SPECIALE Referendum

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SPECIALE N.2

07\12\2016

PERIODICO AUTOGESTITO DEL LICEO VITTORIO EMANUELE II DI NAPOLI

REFERENDUM COSTITUZIONALE

L’ITALIA DICE NO MATTEO RENZI ANNUNCIA LE DIMISSIONI

ALL’INTERNO DEL NUMERO

RENZI A CASA, E ADESSO? FISIONOMIA DEL NO Segui L’URLO anche online! www.urlonapoli.altervista.org


SPECIALE N.2

07\12\2016

Renzi a casa, e adesso? -Roma 04/11/2016. Il referendum costituzionale si è concluso. Gli Italiani, dimostrando grandissima affluenza e grande interesse, hanno manifestato il loro dissenso nei riguardi della riforma e del governo. Renzi, in conferenza stampa, ha dichiarato che presenterà le sue dimissioni al presidente Mattarella, che avrà l’onere di scegliere il prossimo presidente del consiglio dei ministri. Passeremo in rassegna le circostanze che hanno portato alle dimissioni del presidente Renzi e l’attuale situazione politica del paese.

Renzi irrompe nella scena politica Italiana quando l’8 dicembre 2013 viene eletto segretario del PD, in breve vota la sfiducia al governo Letta. Il 22 febbraio 2014 il governo Renzi presta giuramento e il 24 ottiene la fiducia delle camere. Renzi parte spedito in una serie di imprese per le quali diverrà oggetto di critiche: presenta l’Italicum come legge elettorale, vara la legge “jobs act”, guadagnandosi l’avversione dei sindacati, annuncia la riforma della pubblica amministrazione, promette un bonus di 80 euro per chi ne guadagnava meno di 1500. Ancora, si batte per lo “sblocca Italia”, tutti provvedimenti

adottati in tempo record. Il tutto grazie all’intesa con Silvio Berlusconi e al rinomato patto del Nazareno, che gli garantisce i voti di forza Italia in senato. Renzi nonostante l’avversione dei sindacati continua, più spavaldo che mai, il 31 gennaio 2015 ignora il veto di Berlusconi e fa votare Mattarella come presidente della repubblica. Incomincia la rottura: Renzi da ora in poi non può più contare su i voti in senato che gli erano stati assicurati da Berlusconi. In accordo con il suo programma di governo e sulla traccia del patto del Nazareno propone la riforma costituzionale, che però non fa altro che dare un punto di incontro ai suoi nemici e creare nemici interni allo stesso PD. Il colpo di grazia gli viene dato dalla riforma della “buona scuola”, questa gli procura il dissenso di professori e studenti, che in tutta Italia manifestano in piazza per contrastarlo. Il fenomeno che ha caratterizzato l’ultima fase di Renzi è comunemente detto “antirenzismo”: un movimento che ha accomunato parlamentari di destra e di sinistra contro il governo e che alla fine ha trovato il consenso del popolo Italiano. Renzi era partito bene (tutto sommato), anche se in modo discutibile, trovando il modo di stabilire un’intesa tra partiti in modo da poter governare. Ha però violato il patto che lo teneva a galla, si è fatto nemici interni ed esterni ed ha concluso giocando tutto in una campagna referendaria, nella quale ha scommesso anche la poltrona: impiccandosi da solo.


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Adesso un'altra domanda si pone: ed ora? Secondo la procedura la decisione starà al presidente Mattarella, il quale dovrà scegliere tra tre fondamentali opzioni: 1) Accettare le dimissioni di Renzi e rinominarlo per un secondo mandato fino alle elezioni del 2018. 2)

Sciogliere le camere e richiamare gli Italiani al voto, già nel 2017.

3) I n i z i a r e l e c o n s u l t a z i o n i c o n i presidenti di camera e senato per nominare un prossimo capo di governo. La prima opzione è stata scartata dallo stesso Renzi, che si è detto contrario a rimanere nonostante il voto a sfavore. La seconda ipotesi, tanto agognata da grillini e dalla lega, porterebbe gli Italiani a votare con una legge (Italicum) alla camera e con una al senato (consultellum) molto diverse tra di loro. Il che favorirebbe alle elezioni i grillini, ma darebbe loro un paese ingovernabile. La terza possibilità è al giorno d’oggi la più quotata. Secondo quest’ultima, il presidente della repubblica dovrà consultare i presidenti della camera e del senato e in seguito indicare un nome. La persona scelta dovrà formare una lista di ministri e un programma di governo, che verranno votati dal parlamento. Si diramano a questo punto due strade. La proposta di governo infatti potrebbe essere ampia, se comprende una serie di iniziative e di proposte di legge. Oppure di scopo, ossia un programma mirato a risolvere una questione in particolare, ciò avviene in caso ci siano immediate priorità. In questo caso la priorità potrebbe essere una nuova

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legge elettorale, che renda governabile il paese. Diversi nomi si stagliano sul panorama politico nazionale e la tensione sale in attesa della nomina del nuovo capo del consiglio dei ministri: Il nome più quotato è senza dubbio il ministro dell’economia Padoan: questa nomina garantirebbe in Europa una politica di continuità economica e quindi limiterebbe il crollo delle borse, che ha seguito le dimissioni di Renzi. Un altro nome potrebbe essere, il presidente del senato, Grasso, il quale vanta un buon rapporto sia con il PD che con gli altri partiti, e in tal caso rappresenterebbe un buon elemento di mediazione. Se però il governo dovesse muoversi, come necessario, in previsione delle prossime elezioni, più che un elemento di mediazione, il segretario del PD, Renzi potrebbe preferire qualcuno dei suoi fedelissimi. A questo proposito spuntano i nomi di: Delrio, fedelissimo a Renzi ma punto di contatto con le minoranze interne del PD, Franceschini, figura analoga a quella di Grasso oppure Gentiloni, che però potrebbe essere mal visto dalle minoranze interne. L’ultimo nome potrebbe essere quello di Prodi il quale però si è detto contrario. Finisce qui l’elenco delle mille possibilità e congetture, Il sole è sorto comunque nonostante il NO al referendum e lo sguardo si sposta dunque a chi, Mattarella, dovrà prendere le decisioni.

Antonio Girardi IA


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Fisionomia del no Il No ha vinto. Una vittoria evidente, come ha affermato anche Renzi nel suo discorso di annuncio delle dimissioni. Questo significa non solo che il popolo italiano a larga maggioranza ha difeso la Costituzione nella sua interezza, ma hanno anche espresso la propria opinione su quello che Renzi aveva trasformato in un sondaggio sulla sua persona. Ma da chi è rappresentato questo 59,6%? I media hanno intervistato come "vincitori" gli esponenti del Movimento 5 Stelle, della Lega Nord e della destra rappresentata da Berlusconi e Meloni, ma allo schieramento del No appartengono anche gruppi di persone che non si riconoscono in questi partiti. Un dato interessante è infatti l'elevata affluenza ai seggi, abbastanza inusuale in alcune zone del Paese: si tratta quindi di persone che non sono andate a votare negli anni precedenti perché disinteressate o disilluse dalla politica. Basta semplicemente osservare le percentuali di votanti e i risultati per regione per farsi un'idea a grandi linee del tessuto che costituisce questo No. Ci si rende conto di un'affluenza decisamente elevata anche in regioni solitamente meno partecipanti, le stesse regioni in cui è molto sentito dalla maggior parte dei cittadini un disagio economico-sociale forte. Non a caso in queste regioni è stata anche più alta la percentuale dei No (esempio eclatante quello della Sardegna o della

Calabria), mentre il Sì è andato piuttosto bene in regioni con un tenore di vita abbastanza alto e benessere piuttosto diffuso (come la Toscana, l'Emilia Romagna e il Trentino Alto Adige). O, per citare un esempio più ristretto, ma di una realtà più vicina ai lettori di questo giornale, a Napoli i quartieri con più voti per il Sì sono quelli più agiati (come Posillipo e Chiaia) e un forte dissenso è venuto invece da quartieri come Barra, Ponticelli, Pianura, ma anche meno periferici come Stella San Carlo all'Arena. Da questa mappatura geografica emerge un grafico economico identificabile anche nei giovani, appartenenti a una delle generazioni più colpite dalla crisi e dalle riforme del governo Renzi. Colpiti dalle riforme sono anche gli appartenenti al mondo della scuola, che si sono ritrovati a votare No nonostante per decenni siano stati in maggioranza elettori del PD. Ci si rende conto di come Renzi abbia pagato le sue riforme mal costruite e il suo averle calate dall'alto nonostante il diffuso dissenso popolare. Questo dimostra come questo No non venga solo dai partiti di opposizione, ma sia qualcosa di più grande, costruito dal popolo che ha dimostrato di essere scontento di un governo che non ha prestato attenzione ai bisogni della gente, affermando di poter ancora usare la democrazia come strumento di potere, con tutti i suoi limti.

Claudia Dell’Aquila VC


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