Risalendo lago (ma sarebbe meglio defiil corso del fiume nirlo palude) che un tempo Nera, e varcando occupava la Valle Santa, e che la “porta” di Ferentillo, il verde venne parzialmente bonifipaesaggio si apre su vasti cato dai Romani appunto boschi, numerosi corsi deviando le acque del Velino d’acqua limpida nel Nera grazie alla cascata e paesini abbarbicati delle Marmore. Ricco di avifaualle colline na, in un contesto ambientale di grande serenità, Piediluco è incredibilmente poco noto presso il grande pubblico. Nei pressi di Terni, le acque del Nera ricevono quelle di un piccolo torrente, il Serra. La sua valle, stretta tra alte montagne, è percorsa da una strada tortuosa che mette in collegamento il capoluogo con Spoleto. Oggi la valle è protetta da un Parco e può essere utilizzata dal viaggiatore che si ponga l’obiettivo di visitare l’area


Lo splendido borgo murato di Amelia: importante insediamento romano anticamente raggiunto da una strada che si chiamava, appunto, via Amerina. Tra Lazio e Umbria il suo tracciato è stato oggi in buona parte recuperato e reso fruibile

spoletina oppure di effettuare un anello di grandissimo interesse paesaggistico ricollegandosi con il versante ovest dei Monti Martani, e visitando così gli splendidi borghi di Macerino, Portaria e Cesi, ma anche l’area archeologica di Carsulae. Di borghi interessanti non è certo priva la stessa Valserra. Seguendo la Statale 675, che dallo svincolo di Orte della A1 porta a Terni, si esce a Terni Est e si va verso destra e poi di nuovo a destra sottopassando la Statale e imboccando la strada per Rocca Zan Zenone. Si tratta di un microscopico paese aggrappato alla roccia e dominato da due possenti torri di guardia, proprio all’imbocco della valle. Si può parcheggiare nel piazzale antistante oppure poco più avanti e risalire le stradine del paese, le cui case furono edificate tra il XIII e il XV secolo. Subito dopo Rocca San Zenone la strada provinciale 67 entra nelle gole vere e proprie e dopo il km 5 si trova la prima deviazione (a sinistra) per Acquapalombo. Il paese, che su molte carte stradali nemmeno è indicato, è invece grazioso e merita decisamente una visita.

Scelti per voi dove mangiare

dove dormire

Il Vinaio In questo ristorante i piatti della tradizione vengono preparati con mano sapiente ricorrendo a ingredienti locali. Servizio accurato, ambiente senza inutili orpelli o esagerazioni, accoglienza calda e amichevole. Da assaggiare la parmigiana alla Ternana o la Faraona alla Leccarda. Prezzo medio: 40 euro Via Cavour 22 – Terni Tel. 0744423912

Hotel del Lago Piediluco Collocato sulle rive dello splendido lago di Piediluco, questo hotel offre camere dotate di affaccio panoramico. Nell’annesso ristorante si possono degustare specialità regionali accompagnate da vini locali. Doppia a partire da 86 euro. Vocabolo Mazzelvetta, 4 Piediluco (Tr) Tel. 0744360048 www.hoteldellago.com

Trattoria Nonna Teresa Sebbene la location non incida sui sapori (ottimi) proposti da questo ristorante, assaporarli stando sulle rive del lago di Piediluco ne esalta il piacere, soprattutto quando si degustano le specialità di lago, come la Carpa a porchetta, il tortino di Coregone o l’insalata di pesce olive e mais. Buono il vino locale, ottimi i dolci. Prezzo medio: 30 euro Via Mazzelvetta 15 – Piediluco (Tr) Tel. 0744368158 Pavone d’oro La genuinità dei suoi piatti è il punto di forza di questo ristorante nei pressi del belvedere inferiore della Cascata delle Marmore. Tipica cucina umbra, con particolare attenzione all’uso dei funghi e del tartufo. Si segnalano le Ciriole alla Ternana. Prezzo medio: 30 euro Via Valnerina 95 – Terni Tel. 0744362315 www.barpavonedoro.it

Hotel Torre Palombara Questa residenza d’epoca (risale al XV secolo), perfettamente restaurata, offre tutti i comfort e un’atmosfera tranquilla che invita al relax. Nell’annesso ristorante è possibile scegliere i piatti regionali. Doppia a partire da 160 euro Strada della Cantinetta, 3 - Narni (Tr) Tel. 0744744617 www.torrepalombara.com Albergo Duomo L’hotel, dotato di 32 camere, è situato nel piccolo centro storico, in un antico palazzetto del XVIII secolo. Nel ristorante vengono proposti piatti regionali con particolare attenzione all’utilizzo dei funghi, del tartufo e del famoso olio di oliva umbro. Doppia a partire da 80 euro Piazza Duomo, 4 Sangemini (Tr) Tel. 0744744617

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fuoriporta

Tra i giardini incantati del Lazio Cosa c’è di meglio che passeggiare all’ombra di querce secolari, accompagnati soltanto dal rumore dell’acqua di un ruscello o dal cinguettio di un passerotto? Per provare questo raro piacere visitate le terre del Viterbese, fino a toccare la provincia di Roma. Qui sono custoditi per voi veri e propri tesori nascosti, ovvero i parchi privati di alcune delle più belle residenze storiche d’Italia. Tutti da scoprire di Ida Santilli

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Parco dei Mostri

Lazio

Salvador Dalì dentro la bocca spalancata di un enorme drago di pietra si siede sulla panca che è stata ricavata dalla roccia con una candela in mano. Poi sale verso il tempietto dorico costruito in onore di Giulia Farnese che celebra l’unione con il principe Vicino Orsini, ideatore del parco, con i simboli dei due casati: la rosa e il giglio. Elegante, scompare nelle ombre delle colonne simili alle ombre dell’inconscio. “Surrealista fin nel viso, nei baffi, negli occhi fissi su quell’insensato e dispotico accostarsi d’immagini che è proprio del surrealismo” racconta il giornalista autore del servizio della Settimana Incom, il famoso cinegiornale dell’epoca che veniva trasmesso nelle sale cinematografiche prima del film. È il 10 novembre del 1938 e l’istrionico artista catalano visita il Sacro Bosco di Bomarzo, nel Viterbese, conosciuto come Parco dei Mostri – dove i mostri sono grandi statue scolpite nel peperino e progettate dall’architetto Pirro Ligorio nel XVI secolo, figure mitologiche e divinità pagane incastonate in una vegetazione rigogliosa, il cui significato è a tutt’oggi ignoto (ma i richiami alchemici sono numerosi) – trovando diretta ispirazione per la sua opera visionaria La tentazione di Sant’Antonio. Da allora il giardino tornò a nuova vita dopo essere caduto nell’oblio: prima di esordire nel cinema di finzione con Cronaca di un amore, anche Michelangelo Antonioni subì il fascino delle spaventose attrazioni e realizzò nel 1949 un documentario di dieci minuti dal titolo Bomarzo in cui le sculture sono fotografate nell’abbandono in cui versavano. I mostri sono sparsi in tutto il parco senza un piano preciso ma seguendo gli spunti naturali suggeriti dagli elementi fisici del luogo: alberi, fossi, avvallamenti, collinette. Così, passeggiando, s’incontra una galleria di personaggi bizzarri: il Drago in lotta coi veltri, la Tartaruga, enormi facce con bocca spalancata (il Mascherone), dei (Nettuno che appoggia il dorso nudo a ridosso di un muro ciclopico) e figure femminili (la Donna opulenta).

In apertura: Villa Farnese di Caprarola (foto: Giovanni Rinaldi)

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fuoriporta

Grandi giardini italiani Nel Viterbese, che vanta la più alta concentrazione mondiale di parchi storici, il giardino all’italiana ha raggiunto la sua massima espressione e Vignanello ne rappresenta l’esempio forse più elegante e sofisticato. Annesso al castello Ruspoli, ospita uno dei più acclamati parterre del Seicento. Ci spostiamo di una manciata di chilometri, verso il lago di Vico, e arriviamo a Caprarola per visitare l’orto all’italiana di Villa Farnese Dall’alto: uno dei “mostri” che vanta una meravigliosa volta del Sacro Bosco di Bomarzo (foto: Nic Barlow) e un dettaglio affrescata con il sistema stellare e le del “labirinto verde” di Villa Lante a Bagnaia (foto: Dario figure dello zodiaco. I “Giardini Fusaro). Nella pagina successiva: bassi” e i “Giardini di sopra” si conil Parco Botanico di San Liberato. Sopra, il gazebo sul laghetto cludono nelle fontane dei Satiri e delle ninfee, sotto la chiesa romanica racchiusa nel bosco della Venere che sorge dal mare. di castagni secolari Poco distante, Villa Lante a Bagnaia merita senz’altro una visita per i giochi d’acqua che riservano cascate, fontane e grottini sgocciolanti. Questi tesori nascosti fanno parte del circuito Grandi Giardini Italiani che ne raccoglie 83, tutti visitabili grazie alla caparbietà di Judith Wade, donna scozzese innamorata del patrimonio della nostra terra, che ha convinto i proprietari delle dimore storiche più affascinanti del Belpaese ad aprire i cancelli e a svelare le meraviglie che vi sono gelosamente custodite. Spostandosi più a sud, intorno al lago di Bracciano, a una manciata di chilometri da Roma, se ne incontrano almeno tre, sconosciuti ma incredibilmente belli. La marchesa Umberta Partizi Montoro ci viene incontro sorridente prima di iniziare la visita guidata al parco che abbraccia il cinquecentesco Palazzo Patrizi. Si tratta di un antico insediamento etrusco e romano che lunghi e accuratissimi restauri hanno riqualificato e valorizzato. Qui niente è affidato al caso, lo capiamo subito da un primo scambio di battute con la marchesa, abile regista dell’allestimento di erbe aromatiche e arbusti fioriti che crescono alla base di maestosi esemplari di pinus pinea, querce, cedri del Libano, magnolie e aceri. La vera particolarità di questo giardino sono le rose, per le quali la marchesa nutre da anni una vera passione, tanto che il suo 100


Nel Viterbese, che vanta la più alta concentrazione mondiale di parchi storici, il giardino all’italiana ha raggiunto la sua massima espressione in termini di eleganza e originalità è annoverato tra i maggiori roseti privati italiani. Ci sono centinaia di rose antiche, magnifici esemplari di Albértine Barbier (varietà del 1821), di Blu Magenta del 1900, di Sweet Juliette, ispirata alle rose ottocentesche. Fa un bell’effetto vederle arrampicarsi sulle vecchie mura del castello di famiglia. Vale la pena visitare anche il vicino Parco Botanico di San Liberato: la chiesa romanica racchiusa in un bosco di castagni secolari conduce sul prato da cui si apre una bella vista sul lago. Il conte Donato Sanminiatelli, e sua moglie Maria Odescalchi, hanno reso spettacolare la condivisione dello spazio: aceri canadesi, ciliegi giapponesi, liquidambar e parrotie persiche convivono con canfore, liriodendri, nysse che d’autunno sembrano prendere fuoco. Una parte del giardino è dedicata alle piante acidofile: vi si possono ammirare camelie in collezione, rododendri, profumate Choysia ternata, bambù neri e naturalmente le rose. Un gazebo, ideale per sorseggiare il tè del pomeriggio, spunta da un laghetto arricchito da ninfee e ranocchie. Ci spostiamo infine ai Giardini Botanici di Stigliano a Canale Monterano, attraversati da nove diverse sorgenti e da due fiumi.Termali e curative, queste acque vantano una storia millenaria: dopo gli Etruschi, i primi affascinati dall’incanto del luogo furono i Romani che elessero Stigliano a residenza termale. I resti sono ben visibili nel parco: le rovine delle terme romane, ampliate dall’imperatore Tiberio, e la strada consolare. Il giardino di venti ettari, restaurato dalla stessa marchesa Patrizi, abbraccia con la sua rigogliosa vegetazione (lecci, roveri, noccioli, tamerici e persino bambù giganti) l’albergo di epoca settecentesca e le terme imperiali. Non è esclusa la possibilità di qualche incontro ravvicinato con uno degli ospiti assidui dell’oasi: aironi, falchi, civette, istrici, tassi, volpi, donnole e faine (Grandi Giardini Italiani,Tel. 031756211 – www.grandigiardini.it).

Scelti per voi dove mangiare La Parolina L’estro dello chef Iside De Cesare viene fuori già dalla carte delle entrée con capesante caramellate, morbidoni di zucca, semi salati ed emulsione di birra scura. Da provare: gnocchetti di zucca gialla, mazzancolle e pesto di crostacei, e il delizioso maialino da latte alle erbe provenzali con purea di castagne dell’Amiata e finocchietto. Prezzo medio: 50 euro Via Giovanni Pascoli, 3 Frazione Trevinano – Acquapendente (Vt) Tel. 0763717130 – 3475308914 www.laparolina.it

Osteria Mamma Pappa Menù a chilometro zero con ricette della tradizione romana e viterbese. Buona la pasta cacio e pepe. Prezzo medio: 20 euro Largo del plebiscito, 4 Montefiascone (Vt) Tel. 0761826759

dove dormire Hotel zodiaco Una struttura del ‘900 con ancora le volte a vela in cotto. Vicinissima alla Basilica di Santa Cristina, ha solamente 12 camere, una per ogni segno zodiacale. Elegante e raffinato, dispone di tutti i comfort. Prezzi: da 60 a 80 euro, a seconda del periodo, per

camera, compresa prima colazione Via IV Novembre, 8 – Bolsena (Vt) Tel. 0761798791 www.primitaly.it/zodiaco Terme di Stigliano Un albergo elegante e raffinato in una dimora del ’700. Dotato di un centro benessere e di una Spa termale, conta tre piscine, coperte e scoperte, per regalare agli ospiti momenti di assoluto relax sia nelle stagioni calde che d’inverno, e un parco di oltre venti ettari. Doppia: da 89 euro Via Bagni di Stigliano, 2 Canale Monterano (Rm) Tel. 0699805977 – 0699675134 www.termedistigliano.it

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l’italiainmostra

Venezia,

tempo di Biennale di Silvana Delfuoco

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Dal 28 agosto al 25 novembre l’Architettura torna protagonista, per la 13ª volta, della storica manifestazione lagunare. Da non perdere, tra un piatto di risi e bisi e un assaggio di sarde in saor, la mostra dello svedese Bertil Vallien

Veneto

Venezia

C’è una Venezia da non perdere e una Venezia tutta da vivere. Quella da non perdere ci accompagna nella visita ai suoi monumenti, tra i più famosi al mondo: la Basilica di San Marco, Palazzo Ducale, la Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari, la Scuola di San Rocco, la Chiesa della Madonna dell’Orto, la Chiesa della Salute... Quella da vivere ci immerge nel cuore pulsante della città. Avverte come comportarsi quando c’è l’acqua alta, fenomeno legato al flusso delle maree a cui i veneziani sono da sempre abituati; racconta di una gastronomia particolare che attinge in ugual misura dalla cucina povera dei pescatori come dai piatti del territorio della nobiltà delle Ville; trasporta all’interno della vita in laguna, dove basta visitare le isole meno turistiche e parlare con la gente che ancora le abita per scoprire realtà inaspettate a fianco di quelle abusate del turismo di massa; ma soprattutto parla di una città continuamente ricca di eventi speciali, qui forse più che in altre parti del mondo legati alla sua tradizione, dove tuttavia anche manifestazioni uniche relative all’arte e alla cultura entrano a far parte della normalità quotidiana.

Una cucina che è stile di vita Venezia: porta d’oriente aperta da occidente. Così ancora oggi si dice di lei e ne fa fede la chiara fama della sua cucina tipica, testimone delle diverse culture che l’hanno attraversata. Dai ben forniti granai della campagna veneta da tempo immemorabile arrivava la farina per confezionare i bigoli, la tipica pasta simile a un grosso spaghetto preparata con lo speciale torchio che ne garantisce la ruvidità; da sempre il mare riforniva di pesci e molluschi le tavole dei dogi come quelle dei più umili pescatori. Ma fu la conquista dell’Oriente a procurare alla città sulla laguna nuovi prodotti, in primo luogo le spezie che, soprattutto tra Medioevo e Rinascimento, hanno caratterizzato il sapore dei suoi

Alla ricerca del bacaro perduto Che differenza passa tra una normale trattoria e un bacaro? Domanda legittima da parte dei turisti che girano in città alla ricerca di uno spuntino “autentico” in quelli che un tempo erano locali caratteristici esclusivamente di Venezia. Legati alla secolare abitudine di gondolieri e pescatori di concedersi qui, a qualsiasi ora, una pausa dal lavoro con un’ombreta di vino buono accompagnata da un cicheto, oggi i bacari si sono in realtà moltiplicati all’inverosimile perdendo spesso le loro dimensioni più autentiche. Quasi introvabili ormai i tradizionali crostini con milza e coradella, il museto, le polpete, i folpeti, tristemente sostituiti da panini, tramezzini e affettati. Quasi introvabili… ma non per chi ha voglia di impegnarsi nella ricerca: provate All’Arco, vicino al ponte di Rialto (Tel. 0415205666); o al Cantinone da Schiavi – solo posti in piedi – a due passi dalle Zattere (Tel. 0415230034); o ancora da Rivetta, vicino al ponte di San Provolo a Castello (Tel. 0415287302).

Tramonto veneziano. Oltre le gondole la vista si apre sulla basilica di San Giorgio Maggiore, sull’omonima isola

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l’italiainmostra

Bertil Vallien 9 Rooms

Nell’ambito degli eventi collaterali della 13ª Biennale di Architettura, viene per la prima volta in Italia con una mostra retrospettiva il maestro Bertil Vallien, il più famoso artista svedese del vetro d’arte a livello internazionale. Oltre sessanta delle sue opere sono ospitate presso gli spazi del veneziano Palazzo Cavalli Franchetti, sede dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti. La mostra, articolata in nove sezioni, intende mettere in luce il particolare interesse dell’artista per il rapporto tra l’uomo contemporaneo e l’ambiente che lo circonda inteso però nella sua accezione più vasta e profonda: la storia, il sacro, il tempo. La sua opera, che per quanto riguarda l’uso delle tecniche e del materiale fa interagire la tradizione scultorea e quella vetraria, punta invece a rappresentare criticamente l’uomo d’oggi colto nella concretezza del suo esistere segnato dalla “società liquida”, di cui a un tempo è protagonista e vittima. Palazzo Cavalli Franchetti Campo Santo Stefano, 2847 Tel. 041739453 www.berengo.com

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piatti. Anche la secolare presenza di un’importante comunità ebraica, di cui ancora oggi esiste tangibile testimonianza, ha lasciato il segno: nei succulenti salami d’oca, come nelle fantasiose invenzioni a base di riso abbinato alle verdure, di cui i risi e bisi costituiscono solo la variante più nota. I lunghi viaggi per mare, che potevano durare parecchi mesi, insegnarono poi l’arte della conservazione dei cibi: ecco da dove nascono le sarde in saor ma anche i bussolai, croccanti biscotti di burro, zucchero e scorza d’arancia. E nei favolosi banchetti offerti dalla Serenissima agli ospiti più illustri, in un’Europa che da sempre conosceva soltanto il miele, stupivano per la loro inconsueta dolcezza i trionfi di zucchero, vere e proprie sculture golose costruite da abili mani con il duttile alimento che qui arrivava dalla Turchia. In alto, la scultura Head 4 del 2011 (foto: G. Ortegren) dello svedese Bertil Vallien, immortalato, nell’immagine in basso, durante la creazione di un’opera in vetro


2012: l’anno dell’Architettura La Biennale di Venezia esiste fin dal 1895: un secolo e più di promozione di arte, cinema, musica, teatro, danza, architettura al servizio della cultura internazionale. Cuore delle manifestazioni divenne ben presto il Padiglione Centrale nei pressi dei Giardini della Biennale nel sestiere di Castello, attorno a cui, fin dai primi del Novecento, si cominciarono a costruire i diversi Padiglioni nazionali a opera di architetti di fama mondiale. Ma fu soltanto dal 1980 che, sotto la direzione di Paolo Portoghesi, ebbe luogo la prima Mostra Internazionale di Architettura, che da allora si svolge ogni due anni in alternanza alla più antica e conosciuta Biennale: l’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Quest’anno la 13ª Biennale d’Architettura si svolge dal 28 agosto al 25 novembre sotto la direzione di David Chipperfield. Intitolata Common Ground, ha come tema il rapporto dell’uomo con l’ambiente (www.labiennale. org/it/architettura/mostra)

In questa pagina, da sinistra, l’opera In Transit (Anod) di Bertil Vallien del 2004 (foto: Anders Qwarnström), e un suggestivo interno di palazzo Cavalli Franchetti, sede di 9 Rooms

Nell’ambito degli eventi collaterali della Biennale di Architettura, sbarca per la prima volta in Italia con una mostra retrospettiva il maestro Bertil Vallien, il più famoso artista svedese del vetro d’arte a livello internazionale Scelti per voi dove mangiare

dove dormire

Osteria di Santa Marina Pescato del giorno per una cucina di tradizione con qualche riuscita sperimentazione. Prezzo medio: 60/70 euro senza vino Campo S.Marina 5911 – Castello Tel. 0415285239 www.ristorantiveneziani.it

Hotel Ca’ Pisani Situato in zona strategica per la visita alla città e alle mostre, tra l’Accademia e le Zattere, a 5 minuti dal Guggenheim e poco più da Punta della Dogana, è un elegante design hotel, arredato con opere d’arte e pezzi déco. Doppia da 215 euro Dorsoduro, 979 – Venezia Tel. 0412401411 www.capisanihotel.it

Vini da Gigio Fritto con le moeche e ottimi vini in un locale tradizionale felicemente rinnovato. Prezzo medio: 60 euro senza vino Cannaregio 3628 – Fondamenta San Felice Tel. 0415285140 www.vinidagigio.com Venissa Una giovane chef, allieva di Gualtiero Marchesi, cucina all’interno di una tenuta agricola da cui provengono tutte le materie prime. Possibilità di pernottamento. Prezzo medio: 60 euro senza vino Isola di Mazzorbo – Burano Tel. 0415272281 www.venissa.it

Hotel Principe Un’atmosfera elegante e ospitale per questo hotel di tradizione, a due passi dalla stazione di Santa Lucia e con vista sul Canal Grande. Doppia da 160 euro Lista di Spagna 147 – Cannaregio Tel. 0412204000 www.hotelprincipevenice.it Hotel Bauer Situato in un’autentica residenza veneziana del XVIII secolo, questo raffinato hotel deluxe cinque stelle ha un ingresso esclusivo con attracco privato sul Canal Grande. Doppia da 300 euro Campo San Moisè, 1459 – Venezia Tel. 0415207022 www.bauervenezia.com/it

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la pagina verde

a cura di

Legambiente Fondazione e Innovazione

Santa Marina Salina (Me)

Eolie, Cilento e Sardegna a gonfie vele In partenza per le ferie? Se la vostra meta è acquatica, prima di fare i bagagli sfogliate la Guida Blu 2012 del Touring e verificate le “vele” della vostra destinazione. Le località marittime più virtuose di quest’anno sono Santa Marina Salina, Pollica e Posada. Per i laghi trionfa il Trentino

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Siete anche voi turisti attenti alla sostenibilità, disposti a spendere qualcosa in più pur di avere garanzie sull’ambiente in cui andrete a trascorrere le vostre vacanze estive? Bene, allora la Guida Blu 2012 fa proprio al caso vostro. Pubblicata con il Touring Club Italiano, la guida riporta le località che, secondo Legambiente, meglio coniugano l’eccellenza balneare con il rispetto dell’ecosistema. Il parametro utilizzato dalla nostra associazione per classificare i comuni virtuosi sotto questo aspetto, sono le tradizionali “vele”. Per quest’anno sono 378 le località costiere marine e di lago segnalate nella Guida Blu. La capolista è Santa Marina Salina (Me) nell’arcipelago delle isole Eolie. È sempre la Sardegna però, a mantenere il primato della regione con la media più alta di vele (3,5) e con ben 4 località a 5 vele. Con

Maratea (Pz), la Basilicata resta sul podio delle regioni a cinque vele, così come Pollica (Sa) porta verso l’alto la provincia di Salerno e la Campania. Rimangono pressoché invariate le posizioni di Toscana e Puglia, che piazzano entrambe tra le prime 13 classificate ben 2 località migliorando però la media di vele che si attesta a 3,15 per la prima e 3,11 per la seconda. Migliora ancora la posizione della Sicilia che, oltre a conquistare il primo posto nella classifica per località, vede sventolare le 5 vele anche a San Vito Lo Capo (Tp) e Noto (Sr). E non parliamo di solo mare: la classifica delle migliori mete per il turismo lacustre vede infatti il Trentino-Alto Adige svettare tra le altre regioni per numero di località tra le prime classificate. Sono addirittura sei quelle che conquistano le 5 vele.


Turismo: il rispetto dell’ambiente paga sempre

Posada (Nu)

Il podio “blu” È l’eoliana Santa Marina Salina dunque a conquistare la vetta della classifica di Legambiente per le azioni intraprese in materia di salvaguardia ambientale e risparmio energetico. In fatto di rifiuti, da queste parti hanno incrementato la raccolta differenziata raggiungendo il 35% (valore tra i più alti di tutta la Sicilia) e acquistato un bio trituratore per l’eliminazione degli scarti vegetali prodotti nel territorio. Sul piano energetico hanno finanziato la realizzazione di pensiline fotovoltaiche per ricaricare biciclette elettriche e promosso l’utilizzo di un mezzo elettrico per l’attività di controllo del territorio da parte della Polizia Municipale. A queste azioni si aggiungono la costante cura per il verde pubblico, una grande attenzione per la pulizia e la protezione dei litorali e del decoro urbano in generale. La perla del Cilento, Pollica (Sa), con le frazioni costiere di Acciaroli e Pioppi, si piazza in seconda posizione e continua a migliorare sul fronte della gestione dell’immondizia raggiungendo il 78% di raccolta differenziata e stabilendo regole in favore della riduzione dei rifiuti come il divieto di utilizzo di stoviglie monouso nei pubblici esercizi o di gettare mozziconi a terra e sulle spiagge. La cittadina cilentana si è dimostrata molto attenta alla cura e alla pulizia dei litorali e dei fondali; recupera inoltre i rifiuti raccolti in mare dai pescatori con riciclo degli stessi nell’isola ecologica comunale. Tra gli altri interventi, quello di riforestazione di circa 5 mila piante di vegetazione mediterranea e l’attivazione di un centro velico per disabili a Pioppi. La sarda Posada (Nu), infine, si piazza quest’anno al terzo posto grazie al grande progetto di salvaguardia ambientale di tutto il sistema costiero che ha permesso la rinaturalizzazione delle dune, la demolizione del ponte di accesso alla spiaggia di “su tiriarzu”, e la realizzazione di un nuovo accesso alla spiaggia per limitare l’affollamento di turisti sulle spiagge esistenti.

Acciaroli (Sa)

Le spiagge con “ 5 vele mare”

Castiglione della Pescaia (Gr)

«Le località con il maggior numero di vele sono quelle che utilizzano la qualità come fattore di competizione sul mercato turistico. Un’analisi effettuata quest’anno per la prima volta sul cosiddetto gotha dei comuni premiati, cioè quelli che si sono posizionati stabilmente ai primi posti della classifica nel corso degli anni, ha messo in luce due aspetti particolari. Da un lato una crescita dell’offerta turistica in questi comuni ben superiore rispetto alla media nazionale e tanto più interessante perché rivolta prevalentemente a un’offerta non convenzionale (agriturismi), quindi strutture a minor impatto ambientale. Dall’altro lato si è registrato tra il 2005 e il 2010 un costante trend di crescita della domanda turistica, più ampio rispetto alla crescita della media delle località balneari (6% contro 3,6%), che non ha risentito delle flessioni legate alla particolare congiuntura economica». (Sebastiano Venneri, responsabile mare di Legambiente)

Capalbio (Gr) Ostuni (Br)

Posada (Nu) Bosa (Or)

Baunei (Og)

Villasimius (Ca)

Pollica Acciaroli e Pioppi (Sa) Maratea (Pz)

Melendugno (Le)

Santa Marina Salina (Me)

San Vito lo Capo (Tp) Noto (Sr)

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di Lucrezia Argentiero

una città in 24 ore

1. Una passeggiata nella Vuccirìa Il più famoso mercato cittadino è la Vuccirìa. Un tempo era immenso, descritto dai viaggiatori del Settecento come una delle meraviglie d’Italia e immortalato dal pittore Renato Guttuso in una celebre tela. Oggi si è ridotto di molto, diventando più un’attrazione turistica che un appuntamento per la spesa giornaliera. Del resto molti venditori si sono trasferiti al Capo o a Ballarò (l’altro mercato cuore pulsante dell’Albergheria, così chiamato da Bahlara, villaggio presso Monreale da dove provenivano i mercanti che lo frequentavano). 2. A contatto con gli arabi: la Kalsa La Kalsa (che deriva dal nome arabo Al Halisah, l’eletta), è uno dei quartieri più antichi della città. Sorta durante la dominazione islamica (nel 937), la cittadella, circondata da una possente cinta muraria, diventò il centro del potere e sede del palazzo dell’emiro, Khalîl ibn Ishâq, e della sua corte, degli uffici governativi, dell’arsenale, dei bagni e delle prigioni. Ci si aggira tra i monumenti in stile arabo-normanno lungo il corso che parte proprio da piazza Kalsa: un concentrato di arte e di storia così unico che un viaggiatore arabo, nel 1184, definì il quartiere “stupendo e simile a Cordoba in architettura e magnificenza”. 3. Immergersi nel verde dell’Orto botanico Un concentrato di verde dalle mille tonalità: boschetti di bambù, ficus giganti dai rami tentacolari, la Victoria regia, la ninfea più grande del mondo. Si dice che Richard Wagner, circondato da queste piante, trovò ispirazione per completare il Parsifal, suo ultimo capolavoro. 4. A rimirar le stelle Quasi d’obbligo una sosta all’Osservatorio Astronomico del Palazzo Reale, dalla cui terrazza si gode uno dei più bei panorami della città. Due cupole per osservare il cielo e un affascinante museo. Davanti agli occhi sfilano numerosi telescopi, insieme ai ritratti e alle storie degli scienziati impegnati a risolvere i misteri dell’universo. 5. La chiesa di Santa Maria dello Spasimo Edificata sui ruderi di epoca araba a partire dal 1506, ha vissuto alterne vicende: trasformata prima in fortezza, poi in teatro, ancora in lazzaretto (durante la peste del 1624), in ospizio per poveri (1835) e, infine, nell’ospedale Principe Umberto fino al 1986, quando viene abbandonata. Oggi, sconsacrata e senza tetto, continua a ispirare scrittori e registi e chi entra ne resta incantato. 108

Palermo in 5 tappe Il capoluogo siciliano mostra, soprattutto in estate, la parte più bella di sé. Una città che sa coniugare “bon vivre”, sport e divertimento a cultura e storia. Le strade offrono scorci inaspettati tra architetture arabe o normanne e scenografie barocche. A completare la magia ci pensa il mare: il suo profumo si avverte in ogni angolo e la famosa spiaggia di Mondello é a pochi chilometri

dove mangiare Osteria dei Vespri Solo prodotti locali. Da assaggiare la pasta al ragù di tonno con menta e fagioli. Prezzo medio: 20 euro Piazza Croce dei Vespri, 6 Tel. 091512861 Ai Vecchietti di Minchiapititto Il nome evoca l’esclamazione dialettale “che fame”. Cucina marinara tradizionale e rivisitata come la pasta con nero di seppia. Prezzo medio: 25 euro Piazza Sant’Oliva, 10 Tel. 091585606 www.aivecchiettidiminchiapititto.com

dove dormire BB22 Un bed and breakfast all’interno di Palazzo Pantelleria. Solo cinque camere ma di grande charme. Doppia da 110 euro Largo Cavalieri di Malta, 22 Tel. 0916111610 www.bb22.it

UcciardHome Per essere “prigionieri del relax” si dorme in questo hotel di fronte al carcere dell’Ucciardone. Design minimalista. Doppia da 147 euro Via Enrico Albanese, 34/36 Tel. 091348426 www.hotelucciardhome.com

dove comprare Pasticceria Alba Per chi ama i dolci – dai cannoli di ricotta, alle cassate, alla pasta di mandorla – o per un assaggio delle vere arancine di riso con ragù di carne. I più pigri possono utilizzare il servizio di “arancinataxi”, messo a disposizione dalla pasticceria con consegna a domicilio, in hotel. Piazza Don Bosco, 7/d Tel. 091309016 www.pasticceriaalba.it

info www.turismopalermo.it

L’idea in più Una serata a La Cuba, il clou della movida palermitana. Qui tra un Mojito e un Rib Eye Irlandese, si possono seguire performances live di tendenza. Non mancano gli happening di video, fotografia, pittura. E può capitare di incontrare stilisti, attori e personaggi dello spettacolo. Tra la clientela di passaggio annovera Megan Gale e Manuela Arcuri, Sergio Muniz e Giorgio Armani. www.lacuba.com

Voli consigliati su Palermo: Air One Per info: www.flyairone.com Call center 892 444 (soggetto a tariffazione specifica)



di Isa grassano

una città in 24 ore

1. A zonzo tra le strade di Gamla Stan La prima cosa da fare è una passeggiata a Gamla Stan, il quartiere medievale sull’isola di Stadsholmen, dove Stoccolma fu fondata nel XII secolo come fortezza. Un labirinto di stradine lastricate in pietra, ricche di gallerie d’arte, negozi di artigianato, botteghe antiquarie, locali e caffé. Qui si trova la Stortorget, la piazza più antica di Stoccolma. È il punto centrale del quartiere ed è da qui che parte Köpmangatan, la strada più antica della capitale, di cui si hanno notizie già nel 1300. D’obbligo una sosta a Palazzo Reale, in stile barocco italiano. Conta 600 stanze e alcune sono visitabili. Ogni giorno si può assistere al cambio della guardia, con la banda musicale che accompagna la cerimonia. 2. A tu per tu con il grande vascello della storia Era il 10 agosto del 1628 quando il vascello di re Gustav Adolf, il Vasa, affondò nel porto di Stoccolma dopo essere salpato per il suo viaggio inaugurale. Nel 1961, dopo 333 anni, il relitto fu recuperato e tuttora fa bella mostra di sé al Vasa Museum (sull’isola di Djurgarden), unico vascello del diciassettesimo secolo conservato al mondo. È decorato con centinaia di sculture in legno intagliato, mentre di fronte alla poppa ci sono le riproduzioni a colori delle opere che arricchivano questa “scultura”: i suonatori di cetra, i putti con la corona reale, le maschere grottesche.

Stoccolma in 5 tappe

3. Un tuffo nel passato a Skansen È il primo museo all’aperto del mondo, risalente al 1891. Qui si può camminare tra cinque secoli di storia della Svezia, dal Nord al Sud, incontro a personaggi in abiti d’epoca che danno dimostrazioni dei mestieri di una volta. Vale la pena entrare nella casa-bottega di Denna per assaggiare un pezzetto di Flatbread Baking, una sfoglia sottile con un retrogusto di finocchietto. Skansen è anche l’unico parco zoologico di Stoccolma con animali nordici (orsi, lupi e linci) ma anche esotici come le buffe scimmiette Lemur Catta, che si stendono al sole quasi fossero su una sdraio.

Foto di Lucrezia Argentiero

Capitale Verde d’Europa (nel 2010) e di recente inserita tra le “dieci città del 2012” (guida Lonely Planet), la capitale scandinava continua a sedurre per vitalità e cultura millenaria. Costruita su 14 isole, è racchiusa tra il lago Malaren a ovest e il Mar Baltico a est. Scopritela, magari in bicicletta, proprio in estate, con la luce del sole che dura fino a sera inoltrata e che rende magico ogni angolo

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4. Inebriare i sensi al museo degli alcolici Mostre temporanee, gallerie d’arte, sala di assaggi, luogo di incontro, ristorante e negozio. Da qualche mese ha aperto Spritmuseum (Museo degli Alcolici, www.spritmuseum.se/en) sull’isola di Djurgården nel centro della capitale. Sviluppa il tema del complesso rapporto degli svedesi con l’alcol. Tutto è pensato come un percorso attraverso le stagioni riprodotte con scenografie, odori, sapori e musica. Il museo ospita anche la Absolut Art Collection, con opere di artisti del calibro di Andy Warhol, Keith Haring e Damien Hirst. 5. A misura di ecostenibilità Si chiama Hammarby Sjöstad ed è il nuovo quartiere ecosostenibile della città, in via di sviluppo, nato dalla ristrutturazione di una vecchia area industriale. Letteralmente significa “città sull’acqua” e fa di questo elemento anche la sua principale risorsa energetica. Ogni struttura qui si basa sull’uso delle risorse rinnovabili: vetro, legno, acciaio e pietra.

dove mangiare

B.a.r. Il pesce lo si sceglie direttamente dal grande bancone a vista e viene cucinato a proprio piacimento. Prezzo medio: 45 euro Blasieholmsgatan, 4 Tel. +46-8 6115331 www.restaurangbar.se Spoon Nautica Nel quartiere ecosostenibile Hammarby Sjöstad. Cucina tipica. Prezzo medio: 25 euro Badbordsgatan, 25 Tel. +46-8 6424019

dove dormire

Scandic Norra Bantorget Un soggiorno in stile green. Prodotti ecologici e lampade a basso consumo. Doppia da 99 euro Wallingatan, 15 Tel. +46-8 51767000 www.scandichotels.com

dove comprare Blueberry Lifestyle Prodotti gastronomici tipici e naturali nel rispetto della “città ecologica”. Regeringsgatan, 40 www.blueberrylifestyle.se

info

www.visitsweden.com La città è piuttosto cara. Vale la pena quindi munirsi della guida Low Cost Stoccolma (Morellini Edizioni), con consigli su dove andare per risparmiare. È bene acquistare anche la Stockholm card che consente l’ingresso gratuito a oltre 80 musei e attrazioni, l’utilizzo di mezzi pubblici, l’escursione in battello (www.visitstockholm.com).

L’idea in più Stoccolma è la destinazione perfetta per gli amanti dell’hiking o per chi vuole vivere un’avventura in bicicletta, in kayak o sulle colline che circondano la città. Il famoso sentiero Sörmlandsleden, lungo quasi 100 kilometri, conduce attraverso foreste di pini, paludi e fiumi in un paesaggio di rocce piatte. Il sentiero Upplandsleden (circa 300 km) costeggia le spiagge del verdeggiante lago Mälaren fino a Sigtuna, la città più antica della Svezia.


Dalle impervie terre a strapiombo sul mare della Costa Viola, dove echeggia ancora il canto mitico delle sirene omeriche, ecco :

I vini del

mare I vini della Costa Viola sono ottenuti dai caratteristici vigneti a gradoni, una tecnica di coltura antichissima utilizzata dalla gente del luogo, terrapieni e terrazzamenti realizzati sui costoni rocciosi a strapiombo sul mare contenuti da muri a secco ( ARMACIE ). Da questa coltura “Eroica� nascono i vini estremi : Armacia, Costa Viola e Scilla.

Casa Vinicola CriserĂ s.r.l - Catona di Reggio Calabria

www.crisevini.it - crisevini@tin.it


Cannonau di Sardegna Vermentino di Sardegna Olio Extravergine di oliva

Argei - Le Fattorie Renolia srl Soc. Agricola Via Municipio, 16 08030 Gergei (CA) Tel. 0782 80 80 22 E-mail info@argei.it - www.argei.it


Piaceri 114

Le mani raccontano Made in Carcere: le borse fatte a mano dalle detenute pugliesi di Lecce e Trani

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I piaceri di Bacco Glera: il tipico vitigno a bacca bianca delle colline trevigiane. Che sa di Prosecco

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Bellezza e benessere Non rinunciamo ai benefici del sole, ma, ovviamente, con le dovute attenzioni

da pag. 128 Rubriche

• Libri • Soste d’arte • Spettacoli • Trendy • Style news

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lemaniraccontano

Made in Carcere,

la stoffa per ricominciare Le avete viste in vendita nei centri dell’Iper, “la Grande I”. Sono le borse realizzate dalle detenute degli Istituti Penitenziari di Lecce e Trani che, attraverso il lavoro sartoriale, hanno iniziato a guardare a se stesse, e al mondo, con occhi nuovi e diversi di Gilda Ciaruffoli 114

Venti donne. Altrettante storie diverse. In comune la voglia di lavorare, imparare, contribuire al benessere della propria famiglia e ripensare la propria vita. Sono le detenute dell’Istituto Penitenziario Borgo San Nicola di Lecce e della Casa di Reclusione Femminile di Trani, coinvolte nel progetto Made in Carcere, in collaborazione con la cooperativa sociale Officina Creativa guidata da Luciana Delle Donne. Assunte con un regolare contratto, lavorano circa 6 ore al giorno, con ago e filo, alla macchina da cucine, scegliendo stoffe, facendo ricorso a tutta la loro creatività per elaborare soluzioni originali. Il risultato? Borse, tracolle, shopper e altro. La media è di circa 1000 borse al gior-

no, per un totale di 500 mila articoli prodotti dal 2008 a oggi. Dati che hanno dell’incredibile, come incredibile è l’emozione di Luciana Delle Donne quado ci racconta la nascita di questo progetto e le ragioni del suo successo. «Ero un’imprenditrice. Prima mi occupavo di innovazione tecnologica, poi ho deciso di occuparmi di “innovazione sociale”», ci spiega. «Organizziamo per le detenute due o tre mesi di formazione grazie alla collaborazione di responsabili esterne che portano in laboratorio – strutture interne al carcere – la loro professionalità in ambito sartoriale. La direzione degli Istituti di pena ci segnala le persone che hanno il desiderio di venire a lavorare con noi, in rapporto anche al turnover delle detenute che terminano il proprio perido di reclusione». Non un progetto formativo a sé stante quindi, ma una vera e propria impresa, con un fatturato e serie prospettive di sviluppo. Le stoffe utilizzate sono donate da alcune importanti realtà sartoriali come Costume National, Borsalino, Miroglio, il Consorzio Mare di Moda. Si tratta spesso di giacenze di magazzino, ma splendide e di altissima qualità. Come lo sono i prodotti finali, oltretutto pezzi pressoché unici: «si arriva anche a un massimo di 20 o 30 borse realizzate con la stessa stoffa, ma poi si ricercano soluzioni ad hoc per ogni singolo prodotto. Se manca il tessuto per terminare una tasca, per esempio, ci si arrangia diversamente».

Un nuovo approccio alla vita Sì, perché tra le varie competenze che le detenute acquisiscono e le abilità che scoprono di avere, c’è anche quella relativa al gusto e allo stile. «Molte delle donne coinvolte nel progetto non aveva mai lavorato prima. E oggi hanno stipendio, ferie, assegni familiari, pause caffè. Acquisiscono così quella dignità che le fa camminare a testa alta, le fa sentire protagoniste. Sono orgogliose dei loro lavori e li mostrano ai figli, quando le vengono a trovare. Figli che d’altro canto sentono di avere una mamma che pensa a loro, che può aiutarli a comprare i libri per la scuola. Si innescano meccanismi del tutto nuo-


vi nella vita loro e delle loro famiglie. Ma non solo – spiega ancora Luciana – le detenute affinano infatti un gusto cromatico ed estetico sconosciuto prima. Forse è difficile da capire,ma vivere in carcere significa vivere nella privazione totale. Rendersi conto di essere completamente “nude”, senza alcuna possibilità di desiderare alcunchè, o con la difficoltà estrema di ottenere anche la più piccola concessione, aguzza l’ingegno e sprigiona la creatività. Senza progetti come il nostro tutte queste potenzialità resterebbero inesplorate e andrebbero perdute: vivere in una cella di tre passi per due è disumano, la creatività è l’unica cosa che ai detenuti non può essere tolta». «Qusto tipo di attività– prosegue Luciana Delle Donne – rappresenta un vantaggio per tutti. Le detenute infatti stabiliscono un contatto diverso con il mondo reale, con il lavoro, e vengono responsabilizzate. È così che imparano a gestirsi in modo nuovo: la teoria serve a poco. Quella che facciamo noi è la differenza tra il dire e il fare! I detenuti sono “invisibili” mentre le persone che lavorano non lo sono più, e sentendo di avere il proprio posto nel mondo smettono di alimentare quell’odio nei confronti di chi “ha avuto di più”, anzi. Si metteono in discussione, e lo fanno in modo impressionante. Arrivando a capire di aver sì commesso un reato, ma di non “essere il reato”. È tutto questo che mi dà la forza e il coraggio di andare avanti in un progetto che meriterebbe un sostegno istituzionale che ci permettesse di crescere». Sì,perché Made in Carcere non usufruisce di alcun aiuto economico da parte delle istituzioni. «L’unico sostegno ce lo danno i privati, nel donarci le stoffe, e realtà come quella di Iper che ci aiuta nella vendita delle borse. Iper ha creduto in noi e vende le nostre borse a prezzo di costo. Non ci sono molti casi di questo tipo e noi siamo davvero felici che Iper ci abbia così sostenuto perché è una testimoniaza reale di come uniti si possa generare benessere comune, del quale si avvantaggia tutta la società».

Le shopping bag, disponibili nei 26 Iper, “la Grande I”, a partire da 5,90 euro, sono pezzi unici, realizzati secondo la sensibilità e lo stile di ogni donna nelle sartorie create all’interno dei due Istituti Penitenziari pugliesi In queste pagine le detenute al lavoro nei laboratori sartoriali e, in apertura, assieme a Luciana Delle Donne

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ipiaceridiBacco

di Roberto Rabachino Giornalista e Presidente IWTO International Wine Tasters Organization

Il Glera, vitigno a bacca bianca, è il componente base del Prosecco e per questo viene spesso chiamato, erroneamente, con quel nome. Storicamente iscritto nel registro nazionale dei vitigni come Prosecco, ha assunto infatti il nome botanico Glera nel 2009. Questa decisione è stata dettata dalla necessità di tutelare a livello comunitario e internazionale il nome Prosecco non più come nome botanico ma come nome del vino a uso esclusivo delle zone a Denominazione di Origine.

Prima delle bollicine

Si scrive Glera, si legge Prosecco Le ripide colline della marca trevigiana sono ricamate da questo vitigno a bacca bianca che, solo nel 2009, ha assunto il suo attuale nome botanico. E se vi siete sempre chiesti quale sia il segreto del successo del Conegliano Valdobbiadene (e non solo), mettetevi pure comodi perché state per scoprirlo!

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Il nome deriva dall’antico vitigno autoctono chiamato Pucinum dai Romani. La tesi che si tramanda fin dal XVI secolo, a seguito degli studi di Volfango Lazio, è che sia originario delle colline carsiche dove esiste una località omonima (Prosecco). Certo è che nella provincia di Treviso, e in particolare nella area di Conegliano Valdobbiadene, il Glera ha trovato l’habitat ideale fin certamente dalla prima metà del Settecento; è stato poi il perfezionamento del sistema di spumantizzazione charmat – per intuito in primis del dottor Antonio Carpenè già a fine Ottocento – che ne ha decretato la fama e l’apprezzamento di cui gode oggi in tutto il mondo. Per produrre il Prosecco Conegliano Valdobbiadene, e non solo, il vitigno più importante utilizzato è proprio il Glera che ne garantisce la struttura base. Nella definizione di questo ruolo, fondamentale è stata l’attività della prima Scuola Enologica d’Italia, ancora oggi attiva a Conegliano, dove venne studiata la migliore forma di coltivazione per la vitivinicoltura locale. I produttori di Conegliano Valdobbiadene iniziarono così a interpretare al meglio questo vitigno – che, coma abbiamo già detto, concorre alla produzione del Prosecco ricamando le ripide colline di vigneti condotti a mano – e a metterne a punto la vinificazione per esaltare le caratteristiche aromatiche, l’eleganza, la freschezza e la vitalità che lo contraddistinguono.


Come ti spumantizzo il Glera Anche la lavorazione è particolare. La prima fase è di pressatura, condotta utilizzando macchine sofisticate che agiscono sugli acini in modo soffice, estraendo solo il mosto fiore che proviene dal cuore dell’acino. Da 100 kg di uva si ottengono al massimo 70 litri di vino. Segue la decantazione, dove il mosto torbido viene lasciato riposare a freddo in vasche d’acciaio per circa 10-12 ore. Al termine dell’operazione la parte limpida inizia la vinificazione grazie ai fermenti naturali che, aggiunti al mosto, provocano la fermentazione alcolica. Al termine della vinificazione si ottiene il vino-base. La spumantizzazione avviene quando il vino-base si è illimpidito. Le diverse partite presenti in cantina, dopo un attento assaggio, sono assemblate. La presa di spuma si svolge con metodo italiano (charmat), grazie all’utilizzo di grandi recipienti a tenuta di pressione, le autoclavi, dove il vino viene introdotto assieme a zucchero e lieviti. Questa tecnica permette di preservare gli aromi varietali dell’uva, che si traducono in un vino fruttato e floreale. Durante la rifermentazione i lieviti utilizzano lo zucchero per produrre Co2, ovvero le bollicine setose che caratterizzano questo vino, ormai un simbolo dell’Italia enologica. La rifermentazione in autoclave avviene per almeno 30 giorni. Terminata la spumantizzazione, l’imbottigliamento, e dopo poco più di un mese il vino è pronto per essere immesso sul mercato. La degustazione ci offre la possibilità di definire il suo colore giallo paglierino tenue reso cristallino dal perlage fine e persistente. Aromaticamente è fruttato con piacevoli sentori di pera, frutta a polpa bianca matura con un elegante sentore floreale di fiori a petalo bianco. Fresco al palato, dove le sensazioni floreali e fruttate percepite in precedenza si esaltano. Cremoso e vellutato in bocca, dà un giusto equilibrio gusto-olfattivo e una suadente sensazione di vivacità.

Fondamentale, per la valorizzazione del Glera, è stata l’attività della prima Scuola Enologica d’Italia, ancora oggi attiva a Conegliano, dove da sempre si studia la migliore forma di coltivazione per la vitivinicoltura locale

Nella provincia di Treviso, il Glera ha trovato l’habitat ideale fin dalla prima metà del Settecento ricamando le ripide colline locali di vigneti condotti a mano

Veneto

Conegliano

Foto e dati: Consorzio di Tutela del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene

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bellezza&benessere

di Francesca Frediani

Qui sotto, la dottoressa Maria Cristina Spezia, direttore scientifico di Pierre Fabre. In basso, da sinistra: olio per il corpo abbronzante di Vagheggi Phytocosmetici, riducente e modellante (27,50 euro); Eau Thermale Avène dei Laboratori Dermatologiques Avène (Gruppo Pierre Fabre), protezione elevata e praticità d’uso (22,70 euro); Perfect Tan Fast SWPF 30 di Incarose, con acceleratore d’abbronzatura (21 euro)

Sole in tutta sicurezza Non rinunciamo a godere dei benefici dell’esposizione solare. Fa bene all’umore e al nostro organismo in generale. Ma con le dovute attenzioni

Poche e semplici regole, ma tassative, ci doneranno una pelle ambrata senza problemi immediati (eritemi e ustioni) e rischi futuri più seri. La ricerca scientifica applicata alla cosmetica ci viene in aiuto, con prodotti protettivi sempre più mirati ed efficaci. Abbiamo chiesto spiegazioni in merito alla dottoressa Maria Cristina Spezia, direttore scientifico di Pierre Fabre. Quale filosofia indirizza la ricerca e la produzione di prodotti solari? Innanzi tutto la sicurezza: i foto protettori devono essere efficaci e ben tollerati anche dalle pelli più sensibili, e rispettare le raccomandazioni e le normative della Commissione Europea. I filtri usati devono ave-

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re un corretto rapporto tra la protezione dai raggi UVA e UVB, una buona resistenza all’acqua e mantenere la foto protezione nel tempo. Si può parlare di nuove tendenze nelle formulazioni? Oggi le linee di solari si differenziano per rispondere alle diverse esigenze: per chi è attento alla polisensorialità si privilegiano oli, spray multifunzione (per corpo e capelli) e profumazioni esotiche. Per chi vuole una protezione anche dall’invecchiamento cutaneo ci sono principi attivi potenti antiossidanti. Per i bambini, o per pelli intolleranti e allergiche, esiste la protezione a base di filtri 100% minerali.

Le radiazioni solari

I prodotti solari devono proteggere da due tipi di raggi: UVB: restano in superficie, abbronzano e sono responsabili degli eritemi. UVA: penetrano nel derma, producono radicali liberi e foto invecchiamento.

I filtri

Chimici: sostanze di sintesi che assorbono le radiazioni, soggetti a legislazioni severe. Fisici (o schermi): derivati dai metalli (ossido di zinco, biossido di titanio), riflettono le radiazioni. Adatti a bambini e ai soggetti allergici.

Abbronzatura

Protezione suggerita

No

SPF 50+

Costante++

Leggermente abbronzato

SPF 30/50

Chiara

Frequente

Abbronzatura chiara

SPF 25/30/50

Olivastra

Rara

Scura

SPF15/20/25

Fototipo

Capelli

Carnagione

I

Rossi

Lattea

II

Biondi

Chiara

III

Castani

IV

Bruni

Tendenza alla comparsa di eritema

Costante+++ Sempre presente


Coccole a cinque stelle Finalmente in vacanza in un luogo meraviglioso, immerso nella natura e con il massimo del lusso e del comfort: di giorno sdraiati su una spiaggia bianca a goderci il sole, la sera a sorseggire un cocktail a bordo piscina avvolti da un fragranza davvero preziosa. Per voi, prodotti e indirizzi utili a trasformare questo sogno in realtà

Proteggersi dal sole e dall’età Le donne d’estate hanno un sogno: abbronzarsi in sicurezza salvaguardando la bellezza e l’età della pelle. Lierach, per rispondere a queste esigenze, propone Sunfic Solaire, un programma completo di prodotti per la protezione del viso e del corpo, dalle proprietà anti-aging. La linea è declinata in tre gamme: Sunfic 1, 2, 3 per le amanti del sole che attiva l’abbronzatura e la sublima in tutta sicurezza (SPF da 6 a 30), Sunfic Extrême che offre una protezione estrema visibile (50+), e Sunfic Après–Soleil che assicura un’idratazione profonda e un’abbronzatura sublime. Prezzi in farmacia.

Il potere delle pietre preziose Era il 1909 quando Louis Boucheron, figlio del fondatore della nota Maison Boucheron, si recò in India, nell’affascinante regione del Rajasthan, per scoprire i tesori e le pietre rare dei maharajahs, che gli aprirono le porte dei loro palazzi iniziando così una relazione di scambi e di fiducia, in particolar modo con il Maharajah di Patiala, che scelse Boucheron come creatore ufficiale di nuovi gioielli. Iniziò così una lunga collaborazione fatta di pietre preziose e creazioni ispirate alla tradizione indiana. Come il cabochon, un tipo di taglio privo di sfaccettature, attraverso il quale si ottengono pietre dalla base piatta che si trovano spesso su anelli e bracciali; una forma unica utilizzata anche per i tappi dei flaconi delle fragranze firmate Boucheron. Anche oggi la maison francese utilizza il suo schizzo più noto e presenta l’ultima delle sue creazioni preziose: una fragranza racchiusa all’interno di un flacone gioiello ispirata alla magia delle Indie, con un tocco di colore rosa simbolo di ospitalità e di pace per le popolazioni indiane. È un flacone talismano, un vero e proprio portafortuna, dalle note legnose fiorite che rivelano una sensualità forte ma mai eccessiva. Femminilità allo stato puro. È Jaïpur Bracelet. EDP Natural Spray da 50 ml a 60 euro (prezzo consigliato) in profumeria.

Lusso all’isola della Maddalena È stato inaugurato lo scorso luglio il Ma&Ma Grand Hotel Resort, cinque stelle lusso a centocinquanta metri dal mare, a sud-ovest dell’isola di La Maddalena in località Punta Tegge: un palcoscenico privilegiato sui paesaggi insulari più celebri della Gallura. Ma&Ma sono le iniziali dei proprietari della struttura, sardi e amanti della loro terra, che hanno voluto mantenere il più possibile la bellezza del territorio, anche salvaguardando eleganza e comfort. Tra i numerosi servizi dedicati all’ospite vi sono il ristorante L’Antica Isola che propone piatti della tradizione sarda, e in particolare della cucina di pesce curata dallo chef Daniele Fantinato (dal curriculum stellato), e la piscina ecologica ad acqua minerale che, oltre alle proprietà terapeutiche, ha un bassissimo impatto ambientale e un ridotto consumo energetico. Non potevano mancare una Spa, firmata Comfort Zone, con trattamenti di altissimo livello tra cui il Tibetan sound massage che abbina le proprietà degli oli essenziali al benessere trasmesso dal suono armonico delle campane tibetane. La palestra è attrezzata da Technogym e la linea di cortesia per gli ospiti è Acqua di Parma. www.grandhotelmaema.it

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camera con vista

di Gilda Ciaruffoli

Un viaggio nel tempo e nel cuore di Napoli Un’intima roccaforte nel centro antico della città. Ottocento anni di storia racchiusi tra mura imponenti. Siamo a Palazzo Caracciolo, membro di MGallery, esclusiva collezione di hotel dalla personalità unica

Situato nel quartiere storico di Napoli, Palazzo Caracciolo, membro di MGallery – collezione internazionale di hotel unici in cui ogni soggiorno è ricco di emozione e scoperta – è ospitato in una storica fortezza del ’300, le cui mura hanno prestato accoglienza a emblematici personaggi della città, dalla famiglia Caracciolo al Re di Napoli Gioacchino Murat. L’hotel accoglie i suoi ospiti in un affascinante viaggio nel tempo attraverso 800 anni di storia. Al solo varcare il portone del Palazzo, che conduce al maestoso chiostro delle carrozze con i suoi splendidi archi in piperno, è infatti difficile non farsi sedurre dalle suggestioni del passato, immaginando lo scalpiccio dei cavalli e il brulicare della vita di corte. L’eleganza qui pervade ogni angolo, regalando al Palazzo unicità e personalità; in ognuna delle 139 camere, suddivise in Superior, Deluxe, Family, Junior Suite e Suite, si percepisce il senso dell’identità storica, rispettata con solennità, ma fusa alle più moderne esigenze di ospitalità. Emblema della raffinata accoglienza del Caracciolo è il ristorante La Cucina, che invita, non solo gli ospiti ma anche la clientela esterna, a scoprire i tradizionali sapori napoletani, reinterpretati

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Palazzo Caracciolo Via Carbonara, 111/112 - Napoli Tel. 0810160111 - www.mgallery.com

dalla fantasia dello chef Aldo Lanotte. Recentemente l’offerta gastronomica di Palazzo Caracciolo si è arricchita di O’ Brunch, una rivisitazione in chiave partenopea del concetto anglosassone della colazione prolungata, disponibile tutti i sabati dalle 12.30 alle 15.30. E per finire La Cantina, un ambiente raccolto dove degustare un buon calice di vino o lasciarsi sedurre dalle tentazioni della pasticceria napoletana, accompagnate da un autentico espresso. L’alta qualità della cucina e il servizio impeccabile, fusi alle suggestive atmosfere del Palazzo e del chiostro, rendono il Caracciolo la cornice ideale per suggellare occasioni romantiche come matrimoni e commemorazioni, ma anche meeting aziendali da vivere in un contesto indimenticabile: il Palazzo dispone infatti di un centro congressi moderno e funzionale con 8 sale riunioni modulabili e una capienza fino a 80 persone. È inoltre in grado di ospitare eventi fino a 500 persone grazie alla collaborazione con l’adiacente Museo Diocesano. Palazzo Caracciolo rappresenta insomma il perfetto connubio per i viaggiatori che amano farsi viziare dal fascino di una dimora storica senza tralasciare la qualità di tutti i più moderni comfort di ospitalità.


Nella parte più orientale dell’Alto Adige, immerso nel salubre clima alpino del relativo Parco Naturale delle Dolomiti, alle porte della romantica Val Fiscalina, si trova Sesto, “il paese delle Tre Cime di Lavaredo”. Ed è proprio qui, circondato da vette imponenti, tranquille montagne – inserite recentemente nella lista Unesco quale Patrimonio dell’Umanità – e gente che ama la tradizione e ha un forte senso dell’ospitalità, che sorge lo Sport & Kurhotel Bad Moos. Il 4 stelle è uno dei più ricercati hotel di Sesto, con le sue 30 suite e le 32 camere dotate di ogni comfort. La storia dei bagni di Bad Moos è antica e inizia nel 1765 (le sorgenti però sono note almeno dal 1650). Il centro benessere sorge infatti accanto a una famosa fonte di acqua sulfurea che sgorga a 1.950 metri d’altezza dalle pendici del Croda Rossa; dalla piccola capanna che si trova sul retro dell’hotel si può vedere scorrere il torrente di tale acqua ricca di sali minerali, fluoro, zolfo, magnesio e calcio. Queste sostanze permettono agli ospiti della Spa di curare reumatismi, emicrania, allergie, stress psico-fisico e sintomi di invecchiamento precoce del corpo e del sistema cardiocircolatorio.

Ad attendervi qui anche una interessante new entry. La struttura infatti ha recentemente ottenuto il riconoscimento di Medical Spa, e per saperne più sarà possibile incontrare la dottoressa Paola Gigliotti, docente alla Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport e all’Università di Perugia.

A tutto romanticismo Tra i pacchetti proposti, da non perdere le “due giornate speciali per la coppia”, in vigore dal 25 agosto al 31 ottobre 2012. Grazie a questa soluzione, a partire da 259 euro, potrete godervi due bellissime giornate di vacanza, durante le quali accompagnare la vostra anima gemella lungo una passeggiata in una carrozza trainata da cavalli in Val Fiscalina. Inoltre potrete concedervi un Bagno Romantico nella Spa-Suite Rustically Balneo. Ma non solo. Al vostro arrivo troverete una bottiglia di Prosecco in camera. Cosa chiedere di più?

Sport & Kurhotel Bad Moos GMBH Via Val Fiscalina, 27 - Sesto (Bz) Tel. 0474713100 - www.badmoos.it

Dove le Dolomiti raggiungono il massimo dello splendore, nei pressi di Sesto, sorge lo Sport & Kurhotel Bad Moos (in alto). Qui, grazie ai benefici effetti delle acque sulfuree utilizzate nei trattamenti della Spa, il corpo recupera energie e salute. Nelle foto in basso: il centro fitness, uno spazio comune con lo scenografico camino, il bagno di fieno e il ristorante


week end lago

di Gilda Ciaruffoli

Stile imperiale in una cornice da sogno Il lungolago con i suoi giochi di luce, il parco di alberi secolari, il ristorante il Fagiano con l’interessante cucina dello chef Matteo Felter. Per non parlare della Spa Aveda… Tutto questo contribuisce a rendere un soggiorno sul Garda presso il Grand Hotel Fasano, o il boutique hotel Villa Principe da poco inaugurato, una vacanza da re. Anzi, da imperatore! Il Grand Hotel Fasano, perla turistica del Lago di Garda e residenza presso la quale l’imperatore asburgico Francesco Giuseppe amava soggiornare, porta con antica eleganza le sue cinque stelle. All’esterno, colpisce l’unicità del grande parco con curatissimi viali e raffinati gazebo che si snodano tra aiuole fiorite e piante secolari. I colori intensi del parco sono poi enfatizzati dal blu cobalto del Garda su cui affacciano le terrazze dell’hotel, e il cui lunghissimo fronte lago è il fiore all’occhiello che permette ai fortunati ospiti di godere di splendidi effetti di luce sull’acqua. Fu lo stesso imperatore a far qui costruire nel 1800 una fasanerie per le sue battute di caccia; fasanerie da cui l’hotel e la località, Fasano a Gardone Riviera, prendono il nome. La memoria storica del Garda La stagione 2012 si è aperta all’insegna di “un’antica novità”: proprio la nobile fasanerie, infatti, è rinata sotto forma di esclusivo boutique hotel, il Villa Principe, uno chalet di montagna con pareti in roccia e tetti e balconi di legno intarsiato a pochi metri dall’acqua e a lato della residenza centrale,

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completamente ristrutturato in chiave contemporanea mantenendo saldi i valori architettonici della costruzione originale secondo uno stile nordic country chic. Un perfetto connubio tra il comfort di un hotel 5 stelle e la filosofia ecologista che mira all’impatto zero tipica dell’Hotel Fasano e del centro Spa Aveda. Una filosofia che si rivolge a un turismo ecosostenibile ed è attenta all’ambiente e al territorio circostante, e che, in quest’ottica, ha guidato i lavori di restauro della fasanerie, privilegiando l’utilizzo di pietre, marmi e legni locali, lavorati in maniera sapiente con le tecniche tradizionali degli artigiani gardesani. Proprio la loro maestria, unita all’utilizzo di materiali naturali, ha contribuito a rendere ognuna delle dodici camere un pezzo unico, tutte arredate con mobili antichi o in stile, con piccole sculture e rare opere d’arte all’interno. Le camere inoltre, la maggior parte delle quali gode di un incredibile panorama, sono molto spaziose e confortevoli nonostante vengano proposte a listino come standard. Il calore del legno si fonde qui con la luminosità del cristallo e i colori sobri e delicati fanno da cornice ad arredi eleganti curati in ogni dettaglio. La villa si trova immersa


È un perfetto connubio tra il comfort di un 5 stelle e la filosofia ecologista che mira all’impatto zero, l’atmosfera che si respira presso l’Hotel Fasano, il boutique hotel Villa Principe e il centro Spa Aveda

in un’atmosfera romantica, un luogo di charme in un’incantevole ansa del lago ai piedi del Vittoriale, ideale per rilassarsi coccolati da tutti i servizi dell’albergo, con la tranquillità che solo le poche stanze di un esclusivo boutique hotel possono garantire. È chiaro quindi come Villa Principe rappresenti anche un’importante memoria storica per il territorio, nonché un’interessante alternativa ai clienti che vogliono immergersi in un’epoca tanto lontana quanto affascinante. La distanza dalla struttura centrale dell’Hotel Fasano, seppur brevissima, è percorribile a piedi in pochi secondi in un’atmosfera di alta intimità, rafforzata da un giardino riservato, un verde tappeto che si affaccia sul lago. Giardino dove gli ospiti del boutique hotel, magari dopo una ricercata cena degustazione al ristorante il Fagiano, potranno gustare, sotto un gazebo, l’esclusiva colazione gourmet preparata dallo chef Matteo Felter. Matteo Felter: un nome da ricordare La cucina è infatti il punto forte del Grand Hotel, con il ristorante Il Fagiano diretto dall’emergente chef che fonde l’innovazione con i prodotti tipici del lago attraverso giochi di consistenze e una cura totale per ogni particolare. Se la stagione lo permette si cena in terrazza: luci morbide, il parco della villa con le sue magnolie secolari e l’aria frizzante del Garda fanno da cornice a prodotti d’eccellenza selezionati dall’executive chef. La sua cucina si basa infatti su un’accurata selezione degli ingredienti e può essere riassunto in un piatto: il risotto al formaggio Bagoss, rosmarino, lime e noci di macadamia. Un must al ristorante Il Fagiano che contiene il legame con il Garda e la ricerca (per malghe, su per i monti lombardi) del Bagoss più adatto al piatto; l’aroma mediterraneo del rosmarino, la freschezza e il tocco esotico del lime, il gioco di consistenze dato dalle noci di macadamia. Oltre a dirigere Il Fagiano, Matteo Felter cura il ristorante La Darsena, a un chilometro dall’albergo ma sempre sulla riva del lago, dove l’arredamento minimalista e all’avanguardia si unisce a una cucina semplice e genuina. La Darsena è animata da un concept completamente diverso rispetto a quello che guida Il Fagiano: l’alta cucina lascia spazio a semplici carni e pesci alla griglia, pasta fatta in casa, pizze rustiche e dessert classici in un ambiente giovane dove si riscopre il culto dell’aperitivo con assaggi curatissimi e di qualità: gamberi avvolti in pasta di riso croccante da intingere in salsa di lamponi, bocconcini di tonno al sesamo con senape antica e insalata di polipo in vinaigrette. Da questa attenzione ai prodotti d’eccellenza è nata inoltre l’idea di una kermesse enogastronomica che dia spazio a prodotti e produttori di alta qualità: Matteo Felter ha infatti creato nel 2010 la rassegna L’Albergo da Gustare per chiudere in bellezza la stagione dell’hotel, i cui spazi si trasformano per l’occasione in elegantissime sale di degustazione.

Albergo da Gustare, terza edizione La serata di degustazione di vini locali e piatti dello chef si terrà sabato 6 ottobre. All’interno dell’hotel verrà creato un itinerario con vari espositori che presenteranno le prelibatezze del territorio gardesano. Saranno presenti ristoranti, bar, aziende agricole, panifici, frantoi, agriturismi, e tanti produttori di tipicità artigianali normalmente introvabili. Per l’occasione sarà possibile accedere anche a luoghi solitamente riservati al personale, come la cucina e la lavanderia. L’albergo da gustare vuole essere un originale arrivederci alla prossima primavera 2013 con toni piacevolmente informali. Costo del biglietto 65 euro. Massimo 220 ospiti. Per prenotare: 0365290220

Grand Hotel Fasano Via Zanardelli 190 - Gardone Riviera (Bs) – Lago di Garda www.ghf.it

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week end verde

di Olga Carlini

Armonie di natura, arte e benessere Passione e fiducia nella propria realtà e nel territorio che la ospita sono gli ingredienti di una ricetta anti-crisi tutta umbra Centoventi ettari di terreno nel cuore dell’Umbria più verde, dove moderne strutture dalle forme medievali si integrano perfettamente alla delicata natura dei luoghi: è la Tenuta dei Ciclamini, nota anche per ospitare il C.E.T. (Centro Europeo di Toscolano), associazione culturale no-profit fondata dall’autore e poeta Mogol e diretta dalla moglie Daniela, operante in tre settori: musica e cultura popolare, medicina e ambiente. Il coraggio di investire sul territorio con tenacia e costanza ha portato la Tenuta ad ampliare la propria ricettività grazie a 20 nuove camere che si aggiungono alle 50 già esistenti, dotate di tutti i comfort, una rinnovata cucina e varie sale congressi che possono ospitare fino a 250 persone: la Tenuta dei Ciclamini è infatti principalmente un centro per eventi e convention aziendali e le aziende ospitate sono del calibro Microsoft, Barilla, Bayer, Audi, MPS Axa, Il Sole 24 Ore, Confindustria. Tante le possibilità di svago e relax durante un soggiorno alla Tenuta dei Ciclamini: 124

dalle cavalcate alla scoperta dei favolosi itinerari naturalistici locali (grazie a una scuderia di 20 cavalli) in compagnia di esperti istruttori FISE, ai trattamenti del centro benessere completo di sala massaggi e Spa, alle partite di pallone nei campi a disposizione della struttura, alla pesca sportiva nei due laghetti attrezzati; dal tiro con l’arco alla mountain bike. La Tenuta dei Ciclamini, oltre a proporre raffinati menu basati sulla genuinità dei prodotti tipici umbri, organizza anche escursioni nelle vicine città d’arte o presso attrazioni naturalistiche e storiche quali la cascata delle Marmore, la Foresta Fossile e l’antica città romana di Carsulae. Il centro si occupa infine di ricerca scientifica nel campo medico, ottenendo ottimi risultati sulle malattie autoimmuni. L’obiettivo è quello di far nascere nuovi centri di medicina preventiva e predittiva: occorre educare le persone alla necessità di effettuare un “tagliando” almeno una volta l’anno – proprio come le automobili – per proteggere la propria salute.

In apertura una suggestiva immagine in notturna della Tenuta dei Ciclamini. In alto, Mogol e sua moglie Daniela in sella a due cavalli della scuderia interna

Tenuta dei Ciclamini Loc. Casa Pancallo, 3 Avigliano Umbro (Tr) Tel. 074493431 daniela@cetmusic.it iciclamini@cetmusic.it www.iciclamini.it


In estate il caldo e i ritmi lavorativi ci rendono particolarmente stanchi, confusi e stressati. Prendiamoci il tempo per una vacanza all’insegna del benessere: Hotel Caesius Thermae & Spa Resort è l’ideale per fare il pieno di energia e rientrare in ottima forma, fisica e mentale. All’Hotel Caesius Thermae & SPA Resort, di Bardolino, durante l’estate è possibile partecipare alle esclusive escursioni del San Nicolò: un antico veliero dalla splendida alberatura che da maggio a settembre, guidato da un esperto comandante, solcherà le acque del Lago di Garda. Gli Ospiti possono prenotare le escursioni gratuite sul veliero, previste due volte alla settimana, scoprire e ammirare le isole e i deliziosi borghi che si affacciano sulle sinuose coste del Lago (massimo 15 persone a bordo). Chi resta “a terra”, può godere degli ampi spazi esterni del giardino, sempre curatissimo, e rinfrescarsi nelle acque azzurre di ben quattro piscine, di cui due riservate ai bambini. Oppure sostare nel gazebo estivo, dove tutti i giorni dalle 10.30 alle 19.00 si assicura un servizio no-stop con piatti freddi, snack veloci e caffetteria. Per i buongustai il Ristorante “Le Vele” è accessibile su prenotazione anche dall’esterno, dove prosegue l’eccellenza del Ristorante Benacus, con menu à la carte e menu degustazione della cucina Ayurvedica e del territorio (segnalati sulla Guida del Gambero Rosso). È sempre possibile usufruire della Private Spa e del Centro Ayurvedico per affrontare, anche all’ultimo minuto, la prova costume con una remise en forme ad hoc, alternando i benefici delle acque termali ai benefici del percorso Kneipp, in aggiunta all’ampia proposta di massaggi personalizzati e consigliati dai medici del Centro. L’animazione giornaliera prevista per bambini e adulti, organizzata per tutta la stagione in modo discreta e divertente, garantisce sempre la massima tranquillità a chi desidera restare sotto il sole o sotto gli ombrelloni. Nulla potrà il cattivo tempo in quanto l’Hotel Caesius Thermae & SPA Resort dispone internamente di 4 piscine termali, una piscina coperta con idromassaggio, zona wellness (bagno turco, sauna, mediterraneo, frigidarium) e palestra. L’Hotel Caesius Thermae & SPA Resort è aperto tutto l’anno.

Per maggiori informazioni visitate il sito web:

www.hotelcaesiusterme.com 37011 Bardolino (VR) - Via Peschiera, 3 Tel. 045 7219 100 - Fax 045 7219 700 caesius@europlan.it




libri letti per voi

di Gilda Ciaruffoli

Abituati a brioche e cappuccio, le colazioni a base di champagne e caviale, o il Katerfrühstück, il primo approccio con cibo e bevande di chi ha avuto una notte brava, sono un’appetitosa novità. Ursula: Il metodo di conservazione della Matjeshering (aringa maggiolina). Ai nostri tempi può sembrare curioso, soprattutto se il pesce appare sul menù della prima colazione!

Non solo Kartoffeln

Dovendo citare un solo piatto della tradizione, quale scegliereste? Ursula: La carpa, servita alla vigilia di Natale. La maggior parte delle usanze e delle ricette tedesche è infatti legata al calendario liturgico cristiano, le cui grandi feste, con i loro piatti sontuosi, sono così ricche perché tradizionalmente precedute da lunghi periodi di digiuno.

Dall’incontro londinese tra Renata Beltrami, insegnante e giornalista milanese (ma per lunghi anni residente a Monaco di Baviera) e Ursula Köhncke, nomade europea formatasi in scuole italiane prima e tedesche poi, è nato questo itinerario linguisticogastronomico per buongustai illuminati. Tanti gli spunti per conoscere e imparare ad apprezzare la cucina made in Germania ma anche la lingua, le tradizioni e la storia di questa nazione.

Per il corpo e lo spirito Isabella Pavan, curatrice della collana “Percorsi”, ci racconta le sue guide, dedicate a chi ama camminare dentro una storia, un’idea o un’emozione.

Cosa ci dice la cucina tedesca del suo popolo? Renata: Che sono molto più avanti di noi in fatto di integrazione, anche a tavola. Ricette provenienti dall’est europeo e dalla cucina mediterranea, erbe e spezie di ogni tipo fanno parte dei menù tedeschi da secoli. Quali sono le abitudini più curiose che possiamo scoprire leggendo questo libro? Renata: Per noi italiani, i menù della prima colazione.

In fondo al mar Con lo scrittore Andrea Gamannossi ci tuffiamo nel suo libro, un po’ raccolta di racconti, un po’ (non) ricettario.

Mauro Pagliai Editore 7 euro 128

Edizioni Mursia – 14 euro

Come mai il sol leone sembra accendere la voglia di noir? Da sempre l‘estate porta il desiderio di leggere qualcosa di enigmatico, imperscrutabile, sotto l‘ombrellone o al fresco di una pineta. Forse l‘aria stessa, il caldo ci stimolano in questo senso. A me capitava anche da bambino: durante le vacanze leggevo quei libriccini di paura da ragazzi, senza sosta. Da grande poi sono passato ai gialli classici e anche ai thriller degli scrittori americani. Qual è il “suo“ mare e qual è il mare protagonista dei tre racconti? Il mio mare è quello della fuga, dell‘evasione dal quotidiano. Quello invece protagonista dei tre racconti è un mare che nasconde qualcosa di malefico, di malvagio. Ma in definitiva il mare si può trasformare di volta in volta: può essere dolce e mite in un pomeriggio d‘estate, mugghiante e cattivo durante una tempesta invernale.

E le ricette da dove vengono? Oltre al noir e al giallo l‘altra mia grande passione è la cucina. Tutte le ricette contenute in questo libro sono una mia ideazione. Alcuni consigli mi sono stati suggeriti dal mio amico, e grande chef, Amerigo Capria.

Perché scegliere un “cammino spirituale”? Avere una meta, certa ma lontana, è uno dei motori di chi sceglie i “Cammini”. Non per un semplice trekking, ma per il desiderio di mettersi in marcia verso un luogo che abbia una storia. Le nostre guide rappresentano per queste persone uno strumento semplice che dà tutte le informazioni necessarie, che si parta per un viaggio di due settimane o di un mese. Quali sono gli itinerari più suggestivi? Chi ama l’incontro con persone da tutto il mondo, non può perdere il Cammino di Santiago. Chi preferisce la solitudine e la natura deve percorrere il Cammino del Nord o la Via della Plata, e se c’è poco tempo il Cammino Primitivo e l’Inglese. Restando in Italia la suggestione delle foreste umbre, dove è nato il francescanesimo, è una cosa unica. Quali le ultime uscite? Appena pubblicato è Il Cammino di San Benedetto: 16 giorni a piedi o in bici lungo un suggestivo itinerario tra Umbria e Lazio, sulle tracce del padre del monachesimo occidentale. Ma ci sono anche le nuove edizioni dei Cammini più frequentati, con tutte le ospitalità e i percorsi aggiornati al 2012.

Terre di Mezzo Editore 18 euro (Il Cammino di San Benedetto)


www.valdigrano.com


arte soste d’arte

di Gilda Ciaruffoli

Foto di A. Guglielmi

Spadò, l’artista eclettico che incantò l’Europa

Ciak al castello Sottotitolata “Cinquant’anni di Cinema al Castello Odescalchi di Bracciano”, l’esposizione è dedicata alle produzioni cinematografiche, televisive e ai documentari girati nello storico maniero dal 1950 a oggi. Attraverso foto, costumi di scena e video relativi ai più di 150 film qui girati – qualche esempio? Il cuore altrove di Pupi Avati, e le fiction Elisa di Rivombrosa e Coco Chanel – la mostra accompagna in un percorso nell’architettura reale e in quella reinventata da registi e scenografi.

Negli spazi del settecentesco Lazzaretto di Ancona, è in corso la prima grande mostra dedicata alla vita e all’opera di Alberto Spadolini. Spadò, come lo chiamavano i francesi. Nato ad Ancona nel 1907 ed emigrato in Francia alla fine degli Anni ’20, è stato uno dei più eclettici personaggi del ’900, dal talento multiforme e dalla vita avventurosa. Formatosi come pittore, è stato decoratore al

fino al 6 gennaio

Vittoriale di d’Annunzio, di cui diventa prediletto, e al Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia, insieme a De Chirico, Prampolini e Marinetti. Come ballerino si è imposta in Francia all’attenzione dei grandi dell’epoca, da Max Jacob a Jean Cocteau, anche per le sua peculiarità: ballava nudo, con il suo corpo scolpito in mostra e lunghe unghie posticce, o cosparso di polvere luminosa. È stato anche regista di cortometraggi, giornalista per Le Sourire de France, cantante a New York, restauratore di dipinti presso l’atelier di Jules Boucher; illustratore di libri… e tanto altro ancora! fino al 2 settembre

Piazza Mazzini, 13 - Bracciano (Rm) - www.odescalchi.it

Mole Vanvitelliana Banchina Giovanni Da Chio, 28 Ancona www.albertospadolini.it www.museodiffusoancona.it

Re-generation

Elad Lassry La mostra rappresenta ad oggi la più ampia panoramica mai realizzata sul lavoro dell’artista israeliano. L’opera di Lassry è caratterizzata da una riflessione sull’ubiquità dell’immagine nella società contemporanea e sulla possibilità di ridefinire codici visivi conosciuti e abitudini interpretative. Il suo universo è privo di parole: non soltanto i film sono muti ma, più in generale, la perfezione formale dei suoi lavori e la loro elaborata costruzione fanno sì che la possibilità che un’immagine significhi o racconti qualcosa venga per un attimo sospesa. Restano superfici sulle quali si riflettono seduzione e repulsione, ambiguità e straniamento. fino al 16 settembre PAC, Padiglione d’Arte Contemporanea - Via Palestro, 14 - Milano www.comune.milano.it/pac 130

Esposizione collettiva che riunisce più di 50 artisti di diverse generazioni e vuole essere una fotografia sullo stato dell’arte contemporanea a Roma, svelando al pubblico alcune delle ricerche e delle sperimentazioni più interessanti di questa città che sta vivendo una vera e propria rinascita culturale ed è fulcro di un fermento artistico e produttivo che l’ha riportata al centro della scena culturale internazionale. L’esposizione propone un percorso articolato tra video, installazioni, fotografie e performance, selezionando alcuni dei più significativi artisti nati e attivi a Roma, o che hanno scelto la città come tappa importante del loro percorso.

fino al 9 settembre Macro Testaccio Piazza Orazio Giustiniani, 4 - Roma www.museomacro.org



spettacoli

di Gilda Ciaruffoli

Ferrara Buskers Festival Itinerario Danza Piazze e centri storici del Salento, palazzi e chiese diventano protagonisti di spettacoli di grande qualità messi in scena dalla compagnia Balletto del Sud. Accanto a città note come Lecce e Otranto, la manifestazione accende i riflettori anche su piccoli centri quali Acquarica del Capo dove si lavora ancora il giunco, Tuglie, Soleto e Castrignano, in piena Grecìa Salentina, Ugento e Ruffano, le scenografie naturali dell’Area Archeologica di Vaste e la marina di San Foca. Gli spettatori possono così ammirare le interpretazioni degli artisti e scoprire monumenti che diventano cornici e scenografie naturali. fino al 2 settembre località varie, Puglia - www.ballettodelsud.it

Settimane Musicali Meranesi

La Rassegna Internazionale del Musicista di Strada (17-26 agosto) festeggia il quarto di secolo con un omaggio all’Unione Europea Da 25 anni il centro storico di Ferrara si anima, ogni estate, di musica, danze, canti, mimi e giocolieri. Un grande festa che richiama nella bella cittadina emiliana artisti da tutto il mondo. A differenza di quanto avvenuto in passato però quest’anno protagonisti della manifestazione sono i paesi Europei. Tradizione vuole, infatti che la rassegna sia caratterizzata dalla celebrazione di una sola nazione per volta; per questo importante anniversario però gli organizzatori hanno accettato la sfida di portare nella città estense un gruppo per ognuna delle 27 nazioni che formano l’Unione Europea, più un ensemble in rappresentanza di ciascuno degli altri quattro continenti. Per un totale di 31 gruppi invitati. Con questa iniziativa, il Ferrara Buskers Festival vuole portare l’Europa in piazza, mostrarne la ricchezza culturale, invitare a una maggiore compattezza gli europei ma anche riaffermare il proprio impegno per un continente più verde. Oltre ad avere l’ambizioso obiettivo di fissare standard sempre più elevati di sostenibilità nell’organizzazione e nello svolgimento di manifestazioni di tale portata, il contestuale Progetto Ecofestival (il cui slogan è “zero sprechi per una grande festa”) ha infatti dato ottimi risultati fin dal suo esordio e oggi offre visibilità alle realtà “ecologicamente” più virtuose sviluppatesi nell’ultimo periodo. www.ferrarabuskers.com 132

Da anni uno dei più importanti appuntamenti di musica classica in Europa, l’evento si rinnova sempre in piacevoli location come le sale liberty del Kurhaus, il Teatro Puccini, il Duomo di Merano e Castel Tirolo, dove si danno appuntamento anche gli amanti del jazz e gli estimatori della musica da camera. Oltre, infatti, agli eleganti concerti notturni sono previste delle Matinées classiques e le esibizioni Colours of music, apprezzati concerti con incroci di vari generi, per accontentare il pubblico più eclettico. 23 agosto – 20 settembre località varie (Bz) - www.meranofestival.com

Festival delle Nazioni Dalla grande musica sinfonica a quella popolare, dall’operetta alle sonorità d’influenza turca, la 45ª edizione del Festival è dedicata all’Ungheria e propone un approfondimento sul ricco panorama musicale magiaro.

Interpreti d’eccezione, ungheresi e non solo, esplorano a Città di Castello le molteplici sfaccettature di questa cultura musicale, che proprio dall’incontro di etnie diversissime, delle quali è stata testimone per secoli, ha saputo trarre la sua affascinante identità. 25 agosto – 7 settembre Cortile del Castello Bufalini - Città di Castello (Pg) www.festivalnazioni.com


Il Signum, Charming Boutique Hotel sull’Isola di Salina, è stato ricavato da una sapiente ristrutturazione di un antico borgo contadino immerso nel verde a pochi passi dal mare. Ariose e luminose, arredate con mobili d’epoca e tessuti raffinati, dotate di terrazzi o balconcini, le trenta camera hanno ognuna uno stile individuale e costituiscono un perfetto ambiente per il relax. Le sagome di Stromboli e Panarea tracciate sull’orizzonte sono la spettacolare cornice delle terrazze panoramiche dove si possono trascorrere piacevoli momenti, sorseggiare un calice di vino, rinfrescarsi con un drink al cocktail-bar o gustare i sapori genuini dei piatti proposti dal rinomato Ristorante Signum. I profumi degli agrumi, viti e gelsomini accompagnano l’ospite lungo il percorso del Centro Benessere Signum SPA Salus per Aquam. L’ispirazione alle tradizioni dell’arcipelago vive negli ambienti e nei trattamenti a base dei prodotti della generosa terra vulcanica. Una fonte naturale d’acqua geotermale alimenta il percorso benessere all’aperto.

Hotel Signum is a Charming Boutique Hotel situated on the island of Salina. Just a stone’s throw from the seashore and surrounded by gardens, the hotel is the result of careful restoration of a former rural ‘borgo’ and its cluster of houses. The thirty rooms are airy and sunny with period furniture and fine textiles and have either a balcony or terrace. Every room boasts its own unique style, creating the perfect ambiance for rest and relaxation. The silhouettes of Stromboli and Panarea on the horizon form a wonderful backdrop to the scenic terraces which offer the perfect setting for unalloyed pleasure. An experience heightened when sipping a glass of wine, cooling down with a drink at the cocktail bar or enjoying the authentic flavours of the cuisine offered in Ristorante Signum. The scents of citrus fruits, grapevines and jasmine surround guests throughout their time at the hotel spa, Salus per Aquam. The traditions of this archipelago have been the inspiration for both the health complex and for the treatments, using products provided by the generous volcanic earth. A natural geothermic spring supplies water to the outside treatments.

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trendy

di Claudia Dagrada

Glamour e ironia: i must dell’estate La Dolce Vita, Portofino, gli anni ‘50: Frankie Morello esalta non solo l’unicità del nostro Paese, ma anche quella di una donna altrettanto originale e sorprendentemente ironica. Maurizio Modica e Pierfrancesco Gigliotti, anima e cuore del brand, ci raccontano la loro collezione primavera/estate

Il riferimento è quindi agli Anni 50-60? Sì, gli abiti diventano cartoline ironiche da indossare in ricordo di quell’Italia impegnata a crescere e a unirsi, e alla ricerca (ma lo è ancora oggi) della città ideale. La mitica Babele, per unire in un unico luogo non solo le opere e i capolavori simbolo di alcune città italiane, ma anche gli italiani stessi. Quella per l’estate 2012 è una collezione che vuole ricordare che l’Italia, e la moda italiana, sono uniche nel mondo!

Una donna viaggiatrice e retrò la vostra per questa estate 2012. Quali sono le tappe del suo ideale tour nello stile? Portofino, Venezia, Roma, Firenze, la magnifica Costiera Amalfitana: sono certamente loro le vere protagoniste di questo viaggio. Facciamo un salto indietro nel tempo, agli anni in cui l’Italia girava in Vespa e scopriva la Dolce Vita. Lo vediamo bene negli shorts in perfetto stile ciclista che fanno capolino sotto la gonna corta e nel gusto per quel glamour elegante e sofisticato, ma sempre ironico, che ha caratterizzato un’epoca così speciale.

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Il vostro film di riferimento? In questo caso ci siamo ispirati al celebre Souvenir d’Italie, diretto da Antonio Pietrangeli. È la storia di tre ragazze, turiste, una francese, una tedesca e un’inglese che, accompagnate da una serie di sventure girano l’Italia su di una macchina sportiva bianca.



stylenews style

di Lucia Lipari

50 anni portati benissimo

La mini, che tanto faceva impazzire Hugh Grant nel cult Il diario di Bridget Jones, festeggia 50 anni. Da osservatorio privilegiato qual è, eBay ha indagato per l’occasione le abitudini di consumo delle internaute constatando come la minigonna sbaragli ancora la concorrenza, con un capo venduto ogni 34 minuti solo nel 2012. Era invece il 1962 l’anno in cui veniva venduta la prima mini-skirt sulla Kings Road di Londra, nella boutique Bazaar della svaporata Mary Quant, compagna bohemienne del nipote di Bertrand Russell, e le pagine di Vogue in Inghilterra, il paese più conformista d’Europa, scrivevano di un pezzo di stoffa che sarebbe diventato famoso: 10,5 cm sopra il ginocchio che avrebbero segnato una rivoluzione tutta al femminile. Anche se Twiggy, la modella avanguardista che vestì la mini per la prima volta, ignorava che disintegrata l’immagine e la sacralità della donna tutta forme e della mamma ai fornelli, oggi, la celebre skirt non ammalia più sessantottine avide di ideali, ma adolescenti sempre più magre in cerca di facili consensi e successi.

Una Soirèe al Museo Charme e cultura: è questo il binomio che oggi sembra caratterizzare le maisons. Dalla Marie Antoniette in jeans di Karl Lagerfield per la Cruise 2012 di Chanel, in scena nei giardini di Versailles, con un denim ispirato ai fasti delle corti francesi, a Salvatore Ferragamo al Louvre (la prima volta era successo per l’inaugurazione della versione restaurata della Sant’Anna di Leonardo Da Vinci), per presentare la sua collezione Resort 2013. Nella sala del peristilio Denon è stata infatti presentata una collezione fatta di materiali preziosi e dall’allure decontracté davanti a un parterre di ospiti come Hilary Swank e Alain Delon. 136

Royal Look alla XXX Olimpiade Calato il sipario sul Royal Ascot – illustre corsa di cavalli che Oltremanica segna il momento clou della Season – si accendono i riflettori sulla XXX Olimpiade di Londra. Per l’evento fioccano collezioni dai guru della moda, dagli inflazionati fascinators (bizzarri cappellini) alla limited edition di borse oro, argento e bronzo come le medaglie, firmata Miu Miu, alle divise disegnate da Stella McCartney e Giorgio Armani per gli atleti delle rispettive nazionali. Noblesse oblige insegna, però, che le vere regole del dress code siano dettate dal balcone di Buckingham Palace dalla Royal Family e ora da Kate Middleton, regina dell’abito riciclato in questi momenti di spending review.

Moda Uomo all’insegna del food La maison Moschino mette in passerella la sua collezione nel supermercato più elegante di Milano. Le stampe azzardate di pomodori in scatola o di fustini di detersivo si inseriscono all-over su camicie, pantaloni e giacche, fino a formare un patchwork stravagante. Unire cibo e moda, come già visto a Pitti Uomo, è una delle tendenze al maschile più furbe e accattivanti della prossima primavera/estate 2013. Per l’occasione, ogni confezione è stata rimpiazzata da un falso: lattine, barattoli, offerte e cartelli recano tutti la scritta Moschino e sembrano burlarsi della crisi, visto che il mercato della moda e del lusso abbassano lo spread.


“Park, Sleep & Fly” La tua vacanza inizia da noi a partire da 105 euro Liberi di partire, al resto pensiamo noi. Scoprite l’ospitalità Veronese prenotando il pacchetto Park & Fly all’AirportHotel Verona: soggiorno di una notte, parcheggio gratuito per 7 giorni, navetta da/per l’aeroporto. Sconto del 10% sulla migliore tariffa disponibile, presentando la carta d’imbarco.

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Come arrivare: Da Milano: prendere la A4 in direzione Venezia, uscita Sommacampagna, prendere la tangenziale in direzione Aeroporto e seguire le indicazioni per Villafranca. Da Venezia: prendere l’autostrada A4 in direzione Milano e uscire a Verona Sud, imboccare la tangenziale per l’Aeroporto e seguire le indicazioni per Villafranca.


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selezioni

Gusto italiano in poche semplici mosse Tutti i profumi e gli aromi che rievocano i sapori autentici e semplici legati alle nostre tradizioni: è quanto possiamo trovare aprendo una delle confezioni Chef Dovunque – Quanto Basta: la preparazione è veloce, il risultato è garantito! Spaghetti pomodoro e basilico. Spaghetti aglio e olio e peperoncino. Spaghetti cacio e pepe. Pennette all’arrabbiata. Questo il menù 2012 proposto da Quanto Basta, linea del progetto Chef Dovunque firmato Antonio Ranaldo. La confezione Quanto Basta contiene tutti gli ingredienti – di alta qualità, artigianali e biologici – già dosati per la preparazione dei primi piatti della tradizionale cucina italiana e mediterranea, completi di istruzioni in varie lingue e illustrate per consentire a tutti, soprattutto all’estero, la realizzazione di gustose ricette. Le confezioni, pensate per 2/3 o per 4/5 porzioni, consentono così a chiunque di sentirsi uno chef provetto. In occasione del suo esordio promozionale, al Sana di Bologna 2010, il prodotto ha ricevuto l’attenzione dell’Assessorato alle politiche agricole della regione Lazio; da questo incontro è nata la linea dedicata ai piatti tipici della regione realizzati a filiera corta con ingredienti selezionati tra i produttori agricoli e gli artigiani del territorio. Inoltre, Chef Dovunque è certificato Icea, Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale, tra i più importanti organismi del settore in Italia e in Europa. Ma dove si possono trovare le confezioni? Nei punti vendita della intera rete autostradale Italiana gestiti da Autogrill e My Chef, negli aeroporti, presso le stazioni ferroviarie. Negli Show-room dei migliori hotel: a Positano, Pompei, Ercolano, Napoli, Cervia, Roma, Milano… e in quelli della catena Eco World Hotel; negli Store Vie del Gusto a Milano. Da luglio il prodotto, nella sua linea GDO, è inoltre posizionato in alcuni punti vendita Ipercoop (Roma Eur, Roma Casilino, Aprilia, Livorno). B.T. Food Loc. Solfegna Cantoni (Zona Ind.) - Cassino (Fr) Tel.0776728772 - www.chefdovunque.com

In foto la novità disponibile da settembre presso gli aeroporti e i punti vendita autostradali: Tutt’altroAroma, l’ultima proposta Chef Dovunque, il caffè, artigianale e biologico, con la sua moka e le tradizionali tazzine italiane

Ingredienti vincenti I prodotti biologici della linea Chef Dovunque, ideati da Antonio Ranaldo, sono la soluzione moderna per concedersi primi piatti della cucina italiana ovunque, anche in giro per il mondo. Un esempio? Le pennette all’arrabbiata. Nella confezione per 2/3 porzioni troverete: 250 gr di pasta di semolato di grano duro biologico, 20 ml di olio extra vergine d’oliva biologico, 30 gr di sale grosso, 400 gr di pomodori pelati con basilico biologici, 3 gr di mix di aromi biologici (prezzemolo, aglio e peperoncino). Le pennette all’arrabbiata sono stata recentemente protagoniste di uno show cooking presso la lounge Saporbio del Cibus, durante il quale Marco Columbro e Tessa Gelisio hanno cucinato il piatto. Antonio Ranaldo è nato in provincia di Benevento, nel 1960. Cresciuto nel Sannio, si è formato con la cucina, i colori e i profumi dei suoi orti, influenzato da una realtà genuina e incontaminata. Manager creativo, è impegnato nella gestione di varie aziende anche all’estero; e proprio in Perù, nel 2000, è nata l’idea che ha portato 10 anni dopo alla realizzazione di Chef Dovunque. Attualmente Antonio Ranaldo è Direttore Generale della BraIn Trust Holdin S.p.A.


selezioni

Un viaggio da veri enonauti È quella enologica la nuova frontiera del turismo siciliano: solo visitandola, l’isola del sole, si ha infatti la possibilità di conoscerne davvero i frutti, capendo appieno da dove traggano origine le caratteristiche uniche che hanno fatto dei suoi vini un riferimento internazionale. Parola di Alfredo Quignones! «Forse ho perso la capacità di emozionarmi, o forse semplicemente l’abitudine fa vedere con distacco ciò che di bello ci circonda». È questo il rammarico di Alfredo Quignones, vitivinicoltore a Licata, “a sud del sud dell’Italia” come egli stesso definisce il territorio in cui coltiva i suoi trenta ettari di vigneto. Una constatazione che ormai si ripete puntualmente da un paio di anni, da quando cioè Quignones ha deciso di aprire i cancelli della propria azienda agli ospiti che da tutta Italia e dall’estero vengono a visitarla, accolti e accompagnati dallo stesso proprietario. Ed è lo stupore per un paesaggio che, dalla collina lungo le cui pendici è posta l’azienda, si estende fino alla città di Licata e poi al mare Mediterraneo, a caratterizzare l’espressione degli “enonauti” che, non solo nelle stagioni calde, arrivano per una visita in cantina: visita che spesso si protrae per un pomeriggio o una mattina intera, percorrendo strade interne in terra battuta (le trazzere), salendo fino alla cima della collina e infine degustando calici di vino accompagnati da salumi e formaggi locali o, se si vuole, partecipando al classico pranzo rustico a base di abbondanti grigliate di carne (uno schiticchio, come dicono qui). «È bello vedere come gli ospiti si stupiscano nel trovare lungo i sentieri tante piante di finocchietto selvatico o di capperi, conoscendone fino a quel momento solo il frutto sotto vetro» prosegue Quignones. «È questa emozione che ormai mi manca, essendo cresciuto in questi luoghi e avendo sempre raccolto i frutti che la nostra terra offre spontaneamente! Ma è bello leggerla negli occhi di chi viene a trovarci: è la conferma che viviamo davvero in una terra speciale, anche se spesso tendiamo a dimenticarlo!». Aziende Agricole Quignones Corso Vittorio Emanuele, 62 - Licata (Ag) Tel. 0922770157 - Info: www.quignones.it

Fiocco “rosato” in casa Quignones Una terra speciale, quella siciliana, come speciali sono i frutti che produce. Non solo l’ormai blasonato Nero d’Avola, ma anche varietà alloctone, come lo Chardonnay, il Syrah, il Petit Verdot (autentica chicca e vanto dell’azienda) e autoctone, quali l’Insolia e il Nero Cappuccio. Questo, in particolare, è alla base dell’ultimo nato in casa Quignones. A conclusione di un lungo processo di rincorversione dei vigneti presenti in azienda, sono state infatti privilegiate forme di allevamento a contro spalliera e vitigni di maggiore ampiezza organolettica rispetto agli ormai vecchi “tendoni” e a varietà fortemente produttive ma di scarso pregio. Unico sopravvissuto, proprio un appezzamento di Nero Cappuccio, vitigno originariamente molto diffuso in Sicilia, oggi coltivato particolarmente lungo le pendici dell’Etna, concorrendo al disciplinare dell’Etna Rosso: «abbiamo provato a usare per la sua vinificazione tecniche solitamente adatte alle uve a bacca bianca: il risultato è un vino rosato di grande freschezza e ottimo bouquet, ideale per un abbinamento a tutto pasto poco impegnativo, come si usa soprattutto in estate, ma che si accompagna molto bene anche a crostacei e carni bianche».


selezioni

Qualità da gustare. Garantita La Mela Alto Adige IGP, lo Speck Alto Adige IGP e il Vino Alto Adige DOC in cucina.

Non è un caso che questi tre prodotti “originali” siano portatori dei marchi europei di qualità IGP (indicazione geografica protetta) e DOC (denominazione di origine controllata): nella terra del gusto Alto Adige la combinazione di influssi alpini e mediterranei rendono possibile la produzione di alimenti di altissima qualità che costituiscono la base per una cucina eccellente. Le croccanti e fresche Mele Alto Adige IGP, viziate dal sole e molto conosciute anche oltre i confini italiani, sono uno dei prodotti leader nell’ambito dell’agricoltura ecocompatibile in Europa. Lo Speck Alto Adige IGP è prodotto dalla migliore carne magra di maiale; il suo

sapore aromatico è frutto di una stagionatura particolarmente delicata. Anche il vino in Alto Adige trova condizioni ideali di maturazione. Da circa venti vitigni diversi, su terreni e altitudini molto variegati, cresce una gamma unica di fruttati ed eleganti vini DOC, che si abbinano in modo eccellente alla cucina altoatesina. Le Mele Alto Adige IGP, lo Speck Alto Adige IGP e i Vini Alto Adige DOC possono essere combinati con diversi piatti prelibati, come per esempio il risotto al vino bianco con speck, mela e porro giovane. Il Pinot Bianco Alto Adige rappresenta un abbinamento ideale per questo piatto.

Questa e molte altre ricette interessanti sono disponibili sul sito www.suedtiroler-originale.info, sotto la rubrica “ricette”.


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Raccolta Latte: Il latte di pecora, materia prima del Pecorino Romano, viene raccolto da greggi altamente selezionate prevalentemente dai ricchi pascoli del fertile Agro Romano, da Ottobre a Giugno, nel rispetto del ciclo naturale della pecora da latte.

Salatura: esclusivamente a secco! BRVNELLI ancora oggi come secoli fa, secondo la tradizione romana, porta avanti la salatura a secco, anzichĂŠ ad immersione in salamoia

Stagionatura: dai 12 ai 18 mesi, in antiche grotte naturali tufacee risalenti al periodo Etrusco-Romano del I sec. A.C.

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Finitura: tipica dell’antica Roma e che ancora oggi contraddistingue il BRVNELLI D.O.P. è la sua caratteristica scorza nera, la “cappaturaâ€? nera come comunemente viene definita, simbolo della tradizione Romana

AUT. CONSORZIO PER LA TUTELA DEL FORMAGGIO PECORINO ROMANO N. 63/92 - D.P.R. 30/10/1995 MODIF. COND D.M. 06/06/1995 D.O.P. - REG. CE 1107/96

GARANTITO DAL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI AI SENSI DELL’ART. 10 DEL REG. (CE) 510/2006


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magazine Air One magazine by Viaggi del Gusto è un mensile unico in Italia sulla cultura del cibo e della promozione dell’agroalimentare di eccellenze. L’informazione seria che sfocia nell’approfondimento mensile, le scoperte, le selezioni ne fanno un punto di riferimento credibile ed indipendente nel settore, con una funzione ormai di pubblica utilità.

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Con l’impianto a carico immediato masticazione senza indugi I recenti progressi dell’implantologia garantiscono tempi ridotti e risultati estetici oltre che funzionali I pazienti ai quali è possibile inserire impianti a carico immediato sono i portatori di protesi totale completa e i soggetti affetti da piorrea con i denti compromessi e mobili. L’implantologia, nella sua forma più evoluta ed efficace, prevede l’inserimento degli impianti dentali con un’attesa variabile nel tempo dai tre ai quattro mesi, prima di procedere all’applicazione del carico masticatorio definitivo e duraturo. Ti tratta dei tempi biologici necessari per ottenere l’osteointegrazione degli impianti (viti) in titanio, cioè la loro perfetta saldatura biologica all’osso. Con il carico immediato si soddisfa

senza attese il principale obiettivo del paziente: avere i denti subito, che siano funzionali e che presentino un bell’aspetto naturale. Tutto questo si ottiene grazie alle nuove tecniche chirurgiche, all’esperienza di chi opera e ai materiali utilizzati che devono essere di alta qualità e biocompatibili. Non va poi dimenticato il risparmio di tempo grazie al ridotto numero di sedute. Studi recenti hanno dimostrato che anche con la protesizzazione immediata si ottiene l’osteointegrazione che è il fenomeno biologico chiave per conseguire un’implantologia orale di successo. La condizione necessaria per la predicibilità della tecnica è la stabilità primaria degli impianti al momento dell’inserimento. I candidati al carico immediato sono i portatori di protesi totale completa, che viene sostituita da una protesi fissa nell’arco di una giornata. I vantaggi son tanti anche sotto il profilo psicologico del paziente. Altri candidati sono i soggetti affetti da piorrea con i denti gravemente compromessi e mobili. In questi casi si esegue l’estrazione degli elementi

dentali e il contestuale inserimento degli impianti. Nello stesso giorno si consegna la protesi fissa con un doppio risparmio di tempo e con disagi relazionali ridotti ad un solo giorno. I pazienti candidati a ricevere gli impianti a carico immediato vengono selezionati con adeguate procedure diagnostiche, sia strumentali sia cliniche, al fine di ottimizzare la percentuale di successo. Questa fase diagnostica consente al clinico di operare con la massima sicurezza nel rispetto delle strutture anatomiche sensibili, come il nervo alveolare nella mandibola e il seno mascellare nell’arcata superiore. Costituisce controindicazione la presenza di malattie sistemiche non compensate rilevate da un’accurata anamnesi. Per l’intervento il paziente viene preparato con sedativi per vincere l’ansia e con un adeguato dosaggio di anestetico che permette di controllare il dolore intraoperatorio, mentre gli antidolorifici comuni lo aiutano a sopportare il dolore postchirurgico. Dopo qualche mese, quando il processo di osteointegrazione e di guarigione si è realizzato,

RX panoramica con impianti osteointegrati si procede alla finalizzazione con protesi definitiva, che è in ceramica, con forma, volume e colore dei denti esteticamente eccellenti. Tutti i denti sono avvitati in modo da poter revisionare la protesi ed eseguire reinterventi protesici, quando fossero necessari, senza dover compromettere tutto il manufatto. La terapia di mantenimento sia domiciliare, con l’attento controllo della placca con mezzi e modi adeguati, sia professionale con sedute periodiche di igiene orale effettuate nello Studio, garantisce la durata nel tempo della ricostruzione.



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Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali

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