muoversi n.4/2024

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TERRA RARA

DALLA PARTE DEL PIANETA

APERTURA

LA LUNGA VIA DELLA SOSTENIBILITÀ

di Gianni Murano, Presidente Unem

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QUANDO UNA MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA

AIUTA L’AMBIENTE

intervista a Stefano Laporta, Presidente ISPRA

di Marco D’Aloisi

LA COLLABORAZIONE TRA ISPRA E UNEM PER LE ATTIVITÀ DI BONIFICA E RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE

LO STATO DELLE TECNOLOGIE DI BONIFICA NEL RISANAMENTO

DELLE AREE INDUSTRIALI

di Marco Petrangeli Papini, Università di Roma "La Sapienza", Dipartimento di Chimica

I RISCHI EMERGENTI NELLA TRANSIZIONE ENERGETICA

di Tomaso Vairo, Università di Genova - DICCA

STATO DELLE BONIFICHE NEI SITI DI INTERESSE NAZIONALE IN ITALIA: UN QUADRO COMPLESSO

di Luciana Distaso, Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica

BIORISANAMENTO: LA NUOVA FRONTIERA PER IL RECUPERO DEI SITI CONTAMINATI

di Andrea Franzetti, Università degli Studi di Milano-Bicocca e Tatiana Stella, M3R

ESPERIENZE DI BONIFICA

LA DISCIPLINA DELLE BONIFICHE: UN PERCORSO CHE DURA DA 40 ANNI

di Donatella Giacopetti, UNEM

CONTRO I CRIMINI

AMBIENTALI NON BASTANO SOLO LE SANZIONI PENALI

di Cosimo Pacciolla, Kuwait Petroleum Italia

UN’EUROPA DAL MOTORE IMBALLATO

di Antonio Pollio Salimbeni, Corrispondente da Bruxelles del Sole 24 Ore

IL RAPPORTO DRAGHI E LE CONTRADDIZIONI DELL’EUROPA

di Enrico Morando, Economista

STUDI E RICERCHE

NUMERI ENERGIA

FUTURE OF MOBILITY

RASSEGNA STAMPA

EDUCATION NUOVE MODALITÀ DI INDAGINE DEI SITI CONTAMINATI DA PFAS

DALLA PISTA ALLA STRADA GLI PNEUMATICI IN KEVLAR SBARCANO SULLE AUTO STRADALI

TECNOLOGIE PER IL FUTURO L’IDROGENO CHE VOLA

EVENTI UNEM

NEWS DALLE ASSOCIATE

IMMAGINARE IL FUTURO

APPENDICE STATISTICA

ENERGIE E TECNOLOGIE PER IL FUTURO

MUOVERSI

TRIMESTRALE DI UNIONE ENERGIE PER LA MOBILITÀ ANNO 2024 N. 4 OTTOBRE / DICEMBRE

Direttore Responsabile Marco D’Aloisi Collaboratori

Armando Durazzo, Paolo Guarino, Roberto Roscani Ideazione e Progettazione Grafica Atlas Consulting

EDITORIALE

Oggi in Italia ci sono poco meno di 149.000 ettari di terreni, cioè lo 0,49% della superficie del territorio italiano, che ricadono nella definizione di siti d’interesse nazionale, i cosiddetti SIN, a cui se ne aggiungono altri 77.000 a mare, individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali.

Aree in cui insistevano attività industriali, in molti casi ormai dismesse, in anni in cui la consapevolezza dei possibili impatti ambientali delle attività produttive era decisamente più contenuta e molto spesso si operava in assenza di una regolamentazione sistematica.

A livello legislativo il tema delle bonifiche di queste aree è stato affrontato in modo più sistematico solo a partire dal 1999 con il cosiddetto “Decreto Ronchi” che per la prima volta ha introdotto le definizioni di “sito contaminato, sito potenzialmente contaminato, messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale con misure di sicurezza, misure di sicurezza”.

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti e il tema delle bonifiche e del recupero del suolo ha assunto un ruolo centrale nelle politiche non solo ambientali ma anche sociali in quanto si vanno a toccare questioni molto concrete e molto locali. In questo numero abbiamo perciò provato a capire a che punto siamo e quali sono state le evoluzioni nelle tecniche di risanamento e quali le criticità con cui dobbiamo ancora confrontarci. In questo ci hanno aiutato noti esperti, accademici ed operatori, ma anche rappresentanti delle Istituzioni.

Unione Energie per la Mobilità

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Le opinioni espresse impegnano unicamente gli autori e sono indipendenti da opinioni e politiche dell’Editore. Registrazione Tribunale di Roma n. 121 del 19 settembre 2019

A partire da Stefano Laporta, Presidente di Ispra, che in un’intervista ci ha detto che “su questo tema l’Italia sta vivendo una sorta di “età dell’oro” che speriamo riesca a consolidarsi in un salto di conoscenze e tecnologico significativo”. Di sicuro rilievo anche l’intervento di Marco Petrangeli Papini, dell’Università di Roma “La Sapienza”, sullo stato dell’arte delle tecnologie di bonifica e risanamento delle aree industriali che oggi presentano “molte più opzioni, decisamente più efficaci dei sistemi tradizionali” e quello di Tomaso Vairo, dell’Università di Genova, che interviene sul tema dell’analisi di rischio che “è l’unico modo di gestire in sicurezza i rischi emergenti derivanti dalla transizione energetica”. Completano questo quadro l’analisi di Luciana Distaso del Mase sullo stato delle bonifiche nei SIN e un interessante articolo di Andrea Franzetti dell’Università di Milano-Bicocca e di Tatiana Stella di M3R sulle tecniche di biorisanamento, cioè un insieme di tecniche che sfruttano organismi viventi per la degradazione e trasformazione di sostanze contaminanti. Un tema che abbiamo affrontato anche da punto di vista dell’evoluzione normativa nazionale ed europea grazie ai contributi di Donatella Giacopetti di UNEM e di Cosimo Pacciolla di Kuwait Petroleum Italia che si sofferma in particolare sulla tutela penale dei crimini ambientali. Spazio anche all’attualità con il commento di Antonio Pollio Salimbeni sulla nuova legislatura europea e di Enrico Morando sul “Rapporto Draghi” che, in entrambi i casi, mettono in evidenza le contraddizioni di un’Europa dal “motore imballato”.

Buona lettura

LA LUNGA VIA DELLA SOSTENIBILITÀ

Il trionfo della speranza sull’esperienza. Con questa scarna definizione si potrebbe sintetizzare l’edizione 2024 del “World Energy Outlook” dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) e, sfortunatamente, non è la prima volta che accade. Il Rapporto tende ad esaltare il processo di elettrificazione in corso immaginando, seppure ancora una volta spostata in avanti, la fine della

crescita della domanda di energie fossili al termine di questa decade, e appare indicare con molto ottimismo la possibilità di arrivare all’obiettivo del “net zero emissions” per il 2050. Anche Ezio Di Giulio e Stefania Migliavacca di Eni Corporate University, in una loro recente e approfondita analisi pubblicata sull’ultimo numero della rivista Energia, hanno messo a confronto alcune delle variabili

fondamentali per il conseguimento di questo obiettivo, giungendo però alla conclusione che “il target net-zero al 2050 è ancora straordinariamente lontano e dunque non realistico”. È indubbio, e sicuramente auspicabile anche per il futuro, che lo sviluppo delle energie rinnovabili è stato significativo negli ultimi 10 anni – capacità installata praticamente triplicata –ma anche che queste hanno contribuito solo al 30% dell’energia elettrica prodotta nel 2023. La domanda è stata garantita ancora per il 60% dal carbone (sic!) la cui crescita negli ultimi cinque anni ha proceduto ad un

PER QUANTO NEGLI ULTIMI

10 ANNI LO SVILUPPO

DELLE ENERGIE RINNOVABILI

NELLA GENERAZIONE ELETTRICA

È STATO SIGNIFICATIVO – CAPACITÀ INSTALLATA

PRATICAMENTE TRIPLICATA –

QUESTE HANNO CONTRIBUITO

SOLO AL 30% DELL’ENERGIA

ELETTRICA PRODOTTA NEL 2023

CHE PER IL 60% ARRIVA

ANCORA DAL CARBONE, LA CUI DOMANDA NEGLI ULTIMI

CINQUE ANNI È CRESCIUTA

IL SISTEMA ENERGETICO NON È QUALCOSA DI MONOLITICO

CHE RISPONDE AD UN UNICO

COMANDO IN MODO TEMPESTIVO

tasso medio annuo dell’1,7% (mentre servirebbe una riduzione del 5,6% al 2030 e del 15% al 2050 per essere compliance con lo scenario net-zero del rapporto Aie).

Oggi la quota dei combustibili fossili nel mix energetico globale è intorno all'80%, cioè un paio di punti percentuali in meno rispetto a dieci anni fa, con le rinnovabili ancora residuali nonostante il forte aumento percentuale. Nello stesso periodo la domanda totale è aumentata di circa il 18%, trainata dai paesi area Asia-Pacifico. E questo accade per una ragione molto semplice che è la crescita demografica e la continua crescita della domanda di energia che arriva dai Paesi emergenti. Lo stesso Rapporto evidenzia come la crescita delle energie rinnovabili non sia stata neanche pari all’incremento della domanda di energia ovvero c’è stato bisogno di altre energie fossili, purtroppo carbone, per incontrarla.

In questo contesto, il petrolio si conferma la prima fonte di energia e tale resterà almeno fino al 2035, anche negli scenari più virtuosi emersi dal rapporto dell’Aie, quando sarà sopravanzato dalle rinnovabili. Manterrà comunque il primato anche dopo tale data nel settore dei trasporti dove neanche al 2050 sarà scavalcato dall’energia elettrica, con una quota compresa tra il 64% e il 74% (a seconda dello scenario preso a riferimento).

In tutto ciò c’è poi da considerare il tema della sicurezza energetica che, si legge nel Rapporto, “corrisponde al nucleo storico del mandato dell’Aie e agli imperativi del presente, dati i rischi crescenti in Medio Oriente”, a cui si associa anche quello dell’incertezza del contesto geopolitico, un “fattore sempre presente in qualsiasi analisi previsionale, ma particolarmente presente quest’anno” visto che “l’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato quanto rapidamente le dipendenze possano trasformarsi in vulnerabilità, una lezione che si applica anche alle catene di approvvigionamento di energia pulita che presentano alti livelli di concentrazione del mercato”.

Preoccupazione giustificata dall’esperienza della Germania che, nonostante sia largamente il primo paese europeo per capacità rinnovabile installata (solare ed eolico), a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina è stata costret-

E UNIFORME COME PUÒ EMERGERE

PENSARE DI INDIRIZZARE OGNI

COMPORTAMENTO UMANO NELLA

DIREZIONE DESIDERATA È VELLEITARIO E RISCHIOSO.

AVERE LA CONSAPEVOLEZZA DELLE DIFFICOLTÀ CHE CI ATTENDONO SAREBBE GIÀ UN

PASSO AVANTI SULLA LUNGA VIA DELLA SOSTENIBILITÀ

ta a ricorrere nuovamente al carbone nel momento in cui ha dovuto scegliere tra sostenibilità e sicurezza energetica dei propri cittadini. Non è un caso che oggi la Germania sia il maggiore emittore di CO₂ tra i 27 paesi europei con una quota del 28% rispetto al 12% dell’Italia e al 6% della Spagna, e ben superiore anche alla Polonia che basa il 74% della sua generazione elettrica sul carbone.

Un dilemma con cui non è escluso potrebbero dover fare i conti anche quei Paesi a forte crescita demografica ed economica, come ad esempio Cina ed India che hanno già spostato il loro obiettivo net-zero al 2060 e al 2070 rendendolo in questo modo più realistico ma non per questo meno ambizioso.

Il sistema energetico non è qualcosa di monolitico che risponde ad un unico comando in modo tempestivo e uniforme così come può emergere da qualsivoglia scenario del Rapporto dell’Aie. Pensare di indirizzare ogni comportamento umano nella direzione desiderata è velleitario e rischioso. Avere la consapevolezza delle difficoltà che ci attendono sarebbe già un passo avanti sulla lunga via della sostenibilità e offrirebbe una prospettiva più ampia per indirizzare il processo di decarbonizzazione verso una strada maggiormente realistica che possa poggiarsi su tutte le tecnologie in grado di dare il proprio contributo.

QUANDO UNA MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA AIUTA L’AMBIENTE

intervista

La ricerca accompagna ogni progresso tecnologico e ciò vale anche e soprattutto in campo ambientale. Quale è la situazione in Italia?

Su questo tema, nel nostro Paese, stiamo vivendo una sorta di “età dell’oro” che speriamo riesca a consolidarsi in un salto di conoscenze e tecnologico significativo. Il PNRR in molte delle “missioni” ha avuto al centro una declinazione sulla ricerca e sulle applicazioni tecnologiche in campo ambientale. È il caso, per portare un esempio concreto, nell’ambito della “missione 2 – rivoluzione verde e transizione ecologica” a guida MASE, di un progetto di cui ISPRA è soggetto attuatore, il Progetto MER, ossia il più grande progetto sul mare del PNRR. Un progetto che prevede interventi per il ripristino e la protezione dei fondali e degli habitat marini, il rafforzamento del sistema nazionale di osservazione degli ecosistemi marini e costieri e la mappatura degli habitat costieri e marini di interesse conservazionistico nelle acque italiane. Attività portate avanti con tecnologie altamente innovative e tecnologiche.

sull’innovazione. Il sistema della ricerca ha compiuto uno sforzo enorme nonostante procedure amministrative, mi permetto di dire, scoraggianti; adesso la sfida sarà riuscire a incrementare le reti di conoscenza costruite quando termineranno i finanziamenti PNRR. Per questo sarà vitale poter contare sui migliori ricercatori e tecnici e sostenere il processo con regole amministrativo-gestionali agili e adeguate allo scopo.

Si sente dire spesso che senza giustizia ambientale la transizione ecologica è destinata a fallire. Cosa ne pensa?

Vi sono altri progetti sviluppati anche in altri ambiti del PNRR e coordinati da enti di ricerca od università sui temi della transizione energetica ed ambientale. Mi riferisco, per esempio, all’impatto che stanno già avendo i progetti focalizzati sull'intelligenza artificiale, l'Internet of Things (IoT) e i big data, per monitorare gli ecosistemi, gestire risorse idriche, migliorare l'efficienza energetica e sviluppare nuovi materiali sostenibili, così come le azioni avviate per rispondere ai rischi naturali, alle dinamiche del suolo o gli studi sulla relazione tra salute umana, salute degli animali e ambiente seguendo un approccio one health.

Si tratta di progetti che vanno dalla ricerca di base a quella finalizzata al trasferimento tecnologico e alla realizzazione di infrastrutture di ricerca, tutti interventi che stanno, al tempo stesso, richiedendo e determinando uno scatto di innovazione per il sistema produttivo e quindi, nei fatti, anche un rilevante intervento di politica industriale centrato

Il termine “transizione ecologica” implica un percorso, una strada da perseguire, un passaggio da una fase ad un’altra e questo non può avvenire senza qualche sostanziale cambiamento di rotta, soprattutto considerando la difficoltà di conciliare la difesa dell’ambiente con quella della giustizia sociale. Una transizione ecologica socialmente giusta implica innanzitutto la presa di coscienza di una crisi ambientale, e anche questo è un percorso non sempre facile da intraprendere. Un ruolo importante per una reale transizione ecologica – parlando di tutela ambientale - spetta, a mio avviso, al settore della ricerca pubblica, indispensabile per garantire che gli interventi da attuare rientrino all’interno di una programmazione coordinata e coerente con la difesa dei territori, dell’ambiente e della popolazione che vi risiede. È quindi un problema ambientale che spesso si trasforma in un problema sociale. Faccio l’esempio dell’acqua, una risorsa che, come altre, rischia di essere seriamente compromessa per molti: nonostante i progressi tecnologici e gli sforzi internazionali, circa 2 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso a servizi di acqua potabile gestiti in modo sicuro. Anche in aree industrializzate la situazione è poi esacerbata dall’impatto dei cambiamenti climatici e delle pressioni antropiche legate, ad esempio, al sovrasfruttamento della risorsa idrica o alla impermeabilizzazione dei suoli.

IL SISTEMA DELLA RICERCA HA COMPIUTO UNO SFORZO ENORME

NONOSTANTE PROCEDURE

AMMINISTRATIVE SCORAGGIANTI.

ORA LA SFIDA SARÀ RIUSCIRE

A INCREMENTARE LE RETI

DI CONOSCENZA COSTRUITE

QUANDO TERMINERANNO I

FINANZIAMENTI PNRR. PER QUESTO SARÀ VITALE POTER

CONTARE SUI MIGLIORI

RICERCATORI E TECNICI E SOSTENERE IL PROCESSO CON REGOLE AMMINISTRATIVOGESTIONALI AGILI E ADEGUATE

La strada verso il cambiamento è, prima ancora che strategica, culturale e sociale e ne siamo tutti coinvolti. Presuppone un diverso modo di approcciarsi all’ambiente che ci circonda, la riformulazione della nostra mobilità, l’eliminazione dei consumi superflui, un nuovo modo di costruire le nostre case, riduzione e riciclo dei rifiuti. Cambiamenti possibili solo con una radicale svolta culturale, perché i problemi ambientali si risolvono anche con adeguate scelte sociali e stili di vita più sostenibili.

Lei ha recentemente detto che la conoscenza è alla base delle decisioni da prendere oggi per pianificare la transizione ecologica. Come si può alimentare questa conoscenza che significa anche maggiore consapevolezza nei comportamenti quotidiani?

Alimentare la conoscenza è uno dei compiti istituzionali dell’ISPRA e di tutto il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente: le nostre attività quotidiane sono rese disponibili agli stakeholder, al mondo politico, ai cittadini con pubblicazioni periodiche e con una comunicazione continua attraverso vari canali, come i social network, il sito istituzionale e la stampa, proprio per arrivare a coinvolgere ed informare anche i non addetti. E questo è un primo fondamentale passo. L’informazione è un altro caposaldo del nostro Istituto: lo stato di salute del nostro pianeta lo misuriamo quotidianamente, ma senza un’adeguata diffusione delle informazioni in nostro possesso si vanificherebbe il nostro operato. Accrescere consapevolezza significa anche avere un rapporto più equilibrato con tutto ciò che ha a

che fare con l’ambiente, quindi con l’acqua, con la natura, con la terra, con il mare.

ISPRA svolge una costante azione di monitoraggio e controllo del territorio attraverso il sistema delle agenzie per l’ambiente che dipendono dalle Regioni. Prevalgono le specificità territoriali oppure è un sistema che funziona?

Per prima cosa, vorrei evidenziare il lavoro quotidiano delle Agenzie per l’ambiente regionali e delle province autonome. È proprio grazie alle Agenzie attive nei territori che è possibile per ISPRA svolgere tale funzione e fornire al pubblico e alle istituzioni - sia nazionali che europee – informazioni tecnicamente coerenti e scientificamente fondate sullo stato dell’ambiente e dei relativi impatti e tendenze a livello nazionale. Il Sistema nato nel 2016 dalla Legge n. 132 ha consentito di lavorare insieme, di conoscersi, di discutere, di confrontarsi, di ottenere risultati. Il territorio della penisola è vario non solo dal punto di vista ambientale, ma anche delle condizioni sociali ed economiche e della competitività, e questa diversità rende ancora più significativa ed indispensabile la funzione svolta dalla nostra collaborazione tecnica e scientifica. Infatti, si deve ricordare che le funzioni del monitoraggio e del controllo ambientale servono a garantire alle amministrazioni tutte - sia statali che regionali, ma anche agli enti localiconoscenze e informazioni, verificate e consolidate, sulla

base delle quali assumere decisioni. Quanto più tali informazioni di base sono costruite secondo modalità tecniche coerenti e condivise tanto più siamo in grado di offrire con il nostro lavoro quotidiano, le condizioni nel Paese per l’uguaglianza di diritti e tutele ambientali e per uno sviluppo corretto della competitività delle imprese e della loro capacità di fornire valore e lavoro. Le maggiori criticità provengono dall’esigenza di contemperare obiettivi e priorità di lavoro e sviluppo che non sempre coincidono tra i livelli regionali e dello Stato e che, inevitabilmente, in un contesto di risorse scarse, si riverberano sull’efficienza e la puntualità delle risposte complessive.

Recentemente avete rinnovato per altri 5 anni un accordo di collaborazione con UNEM per la promozione della sostenibilità ambientale e dell’in-

novazione tecnologica nelle attività di bonifica e di riqualificazione ambientale. Cosa si aspetta alla luce della precedente esperienza?

Grazie alla collaborazione con UNEM abbiamo rafforzato lo scambio di esperienze tra pubblico e privato, sperimentando metodologie innovative di monitoraggio ambientale che ci hanno permesso di ottenere dati affidabili, accurati e a basso costo per una gestione più efficace delle aree contaminate. Con il rinnovo dell'accordo, la nostra priorità sarà anche collaborare per la riqualificazione di queste aree, puntando a migliorare l'efficienza degli interventi di risanamento e ridurre l’impatto ambientale. Questo continuo confronto tra pubblico e privato consentirà di restituire al territorio spazi riqualificati, con soluzioni durature e sostenibili.

LE FUNZIONI DI MONITORAGGIO

E CONTROLLO AMBIENTALE

SERVONO A GARANTIRE ALLE AMMINISTRAZIONI - SIA

STATALI CHE REGIONALI, E AGLI

ENTI LOCALI - CONOSCENZE E INFORMAZIONI VERIFICATE E CONSOLIDATE, SULLA BASE DELLE QUALI ASSUMERE DECISIONI. QUANTO PIÙ TALI INFORMAZIONI SONO COSTRUITE SECONDO MODALITÀ TECNICHE COERENTI E CONDIVISE TANTO PIÙ SIAMO IN GRADO DI OFFRIRE LE CONDIZIONI PER L’UGUAGLIANZA

DI DIRITTI E TUTELE AMBIENTALI

E PER UNO SVILUPPO CORRETTO DELLA COMPETITIVITÀ

DELLE IMPRESE

LA COLLABORAZIONE TRA ISPRA E UNEM PER LE ATTIVITÀ DI BONIFICA E RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE

Lavorare in modo congiunto per promuovere innovazione tecnologica e sostenibilità come principi centrali di ogni attività di bonifica e riqualificazione ambientale: questo l’obiettivo dell’Accordo firmato da ISPRA e UNEM lo scorso 18 luglio a Roma.

La collaborazione mira a condividere buone pratiche e scambi di esperienze, nell’ottica di una sinergia pubblico-privato finalizzata all’innovazione e alla sperimentazione.

L’Accordo ha durata quinquennale e rinnova una collaborazione attiva già dal 2020, quando era stato avviato da UNEM il progetto “Riqualificazione ambientale”, che ad oggi coinvolge non solo le aziende committenti, ma anche 21 aziende operanti nelle aree di ingegneria ambientale, bonifica e riqualificazione dei siti contaminati e recupero di siti petroliferi.

Nell’ambito del nuovo Accordo di collaborazione sono state previste: attività di ricerca e studio sulle tecnologie innovative di caratterizzazione e di bonifica dei siti contaminati; attività di sperimentazione operativa, con interventi da realizzare attraverso la definizione di Piani Operativi di Dettaglio (POD) concordati dalle parti; attività, infine, di formazione sulla tutela dell’ambiente e del territorio.

“La sostenibilità ambientale è un tema prioritario per le Aziende che rappresentiamo – ha commentato Marina Barbanti, Direttore Generale di UNEM – e l’Accordo firmato oggi permetterà di proseguire la proficua collaborazione in corso con ISPRA per la definizione e la diffusione dei migliori standard operativi per la riqualificazione ambientale del nostro settore. Un settore impegnato in una trasformazione profonda dei propri processi produttivi e dei propri prodotti in un’ottica di decarbonizzazione, attraverso la riconversione dei siti esistenti evitando così il consumo di nuovo suolo”.

“L’accordo siglato prosegue il confronto positivo tra pubblico e privato, tra autorità e stakeholder e contemporaneamente consente la prosecuzione di attività di ricerca comuni per essere al passo con il progresso tecnico/scientifico sulla tematica della gestione dei siti contaminati”. Questo il commento di Marco Amanti, Direttore del Dipartimento per il Servizio geologico d’Italia, che ha concluso affermando che “Tutto questo consentirà una più efficace gestione degli aspetti ambientali, un incentivo alla riqualificazione delle aree degradate, in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo, contribuendo anche alla crescita del Paese e dell’economia nazionale”.

LO STATO DELLE TECNOLOGIE

DI BONIFICA NEL RISANAMENTO

DELLE AREE INDUSTRIALI

La riconversione e riqualifica zione delle vec chie aree industriali del nostro paese ri chiede necessaria mente la capacità di rimuovere le sostanze inquinanti per ripor tare la qualità delle matrici ambientali ad un livello compatibile con il successivo riutilizzo del sito. Molto spesso, la contaminazione delle aree industriali dipende da eventi primari accaduti nel passato, quando la consapevolezza dei possibili impatti ambientali delle attività produttive era decisamente contenuta e molto spesso si operava in assenza di una regolamentazione sistematica. Negli ultimi due decenni la conoscenza delle dinamiche di contaminazione, la modalità con cui i contaminanti vengono trasportati, dispersi e trasformati nelle matrici ambientali, è significativamente aumentata e questo costituisce una base fondamentale per la identificazione delle corrette strategie per la bonifica dei siti inquinati, in particolare per le situazioni più complesse associate a siti storicamente impattati da attività industriali. Fortunatamente, ad oggi, disponiamo di un portafoglio di opzioni tecnologiche potenzialmente in grado di fornire una utile risposta alla gran parte delle situazioni di contaminazione più frequentemente incontrate. Nel nostro paese la problematica maggiore nel recupero delle aree contaminate risiede nella bonifica delle falde

acquifere. Mentre la contaminazione dei suoli, intendendo in questo caso la porzione insatura del sottosuolo, viene più efficacemente recuperata negli interventi di risanamento, i procedimenti di bonifica delle acque sotterranee, in particolare nei siti complessi, risultano tipicamente di più difficile conclusione. Questo può essere facilmente verificato confrontando i dati di avanzamento dei procedimenti di bonifica nei nostri Siti di Interesse Nazionale (SIN) per la matrice suolo e la falda acquifera. Una delle tecniche tradizionalmente utilizzate nella bonifica delle acque di falda, e che comunque attualmente costituisce la tecnologia maggiormente impiegata nel nostro paese, è il cosiddetto Pump & Treat (P&T). L’acqua di falda contaminata viene emunta da un sistema di pozzi che possono ope-

rare al confine del sito o in prossimità degli hot-spot di contaminazione, trattata in un impianto dedicato e poi, tipicamente, scaricata in fognatura o corpi idrici superficiali. Questa tipologia di intervento è internazionalmente riconosciuta come efficace nel contenimento della migrazione dei contaminanti verso l’esterno del sito, utile per la rimozione di masse significative di contaminanti nel periodo immediatamente successivo all’evento primario, ma scarsamente efficace nel raggiungimento degli obiettivi di bonifica, per siti storicamente contaminati, in tempi ragionevoli. Questo tipo di intervento dovrebbe quindi essere vantaggiosamente utilizzato come misura di prevenzione o di messa in sicurezza di emergenza ma perde di efficienza quando immaginato come intervento di bonifica1. Alternativamente al P&T, diventano certamente più interessanti, sia dal punto di vista della efficacia che della sostenibilità, le cosiddette tecnologie in situ che

prevedono il trattamento della matrice contaminata senza la sua necessaria rimozione. Queste tecnologie sono basate sulla possibilità di implementare processi di natura chimico-fisica e biologica direttamente nell’acquifero contaminato mediante la modifica delle condizioni conseguente alla aggiunta di ammendanti. Largamente utilizzati nella bonifica di falde contaminate da idrocarburi e solventi clorurati sono i processi basati sulla capacità dei microorganismi di utilizzare i contaminanti per le proprie funzioni metaboliche, degradandoli fino alla formazione di composti non tossici (Bioremediation). Nel caso dei solventi clorurati il processo è stimolato dall’aggiunta di substrati organici in falda che, fermentando naturalmente, fungono da donatori di elettroni, necessari per il processo di riduzione fino alla formazione di etilene ed etano, privi di impatto ambientale (il processo di Declorazione Riduttiva Biologica). Nel caso di idrocarburi il processo biologico, aerobico, viene stimolato con l’aggiunta di ammendanti in grado di fornire l’ossigeno sufficiente alla ossidazione dei contaminanti fino a CO2 ed H2O. Questi processi sono ormai tra quelli maggiormente impiegati nei siti contaminati da questi composti e non sono più annoverabili come processi innovativi ma ormai largamente consolidati, con un livello di sostenibilità decisamente elevato. Un approccio interessante, ormai anch’esso consolidato nel panorama internazionale da oltre 20 anni, è quello delle Barriere Permeabili Reattive (PRB). Sono installazioni di materiale reattivo direttamente nel sottosuolo che sfruttano il gradiente idraulico naturale della falda e la permeabilità del riempimento per consentire il movimento, passivo, dell’acqua contaminata attraverso la barriera che sostiene reazioni di riduzione/immobilizzazione dei contaminanti. Tipicamente sono realizzazioni con ferro zero valente in grado di ridurre chimicamente i solventi clorurati o riempimenti con carbone attivo in grado di immobilizzare permanentemente gli inquinanti poi eventualmente soggetti a fenomeni di biodegradazione.

Negli ultimi anni un grande interesse ha suscitato la possibilità di iniettare direttamente negli acquiferi carboni attivi in forma colloidale con la creazione di zone fortemente adsorbenti in situ senza necessità di escavazione. Molteplici sono gli esempi di accoppiamento di questo approccio con la stimolazione dell’attività biologica e con risultati decisamente confortanti. Una menzione a parte riguarda lo sviluppo di sistemi in grado di “manipolare” idraulicamente la falda, con la conseguente efficace mobilizzazione di contaminanti fortemente intrappolati nelle zone a bassa permeabilità e distribuire più efficacemente qualsiasi tipo di ammendante in falda direttamente in forma solubile. I pozzi di ricircolazione (Groundwater Circulation Wells) sono pozzi multi-fenestrati che emungono l’acqua contaminata da una fenestratura, la inviano ad un opportuno impianto di trattamento o di aggiunta di ammendanti, e la reimmettono in falda in una diversa fenestratura dello stesso pozzo. Questo crea delle celle ellissoidali di circo-

lazione intorno al pozzo che aumentano significativamente i tempi di esaurimento delle sorgenti secondarie presenti, senza emungimento netto della falda.

Oltre a questi approcci tecnologici sono numerosi gli altri processi in situ ormai disponibili sul mercato in forma sufficientemente consolidata, dalla ossidazione chimica in situ (ISCO), ai processi di desorbimento termico, utilizzo di nanomateriali, fino al flushing con tensioattivi ecocompatibili. Come detto, sono molte ormai le opzioni disponibili e numerose le applicazioni alla piena scala di processi decisamente più efficaci del classico P&T. Certamente questi processi richiedono una cultura scientifica più robusta ed una conoscenza delle caratteristiche del sito più approfondita, ma consentono certamente il raggiungimento degli obiettivi di bonifica con impatti complessivi significativamente più sostenibili.

1Per un ulteriore approfondimento si consiglia la lettura dell’articolo “Rethinking pump-and-treat remediation as maximizing contaminated groundwater” disponibile a questo link: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0048969724007381?via%3Dihub).

I RISCHI EMERGENTI NELLA TRANSIZIONE ENERGETICA

La tematica della transizione energetica è ampia, coinvolge l’utilizzo di nuovi vettori energetici, nuovi processi, necessità di regolamentazione e creazione di nuovi standard. Innanzitutto, poniamo l’attenzione sul termine “rischi emergenti”. Da un lato, il significato di emergente significa “nuovo”: abbiamo a che fare con rischi nuovi, connessi con nuove sostanze e/o nuove modalità di uti lizzo di sostanze note, situazioni connotate da una carenza di dati storici. Dal punto di vista dell’incertezza associata alle analisi del rischio, questo fatto denota una incer tezza definita “aleatoria” (dovuta, cioè, alla carenza di dati). Dall’altro lato, il termine “emergenti” richiama il concetto di com portamento emergente di un sistema com plesso. Infatti, è proprio l’aspetto sistemico che deve essere considerato, cioè il fatto che determinate proprietà di sistema non possano essere detratte da una analisi sistematica dei componenti del sistema, ma si ritrovino nelle interazioni tra questi. Questo denota un altro tipo di incertezza, l’incertezza “epistemica”, quella, cioè, dovuta alla mancanza di conoscenza. Pertanto, la comprensione, e l’analisi, delle interazioni è precisamente il pilastro su cui si basa la possibilità di attraversare in sicurezza la transizione.

chieste sia in condizioni previste che inaspettate. Un sistema è sicuro, quindi, se è in grado di assorbire le perturbazioni e l'identificazione e la valutazione dei rischi plausibili è quindi un prerequisito essenziale per la sicurezza del sistema. Poiché gli incidenti e la valutazione del rischio sono due facce della stessa medaglia, e poiché entrambi sono vincolati allo stesso modo dai modelli e dalle teorie sottostanti, sarebbe ragionevole supporre che gli sviluppi della sicurezza dei sistemi abbiano coinciso con quelli dell'analisi degli incidenti. La valutazione del rischio risponde alla necessità di avere un'eziologia degli incidenti, cioè uno studio delle possibili cause o origini degli incidenti, ma è necessaria anche un'eziologia della sicurezza, cioè la comprensione di cosa sia la sicurezza e di come possa essere messa in pericolo. Questa eziologia degli incidenti è il punto cruciale della sicurezza dei sistemi e dell'ingegneria della resilienza, e il suo sviluppo è relativamente recente.

Sull’incertezza

Si, perché, se in un approccio più moderno e sistemico al rischio industriale la sicurezza è una proprietà emergente di sistema, allo stesso modo lo è la mancanza di sicurezza; ed è proprio la qualità delle interazioni che determina quale proprietà il sistema è in grado di manifestare. E se la sicurezza è la proprietà che vogliamo che il sistema manifesti, l’obiettivo è di progettare e gestire sistemi resilienti. In questo caso, il termine resilienza ha un significato ben preciso, rappresenta, infatti, la capacità di un sistema di erogare una certa prestazione anche se il funzionamento dei suoi componenti è soggetto a fluttuazioni. Questa visione riconosce che le prestazioni dei sistemi complessi sono sempre fluttuanti, sia a causa della variabilità dell'ambiente che della variabilità dei componenti. La resilienza è stata definita in letteratura come “la capacità dei sistemi di adattarsi a condizioni mutevoli per mantenere una proprietà del sistema”. In altre parole, un sistema è resiliente se è in grado di adattare il proprio funzionamento prima, durante o dopo gli eventi (cambiamenti, disturbi e opportunità), e quindi di sostenere le operazioni ri-

L’analisi dei rischi emergenti è, come detto, caratterizzata da incertezza aleatoria (mancanza di dati) ed epistemica (mancanza di conoscenza). Queste due dimensioni dell’incertezza possono essere esaminate attraverso il concetto espresso da Rumsfeld (U.S. Department of Defense, 12/2/2002) che ha portato molta fama e attenzione pubblica ai concetti di gestione dei rischi (figura 1). Il concetto è tratto dalla “finestra di Johari”, una tecnica nata per aiutare a comprendere meglio i rapporti umani. Considerando la conoscenza sullo stato del sistema (e quindi il livello aleatorio) e la conoscenza sul comportamento del sistema (e quindi il livello epistemico), si può costruire una matrice che identifica quattro categorie.

Queste quattro categorie sono fondamentali per comprendere e valutare i rischi.

Rischi noti (Known-Knowns) I rischi noti sono il tipo di rischio più semplice. Un “noto” sta per il fatto che l'organizzazione è a conoscenza dello stato del sistema, quindi è consapevole dell'esistenza di tale rischio. L'altro “noto” sta per il fatto che l'organizzazione è a conoscenza del comportamento del sistema, quindi il rischio può essere misurato e i suoi effetti possono essere

quantificati. Questi tipi di rischio sono più facili da gestire perché è nota la probabilità che si verifichino e il loro impatto. È dunque possibile stabilire una relazione con i modelli di inferenza. Non c'è dubbio che la valutazione dei rischi “noti” appartenga al regno della deduzione.

Rischi sconosciuti (Known-Unknowns)

Questi rischi sono chiamati incognite note perché l'organizzazione è consapevole dell'esistenza di tale rischio. Tuttavia, allo stesso tempo, l'organizzazione non è a conoscenza del comportamento del sistema in quello stato, quindi non è in grado di quantificare la probabilità e gli impatti che questi rischi avranno sul sistema.

Rischi sconosciuti e noti (Unknown-Knowns)

Si tratta di rischi che generalmente si creano a causa della negligenza, consapevole o meno, dell'organizzazione. Il comportamento del sistema quando è messo in pericolo da certi rischi è noto, ma l'organizzazione non lo gestisce.

Rischi sconosciuti-sconosciuti (Unknown-Unknowns)

Sono il tipo di rischio più pericoloso che un'organizzazione deve affrontare. Uno sconosciuto sta per il fatto che l'azienda non è nemmeno consapevole dell'esistenza di tale rischio, non conoscendo adeguatamente lo stato del sistema. L'altra incognita va da sé. Questi rischi tendono tipicamente ad avere un impatto molto elevato e a mettere in pericolo l'esistenza stessa dell'organizzazione. Sono i cosiddetti cigni neri (N.N. Taleb). È estremamente difficile prevedere l'esistenza e l'impatto di questo tipo di rischio con un certo grado di precisione. È qui che tutti i modelli matematici di gestione del rischio cominciano a fallire.

A questo punto è evidente che la necessità è quella di ridurre l’incertezza, e gli strumenti di cui disponiamo sono quelli dell’inferenza:

• Ragionamento deduttivo. Disponiamo di una regola da applicare (conoscenza). La conclusione è certa.

• Ragionamento induttivo. Disponiamo di dati dai quali poter derivare una conclusione. La conclusione è probabilmente vera.

• Ragionamento abduttivo. Non disponiamo di conoscenza, né di dati. Iniziamo a raccogliere i dati e formuliamo un tentativo di conclusione. La conclusione è continuamente sfidata dai dati che verranno raccolti.

Knoledge on the state of the system
Knoledge on the behavior of the system
Figura 1: L’incertezza nelle analisi del rischio

La modalità per ridurre l’incertezza richiede l’applicazione di tutti i tipi di inferenza (figura 2).

In presenza di un fatto nuovo, applicando la logica abduttiva, si propone un tentativo di legge esplicativa (sulla base dei dati che si iniziano a raccogliere). Se la legge esplicativa è in grado di descrivere il fatto compiuto in termini causali, cosa che si verifica applicando, a tale legge, la logica deduttiva, abbiamo trasformato i dati in informazione. Se la legge proposta è in grado di prevedere il successivo fatto, abbiamo trasformato l’informazione in conoscenza. Sappiamo qualcosa di più sul comportamento del sistema. Quindi, se, applicando la logica induttiva, i dati successivi confermano la validità della previsione, e otteniamo una connessione confermativa, abbiamo trovato una regola di validità generale e abbiamo trasformato la conoscenza in saggezza, scalando così completamente la piramide della conoscenza.

Questo processo logico permette di contrastare sia l’incertezza aleatoria (perché raccogliamo dati), sia l’incertezza epi-

stemica (perché approfondiamo la conoscenza del sistema).

L’analisi del rischio dinamica

È evidente che l’unico modo di gestire in sicurezza i rischi emergenti derivanti dalla transizione energetica è di superare le limitazioni di una analisi del rischio su base statistica, proprio per le caratteristiche di incertezza sopra descritte, e di lavorare, invece, sulla resilienza del sistema. È importante, quindi, avere sistemi in grado di analizzare in tempo reale i dati disponibili e di intercettare i possibili precursori delle deviazioni che possono esporre il sistema a situazioni indesiderate, sulla base dei quattro pilastri dell’ingegneria della resilienza:

• Monitoraggio;

• Apprendimento;

• Anticipazione;

• Risposta.

Con l’obiettivo di avere sistemi affidabili (i componenti sono in grado di compiere la missione assegnata senza errori) e

Figura 2: La riduzione dell’incertezza

sicuri (le interazioni tra i componenti sono tali da consentire un comportamento emergente sicuro) (Figura 3).

Per procedere in questa direzione, alcuni spunti di riflessione possono essere rappresentati dai seguenti aspetti:

• Cluster thinking. Ragionare in termini più estesi, includendo scambio di informazioni tra le realtà produttive sugli aspetti di sicurezza, e coinvolgere in questo processo anche gli enti di controllo, in un processo di trasparenza bidirezionale.

• Analisi di rischio dinamica, per ridurre l’incertezza delle analisi del rischio.

• Comunicazione del rischio, per andare nella direzione di una popolazione che abbia contezza della reale entità dei rischi, e che non si lasci trascinare in paure ingiustificate.

• Cambio di paradigma. Crescita culturale congiunta, e collaborativa tra autorità di controllo, gestori, e popolazione.

È EVIDENTE CHE L’UNICO MODO DI GESTIRE IN SICUREZZA I RISCHI

Figura 3: Sicurezza e affidabilità

STATO DELLE BONIFICHE

NEI SITI DI INTERESSE

NAZIONALE IN ITALIA: UN QUADRO COMPLESSO

di Luciana Distaso, Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica

Dal 2019 ad oggi, infatti, risultano emanati 460 decreti dei quali 110 di approvazione di progetti di messa in sicurezza operativa/bonifica e MISP, 159 di approvazione di Pdc, 97 di approvazione AdR e 94 di chiusura procedimento per raggiungimento delle Concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) o delle Concentrazioni soglia di rischio (Csr).

Fig. 1 decreti suddivisi per istanze negli anni 2019-2024

I risultati positivi ottenuti sono il frutto di una strategia multidisciplinare avviata negli anni dal Ministero che ha permesso di migliorare significativamente la gestione e la trasparenza dei processi. Questa ha le sue origini nelle prime pubblicazioni online di verbali, protocolli e accordi, e ha trovato un forte impulso a partire dal 2020 con l'impegno dell’ex DG Risanamento ambientale (ora DG ECB) in un progetto per la creazione di un nuovo Sistema Informativo Documentale. Lo scopo del Sistema Informativo Documentale è sostanzialmente quello di migliorare la gestione dei procedimenti di specifica competenza (bonifiche) o ad essi correlati, migliorare l’efficienza ed efficacia delle attività di programmazione, facilitare l’accesso ad informazioni di pubblica utilità relative alle bonifiche nei SIN, sempre garantendo al contempo il rispetto della normativa in materia di privacy. Nasce così il portale “Bonifica di siti contaminati” con l’obiettivo di fornire le informazioni di carattere generale, la modulistica e le indicazioni operative per la realizzazione di opere nei SIN. Il portale consente, inoltre, di effettuare ricerca documentale e verifica dello stato del procedimento (convocazione cds, pareri acquisiti ecc.) tramite l’ID numerico associato all’area di interesse.

Tra le principali funzionalità si distinguono le Informazioni in tempo reale con un'area dedicata alle "Comunicazioni & news", e le Informazioni per il cittadino e il proponente. Quest’ultima funzionalità facilita il rapporto diretto tra l’amministrazione centrale e il cittadino mettendo a disposizione strumenti e informazioni utili come modulistica, normativa e FAQ. La creazione di un portale informativo dettagliato, l’aggiornamento normativo e l'adozione di nuove tecnologie rappresentano, sicuramente un passo avanti significativo. Ciò nonostante, per garantire il successo a lungo termine di queste iniziative, è fondamentale un approccio integrato che coinvolga tutti gli attori interessati: istituzioni, imprese, comunità locali e mondo scientifico. I risultati finora ottenuti dimostrano che solo attraverso una attenta pianificazione, una costante collaborazione e un'innovazione continua sarà possibile affrontare le sfide poste dalla bonifica dei SIN.

LO SCOPO DEL SISTEMA INFORMATIVO DOCUMENTALE È QUELLO DI

MIGLIORARE LA GESTIONE DEI PROCEDIMENTI DI SPECIFICA COMPETENZA (BONIFICHE) O AD ESSI

CORRELATI, MIGLIORARE L’EFFICIENZA ED EFFICACIA DELLE ATTIVITÀ DI PROGRAMMAZIONE, FACILITARE L’ACCESSO AD INFORMAZIONI DI PUBBLICA UTILITÀ RELATIVE ALLE BONIFICHE NEI SIN. NASCE COSÌ IL PORTALE “BONIFICA DI SITI CONTAMINATI” CON L’OBIETTIVO DI FORNIRE LE INFORMAZIONI DI CARATTERE GENERALE, LA MODULISTICA E LE INDICAZIONI OPERATIVE PER LA REALIZZAZIONE DI OPERE NEI SIN

Fig. 3 Portale Bonifiche
Fig. 2 decreti negli anni

BIORISANAMENTO: LA NUOVA FRONTIERA PER IL RECUPERO DEI SITI CONTAMINATI

Franzetti, Università degli Studi di Milano-Bicocca e Tatiana Stella, M3R

Solo in Italia sono stati identificati circa 40.000 siti contaminati, mentre in Europa se ne stimano più di 2 milioni. Il risanamento dei siti contaminati rappresenta quindi una grande sfida per l’Europa e l’Italia. Uno degli approcci più promettenti è sicuramente il biorisanamento, un insieme di tecniche che sfruttano organismi viventi, quali microrganismi, piante o funghi, per la degradazione/ trasformazione di sostanze contaminanti in suoli, acque e sedimenti. Queste tecnologie offrono un’alternativa sostenibile ai metodi chimico-fisici tradizionali, spesso più costosi e invasivi, contribuendo alla riduzione dell’impatto ambientale dei processi di bonifica. Il biorisanamento può essere applicato sia in situ che ex situ, rispettivamente senza movimentare la matrice contaminata e trattando la matrice altrove. I processi di biodegradazione possono avvenire naturalmente (Attenuazione Naturale), ma talvolta tali processi richiedono tempi lunghi non compatibili con i tempi della bonifica.

Pertanto, in alcuni casi, per aumentare l’efficienza ed accelerare il processo si ricorre a strategie di Biostimulation o Bioaugmentation, che consistono, rispettivamente, nella modifica di alcuni parametri che influiscono sulla crescita ed attività microbica (es. aggiunta di nutrienti) e nell’aggiunta di specifici consorzi microbici.

Tra le tecniche più comuni in situ, il Bioventing ed il Biosparging forniscono ossigeno ai microrganismi accelerando i processi di biodegradazione. Interessante anche il Fitorisanamento, che sfrutta la naturale capacità delle piante di degradare i contaminanti organici (Fitodegradazione) o di assorbire e sequestrare i metalli (Fitoestrazione). La tecnologia delle Biopile, invece, rappresenta una delle tecniche ex situ più adottata per il trattamento di terreni contaminati da composti organici.

Nonostante i molti vantaggi, il biorisanamento presenta ancora alcune criticità che ne limitano la diffusione. Le due principali sono legate ai tempi del trattamento e alla certezza dell’efficacia. Il biorisanamento richiede mediamente tempi maggiori delle tradizionali tecniche; in certi casi questo non si accorda con le esigenze di proprietari del sito e stakeholder. In aggiunta, le condizioni ambientali del sito e la presenza di contaminanti recalcitranti possono limitare l’efficacia dell’intervento. La valutazione sito specifica dei fattori che limitano l’efficacia del trattamento, insieme al suo monitoraggio, richiedono elevate competenze specialistiche e tecniche di indagine avanzate. La continua ricerca ed un approccio multidisciplinare può rendere questi processi più sostenibili e adattabili alle esigenze specifiche dei siti contaminati. In questo campo le evoluzioni sono promettenti, soprattutto grazie allo sviluppo di nuovi approcci biotecnologici,

come ad esempio l’uso di nanoparticelle per veicolare enzimi o microrganismi o migliorare la disponibilità degli inquinanti. Inoltre, lo sviluppo delle scienze cosiddette omiche (genomica, trascrittomica, proteomica e metabolomica) ha un ruolo cruciale consentendo di indagare i meccanismi biologici coinvolti nel biorisanamento, identificando nuovi microrganismi o enzimi in grado di degradare inquinanti specifici. Proprio nell’ottica di un approccio multidisciplinare, l’integrazione di tecniche biologiche con trattamenti chimico-fisici offre un ampio ventaglio di soluzioni e sviluppo per superare alcune limitazioni del biorisanamento. Il supporto di normative stringenti ed iniziative di finanziamento sono lo strumento per accelerare questo percorso di sviluppo.

L'Unione europea, attraverso programmi come Horizon 2020 e Horizon Europe, ha destinato risorse significative alla ricerca e sviluppo di tecnologie di biorisanamento, puntando a raggiungere obiettivi di sostenibilità e bonifica ambientale in linea con il Green Deal europeo. Uno degli obiettivi è rendere questa tecnologia sempre più accessibile e competitiva rispetto alle tecniche tradizionali promuovendo la formazione di competenze specifiche. Per uno sviluppo rapido e consistente la collaborazione transnazionale è cruciale. Reti come NICOLE (Network for Industrially Co-ordinated Sustainable Land Management in Europe) promuovono la cooperazione tra industria, università e istituzioni governative per affrontare le sfide legate alla decontaminazione.

UNO DEGLI APPROCCI

PIÙ PROMETTENTI È IL

BIORISANAMENTO: UN

INSIEME DI TECNICHE CHE

SFRUTTANO ORGANISMI VIVENTI (MICRORGANISMI, PIANTE O FUNGHI), PER LA DEGRADAZIONE E TRASFORMAZIONE DI SOSTANZE CONTAMINANTI.

QUESTE TECNOLOGIE OFFRONO UN’ALTERNATIVA SOSTENIBILE

AI METODI CHIMICO-FISICI

TRADIZIONALI, SPESSO

PIÙ COSTOSI E INVASIVI,

CONTRIBUENDO ALLA RIDUZIONE

DELL’IMPATTO AMBIENTALE DEI PROCESSI DI BONIFICA

ESPERIENZE DI BONIFICA

ENI REWIND: BONIFICHE E GESTIONE RIFIUTI IN ITALIA

L’ingresso della nostra società nel settore del risanamento ambientale risale al 2003 quando Enichem, conferiti gli impianti petrolchimici attivi in Polimeri Europa (attuale Versalis), è stata focalizzata sulla bonifica dei siti industriali dismessi e contestualmente ridenominata Syndial. Negli anni successivi il suo perimetro di intervento si è ampliato, assumendo progressivamente il ruolo di global contractor ambientale per tutti i business Eni. Nel 2019 il nome della società diventa Eni Rewind, acronimo di REmediation & Waste INto Development, a fronte di un ulteriore rilancio delle attività per acquisire contratti anche da committenti terzi e realizzare impianti di trattamento di rifiuti.

Dal 2003 la società, in cui attualmente lavorano circa 1.000 persone, ha speso 4 miliardi di euro nella bonifica dei siti ex Enichem, di cui oltre l’80% per quelli conferiti ex lege o acquisiti a seguito di operazioni di salvataggio industriale negli anni ’80 e ’90, quando Eni era un ente di Stato. Abbiamo quindi maturato 20 anni di esperienza nella bonifica di oltre 100 siti industriali e 700 stazioni di servizio, lavorando in partnership con i principali attori del settore e dialogando costantemente con gli stakeholder dei territori in cui operiamo.

Quali considerazioni si possono trarre dall’esperienza di Eni Rewind? Innanzitutto, che le tecnologie evolvono continuamente e abilitano soluzioni più efficaci, ma le norme

stentano a stare al passo. Persistono inoltre criticità importanti che derivano essenzialmente da due carenze:

1. di uniformità e certezza, di regole e tempi, nell’espletamento degli iter autorizzativi;

2. di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, rispetto ai fabbisogni nazionali e regionali.

I progetti di bonifica dovrebbero privilegiare soluzioni in situ e on site per minimizzare il trasporto dei rifiuti e i tempi di completamento degli interventi, tanto più in un contesto in cui le discariche e gli impianti di trattamento hanno capacità limitate e in esaurimento. Ma la sindrome NIMBY, ovvero l’idea che gli impianti (quindi purtroppo non solo le discariche) vadano costruiti il più lontano possibile e meglio se all’estero, non accenna a migliorare, così come la difficoltà delle conferenze di servizi di convergere sulle soluzioni più efficaci in presenza di veti di singoli partecipanti. Credo sarebbe utile – anche se di sicuro non facile – misurare e responsabilizzare tutti sulle conseguenze del non fare o del fare in ritardo, così come rendere più vincolanti i principi di prossimità e autosufficienza nella gestione dei rifiuti, di bonifica e non, perché spostarli a migliaia di chilometri di distanza può essere necessario per eccezioni ma è certamente una soluzione strutturalmente insostenibile, in primis per l’ambiente.

MARES: UN APPROCCIO INNOVATIVO SOSTENIBILE

PER LA BONIFICA DEI PUNTI VENDITA CARBURANTI ATTIVI

Nei punti vendita carburante spesso risultano di difficile realizzazione azioni di risanamento del sottosuolo efficaci diverse dallo scavo e smaltimento del terreno contaminato. L’esempio che segue mostra l’impegno di Mares nello sviluppo di soluzioni tecnologiche innovative sostenibili, che ha consentito nel caso specifico di porre in atto una bonifica di portata considerevole su un punto vendita in esercizio garantendo, nel contempo, la continuità dell’attività di erogazione. Presso un’area di servizio autostradale, in alternativa ad un iniziale progetto di bonifica di asportazione di quasi 7.000 mc di terreno contaminato da idrocarburi, la soluzione adottata da Mares è partita con una indagine in alta definizione tramite tecnologia MIP, che ha consentito di individuare con un elevato livello di dettaglio la distribuzione degli inquinanti (Figura 1).

Figura 1 – Contour della contaminazione (FID)

A seguire, per il risanamento delle aree critiche è stata scelta la tecnologia Ekogrid™, che instaura nel sottosuolo un campo elettrico a basso voltaggio in grado di incentivare la biodegradazione, grazie all’installazione di una griglia interrata di elettrodi collegati ad una centralina controllata in remoto (Figura 2). Il monitoraggio mediante analisi genetiche specialistiche (qPCR) ha evidenziato che decuplicarsi della

LE BARRIERE IDRAUILICHE WOLFTANK DGM

Le barriere idrauliche (BI) costituiscono una delle principali misure di contenimento della contaminazione in falda e di protezione di ciò che è posto a valle idrogeologico di un sito contaminato; hanno un costo sostenuto già nelle fasi iniziali di messa in esercizio e rivestono una notevole importanza nell’ambito della messa in sicurezza di un sito contaminato; spesso poi rimangono in esercizio molti anni durante i quali deve essere garantita la sua efficacia nel contenere il plume.

Chi gestisce una BI sa di dover periodicamente pianificare interventi di manutenzione ordinaria anche dei pozzi per prevenire fenomeni come incrostazione del filtro, biofoulig o insabbiamento, che nel tempo andrebbero a compromettere la BI fino a rendere necessaria la riperforazione dei pozzi o la sostituzione delle attrezzature installate.

Le comuni tecniche (meccaniche, chimiche o ibride) prevedono l’impiego di attrezzature spesso ingombranti e poco flessibili ed il fermo impianto per lunghi periodi, fatto spesso non compatibile con l’esigenza di mantenere attive le misure di messa in sicurezza.

Per soddisfare l’esigenza di un Cliente in termini di riduzione del tempo e di difficoltà di accesso ai pozzi costituenti la BI di un sito attivo, Wolftank DGM ha sviluppato una modalità rapida e flessibile che minimizza il tempo di intervento pur applicando le principali tecniche di intervento come jetting tools, spazzolatura, pistonaggio, air lift, generazione di impulsi combinandole con interventi pre e post come videoispezione e prove di portata.

L’attrezzatura, assemblata su un unico furgone di ridotte dimesioni, è dotata di PLC di gestione e controllo con tecnologia 4.0 che consente di operare a distanza per la sicurezza degli operatori oltre che di registrare di

massa batterica sta inducendo un progressivo abbattimento della contaminazione (Figura 3), difficilmente osservabile con l’utilizzo di tecnologie tradizionali.

Questo esempio dimostra che lo sviluppo tecnologico può guidare verso interventi di risanamento dei punti vendita non invasivi e sostenibili, tali da minimizzare produzione di rifiuti, scarichi, emissioni, consumi energetici e deterioramento delle risorse naturali.

tutti i parametri di intervento; dopo l’intervento, sui pozzi si è registrato un incremento di portata dell‘80% ripristinando il funzionamento della barriera entro i parametri di esercizio richiesti, con un tempo medio di intervento per pozzo di circa 4h; le videoispezioni eseguite e gli istogrammi con indicazione delle portate consentono di apprezzare l’efficacia dell’intervento.

Una corretta manutenzione dei pozzi in emungimento consente quindi di mantenere i parametri di progetto, allungare il ciclo di vita dell’opera e ridurre i costi di gestione.

Figura 2 – Schema concettuale di Ekogrid™
Figura 3 – trend idrocarburi nelle acque e linea di tendenza

LA DISCIPLINA DELLE BONIFICHE: UN PERCORSO CHE DURA DA 40 ANNI

di Donatella Giacopetti, Responsabile Salute, Sicurezza e Ambiente di UNEM

La bonifica dei siti contaminati, contenuta nel Titolo V alla parte IV del Codice dell’Ambiente è l’unica disciplina a non essere regolamentata nella sua interezza da una direttiva comunitaria come per le altre parti del Codice. Essa trae origine, come struttura, dal Decreto ministeriale 47¹ del 1999 la cui base giuridica era l’art. 17 del famoso decreto “Ronchi” , con l’importante novità dello strumento con cui definire gli obiettivi di bonifica: l’approccio “tabellare” prevalente nel Decreto Ronchi² diventa l’analisi di rischio nel Codice dell’Ambiente sia per i terreni che per le acque di falda. Ma facciamo un passo indietro. Prima del decreto Ronchi la gestione dei siti inquinati non era affrontata in maniera organica, neanche nella normativa di settore sulla tutela del suolo³. Il tema è stato affrontato per la prima volta, seppure in modo indiretto, dalla legge istitutiva del Ministero dell’ambiente, la legge 8 luglio 1986, n. 349, che può essere considerata la prima legge italiana ad occuparsi di bonifiche. Solo nei due anni successivi con l’emanazione dei decreti emergenziali sui rifiuti si introduce una disciplina attuativa delle procedure di bonifica dei siti contaminati⁴. L’assetto normativo così delineato, però, non contemplava una definizione univoca di sito contaminato, tanto meno dei criteri uniformi per il prelievo e l’analisi dei campioni, per le modalità di intervento, nonché per la redazione ed approvazione dei progetti. Erano le leggi regionali, ove esistenti, ad integrare la disciplina nazionale creando una disomogeneità tra i vari territori e una scarsa applicazione della stessa normativa. Con l’art. 17 del D. Lgs. n. 22 del 5 febbraio 1997 e il relativo decreto attuativo, il D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, sono state introdotte per la prima volta le definizioni di sito contaminato, sito potenzialmente contaminato, messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, bonifica e ripristino ambientale con misure di sicurezza, misure di sicurezza. La disciplina in esame ha anche introdotto i criteri per l’individuazione dei Siti di Interesse Nazionale (SIN)⁵. Con l’applicazione pratica della disciplina sono, però, emerse notevoli criticità. In particolare, i valori limite di concentrazione, che consistevano anche negli obiettivi di bonifica, erano determi-

nati a livello nazionale, senza l’utilizzo dello strumento dell’analisi di rischio, risultando particolarmente conservativi, sia se confrontati coi valori utilizzati dagli altri Paesi europei, sia con quelli definiti da altre norme nazionali a tutela dell’ambiente e della salute umana, comportando l’inclusione di molte aree potenzialmente contaminate senza però stabilire una priorità di intervento. Così, in occasione dell’integrale revisione della disciplina ambientale, con l’adozione nel 2006 del Codice dell’Ambiente, il Legislatore ha affrontato nuovamente la tematica delle bonifiche, mantenendo la stessa collocazione nell’ambito delle norme sulla gestione dei rifiuti - vale a dire il titolo V, “Parte Quarta – Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati” - e cambiando lo strumento decisionale per determinare l’accettabilità della contaminazione, dal sistema tabellare all’analisi di rischio, pur mantenendo invariata l’applicazione del principio cardine di “chi inquina paga”. Da questo momento, l’analisi di rischio assume un ruolo centrale rispetto all’approccio tabellare nella definizione degli obiettivi di bonifica. Inoltre, venne introdotto un trattamento differenziato per siti in esercizio e siti dismessi, con la possibilità di attuare un intervento di messa in sicurezza operativa per il contenimento della contaminazione all’interno del sito con monitoraggio delle matrici ambientali, rimandando la bonifica alla dismissione dell’attività. Il Codice dell’Ambiente è stato modificato dopo due anni, nel 2008, con un primo correttivo che ha rivisto l’utilizzo dell’analisi di rischio per la matrice acque di falda, fissando il raggiungimento di obiettivi tabellari al punto di conformità per le acque sotterranee. Nel 2011 il Governo ha poi emanato una serie di decreti-legge, poi convertiti, volti a modificare ulteriormente, con piccoli interventi, la normativa sulle bonifiche al fine di favorire la reindustrializzazione e il recupero dei siti dismessi. L’obiettivo principale è stato quello di attuare una semplificazione del quadro normativo esistente, standardizzando l’iter burocratico e definendo le condizioni per cui un rifiuto può essere considerato una risorsa. In particolare, i diversi decreti hanno tentato di: • favorire l’adozione di tecnologie innovative, anche at-

traverso un’articolazione progettuale per fasi distinte, per ridurre il massiccio ricorso allo scavo e smaltimento in discarica;

• realizzare una maggiore compatibilità tra attività di bonifica e siti in esercizio, consentendo le attività di manutenzione e un maggior utilizzo della messa in sicurezza operativa;

• attuare una semplificazione delle procedure riducendo il numero dei Siti di Interesse Nazionale (SIN) e la loro perimetrazione.

Con questi provvedimenti e con ulteriori decreti ministeriali sono state chiarite, inoltre, le condizioni per il riutilizzo in qualità di materiali e non di rifiuti di terre e rocce da scavo, materiali da riporto e materiali dragati, in linea con la gerarchia di prevenzione e riduzione dei rifiuti, delineata dalla direttiva 2008/98/CE⁶. I diversi interventi normativi e le diverse modifiche effettuate non sono sempre riusciti ad incidere in maniera significativa sui tempi dei procedimenti di bonifica. Ciò ha portato all’introduzione di una nuova procedura semplificata⁷ in alternativa alla procedura ordinaria, applicabile ad opera di un soggetto interessato a qualsiasi intervento di bonifica della matrice suolo, anche in presenza di falde acquifere contaminate, a prescindere dalla dimensione del sito, con l’obiettivo di consentirne l’utilizzo in conformità alla destinazione d’uso mediante bonifica del terreno a valori tabellari (CSC). Inoltre, il c.d. Decreto “Sblocca Italia”⁸, introducendo il comma 13-bis all’art. 242, ha chiarito che le semplificazioni applicabili ai punti vendita carburanti nei Siti di Interesse Nazionale (SIN) di cui all’art. 252, comma 4, valessero anche per i Siti di Interesse Regionale. In attuazione a tale normativa, il Decreto Ministeriale n. 31 del 12 febbraio 2015 ha delineato una diversa procedura semplificata, in sostituzione alle procedure per i siti di piccole dimensioni, applicabile a tutti i punti vendita carburanti. Sempre nel 2014, il Legislatore è intervenuto nuovamente modificando completamente la portata dell’art. 252-bis e la procedura dei siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, anche al fine di favorire la bonifica e la riconversione industriale dei SIN. Successivamente altri interventi sono intervenuti sui diversi articoli del Titolo V, adattando le diverse disposizioni alle diverse esigenze che gli operatori e la giurisprudenza hanno fatto emergere

nel corso degli anni. Da questa breve analisi sull’evoluzione della normativa in materia di bonifiche emerge chiaramente quanto esse siano importanti ai fini recupero delle aree comprese nei siti industriali dismessi o parzialmente dismessi per la realizzazione di nuovi investimenti che non vadano ad incidere sul consumo di nuovo suolo. Un tema molto sentito anche a livello europeo dove è attualmente in discussione una proposta di Direttiva sul monitoraggio e la resilienza del suolo (Soil Monitoring Law). Una proposta che può rappresentare un’importante occasione di armonizzazione a livello nazionale, anche con altre discipline che trattano argomenti correlati quali, ad esempio, la disciplina del danno ambientale.

¹Decreto Ministeriale 25 ottobre 1999, n. 471 “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni”, pubblicato nella GU n.293 del 15-12-1999 - Suppl. Ordinario n. 218.

²DECRETO LEGISLATIVO 5 febbraio 1997, n. 22 “Attuazione delle direttive 91/156/ CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio”, pubblicato nella GU n.38 del 15-02-1997 - Suppl. Ordinario n. 33.

³LEGGE 18 maggio 1989, n. 183 “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo”, pubblicata nella GU n.120 del 25-05-1989 - Suppl. Ordinario n. 38.

⁴La Legge 29 ottobre 1987, n. 441 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 agosto 1987, n. 361, recante disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti e la Legge 9 novembre 1988, n. 475 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, recante disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti industriali.

⁵Il decreto ha definito i Siti di Interesse Nazionale (SIN) in relazione alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti nel sito medesimo, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante, al sito inquinato in termini di rischio sanitario ed ecologico nonché di pregiudizio per i beni ambientali nei casi in cui l'inquinamento risultasse particolarmente elevato in ragione della densità della popolazione e/o dell'estensione dell'area interessata.

⁶Direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti.

⁷Il Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 91, art. 13, ha previsto l’introduzione dell’art. 242 bis, successivamente modificata dalla Legge 11 novembre 2014 n. 164, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive c.d. Decreto “Sblocca Italia”.

⁸Legge del 11 agosto 2014 n. 116, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, recante disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea.

A LIVELLO EUROPEO È

ATTUALMENTE IN DISCUSSIONE UNA PROPOSTA DI DIRETTIVA SUL MONITORAGGIO E LA RESILIENZA DEL SUOLO (SOIL MONITORING LAW). UNA PROPOSTA CHE PUÒ RAPPRESENTARE UN’OCCASIONE PER ARMONIZZAZIONE A LIVELLO NAZIONALE. E QUESTO VALE ANCHE PER LA DISCIPLINA DEL DANNO AMBIENTALE

CONTRO I CRIMINI

AMBIENTALI NON BASTANO SOLO LE SANZIONI PENALI

di

L'Unione Europea ha compiuto un ulteriore passo nel campo della protezione ambientale con l'adozione della Direttiva 2024/1203, approvata l'11 aprile 2024. In particolare, la Direttiva contiene 30 articoli che aggiornano la tutela penale dell’ambiente attualmente esistente: si rivolge agli Stati (art.30), entra in vigore il 20° giorno successivo alla pubblicazione in GUUE (avvenuta il 30 aprile ’24), quindi dal 20 maggio 2024.

Gli Stati membri dovranno conformarsi alla nuova Direttiva entro il 21 maggio 2026.

Questa direttiva, che rafforza la tutela penale dell'ambiente, si inserisce in un quadro legislativo europeo volto a combattere i crimini ambientali, che negli ultimi anni sono aumentati in modo esponenziale, causando gravi danni agli ecosistemi e alla salute umana.

L'obiettivo princi pale della direttiva è di rispondere alla crescente necessità di contrastare le attività illecite che minacciano l'ambiente, come l'inquinamento, il traffico illecito di rifiuti, la deforestazione illegale e il bracconaggio, spesso collegati a reti criminali transnazionali.

Negli ultimi anni, i crimini ambientali sono infatti diventati una delle principali forme di criminalità organiz-

zata a livello globale, In base ai dati UE la criminalità ambientale è la 3ª attività criminale al mondo, dopo il traffico di stupefacenti e la contraffazione e cresce a un tasso del 5-7% l’anno, provocando perdite per 110-281 miliardi di dollari ogni anno. Questa emergenza ha spinto la UE a rivedere le normative esistenti e a inasprire le sanzioni per le condotte più gravi. La Direttiva 2024/1203 risponde quindi a un'esigenza concreta: proteggere l'ambiente tramite un sistema giuridico più efficace che includa l'uso del diritto penale come deterrente contro le condotte illecite.

NEGLI ULTIMI ANNI, I CRIMINI AMBIENTALI SONO DIVENTATI UNA DELLE PRINCIPALI FORME DI CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. IN BASE AI DATI UE LA CRIMINALITÀ AMBIENTALE È LA 3ª ATTIVITÀ CRIMINALE AL MONDO, DOPO IL TRAFFICO DI STUPEFACENTI E LA CONTRAFFAZIONE E CRESCE A UN TASSO DEL 5-7% L’ANNO, PROVOCANDO PERDITE PER 110-281 MILIARDI DI DOLLARI OGNI ANNO

I punti chiave della Direttiva 2024/1203

La Direttiva introduce una serie di innovazioni significative:

- Ampliamento delle fattispecie penalmente rilevanti: la nuova direttiva include una gamma più ampia di condotte illecite, che vanno oltre l'inquinamento e i danni diretti agli ecosistemi. Ad esempio, il traffico illegale di specie selvatiche, l'uso di sostanze chimiche nocive o l’apertura e la dismissione di impianti, sono ora considerate reati perseguibili penalmente. È importante sottolineare la sanzionabilità delle condotte anticipata al momento della commercializzazione o addirittura della produzione di sostanze pericolose per l’ambiente.

- Aumento delle sanzioni: uno degli elementi centrali della direttiva è l'inasprimento delle sanzioni per i reati ambientali più gravi. Le multe e le pene detentive sono aumentate per disincentivare le attività illegali. La direttiva stabilisce anche che le sanzioni siano proporzionate alla gravità del danno ambientale e includano misure compensative per ripristinare l'ecosistema danneggiato.

- “ECOCIDI”: quanto sopra è particolarmente significativo per i c.d. “Reati qualificati” (o “ECOCIDI”) che si concretizzano nel caso in cui un reato di cui alla Direttiva, è commesso intenzionalmente e provoca:

a. la distruzione di un ecosistema di dimensioni o di valore ambientale considerevoli o di un habitat all’interno di un sito protetto o danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi, a tale ecosistema o habitat;

b. o danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi alla qualità dell’aria, del suolo o delle acque.

- Responsabilità delle persone giuridiche: la Direttiva prevede che non solo gli individui, ma anche le aziende possano essere chiamate a rispondere penalmente per i crimini ambientali. Le imprese che non rispettano le normative ambientali saranno soggette a pesanti sanzioni, tra cui la sospen-

sione delle attività e la confisca dei profitti ottenuti attraverso pratiche illecite.

A quest’ultimo proposito è importante sottolineare come i nuovi reati ambientali saranno punibili (artt. 5 e 7) con la reclusione, a seconda della durata, della gravità o della reversibilità del danno, in particolare:

• per i cosiddetti reati qualificati il massimo è di 8 anni di reclusione;

• per quelli che causano la morte di una persona 10 anni;

• per tutti gli altri 5 anni.

Inoltre, per le imprese è previsto il risarcimento del danno ed il ripristino dell’ambiente danneggiato, oltre a sanzioni pecuniarie pari al 3 o 5% del fatturato annuo mondiale o, in alternativa, da 24 a 40 milioni di euro.

- Cooperazione tra gli Stati membri: un altro aspetto chiave della direttiva è il rafforzamento della cooperazione tra le autorità giudiziarie e di polizia degli Stati membri. Poiché molti crimini ambientali sono di natura transnazionale, è fondamentale garantire un'efficace collaborazione tra paesi per perseguire i responsabili.

- Formazione e sensibilizzazione: infine, la direttiva promuove la formazione delle autorità competenti in materia ambientale e l'educazione dei cittadini. La prevenzione dei crimini ambientali richiede infatti una maggiore consapevolezza da parte del pubblico e una preparazione adeguata delle forze dell'ordine e dei magistrati.

L'importanza della Direttiva 2024/1203 nel contesto globale

Per esprimere un giudizio sulla Direttiva 2024/1203 sarà, tuttavia, essenziale verificare se e come la stessa verrà recepita negli Stati membri. In

particolare, sarà necessario porre una particolare attenzione al coordinamento delle nuove disposizioni con l’apparato penalistico esistente, che nel nostro ordinamento, ad esempio, ha assunto soprattutto con l’introduzione dei delitti di cui alla Legge n. 68/15 una particolare maturità, e più in generale con il sistema regolatorio proprio della disciplina ambientale. È necessario chiedersi se un mero inasprimento sanzionatorio possa davvero rendere più efficace il contrasto alla criminalità ambientale. Piuttosto che focalizzarsi sul solo aspetto sanzionatorio, ogni intervento legislativo, che pretenda di affrontare nella sua interezza le problematiche connesse alla tutela dell’ambiente, non potrà prescindere da un’opera di semplificazione oggettiva delle filiere amministrative di gestione ambientale e da un serio tentativo di rivalutazione e responsabilizzazione della posizione della Pubblica Amministrazione. La tutela dell’ambiente, oltre che dal diritto penale, deve essere garantita contrastando le inefficienze burocratiche e le inerzie politiche e amministrative.

UN’EUROPA DAL MOTORE IMBALLATO

Se tutto filerà liscio al Parlamento europeo nelle audizioni dei candidati commissari la Commissione “von der Leyen 2” dovrebbe entrare in carica il primo dicembre. Cionondimeno questa prospettiva non è sufficiente ad annullare la serie di interrogativi che si sono addensati ormai da mesi sull’Unione europea, al di là della incessante coreografia al cui centro si trova la presidente della Commissione sulla quale si concentra l’azione del consolidato apparato politico e mediatico comunitario.

L’interrogativo di fondo riguarda gli effetti della frammentazione politica scaturita dal voto di giugno. Anche se si sono rafforzate le posizioni sovraniste ed euroscettiche (trend non esaurito come emerso dal voto nazionale in Francia, Olanda e Austria), al Parlamento europeo non c’è stato un ribaltone a destra dell’asse politico: von der Leyen ha ottenuto il voto della vecchia maggioranza (PPE, PSE, Renew Europe) più quello dei Verdi. Certamente c’è stato uno spostamento a destra, subito catturato dal Ppe per stabilire un “ponte” con il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei, di cui è presidente Giorgia Meloni. Si vedrà presto quali saranno le conseguenze: per esempio, ci sono le premesse perché la frenata nell’attuazione di obiettivi importanti del Green Deal possa trovare nuove conferme. Ma sul Green Deal, come su pressocché tutte le politiche europee,

la varietà delle convenienze è alquanto articolata: le decisioni UE non riflettono meramente logiche parlamentari e delle coalizioni che reggono i governi, ma sono alla fine determinate dagli interessi nazionali in gioco, interessi che si riflettono sia nelle posizioni degli eurodeputati sia nelle posizioni dei ministri UE (al livello del Consiglio, che è co-legislatore). Per questo la maggioranza parlamentare che ha votato per la von der Leyen presidente e voterà l’intera Commissione al termine delle audizioni (prendere o lasciare) non sarà

SUL GREEN DEAL, COME SU PRESSOCCHÉ TUTTE LE POLITICHE EUROPEE, LA VARIETÀ DELLE CONVENIENZE È ALQUANTO ARTICOLATA: LE DECISIONI UE NON RIFLETTONO MERAMENTE LOGICHE PARLAMENTARI E DELLE COALIZIONI CHE REGGONO I GOVERNI, MA SONO ALLA FINE DETERMINATE DAGLI INTERESSI NAZIONALI IN GIOCO

di Antonio Pollio Salimbeni, Corrispondente da Bruxelles del Sole 24 Ore

la stessa che sosterrà questa o quella legislazione in futuro. Si profilano geometrie altamente variabili di cui si coglierà il senso solo quando si realizzeranno sul campo.

Gli schieramenti all’interno della Commissione europea riflettono in larga misura le coalizioni di governo (la prevalenza dei commissari PPE è netta, 14 più von der Leyen). Tuttavia non è dalla lista delle appartenenze che si può desumere automaticamente il profilo politico dell’esecutivo europeo tenuto dal Trattato UE ad assicurare indipendenza dagli Stati, promuovere “l’interesse generale” europeo e far rispettare le leggi UE. Sarebbe però ingenuo credere che gli interessi nazionali restino fuori dalla porta di Palazzo Berlaymont. Infatti, nessuno ci crede. Von der Leyen si riserva il ruolo di numero 1 incontrastato: suddivisione frammentata dei portafogli, sovrapposizione di ruoli tra commissari, controllo diretto su aree sensibili sono aspetti coerenti con l’obiettivo di affermare pienamente una gestione verticalizzata della Commissione. In tutte le lettere ai commissari sulla loro missione è espressamente indicato: “Lavorerai sotto la mia guida su tutti i temi sopra indicati”. Non è un fatto formale.

Al suo secondo mandato, von der Leyen accentua la postura presidenziale nel largo spazio lasciato aperto da leadership politiche nazionali in diversi casi forti in patria (e non è il caso in Francia e Germania) però incapaci di produrre visioni comuni, unificanti in Europa. Il Consiglio europeo, “cuore politico” della UE, deve fornire l’impulso strategico all’azione europea e qui emerge il problema principale della legislatura: non è mai successo che i due Paesi centrali della costruzione europea, cioè Francia e Germania, si trovassero imballate. Cosicché è come si fosse imballato il motore UE: per quanto nei lustri le intese franco-tedesche abbiano sovente seminato fastidio, si tratta di uno di quegli ingredienti di cui l’Unione non può fare a meno, pena l’ulteriore rischio di stagnazione politica e inde-

bolimento del suo ruolo negli affari globali.

Per la Francia il problema è eminentemente politico: il governo Barnier è fragile e potrebbe avere vita molto breve. La stella di Macron è inesorabilmente impallidita. Per la Germania il problema è sia economico che politico. Da un lato, i principali istituti economici tedeschi prevedono per il 2024 un secondo anno consecutivo di recessione mentre si sono esauriti i due fattori di propulsione economica tedesca, energia a basso costo (gas russo) e ancoraggio persistente alla Cina: il pilastro concettuale alla base della potenza economica tedesca, “cambiamento (positivo) attraverso il commercio” su scala globale si è quasi rovesciato nel suo contrario visto che

l’Europa deve correre ai ripari a suon di dazi contro la Cina. Dall’altro lato, i consensi alla coalizione di governo Spd-Verdi-liberali sono da tempo ai minimi storici. Recentemente il commissario all’economia uscente Paolo Gentiloni ha commentato: “Dato che il motore franco-tedesco non è mai stato così debole, affidarsi alla UE sarebbe la cosa più ragionevole da fare”. Eppure che si possa fare a meno di quel motore per far uscire la UE dall’irrilevanza nella gestione della fase internazionale con due guerre (Ucraina e Medio Oriente), per rilanciare l’industria del continente e magari tradurre in fatti il tanto osannato “rapporto Draghi”, è assai improbabile. Non basterà telefonare a Palazzo Berlaymont.

IL

CONSIGLIO EUROPEO, “CUORE POLITICO” DELLA UE, DEVE FORNIRE L’IMPULSO STRATEGICO ALL’AZIONE EUROPEA E QUI EMERGE IL PROBLEMA PRINCIPALE DELLA LEGISLATURA: NON È MAI SUCCESSO CHE I DUE PAESI CENTRALI DELLA COSTRUZIONE EUROPEA, CIOÈ FRANCIA E GERMANIA, SI TROVASSERO IMBALLATE. COSICCHÉ È COME SI FOSSE IMBALLATO IL MOTORE UE

IL RAPPORTO DRAGHI E LE CONTRADDIZIONI DELL’EUROPA

di Enrico Morando, Economista

Non è un libro dei sogni. Il Rapporto Draghi è un brusco richiamo alla realtà: continuando per altri vent’anni con una crescita della produttività pari a quella registrata dal 2015 ad oggi, l’Europa non sarà in grado di conservare il suo modello sociale, fondato su livelli di uguaglianza che non hanno pari del mondo; di partecipare da protagonista alla costruzione di un nuovo modello di sicurezza globale, minacciata dalla offensiva delle autocrazie e dalla incapacità delle democrazie di ridare efficacia all’approccio multilaterale; di guidare il processo di decarbonizzazione, che pure ha definito nei suoi ambiziosi obiettivi, senza però dotarsi di un piano per trasferire i benefici agli utenti finali. Senza un’azione - conclude il Rapporto - potremo compromettere il nostro benessere e la qualità sociale, il nostro ambiente o la nostra libertà. Si tratta di rischi che conosciamo, a fronte dei quali ogni singolo Stato europeo investe ingenti risorse finanziarie, culturali, politiche: sappiamo che il mondo è più insicuro di un tempo, e soprattutto sappiamo che gli USA non possono e non vogliono continuare a prendersi quasi tutto il carico di assicurarci sicurezza. Per questo, come europei, abbiamo la seconda spesa militare del globo. Ma questo gigantesco sforzo produce risultati letteralmente ridi-

coli, perché c’è un problema di scala. E il semplice coordinamento non basta. Ci vuole lo strumento di difesa europeo. Ci vuole un’industria europea della difesa. Non sono cose che nascono da sole, ci vuole un piano. In due parole: un progetto politico. Allo stesso modo, sappiamo che negli USA il balzo in avanti della produttività nel settore della tecnologia di punta è stato realizzato anche grazie a scelte di politica industriale che hanno concentrato risorse umane e finanziarie gigantesche, in un rapporto di effettiva cooperazione tra Stato e mercato, tra

capitali pubblici e privati. Guardando a questo esempio, anche i governi degli Stati membri dell’Unione europea cercano di allargare - nei bilanci pubblici - lo spazio dedicato alla politica industriale. Ma anche quelli che hanno spazi fiscali più grandi (Germania) sono costretti dalla contingenza ad investire di più per il sostegno dei settori industriali tradizionali, che forniscono contributi marginali alla rivoluzione tecnologica, ma costituiscono l’architrave delle economie nazionali europee. Il risultato, anche in questo caso, somiglia all’agitazione dei pesci rimasti nella rete: si muovono tanto, ma quasi nessuno conseguirà lo scopo che lo muove. Il Rapporto Draghi cerca di quantificare il volume degli

investimenti necessario per conseguire livelli di produttività adeguati agli obiettivi di qualità sociale, sicurezza e qualità ambientale che gli europei vogliono conseguire: il tasso di investimento totale in rapporto al Pil dovrà aumentare di circa cinque punti percentuali del Pil europeo. Poiché una parte significativa di questo sforzo dovrà essere messa in capo alla finanza pubblica, in molti (a partire dai governi del Nord Europa) si sono affrettati a dichiararlo “insostenibile“. Altri, tra cui - se ho ben capitola Presidente della Commissione, si sono limitati a mettere in evidenza che dovrà essere il bilancio nazionale degli Stati membri a sostenere gran parte dello sforzo. Fanno finta di non capire: finché si trattava di favorire il processo di convergenza interna alla UE (cioè, tra gli Stati membri), l’approccio tradizionale (coordinamento europeo di politiche fiscali nazionali e Bilancio europeo attorno all’1% del Pil), poteva funzionare ed ha funzionato. Ma quando il problema cambia natura e diventa quello di favorire la convergenza dell’intera Unione verso le avanguardie della crescita della produttività, il modello tradizionale diventa poco più di un ferro vecchio: senza capacità fiscale dell’Unioneentrate europee e spese europee - la corsa non può nemmeno iniziare. Non perché una crescita del tasso degli investimenti come quella ipotizzata sia di per sé insostenibile (il Rapporto richiama studi della Commissione e dell’FMI che dimostrano il contrario).

Ma perché l’assenza di una scelta chiara per la costruzione della capacità fiscale dell’Unione dimostrerebbe che manca l’energia politica per avviare il rilancio della sua capacità competitiva. Si deve dunque concludere che lo scarso livello di consenso ottenuto fino ad ora dal “Rapporto Draghi” tra i Governi e la Commissione sia premonitore di un rapido avvio verso i cassetti delle scrivanie di Bruxelles?

Sarebbe una conclusione affrettata: quante volte, prima dell’esplosione del COVID, i sostenitori degli Eurobond (titoli di debito pubblico emessi sul merito di credito dell’Unione come tale) si sono sentiti rispondere: “Eurobond? Mai e poi mai“, salvo poi correre ad emetterli in grande quantità per finanziare il Next Generation EU? Il lavoro di elaborazione durato anni, senza successo, in pochi giorni divenne la base per definire il NGEU. Chi può onestamente sostenere che le minacce che oggi gravano sulla UE siano di minore rilievo rispetto a quella del COVID? Certo, quest’ultima era percepita come gravissima, qui ed ora. I rischi di declino non sono percepiti con la stessa acutezza. È questo divario di percezione che sta alla base della tendenza dei Governi “procrastinare” le scelte necessarie, nell’illusione che questo rinvio possa “preservare il consenso”.

C’è bisogno di leadership politica, in Europa. Non di galleggiatori sulla (sperata) lentezza del declino.

SI DEVE DUNQUE CONCLUDERE CHE LO SCARSO LIVELLO DI CONSENSO OTTENUTO FINO AD ORA DAL “RAPPORTO DRAGHI” SIA PREMONITORE DI UN RAPIDO AVVIO VERSO I CASSETTI DELLE SCRIVANIE DI BRUXELLES? SAREBBE PERÒ UNA CONCLUSIONE

AFFRETTATA: QUANTE VOLTE, I SOSTENITORI DEGLI EUROBOND SI SONO SENTITI

RISPONDERE: “ MAI E POI MAI“? SALVO POI CORRERE AD EMETTERLI IN GRANDE QUANTITÀ PER FINANZIARE NEXT GENERATION EU

Alcuni numeri tratti dal volume riservato alle Associate "Previsioni di domanda energetica e petrolifera italiana 2024-2040" di UNEM

DOMANDA DI ENERGIA AL 2040

Per rispettare gli obiettivi del «Fit for 55» al 2040 la domanda di energia dovrà essere inferiore dell’11% rispetto ad oggi. Tutte le fonti, ad eccezione delle rinnovabili, tenderanno a ridursi e ad essere sostituite da prodotti decarbonizzati: bio-metano e bio-GNL nel Gas naturale; biocarburanti, bio-Gpl e carburanti rinnovabili di origine non biologica (E-fuel; Recycled carbon fuels) nel petrolio. Le fonti rinnovabili arriveranno a coprire il 32,4% nel 2030 e il 44,2% nel 2040, rispetto al 19% attuale.

Rinnovabili

Petrolio

Imp.ni nette en. elettrica

Gas naturale

Solidi

DOMANDA DI PETROLIO AL 2040

Petroliferi fossili

Biocarburanti liquidi (rinnovabili + sintetici)

Nei prossimi decenni le modalità di trasporto, stradale, navale ed aerea dovranno evolversi verso carburanti sempre più decarbonizzati. La domanda di petrolio nel 2030 potrebbe tornare al livello del 2020, con una presenza di biofuel più che raddoppiati rispetto ad oggi (poco meno di 4 milioni di ton), mentre nel 2040 la presenza di biofuel sfiorerà i 9 milioni di tonnellate.

NUOVO PARCO AUTO CIRCOLANTE AL 2040 IN ITALIA

Bev, Plug-in e H2 al 47% rispetto all’1% attuale

(migliaia di auto a metà anno)

Il Phaseout dei motori a combustione interna ICE dal 2035, trasformerebbe significativamente il parco circolante rispetto ad oggi: nel 2040 la quota di Bev, Plug-in e auto ad idrogeno arriverebbe a rappresentare il 47% del parco circolante, rispetto all’1% attuale. La quota di auto a combustione interna, comprendendo metano e gpl, sarebbe ancora del 53%

EMISSIONI DI CO2 - 67% al 2040 rispetto al 1990

(*) Non comprendono gli abbattimenti derivanti da impianti CCS-CCU

Rispetto alle emissioni del 1990, nel 2020 le emissioni complessive di CO2 sono stimate su valori più bassi di circa il 29% e nel 2030 saranno inferiori del 54%, mentre nel 2040 si saranno più che dimezzate rispetto a tale anno (-67%), senza considerare tuttavia ulteriori possibili abbattimenti derivanti dagli impianti CCS-CCU.

ITALIA: GRANDE ATTENZIONE ALLA SOSTENIBILITÀ

MA TRANSIZIONE

LENTA

Ancora lontana una mobilità connessa, autonoma, condivisa ed elettrica (CASE – Connected, Autonomous, Shared, Electric) - alcuni dati dallo studio “Future of Automotive Mobility” di ARTHUR D. LITTLE, sulla base di interviste a 16.000 consumatori in 25 Paesi, di cui 500 in Italia

MERCATI “MATURI”

MONDO

(Europa, Nord America, Nord Est Asiatico)

- diffidenza per digitalizzazione e guida autonoma

- elettrificazione più veloce

60%

63%

MERCATI EMERGENTI

(Cina, India, Sud-Est Asiatico e Medio Oriente)

- maggiore apertura alla tecnologia

- elettrificazione più lenta (ad eccezione della Cina)

44% DI CHI GUIDA VEICOLI A COMBUSTIONE INTERNA (ICE) INTENDE MANTENERE LO STESSO TIPO DI MOTORE PER IL PROSSIMO ACQUISTO.

ITALIA VS

44%

diffidente verso la guida autonoma per rischi di sicurezza

48%

PREVISIONI DI ACQUISTO DELLA PROSSIMA AUTO

attento allo sviluppo sostenibile (media europea 50%) 30% un veicolo a combustione interna 40% un veicolo ibrido (HEV o PHEV) 16%

non intende rinunciare al proprio veicolo

di proprietari di BEV non completamente soddisfatti per costi, tempi di ricarica e autonomia (30% media europea)

75%

continua a preferire un’auto nuova per il prossimo acquisto (media europea 60%)

un veicolo BEV (veicolo ibrido a batteria) 14%

altre propulsioni (gas naturale, FCEV)

51% PROPENSO AD ACQUISTATE UN OEM CINESE (40% MEDIA EUROPEA)

RASSEGNA STAMPA

27 agosto, Giacomo Andreoli

Arriva il bonus per spesa e benzina: 500 euro per 1,3 milioni di persone

Arriva il bonus spesa e benzina. Varrà 500 euro per 1,3 milioni di persone con Isee entro i 15mila euro. Scattano poi gli sconti extra fino al 15% tra i circa 25mila supermercati e discount coinvolti e fino a 40 centesimi al litro sui carburanti in 4 mila distributori. Chi aveva già ottenuto la tessera lo scorso anno dovrebbe ricevere la ricarica automatica, mentre gli oltre 30mila nuovi beneficiari e chi l’ha smarrita potranno ritirarla all’ufficio postale più vicino. A disposizione ci sono 676 milioni di euro, a cui se ne aggiungono altri 200 milioni per favorire le iniziative di enti caritatevoli come la Caritas. Quest’anno la carta vale circa 40 euro in più della versione 2024. Il primo pagamento da parte dei beneficiari andrà effettuato tassativamente entro il 16 dicembre, per evitare che il bonus decada. Tutti i 500 euro, poi, dovranno essere utilizzati entro il 28 febbraio 2025. Non ricevono il sostegno: chi percepisce già altri sussidi pubblici, i single e le coppie senza figli. Per ottenerlo, quindi, bisogna avere la residenza in Italia e hanno la priorità i nuclei familiari con almeno tre componenti, di cui uno sotto i 14 anni. Ha firmato un protocollo con il governo l’Unem, l’Unione energie per la mobilità. In circa 4 mila distributori di carburante (in primis quelli Enilive), come nella scorsa tornata, ci dovrebbero essere sconti fino a 20 centesimi al litro al self service e 40 centesimi al servito (compresi metano e Gpl). Gli sconti dovrebbero valere durante l'orario di apertura dei punti vendita e solo con pagamento tramite carta di credito o bancomat.

6 settembre, Diego Longhin

Lotta tra petrolieri e benzinai e la rete non diventa green

La scelta del governo di far slittare il via libera alla riforma della rete degli impianti di distribuzione dei carburanti ha evitato che la situazione potesse degenerare con una serrata delle pompe. Si tratta, però, di una tregua fragile. Anche perché lo sconto vero non è nemmeno tra i benzinai e l’esecutivo Meloni, ma tra i gestori e le società petrolifere. Un braccio di ferro che va avanti da tempo e che rischia di paralizzare un comparto che va però ristrutturato. Non è solo una questione di troppi punti vendita. Sono oltre 22 mila gli impianti in Italia con una media di 1.812 vetture servite per stazione, mentre in Germania sono 14 mila e le vetture per punto sono 3.764. Il nodo è la trasformazione della rete considerando la transizione verso l’elettrico e la scadenza del 2035, anno in cui la Ue impone lo stop alla vendita di veicoli nuovi con motori tradizionali. Poi c’è il tema dei bio-fuel, su cui il governo spinge. Tanto che la riforma di Urso prevede un contributo per la rottamazione degli impianti, 60 mila euro, per trasformarli in stazioni di ricarica per le auto elettriche. E prevede che le nuove pompe debbano avere distributori di carburanti alternativi e colonnine per i mezzi con la spina. Misure che sono bollate come «carenti» dai vertici Fegica-Cisl, uno dei sindacati dei gestori, che chiede però «una razionalizzazione perché il mercato è saturo» e un giro di vite per «combattere la criminalità organizzata». Le società petrolifere considerano la riforma un passo importante «per razionalizzare una rete antieconomica», dice il presidente di Unem Gianni Murano. «Un provvedimento che tende a regolamentare aspetti - aggiunge - che al momento creano illegalità». Cita le autorizzazioni per le quali il disegno di legge prevede «requisiti soggettivi in materia di regolarità contributiva e ambientale. Per noi la legalità è la questione principale, su questo non cediamo». Il nodo contratti di appalto? «Già oggi vengono utilizzati su 13.000 impianti che in larga parte fanno capo ai retisti», risponde. Per Unem le nuove regole non premiano le compagnie. Ora si va ai tempi supplementari, ma dal ministero rimarcano che è da più di un anno che si discute. Bene la disponibilità al confronto espressa da parte di tutti, ma si deve arrivare al dunque.

25 settembre, Gilda Ferrari

Bio carburanti e Bio Gnl. La svolta green è in mare

Sono già realtà i carburanti rinnovabili capaci di avviare il percorso della transizione energetica. In termini di prodotto, l’industria italiana è in prima fila nello sviluppo e produzione di bio carburanti e carburanti sintetici. La stessa rete distributiva e infrastrutturale potrebbe già essere utilizzata per i nuovi prodotti, mentre parallelamente sia i grandi armatori sia i costruttori di yacht e imbarcazioni stanno investendo in unità a doppia alimentazione, per carburanti tradizionali e green. Ma una serie di criticità normative e autorizzative, nonché culturali, frenano il mercato. E senza industrializzazione, i nuovi prodotti non possono beneficiare delle economie di scala necessarie a rendere competitivi i prezzi finali. «I prodotti low carbon presentano livelli di abbattimento delle Co2 superiore al 65% che potrà arrivare al cento per cento, con il vantaggio di richiedere limitati adeguamenti infrastrutturali». Gianni Murano, presidente dell’Unem, è intervenuto al seminario sui Carburanti rinnovabili organizzato ieri al salone Nautico dal gruppo ChEnPe di Confindustria Genova. «I consumi del trasporto marittimo in Italia cresceranno, arrivando nel 2030 a 3,2 milioni di tonnellate, di cui il 74% sarà ancora di origine fossile rispetto al 99% attuale», spiega Murano, sottolineando che in futuro «il marittimo si baserà su un mix di soluzioni: biodiesel, bio-Gnl e biometanolo entro il 2040, e-fuels e ammoniaca nel più lungo termine». «Il processo di decarbonizzazione deve fare i conti con le tempistiche individuate e con un principio di efficienza che portano a privilegiare soluzioni già pronte e in grado di rendere il percorso sostenibile anche economicamente», conferma Matteo Cimenti, presidente di Assogasliquidi-Federchimica.

17 settembre, Chicco Testa

Come distinguere buone proposte da luoghi comuni quando si parla di risposte sul clima

Lo spirito di Mario Draghi e del suo rapporto sulla competitività europea aleggiavano sull'evento laterale del programma del G7 a Presidenza italiana, organizzato in collaborazione con la IEA (International Energy Agency) dedicato al costi della transizione e che si è tenuto nei saloni della Banca d’Italia. Solo la prima sezione di discussione dedicata all’impatto macroeconomico della transizione si è occupata di capire quali ne sono gli effetti su crescita, inflazione, produttività, investimenti, prezzi delle commodity, catene di approvvigionamento e materiali critici. La novità più importante è venuta dal Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, che nella sua introduzione ha avanzato un’idea, consapevole che oggi solo il 15% degli investimenti dedicati alla transizione va ai paesi del Sud del mondo che rappresentano invece un terzo del Pil mondiale e i 2/3 della popolazione. Ha proposto di istituire un incentivo mondiale “Global Carbon Reduction Incentive” (GCRI) in forza del quale i paesi con emissioni pro capite già alte finanziano i paesi con emissioni più basse. La proposta, alquanto nuova, rientra nel filone della carbon tax, ma con un elemento incentivante e virtuoso in più spingendo ogni singolo paese da una parte a contribuire alla transizione se con emissioni alte e dall’altra ad assumere comportamenti virtuosi. Il resto del dibattito ha mostrato un problema di fondo che ha reso tutta la discussione vagamente surreale. La regia dei contenuti è stata chiaramente dettata dall’AIE e dal suo studio “NZE 2050”. Vale a dire come arrivare a zero emissioni nette nel 2050. Ma siccome nessuno al mondo crede che gli obiettivi stabiliti nello scenario della AIE possano nemmeno lontanamente essere raggiunti, tutta la discussione ha avuto un tono vagamente surreale. Il fatto è che se riunisci tutte queste importanti istituzioni, ma le fai rappresentare da coloro che si occupano esclusivamente di sostenibilità e che ormai costituiscono un circolo autoreferenziato, ascolterai sempre i soliti discorsi.

Questa incapacità degli scenari di riduzione delle emissioni di fare i conti con le fonti fossili che ancora rappresentano l’80% dei consumi totali di energia mostrano una debolezza concettuale e strutturale enorme. Scarsa anche l’attenzione per altre tecnologie, a cominciare dall’energia nucleare che rappresenta per caratteristiche l’unica risposta valida al carbone. Le uniche due novità importanti in questo dibattito alla fine vengono da due italiani. Da Mario Draghi, che ha ricordato nel suo rapporto il principio della neutralità tecnologica e della capacità di mantenere l’Europa competitiva, e da Fabio Panetta la cui proposta si spera incontri orecchie più attente di quelle di questo convegno.

NUOVE MODALITÀ DI INDAGINE

DEI SITI CONTAMINATI DA PFAS

Il “RemTech Degree & PhD Award 2024”, premio promosso da UNEM per la migliore tesi di Laurea Magistrale, di Dottorato e di Master, quest’anno è andato a Stefano Fabiano di ARPA Lombardia, con una tesi dal titolo “Il database “Forever Pollution” (le Monde): la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nelle acque sotterranee e superficiali italiane e l’utilizzo dei rapporti di concentrazione quali traccianti della loro origine”. Il premio è stato consegnato alla presenza del Ministro Gilberto Pichetto Fratin in occasione dell’ultima edizione di RemTech Expo. A seguire un estratto del lavoro a cura del vincitore, Stefano Fabiano.

Un’importante inchiesta condotta dal gruppo di lavoro della rivista francese Le Monde e da 17 redazioni giornalistiche europee nell’ambito del “Forever Pollution Project” ha portato alla raccolta di migliaia di dati di concentrazione relativi alle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) e alla pubblicazione a marzo del 2023 della prima mappa illustrativa dello stato di inquinamento da PFAS in Europa. I dati illustrati evidenziano più di 17.000 punti di indagine monitorati in tutto il territorio europeo dalle agenzie ambientali nazionali, da gruppi di lavoro universitari e da gruppi di esperti fra il 2003 ed il 2023, in cui sono state osservate concentrazioni di PFAS superiori a 10 ng/l nelle acque sotterranee, superficiali e nel biota (Figura 1). Partendo dai dati contenuti nel dataset pubblicato dalla rivista francese, il lavoro di tesi svolto ha avuto come obiettivo quello di fornire un quadro descrittivo e conoscitivo della presenza di queste sostanze nelle acque sotterranee e superficiali presenti nel territorio nazionale italiano ed illustrare le potenzialità di utilizzo di alcuni rapporti di concentrazione di PFAS come traccianti geochimici per l’individuazione delle possibili sorgenti puntuali emissive.

Da una prima analisi dei dati contenuti nel dataset “Forever Pollution” relativamente a più di 1.800 stazioni di monitoraggio permanenti (pozzi e piezometri) delle acque sotterranee e più di 700 stazioni di monitoraggio delle acque superficiali nazionali presenti in 16 regioni e province autonome, si osserva come le specie di PFAS maggiormente presenti e rilevate siano rappresentate dal perfluoro-ottansolfonato (PFOS) e dall’acido perfluoro-ottanoico (PFOA).

Il Nord Italia è contrassegnato dal maggior numero di dati di monitoraggio dei corpi idrici superficiali e sotterranei. Spiccano i numerosi dati di monitoraggio dei corpi idrici superficiali e sotterranei acquisiti nel territorio Veneto, ri-

conducibili alle attività condotte dal 2013 fino ad oggi finalizzate alla delimitazione e allo studio del plume di PFAS individuato nella Provincia di Vicenza e sviluppato su un territorio di estensione superiore a 200 km2.

Considerando una maggiore scala di dettaglio rispetto a quella nazionale nonché le caratteristiche chimico-fisiche di queste molecole, è possibile osservare le potenzialità di utilizzo di alcuni rapporti di concentrazione di PFAS come traccianti geochimici.

Applicando gli stessi su 4 casi di studio individuati nella Regione Veneto (fra i quali lo stabilimento MITENI spa) è stato possibile osservare come tale metodologia di indagine sia particolarmente utile nella definizione dei flussi idrici sotterranei e superficiali e nella formulazione di ipotesi sulle potenziali sorgenti di contaminazione dei corpi idrici.

Lo studio condotto ha inoltre evidenziato alcune criticità legate ai parametri esaminati e all’applicazione di questa metodologia di indagine.

In particolare, il parametro ΣPFAS è spesso risultato significativamente maggiore rispetto alla somma delle specie di PFAS ordinariamente rilevate nei campioni. Quanto sopra risulta indicativo della presenza di ulteriori sostanze perfluoroalchiliche non rilevate che potrebbero rappresentare una criticità da approfondire.

L’applicazione dei rapporti di concentrazione nel caso dell’ex stabilimento MITENI spa ha inoltre evidenziato l’impossibilità di definire trend statisticamente significativi per l’interazione di molteplici variabili, quali: l’eterogenea dispersione dei valori di concentrazione influenzata dalla distanza dalla sorgente di contaminazione, la diversa profondità di captazione dei pozzi/piezometri e i diversi fattori di alimentazione dell’acquifero sito-specifici che possono avere effetti sulla concentrazione degli inquinanti influenzando l’efficacia ed il corretto utilizzo di tali traccianti.

In conclusione, il lavoro di tesi ha contribuito a fornire un quadro generale dello stato qualitativo delle acque sotterranee e superficiali in Italia in relazione alla presenza di queste molecole e a dimostrare le potenzialità di utilizzo dei rapporti di concentrazione di PFAS come traccianti di sorgenti emissive antropiche. Il metodo potrà essere maggiormente affinato, in funzione di un auspicabile aumento e sistematizzazione dei dati disponibili, attraverso opportuni database, sia in termini di maggior numero di campioni rappresentativi di diversi contesti (antropici e idrogeologici) sia in termini di ampliamento del set di specie di PFAS ricercate.

GLI PNEUMATICI IN KEVLAR SBARCANO SULLE AUTO STRADALI

C’è chi pensa che il merito di una vittoria nel motorsport sia tutto “nel manico” (ovvero nella capacità di pilotare una vettura), o al massimo nel numero di cavalli che una sportiva riesce a produrre. Ma sbaglia, perché parte del merito va attribuito anche alle gomme che hanno il compito di scaricare sulla strada quei cavalli, di reggere alla sollecitazioni di una guida estrema, di affrontare condizioni di guida difficili legate alla qualità dell’asfalto, alla pioggia o addirittura al ghiaccio. Per mettere alla prova uno pneumatico, specie se destinato a vetture di grande potenza non c’è nulla come un tracciato di corsa e tra quelli più impegnativi c’è il circuito tedesco del Nürburgring dove ogni anno si svolge la “24 ore” destinata non ai prototipi, come avviene ad esempio a Le Mans, ma alle vetture sportive di derivazione stradale, quelle più vicine alle auto che guidiamo ogni giorno. Ventiquattro ore di gara sono una sollecitazione straordinaria sia per le parti meccaniche che per le gomme (oltre che per lo sforzo e l’attenzione dei piloti che quest’anno sono stati costretti anche a gareggiare per un tempo più lungo visto che ci sono state lunghe interruzioni per nebbia).

La competizione è stata l’occasione per presentare nuovi prodotti del mondo pneumatici come è avvenuto per il

nuovo Azenis RS820 prodotto dai giapponesi (con molti interessi proprio in Germania) della Falken (marchio del gruppo nipponico Sumitomo) che proprio dal motorsport ha portato su pneumatici destinati alla strada diverse tecnologie. A partire dai materiali, con l’impiego di aramide (quello che tutti noi conosciamo col nome commerciale di kevlar) per la sua struttura. Questa fibra assicura contemporaneamente una grande leggerezza insieme ad una elevata rigidità, (due elementi indispensabili in un pneumatico che deve garantire altissime prestazioni), perché ne riduce la deformazione in curva e alle velocità elevate. Questo semplicemente di avere una aderenza maggiore, una impronta a terra, per dirla tecnicamente, più piatta ed estesa. Questo permette a questo pneumatico di essere omologato fino a 300 km/h. Ovviamente la nuova gomma del gruppo Sumitomo finirà per essere usata sulle grandi vetture sportive e a chi volesse partecipare a competizioni per vetture di derivazione stradale.

L’obiettivo dell’Azenis RS820 è garantire grande sicurezza anche sul bagnato. A questo tema i tecnici usando anche l’esperienza accumulata sulle piste, hanno lavorato con nuove mescole e un battistrada con un nuovo disegno: quattro canali longitudinali di differente larghezza. E in più gli intagli sulla spalla contengono dei rinforzi studiati per ridurre i movimenti fra i tasselli e dare più grip in accelerazione, in frenata e in curva.

La passione per la velocità si intreccia sempre di più con l’esigenza della sicurezza e con una ricerca che porta nelle gomme delle auto che usiamo qualità che nascono dalla pista. Sì, stiamo parlando di “supercar” ma a cascata ricerche come queste arrivano anche sulle vetture di tutti i giorni.

L’IDROGENO CHE VOLA

La compagnia aerea statunitense Joby Aviation grazie ad oltre 2 miliardi di dollari di finanziamenti ricevuti da diversi investitori, tra cui Toyota, Delta Air Lines, SK Telecom, Uber e Baillie Gifford sta sviluppando un servizio di aerotaxi con aerei elettrici a decollo e atterraggio verticale con alimentazione a idrogeno liquido, che ha già ricevuto l'autorizzazione dalla FAA (Federal Aviation Authority) per i primi i test di volo con l'obiettivo di iniziare a spedire l'aereo denominato eVTOL (Electric Vertical Take-Off and Landing) ai clienti nel 2024 e di lanciare un servizio di aerotaxi entro il 2025.

Il primo volo di prova è stato realizzato lo scorso luglio attraverso una collaborazione con l’azienda H2FLY, coprendo una distanza di 523 miglia in totale assenza di emissioni inquinanti e con produzione solo di vapore acqueo.

L’aero utilizzato presenta la stessa struttura esterna dei veivoli a batteria elettrica ma con un adattamento del motore e un minore carico della batteria (che resta comunque presente), con l’aggiunta di un serbatoio che può contenere fino a 40kg di idrogeno liquido.

L’idrogeno viene pompato in un sistema di celle a combustibile per produrre elettricità, acqua e calore. L'elettricità generata dalla cella a combustibile alimenta i sei motori elettrici dell’aereo, mentre le batterie forniscono energia extra durante il decollo e l’atterraggio.

Il vantaggio principale è proprio nella durata possibile dei viaggi: mentre i veivoli elettrici hanno una autonomia di circa 100 miglia, dopo i quali occorre ricaricarli, la distan-

za che potrebbe coprire un aereo a idrogeno è considerevolmente maggiore. Questo permetterebbe di cambiare la tipologia di tragitti che si possono coprire e modulare un’offerta non più limitata a brevi spostamenti funzionali in uno stesso territorio (ad esempio da una residenza a un aeroporto), ma a veri spostamenti interurbani o interregionali, che sfruttano anche la rapidità di rifornimento.

Si tratta per il momento di prospettive che dovranno trovare conferma sul mercato. Una delle difficoltà è la copertura del fabbisogno di idrogeno liquido da fonti sostenibili, che è stato l’ostacolo sui cui si sono scontrate altre compagnie, ma che nei prossimi anni potrebbe sfruttare il sostegno economico istituzionale, grazie a investimenti sull’idrogeno verde, che potrebbero rendere realtà il volo elettrico e avvicinarci a una mobilità aerea a corto raggio sempre più sostenibile.

INDIPENDENZA ENERGETICA DAL 2050.

IL CONTRIBUTO DELLE BIOENERGIE

Roma, 26 luglio 2024 - Il convegno organizzato da Forza Italia alla Camera dei Deputati è stato un importante momento di confronto con illustri esponenti del settore politico ed energetico sul tema delle bioenergie che rappresentano una delle soluzioni per la decarbonizzazione anche dei trasporti. Il presidente di UNEM, Gianni Murano, nell’occasione ha ribadito la necessità di un quadro di regole che dovrà permettere una sana competizione nel rispetto della neutralità tecnologica. A tal fine, ha auspicato a tal fine l’adozione di un tavolo interministeriale (MASE, MIMIT, MEF, MASAF) per affrontare il tema della raffinazione e della logistica in un’ottica allargata, attraverso una programmazione industriale/economica che, considerate le criticità individuate, supporti la trasformazione del settore esaltando il know-how e le potenzialità infrastrutturali, tecnologiche e di competenze del Paese.

BONIFICHE E RISANAMENTO AMBIENTALE

Ferrara Fiere, 18/20 settembre 2024 - Anche quest’anno abbiamo partecipato alla fiera RemTechExpo che si è tenuta dal 18 al 20 settembre a Ferrara, intervenendo e coordinando alcuni degli eventi in programma per approfondire con i principali protagonisti il tema delle bonifiche e del risanamento ambientale. La manifestazione è stata anche l’occasione per la consegna del premio “Degree and Phd Awards”, promosso da UNEM, al vincitore Stefano Fabiano, alla presenza del Ministro Gilberto Pichetto Fratin.

CARBURANTI RINNOVABILI

Genova, 24 settembre 2024 - L’incontro, organizzato dal Gruppo ChEnPe di Confindustria Genova, si è svolto nell’ambito del Salone Nautico che è stata la giusta cornice per fare il punto sulle diverse soluzioni, tecniche e logistiche, che stanno emergendo in risposta alla crescente esigenza di una transizione energetica sostenibile nel comparto marittimo. Nel corso della tavola rotonda di apertura, moderata da Gilda Ferrari de Il Secolo XIX, il presidente Gianni Murano puntando l’accento sulla necessità di definire sono le norme tecniche per favorire una maggiore penetrazione dei biocarburanti anche nel settore marittimo e aiutare l’avvio di economie di scala in grado di abbattere i costi e quindi i prezzi finali che oggi sono più alti di quelli tradizionali.

RISCHI EMERGENTI E TRANSIZIONE ENERGETICA

E DIGITALE

Milazzo, 4 ottobre 2024 - Il 4 ottobre si è tenuto a Milazzo, il Corso di Alta Formazione e l’Evento finale del Progetto Inail Drivers. Nell’occasione Donatella Giacopetti e Maria Virginia Coccia di UNEM sono intervenute evidenziando quanto sia importante, nel progressivo mutamento della realtà industriale e distributiva che UNEM rappresenta, valutare i rischi emergenti connessi alla transizione energetica e digitale e ai cambiamenti climatici. Da questo punto di vista, UNEM promuove l’interscambio di informazioni sui rischi emergenti tra le aziende e il confronto con le istituzioni coinvolte, al fine di approfondire i nuovi rischi emergenti in un’ottica di collaborazione, con l’obiettivo di prevenzione e controllo dei rischi, tramite un miglioramento integrato e continuo.

TRASPORTI E DECARBONIZZAZIONE

Bologna, 9/10 ottobre 2024 - In occasione della manifestazione Fueling Tomorrow che si è tenuta presso BolognaFiera dal 9 all’11 ottobre, UNEM è intervenuta sia alla tavola rotonda di apertura (“Soluzioni per la transizione nel trasporto e nell’industria” che al convegno promosso insieme a Federchimica-Assogasliquidi e Assopetroli-Assoenegia (“La via digitale per la decarbonizzazione dei trasporti”). Nell’occasione il Direttore Generale di UNEM, Marina Barbanti, ha evidenziato come la decarbonizzare ormai sia non una scelta ma una necessità perché oltre all’Europa lo chiedono anche l’ambiente e il clima. In questo contesto, qualsiasi strategia di investimento nel campo energetico dovrà avere quale precondizione una valutazione oggettiva sulla sua capacità di contribuire alla graduale decarbonizzazione dei processi e dei prodotti.

ASPHALTICA 2024

Bologna, 9 ottobre 2024 - Intervenendo agli "Stati Generali delle costruzioni stradali" promossi da Siteb nell’ambito dell’edizione 2024 di “Asphaltica”, il presidente di UNEM, Gianni Murano, ha ricordato che l’Italia è il terzo mercato in Europa, con una domanda intorno ai 2,5 milioni di tonnellate, e che lo sviluppo tecnologico ha permesso al prodotto bitume di evolvere, garantendo sempre maggiore sicurezza e durabilità. Oggi il bitume in Europa rappresenta il 3% della produzione delle raffinerie ma con buone prospettive di crescita della domanda. Dal convegno è emersa l’importanza di affrontare il tema della decarbonizzazione con un approccio di filiera, date che le politiche di decarbonizzazione europee impatteranno sulla raffinazione che dovrà rivedere i propri assetti.

LE NUOVE SFIDE DELLA CYBERSECURITY

Roma, 16 ottobre 2024- La nuova Direttiva europea in materia di cybersecurity, “NIS 2”, produrrà un impatto esteso su tutto il tessuto economico nazionale: si stima, infatti, che rientreranno nel suo perimetro di applicazione ad alcune decine di migliaia di soggetti. Per noi, ha detto Donatella Giacopetti di UNEM, intervenendo al convegno promosso da Pilat&Partnes alla Camera dei Deputati, è una grossa opportunità visto che rappresentiamo aziende che sono considerate operatori essenziali. Fornire le energie è un servizio, la nostra è una filiera digitale e dobbiamo fare rete per essere tutti più sicuri.

NEWS DALLE ASSOCIATE

BP e Iberdrola insieme per il più grande impianto di idrogeno verde in Spagna - BP e Iberdrola hanno dato il via libera alla costruzione di un progetto di idrogeno verde da 25 MW presso la raffineria di Castellón di BP, che dovrebbe essere operativo nella seconda metà del 2026. Si tratta del primo progetto di idrogeno intrapreso congiuntamente da BP e Iberdrola tramite Castellón Green Hydrogen SL, una joint venture paritetica di entrambe le società. Lo scopo, si legge in una nota, è sostituire circa 2.800 tonnellate annue di idrogeno verde all'idrogeno grigio attualmente utilizzato dalla raffineria, prodotto da gas naturale, ed evitare l'emissione di 23.000 tonnellate di CO₂ all'anno.

Eni e la ROAD Academy - È partita la “ROAD Academy”, la rete di imprese formata nel 2023 da Eni, Acea, Autostrade per l’Italia, Bridgestone, Cisco, Gruppo FS e NextChem (MAIRE) per la creazione del primo distretto di innovazione tecnologica nella Capitale dedicato alle nuove filiere energetiche e aperto a collaborazioni industriali applicata in sinergia con il mondo della ricerca e dell’università. Una nota informa che ROAD ha altresì scelto di fornire anche una formazione di alto livello ai talenti delle aziende associate all’iniziativa, alimentando una cultura di scambio, co-creazione e imprenditorialità.

Eni e Volotea portano i SAF in 15 aeroporti italiani - Eni e Volotea hanno siglato una Lettera di Intenti volta a favorire un accordo commerciale per la fornitura a lungo termine di SAF (Sustainable Aviation Fuel) in 15 aeroporti italiani in cui opera il vettore aereo. L’accordo potrebbe consentire a Volotea di avere accesso fino a 15 milioni di litri di SAF tra il 2025 e il 2030. Volotea già a partire dal 2022 ha iniziato a introdurre SAF nei suoi aerei e, tra il 2022 e il 2023, ha utilizzato 1 milione di litri di carburante sostenibile SAF. Le due aziende, si legge in una nota, lavoreranno insieme per promuovere l’adozione di SAF, il biocarburante Enilive prodotto prevalentemente da rifiuti e scarti biologici nelle proprie bioraffinerie e che può essere utilizzato in miscela con jet convenzionale fino al 50%.

Nuovo processo di gomma riciclata per EVONIK - Evonik, azienda leader nel settore dei prodotti chimici speciali, ha avviato un processo per contribuire a rendere i materiali in gomma ricavati dagli pneumatici di scarto più facili da riutilizzare nella produzione di nuovi pneumatici per automobili. Un team di ricercatori di Evonik ha infatti compiuto un passo avanti fondamentale con un processo che potrebbe rendere possibile l'utilizzo di una quantità di gomma riciclata fino a quattro volte superiore nei nuovi pneumatici rispetto al passato.

ITA Airways espande la propria presenza in Arabia Saudita - ITA Airways espande ulteriormente la propria presenza in Arabia Saudita inaugurando il nuovo volo diretto da Roma Fiumicino verso Gedda, la seconda destinazione nello Stato arabo dopo Riyadh. Il nuovo collegamento viene operato con Airbus A321neo di nuova generazione e tecnologicamente avanzato vanta consumi di carburante ed emissioni di CO₂ per posto inferiori del 20% e consente una riduzione del 50% dell'impatto acustico rispetto agli aerei di precedente generazione nella sua categoria.

NESTE e HELLENiQ ENERGY per carburante sostenibile - Neste e HelleniQ, uno dei principali gruppi energetici dell'Europa sud-orientale, hanno collaborato per consegnare il carburante per aviazione sostenibile Neste MY alle strutture di HELLENiQ ENERGY a Salonicco. È la prima volta che il carburante per aviazione sostenibile (SAF) miscelato viene fornito alla Grecia in grandi quantità utilizzando navi per il trasporto anziché camion. La consegna del SAF miscelato aumenterà la disponibilità e l'accessibilità del carburante per aviazione sostenibile negli aeroporti di tutta la Grecia, e aiuterà a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni dell'aviazione a livello globale.

Soluzioni innovate per la cattura della CO₂ per Nextchem - Maire, attraverso le sue controllate NextChem e KT (Integrated E&C Solutions), ha completato i lavori per un impianto di cattura della CO₂ presso la centrale di trattamento del gas naturale di ENI a Casalborsetti, Ravenna. L'impianto, appena entrato in funzione, è progettato per separare, purificare e comprimere un volume di emissioni di CO₂ stimata in circa 25 mila tonnellate all’anno. Il progetto garantisce un abbattimento delle emissioni di CO₂ di oltre il 90% diversamente rilasciate nell'atmosfera ed è il primo progetto al mondo su scala industriale con livelli così elevati di efficienza di cattura dell’anidride carbonica.

Accordo NextChem e Sarlux per SAF a Sarroch - MAIRE ha annunciato che NextChem, attraverso la sua controllata NextChem Tech, ha firmato un accordo vincolante con Sarlux, società del gruppo Saras, per l'implementazione di un impianto pilota finalizzato alla produzione di carburante sostenibile per l'aviazione (SAF), con il potenziale di svilupparlo su scala industriale nello stabilimento di Sarroch (Sardegna). NextChem Tech integrerà nel processo la propria tecnologia “NX CPO”, una soluzione all'avanguardia che produce gas di sintesi attraverso un'ossidazione catalica parziale. L 'accordo prevede inoltre che NextChem Tech fornisca servizi di ingegneria ad alto valore aggiunto durante le fasi di esecuzione, collaudo e l’avviamento dell’impianto.

Petronas Lubricants suporto Viaggio Italia Around the World - QPetronas Lubricants International (Pli) ha rinnovato il suo impegno a favore di progetti che promuovono inclusione e sostenibilità, supportando il nuovo tour del progetto Viaggio Italia Around the World. Il tour di 20 giorni, partito l’8 ottobre, vedrà due viaggiatori in carrozzina attraversare quasi 2.000 km tra Malesia e Thailandia utilizzando diversi mezzi di trasporto accessibili, tra cui auto e van adattati, treni, scooter con side-car e carrozzine ipertecnologiche dotate di dispositivi di trazione elettronica.

PETRONAS e Iveco presentano il primo olio motore per i veicoli pesanti - Petronas Lubricants International (Pli) e IVECO hanno lanciato Urania Next 0W-16, il primo olio motore SAE 0W-16 specificatamente progettato per i veicoli heavy-duty. La collaborazione tra Pli e IVECO è stata determinante per la messa a punto del nuovo prodotto, frutto di un rigoroso lavoro di ricerca e sviluppo congiunto, che offre prestazioni ed efficienza eccezionali, soprattutto per i veicoli pesanti, permettendo la riduzione dell'attrito, del consumo di carburante e quindi delle emissioni di CO₂.

"Nelle ultime generazioni l’umanità ha sperimentato il più grande incremento di sempre sia nella quantità che nella velocità della nostra produzione di informazioni. Ogni smartphone contiene più informazioni dell’antica biblioteca di Alessandria e permette a chi lo possiede di connettersi all’istante con miliardi di altre persone in tutto il mondo. Eppure, con tutte queste informazioni che circolano a un ritmo vorticoso, l’umanità è più prossima che mai all’autodistruzione. [...] Ai nostri leader non mancano le informazioni sul pericoli, eppure, invece di collaborare per trovare soluzioni, si avvicinano a una guerra globale. [...] Data l’entità del pericolo, l’intelligenza artificiale è un tema che dovrebbe interessare l’umanità intera. Anche se non tutti possono diventare esperti di IA, dovremmo tutti tenere presente che è la prima tecnologia della storia in grado di prendere decisioni e creare nuove idee da sola. Tutte le precedenti invenzioni umane hanno dato potere all’uomo perché, per quanto fosse potente il nuovo strumento, la scelta di come e quanto usarlo rimaneva nelle nostre mani. [...] L’IA può elaborare le informazioni da sola e quindi sostituire l’uomo nel processo decisionale. L’IA non è uno strumento, è un agente.

>> Yuval Noah Harari, Nexus, 2024, Bompiani

ITELYUM: il nome dell’economia circolare.

Tecnologia, esperienza e innovazione per la rigenerazione degli oli lubrificanti, la purificazione dei solventi e i servizi ambientali per l’industria.

Tecnologia, esperienza e innovazione per la rigenerazione degli oli lubrificanti, la purificazione dei solventi e i servizi ambientali per l’industria.

34 siti operativi e più di 1.400 persone: soluzioni sostenibili per circa 40.000 clienti in più di 60 Paesi nel mondo.

41 società e più di 1.500 persone: soluzioni sostenibili per circa 45.000 clienti in più di 60 Paesi nel mondo.

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