Numero 4, Febbraio 2017

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21\02\2017

N.4

140° anno DALLA FONDAZIONE DEL GIORNALE

Periodico autogestito del liceo Vittorio Emanuele II di Napoli M. Federico, A. Girardi, e L. Pica Ciamarra, in seguito ad approfondite ricerche, sono lietissimi di presentarvi la versione integrale di "Memorie d'un cane", novella di Di Giacomo pubblicata tra il 1877 e il 1878 su "Il Liceo - Giornale Letterario", giornale studentesco del Liceo Ginnasio Statale Vittorio Emanuele II, consultabile online esclusivamente su http://urlonapoli.altervista.org/new/contenutiesclusivi/memorie-d-un-cane

Muslim ban “Le reazioni dell’America all’operato del neo-presidente”

Il 27 gennaio il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha firmato un decreto che “impedirebbe l’ingresso nel paese di terroristi stranieri”. Quest’ordine esecutivo implica il blocco a tempo indeterminato dell’ingresso dei rifugiati siriani in America ,e dei profughi di sette paesi a maggioranza musulmana ( Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen ) per la durata di 90 giorni. Sono stati risparmiati però i paesi con cui Trump intrattiene rapporti economici, come l’Arabia Saudita. Appena entrato in vigore, il decreto ha fatto sì che centinaia di persone fossero fermate una volta atterrate in America e che ad altre addirittura fosse impedita la partenza. Ciò ha causato numerose proteste all’interno degli stessi aeroporti. continua a pag 3


Il tempo nell’uomo

Care lettrici e cari lettori, un giorno un uomo dai tratti sudamericani scrisse una frase: “L'uomo vive nel tempo, nella successione del tempo, e il magico animale nell'attualità, nell'eternità costante.” Era Jorge Luis Borges, in “Finzioni”, anno 1944. Con questa frase, forse, intendeva sottolineare come la figura dell’uomo sia trasversale, come oltrepassi ogni epoca e spazio. Dal fenomeno dell’immigrazione alle note di “La La Land”, eccovi serviti un vortice di parole che pulsa tra le pagine di un semplice giornale studentesco e nelle menti e nei cuori dei suoi scrittori. Scrittori testardi, ricercatori, animati dal senso di testimoniare che accomuna tutti i giornalisti. Perché sì, noi della redazione dell’Urlo siamo ostinati a voler farvi sapere come sta andando il mondo di oggi, nel febbraio 2017, se sta andando in frantumi o se sta risorgendo dalle macerie. Un tuffo nella più attuale delle attualità, un uomo che viaggia nel tempo e piomba qui, recitando a cantilena gli ultimi provvedimenti di Trump. Quest’uomo rimane comunque, in un certo senso, ancorato sempre al passato mentre cammina verso il futuro, e vede sfilare ad ovest i migranti italiani verso le Americhe, così come ad est gli immigrati nigeriani verso una vita migliore. Quest’uomo intanto scrive, sicuro che la sua tavoletta di argilla verrà sostituita da un foglio e poi da un’ammaccata Olivetti, e poi da un computer, software Microsoft o IOS. Lui sa che dovrà combattere contro l’improvvisa sostituzione del mezzo di scrittura, ma sa anche che le sue parole non se ne andranno mai col vento. Rimarranno nelle menti delle generazioni a seguire, vivendo negli anni ed influenzando i Nuovi Uomini. Noi siamo questi nuovi uomini, che vivono quest’attualità e combattono resistendo contro una mal diffusione delle notizie o una loro totale sparizione. Noi siamo il passato, il presente, e il futuro. Pertanto, invitandovi ad accompagnarci in questo viaggio spazio-temporale, vi auguriamo una buona lettura.

Camilla Panniello, IV B Per la redazione tutta dell’Urlo


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Pare che il presidente stia mantenendo allora la promessa elettorale di tenere gli americani al sicuro dal terrorismo islamico ( America first), proposta che gli ha assicurato i voti della classe operaia in cui dilagava il malcontento per il peggioramento delle loro condizioni economiche e per i cambiamenti subiti dalle città a causa degli immigrati. I lavoratori si mostrano poco sensibili al tema immigrazione. Sono tutti convinti che sia necessario fare qualcosa contro l’Isis e sono pronti a sostenere il loro presidente. D’altro canto la maggior parte dei lavoratori sembra molto più preoccupata per i tagli dei posti di lavoro della General Motors che dai profughi provenienti dal Medio Oriente. Alcuni arrivano ad affermare di non essersi quasi accorti delle polemiche sull’immigrazione cha hanno poi generato le proteste negli aeroporti. “Non sono preoccupato del decreto sull’immigrazione, mi preoccupa il fatto che con Trump tutto sembra così drammatico”, afferma Joe Franklin, 33 anni, igienista dentale, elettore dello stesso. Dramma che personaggi come Muna Jondy, avvocata d’origine siriana specializzata in immigrazione, possono confermare. Tralasciando tutti i problemi pratici, la Jondy si concentra anche sulle questioni esistenziali che possono nascere dai problemi giuridici. Molti dei musulmani risiedenti negli Stati Uniti non si sentono più sicuri di poter definire “casa” questo Paese, anche se non mancano casi di persone che dimostrano cieca fiducia e grandissima speranza nelle sorti degli USA. A questi ultimi si affiancano, inoltre, i sostenitori dell’operato del neo-presidente. Yahya Basha, ad esempio, presidente di un’organizzazione per la democrazia in Siria, accetta il blocco dei profughi a patto che Trump assicuri ai siriani aree sicure in cui potersi considerare protetti dai bombardamenti di Assad. C’è anche chi reputa le ultime manovre del Presidente una complessa macchinazione con lo scopo di impressionare i suoi elettori. Ma come giustifica la sua decisione Donald Trump? Affermando che in questo modo i controlli saranno più semplici e più accurati sulle persone che entrano nel Paese, anche se bisogna considerare che già ottenere un visto è un traguardo di considerevole difficoltà. Ma questo processo di “islamofobia” risale a molti anni più addietro. Sempre oggetto della stampa sia di destra che di sinistra l’Islam è considerato dalla prima una minaccia culturale all’identità nazionale, nonché un capro espiatorio verso il quale puntare il dito¸ dalla seconda una cultura

retrograda e conservatrice. Si assiste quindi oggi al boom di un processo al quale negli anni passati non si è mai guardato col giusto interesse.

Sara Marseglia I C


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ATTUALITA’

Il muro del tacos Migliaia di messicani sono scesi per le strade e nelle piazze a manifestare contro il presidente americano Donald Trump, che vuole far costruire fra Messico e Stati Uniti una "recinzione". "Il Messico va rispettato, Mr. Trump" si leggeva sullo striscione in testa al corteo a Città del Messico, dove hanno sfilato circa 20mila persone. I manifestanti hanno marciato per “Paeso de la riforma”, principale via della capitale. "Siamo qui per far vedere a Trump come tutto un Paese, compatto, si rivolta contro di lui e contro quelli che come lui sono idioti xenofobi, razzisti e fascisti. Il Messico non sarà suo schiavo", ha spiegato una studentessa di letteratura. Erick Smith, un americano sposato con una messicana, mostrava un cartello con la scritta "Sorry Mexico". A Guadalajara circa 10.000 persone, soprattutto studenti, hanno protestato contro il muro di Trump. "Peña Nieto",presidente messicano," rispetta il mio coraggio di fronte a Trump", era scritto su un manifesto che invitava il presidente messicano a farsi coraggio. "Trump è un pericolo e Peña Nieto non è all'altezza", gridavano altri. L'ordinanza firmata da Trump per far costruire il muro alla frontiera che dovrebbe frenare l'immigrazione illegale, e l'intenzione del presidente americano di volerne far pagare le spese ai messicani, hanno spinto Enrique Peña Nieto ad annullare la sua visita a Washington prevista per il 31 gennaio. Il presidente americano vuole anche rinegoziare, se non abrogare, l'accordo nordamericano di libero scambio, per lui troppo atto a favorire gli interessi messicani. Se si dovesse innalzare un muro, non solo i messicani ne risentirebbero, ma anche la numerosa fauna che circonda l'area del confine. Stiamo parlando della distruzione di interi habitat a causa dell'uomo, che è tuttora indifferente alla mal impollinazione

del territorio e alla deviazione di importantissimi corsi d'acqua. La zona del confine è abitata da moltissimi animali del continente americano in via di estinzione, circa il 31%. Pur di evitare qualche migrante messicano, il premier a stelle e strisce è pronto a distruggere l’economia di un paese e a causare un incredibile disastro ambientale.

Stefano Napolano, V D


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Cédric Herrou: il passeur buono -10/02/2017 Nizza, Francia. Il contadino francese Cédric Herrou, originario di Breil-sur-Roja, accusato di aver dato asilo a 200 migranti irregolari, è stato multato per 3000 euro. Sono migliaia, ogni anno, i profughi che provano a passare la frontiera tra Italia e Francia utilizzando tunnel ferroviari e stradine di montagna per valicare le Alpi. Ad aiutarli nell’ultimo viaggio illegale nel cuore dell’Europa sono i “passeur”: gente del luogo, Francesi, che in cambio di 100/200 euro sono disposti ad indicare gallerie dei treni in disuso o strade di montagna non sorvegliate. Gli acquirenti disperati di questi passeur sono Senegalesi, Sudafricani, Libici, Algerini: I più fortunati fra questi hanno affrontato un solo viaggio, quello in mare, gli altri, provenienti dall’Africa sub-sahariana hanno dovuto attraversare anche il deserto. Tutti loro sapevano cosa avrebbero dovuto patire per arrivare in Europa, tutti loro conoscevano i rischi, nessuno di loro pensava di dover affrontare ancora un altro viaggio, di dover passare ancora un'altra frontiera. L’accusa mossa dalla procura di Nizza a Cédric Herrou è proprio questa: trasportare migranti illegalmente oltre il confine, al di qua della frontiera, la frontiera che era stata chiusa per fermare il terrorismo. Una sola lieve differenza separa Cédric da un “contrabbandiere di anime”: Cédric non chiede soldi in cambio. Dal 2014 ad oggi ha dato asilo in casa sua a 200 migranti irregolari, senza mai chiedere loro documenti o un compenso; molti altri contadini della Val Roja lo hanno seguito, da anni decine di contadini poveri del sud della Francia vanno a cercare i migranti nei pericolosi passaggi tra le Alpi marittime, che collegano la Liguria con la Francia e danno loro asilo. Sembra incredibile, a volte, intravedere nel buio un barlume di luce e non pare strano che da quando è stata resa nota la sua storia decine di inviati di giornali da tutto il mondo abbiano cercato il leggendario Cédric Herrou. Sembra impensabile che sia successo proprio in un paese come la Francia, dove il dilagare del consenso delle destre estremiste sta prendendo piede come un incendio in un bosco d’autunno. Nella Francia dove più che mai esiste un divario economico tra le classi sociali. Nella Francia dove prevale una forte identità nazionale di uno spocchiosissimo popolo di individui che si credono migliori di tutti gli altri. Un contadino di provincia, appartenente alla classe sociale più esposta alle fandonie della destra estremista, dà così un grande esempio di cittadinanza e impegno civile. In tanti anni è stato fermato dalla polizia più volte, ma ha perseverato. Questa volta la procura ha chiesto 8 mesi di reclusione, ma il tribunale di Nizza ha comminato

3000 euro di multa. Ad aspettarlo fuori dal tribunale emittenti televisive, contadini, seguaci, curiosi: nella Francia della rivoluzione e che ora invece sembra sprofondare sempre di più verso l’oscurantismo, nell’epoca della post-verità, ha vinto di nuovo il vecchio mantra, oramai senza passione con parole vuote: liberté, égalité, fraternité. C’è chi dice che Cédric voglia solo avere visibilità politica, che in fondo non faccia ciò che fa disinteressatamente: forse i francesi vivono nel passato, dal momento che oramai ottenere visibilità politica al tempo di facebook e di internet è facilissimo, talmente facile che in Italia esiste un partito (sfortunatamente) fondato da un comico e un altro più recente fondato da un critico d’arte, che hanno cavalcato l’onda della notorietà internettiana. Lo stesso Cédric ha accusato i politici di considerare la loro posizione come un lavoro e non come un impegno, come dovrebbe essere. Per concludere come potremmo giudicare l’operato di Cédric Herrou se non come un grande atto di impegno civile, un grande atto di fratellanza tra i popoli? Tutto ciò lo dobbiamo a una democrazia salda nelle sue radici antiche, come quella francese. Lo dobbiamo a un sistema scolastico efficiente; che è riuscito a formare dei veri cittadini in una area rurale del sud della Francia, che ha dato loro una testa per pensare e non cadere nella più facile cieca fede nel sistema e ad una politica socialista che ha permesso loro di frequentare la scuola al pari degli altri.

Antonio Girardi IA


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Quando l’aborto diventa una “questione di Stato”: cosa ne pensano davvero le persone? America, 23 gennaio 2017. Donald J. Trump ha appena firmato un decreto che taglia i fondi alle aziende che finanziano gli aborti o che fornisce informazioni su di esso. Il popolo americano -e in generale globale- si rivolta contro uno dei tre decreti firmati nella Sala Ovale (e già approvato nel 1984, ma abolito successivamente da Obama). Al governo repubblicano del neoeletto sono arrivate risposte al confine al limite tra il sarcasmo e la serietà, tra cui l'immagine della svedese Isabella Lövin, classe 1963. Questa, circondata da sette donne, come Trump ha fatto nella sua immagine, firma un decreto sul clima, senza coinvolgere gli uomini. Al di là di tutto, però, cosa ne pensano le persone italiane, che svolgono tranquillamente le loro mansioni quotidiane? "Sono contro l'aborto perchè per me è come se uccidessi una persona e bloccassi una cosa naturale. Inoltre penso sia sempre meglio darlo in adozione" "Considero molto strano il fatto che ogni giorno si uccidano tante vite umane e nessuno ne parli mentre se una donna vuole interrompere la sua gravidanza viene vista in modo negativo dalla società e a volte le viene addirittura impedito di portare a termine l'aborto attraverso vie legali" "Dipende dalla situazione: se una donna ha problemi fisici va fatto, altrimenti non so se sarei d'accordo" "In linea di massima sono favorevole perchè deve essere la donna a decidere senza alcuna interferenza ma con le dovute cautele: infatti l'aborto non deve essere visto come un anticoncezionale e prima di praticarlo ci si dovrebbe informare in modo che l'aborto sia l'ultima sponda" "Sono contraria al fatto che si arrivi all'aborto dopo aver avuto un rapporto sessuale sbagliato perchè il sesso va fatto con le dovute cautele a qualsiasi età. Per gli altri casi, come violenze o problemi di salute del feto o della donna, sono favorevole" "Penso che l'aborto sia vicino all'omicidio e penso che sia meglio dare un bambino in affidamento piuttosto che negargli la vita" “Io non penso che prenderei una scelta del genere ma non impedirei mai a qualcuno di farlo. Infatti per me è sbagliatissimo che un medico ti impedisca di poter abortire o ti esorti a non farlo perchè in questo modo va a ledere la tua libertà" "Sono contro l'aborto per il semplice fatto che un bambino non è mai uno sbaglio e che comunque dentro di te c'é una vita (nonostante non sia ancora formata). Poi il fatto che ci siano delle leggi che dicano che si può abortire prima del terzo mese è sbagliato perché, anche se lo fai dopo una settimana, stai uccidendo una vita e non puoi essere nella mente del bambino che magari vorrebbe vivere. Penso quindi che il provvedimento firmato da Trump sia un bene poichè tutela i diritti del bambino che sono gli stessi di quelli di un uomo di qualsiasi età" "E’ molto triste notare che i principi dei moti femministi degli anni ‘70 siano andati al vento, tra cui quello della libertà che una donna ha sul suo corpo. Poi trovo inaccettabile che Trump e la banda di soli uomini che lo circondavano nel momento in cui ha firmato il provvedimento pretendano di decidere il futuro delle donne, ledendo la loro libertà" "Non sono d'accordo perchè nella maggior parte dei casi è praticato da ragazze che pensano di risolvere la loro situazione togliendo una vita che si è formata. Penso, tuttavia, che sia utile nei casi in cui il feto ha dei problemi che comprometterebbero le sue condizioni di salute per la vita"


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"Sono contraria perchè due persone dovrebbero assumersi, dopo un rapporto, le loro responsabilità. Inoltre al giorno d'oggi esistono numerosi metodi contraccettivi che evitano una gravidanza indesiderata" "Premetto che non avendo vissuto l'aborto sulla mia pelle non so che cosa farei in una situazione del genere ma se una donna si trova incinta e non può crescere il bambino , perchè farlo crescere male? L'adozione potrebbe non essere una scelta migliore poichè non sempre il bambino trova una famiglia adottiva." E’ molto importante però chiarire che nessuna delle persone intervistate ha vissuto l'aborto sulla propria pelle e pertanto ci sembra opportuno ed interessante riportare la testimonianza di una donna americana (pubblicata sulla rivista Vogue), Danielle Campoamor: «Avevo 23 anni quando ho avuto un aborto. Ero fresca di college, avevo un rapporto sentimentale malsano. Non volevo essere madre, sapevo che non potevo esserlo, e il mio compagno non voleva diventare padre. Ora ho un figlio di 2 anni. Metà di tutte le gravidanze negli Stati Uniti sono non volute, e circa un quarto di quelle gravidanze indesiderate si concludono con l'aborto. L'aborto è normale. L'aborto è legale. Lasciatemelo ripetere: l’aborto è un diritto giuridico protetto dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Tuttavia, l'aborto è ancora una scelta stigmatizzata di cui le donne negli Stati Uniti si vergognano, per cui vengono giudicate o da cui sono disincentivate. La retorica che Trump usa nel tentativo di spaventare e far vergognare le donne che ricorrono all’aborto tardivo è terribilmente imprecisa nel migliore dei casi, e pericolosa in quello peggiore. In primo luogo, gli aborti eseguiti dopo 20 settimane costituiscono circa l'1% di tutti gli aborti effettuati negli Stati Uniti. In secondo luogo, molti aborti tardivi si verificano per le gravidanze desiderate: le donne li fanno per necessità, non per “convenienza”, come i pro-life come Trump vorrebbero che il pubblico americano credesse. È a causa delle anomalie fetali o dei rischi per la salute della madre che viene richiesto un aborto tardivo. Il mio aborto, quello per interrompere la gravidanza non desiderata, non era tardivo. Ero a meno di sette settimane di gravidanza quando ho chiamato Planned Parenthood e programmato un aborto sicuro, legale, e opportuno. Tuttavia, ero alla ventesima settimana della mia seconda gravidanza, quando mi è stato detto che il mio bambino avrebbe potuto avere un difetto cardiaco che avrebbe reso impossibile per lui sopravvivere al di fuori dell'utero, se fosse nato con questa condizione medica. Ero devastata e avevo paura, ma ero confortata dal sapere che avrei potuto interrompere la mia gravidanza, molto voluta, e proteggere mio figlio dalla sofferenza. Trump non avrebbe capito nulla di quella scelta, né avrebbe saputo cosa si prova a vivere una gravidanza (voluta o meno). Per fortuna, la diagnosi era sbagliata: abbiamo scoperto, a 25 settimane, che il suo cuore era normale e che sarebbe stato bene, e non ho dovuto prendere la decisione di quella piccola percentuale di donne che sceglie l’aborto. A 23 anni, sono grata di avere avuto la possibilità di terminare una gravidanza indesiderata nelle sue fasi iniziali. Come, a 27 anni, ero confortata sapendo di avere la possibilità di scegliere un aborto tardivo per una necessità medica. Tuttavia, Trump dice che gli aborti tardivi non gli piacciono. A lui. Un uomo. Uno che non potrà mai sapere che cosa vuol dire l'esperienza della gravidanza e che non saprà mai cosa vuol dire sentire che il feto potrebbe avere (o non avere) una anomalia che non gli permetterà di sopravvivere al di fuori dell'utero. Che però pensa di essere in grado di prendere decisioni per le donne riguardo al loro corpo». Dopo tutte queste parole, speriamo abbiate aperto i vostri orizzonti e costruito un’ opinione (non così velocemente ovviamente). La nostra, di Camilla Panniello e Chiara Peluso, non si basa però su una semplice convenzione di 'PRO' e 'CONTRO'. Pensiamo che una persona dovrebbe agire per conto suo, non ci dovrebbe essere qualcuno che la obbliga a non fare quello che ha deciso probabilmente con un lungo ed estenuante percorso psicologico. Noi non portiamo i segni sulla pelle di qualcosa che non abbiamo vissuto, ma abbiamo dedotto che abortire non è sicuramente facile, sia psicologicamente che fisicamente. Purtroppo, certi ostacoli o vanno superati o vanno superati, soprattutto in determinate occasioni.

Camilla Panniello IV B Chiara Peluso V B


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La responsabiltà di essere uomini e donne di lettere. Come è successo e chi ha permesso che noi studenti fossimo definiti “LAVORATORI”.

È venerdì 17 febbraio. Sono le nove e un quarto. Sistemiamo le sedie perché sta per cominciare l’assemblea d’istituto. Dobbiamo discutere su cosa significa manifestare nel 2017, di sciopero delle donne, di blocco della produzione e della riproduzione. Dobbiamo parlare della diversità, del genere, della violenza di classe come prerogativa dello sviluppo capitalista. Verranno tre esterne: una signora un po’ anziana, fra le prime attiviste nei collettivi femministi a Napoli, e due ragazze universitarie, attiviste nella costruzione dello sciopero femminista dei generi e dai generi. C’è un po’ di entusiasmo nell’aria, fra chi è realmente interessato all’argomento e fra chi con spensieratezza vuole soltanto godersi il giorno di pausa e il sole in cortile. Poi vediamo un documento affisso alla bacheca dei docenti: una schematizzazione dei ruoli da assumere in caso di emergenza. Una mappa concettuale azzurrina che esemplifica di chi sono le responsabilità in caso di evacuazione e quali sono i rapporti sociali all’interno della scuola. O almeno così pare. In alto viene identificato nel datore di lavoro il dirigente scolastico, mentre in basso, nella categoria “lavoratori”, vengono inseriti docenti, personale ATA, e, sorprendentemente, gli alunni. Sì, ci hanno definito lavoratori. Qualche docente di passaggio strizza gli occhi, esprime il suo dissenso, le sue perplessità, qualcuno ironicamente dice: “per fortuna il mio datore di lavoro è ancora il MIUR.” Andiamo a chiedere spiegazioni e cosa ci rispondono? Da una parte affermano che – sì – agiamo in ambito lavorativo e in quanto tale siamo lavoratori, e che il dirigente è propriamente il datore di lavoro, perché è colei che ha la responsabilità della scuola (non capisco come chi faccia osservazioni del genere possa insegnare ai ragazzi qualcosa). Dall’altra ci rispondono col giustificazionismo, con il “non siamo stati noi”, imputando la colpa al Ministero, che la colpa ce l’ha e mica solo una, affermando che quest’ultimo non abbia stabilito una categoria diversa per gli studenti all’interno della strutturazione del piano di emergenza. Ci scherzano un po’ su e poi ci dicono: “ma non dovevate fare assemblea?” Ci invitano all’assenso. A comprendere. E anche a consentire che un documento simile venga esposto nella bacheca dei docenti, visibile a chiunque entri nella scuola. Ci invitano a tenerci questa categoria affibbiata, la categoria del “lavoratore”. E quando

io chiedo, in modo provocatorio, che cos’è la scuola, mi rispondono con aria arrogante: “un ambiente lavorativo”. Forse molti di coloro che lavorano al Vittorio Emanuele II non sanno che il termine “scuola” deriva dal greco (quello sconosciuto!) e significava originariamente “tempo libero”. La scuola è infatti una realtà sociale di discussione, di confronto, uno spazio di crescita. Ha una struttura orizzontale e il potere decisionale si articola fra Consiglio d’Istituto, Collegio dei Docenti e dirigente scolastico. Gli alunni sono i beneficiari di un servizio pubblico, che deve garantire loro una formazione ampia, la capacità di esercitare il proprio spirito critico e che fornisca loro i mezzi per interpretare e comprendere la società. Gli alunni non percepiscono stipendio e non hanno un datore di lavoro. Mi sono sentita in dovere di definire cosa è una scuola e che funzione hanno gli studenti nella scuola perché pare che ce ne stiamo progressivamente dimenticando. In un liceo dove la cultura è stata l’arma con cui rispondere all’aziendalizzazione della scuola, pubblicare un documento simile è un’offesa al nome, alla specificazione e al tipo di informazioni che girano fra le classi. In una scuola che non fa che considerare la classicità e la storia punti di forza e sfondi entro cui stabilire delle connessioni con la realtà presente, accettare questa violenza alla democraticità della scuola è un sacrilegio. Per gli uomini e le donne di lettere che hanno scelto di affrontare la realtà con lucidità, autonomia di giudizio e soprattutto criticità stare zitti di fronte ad un fatto simile è un fallimento alle speranze che tutti noi riponiamo nelle “humanae litterae”. Non si tratta di un semplice documento, ma del dovere morale che abbiamo noi, fruitori del sapere umanistico, di scegliere le parole giuste per definirci. “LAVORATORI” è un termine che non può definire la classe degli studenti. Una professoressa di italiano tollererebbe mai che si definisse Leopardi un poeta verista? No. Perché Leopardi non è un poeta verista. Correggerebbe l’errore con tre sottolineature rosse. Non si può dire ciò che non è. Non ci sono giustificazioni a riguardo. Non si può pensare di abbassare lo sguardo di fronte ai tentativi fatti sotto banco di semplificare e snaturare la scuola. Bisogna uscire dalla retorica della sopportazione. Nessuno ha più il coraggio di dire quello che è giusto e quello che è sbagliato. Nessuno ha il coraggio di alzare la voce


9 contro la direzione che sta prendendo la scuola oggi e nessuno ha il coraggio di opporre resistenza nella propria scuola. Nessuno ha il coraggio di imporsi contro chi non ha capito e non capirà mai il valore di “scuola” che noi al liceo classico – e, mi sento di affermare, noi al Vittorio Emanuele II – ci tramandiamo gelosamente. Anzi: i giorni di assemblea studentesca sono utili per fare alternanza scuola-lavoro, per portare gli alunni in gita chissà dove. Ci accomodiamo tutti su questa fase storica complicata, la critichiamo facendo gli elogiatori del tempo che fu, e al massimo ci nascondiamo. Facciamo il gioco a chi mette la testa sotto la sabbia. Ricordiamoci che non abbiamo un capo d’azienda e che possiamo ancora determinare il modo in cui stare nella scuola e la forma che essa deve assumere per noi. Con la speranza di non abbassare mai più la testa davanti ad un documento del genere.

Alessandra Buonaiuto IIIE


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SCUOLA

9 Febbraio 2017: la giornata mondiale della lingua e cultura greca Il 9 febbraio 2017 è stata celebrata per la seconda volta la giornata mondiale della lingua e della cultura greca, che ha come obiettivo quello di mantenere in vita più che mai la consapevolezza delle nostre radici culturali, del nostro modo di pensare e finanche di immaginare. Hanno preso parte all’iniziativa la comunità ellenica di Napoli e Campania, il comune di Napoli in sinergia con l’Accademia delle Belle Arti con il patrocinio dell’Ambasciata della Grecia a Roma e numerosi altri prestigiosi enti. In rappresentanza di dodici licei classici della città metropolitana di Napoli e di un liceo classico di Roma, gruppi di studenti hanno presentato i propri lavori preparati insieme ai relativi docenti. Letture e rappresentazioni di vario genere strutturate intorno al tema portante della grecità si sono alternate lungo l’arco della mattinata presso la Chiesa di San Giovanni Maggiore, dove la bellezza architettonica della struttura si è unita a quella degli antichi versi e alla rievocazione delle antiche tradizioni. Le interpretazioni del tema sono state le più varie, talvolta connotate da spunti interpretativi di dubbia comprensione. Nella diversità delle scelte espressive, tuttavia, è emersa la stessa volontà di tributare omaggio ai valori fondativi della cultura greca. Motivo di grande interesse ed emozione è stato sicuramente il sentir parlare per la prima volta in greco, lingua da noi studenti solitamente affrontata attraverso la traduzione di testi scritti pur considerando le differenze linguistiche strutturali e fonetiche tra il greco antico e quello moderno. Ma in tempi che si evolvono così rapidamente, in tempi di memoria cortissima, perchè è importante mantenere in vita la consapevolezza delle nostre radici culturali? Ha senso ancora il concetto di radice? Immaginiamo un individuo nato e cresciuto in una determinata località. Conosce cose, posti, persone, sa a chi rivolgersi in caso di bisogno, dove recarsi per qualsiasi necessità, ha una fitta di rete di rapporti e dei saldi punti di riferimento. Noi abitiamo la cultura greca come quell’uomo abita il suo posto. Sappiamo che siamo il frutto di un’importantissima omogeneizzazione culturale, di un forte sincretismo, sappiamo però di discendere da una radice comune, sappiamo di abitare lo steso mare che abitarono gli antichi Greci, sappiamo che il nostro territorio rientrava nella magnifica Megale Hellàs, sappiamo che probabilmente in qualcuno di noi scorre il sangue di un Senofonte, di un Socrate, probabilmente non è realmente così ma ci piace immaginarci come il frutto di un qualcosa di

veramente grande ed importante. Sapere tutte queste cose, queste informazioni, avere la possibilità di poterci affidare a testi antichi di enorme valore culturale e storico e non solo ci permette di orientarci in un mondo che sicuramente non si basa più sui fondamenti della cultura greca. Tutto questo va a costituire i nostri punti di riferimento, ci permette di non brancolare nel buio e di sapere che noi, cittadini del mondo, abbiamo nelle mani un grande tesoro ed enormi potenzialità. Davanti agli ostacoli della vita quotidiana il nostro pensiero può andare ad Alessandro Magno, che di ostacoli ne seppe affrontare con successo di ben altra natura e a tutto il mondo della filosofia che ancora parte di noi studenti non conosce. Vogliamo renderci conto dell’enorme patrimonio che queste personalità ci hanno lasciato e trasmesso? Ci hanno insegnato a pensare e perchè no a vivere. Ma che significa insegnare a pensare? Significa dare gli strumenti per analizzare la realtà e sviluppare un pensiero critico, significa che il nostro cuore europeo è fondamentalmente greco e latino, significa avere le capacità di relazionarsi con qualsiasi persona, credere nel dialogo, essere portatori di valori umanistici, il che vuol dire porre al centro dei processi l’uomo e le sue necessità fisiche e spirituali. Vuol dire, inoltre, che queste persone ci hanno fornito gli strumenti e le potenzialità per metterci in gioco, per combattere in un mondo sempre più difficile e pericoloso, ci hanno parlato per la prima volta di ecumenismo, di un carattere universalistico. Ovviamente c’è chi riterrà tutto questo una grande enfatizzazione di un concetto sì importante ma non fondamentale ma anche il rispetto di tutte le opinioni trova posto negli insegnamenti della Grecia Antica ricordando la grande Marguerite Yourcenar che disse in riferimento alla lingua greca:” Ho amato quella lingua per la sua flessibilità di corpo allenato, la ricchezza del vocabolario nel quale a ogni parola si afferma il contatto diretto e vario delle realtà, l'ho amata perchè, quasi tutto quel che gli uomini han detto di meglio è stato detto in greco”.

Romualdo Marrone VC


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INTERVISTA AL PROFESSORE ARICÒ E ALLA PROFESORESSA SANTORO Non è stato facile strappare pochi minuti di tempo ai nostri due onnipresenti vicepresidi, ma, dopo averli pregati e letteralmente rincorsi per tutto il liceo, alla fine ci sono riuscita! Dopo innumerevoli interruzioni, i prof si siedono a parlare per quasi mezz’ora. 1) Da quanto tempo lavorate insieme come collaboratori del Dirigente? Prof.ssa Santoro: “Ci conosciamo da 11 anni, ma lavoriamo insieme da circa 7.” Prof.re Aricò (scherza con una collega presente nella stanza sul fatto che lui e la professoressa siano amanti). 2) Qual è stata la prima impressione che avete avuto l’uno dell’altra quando vi siete incontrati? Prof.re Aricò (scherza con la stessa collega sul fatto che si siano piaciuti a prima vista). Prof.ssa Santoro: “Ci siamo piaciuti a prima vista!” 3) Pregi e difetti l’uno dell’altro. Prof.re Aricò: “Tra i pregi, sicuramente, che la professoressa non lesina mai il suo lavoro ed è sempre disponibile. A volte è un po’ irruenta, ma non è un grande difetto.” Prof.ssa Santoro: “Pure questo vuoi sapere! Beh, per quanto riguarda il professore Aricò, oltre ad essere un grande lavoratore e a venire a scuola tutti i giorni, è molto paziente e molto disponibile con tutti. Non ha grandi difetti e, se ne ha uno, non è uscito ancora fuori! Lo rispetto molto anche per il suo modo di relazionarsi con gli studenti. È uno zuccherino! 4) Vi scambiate le identità per un giorno. La prima cosa che fate? Prof.re Aricò:“La chiamo!” Prof.ssa Santoro (ride ed annuisce) 5) Chi credete sia il vicepreside migliore? Prof.ssa Santoro: “Tra noi due nessuno. Siamo una squadra.” Prof.re Aricò: “La Salinari! (ride) Non esiste assolutamente.” 6) Se non foste voi i vicepresidi chi lo sarebbe e perché? Prof.re Aricò: “E’ difficile rispondere perché ormai nessuno vuole farlo più.” Prof.ssa Santoro: “E’ un lavoro che richiede veramente anima e corpo: siamo qui dalla mattina alle otto fino alle due, a volte anche le tre tutti i giorni. Dunque, non essendoci nemmeno un attimo di riposo, non so quanti professori siano disponibili a fare questo lavoro.” 7) L’episodio più divertente della vostra carriera? Prof.ssa Santoro: “Uno tra i più divertenti si è verificato proprio ieri quando una collega è venuta a lamentarsi perché non voleva cambiare aula. Allora noi l’abbiamo ascoltata e l’ abbiamo fatta sfogare. Ripensandoci, è stato molto divertente. Chi ha vissuto però le situazioni più esilaranti è stato senza dubbio il professore.” Prof.re Aricò: “Per quanto mi riguarda la polizia che mi voleva arrestare e un genitore che mi voleva picchiare.”


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8) Avete mai litigato tra voi? Prof.ssa Santoro: “No, mai.” Prof.re Aricò: “A volte abbiamo discusso, ma non abbiamo mai avuto un litigio vero e proprio.” 9) Cosa vi ha spinto a diventare docenti?

Prof.re Aricò: “Personalmente mi è sempre piaciuto insegnare e stare in mezzo ai ragazzi, infatti l’ho sempre fatto anche da giovane. Per me diventare docente è stata una conseguenza naturale.” Prof.ssa Santoro: “Io, invece, inizialmente non volevo insegnare, poi, poco prima di laurearmi, ho incominciato ad insegnare e mi sono appassionata. Adesso è tutta la mia vita.” 10) E cosa avreste fatto se non foste diventati dei docenti? Prof.re Aricò: “Il musicista poiché suono la chitarra.” Prof.ssa Santoro: “Adesso non lo so più perché, come ho detto prima, adoro insegnare.” 11) Un professore e un libro che vi hanno cambiato la vita. Prof.re Aricò: “Come docente ricordo il professor Di Nola, che insegnava Storia delle Religioni all’Orientale, mentre come libro Le botteghe color cannella di Schulz.” Prof.ssa Santoro: “Come professori nessuno, ma ci sono alcun libri di Coelho che mi hanno fatto riflettere sul senso della vita e mi hanno resa più profonda su certe cose.” 12) Se aveste la possibilità di incontrare un personaggio storico, chi sarebbe? Prof.ssa Santoro: “Sinceramente non lo so, poiché la storia non mi ha mai attirata molto. Ho sempre considerato queste persone come figli del loro tempo, ma non hanno mai influito sul mio modo di essere e sulla mia vita.” Prof.re Aricò: “Churchill. Sicuramente Churchill.”

Annamaria Verdino

VC


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TECNOLOGIA & SCIENZE

Febbraio 2017: un asteroide distruggerà (ancora una volta) la Terra! Questo è l'allarme rilasciato da siti e giornali, non solo in Italia, ma in gran parte del mondo: un ennesimo asteroide colpirà la Terra presumibilmente il 25 febbraio del 2017. In realtà, passerà a 51 milioni di chilometri dalla Terra: un terzo della distanza Terra-Sole o magari 127 volte la distanza Terra-Luna, quindi la storia si rivela una bufala. Il corpo celeste in questione, comunque, esiste: è chiamato “2016 WF9” o direttamente “WF9”. E' stato avvistato per la prima volta lo scorso 27 novembre dai telescopi della missione NeoWise della NASA. Tecnicamente si tratta di un NEO (Near Earth Object, ossia un oggetto vicino alla Terra) di dimensioni stimate tra 500 metri e un chilometro di diametro. Se l'oggetto ha una traiettoria precisa e se la NASA non ha dato un allarme concreto per il futuro della Terra, chi è che lo ha fatto? In questo caso il tabloid britannico ha rilasciato un'intervista ad un astronomo russo, Dyomin Damir Zakharovich, che ha preannunciato effetti devastanti per il nostro pianeta. Oltre a tsunami e terremoti in alcune versioni della bufala il diametro dell'asteroide è di 2 km. Ha inoltre affermato che l'urto con la Terra rilascerà un'energia equivalente a tremila bombe atomiche.

In qualche caso la data dell'impatto è stata anticipata al vicino 16 febbraio. Di Zakharovich, però, si trova ben poco online, dunque è possibile che si tratti di un falso personaggio. Quindi, come già accennato, si tratta solo di un'altra bufala inventata da un burlone anonimo e diffusa dai giornali e i siti di tutto il mondo. Il momento in cui la Terra verrà distrutta è ancora lontano.

Maria Laura Basso IVF


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CULTURA

Quando il “Caso” dà una mano alla Scienza A volte, nel campo della cultura, grandi osservazioni, da cui scaturiscono ipotesi di un certo rilievo, sono effettuate in maniera del tutto casuale. Per citare uno tra i più celebri episodi, possiamo ricordare la famosissima mela che cadde sulla testa di Isaac Newton, che stava riposando sotto un albero, la quale fu l’input per l’elaborazione della legge della gravitazione universale. Questa, probabilmente, è solo una leggenda messa in giro da Voltaire; invece è storicamente documentato il ritrovamento da parte di alcuni soldati francesi, durante la campagna napoleonica in Egitto, della famosa Stele di Rosetta che riportava un testo in tre lingue (demotico, geroglifico e greco) e per ciò permise all’egittologo Jean François Champollion di decifrare la più antica scrittura egizia. Più o meno, seguendo questa falsa riga, accadde una cosa simile verso la fine del XVI sec.: dei missionari cattolici, recatisi in India per compiere delle opere di conversione, notarono una sorprendente somiglianza nella grammatica e nel lessico tra il sanscrito (la più antica lingua indiana conosciuta) ed il greco; ad esempio in sanscrito padre si dice िपतृ [pitar] ed in greco si dice padre πᾰτήρ [patèr]. In seguito furono rinvenute somiglianze anche con altre lingue: ad esempio in latino “padre” diviene pater ed in tedesco vater [fater]; in sasnscrito मातृ [mātr],̥ in latino “mater”, in greco μήτηρ [mèter], in tedesco mutter ed in italiano “madre”; oppure in sanscrito ओक [oka] e in greco οἰκία [oikia] ed entrambi significano “casa”; ed ancora in sanscrito सन [sana] e in latino “senex” che significano “vecchio”. Si riscontrarono somiglianze nella grammatica poichè il sanscrito possiede la declinazione dei sostantivi che presenta 8 casi (e noi che ci lamentiamo per i cinque o sei del latino e greco): nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, strumentale, ablativo e locativo, usando due casi in più del latino e 3 in più del greco; come in greco presenta tre numeri (singolare, duale e plurale) e tre generi

(maschile, femminile e neutro). Sulla base di questa misteriosa somiglianza tra alcune lingue indo-asiatiche e molte lingue europee è stata formulata l’ipotesi che, verso la fine del Neolitico, esistesse una lingua comune da cui derivarono il sanscrito, il latino, il greco e molte altre. Tra il III ed

il II millennio a.C. popoli che parlavano questa lingua si mossero per tutto il continente euroasiatico, dalla valle dell’Indo sino alle coste dell’ Oceano Atlantico. Gli studiosi hanno potuto ricostruire il percorso seguito da questi popoli seguendo appunto le tracce che quella lingua ha lasciato nelle varie lingue dell’area compresa tra l’India e l’Europa. Per questo motivo hanno chiamato l’ipotetica lingua delle origini “indoeuropeo”. Il termine indoeuropeo non indica un popolo, bensì una famiglia linguistica, cioè un insieme di lingue che (per i motivi precedentemente citati) risultano simili. Abbiamo fin ora analizzato l’aspetto più tecnico e linguistico della faccenda , ma nel pratico cosa accadde? Attorno al III/II millennio a.C., più gruppi di persone aventi una sorta di lingua in comune (ma che più plausibilmente erano tanti dialetti molto simili tra loro e accomunati da un’indecifrabilità reciproca), per motivi ancora sconosciuti, iniziarono un’enorme migrazione che partì dalle steppe asiatiche e dalle zone del Mar Nero, sino ad arrivare in tutta l’Europa e fino all’India (vedi immagine). Questi


15 gruppi di persone si introdussero pacificamente (grande differenza rispetto agli altri popoli di quel periodo storico) nei primi insediamenti urbani di altri popoli che si erano stanziati in quei luoghi precedentemente, si “mischiarono” con le genti del luogo, inserendosi nei loro meccanismi sociali e divenendo parte della loro società. Proprio per questo motivo non si può parlare di un “popolo indoeuropeo”, perché non vi sono reperti tangibili che ne testimonino l’effettiva esistenza, i quali potevano essere città, manufatti, edifici, statue, santuari, resti umani. Si mescolarono con varie popolazioni a livello sociale, ma anche nel campo linguistico: quindi, con scambi morfologici e sintattici, l’evoluzione delle lingue prese il proprio corso, sino ad arrivare alle lingue odierne dove, come abbiamo visto all’inizio, si presentano delle somiglianze. C’è da dire che questa è solo una delle tante (e noiosissime) ipotesi di come l’indoeuropeo si sia “fuso” con altre lingue. Citandone alcune, secondo la teoria “Pisani” si ipotizza che le somiglianze, soprattutto morfologiche, (come quelle viste in precedenza) siano frutto di semplici contatti fra civiltà, o , daun punto di

vista più tecnico, prestiti linguistici, anche se questa è una teoria abbastanza screditata. In conclusione mi sembra possibile affermare che alcune scoperte scientifiche di portata eccezionale non sono altro che il frutto della combinazione fortuita fra l’impegno della ricerca scientifica e la casualità dei fatti. A conferma della mia affermazione potrei ricordare che la scoperta della penicillina (che rivoluzionò la medicina) scaturì da una grave dimenticanza di Alexander Fleming. D’altra parte devo anche ammettere che, se “l’incidente” non fosse capitato ad uno scienziato dalla mente geniale quale Fleming, quelle “muffe” sarebbero rimaste tali (e magari sarebbero state anche gettate via) e non sarebbero state prese in considerazione per diventare oggetto di uno studio veramente rivoluzionario.

Nicolò Popolo IV C


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Cos’è il 21 marzo Ci sono tante date importanti nella storia dell’umanità. Per citarne qualcuna a caso, basterebbe pensare al 14 luglio del 1789, l’anno della presa della Bastiglia, o al 6 giugno 1944, lo sbarco in Normandia, al 9 novembre 1989, data convenzionale che indica la caduta del muro di Berlino, e ci sarebbero tanti altri giorni ed anni da ricordare, numeri che hanno segnato la nostra storia e che verranno ricordati in eterno. Del resto, la memoria è una delle facoltà più importanti che l’uomo possiede: essa custodisce ogni frammento della nostra storia ed ha il compito di ricordare a noi stessi chi siamo veramente, sebbene le circostanze siano sfavorevoli. Come diceva Umberto Eco, la memoria va continuamente esercitata, perché non si atrofizzi e ci impedisca di smarrirci. Per questo esiste la storiografia, la fotografia, la filologia, per ricordarci costantemente da dove veniamo, per ricordare i nomi di chi ha forgiato il nostro presente con le fatiche del passato e ci ha permesso di conquistare i nostri diritti fondamentali. In questo articolo vorrei ricordare un’altra data, che molti forse ignorano per mancata esperienza o per distrazione: il 21 marzo. Molti penserebbero all’equinozio di primavera, eppure questa data, sebbene sia soltanto convenzionale, racchiude in sé la storia di centinaia di anime. E non parlo solo di chi ci ha rimesso la vita, ma soprattutto di chi è sopravvissuto, forse per caso o perché destinato a raccontare per sempre la storia di un proprio caro alle generazioni che verranno. Ogni anno, da ben 21 anni, in questa data si svolge una marcia: può apparire un evento banale, del resto in questo Paese vengono indetti scioperi e manifestazioni per i motivi più futili, eppure questa marcia rappresenta un legame importante tra questa realtà e quella che, invece, dovremmo costruire. Come afferma Don Luigi Ciotti, fondatore dell’ONG “LIBERA CONTRO LE MAFIE”, questa data potrebbe essere paragonata ad un ponte, un ponte di memoria, un ponte che ognuno percorre raccontando la propria storia, un ponte che ognuno costruisce con i mattoni della propria esperienza per far sì che nessuno, in futuro, possa condividere il medesimo dolore. In questa occasione, che ha luogo ogni anno in una città italiana differente, per ben tre giorni i familiari delle vittime di mafia, ma anche tutti i civili che decidono di prendere parte all’iniziativa, si dedicano esclusivamente al ricordo di grandi uomini, alcuni noti ed altri meno, ma tutti vengono ricordati come eroi, perché soltanto un eroe ha il

coraggio di opporsi, da solo, alla violenza del mondo. Le strade si inondano di volti segnati dalla sofferenza ma anche dalla speranza, la speranza di guarire la nostra società dalla criminalità, per costruire un futuro migliore; durante il tragitto vengono letti i nomi delle vittime, si intonano celebri canzoni come “I CENTO PASSI”, in ricordo del comunista Peppino Impastato, ucciso per aver pronunciato la celebre frase “LA MAFIA E’ UNA MONTAGNA DI MERDA”. Da qualche anno a questa parte la manifestazione ha luogo in molte città d’Italia e tra meno di un mese si svolgerà a Locri, in Calabria, terra di mare, terra arsa dal sole del Mezzogiorno e lacerata dal cancro della ‘ndrangheta. Da Locri la voce delle centinaia di persone che saranno lì a ricordare le vittime riecheggerà in tutta Italia, a Napoli, dove la lettura dei nomi si svolgerà a Ponticelli, a Roma, a Messina, a Palermo, a Torino, a Verona. L’intera penisola, per qualche ora, si fermerà in ricordo di queste vittime ignorate dallo Stato e dai libri di storia. Tra queste spiccano i nomi di importanti magistrati ma anche di semplici operai, contadini, agenti di scorta, ma anche di donne, di madri, sorelle, figlie. Nel marzo 2016 questa data è stata riconosciuta dal Senato come GIORNATA NAZIONALE DELLA MEMORIA E DELL’IMPEGNO, in quanto essa deve non solo impedire che questi nomi vengano dimenticati, ma deve garantire soprattutto una risposta attivistica contro la violenza, affinchè il problema delle mafie non venga mai messo in secondo piano o venga considerato “risolto”. Infatti esso esiste ancora, pur non comparendo in superficie, ed avvelena la nostra società civile dall’interno, penetrando in ogni suo settore con i suoi tentacoli, per citare una vecchia serie televisiva. Per questo motivo non si dovrebbe mai smettere di ricordare, per salvaguardare i caduti in questa guerra impari ma soprattutto noi stessi, per non perdere la nostra identità di popolo e soprattutto di uomini. Perché, sebbene sia difficile da credere per gli altri, in Italia non esiste solo la mafia, ma esistono persone che credono ancora nella libertà dai soprusi, che si battono per l’uguaglianza, per il rispetto della dignità di tutti gli uomini indipendentemente dalle loro condizioni sociali. Nel Sud, in Campania, a Napoli, non esiste soltanto la Terra dei Fuochi, ma c’è ancora chi, forse ingenuamente od incoscientemente, sogna ancora di poter vivere in una città che sia simbolo di civiltà e pace.

Raffaella Granata IIIF


ARTE

Una parte di Leonardo Da Vinci ospite a Napoli «Questa mostra vuole rinverdire gli studi anche per capire se ci sono i termini per condividere questa attribuzione così importante», spiega Barbatelli. Dal 12 gennaio al 31 marzo 2017 il Museo Diocesano di Napoli ospita alcuni capolavori di Leonardo da Vinci e dei suoi allievi. Protagonista indiscusso della mostra, ideata dal Prof. Carlo Pedretti, direttore dell'Armand Hammer Center for Leonardo Studies presso l’Università della California, è il "Salvator Mundi", proveniente dall'ex collezione del Marchese De Ganay, databile intorno al 1499. Tale tela ha fatto da anni discutere gli studiosi internazionali riguardo la sua attribuzione: originale o copia? Infatti l'opera leonardesca fu di un così grande successo, che diede luogo a numerose copie. Gli studiosi vinciani da tempo vanno a caccia dell'opera "madre", e tra le varie copie, molte sono le candidate. I candidati più noti tra i Salvator Mundi sono uno "newyorkese", tavola situata attualmente a New York e quello esposto nella mostra. Ebbene Napoli offre l'opportunità di ammirare e seguire attivamente gli Salvator Mundi PH: Giuseppe Valentino studi sulla questione del genio toscano. Di Da Vinci o meno, il dipinto situato attualmente a Donna Regina è facilmente accostabile alla sua mano e alla sua bottega,tant’è che vi sono anche dei disegni preparatori situati a Windsor. Ad accompagnare "l'ospite d'onore" sono il "Cristo benedicente", dal complesso di San Domenico Maggiore, attribuito a Girolamo Alibrandi e la tavola col "Cristo fanciullo" di Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì, allievo di Leonardo. Presenti sono anche tre fondi grafici: il Codice Corazza (1640), proveniente dalla Biblioteca nazionale di Napoli, il "Codice Fridericiano", custodito nella biblioteca di Area umanistica della Federico II e il testo "Napoli antica e moderna", scritto nel 1815 dall'abate Domenico Romanelli. Una piccola, ma intensa mostra di una minima parte dei capolavori vinciani, sullo sfondo dell’ copia Codice Corazza PH: Giuseppe Valentino immenso patrimonio d'arte del Museo Diocesano. Provare per credere.

Michela Federico IA

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LIBRI

I bastardi di Pizzofalcone 'La neve. La tua maledetta neve finta. Sembra questo mare che mi bagna come una pioggia, che mi riempie la testa di vento e di acqua. Lo avresti mai immaginato, che proprio quella neve sarebbe stata l’ultima, per te? E si è alzata, infatti. Per l’ultima volta, prima di cominciare a scendere. Dal lato opposto al sangue. Quando la neve si è posata, eri già un ricordo.' I bastardi di Pizzofalcone sono i paria degli altri commissariati, mandati lì perché i loro capi vogliono sostanzialmente liberarsi di loro e perché un posto come quello – con una reputazione pessima – non farebbe mai gola a nessuno. Dopo uno scandalo che coinvolge quattro agenti in un traffico di droga, spetta alla prefettura decidere se la sezione rimarrà aperta o verrà soppressa, lasciando il suo ruolo al commissariato più vicino. Si tratta di riformare un'équipe e sperare in una rinascita in pochi mesi. C’è chi è lì fin dall’inizio, chi ha quasi rischiato di uccidere un criminale per ira, chi ha sparato per sbaglio nella centrale di polizia. Lojacono, protagonista di tutta la serie (esiste anche uno spin-off sulla sua vita prima di Pizzofalcone), si ritrova lì perché ha osato risolvere un crimine grazie alle sue doti intellettive, mettendo in ridicolo tutta la sua sezione e facendosi odiare dal suo capo. In più c’è un boss mafioso che lo ha citato in giudizio, e questo sicuramente non ha giovato alla sua carriera. Attorno a lui gravitano gli altri "bastardi". L’agente scelto Aragona, che esagera con l’autoabbronzante ed è convinto di trovarsi in un film poliziesco anni ’70; la giovane Alessandra di Nardo, appena ventottenne, appassionata di armi; Ottavia Cascella, scontenta e oppressa dalla sua vita familiare e Pisanello, che parla con sua moglie tutte le sere. E questo sarebbe normalissimo, se sua moglie non fosse morta due anni prima e non ci fosse neppure un’anima in casa. Per far interagire questa massa disomogenea per età, caratteri e background personali, l’ispettore capo Luigi Palma decide di mettere sei scrivanie tutte nella stessa camera, facendo lavorare in coppia gli agenti in modo tale da favorire la formazione di un team unito. Così si delineano due storie parallele, che riguardano due coppie abbastanza improbabili – Lojacono e Aragona, Di Nardo e Romano. Un omicidio compiuto con una palla di vetro e una denuncia riguardante una ragazza rinchiusa in casa. Pisanello preferirà occuparsi dei casi archiviati di suicidi, ritenendo che dietro di loro si nasconda in realtà una catena di assassinii premeditati. Scritto in maniera molto scorrevole, I Bastardi di Pizzofalcone segue alla perfezione le regole del giallo, tanto che alla fine vi chiederete come abbiate fatto a non capire chi fosse il colpevole. Nulla è come sembra. Verrete trasportati in un turbine di dialoghi, di inchieste, paure, tradimenti, mentre la storia si svolge a poco a poco, lasciando capire sempre più particolari sul caso. Vi è precisione nei dettagli tecnici, come i referti della scientifica o la prassi giuridica. Eppure, la cosa che più mi ha conquistata è stata la caratterizzazione dei personaggi. Nonostante si tratti di sette elementi, lo scrittore trova il tempo di approfondirli tutti, cosicché il lettore abbia più possibilità di immedesimarsi. Ci si affeziona, li conosce, riesce a prevedere le loro azioni. C’è da dire che a volte De Giovanni pecca di abbondanza: alcuni capitoli sembrano superflui, come alcuni dettagli su personaggi che nella storia non hanno alcuna importanza. Certo, è una caratteristica inscrivibile nel contesto del giallo, dove ognuno è un potenziale assassino, ma secondo me distrae il lettore. Interessante è invece la trovata delle parti in corsivo, presente in molti libri: nel romanzo, di tanto in tanto, capita di ritrovare interi capitoli scritti dal punto di vista di personaggi la cui identità si chiarirà in seguito. Questo dà la possibilità allo scrittore di inserire momenti che i bastardi di Pizzofalcone non possono conoscere e dunque è i fornire un quadro generale al lettore, senza dover incappare alla fine in pagine e pagine di spiegazione. In conclusione, è un libro che io, personalmente, ho letto con piacere e in velocità – mi ha trascinata molto. Ben scritto, personaggi interessanti, storia costruita con perizia.

Michela Panichi IIC


CINEMA

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“City of stars
 Just one thing everybody wants” “La La Land” è un musical scritto e diretto da Damien Chazelle. Il film racconta la storia d'amore tra un musicista jazz e un’aspirante attrice, interpretati da Ryan Gosling e Emma Stone, ed è stato realizzato come un musical contemporaneo che allo stesso tempo richiama, allo scopo di omaggiare, i classici film musicali prodotti tra gli anni cinquanta e sessanta. Il titolo del film è sia un riferimento alla città di Los Angeles sia al significato di essere nel “mondo dei sogni” o “fuori dalla realtà”, come viene esplicato in una delle canzoni. Chazelle scrisse la sceneggiatura nel 2010, ma non trovò subito uno studio disposto a finanziare il progetto. Solo dopo il successo del suo “Whiplash” del 2014, la sceneggiatura ottenne l'interesse delle case di produzione. Il film è stato presentato in anteprima a l l a 7 3 ª M o s t r a internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dove la Stone ha vinto la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile. “La La Land”, amato sia dalla critica sia dagli spettatori, ha ricevuto 14 candidature ai Premi Oscar 2017, eguagliando il record di film come “Eva contro Eva” e “Titanic.” Inoltre si è aggiudicato sette Golden Globe su sette candidature, il Premio del P u b b l i c o a l T o r o n t o International Film Festival e numerosi altri riconoscimenti internazionali, diventando così uno dei film più premiati e apprezzati del 2016. Girato come si faceva all'epoca del technicolor e del cinemascope, “La La Land” accarezza il cuore dello spettatore coinvolgendolo nella tensione amorosa tra Mia e Sebastian, senza dimenticarsi di ottenere il massimo dal potenziale visivo tipico del genere. In questo senso, anche chi non è un fan dei vecchi musical non potrà non apprezzare una per una le coreografie messe a punto da Chazelle, che arriva a far volare gli amanti sulla città di Los Angeles pur di soddisfare il bisogno di infinito che muove i loro passi. Allo stesso tempo devo ammettere, però, di aver trovato la trama in sé alquanto deludente, cosa che invece non posso affermare riguardo all’interpretazione dei protagonisti ed in particolare quella di Emma Stone, che si è rivelata a dir poco sublime, grazie alla sua capacità di adattarsi a qualunque ruolo in maniera camaleontica. In conclusione, è un film che vale la pena di vedere e rivedere per comprenderlo in tutte le sue sfumature.

Antonia Daniele IIC


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