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LA PANDEMIA NON HA INDEBOLITO IL PETROLIO, ANZI LO HA RAFFORZATO
Alberto Clô Direttore Rivista Energia
LA PANDEMIA NON HA INDEBOLITO IL PETROLIO, ANZI LO HA RAFFORZATO di Alberto Clô
Due domande sul futuro del mercato b/g contro i 100 dello scorso anno. Se del petrolio. Quali dinamiche possono è indiscutibile che la tenuta del Cartelprevedersi dopo la ripresa delle attivilo assuma anche un importante signifità economiche e della mobilità? Cosa cato politico, ciò nondimeno il parziale abbiamo, avremmo dovuto, imparare riequilibrio del mercato appare fragile dalla prima effettiva grande guerra per la grande incertezza che avvolge mondiale come è stata indicata la panogni variabile reale; per il rischio che demia del coronavirus? Prima domani maggiori prezzi, se rimarranno, ridiada: dopo l’abisso tra marzo e aprile, il no fiato al pur disastrato shale oil, per mercato del petrolio si è ripreso con i livelli record della spare capacity da prezzi del Brent ICE raddoppiati a 40 sempre inversamente proporzionadollari/barile dal minimo di fine aprile, le al livello dei prezzi. Più elevata è la ma ancora molcompliance all’Acto inferiore ai 70 cordo di Cartello, dollari/barile di Nella fase più acuta della maggiore è d’altra inizio anno. Due pandemia la domanda di parte la tentaziole principali rapetrolio è praticamente ne di ‘scartellare’ gioni. In primo crollata, sostenere però da parte dei suoi luogo, il forte calo della produzione dei ventitré paesi aderenti che i bassi prezzi siano il sintomo della sua prossima estromissione è fuori dalla membri più poveri, con break-even fiscali sui 70 dollari/ barile, e maggiore all’Accordo di realtà delle cose: dare è il vantaggio di chi Cartello “Opec il petrolio per defunto non vi ha aderito Plus” e degli altri prima ancora che errato è (poco meno della principali produtpericoloso metà della produtori, specie Stati zione mondiale). Uniti e Canada. Altro aspetto è la Quanto questo calo sia dovuto al ricrisi in cui versa l’intera industria enerspetto dell’Accordo o all’assenza di getica mondiale. Minori ricavi – quandomanda è difficile a dirsi, ma la lealtà tificati per quella petrolifera in 1.000 dei due king-makers di “Opec Plus”, miliardi di dollari – minori cash flow, Arabia Saudita e Russia, dopo la ‘guerminor liquidità, forti svalutazioni para suicida’ di marzo, porta a propentrimoniali e perdite economiche, pordere per la prima ipotesi. In secondo teranno ad una selezione darwiniana luogo, crollo della domanda molto innell’industria. Porteranno soprattutto feriore a quanto temuto (ad aprile: -19 ad un crollo degli investimenti stimato milioni b/g rispetto agli attesi -30) e da dall’Agenzia di Parigi nel 2020 in circa maggio sua graduale ripresa, con una un quinto rispetto allo scorso anno stima nell’intero 2020 sui 92 milioni (1.800 miliardi dollari), pari in termini assoluti a 400 miliardi di dollari: concentrato negli idrocarburi, ma che attraverserà anche le rinnovabili. Delineare un qualsiasi scenario per i prossimi 12-24 mesi è oltremodo complesso. Due le variabili da cui più dipenderanno le cose: intensità della ripresa economica e profilo della domanda di petrolio. Suo snodo centrale sarà il mondo della mobilità, da cui originava prima della crisi il 60% della domanda, con un altro 10% legato alla petrolchimica, industria sino a poco fa demonizzata ed ora acclamata come salvifica. Due segmenti, vale evidenziare, su cui le rinnovabili, almeno nel prossimo decennio, poco o nulla incideranno. Secondo stime di Rystad Energy sull’andamento post-lockdown della mobilità, il traffico stradale, che ne rappresenta i due terzi, riprenderà nella seconda metà dell’anno portandosi nel 2021 poco al di sotto dei livelli pre-crisi. La ripresa interesserà soprattutto la componente privata, mentre quella pubblica è prevista in contrazione strutturale ancora per molto tempo. In grande sofferenza resterà il trasporto aereo, almeno fino alla diffusione del vaccino anti-coronavirus. Tenendo anche conto dei mutamenti nelle preferenze individuali (lavoro da remoto, shopping on line, videoconferenze, etc) la previsione è che la domanda di petrolio non tornerà ai livelli del 2019 di 100 milioni b/g prima del 2022-2023. Il fatto rilevante è comunque che vi ritornerà. Sostenere che la crisi ha accelerato l’oil demand peak o addirittura che i bassi prezzi del petro
lio siano sintomo della sua estromissione, è fuori dalla realtà delle cose. Il lento profilo di ripresa della domanda venendosi a combinare con un’elevata capacità produttiva inutilizzata richiederà dal lato dell’offerta, per evitare nuovi crolli dei prezzi, una tenuta dell’Accordo di Cartello molto problematica perché, la storia insegna, alla lunga i Cartelli non tengono. Venendo alla seconda domanda posta all’inizio, tre gli insegnamenti che avremmo dovuto trarre dalla crisi. Primo: il petrolio è ancora baricentrico per l’intero sistema energetico mondiale, non solo perché ne rappresenta ancora la quota maggioritaria, ma perché condiziona, congiuntamente al metano, la competitività e la penetrazione delle fonti rinnovabili sia nella generazione elettrica (coi cicli combinati che registrano oggi costi la metà dell’eolico e solare) che della mobilità elettrica. In sintesi: le dinamiche di prezzo del petrolio e del metano condizionano la transizione energetica. Secondo: il mercato del petrolio rappresenta una quota rilevante dell’economia mondiale, sia in termini di ricavi (oltre 6.000 miliardi di dollari prima della crisi), di capitalizzazione (un quarto del global equity), di investimenti industriali (450 miliardi di dollari nella sola fase usptream). In sintesi: l’industria degli idrocarburi rappresenta un pilastro dell’economia mondiale, non paragonabile per estensione a quello delle altre fonti di energia. Il fatto che ne sia stato maggiormente colpito dallo tsunami del coronavirus non è sintomo della sua debolezza, semmai della sua valenza economica. Dare per defunto il petrolio prima ancora che errato è pericoloso. Perché il crollo dei suoi investimenti potrebbe determinare in futuro un mismatch domanda/offerta quando l’economia mondiale, come è sperabile avvenga, ritroverà un profilo di crescita. “Col rischio – ha affermato l’Agenzia di Parigi – che i tagli d’oggi creino in futuro squilibri tali da generare nuovi cicli espansivi dei prezzi dell’energia” che ostacolerebbero l’uscita dalla buca della recessione. A iniziare appunto dal petrolio, ove il taglio degli investimenti che si profila nel corso del 2020 ridurrebbe l’offerta nel 2025 di 9 milioni b/g, col rischio che essa non sia in grado di soddisfare una domanda pur inferiore ai livelli pre-crisi di 100 milioni barili al giorno con un inevitabile rimbalzo all’insù dei prezzi. Meno petrolio ma petrolio più caro. Vi è un’ultima considerazione che è importante fare: ed è la complementarietà e non contrapposizione tra idrocarburi e nuove rinnovabili (specie eolico e solare). Per due ordini di ragioni. Pri

mo: per l’ancora elevato squilibrio tra i primi e le seconde, in un rapporto nel 2019 di 84,3% vs. 4,9% (fonte BP). Per ribaltare questo rapporto si richiedono tempi lunghissimi. Secondo: per la loro ineludibile complementarietà fino a quando la transizione energetica non andrà a piena maturazione. Terzo: perché l’umanità abbisogna di tutte le risorse energetiche che la tecnologia gli ha messo nel tempo a disposizione, sapendo, dalle transizioni passate, che le risorse si sono sempre addizionate e mai pienamente sostituite. Il mercato delle candele vale ancora diversi miliardi di dollari. Quel che è testimoniato dal crescente impegno di risorse, tecnologie, professionalità che le majors petrolifere, specie quelle europee, vanno destinando alla transizione energetica.