Intervista a Domenico Militello di Valerio Rabante

INTERVISTA A DOMENICO MILITELLO di Valerio Rabante

INTERVISTA A DOMENICO MILITELLO di Valerio Rabante

In copertina “Ritratto di Domenico” (2007) calco in gesso.

Domenico Militello nasce a Palazzo Adriano (Palermo) il 16-02-1976. Sin da bambino è attratto dal fascino delle arti plastiche in particolar modo la scultura, che comincia a praticare con mezzi rudimentali. In età tardo-adolescenziale si avvicina allo studio del disegno nell’atelier del pittore Francesco Sarullo. Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Palermo negli anni 1996-2000. In questi anni produce diversi lavori su commissioni private e pubbliche. Il suo percorso di scultore è legato alla pratica dell’intaglio del legno e alla ritrattistica.

Vive a Montespertoli (Firenze). Il suo atelier è visitabile in via Ripa, 34 Montespertoli (FI).

INTERVISTA A DOMENICO MILITELLO di Valerio Rabante

Chi è Domenico Militello?

Posso rispondere dicendoti che io mi vedo come una persona che pratica la scultura in funzione di una pratica che si può definire molto artigianale da dare al mio lavoro una luce fortemente anacronistica. Ho una profonda convinzione di quello che faccio ma allo stesso tempo sono altrettanto convinto che i tempi in cui vivo sono diretti su tutt’altra direzione, pertanto per quanto mi riguarda, in quanto il tempo scorre, comprendo che questo anacronismo diventa sempre più complesso da affrontare. In rapporto alla contemporaneità fatta di immagini digitali, dai mezzi di comunicazione di massa, come si definiscono oggi “in tempo reale”, dove l’immagine può essere prodotta con un cellulare e schiaffata su un mezzo di divulgazione a una velocità impressionante ti lascio pensare che ruolo può avere uno come me che pratica la scultura a intaglio, per cui il mio è un volere perseverare verso gli interessi che stanno profondamente legati a questa pratica, che ripeto è fortemente artigianale, non disgiungo i valori che sono quelli della creatività, dell’invenzione dell’immagine, del ripristino della memoria, del ruolo dell’immagine, di quello che è la pratica appunto artigianale dell’arte, mi viene estremamente difficile pensarmi diversamente.

Penso che il valore di un’immagine che produco indifferentemente si può produrre da un telefono cellulare se vogliamo arrivare a questi termini, ma non credo; io sono profondamente convinto che le immagini sono fatte di materia sensibile, per cui se fai un’immagine attraverso uno scatto, già una fotografia cambia dalla dimensione digitale alla dimensione cartacea, per cui se c’è un valore

insito in quella dimensione visiva che pratico è il valore tattile che l’immagine ha per me. Faccio un parallelo, se parliamo di cinema parliamo di un’arte complessa fatta di sceneggiatura, d’immagine, composta da una serie di cose per comporre un’opera che è cinematografica, io non sono contrario alla potenzialità di sperimentalismi che si possono sviluppare con le tecnologie che si rinnovano. Penso, da parte mia, al fatto di continuare a produrre delle immagini che molto spesso sono delle figure senza neanche un senso ben preciso o dei ritratti che si servono di somiglianza, di presenza di modelli, ad esempio il Prometeo in mostra al Palazzo Sant’Elia¹, quella è una scultura fatta attraverso l’utilizzo di un modello, un ragazzino che veniva a posare, poi una trasfigurazione legata al colore e anche al titolo dell’immagine. Questa è una pratica che mi sento abbastanza propria come pratica dell’immagine. Ora la domanda la potrei fare io: quante speranze può avere di funzionare un’operazione di questo tipo in un calderone globale come quello in cui si pratica oggi? Immaginiamo una persona che ha un talento spiccato per le immagini, che ha una forte propensione all’elaborazione elettronica di immagini e produce un’arte visiva con un altro mezzo, io ci trovo una profonda differenza e una profonda affinità di fini, alla fine è la sostanza visiva che deve essere lo scopo dell’opera e io lavoro su questo, qui non posso pensare che la mia opera sia un crescendo di citazioni legati ai momenti della storia dell’arte, la scultura lignea è una pratica che si sviluppa dalla notte dei tempi, che si fa da millenni.

1 “Prometeo” (2013) legno di cirmolo dipinto a tempera grassa. (cm44x78x30). Collocato al Palazzo Sant’Elia (Via Maqueda, 81 Palermo) durante la mostra a cura di V. Sgarbi “Artisti di Sicilia da Pirandello a Iudice”. Dal 4 Novembre al 26 Dicembre 2014.

“Prometeo” (2013) legno di cirmolo dipinto a tempera grassa.

Pag. 3 “L’uomo guarda alto” (2008 - 2010) Legno di frassino dipinto a tempera grassa.

Con quali materiali lavori?

Io lavoro con i materiali più tradizionali con l’argilla, con il gesso, con il legno, con la terracotta (ma poco) con cui ho realizzato delle immagini di spazi. La pratica della scultura in legno va compresa come qualcosa che guarda profondamente il passato, ma nelle sue potenzialità eterne.

Cosa ti ha avvicinato alla scultura?

Per me la scultura è una questione legata all’infanzia per cui non c’è stato un prima. Io penso di poter rispondere dicendo che la pratica della scultura è una cosa che mi sono sempre ritrovato, c’è stato un momento, come per tutti, in cui veniva fatto puramente per gioco, penso come una pratica puramente ludica come i bambini fanno e questa cosa l’ho sempre praticata in questo modo, solo che questo aspetto ludico si è nel tempo legato a una dimensione conoscitiva per cui il gioco prende consapevolezza, la scultura c’è sempre stata, io me la ricordo.

Per il disegno mi potresti dire la stessa cosa, già da piccolo praticavi il disegno?

Per il disegno è una cosa diversa, il disegno è entrato come dimensione educativa, un’educazione alla visione, quando iniziò l’educazione visiva mi sono avvicinato al disegno.

Nei periodi dell’accademia a cosa lavoravi?… cosa studiavi... in cosa consisteva la tua ricerca...

“La piega” (2014) terracotta con superficie a stucco.

La parola ricerca la metterei da parte nel mio caso, perché più che essere una ricerca era appunto appropriarmi di quello che la scuola mi poteva fornire, di quello che l’ambiente dell’accademia poteva darmi a parte le fascinazioni, gli incontri che si potevano avere con persone che avevano gli stessi interessi. Per quanto mi riguarda posso dire che alcune cose me le ero già assorbite parecchio tempo prima dell’accademia, l’accademia mi è servita più che altro alla scultura come pratica

del modellato, come acquisizione delle tecniche su questi aspetti, personalmente non ricordo il periodo dell’accademia come un periodo in cui la mia attività fosse legata ad una ricerca, era legata a una formazione se vogliamo dire educativa. Seguivo come un normale scolaro quelli che erano i corsi dell’accademia, non l’ho vissuto come un periodo speciale e non credevo neanche, non ero proprio convinto, che l’accademia fosse un luogo dove si potesse produrre qualcosa di assimilabile al fenomeno dell’arte. Avevo molto più scambio con il pittore Francesco Sarullo, che all’epoca frequentavo più direttamente, o con Fausto Benvegna, con degli amici, viaggiavo, andavo a vedere delle mostre, ma la questione della ricerca in se per me è un fattore di inquietudine, nel mio lavoro posso dire che di espedienti formali, di qualcosa da inventare sono molto aggrovigliati, non ho mai visto attraverso la scultura di poter fare qualcosa, come appunto, che deve essere nuovo e fresco all’occhio, cose mai viste come nella concezione degli artisti moderni (se si può usare questa parola), me ne posso interessare se qualche artista fa qualcosa che mi attrae, ovviamente non sono ottuso al fenomeno delle arti visive, scarto moltissimo molte cose che non mi interessano, ma non lo faccio per una questione di snobismo o di posizione presa nei confronti di quello che è l’arte moderna.

Pag. 8 “La Notte” (2014) terracotta.

Pag. 9 “L’estate” (2014) terracotta.

Pag. 10 “Natura Morta” (2011) modellato in gesso.

Pag. 11 “Tazza, caffettiera e cucchiaio” (2000) modellato in gesso.

Pag. 12 “I Tre Alberi” (2013) modellato in gesso.

Pag. 13 “Allegoria dell’offerta” (2014) modellato in gesso.

“La Stanza” (2014) terracotta con superficie a stucco.

Quali sono gli artisti del passato e quelli contemporanei che ti destano interesse?

Ecco voglio arrivare su un punto per far comprendere come considero io la storia dell’arte. In genere sono indotto sempre a pensare che se c’è un artista di cui noi non creiamo biografie o storie dell’individuo (così come può essere per un politico, un attore o anche un calciatore), possono destare un interesse in rapporto a quello che loro lasciano, se ci posizioniamo in questo diciamo parametro io penso che l’arte, il fenomeno dell’arte visiva e meglio ancora il fenomeno della musica, un’arte che questo aspetto lo definisce meglio, non ha temporalità. Io non posso fare distinzione tra Rubens e Pollock, distinguo che sono due fenomeni dell’arte con quasi quattro secoli di differenza, Rubens viveva nella prima metà del seicento, era un uomo che ha avuto grossi incarichi diplomatici, era una persona che aveva profondi interessi per quello che era la sua arte e per quello che la sua arte, la sua pittura nello specifico, suscitava agli altri e serviva agli altri; la stessa cosa è per Pollock, ovviamente in questo senso nella temporalità. Su questo aspetto devo dire che io preferisco gli anonimi ovviamente, quegli artisti che non hanno nome, che non hanno una storia, che non sono a-scrivibili, per esempio il pittore che ha dipinto Il trionfo della morte di Palazzo Abatellis a Palermo è un pittore di cui non se ne sa niente, si pensa che la sua faccia e quella del sua aiutante siano dipinte nell’affresco, siamo in una dimensione di visibilità dove l’immagine, la pittura, l’arte viene a contatto con qualcuno che la fruisce, ma allo stesso tempo quelle cose sono a contatto con il tempo in cui sono state concepite e allo stesso modo con una contemporaneità che stiamo vivendo noi, per cui posso dire, per rispondere alla domanda, che gli artisti che mi sono più affini, a cui mi lego per elezione, ci sono ovviamente, però mi rifiuto radicalmente di considerarli del passato o contemporanei, per me l’arte è un fenomeno di estrema contemporaneità perché non ha tempo, non è a-scrivibile l’arte plastica in una tempora-

lità, almeno questo non mi interessa per cui lo escludo, categoricamente non è un criterio per approcciarci […], c’è arte che merita, a mio modo di vedere, di essere apprezzata, studiata, guardata nel senso di una costante relazione e ci sono operazioni di arte visiva che non mi interessano, ma questo mi accade anche con il passato, io vivo a Firenze, una città piena di pittura del Cinquecento, ma il manierismo fiorentino è una cosa che non mi riguarda. Sono stato al museo della Basilica di Santa Croce con i suoi apparati sacri e dove trovi una raccolta di opere che riguardano i secoli, sono arrivato in un punto dove c’era una grandissima tavola del Bronzino pittore “super finito”, diciamo, e mi disturbava, non era nelle mie corde, preferivo andarmi a vedere le tavole del Trecento, contemplarmi gli affreschi di Giotto, Agnolo Gaddi, Spinello Aretino, un bellissimo sarcofago di Tino di Camaino, Ludovico da Tolosa, l’Annunciazione Cavalcante di Donatello, tutte queste opere sono lì dentro, quando arrivo di fronte a qualcosa che non è nelle mie corde, nella mia sensibilità appunto per affinità […] non voglio dire quella lì non è arte, non devo essere frainteso, non c’è appiglio, non c’è continuità.

A sinistra “Donna in attesa di un tempo lungo” (2009) legno di frassino dipinto a tempera grassa.

A fianco “Figura Blu” legno di frassino dipinto a tempera grassa.

Il trasferimento a Firenze, partendo da Santo Stefano Quisquina o da Palermo, ti ha cambiato?

No assolutamente, non mi ha cambiato, però ho più facilità di studiare e di mettermi in relazione con dei pittori, con degli scultori che a me interessano. Un punto è stare a Santo Stefano Quisquina a pensare all’Annunciazione Cavalcante, per dirne una, che guardi su un libro, altra cosa è qua a Firenze dove ho l’opportunità di vederla di presenza; un po’ è come se mi prendesse lo schiribizzo e volessi andare a vedere Il trionfo della morte piuttosto che l’Annunziata di Antonello da Messina o gli apparati di Serpotta, che sono a Palermo. Io penso che una persona seria in questo senso non può vivere di influenze, l’arte si pratica attraverso la memoria per quanto mi riguarda, attraverso la conoscenza delle cose che sono state prodotte precedentemente e che tu ti ritrovi ad affrontare come se già preesistenti, Santo Stefano Quisquina, Firenze o Palermo sono dei luoghi, è in rapporto a come si vive, quello che si svolge, al tempo che si dedica a queste cose, non è la stessa identica cosa.

(Iniziamo a parlare dell’ultima personale, “La luce Scolpita” dove cita l’amico Fausto) […] la cosa che mi ha fortemente toccato e che io ovviamente condivido pienamente quando lui chiaramente dice: “Per tale motivo la società dello spettacolo non può contenere questa tensione; e Domenico infatti non si concede alla trivialità, ci tiene che sia resa giustizia a quel compito che, se correttamente inteso, confina col Sacro; si è da tempo stancato della vetrina idiota, dozzinale, massmediatica, che è mero regno della quantità: egli cerca la qualità e ciò che la origina, e io non posso che condividere e ringraziare che ancora vi siano rari uomini che attendono questo.” ²

[…] qui entra nel personale, capisci è così, non è tanto diversa da come mi sto raccontando in questa diciamo intervista[…].

La scultura credo che non abbia nulla a che vedere con la comunicazione di massa. I presupposti dei fili dell’immagine plastica non sono i presupposti dei fili dell’immagine elettronica, dell’immagine televisiva, nemmeno dell’immagine cinematografica, anche se l’immagine cinematografica merita un posto sicuramente a sè e un riguardo particolare, con ciò non sto dicendo che chi fa operazioni di arte elettronica fa una cattiva arte e che bisogna dipingere con le tempere impastate, non voglio essere frainteso assolutamente, ognuno può fare quello che gli pare e lo può fare come gli pare purché all’interno della sua produttività del proprio fare ci siano dei contenuti visivi e che questi contenuti reggano, che abbiano spessore, questo è difficilissimo non è una cosa semplice, in genere i contenuti sono un prodotto che si ottiene con grande lavoro, grande assiduità, con perseveranza nonché anche con dei fallimenti.

2 Fausto Benvegna scrive di Domenico Militello in occasione della personale “La Luce Scolpita sculture e disegni”, 2014. (Testo all’interno della brochure della mostra).

A fianco “Fausto” (2007 - 2008) Scultura intagliata in legno di noce dipinta a tempera grassa.

(Inizia a parlare della mostra, “Artisti per Noto e Altrove, L’ombra del divino nell’Arte Contemporanea” di V. Sgarbi, D. Cantagalli, per la 54ª Biennale di Venezia nel 2011. Dove legge alcuni passi del libro per chiarire meglio alcuni concetti): “Il suo operare artistico nell’ambito dell’arte religiosa risponde ad un impegno specifico di recupero della “carica costruttiva di spazio collettivo” propria dell’immagine, come l’artista dichiara: “Un tempo l’immagine era un mezzo necessario per transitare l’esistenza, esperienza che nella nostra contemporaneità non è di facile comprensione.

L’immagine era venerata e in casi particolari interrogata, assumeva un valore superiore, sacro, oltrepassando le caratteristiche materiali con cui si manifestava. Nella vita pubblica era centrale, divenendo nel tempo ordine e misura simbolica per la fondazione del tempio”.³

vuoi, la risenti sul lavoro, però ognuno di noi in qualche maniera ha questa differenza da portarsi dietro non ne può fare a meno, non si può parlare di un’idea dell’arte come di un prodotto chiuso, concluso, saremmo parenti di scienziati, non abbiamo formule, teorie matematiche che ci sostengono alle certezze.

dello stesso volume, Sgarbi scrive: “Di recente ho incontrato uno scultore che si chiama Domenico Militello, il quale qualche anno fa ha scolpito per l’eremo della Quisquina, vicino ad Agrigento, un meraviglioso crocifisso in perfetta corrispondenza con l’iconografia tradizionale. L’opera evidenzia l’assenza di quell’effetto di frattura fra l’antico e il contemporaneo, con il tentativo, riuscito, di una figurazione legata all’iconografia religiosa, senza tradire il soggetto, né tantomeno lo stile proprio.⁴ […] Io non ho una visione molto facile di quello che faccio, sono abbastanza rigido nel pensiero che riguarda il mio lavoro, è tanto difficile quanto particolarmente complicato da fare aderire ai tempi in cui viviamo e di conseguenza, vuoi o non

3 V. Sgarbi, “Artisti per Noto e Altrove, L’ombra del divino nell’Arte Contemporanea”, p 219.

4 V. Sgarbi, “Artisti per Noto e Altrove, L’ombra del divino nell’Arte Contemporanea”, p 55.

A fianco “Crocifisso” (1999) legno di cipresso dipinto a tempera grassa dal pittore Francesco Sarullo.

Sopra “Crocifisso” particolare.

Al centro del tuo lavoro è lo studio del ritratto, arte millenaria quanto contemporanea, perché questa scelta?

Il ritratto è la meno estetica tra le forme d’arte, è tra le più antiche si è vero ed anche tra le più praticate tutt’ora. Oggi tantissime persone fanno ritratti, il ritratto esula da estremi di forma o per farli bisogna essere senza paracadute, come diceva qualcuno, tutti i grandi pittori del Novecento sono stati ritrattisti, non ne puoi contare uno che non fosse in grado di fare un ritratto. Sta insito nella natura del dipingere del rappresentare nel ritratto, lo stesso Morandi ha disegnato bottiglie, barattoli per tutta la vita, e pure anche lui è passato dal ritratto e comunque le nature morte di Morandi sono dei ritratti, hanno la stessa pratica, c’è la posa, lo sguardo dal vero, poi è la sostanza pittorica immaginativa di Morandi che ha prodotto quelle opere.

Mondrian era un ritrattista eccezionale, un grande pittore di figure, Freud, Bacon, De Chirico, Otto Dix, Kandinskij, Malevič, Paul Klee, Giacometti, ecco lui è uno scultore che ammiro tanto, Giacometti è uno scultore eterno, che non ha una temporalità definita. Nell’arte del primo umanesimo chi non faceva il ritratto, Brunelleschi, Gian Battista Alberti, era gente che conosceva benissimo la pratica del ritratto. Nell’arte visiva, nell’arte plastica, il ritratto non può tramontare, l’uomo per necessità ontologica rappresenta se stesso, per cui come riconoscere in pari il principio di esistenza è nel principio della rappresentazione: il ritratto.

Il ritratto è tra le arti plastiche, ma come dicevo è la meno estetica, quella che meno si contorna di formalismi, di trovate. Ci sono grandi disegnatori come Modigliani che della pratica del ritratto ne hanno saputo fare anche vertici stilistici di enorme portata, […] Modigliani ne faceva un utilizzo anche di grande stile. Tutta la Nuova oggettività tedesca, una scuola di pittori che vanno dagli anni ’20 fino agli anni ‘70, Beckmann, Otto Dix, Kollwitz, cercando tra libri e cataloghi si può capire che tutta la loro arte è incentrata nei ritratti, anche grandi fotografi nascono e conducono una ricer-

ca sempre sulla pratica del ritratto. È un percorso lungo, un grande sacrificio quella dell’artista, dello scultore soprattutto quando dietro a questo fare praticamente non si combina la condizione finanziaria economica […]. Io non sono disponibile a scendere a compromessi, per me fare scultura è un fattore che viene dall’infanzia per cui se viene dall’infanzia penso che venga dagli istinti della vita per ciò non c’è ragione per cui la possa abbandonare. La contemporaneità come atemporalità e la atemporalità come contemporaneità io mi riconosco in questo principio in questo frangente, non ho un pensiero che possa andare a braccetto con tutti gli entusiasmi della contemporaneità come oggi molte persone pensano che sia il mondo, partecipare all’evoluzione perché magari c’è un fenomeno che si muove verso una corrente, no grazie. Per quanto mi riguarda ho da cercare ancora molto in ambienti più remoti, meno calpestati, meno transitati dal fenomeno, dai riflettori, ecco io non sono ascrivibile, per quanto sia partecipe a delle mostre e mi faccia anche piacere mandare il mio lavoro in giro a farlo vedere.

Pag. 20 “Ritratto di Zagara” (2014) stucco su terracotta.

Pag. 21 “Ritratto di Domenico” (2007) calco in gesso.

Sopra particolare “Ritratto di Massimo” (2001) cera su gesso.

A destra “Ritratto di Annalisa” legno di ciliegio dipinto a tempera grassa.

Interno della mostra “La luce scolpita - Sculture e disegni” (2014) iMago gallery di F. Mochi, Montespertoli, Firenze.

Interno della mostra “La luce scolpita - Sculture e disegni” (2014) iMago gallery di F. Mochi, Montespertoli, Firenze.

“Il cielo” bronzo, legno e terracotta, 2014.

“Donna che scende le scale” (2005) legno dipinto.

MOSTRE 2005 Personale “Sculture e Disegni” a cura di M. Solari, Chiostro di San Benedetto, Conversano (BA).

2006 Collettiva “Nove Artisti Quisquinesi”, Santo Stefano Quisquina (AG).

2007 Collettiva “Arte e Design”, Monastero di S. Scolastica, Bari.

2009 “Personale” a cura di C. Muolo, Galleria “Il Chiodo”, Sermoneta (LC).

2010 Collettiva E. Araujo, B. Varini, D. Militello / galleria “Studio D.R.”, Roma.

2011 Collettiva Circolo degli Artisti, Casa di Dante, Firenze.

2011 Collettiva “Santa Rosalia Eremita” a cura di M. Rabante e G.A. Rabante, Santo Stefano Quisquina (AG).

2011 “Artisti per Noto e Altrove, L’ombra del divino nell’arte contemporanea” a cura di V. Sgarbi, 54° Biennale di Venezia, Palazzo Grimani.

2011/12 “Artisti nella luce di Sicilia” a cura di V. Sgarbi, Palazzo della Cultura, Ex Cortile Platamone, Catania.

2013 Artista selezionato alla ”Prima Biennale di Palermo”.

2014 “ARTOUR-O IL MUST” X anno XIX edizione a cura di T. Leopizzi, Firenze.

2014 “Effetto Frana”a cura di G. M. Carli, Montespertoli, Firenze.

2014 AMACI, 10° Giornata del Contemporaneo. Studio d’Artista. Montespertoli, Firenze.

2014 “Artisti di Sicilia da Pirandello a Iudice” a cura di V. Sgarbi, Palazzo Sant’Elia, Palermo.

2014 Personale “La Luce Scolpita”, iMago gallery di F. Mochi, Montespertoli, Firenze.

OPERE PUBBLICHE 1999 Crocifisso Ligneo, legno di cipresso dipinto dal pittore F. Sarullo. Eremo di Santa Rosalia, Santo Stefano Quisquina (AG).

2003 Scultura di Padre Pio in legno di cipresso dipinto. Chiesa Madre di Cianciana (AG) PREMI 2011 Premio Amalfi (Sezione Scultura), Antichi Arsenali della Repubblica, Amalfi.

“Ho sempre considerato le immagini una sorta di residuo, comprensibilmente, ciò che ci rimane dello sguardo.

Un mezzo che ha funzione attiva nel passaggio tra “reale” ed immaginario e ne sostituisce, se esistono, i ruoli. Una figura nella fattispecie di una scultura con la sua fisicità, il suo peso, il suo spazio occupato, a mio modo di vedere, manifesta in maniera concreta questo residuo. In fondo una delle possibili tracce dell’esistere”.

Domenico Militello