muoversi n.2/2025

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LA "SVEGLIA" AMERICANA

SCENARI E PROSPETTIVE

EUROPEE

NEL NUOVO ORDINE MONDIALE

DECARBONIZZARE NON SIGNIFICA DEINDUSTRIALIZZARE. LA RIFLESSIONE DEL PRESIDENTE MURANO SUGLI SCENARI GLOBALI E SULLA NECESSITÀ DI UN NUOVO CORSO EUROPEO

NUOVI EQUILIBRI GEOPOLITICI IN UN MONDO SEMPRE PIÙ UNILATERALE. LE ANALISI DI NATALIZIA, SELLARI, DOTTORI, DI LELLIO, CASINI E MARTALÒ. I COMMENTI DI CLÔ, MARELLI E PICCHIO

DAL MONDO, ALLL’EUROPA, ALL’ITALIA. IL PUNTO DI VISTA DELLA POLITICA CON LE INTERVISTE A BORCHIA, GUALMINI  E MARATTIN

ITELYUM: il nome dell’economia circolare.

Tecnologia, esperienza e innovazione per la rigenerazione degli oli lubrificanti, la purificazione dei solventi e i servizi ambientali per l’industria.

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34 siti operativi e più di 1.400 persone: soluzioni sostenibili per circa 40.000 clienti in più di 60 Paesi nel mondo.

41 società e più di 1.500 persone: soluzioni sostenibili per circa 45.000 clienti in più di 60 Paesi nel mondo.

APERTURA

Professore associato Dipartimento

Direttore del Centro Interdipartimentale

18 DOVE STA ANDANDO L’AMERICA?

di Anna Di Lellio, Professoressa di relazioni internazionali New York University

intervista a Paolo Borchia, Europarlamentare Patrioti per l'Europa, di Marco D’Aloisi

“SENZA MANIFATTURA L’EUROPA RISCHIA IL TOTALE DECLINO”

intervista a Elisabetta Gualmini, Europarlamentare S&D, di Marco D’Aloisi

“SUL NUCLEARE IL GOVERNO BUTTA LA PALLA IN TRIBUNA”

intervista a Luigi Marattin, Deputato Gruppo Misto, di Marco D’Aloisi

IL TOUR D'EUROPE PER FAR SCOPRIRE I CARBURANTI RINNOVABILI

DATI SU: QUADRO PETROLIFERO E PROSPETTIVE

ATTUALITÀ

CAMBIA IL MONDO MA L’EUROPA STENTA

di Marco Marelli, Giornalista, Co-founder Prospiciunt judging

TAGLIARE LE BOLLETTE? PIÙ FACILE A DIRSI CHE A FARSI

di Gionata Picchio, Vicedirettore Staffetta Quotidiana

STUDI RUBRICHE

EDUCATION IL BIOBUTANOLO: PRODUZIONE E PROSPETTIVE APPLICATIVE

di Marianna Noviello

EVENTI UNEM

RASSEGNA STAMPA NEWS DALLE ASSOCIATE

IMMAGINARE IL FUTURO TECNOLOGIE PER IL FUTURO DIGITAL FUEL TWIN

RIVISTA TRIMESTRALE SUI PROBLEMI DELL’ENERGIA

MARZO 2025 ANNO XXXXVI / N. 1

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di Alberto Clô

EDITORIALE

La forza dei nazionalismi energetici e la debolezza dell’Unione europea 8 di Alberto Clô e Francesco Sassi

SCENARI: INCOGNITE DI BREVE E LUNGO TERMINE

Scenario macroeconomico e delle materie prime: navigare a vista 12 di Daniela Corsini

Compagnie energetiche e investimenti: che fare? 20 di Francesco Martoccia

ITALIA IN TRANSIZIONE

Elettricità completamente rinnovabile entro il 2040 28 di Attilio Piattelli, Simone Togni, G.B. Zorzoli

Scenari elettrici decarbonizzati al 2040 36 di Marco Agostini, Chiara Bustreo, Umberto Giuliani, Giuseppe Zollino

SPECIALE NUCLEARE

Convenienza e finanziabilità del nucleare nei mercati elettrici liberalizzati 46 di Luigi De Paoli

DISTRIBUZIONE GAS ED ELETTRICITÀ

Fusione Italgas-2i Rete Gas e implicazioni di politica industriale 74 di Carlo Stagnaro

SEZIONE STATISTICA Tabelle 88 /energia-rivista-e-blog

/RivistaEnergia

Proroga delle concessioni della distribuzione elettrica 82 di Alessandro Morini

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ENERGIE E TECNOLOGIE PER IL FUTURO

MUOVERSI

TRIMESTRALE DI UNIONE ENERGIE PER LA MOBILITÀ ANNO 2025 N. 2 APRILE / GIUGNO

Direttore Responsabile Marco D’Aloisi Collaboratori

Armando Durazzo, Paolo Guarino, Roberto Roscani Ideazione e Progettazione Grafica Atlas Consulting

EDITORIALE

L’Europa per secoli ha vissuto nella convinzione - spesso giustificata - di essere il centro del mondo. È stata la culla del pensiero moderno, delle rivoluzioni scientifiche, industriali, culturali. Ha esportato idee, sistemi economici, modelli politici, ma anche colonizzazione, guerre e disuguaglianze. L’“eurocentrismo” non è solo una posizione geografica: è una lente attraverso cui l’Europa ha osservato e interpretato il resto del mondo. Anche se non è più così da un pezzo, l’illusione di centralità è dura a morire. Ancora oggi nei palazzi istituzionali, nei salotti della politica, nei corridoi accademici, sopravvive l’idea che il mondo giri attorno a Bruxelles, Parigi, Berlino, Roma. L’Europa, invece, appare spesso divisa, burocratica, lenta a reagire e per questo sempre più vulnerabile, dipendente da forniture energetiche esterne, poco incisiva militarmente, esposta a pressioni migratorie e influenze esterne.

Unione Energie per la Mobilità Piazzale Luigi Sturzo, 31 00144 Roma - info@unem. it - www.unem.it tw: @unem_it in: /company/unem

Per proporre contributi o per richieste pubblicitarie: muoversi@unem.it

Le opinioni espresse impegnano unicamente gli autori e sono indipendenti da opinioni e politiche dell’Editore. Registrazione Tribunale di Roma n. 121 del 19 settembre 2019

Era già apparso evidente ai tempi dell’invasione russa dell’Ucraina e lo è ancora di più oggi che deve fare i conti con il nuovo corso americano che in pochissimo tempo ha scardinato consolidati equilibri non solo economici e strategici, ma anche simbolici, arrivando a mettere in dubbio persino il ruolo di organismi internazionali come ONU e NATO. Mosse che, in ogni caso, “da un punto di vista meramente strategico rappresentano un’accelerazione di un percorso avviato già sotto l’amministrazione Obama e sostanzialmente mai interrotto, salvo alcune deviazioni occasionali”, come sostiene Gabriele Natalizia dell’Università Sapienza di Roma a pag. 8. In pratica, siamo di fronte ad un “piano di un nuovo ordine mondiale che sembra solo caotico, ma non lo è”, come scrive Anna Di Lellio della New York University a pag. 18, dove a contare è solo la forza. E di forza ne hanno molta i paesi del Golfo perché “parallelamente al loro rafforzamento sul piano economico e finanziario, è andato affermandosi un crescente ruolo politico e diplomatico”, come si legge nel commento della Med-Or Italian Foundation a pag. 14, ma anche il gruppo dei paesi BRICS che “forte di immense risorse energetiche e di un rilevantissimo potere economico, rivendica più voce nelle decisioni internazionali e promuove istituzioni finanziarie parallele”, come osserva il Paolo Sellari dell'Università Sapienza di Roma a pag. 10. Data la situazione, è evidente che l’Europa rischia di essere condannata all’irrilevanza politica ed economica se non trova il modo di rafforzare la propria autonomia strategica e diventare davvero un attore globale. Il primo passo in questa direzione dovrebbe essere quello di uscire dal mito eurocentrico di cui sono state permeate le politiche degli ultimi anni, soprattutto in campo ambientale, e tornare a guardare il mondo con occhi nuovi. E “il recente pacchetto di dazi dell’amministrazione Trump può quindi essere l’ennesima ‘sveglia’ che dovrebbe spingere il governo europeo a cambiare rotta e favorire una crescita economica che non può sostenersi solo con i servizi, ma deve prevedere una forte struttura industriale”, come si legge nel commento di apertura del Presidente Gianni Murano a pag. 6. Anche perché, è importante che ci sia “più Europa, ma un’Europa che protegga i nostri valori, la nostra struttura industriale, la nostra capacità di innovare e produrre”. Temi affrontati anche nelle interviste con gli europarlamentari Paolo Borchia ed Elisabetta Gualmini, e con il deputato Luigi Marattin. Altri utili elementi di riflessione sono poi offerti dai commenti di Alberto Clô, Germano Dottori, Marco Marelli e Gionata Picchio. Buona lettura

DECARBONIZZARE NON SIGNIFICA DEINDUSTRIALIZZARE

Nell’ultimo decennio l’Europa ha segnato il passo in termini di competitività rispetto Cina e Stati Uniti, capacità di attrarre investimenti e quindi creare occupazione e crescita industriale per mantenere sostenibile il nostro Stato sociale. L’Europa negli ultimi anni è infatti cresciuta ad un tasso che mediamente è stato pari a circa un quarto di quello degli Stati Uniti e a un quinto della Cina. Anche la produzione industriale non è stata particolarmente brillante, così come l’occupazione, considerato che negli ultimi 20 anni il tasso medio di disoccupazione è stato di circa il 9% rispetto al 5-6% ritenuto accettabile dagli economisti e che dunque viene visto come un segnale di debolezza economica, bassa domanda, crisi industriali o problemi strutturali del mercato del lavoro.

Le ragioni sono sicuramente dovute ad una serie di fattori esterni e non controllabili (COVID-19, invasione Ucraina), ma hanno radici profonde anche nell’impianto strutturale del nostro Continente che ha perseguito una politica di crescita geografica, arrivando a contare 27 Paesi rispetto ai 15 del 2000, senza però adeguare la governance in modo che potesse sostenere rapidità di decisione e intervento. In aggiunta, una struttura “federale” come quella europea, che tende a regolare il mercato ma che poi non ha adeguati strumenti per sostenere il proprio mercato in terno sia finanziario che di mer ci, ha creato evidenti fratture in cui i competitors extra-UE si sono infilati crescendo in forza e peso economico. Troppi sono gli esempi che si possono fare, dai pannelli fotovoltaici ai bio carburanti, all’automotive, ai prodotti chimici, alla siderur gia. In questo contesto, il quadro appare complicarsi ulteriormente alla luce delle politiche commerciali della nuova amministrazione Trump che puntano a dazi

L’ATTUALE STRUTTURA DELL’UNIONE

EUROPEA TENDE A REGOLARE IL

MERCATO INTERNO MA POI NON HA GLI STRUMENTI ADEGUATI PER SOSTENERLO, CREANDO EVIDENTI

FRATTURE IN CUI I COMPETITORS

EXTRA-UE SI SONO INFILATI

INCREMENTANDO LA LORO POSIZIONE E PESO ECONOMICO

significativi per le merci provenienti dall’estero, creando quindi ulteriori barriere alle nostre esportazioni e una maggiore spinta a prodotti non europei verso il mercato europeo sicuramente ricco e con poche barriere. Infatti, stando alle stime della Commissione il 70% delle nostre esportazioni verso gli Stati Uniti sarà colpito dalle nuove politiche sui dazi, che seppure ora sospesi per 90 giorni, indicano chiaramente l’intenzione dell’Amministrazione USA. Non è ancora chiaro quale sarà la risposta europea ma, ha assicurato la presidente von der Leyen, “l'Europa sarà al fianco di chi sarà colpito. Abbiamo già annunciato nuove misure a sostegno dei settori dell'acciaio e delle automobili e altri seguiranno”. Il caso dell’automotive, un settore che rappresenta circa il 6% del Pil europeo e impiega 13 milioni di lavoratori, ossia oltre l’8% della forza lavoro totale, è sicuramente tra i più evidenti della difficoltà europea a regolare settori creando al contempo opportunità per l’industria locale. Un settore, l’automotive, che di fatto è stato messo in stallo da scelte forzate su tecnologie non europee e che gli stessi cittadini europei non hanno capito né apprezzato. In pratica, è stato bloccato il mercato europeo con impatti sulle produzioni. La scelta del divieto del motore endotermico al 2035 ha creato insicurezza e dubbi tra i consumatori, con il risultato che l’acquisto del “nuovo” è crollato mentre quello dell’usato è ai livelli pre-COVID. Chi voleva usare il Green Deal per rinnovare il vetusto parco automobilistico europeo (italiano in particolare) ha veramente sbagliato politiche e approccio. La stessa scelta di multare i produttori di autovetture in funzione delle vendite delle autovetture tradizionali verso le autovetture elettriche ha comportato scelte commerciali che hanno fatto crescere i prezzi mediamente del 30% in 5 anni. Non siamo tra i primi a rilevare questi “paradossi”, ma sicuramente non saremo tra gli ultimi. È sempre più crescente la voce di chi invoca una revisione del Green Deal che su molti aspetti, tra cui l’automotive, si rivela inefficace o perlomeno intempestivo.

Ci aspettiamo quindi una revisione dell’impronta regolatoria europea che dovrà favorire il mercato interno, ma so-

IL RECENTE PACCHETTO DI DAZI

DELL’AMMINISTRAZIONE TRUMP DEVE QUINDI ESSERE L’ENNESIMA “SVEGLIA” CHE DOVREBBE SPINGERE IL GOVERNO EUROPEO A CAMBIARE ROTTA E FAVORIRE

UNA

CRESCITA ECONOMICA CHE

NON PUÒ SOSTENERSI SOLO CON I SERVIZI, MA DEVE PREVEDERE UNA FORTE STRUTTURA INDUSTRIALE

prattutto la possibilità per l’industria europea di svilupparsi e riconquistarsi il proprio mercato interno senza dimenticare le mire verso mercati esteri colpiti dai dazi americani. Il recente pacchetto di dazi dell’amministrazione Trump deve quindi essere l’ennesima “sveglia” che dovrebbe spingere il governo europeo a cambiare rotta e favorire una crescita economica che non può sostenersi solo con i servizi, ma deve prevedere una forte struttura industriale. Cambiare rotta per una decarbonizzazione che non faccia rima con deindustralizzazione deve essere il mantra della nuova legislatura. I partiti che compongono la maggioranza del Parlamento europeo devono riconsiderare il peso della crescita industriale per sostenere l’occupazione e quindi il costo del nostro Stato sociale, che è il pilastro dei valori europei. Dobbiamo quindi insistere anche nel nostro Paese perché ci sia più Europa, ma un’Europa che protegga i nostri valori, la nostra struttura industriale, la nostra capacità di innovare e produrre. Abbiamo chiara la meta finale, ma il percorso scelto finora non è stato né vincente né apprezzato. Non abbiamo tanto altro tempo prima di arrivare ad un punto di non ritorno.

DEGLI USA RESTANO SEMPRE GLI STESSI

di Gabriele Natalizia,

Professore associato Dipartimento di Scienze politiche - Sapienza Università di Roma

Nonostante siano trascorsi solo due mesi dal suo insediamento, l’amministrazione Trump ha già avuto un effetto dirompente sulla sponda europea dell’Atlantico.

L’atteggiamento transattivo adottato in merito al sostegno bellico all’Ucraina, la preferenza per un formato bilaterale nei colloqui di pace, la girandola di dazi imposti ad alleati, partner e rivali degli Stati Uniti, le dichiarazioni roboanti nei confronti di Canada e Messico e l’assertività dimostrata sui dossier del Canale di Panama e della Groenlandia hanno impressionato a tal punto Bruxelles e le altre capitali europee da spingerle a lanciare il piano RearmEurope e ad accettare deroghe al famigerato Patto di Stabilità e Crescita. Al di là dei toni e dei modi, spesso irrituali e certamente poco diplomatici, quanto si discosta la linea sinora adottata da Trump rispetto a quella dei suoi predecessori? Da un punto di vista meramente strategico, le mosse compiute in questa fase rappresentano un’accelerazione – indubbiamente brusca – di un percorso avviato già sotto l’amministrazione Obama e sostanzialmente mai interrotto, salvo alcune deviazioni occasionali. Sebbene tutte le presidenze del post-Guerra Fredda abbiano perseguito l’obiettivo di preservare il primato internazionale americano, gli ultimi tre presidenti

– Obama, Trump e Biden – hanno condiviso imperativi strategici differenti rispetto a quelli di Clinton e Bush.

Il primo è la pressante richiesta di burden sharing agli alleati, concretizzatasi nel Defense Investment Pledge, adottato dalla NATO nel 2014 quando Obama era presidente e su cui i suoi successori non hanno mostrato alcuna intenzione di fare passi indietro. Di fronte a minacce la cui intensità è notevolmente cresciuta, non sorprenderà dunque se, al prossimo vertice de L’Aia, gli alleati formuleranno un nuovo impegno sull’incidenza della spesa militare rispetto al PIL, che potrebbe oscillare tra il 2,7% e il 3,5%.

Il secondo imperativo è il tentativo di disimpegno da aree non più ritenute vitali per gli interessi strategici americani, come l’Europa e la regione del Medio Oriente e Nord Africa (MENA). In tal senso, la scelta-simbolo è stata senza dubbio quella del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, avviato da Obama, negoziato da Trump con gli Accordi di Doha e portato a termine da Biden. Quest’ultimo, tuttavia, si è trovato a dover riconsiderare parzialmente la rotta a seguito degli eventi del 24 febbraio 2022 e del 7 ottobre 2023. Era prevedibile, tuttavia, che tale deviazione sarebbe stata superata una volta che il conflitto in Ucraina fosse entrato in una fase di sostanziale stallo e che i principali avversari di Washington nella regione MENA fossero stati duramente ridimensionati.

AL DI LÀ DEI TONI E DEI MODI, SPESSO IRRITUALI E CERTAMENTE POCO

Il terzo imperativo condiviso è la ricerca di un ribilanciamento degli sforzi diplomatici, militari ed economici americani verso l’area indicata come “strategica” – ovvero decisiva per gli equilibri internazionali – in tutti i documenti di sicurezza nazionale degli ultimi quindici anni: quella che l’amministrazione Obama definiva “Asia-Pacifico” e che le amministrazioni Trump e Biden hanno ribattezzato “Indo-Pacifico”. La convinzione condivisa è che in questa regione si giochi la partita con il principale sfidante del primato americano, la Repubblica Popolare Cinese (RPC). Le politiche dell’amministrazione Trump non intaccano questi imperativi strategici, ma introducono alcuni rilevanti cambiamenti tattici. Il primo è un ritorno marcato all’unilateralismo, riflesso nella preferenza per una gestione autonoma dei principali dossier di sicurezza, nell’insofferenza per i vincoli imposti dalle istituzioni internazionali all’azione degli Stati Uniti e nel sospetto che queste possano essere strumentalizzate contro di essi dai loro rivali, che si è tradotto nell’uscita dal WHO e dall’UNHCR. Il secondo elemento è la predilezione per i rapporti bilaterali, dove il peso specifico degli Stati Uniti può valere maggiormente rispetto ai formati multilaterali. Questo approccio ha già prodotto risultati significativi – benché le conseguenze di medio termine restino incerte – nelle controversie con la Colombia sulla gestione dei flussi migratori e con Panama sul controllo dei due porti di accesso al Canale. Infine, si osserva l’adozione della politica della maximum pressure non solo nei confronti della RPC, come prevedibile, ma anche nei confronti degli alleati. Le tensioni crescenti con il Canada e i Paesi europei trovano origine nella medesima convinzione, ossia che questi avrebbero storicamente approfittato della disponibilità americana a garantire loro sicurezza e accesso ai mercati, per trarne, un duplice vantaggio: da un lato, avrebbero godu-

LA GUERRA IN UCRAINA

HA

COSTRETTO LA

NATO A RIDEFINIRE LE PROPRIE PRIORITÀ.

DOPO

ANNI

DI

MISSIONI LONTANE,

DAL 2022 ESSA È

TORNATA

ALLA SUA

MISSIONE

ORIGINARIA

DI

DIFESA COLLETTIVA

DELL’EUROPA,

ACCOGLIENDO NUOVI

MEMBRI (FINLANDIA E SVEZIA) E RAFFORZANDO

IL FIANCO ORIENTALE

to dei margini utili a sviluppare quel welfare state di cui gli americani non godono, dall’altro, sarebbero riusciti a far pendere a proprio vantaggio la bilancia commerciale con gli Stati Uniti. Un’accusa, quest’ultima, che però non trova riscontro nei dati più recenti, almeno per quanto riguarda l’Unione Europea, a partire dal 2022. Le dichiarazioni sull’annessione della Groenlandia, così come le sparate sul 5% di PIL investito in difesa da richiedere agli alleati NATO, quindi, sembrano un tentativo di mettere alle corde gli alleati per estrarre quanto più possibile dalle loro politiche paventando conseguenze peggiori. Le scelte di Trump, pertanto, lasciano sopresi solo in parte. Se non è da escludere che le modalità odierne di interazione possano essere temperate, costituendo una diretta conseguenza della campagna elettorale da poco conclusa e della volontà del presidente in carica di portare subito prove tangibili del cambiamento indotto dal suo arrivo alla Casa Bianca, gli imperativi strategici americani resteranno comunque gli stessi, comportando costi e rischi più elevati per i Paesi europei. Ancor più sorprendente delle scelte di Trump, forse, è l’incapacità della classe dirigente europea di comprendere mutamenti in corso da tempo e di adottare nei loro confronti una postura attiva anziché – faticosamente – reattiva.

LA CRISI DEL SISTEMA MULTILATERALE

del Centro Interdipartimentale di Ricerca in Studi geopolitici e analisi territoriali, Sapienza,

La governance internazionale attraversa oggi tensioni e incertezze. Organismi nati per garantire stabilità, come l’ONU e la NATO, mostrano limiti di efficacia. Le Nazioni Unite, in particolare, appaiono in difficoltà nel prevenire e risolvere i conflitti più gravi: nel caso della guerra russo-ucraina, Mosca ha bloccato qualunque azione del Consiglio di Sicurezza utilizzando il proprio potere di veto. Questa impasse alimenta il dibattito su possibili riforme dell’ONU, che pure resta un foro essenziale per le sfide globali di lungo termine, come il cambiamento climatico: i negoziati sotto la sua egida, dall’Accordo di Parigi alle conferenze COP, delineano un quadro comune per la transizione energetica mondiale, influenzando le politiche energetiche dei Paesi, sebbene con una applicazione spesso contrastata.

La guerra in Ucraina ha costretto la NATO a ridefinire le proprie priorità. Dopo anni di missioni lontane dai confini dell’Alleanza, dal 2022 essa è tornata alla sua missione originaria di difesa collettiva dell’Europa, accogliendo nuovi membri (Finlandia e Svezia) e rafforzando il fianco orientale. Il vertice di Vilnius del 2023 ha sancito questo cambio di passo e affrontato anche minacce ibride: i leader alleati hanno deciso di potenziare la protezione delle infrastrutture energetiche critiche, per assicurare forniture sicure in un contesto reso instabile dal-

la “guerra del gas” scatenata dalla Russia. L’Alleanza investe, inoltre, nella sicurezza di gasdotti e cavi sottomarini, riconoscendo che cyber-attacchi e sabotaggi alle reti energetiche sono nuove sfide alla stabilità collettiva. Il gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), nonostante le sue contraddizioni, mostra segnali costanti di crescita. Se la Russia, soggetta ad embargo da parte di molti paesi occidentali, deve affrontare una fase storica difficoltosa, il Brasile nel 2024 è stata la sesta economia al mondo per crescita, mentre l’India si consolida sempre più come attore geoeconomico e geopolitico non solo nel

quadrante del subcontinente asiatico, ma a livello globale. La Cina, nonostante un leggero rallentamento, resta sempre in lotta per il primato economico assoluto con gli Stati Uniti, e il Sudafrica guida uno sviluppo del continente africano senza precedenti. Nel 2023 il gruppo BRICS ha avviato la sua prima espansione, invitando ad aderire grandi economie come Arabia Saudita e Iran e arrivando a rappresentare circa il 40% del PIL mondiale. Forte di immense risorse energetiche e di un rilevantissimo potere economico, questa coalizione rivendica più voce nelle decisioni internazionali e promuove istituzioni finanziarie parallele. Sul fronte climatico i BRICS mantengono un approccio differenziato: pur aderendo all’Accordo di Parigi, sottolineano le “circostanze nazionali” di ciascun Paese nella decarbonizzazione e si oppongono a vincoli ambientali troppo stringenti che possano frenare il loro sviluppo. In prospettiva, lo scenario geopolitico-ambientale sarà sempre più complesso, sebbene il G20 di Nuova Delhi nel 2023 abbia mostrato la possibilità di compromessi globali: i leader hanno avviato iniziative congiunte per i biocarburanti a sostegno della transizione energetica.

La situazione geopolitica vede, al di là della crisi russo-ucraina, la persistenza di aree di instabilità legate al contesto mediorientale e alla questione, mai risolta, israelo-palestinese: basti pensare agli attacchi ai mercantili nel Mar Rosso, che hanno reso quella rotta “altamente volatile” e minacciato le supply chain costringendo ad allungamenti di rotta attraverso il Capo di Buona Speranza, ed evidenziando la necessità di meccanismi internazionali efficaci per proteggere rotte e infrastrutture critiche capaci di garantire stabilità all’intero sistema economico globale.

La posizione dell’Italia – e delle sue imprese energetiche – risente direttamente di queste dinamiche.

IN UN CONTESTO

La guerra in Ucraina ha costretto il nostro Paese a ridurre drasticamente la dipendenza dal gas russo (da circa il 40% delle importazioni prima del 2022 a meno del 5% nel 2023), diversificando le forniture grazie anche al coordinamento europeo. Parallelamente, l’Italia resta impegnata nella transizione “verde” in linea con gli accordi globali, investendo in rinnovabili, biocarburanti e tecnologie pulite. In un contesto internazionale competitivo, le aziende energetiche italiane devono conciliare standard ambientali elevati con la necessità di operare anche in mercati emergenti con regole diverse.

Diventa quindi cruciale per il Paese continuare a sostenere un clima di dialogo costruttivo almeno a livello regionale, quindi in ambito europeo, nonostante la crisi del sistema multilaterale fondato su regole condivise.

L’ENERGIA INCERTA

Nel giro di pochi mesi il mondo dell’energia e delle sue declinazioni settoriali ha osservato un imprevisto e imprevedibile tsunami. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha segnato un punto di discontinuità nelle politiche energetico-climatiche americane (più fossili, meno rinnovabili) e mondiali capovolgendone la narrazione dominante, il politicamente corretto, sostenendo per altro quel che in cuor loro molti condividevano senza il coraggio di affermarlo: l’impossibilità a cancellare le fonti fossili in tempi brevi a vantaggio delle rinnovabili; la necessità di sostenere ad ogni costo la transizione energetica, definita come ‘follia’ dal segretario all’energia americano Chris Wright, che ha anche sostenuto che il riscaldamento non è un problema grazie alla scoperta dei condizionatori! Gli annunci e i 170 Executive Order approvati da Trump dal giorno del suo insediamento, il 20 gennaio scorso, hanno accentuato l’assoluta incertezza di varia natura – politica, geopolitica, energetica, economica – che già caratterizzava la dinamica dei mercati energetici e suoi futuri scenari. Si è stimato inoltre che le decisioni di Trump possano aumentare da 2 a 4 miliardi di tonnellate le emissioni clima alteranti rispetto al percorso prima previsto. Non vi è fonte in cui le previsioni non siano comprese tra possibili deficit e possibili surplus, quel che conferma quanto le previsioni nell’energia siano labili. Un rapporto dello scorso febbra-

io dell’Oxford Institute for Energy Studies proietta per il 2025 un range di previsioni, in funzione delle decisioni di Opec Plus, comprese tra un surplus di 700.000 barili al giorno, con conseguente ulteriore depressione dei prezzi, e un deficit di oltre 200.000 barili al giorno. Previsioni che non scontano gli effetti dell’imposizione da parte degli Stati Uniti di tariffe e dazi sulle importazioni di petrolio e gas con impatti difficili da predeterminare, anche in ragione delle possibili ritorsioni dei paesi esportatori interessati, così come del peggioramento delle relazioni internazionali sulla crescita economica, sull’inflazione, e sull’allentamen-

GLI ANNUNCI E I 170 EXECUTIVE

ORDER

APPROVATI

DA TRUMP DAL GIORNO DEL SUO INSEDIAMENTO, IL 20 GENNAIO SCORSO, HANNO ACCENTUATO L’ASSOLUTA INCERTEZZA DI VARIA NATURA – POLITICA, GEOPOLITICA, ENERGETICA, ECONOMICA – CHE GIÀ

CARATTERIZZAVA LA DINAMICA

DEI MERCATI ENERGETICI E SUOI FUTURI SCENARI

to delle politiche monetarie (tassi interesse) che condizionano la domanda. Il protezionismo di Trump non potrà che riverberarsi sulla crescita economica e quindi sul sistema energetico mondiale riducendo i prezzi. Quelli del Brent dated sono crollati di 10 dollari al barile a 65 dollari nel giro dei primi quattro giorni di aprile. Agli incerti effetti delle politiche nazionali deve poi aggiungersi il crescente prevalere – anche in relazioni agli esiti elettorali europei –di un maggior senso di realismo sugli obiettivi, costi, tempi della transizione energetica rispetto all’ottimismo post Accordo di Parigi. Tutto questo ha portato al fatto, aspetto dirimente, che il clima sia un tema sempre meno prioritario nell’agenda dei governi, rispetto ad altre questioni. Pensiamo al piano proposto per una difesa comune europea dalla Commissione, col venir meno dell’ombrello protettivo americano, per un ammontare di 800 miliardi di euro fuori dal patto di stabilità. Quel che non era accaduto per le politiche climatiche. L’incertezza disincentiva gli investimenti in tutto lo spettro delle fonti e delle infrastrutture. A tale riguardo non può che amaramente sorprendere la recente dichiarazione del direttore esecutivo dell’Agenzia di Parigi, Faith Birol, sulla necessità di riprendere da subito gli investimenti negli idrocarburi ("There is a need for oil and gas upstream investments, full stop”), dopo aver sostenuto per anni esattamente il contrario, contribuendo non poco alla crisi di offerta del gas nel 2021 facendone balzare verso l’alto i prezzi ancor prima della crisi ucraina. Checché se ne dica, l’energia resta fattore primario centrale dell’economia mondiale e al suo interno le fonti fossili restano imprescindibili ancora per un lungo tempo. Della transizione

PENSIAMO AL PIANO PROPOSTO PER UNA DIFESA COMUNE

EUROPEA DALLA COMMISSIONE, COL VENIR MENO DELL’OMBRELLO PROTETTIVO

AMERICANO, PER UN AMMONTARE DI 800 MILIARDI

DI EURO FUORI DAL PATTO DI STABILITÀ. QUEL CHE NON ERA ACCADUTO PER LE POLITICHE CLIMATICHE

energetica non vi è evidenza anche perché le fonti rinnovabili, pur essenziali, sono additive e non sostitutive di quelle fossili. Nel 2024 vi è stato un loro nuovo record, così come accaduto per le fonti fossili, con l’amaro risultato che l’innalzamento della temperatura di 1,5°C è stato ufficialmente superato nel 2024. È necessario adottare in Europa una strategia di decarbonizzazione più moderata e di più lungo termine evitando di mettere fuori gioco l’economia o interi settori industriali, ad iniziare da quello automotive, addossandole extra-costi non sopportati da altri paesi.

DEI PAESI DEL GOLFO… E NON È SOLO ENERGIA

Il sistema internazionale è profondamente cambiato nel corso degli ultimi anni e questa trasformazione, iniziata alla fine del ventesimo secolo, proseguirà anche nei prossimi anni. Il mondo, infatti, sta assistendo ad un’accelerazione geopolitica e geoeconomica che difficilmente sarebbe stato possibile prevedere soltanto poco tempo fa. Una parte consistente di questo riassetto riguarda alcuni paesi collocati in quel gruppo eterogeneo e complesso di stati chiamato Global South, che stanno emergendo quali nuovi protagonisti della politica internazionale al pari delle grandi potenze mondiali. Tra questi, indubbiamente, un ruolo di primaria importanza è oggi rivestito dalle monarchie del Golfo, in particolare Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar. Collocati al vertice del gruppo dei grandi produttori di idrocarburi, questi paesi hanno a lungo potuto sfruttare le rendite derivanti dal mercato mondiale di petrolio

QUESTI PAESI HANNO A

e gas per investire in un processo di modernizzazione e innovazione, diventando dei grandi attori non solo sul piano energetico, ma anche a livello economico, politico e diplomatico. In questo contesto, i tre paesi, seppur con modalità differenti, hanno avviato approcci simili e ambiziose strategie di politica estera.

Indubbiamente, tra i paesi del Golfo e tutto il Medio Oriente, l’Arabia Saudita spicca per importanza economica, politica, storica e religiosa, essendo contemporaneamente la sede dei principali luoghi di culto della religione islamica, ma anche il principale produttore di petrolio al mondo, oltre che un’economia in grande espansione e crescita. Ma il regno saudita spicca negli ultimi tempi anche come un paese sempre più attivo e dinamico, in molti settori: dal punto di vista sociale, con un ambizioso processo di modernizzazione e apertura verso l’estero in atto; a livello culturale, per esempio attraverso l’apertura di numerosi musei nei prossimi anni e l’apertura del paese alle grandi rotte turistiche internazionali, oppure, infine, come nuovo protagonista anche nel mondo dello sport, con grandi eventi e manifestazioni internazionali, dalle gare automobilistiche, al calcio, al tennis. In linea con la Saudi Vision 2030, attraverso iniziative come la Saudi Green Initiative e il progetto NEOM, ha anche avviato una strategia di investimento nel settore non petrolifero, nelle energie rinnovabili, nella finanza, nel turismo, nell’industria manifatturiera, nelle nuove tecnologie. Al contempo, Riyadh gioca un ruolo chiave nell’implementazione dell’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC) – iniziativa multilaterale che si pone in via alternativa e complementare alla Belt and Road Initiative (BRI) –, strategia, questa, che le permetterebbe di rafforzare i legami con l’Occidente e bilanciare l’influenza cinese nell’attuale supply chain globale. Al contempo, gli Emirati Arabi Uniti da anni perseguono un’ambiziosa agenda di politica economica ed estera, anche sfruttando l’occasione offerta dall’EXPO, con Dubai diventata ormai uno degli hub finanziari più importanti al mondo. In linea con queste ambizioni, hanno avviato una strategia di diversificazione energetica rivolta anche

all’Africa. Tra l’altro, gli investimenti emiratini nel continente africano hanno raggiunto, tra il 2019 e il 2023, i 110 miliardi di dollari, posizionandoli tra i principali partner economici del continente. Inoltre, le compagnie emiratine DP World e AD Ports controllano numerose infrastrutture portuali africane, mentre i fondi Mubadala e Dubai Investment Fund gestiscono vari asset minerari. Nel settore energetico, poi, Masdar e AMEA Power hanno investito 72 miliardi di dollari nelle rinnovabili. Inoltre, la costruzione dei cavi sottomarini Africa-1 e 2Africa potrebbe rendere gli EAU un hub digitale globale. Anche il Qatar – nonostante abbia ampliato le capacità produttive del giacimento North Field West inerente alla produzione di GNL (sino a 142 miloni di tonnellate annue entro il 2030) – ha attuato una strategia di diversificazione economica. Doha, infatti, ha lanciato nel gennaio 2024 la terza fase della National Development Strategy, volta a promuovere la crescita del settore non oil&gas al 4% annuo entro il 2030, attraverso incentivi agli investimenti esteri, lo sviluppo del settore privato e la digitalizzazione delle infrastrutture. Parallelamente al loro rafforzamento sul piano economico e finanziario, è andato affermandosi anche il crescente ruolo politico e diplomatico delle monarchie del Golfo, supportato non solo dalla forza degli investimenti finanziari ma anche da una politica estera protagonista in molti fora multilaterali e nell’arena internazionale. Arabia Saudita e Qatar, infatti, sono emersi come principali mediatori sia nel conflitto russo-ucraino che in quello israelo-palestinese. Nello specifico, l’Arabia Saudita – dopo aver ospitato nell’agosto 2023 un vertice a Gedda con oltre 30 paesi, tra cui Stati Uniti, Unione Europea, Cina e India, per promuovere il dialogo sulla pace – ha promosso, a partire dal marzo 2025, una serie di colloqui tra Federazione Russa, Ucraina e Stati Uniti, con l’obiettivo di negoziare un cessate il fuoco. Insieme agli Emirati era anche stata già protagonista di una serie di iniziative per favorire lo scambio di prigionieri tra le parti in guerra. Questi sforzi dimostrano come Riyadh

I PAESI DEL GOLFO QUINDI, AL DI LÀ DELLA LORO IMPORTANZA

NEL SETTORE ENERGETICO, HANNO SAPUTO DARE VITA

NEL

TEMPO A STRATEGIE DI AFFERMAZIONE NEL PANORAMA

INTERNAZIONALE, PUNTANDO

SULLA LORO SOLIDITÀ ECONOMICA E LA STABILITÀ

POLITICA, GARANTITA ANCHE DA LEADERSHIP SOLIDE E AMBIZIOSE, PROMUOVENDO I PROPRI INTERESSI STRATEGICI

ED ECONOMICI

CON DETERMINAZIONE

stia consolidando la sua posizione di mediatore globale, rafforzando la propria autonomia geopolitica senza rinunciare ai suoi legami strategici e rafforzandone anche il ruolo, quale nuovo centro della diplomazia internazionale.

Il Qatar, invece, è stato protagonista, il 15 gennaio 2025, del raggiungimento di un cessate il fuoco della durata di 42 giorni tra Israele e Hamas. Facilitando l’implementazione di un protocollo umanitario, Doha si è garantita un ruolo di primo piano in tale scenario. Ruolo rivestito anche in altre importanti vicende, dall’Afghanistan in passato alla Siria, in tempi più recenti.

I paesi del Golfo quindi, al di là della loro importanza nel settore energetico, hanno saputo dare vita nel tempo a strategie di affermazione nel panorama internazionale, puntando sulla loro solidità economica e la stabilità politica, garantita anche da leadership solide e ambiziose, promuovendo i propri interessi strategici ed economici con determinazione. Diventando così partner fondamentali per tutti i grandi player mondiali non più solo in ambito energetico. Un ruolo che certamente continueranno a svolgere anche nei prossimi anni.

IL MEDITERRANEO E LE TENSIONI GEOPOLITICHE CONTEMPORANEE

Per buona parte della sua storia, il Mediterraneo è stato uno spazio geopolitico conteso dalle potenze che vi si affacciavano o vi entravano. La poesia ci ha tramandato la memoria delle vicende che portarono alla distruzione di Troia. Da Erodoto, invece, abbiamo appreso come le città greche respinsero le invasioni persiane. Tucidide ci ha rivelato la durezza della Guerra del Peloponneso. Poi venne l’ascesa di Roma, la cui consacrazione giunse con la vittoria riportata su Cartagine al termine di tre aspri conflitti. Le guerre puniche, che oggi declasseremmo a scontri regionali, furono guerre mondiali a tutti gli effetti, condizionando decisivamente l’evoluzione della nostra civiltà. Il Mediterraneo era già nell’antichità una via di comunicazione estremamente importante, di cui doveva essere garantita la sicurezza ed acquisito il controllo. Soltanto i romani, tuttavia, riuscirono davvero ad unificarlo, stabilendo il loro saldo dominio su tutte le sue rive, al netto

IL MEDITERRANEO ERA

del persistente problema della pirateria, di cui fu vittima persino un giovane Giulio Cesare. A parte questa eccezione circoscritta nel tempo, e ben prima di diventare l’Oceano di Mezzo attuale, il Mediterraneo è sempre stato un teatro di competizione. È divenuto anche una linea di faglia tra civilizzazioni in contrasto. Da tredici secoli, infatti, passa attraverso il Mare Nostrum il confine che separa il mondo della laicità cristiana dalla Casa dell’Islam.

Di questa complessità occorre esser consapevoli anche nell’analisi geopolitica contemporanea, dal momento che spesso si riflette nella mitologia di cui si nutre la politica. Nello spazio mediterraneo, infatti, sopravvivono ancora i sostenitori dei “diritti storici”, che non di rado vantano significative capacità di mobilitazione nei confronti delle proprie società, purtroppo a volte meno sensibili alla tutela dei diritti individuali. Francis Fukuyama ha prevalso soltanto sulla sponda settentrionale del Mare Nostrum, mentre è la visione di Samuel Huntington ad essersi imposta sul resto. Anche oggi il Mediterraneo è mare di commerci e di tensioni. È una delle vie d’acqua più intensamente percorse lungo gli assi Est-Ovest e Nord-Sud. Dall’apertura del Canale di Suez, il Mediterraneo congiunge l’Oceano Indiano all’Atlantico. È la strada più breve tra il Medio Oriente, l’Europa e gli Stati Uniti. Non stupiscono quindi né l’attenzione che viene riservata dalle maggiori cancellerie a quanto vi acca-

de né il fatto che nelle sue acque vi operino le Marine Militari delle principali potenze mondiali. Le condizioni di sicurezza del bacino dipendono conseguentemente tanto dagli equilibri globali quanto da quelli regionali e locali. Giacciono nel Mediterraneo i confini meridionali e sud-orientali dell’Alleanza Atlantica, fatto che assieme alla presenza d’Israele spiega perché vi operi la US Navy: è la Marina americana ad aver svolto finora la funzione di collante, integrando con le proprie le capacità degli Stati alleati inclusa l’Italia, la cui difesa anti-aerea è in parte assicurata dai sistemi imbarcati sui cacciatorpediniere americani. Per ragioni speculari e simmetriche, il Mediterraneo interessa ovviamente anche agli avversari dell’Occidente geopolitico: sono visibili, seppure in modo differente, russi e cinesi, che tutelano i propri clienti nel bacino e sono alla permanente ricerca di modi per acquisire informazioni e minacciare linee di comunicazione che non sono più solo superficiali, ma ormai si stendono anche sui fondali. La contesa, che è parte della partita per la supremazia mondiale, è quindi ormai tridimensionale, poiché coinvolge non soltanto la superficie del nostro mare e quanto la sovrasta, ma anche la dimensione subacquea. Non può quindi esistere alcuna sicurezza mediterranea che possa prescindere da una più generale distensione tra le maggiori potenze del pianeta.

IL MEDITERRANEO È PARTE

DELLA PARTITA PER LA SUPREMAZIA MONDIALE, ED È ORMAI TRIDIMENSIONALE, POICHÉ COINVOLGE NON

SOLTANTO LA SUPERFICIE

DEL NOSTRO MARE E QUANTO LA SOVRASTA, MA ANCHE LA DIMENSIONE SUBACQUEA. NON PUÒ QUINDI ESISTERE ALCUNA SICUREZZA MEDITERRANEA

SENZA UNA PIÙ GENERALE

DISTENSIONE TRA LE MAGGIORI

POTENZE DEL PIANETA

DOVE STA ANDANDO L’AMERICA?

Quando Donald Trump promise aumenti dei dazi “come non si erano mai visti prima”, non stava usando un’altra delle sue iperboli. Con il “Liberation Day” del 2 aprile ha inferto ai commerci globali quello che il Premio Nobel per l’economia Paul Krugman ha chiamato, “il più grande shock della storia”. Ma questa è l’unica certezza. Da allora regna il caos un po’ dappertutto, non solo nell’economia ma anche nelle relazioni internazionali. Con un colpo solo, Trump ha distrutto il sistema della reciprocità dei dazi che era in piedi da novanta anni, dopo la disastrosa incursione nel protezionismo degli anni ‘30. Imponendo dazi non tatticamente, ma in modo universale con qualche eccezione, Trump ha anche minacciato, se non sconvolto, alleanze politiche consolidate dal dopoguerra, per esempio, con il paese amico del Canada o l’Unione Europea. Sono molte le domande che il mondo si sta ponendo sull’eventuale impatto di queste politiche. Qui ne vorrei discutere una: Stiamo entrando in un nuovo ordine mondiale? In altre parole, stiamo passando dal neoliberalismo al mercantilismo, o ad un sistema di egemonia del potere?

l’intellettuale marxista Perry Anderson, che più al centro con Gillian Tett, rettore del King’s College a Cambridge. Ma forse – almeno in questa fase – più che cercare risposte economiche può soccorrerci un concetto politico (lo ha coniato Antonio Gramsci) quello dell’interregno: un periodo in cui il vecchio muore ma il nuovo non può ancora nascere. La gestazione di un nuovo ordine mondiale è per ora confusa, ma il profilo di cosa sarà si sta già delineando perché è stato ampiamente annunciato da tempo. Il suo carattere ha una logica pur nell’incoerenza di molte politiche, con buona pace di chi vede Trump come un improvvisatore senza altra visione che il suo tornaconto e il suo potere. I riferimenti programmatici sono nel Mar-a-Lago Accord e nel Project 2025, e anche dubitando dell’e-

L’incertezza regna così suprema che non abbiamo trovato una risposta precisa a questa domanda sia a sinistra, con

sistenza del primo o dell’influenza del secondo sul pensiero di Trump, ne possiamo dedurre un’idea conservatrice di intervento strutturale nel mercato globale per riaffermare l’egemonia del potere statunitense in due modi. Il primo è riportare a casa l’industria manifatturiera tramite dazi punitivi alle imprese che spostano altrove la produzione per risparmiare sui costi. È un’idea che Trump sostiene con entusiasmo dagli anni ‘80, quando il suo uomo nero, ma anche degli USA, era un Giappone in ascesa. Su questo punto sono d’accordo soprattutto alcuni sindacati come quello degli autotrasportatori, e in modo diverso anche il sindacato dell’auto. Una nuova generazione di repubblicani, da J.D. Vance a Marco Rubio, e incluso l’economista Oren Cass, si propone di rompere il legame storico tra sindacati e democratici promettendo la partecipazione dei lavoratori, senza diritto di voto ovviamente, ai Consigli di amministrazione delle imprese. L’ asso nella manica di questi repubblicani pro-labor, ovviamente, è il blocco dell’immigrazione, ovvero la contrazione della forza lavoro, per favorire il mantenimento dei salariali a livelli più alti.

IL PIANO DI UN NUOVO

MONDIALE SEMBRA

MA NON

È.

Trump e la sua amministrazione non si accontentano dell’esistente egemonia statunitense, fondata sull’effettivo dominio militare, economico, finanziario e politico. Gillian Tett suggerisce che Trump intende ristrutturare l’ordine globale e trasformarlo in un sistema non basato su regole, onore e reputazione, ma su tributi alla sua persona, un nuovo principe. Da qui la contrattazione bilaterale con gli altri paesi, con l’intenzione di trarne tutti i possibili vantaggi. L’imprevedibilità di alcune decisioni, inclusa quella sul calendario delle contrattazioni, è intenzionale. Trump la considera un vantaggio, perché lo aiuta a spiazzare gli avversari e a spaventarli, con il possibile risultato della sottomissione. A questo scopo sono permessi altri mezzi di ricatto, non solo i dazi, come nel caso del Giappone, dove la minaccia di dazi e ritiro della protezione militare permetteranno a Trump di esigere qualsiasi concessione. Il piano di un nuovo ordine mondiale sembra solo caotico, ma non lo è. Esistono alcune incoerenze dovute alle diverse anime del trumpismo, includendo l’ala populista di Bannon, quella tecnocratica liberista di Musk, e quella istituzionale conservatrice del Congresso, ma per il momento si muovono tutte nella stessa direzione. Neanche i segnali di una incombente recessione, alcuni piuttosto forti come il ritorno delle borse ad un bear market e l’aumento dell’inflazione, sono riusciti a dirottare l’amministrazione Trump da una linea seguita con determinazione. Eppure, il consenso degli economisti è che le politiche inaugurate con tanto entusiasmo per ridurre il debito e aumentare la crescita economica non possono strutturalmente avere successo. Anzi, otterranno l’effetto contrario se non verranno bloccate o cambiate. È per questo che l’analogia storica con gli anni ‘30, quando il ritorno a politiche protezionistiche ebbe risultati catastrofici per il mondo, è l’incubo che ci tiene svegli la notte.

LIBERISTA DI MUSK, E QUELLA

"BASTA CON L’AMBIENTALISMO DA SALOTTO"

Il nuovo piano d’azione per l’au tomotive UE ha suscitato rea zioni contrastanti. C’è chi ci ha visto segnali positivi, chi inve ce lo ha bocciato perché non c’è la neutralità tecnologica. Lei che idea si è fatto?

Non possiamo accettare un piano europeo che continua a spingere solo sull’elettrico, ignoran do completamente il principio della neutrali tà tecnologica. Così facendo, la Commissione UE dimostra ancora una volta di inseguire un approccio ideologico e miope, che rischia di distruggere un intero settore strategico per l’economia italiana ed europea, come quello dell’automotive. Una transizione sostenibile è possibile, ma deve essere realistica e compatibile con il tessuto produttivo. Non si può imporre dall’alto un solo modello, senza tenere conto delle alternative tecnologiche disponibili, come i biocarburanti o l’idrogeno, che potrebbero garantire minori emissioni e maggiore competitività. Serve buon senso: proteggere ambiente e posti di lavoro può e deve andare di pari passo. L’Europa deve sostenere l’innovazione, non soffocarla con regolamenti ideologici.

e favorisce i concorrenti extra-UE. Siamo convinti che non si possa fare una vera transizione senza coinvolgere tutti i comparti produttivi, specialmente quelli che hanno il know-how per innovare. Serve un’Europa che valorizzi le sue filiere industriali, non che le lasci indietro in nome di un ambientalismo da salotto.

Si è anche fatta strada l’idea di riconvertire parte dell’industria automotive per produrre armamenti. È un’idea che va presa sul serio?

Il piano ha spalmato le multe su tre anni, lasciando però fermo il phase-out dei motori ICE al 2035. È dunque una scelta irreversibile?

Assolutamente no, non è affatto una scelta irreversibile. É una forzatura ideologica imposta da Bruxelles, ma non è scolpito nella pietra, lavoreremo in Commissione ed in ogni apparato possibile per far sì che questa imposizione venga eliminata. Le condizioni economiche, le tecnologie disponibili e – soprattutto – la volontà politica possono cambiare, e devono cambiare. Non si possono mettere a rischio milioni di posti di lavoro, l’intero indotto automobilistico e l’accessibilità alla mobilità per tante famiglie. L’aver spalmato le multe su tre anni è solo un piccolo respiro, un’ammissione implicita che il piano è irrealistico. Ma se davvero si vuole aiutare il settore, bisogna riaprire il confronto sulla scadenza del 2035 e rimettere al centro la neutralità tecnologica, senza criminalizzare i motori termici che – con l’innovazione italiana – possono ancora dare molto in termini di sostenibilità. Per noi non solo è reversibile: va cambiata.

I principali produttori europei di carburanti hanno chiesto l’inclusione nel Clean Industrial Deal della raffinazione, lasciata fuori, in quanto settore strategico ai fini della transizione. L’ennesima dimenticanza?

Sì, è l’ennesima dimenticanza, ma purtroppo non sorprende. Questo è proprio il problema di un'Unione Europea che continua a pianificare la transizione ecologica a tavolino, senza ascoltare davvero chi produce, investe e dà lavoro. Escludere un settore come questo, che può contribuire attivamente alla decarbonizzazione attraverso innovazione e nuovi carburanti a basse emissioni, è una scelta miope che penalizza le imprese europee

La priorità è tutelare l’industria italiana, i posti di lavoro e la sovranità nazionale, sia economica che strategica. L’idea di riconvertire parte dell’industria automotive per produrre armamenti non può essere una scorciatoia per giustificare il declino forzato del nostro settore automobilistico, causato da politiche europee sbagliate e ideologiche. Se l’automotive è in difficoltà, la risposta non può essere: “va bene così, tanto lo riconvertiamo alla difesa”. Questa è una visione pericolosa e miope. Detto ciò, rafforzare le nostre capacità industriali nel settore della difesa, in un contesto geopolitico sempre più instabile, è un tema serio. Ma va affrontato con equilibrio e strategia, non come rimpiazzo di comparti produttivi sacrificati sull’altare della transizione verde. Per noi, prima viene il rilancio della manifattura italiana, compresa l’automotive. Se poi ci sono aziende che vogliono contribuire anche alla produzione per la difesa, devono poterlo fare, ma come scelta e non come ripiego. Diciamo no alla dismissione programmata dell’automotive, sì a una strategia industriale seria che tuteli le competenze e la forza produttiva dell’Italia in tutti i settori.

Dopo anni di austerità la Germania ha deciso di poter derogare al tetto per l’indebitamento per spese militari e di difesa. Cosa ne pensa? È l'ennesima dimostrazione di un'Europa a doppia velocità, dove si applicano due pesi e due misure. La Germania, guidata dal cancelliere Friedrich Merz, ha ottenuto una deroga al tetto di indebitamento per finanziare spese militari e di difesa, con il sostegno di Verdi e SPD. Nel frattempo, la Commissione Europea, sempre solerte nell'aprire procedure d'infrazione contro l'Italia per qualche decimale di deficit, rimane in silenzio di fronte a questa mossa tedesca. È evidente che esistono figli e figliastri in Europa: quando si tratta di difendere gli interessi dei soliti noti, si chiudono entrambi gli occhi; quando invece l'Italia chiede flessibilità per investimenti strategici o per sostenere la crescita, scattano subito i richiami e le minacce di sanzioni. Non si può accettare questo trattamento discriminatorio. Se si concedono deroghe per spese militari, perché non dovrebbero essere concesse per investimenti in infrastrutture, sanità o sostegno alle famiglie italiane? È ora di dire basta a questa Europa dei due pesi e due misure.

“SENZA MANIFATTURA L’EUROPA RISCHIA IL TOTALE DECLINO”

Lei recentemente ha det to che è importante ave re un portafoglio diver sificato di tecnologie per produrre energia. Ma l’Europa su energia e clima di fatto ne ha esclu se alcune. Cosa ne pensa?

Vi è stato un eccesso di ideologia sul Green Deal. Una volta fissati i target di decarbo nizzazione da parte della Commissione europea sarebbe stato meglio, a mio parere, lasciare libere le imprese di arrivarvi con le tecnologie e i mezzi ritenuti più adeguati. Si è spinto molto sulla elettrificazione, pure importantissima, escludendo però altri tipi di tecnologie, come i biocarburanti, gli efuels, il nucleare, che invece possono essere molto utili.

rivare a un pieno disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità dal prezzo del gas che è soggetto a speculazioni finanziarie che lo rendono estremamente volatile. Bisogna inoltre abbassare le tasse sull’elettricità, rimuovere le componenti di costo non energetiche dalle bollette e accelerare l’espansione e la modernizzazione delle reti energetiche.

Tema governance istituzionale. In che modo l’Europa può rendere la sua azione più incisiva e tempestiva?

Crede che il Piano d’azione presentato recentemente dalla presidente von der Leyen possa aiutare a salvaguardare e rilanciare il settore automotive in profonda crisi?

Il Piano presentato dalla von der Leyen è positivo. Sono previste misure per la produzione di batterie elettriche in Europa, per incentivare l’acquisto dell’elettrico, e interventi per controbilanciare le pratiche commerciali sleali. Non si spostano le scadenze per lo stop ai motori a combustione per dare certezza alle imprese, ma si rilancia il principio della neutralità tecnologica. Sulle sanzioni, non c’è ancora una decisione definitiva della Commissione e personalmente penso che sarebbe meglio avere un approccio flessibile, vista la crisi del settore e i dazi messi da Trump.

Lei ha anche detto che il Clean Industrial Deal è una novità enorme per la manifattura italiana ed europea. Cosa intendeva?

L’Ursula bis ha adottato un approccio più attento alle esigenze del mondo produttivo. Il Clean Industrial Deal sposta l’asse da un’Europa dei consumatori a un’Europa dei produttori e prova a ridurre il gap di competitività con Usa e Cina. Come suggerisce Draghi nel suo Rapporto. Insieme alle misure previste dal “pacchetto omnibus”, di drastica semplificazione, si indica una direzione molto promettente. Finalmente la Commissione ha capito che senza manifattura l’Europa rischia il totale declino.

Cosa servirebbe per abbassare i costi dell’energia che in Italia sono i più alti d’Europa?

I prezzi dell’energia sono così diversificati perché non abbiamo ancora un mercato unico dell’energia. Occorre ar-

La velocità dell’azione politica sta diventando un fattore rilevantissimo. Pensiamo al fatto che Trump dopo soli quattro giorni dall’insediamento ha sfornato 100 ordini esecutivi, mentre le istituzioni europee ci hanno messo sei mesi solo per arrivare ad eleggere la nuova Commissione. Il potere di veto degli Stati è una sciagura, dubito tuttavia che oggi ci sia la volontà politica per cambiare ciò.

Come valuta il rinato interesse europeo e italiano per il nucleare?

Il discorso sul nucleare va affrontato senza pregiudizi e con pragmatismo. Il referendum del 1987 ha bocciato questa tecnologia sull’onda dell’emozione provocata dai terribili fatti di Chernobyl. Oggi scontiamo dunque un ritardo notevole. Io sono a favore del nucleare. Usando tecnologie nuove si può produrre energia pulita e sicura. Nonostante non sia un obiettivo realizzabile velocemente, penso che sia una strada da percorrere, come ha fatto la Francia.

Ultima domanda. Condivide il piano di riarmo europeo e le modalità con cui dovrebbe essere finanziato?

Ho votato convintamente a favore del Piano di difesa comune proposta dalla von der Leyen, a fronte di uno scenario geopolitico completamente cambiato.

La UE non è ancora un soggetto politico perché ha “esternalizzato” la difesa per oltre 70 anni. Oggi dobbiamo recuperare e arrivare a una democrazia europea compiuta, che vuol dire non solo mercato unico ma anche difesa comune. Il Piano RearmEU è un primo tassello verso questo obiettivo. Partiamo con i paesi che ci stanno, così come abbiamo fatto con l’euro e con Schengen, e piano piano arriveranno gli altri. Dire di no a questo primo passo avrebbe voluto dire ammazzare l’embrione della difesa comune. Degli 800 miliardi annunciati, 150 arriveranno dal debito comune europeo. È già qualcosa.

“SUL NUCLEARE IL GOVERNO BUTTA LA PALLA IN TRIBUNA”

Il momento è particolarmen te delicato sia per l’Italia che l’Europa. Cosa la preoccupa di più?

Il fatto che i toni e i contenuti della comu nicazione dell’amministrazione Trump somiglino pericolosamente a quelli del Cremlino. Nella storia non era mai acca duta una convergenza simile.

Ci sono settori industriali che ri schiano di sparire eppure l’Europa non sembra intenzionata a cambiare le politiche degli ultimi anni. Perché tanta ostinazione?

L’energia resta l’elemento cruciale ai fini delle competitività di un Paese e l’Italia da questo punto di vista è messa peggio di altri.

Si è tornati a parlare di nucleare che non sarà certo disponibile domani. Cosa si può fare nel frattempo?

A furia di dire che tanto il nucleare sarà disponibile solo nel lungo periodo, non inizieremo mai a farlo.

In parte per la deriva ideologica che ha investito gran parte dei discorsi relativi al cambiamento climatico. Che nessuno intende negare o minimizzare, su questo va fatta estrema chiarezza. Ma pensare che la mera logica del divieto avrebbe portato ad una transizione liscia è stato un errore madornale. È mancata tutta la parte di aggiustamento sistemico, di accompagnamento alla necessaria transizione.

L’Europa nel 2024 è cresciuta ad un tasso che è circa un quarto di quello degli Stati Uniti e un quinto della Cina. La Germania ha chiuso con un segno negativo e l’Italia e la Francia non sono arrivate all’1%. E le attese per il 2025 non è che siano tanto migliori. Cosa sta succedendo?

Purtroppo, niente di particolarmente nuovo. Sono un paio di decenni che l’Europa – appesantita da regole e mancanza di integrazione – cresce meno degli USA. E sono 30 anni che l’Italia è, al netto di due o tre isolotti oceanici, il paese che cresce meno al mondo. La novità forse è la Germania, colpita duro dalla crisi dell’automotive, ma anche dal venir meno del gas russo a basso costo. Se non si cambia rotta in fretta l’Europa rischia di essere irrilevante, e l’Italia di diventare un museo.

Su quali leve bisognerebbe agire per evitare che la ri-nazionalizzazione delle politiche economiche osservata in tutto il mondo minacci anche l’Europa decretandone di fatto la fine?

Accelerando il più possibile la ratifica dell’accordo di libero scambio con il Sud America, e concludendo in fretta altri accordi, penso a quello con l’India ma non solo. La risposta migliore alla chiusura è sempre l’apertura. E il libero commercio è quasi sempre la soluzione.

Anche il disegno di legge delega del governo non fa altro che buttare la palla in tribuna. Noi del partito liberaldemocratico invece diciamo nucleare subito, con la tecnologia attualmente disponibile. Misure di breve periodo utili sono le gare per le concessioni, il favorire i contratti a lungo termine e una riforma dei meccanismi di formazione del prezzo spot.

Le tensioni geopolitiche rischiano di minare la tenuta della cooperazione globale. C’è il rischio che ad un rinato “nazionalismo energetico” possa affiancarsi anche un “nazionalismo climatico” dagli effetti imprevedibili?

Il nazionalismo climatico è un ossimoro. L’unico modo possibile per affrontare il cambiamento climatico è la cooperazione a livello mondiale. Penso che l’Europa abbia imparato la lezione: se un’area responsabile del 9% delle emissioni di CO₂ parte da sola con le limitazioni senza assicurarsi che gli altri seguano, oltre al danno (la non riduzione delle emissioni globali) arriva la beffa (la perdita di posti di lavoro e imprese).

Ultima domanda. Condivide il piano di riarmo europeo e le modalità con cui dovrebbe essere finanziato?

Chi sogna domattina l’esercito europeo non sa di cosa parla. Nelle democrazie l’esercito unico risponde ad un’unica – e pienamente legittimata dal punto di vista democratico – autorità politica. Che in Europa se va bene avremo tra 50 anni. Poiché abbiamo, purtroppo, esigenze più immediate, va bene finanziare le difese nazionali ma iniziando un necessario e non breve percorso di unificazione delle forniture e delle filiere industriali dell’industria della difesa. Per iniziare almeno, anche qui come sul nucleare, il percorso che ci porterà ad avere quello di cui abbiamo davvero bisogno.

IL TOUR D'EUROPE PER FAR SCOPRIRE I CARBURANTI RINNOVABILI

La catena di valore dell'industria automobilistica europea ha iniziato il Tour d’Europe, un viaggio di auto e camion sulle strade europee per dimostrare il potenziale dei carburanti rinnovabili ai fini della decarbonizzazione dei trasporti e della neutralità climatica.

Il Tour, che da marzo sta attraversando l’Europa da nord a sud e da ovest a est, è l’occasione per mostrare ai cittadini e ai policy makers di tutta la UE le potenzialità di questi prodotti che, insieme ad altre tecnologie come l'elettrificazione e l'idrogeno, offrono un approccio flessibile e tecnologicamente neutro per la decarbonizzazione del trasporto stradale. Prodotti che possono essere impiegati sui veicoli esistenti e che stanno già producendo risultati misurabili in termini di riduzione delle emissioni di gas serra (GHG). Durante il Tour d'Europe i veicoli leggeri e pesanti alimentati con questi carburanti, messi a disposizione dai principali carmakers, si fermano a fare rifornimento in di-

verse città, con una serie di eventi collegati, come visite a bioraffinerie e ad impianti, convegni e altre iniziative sul territorio per dialogare con gli stakeholder locali sull'importanza di ridurre le emissioni dei trasporti e mitigare insieme i cambiamenti climatici.

Il viaggio si concluderà il 23 giugno a Bruxelles alla presenza dei rappresentanti delle istituzioni europee, cui verrà presentato un rapporto finale, con l’auspicio che l’Europa prenda in considerazione la revisione del metodo di calcolo delle emissioni, basandolo sul ciclo di vita, e includa i carburanti rinnovabili tra quelli ammessi dopo il 2035.

Il Tour d'Europe riunisce aziende, associazioni e istituzioni di tutta la catena del valore del settore automobilistico e dei carburanti, tra cui: AVIA, BMW, Bosch, Collective du Bioéthanol, DAF Trucks, Daimler Truck, EBB, Enilive, EWABA, Eurogas, ePURE, TJA, FuelsEurope, Hyundai, IRU, Moeve, Neste, PRIO, Repsol, Transportes Aguieira, University Darmstadt, University Karlsruhe, VDA.

DATI SU: QUADRO PETROLIFERO

E PROSPETTIVE

I CONSUMI DI CARBURANTE IN EUROPA

2024: benzina in crescita in Italia grazie al 35% di auto ibride immatricolate

Nel 2024 si è assistito ad un rapido declino delle vendite di gasolio autotrazione in tutti i paesi europei. La benzina cresce grazie allo sviluppo delle auto ibride, arrivate a coprire ci rca i l 35% del le nuove immatricolazioni.

L’Italia è l’unico Paese europeo, oltre a Spagna e Grecia, che nel 2024 ha mostrato un segno positivo sia per la benzina (+5,3% rispetto al 2023), che per il gasolio (+1%).

Tendenza opposta in Nord Europa, dove Paesi come Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca che hanno evidenziato cali cumulati (benzina+gasolio) tra il 3 e il 10%.

IMMATRICOLAZIONI BEV IN EUROPA

Nel 2024 le auto elettriche (BEV) in Italia hanno coperto il 4,2% delle nuove immatricolazioni, un valore di poco inferiore a quello di Spagna e Grecia. La distanza si allarga via via che ci si sposta verso il Nord Europa, con quote che vanno dal 19-20% di Francia e Germania, fino a quasi il 90% della Norvegia, passando per il 35-50% di Svezia, Olanda e Danimarca. Diverso il discorso nel caso delle auto ibride che crescono in maniera più uniforme, con un prevalenza però nei paesi del Sud Europa: Italia 40%, Grecia 42%, Francia 37%. Il valore più basso viene dalla Norvegia, intorno al 5%.

Variazione

IMMATRICOLAZIONI AUTO BENZINA E GASOLIO IN EUROPA (PESO%)

2024: ancora maggioranza di auto con motore endotermico

Fonte: UNEM su dati Acea

Nel 2024 le auto alimentate da un motore endotermico in molti paesi in Europa hanno rappresentato la maggioranza delle nuove immatricolazioni. Si va da circa il 58% in Italia, al 53% della Germania, fino al 51% di Austria e Spagna. I Paesi del Nord Europa si confermano i meno interessati a queste alimentazioni, con quote comprese tra il 20 e il 30% di Finlandia, Danimarca, Svezia e Olanda. Fanalino di coda la Norvegia con il 3%.

IL PESO USA NELL'IMPORT PETROLIFERO ITALIANO

GREGGIO PRODOTTI niti

Fonte: UNEM su dati Mase

7,6% il peso dell’import petrolifero dagli USA 5,9% il peso dell’export petrolifero verso USA

L’interscambio petrolifero tra Italia e Stati Uniti ha aumentato la sua importanza nel corso dell’ultimo decennio raggiungendo il top nel 2023 quando le importazioni di greggio dagli Stati americani, con 7,5 milioni di tonnellate importate, un vero e proprio record, hanno superato il 12% come quota sul totale importato. Nel 2024 pur rimanendo rilevante si è assistito ad un calo sia nell’import che nell’export. Oggi importiamo dagli USA greggi, propano, virgin naphta, mentre esportiamo praticamente solo benzina.

CAMBIA IL MONDO MA L’EUROPA STENTA

Negli ultimi due lustri è cambiato tutto. E con le recenti elezioni in importanti Paesi, come USA e Germania, c’è una ulteriore fortissima accelerazione verso altri cambiamenti, anche dirompenti e inimmaginabili. Oggi si parla di riarmo, i dazi sono in altalena, noi in Italia abbiamo i serbatoi del gas scarichi e sempre sull’energia, gli USA riaprono al carbone e più vicino a noi l’Olanda si interroga sulla portata della rete elettrica. Il primo trimestre del 2025 sembra portare a rivisitazioni delle scelte green, alla rottura del mercato libero e soprattutto a un piano di difesa che ci riguarda da vicino, con una corsa al riarmo dagli esiti imprevedibili e ripercussioni anche per il settore automotive. Ma cosa è successo negli ultimi due lustri in Europa, guardando entrambe le facce della medaglia?

Nel 2015 abbiamo assistito alla messa a regime del Quantitative Easing e la disponibilità di oltre 1.000 miliardi di euro di liquidità sul mercato: l’UE ha retto, il sistema finanziario è diventato più forte, tassi e inflazione sono andati a zero nel breve-medio periodo. Da un sistema bancario in crisi a uno in pieno benessere il passo è stato importante, ma ora più che mai per essere competitivi davvero oltre l’Europa, manca sempre il completamento dell’unione bancaria europea e, detto tra di noi, anche una finanza più a favore del sistema industriale, inteso nella sua accezione produttiva, a sup porto di una vera politica indu striale. Si è troppo delocalizzato e contribuito a fare della Cina la fabbrica del mondo.

Nel 2019 la scena è stata occu pata dal Green Deal con ulte riori 1.000 miliardi di euro e sul finire dell’anno il protagonista assoluto è stato il Covid-19 a cui è seguito il NextGenerationEU con altri quasi 1.000 miliardi di euro. Abbiamo superato la pandemia, vinto shock importanti che si sono palesati all’improvviso dimostrando che la UE quando vuole sa essere vincente. Non sempre

però i risultati sono stati raggiunti e molti obiettivi del Green Deal non si sono realizzati, pur avendo investito molto, finanziando tra l’altro tecnologie e produzioni estere (pannelli fotovoltaici, batterie, inverter, automotive…e pagato utopie, come il caso Northvolt insegna).

Nel mentre abbiamo preso anche atto dell’invasione della Russia nei confronti dell’Ucraina che ha portato prezzi stellari per i vettori energetici e non solo, obbligando a cambi repentini sulle forniture. E anche qui la UE è riuscita ad assorbire lo shock, seppur con differenze importanti tra Paesi, perché ancora manca una unione energetica. Sul breve abbiamo retto ma dobbiamo vedere sul lungo periodo. E ora? Siamo arrivati al ReArm EU (ribattezzato poi Readiness 2030). Una opportunità ulteriore per alcuni, una follia per altri. Alcuni costruttori automobilistici, ma anche alcuni supplier dell’auto, vedono la possibilità di convertire la sovracapacità produttiva in produzioni legate alla sicurezza che nella sostanza significa riarmo. Se VW, ad esempio, dovesse entrare nel settore “sicurezza”, potrebbe risolvere il problema della sovracapacità negli stabilimenti di Dresda e Osnabrück la cui produzione di automobili terminerà nel 2026 e nel 2027 e il cui futuro è incerto. In meno di dieci anni, tra l’altro, abbiamo visto proprio VW, il costruttore europeo di auto numero 1, passare da leader mondiale con oltre 10 milioni di veicoli prodotti ogni anno (anche dopo il Dieselgate) ad avvitarsi in una crisi esistenziale. La crisi dell’auto europea si è manifestata in tutta la sua tragicità per molti solo ora, ma va rimarcato perché c’è poca consapevolezza sul fatto che il settore automotive ha tempi di reazione molto lunghi e quello che decide un board lo si vede dopo non meno di cinque anni. Così si spiegano pure i risultati economici degli ultimi tre anni di VW e Stellantis, con relativi bonus stellari ai loro Ceo, e poi il disastro. Per anni l’industria automobilistica UE si è concentrata sul miglioramento del prodotto; poi è stata costretta

ALCUNI SUPPLIER DELL’AUTO, VEDONO LA POSSIBILITÀ DI CONVERTIRE LA SOVRACAPACITÀ PRODUTTIVA IN

PRODUZIONI LEGATE ALLA SICUREZZA

CHE NELLA SOSTANZA SIGNIFICA

RIARMO. SE VW, AD ESEMPIO, DOVESSE

ENTRARE NEL SETTORE “SICUREZZA”, POTREBBE RISOLVERE IL PROBLEMA

DELLA SOVRACAPACITÀ

NEGLI STABILIMENTI

DI DRESDA E OSNABRÜCK

LA CUI PRODUZIONE DI AUTOMOBILI

TERMINERÀ NEL 2026 E NEL 2027

E IL CUI FUTURO È INCERTO

al cambiamento totale del prodotto. E qui si è schiantata. Il cambio con le elezioni tedesche, il ReArm ora molto sentito in Germania, apre le porte alla qualsiasi. Dazi, ripensamenti sull’energia, sul green, sulle auto ma anche differenze sociali sempre più marcate e soprattutto il ReArm impongono uno stop riflessivo per una scelta definitiva e comune su tutto, che non può più essere procrastinato e non deve essere di libero arbitrio, di singoli interessi tra l’altro con visione troppo corta (si è arrivati ad avere un commissario lituano per la difesa e lo spazio). In parole semplici, l’etica e la visione sul lungo periodo dei padri fondatori della UE va ritrovata e ben alimentata perché dalle sfide singole oggi ci troviamo di fronte a sfide multiple contemporaneamente. Non impegnative, di più. E con più generazioni di molti Paesi che hanno vissuto dieci lustri di crescita e benessere e non avendo memoria di altro possono prendere lucciole per lanterne. E anche questo non si era mai visto prima e richiede massima attenzione.

IL GIOCO DELL'OCA DELLE PLUG-IN

In Europa le vendite di auto elettriche nel 2024 hanno superato i 2 milioni di pezzi. Di questi, il 35% sono state auto Plug-in che essendo considerate nella fascia di emissione 0-50 g/kmCO 2 possono beneficiare di incentivi e agevolazioni fiscali in molti Paesi europei. Le cose potrebbero cambiare con il nuovo standard euro 6e-bis entrato in vigore nel 2025. Come, ce lo spiega Marco Marelli.

Tra le soluzioni più virtuose nell’assicurare basse emissioni di CO2 è da annoverare la tecnologia Plug-in, portata sul mercato da Volvo per prima nel 2012, che si compone di un motore termico, una batteria generosa per assicurare tra i 30 e i 100 km di autonomia 100% elettrica e una presa di corrente per la ricarica del pacco batteria. Entrando nel merito del calcolo delle emissioni di CO2 di una vettura ibrida Plug-in, ricordiamo che viene effettuato viaggiando in modalità solo elettrica e poi con la batteria scarica. I valori così misurati vengono combinati e pesati in base a un fattore di compensazione, indicato con la distanza che fino al 31 dicembre dell’anno scorso era pari a 800 km. Con la nuova normativa euro 6e-bis in vigore da gennaio 2025, i chilometri totali per l’omologazione sono diventati 2.200 e dal 1° gennaio 2027, con l’ultima evoluzione della normativa, lo standard euro 6e-bis-FCM (Fuel and Energy Consumption Monitoring), si arriverà a 4.260 km. Questo significa che una Plug-in che fino al 2024 veniva omologata con una emissione anche inferiore a 50 g/km di CO2, con la nuova normativa si av-

vicinerà ai 100 g/km di CO2, cioè più o meno come una efficiente auto termica. E attenzione, dal 2027 una Plug-in potrebbe anche risultare più impattante di un’auto solo termica, sempre che non vengano aumentate le dimensioni della batteria. Cosa che tanti costruttori stanno facendo per limitare l’impatto delle nuove regole omologative. Riassunto veloce: il legislatore ha applicato un sistema di calcolo che favoriva la tecnologia Plug-in per poi accorgersi che non funzionava; quindi, ha applicato un correttore che ha ribaltato il risultato. Ma questo correttore può essere ridimensionato con l’aumento di dimensione del pacco batteria. E si torna al punto di partenza. Un gioco dell’oca pericolosissimo perché fuorviante per tutti. A partire da chi studia i dati e poi suggerisce le strade da perseguire che appaiono sulla carta vincenti, ma che poi non lo sono. Estrema sintesi: per più di dieci anni è passato il messaggio che l’uso di due auto Plug-in valevano l’uso di un’auto termica quando così non era.

E ci sono voluti più di dieci anni per capirlo.

TAGLIARE LE BOLLETTE?

PIÙ FACILE A DIRSI CHE A FARSI

di Gionata Picchio, Vicedirettore Staffetta Quotidiana

Nelle storie del giornalismo si cita spesso il caso di Piero Ottone, ricordato tra i direttori del Corriere della Sera anche per aver messo per primo l’aumento del prezzo della bistecca sulla prima pagina del quotidiano della borghesia milanese. Ottone ovviamente sapeva il fatto suo, come impara presto ogni giornalista che si trovi a scrivere di carovita e, in particolare, di quella che ne è per certi versi la forma quintessenziale (insieme al prezzo della benzina): il carobollette. Lo scorso dicembre, dopo alcuni mesi di tregua, il tema è tornato a tenere banco in Europa e in Italia e, mentre questo articolo viene scritto, è in corso in Parlamento la conversione di un decreto con cui, dopo insistenti sollecitazioni dalla società civile, il governo interviene stanziando circa 3 miliardi di euro per contenere gli impatti sui consumatori di un forte rialzo delle quotazioni del gas e - conseguentemente - elettriche, intensificatosi a cavallo dell’anno. È l’ultimo esempio di una caratteristica immutabile del caroprezzi, per il suo impatto diretto sulle vite di famiglie e imprese: non solo si impone sui media come pochi altri temi, competendo con guerre e crisi di governo, ma ancor meno tollera di essere ignorato dal decisore pubblico. Che puntualmente si trova infatti obbligato a intervenire (o darne l’impressione) nel timore di impatti distruttivi sugli equilibri sociali e di altrettanto gravi conseguenze sul piano del consenso.

Quello che sta accadendo in questi mesi non è quindi un fatto isolato ma è solo l’ultimo replay di un film già visto e, in questo caso, anche l’ultimo frutto di una condizione di emergenza semipermanente sui prezzi dell’energia, che si protrae da quasi quattro anni e ha portato a un dispiegamento di misure di “difesa” del consumatore con pochi precedenti per frequenza e quantità di risorse pubbliche impegnate. Il punto di inizio di questa stagione - che però si salda senza soluzione di continuità alle emergenze precedente, Covid e decreti Sostegni - si può collocare a giugno 2021 quando il governo stanziò 1,2 miliardi per

tagliare gli oneri di sistema elettrici dei piccoli consumatori nel terzo trimestre. I prezzi dell’energia elettrica stavano salendo molto, dai 60 €/MWh dei mesi precedenti il Pun era salito a 85 in giugno e ad oltre 100 in luglio, trainato dal prezzo del gas, già a quasi 30 € in giugno e 35 in luglio contro i meno di 20 del primo quadrimestre. Il miliardo speso consentì di contenere gli aumenti a un +10%, ma era solo l’inizio.

Con l’avanzare della spirale rialzista, nel trimestre successivo settembre-dicembre 2021, le risorse stanziate dall’allora governo Draghi sarebbero più che raddoppiate, a 3,5 miliardi, includendo anche il gas, e da lì in avanti, con l’aggressione russa all’Ucraina a dare un ultimo fatale giro di vite, per quasi due anni sarebbe parso non esserci più un limite.

Un’idea a colpo d’occhio ce la si può

fare guardando i bilanci della Cassa per i servizi energetici e ambientali (Csea), l'ente del Ministero dell'Economia su cui transitano le risorse legate alla miriade di voci finanziate dalle bollette e che nelle emergenze diventa anche il veicolo delle iniezioni di risorse pubbliche nelle bollette. Nel 2021 sono stati trasferiti dal Bilancio dello Stato sui conti Csea in tutto 5 miliardi, saliti a 16 nel 2022 e a 9 nel 2023, quando le misure anticrisi sono state progressivamente ritirate. Questo limitandosi alle bollette elettriche e del gas, senza quindi contare altre misure antinflazionistiche come il taglio delle accise sui carburanti, costato nel solo 2022 oltre 7 miliardi di entrate in meno rispetto al 2019. Vista in questo contesto, si misura meglio la ritrosia del governo Meloni a modificare significativamente il perimetro di spesa dell’ultimo decretobollette: come detto 3 miliardi, peraltro in gran parte legati a soldi già erogati nel 2022-23, con qualche dubbio del Servizio di Bilancio sulle coperture e, anche, con qualche timidezza di troppo sulla sterilizzazione dell’Iva sul gas - norma gemella di quella di anni fa sui carburanti, che rischia però di restare di mera testimonianza se il Mef non si deciderà ad attuarla. Per completezza bisognerebbe ricordare come ogni periodo

di inflazione porti con sé un aumento esponenziale delle entrate dello Stato (c.d. fiscal drag). Grazie alla corsa dei prezzi di questi anni, ad esempio, nel 2024 sono affluiti nelle casse pubbliche 130 miliardi in più che nel 2019, di cui circa 45 miliardi circa in più di Iva, altrettanti di Irpef e 24 di Ires – grandezze d'altro canto che devono confrontarsi con l'ulteriore esplosione del debito italiano dal Covid in poi. Il decreto inoltre sceglie di ignorare l'esistenza di sacche di marginalità - dall'idroelettrico alle rinnovabili, a cominciare da quelle incentivate, ma anche l'intermediazione dell'import di Lng dagli Usa - che nelle fasi di alti prezzi stridono fortemente con le difficoltà sopportate da imprese e famiglie.

Ma va aggiunta anche una considerazione più generale: agli interventi pubblici di contenimento delle bollette si accompagnano spesso nel pubblico aspettative irrealistiche, che con interventi normativi congiunturali si possano modificare e addirittura superare i problemi strutturali, da cui da ultimo davvero dipendono gli alti prezzi dell’energia. Questi ultimi derivano invece da fattori in gran parte fuori dalla portata del legislatore: in primo luogo i fondamentali di mercato delle commodity di riferimento e il mix produttivo, a sua volta modificabile solo a fronte di investimenti ingenti lato impiantistico e infrastrutturale, che rendono improbabile un abbassamento dei prezzi nel breve termine, qualunque tipo di transizione si abbia in mente. Prendendone atto si perderebbe meno tempo in dibattiti inutili.

I PREZZI DELL’ENERGIA DERIVANO DA FATTORI IN GRAN

PARTE FUORI DALLA PORTATA

DEL LEGISLATORE: IN PRIMO

LUOGO I FONDAMENTALI DI MERCATO DELLE COMMODITY

DI RIFERIMENTO E IL MIX

PRODUTTIVO, A SUA VOLTA

MODIFICABILE SOLO A FRONTE

DI INVESTIMENTI INGENTI CHE

RENDONO IMPROBABILE UN ABBASSAMENTO DEI PREZZI

NEL BREVE TERMINE

RASSEGNA STAMPA

9 marzo 2025, Paolo Baroni “L’UE minaccia l’industria dell’auto. I dazi non colpiranno la benzina”

Presidente Murano, cosa pensa Unem, l’Unione energie per la mobilità, del Piano Ue sull’automotive? «La Commissione inizia a capire che i regolamenti in vigore non solo non hanno aiutato l’Europa ad essere competitiva sull’automotive, ma l’hanno distanziata da Cina e Stati Uniti. Questo già mi pare un primo segnale di ravvedimento. Purtroppo rimane poco altro. Non c’è ancora la presa di coscienza che il mercato non si può influenzare con politiche calate dall’alto e disconnesse sia dalle scelte dei consumatori sia dalla capacità industriali europee. Se a questo aggiungiamo che del tanto menzionato principio di neutralità tecnologica non c’è traccia, arriviamo alla classica “pezza” che è peggiore del buco. Si basa su quella che ho definito una monocrazia tecnologica, su incentivi e sussidi perlopiù nazionali, su auto a guida autonoma, nuova generazione di batterie, smart grid, leasing sociale ma non destina una parola ai carburanti rinnovabili e a basso contenuto di carbonio, come oggi i biocarburanti e domani gli e-fuels». Perché si fa così tanta fatica ad affermare il concetto di neutralità tecnologica?

«Perché significherebbe rimettere in discussione le scelte ideologiche fatte in passato. Se l’obiettivo è quello del Net Zero Emissions allora bisogna aprire a tutte le tecnologie e passare ad un approccio basato sul Life Cycle Assessment, peraltro raccomandato dallo stesso rapporto Draghi». Sugli e-fuels mi pare ci sia comunque una apertura, non si può dire lo stesso sui biocarburanti. Perché?

«Sono regolamenti destinati a tecnologie che attualmente non sono disponibili in forma commerciale a un costo sostenibile. Il solito mondo dei sogni di questa Commissione che regola l’Europa sulle tecnologie del domani e intanto chiudono le industrie in tutta Europa.

11 marzo 2025, Gianni Murano "Tagliare le emissioni? Opportunità industriale"

La normativa europea traguarda significativi target di riduzione delle emissioni di C02 per tutti i tipi di trasporto, incluso quello aereo che, come intuibile, è difficilmente elettrificabile. L'applicazione del Re- FuelEU per l'Italia prevede un quantitativo di Saf di circa 100 mila tonnellate per il 2025 che sale a 350 mila tonnellate nel 2030. A livello nazionale si stima una produzione di Saf in grado di soddisfare la domanda nei primi anni, ma inseguito servirà nuova capacità produttiva. Per questo, oltre alle bioraffinerie, che saranno via via adeguate a produrre Saf, le aziende aderenti a Unem stanno intervenendo con progetti per lavorare materie prime biogeniche selezionate insieme a quelle fossili, per arrivare agli obiettivi 2030 e oltre. I Saf rappresentano quindi un'opportunità per sviluppare ulteriormente una filiera nazionale competitiva nella produzione di carburanti low carbon, rinforzando il ruolo di eccellenza dell'Italia, tra i più avanzati nelle tecnologie dei carburanti rinnovabili.

Nel nostro Paese sono già operative due bioraffinerie, tra le 9 presenti in Europa, e una terza dovrebbe arrivare l'anno prossimo. Inoltre, si stanno sviluppando progetti su carburanti anche da rifiuti, che consentiranno produzioni locali, sposando il principio di economia circolare. L'attuale capacità produttiva di biocarburanti è circa 2,8 milioni di tonnellate/anno. Potrebbe arrivare a oltre 5 milioni nei prossimi anni e sostituire oltre il 15% dei combustibili fossili. Le stime Unem indicano che i consumi di prodotti petroliferi al 2030 si ridurranno di quasi 8 milioni di tonnellate rispetto a oggi, mentre biocarburanti e altri carburanti low carbon passeranno dagli attuali 1,7 milioni di tonnellate a 3,7 nel 2030, e a 9 nel 2040.

12 marzo 2025, Celestina Dominelli Carburanti sostenibili, mercato globale da 150 miliardi di dollari entro il 2050

La raffineria di Gela (Caltanissetta), nata nel 1962 per la raffinazione dei greggi locali, è oggi una bioraffineria che produce biocarburanti: Hvo (olio vegetale idrogenato) e Saf (sustainable aviation fuel) Carburanti sostenibili, mercato globale da 150 miliardi di dollari entro il 2050 Decarbonizzazione. Secondo Bain & Company a trainare l’espansione saranno i settori dell’aviazione e del trasporto marittimo La domanda di biocarburanti è attesa a 3,7 milioni di barili al giorno al 2030: l’Italia è al quarto posto tra i maggiori produttori Un segmento dal futuro promettente come documenta l’analisi di Bain & Company, secondo la quale entro il 2050 i carburanti sostenibili (diesel bio e rinnovabile, bioetanolo e carburante sostenibile per l’aviazione o Saf) rappresenteranno un mercato compreso tra 100 e 150 miliardi di dollari.

A trainare questa espansione saranno soprattutto i settori dell’aviazione e del trasporto marittimo poiché le alternative non saranno disponibili su larga scala per almeno un altro decennio. «Tra il 2021 e il 2024, la capacità produttiva globale è più che raddoppiata e potrebbe triplicare entro il 2028 - spiega Valeria Sterpos, partner di Bain & Company -. Il trend di crescita della domanda di carburanti rinnovabili accelererà ulteriormente, stimolando anche un forte aumento dell’utilizzo di materie prime derivanti da rifiuti e nuove colture oleaginose». Sarà, quindi, necessario, precisa Alessandro Cadei, senior partner e responsabile Energy e Utilities Emea di Bain & Company -, sviluppare nuove colture (per esempio, colture a rotazione o su terreni degradati) e attivare nuove catene di fornitura».

21 marzo 2025, Alessandro Caruso

Intervista a Gianni Murano – “L’energia non è mai stata così tanta così diversificata e così economica”

«È il momento di sviluppare una vera decarbonizzazione fondata su pluralità e neutralità tecnologica» Il presidente di Unem (Unione energie per la mobilità) ha le idee chiare: solo mettendo in competizione tutte le tecnologie si potrà arrivare all’obiettivo del Net Zero Emissions al 2050. E plaude all’azione del Governo: «Se a livello europeo c’è stata qualche apertura sui biocarburanti e sull’anticipo della revisione del regolamento sui veicoli leggeri è stato grazie al lavoro del Governo italiano che non si è arreso». Il settore energetico sta vivendo cambiamenti significativi a livello globale e locale. Quali sono le principali sfide che Unem sta affrontando in questo momento?

I fondamentali dell’energia restano ancora gli stessi. È evidente una crescita della domanda di energia necessaria a garantire un giusto tenore di vita per tutti gli abitanti del nostro pianeta che aumenta ancora e raggiungerà circa 10 miliardi di persone nel 2050. È interessante notare che l’energia non è mai stata così tanta, così diversificata e così economica. Sono sicuramente cambiati gli equilibri geopolitici ma in meglio, nel senso che si notano meno scossoni a seguito di eventi che possono incidere su alcune aree geografiche. In questo ambito, le nostre sfide nazionali sono quindi fondate sulla necessità di poter garantire al nostro paese la fornitura di prodotti finiti ad un prezzo giusto e difendere filiere industriali strategiche”.

Negli ultimi giorni è stato approvato il nuovo decreto accise. Come questa normativa impatterà le imprese che operano nel settore dell'energia e della mobilità in Italia?

Posto che la tassazione sui carburanti in Italia è tra le più alte d’Europa, la modifica inserita nel decreto del Governo intende eliminare in 5 anni la differenza di accisa tra gasolio e benzina, aumentando l’aliquota sul primo e riducendola sulla seconda. L’aumento sarà quindi spalmato su più anni e non si applicherà sul gasolio impiegato nel trasporto pesante e agricolo. Inoltre, e questo è un passo importante, l’aumento non tocca il gasolio bio al 100%, ovvero HVO venduto tal quale. Così finalmente viene riconosciuto il credito da un punto di vista emissivo dei biocarburanti, ma si deve fare di più estendendo tale credito anche ai biocarburanti miscelati nei prodotti tradizionali che dovranno aumentare in futuro”.

Giorni fa avete siglato un accordo con Motus E per lo sviluppo di punti di ricarica per auto elettriche presso le stazioni di carburante. Che risultati prevedete? Ed entro quali tempistiche? È indubbio che la rete distributiva italiana con 22.000 punti vendita carburanti è inefficiente e ridondante. Lo sarà ancora di più con l’attesa penetrazione delle autovetture elettriche che arriveranno sul mercato seppure non alla velocità che si prevedeva. È altresì evidente che l’aumento dell’efficienza del motore endotermico, sempre più accompagnato da una motorizzazione elettrica, non potrà non ridurre i consumi di carburante nei prossimi anni rendendo la nostra rete ancora più ridondante. Diventa quindi cruciale pensare ad una riconversione anche della rete di distribuzione che deve diventare una rete di vendita di servizi energetici, incluse le ricariche elettriche. L’accordo con Motus-E va in questa direzione, cioè quella di stimolare e supportare i nostri Associati in questo processo di riconversione lavorando insieme a che ha già sviluppato competenze specifiche sulle colonnine di ricarica. Cosa non la convince delle soluzioni proposte dalla Commissione europea?

«Di fatto non ci sono proposte di soluzioni alla crisi dell’automotive che sta investendo l’intera Europa, ma solo la testarda e ottusa convinzione che si debba insistere su una monocrazia tecnologica riducendo il tema della decarbonizzazione dei trasporti alla sola elettrificazione. Credo sia giunto il momento di sviluppare una vera decarbonizzazione che si possa fondare su pluralità e neutralità tecnologica. Solo mettendo in competizione tutte le tecnologie si potrà arrivare all’obiettivo del Net Zero Emissions al 2050. Lo raccomanda fortemente anche il rapporto Draghi”.

7 aprile 2025, Eugenio Occorsio Intervista a Jeffrey Sachs - “È come una guerra che tutti perderanno”

«Donald Trump sta distruggendo il sistema commerciale mondiale sulla base di una colossale falsità: che il deficit americano sia causato da una perversa perfidia del resto del mondo. Nulla di più sbagliato: addirittura continua a ripetere che quest’inesistente maxi-congiura globale sarebbe stata portata avanti “per decenni”». Jeffrey Sachs, classe 1954, economista della Columbia University, è un fermo sostenitore del multilateralismo solidale e cooperativo Professore, si dice che il teorico dei dazi di Trump sia il suo consulente Stephen Miran, formatosi come lei ad Harvard. Lo conosce? «Non personalmente. Se veramente è lui l’architetto di questo progetto… oh my God. Un economista con una tale preparazione che si presta a un’operazione così assurda: sono sbalordito».

Qual è l’errore di fondo?

«Il disavanzo commerciale di un Paese non è dovuto a pratiche scorrette dei Paesi in surplus. Va inquadrato nel più ampio conto delle partite correnti: è il cosiddetto modello dei “twin deficits”, i disavanzi gemelli. In America è profondamente in negativo anche il bilancio pubblico, che l’amministrazione riesce a finanziare solo in virtù della forza del dollaro e del suo ruolo di valuta di riferimento, che non è detto che sia eterno. I due deficit tendono a viaggiare in parallelo: entrambi indicano un eccesso strutturale di investimenti (e acquisti) sui risparmi. Per ridurre il deficit commerciale, è necessario prima aggredire con decisione il bilancio pubblico. Altrimenti si rischia solo di impoverire i cittadini americani e danneggiare irreparabilmente l’economia mondiale». Ora cosa succederà?

«Intanto questa folle politica di Trump ha fatto strame di quella che l’economista David Ricardo definiva la teoria dei “vantaggi comparati”, cioè la libertà per chiunque di scegliersi il suo fornitore nel Paese o all’estero. Se poi la guerra commerciale divamperà ulteriormente, le conseguenze per l’economia mondiale saranno devastanti. Prendiamo le auto: le tariffe di Trump ridurranno le importazioni e gli americani saranno indotti a comprare macchine Made in Usa. Ma quelle stesse macchine potevano essere esportate e non lo sono: lo sbilancio commerciale resterà. Le nuove tariffe imposte per ritorsione dagli altri Paesi finiranno con l’aggravare il declino dell’export americano. Senza contare che le stesse case Usa si sentiranno autorizzate ad alzare i prezzi, con conseguenze inflattive. Forse aumenteranno i salari dei dipendenti dell’automotive ma a detrimento degli standard di vita complessivi, tutt’altro che un aumento del Pil e del benessere promesso da Trump».

Ma è inevitabile una guerra commerciale? «Beh, mi sembra ampiamente cominciata grazie a Trump. Di sicuro sarà una battaglia “lose-lose”, tutti hanno da perdere. I dazi non riusciranno a chiudere nessuno dei deficit gemelli, alzeranno prezzi e inflazione, renderanno l’America e il mondo più poveri annullando i vantaggi del commercio e della globalizzazione. »

8 aprile, Davide Tabarelli Prezzi del petrolio e gas in picchiata, bollette meno care per le famiglie

È un ritorno a maggiore realismo, quello che in definitiva serve per sfidare il presidente Donald Trump. Perché il crollo dei prezzi di energia, petrolio e gas, quelli che più contano nel bilancio energetico dell’Europa, ci aiuterà a usciere dal pantano in cui siamo caduti con la guerra in Ucraina. Vedere le quotazioni sulle borse merci crollare è una rivincita da parte dell’economia reale, degli industrialisti, perché anche le quotazioni, come sempre accade nelle crisi, un po’ erano state gonfiate dalla finanza.

Gas e petrolio in Italia e in Europa contano per circa il 60% dei consumi totali di energia e i relativi costi sono determinati dai prezzi del Nymex di New York del WTI, in realtà ora a Chicago, e dell’ICE di Londra, che quota il gas TTF, quello che prevede la consegna sul Title of Transfer Facility in Olanda. Con valori del gas in picchiata, da quasi 60 euro due mesi fa, a 35 euro per megawattora in questi giorni scendono anche i prezzi dell’elettricità, passati da 150 a quasi 100 euro per megawattora. Il calo è aiutato anche dalla flessione delle quotazioni della CO2, meglio, dei permessi di emissione della CO2, lo strumento all’interno dell’Emission Trading System (ETS), il fiore all’occhiello delle politiche ambientali europee. In questi giorni è tornato a 62 euro per tonnellata di CO2, o permesso, minimo da quasi un anno, ma lontanissimo da quella soglia dei 100 euro che nel 2021 sembrava dover essere superata velocemente per spingere le centrali elettriche, assieme ad altri grandi impianti industriali, a decarbonizzarsi velocemente verso l’obiettivo del meno 55% del 2030. Le bollette di italiani, imprese e famiglie, potranno finalmente scendere nelle prossime settimane aiutando a calmare un po’ le polemiche degli ultimi mesi fra produttori e consumatori che, oltre a molta confusione, non hanno generato decisioni importanti.

9 aprile, Gilda Ferrari

Intervista a Gianni Murano – “Il green deal è irragiungibile. I biocarburanti la strada giusta”

L’Ue non cambia il Green Deal, nonostante i tanti appelli alla neutralità tecnologica. Il nostro governo sta facendo abbastanza?

«Il Green Deal è in forte crisi perché ha puntato su obiettivi che, nei fatti, si stanno dimostrando irraggiungibili e che stanno mettendo in ginocchio non solo l’automotive, ma tutta l’industria europea. Serve una revisione dell’impronta regolatoria che dovrà favorire il mercato interno, ma soprattutto la possibilità per l’industria europea di svilupparsi e riconquistare le posizioni perse. Da questo punto di vista credo che il governo stia facendo la sua parte. Se oggi in Europa si vede una qualche apertura sui biocarburanti, come è con l’anticipo della revisione del regolamento sui veicoli leggeri, è anche perché il nostro governo non si è arreso».

I dazi Usa impattano sul vostro settore?

«L’energia al momento è stata esclusa dai dazi. Credo che l’esenzione sui prodotti energetici sia stata una tattica per limitare eventuali ritorsioni e questo ben si adatta all’obiettivo di Trump di mantenere bassi i prezzi dell’energia. Una carta che l’Ue potrebbe giocarsi, visto che gli Stati Uniti sono il primo partner europeo per le importazioni di petrolio e da dove arriva anche quasi la metà del Gnl importato. Del resto, la presidente Von der Leyen ha detto che l’Europa è pronta a reagire, ma anche a negoziare».

Previsioni sui prezzi?

«È sempre difficile fare previsioni. La situazione è molto delicata e gli impatti sono incerti. Ciò che abbiamo visto in questi giorni è stato il crollo delle principali piazze finanziarie, incluse quelle americane, come accadde ai tempi dell’11 settembre. A risentirne sono stati anche i prezzi del petrolio. A deprimere le quotazioni non sono stati solo i timori degli effetti recessivi di una guerra commerciale, ma anche l’annuncio dell’Opec di avviare da maggio un rientro graduale dai tagli volontari in vigore dal 2023.

Come è cambiata la geografia mondiale dei fornitori di petrolio?

«Sono cambiati gli equilibri geopolitici e il petrolio si è adeguato, nel senso che oggi le aree di provenienza sono molto più diversificate e ci sono più attori internazionali protagonisti nel commercio globale. Penso all’Africa, ma anche all’America del Nord, che attualmente ha una produzione di petrolio superiore a quella di Arabia Saudita e Russia messe insieme.

IL BIOBUTANOLO: PRODUZIONE

E PROSPETTIVE APPLICATIVE

I biocarburanti sono una delle soluzioni per la decarbonizzazione dei trasporti. L’evoluzione della tecnologia oggi permette di produrli da moltissime materie prime e con processi di varia natura. Il biobutanolo è uno di questi e si distingue, oltre che per la sua sostenibilità, anche per la sua maggiore compatibilità con i motori a combustione interna, la sua elevata densità energetica e la ridotta igroscopicità rispetto al bioetanolo. L’argomento è stato approfondito da Marianna Noviello nella sua tesi di laurea in Biotecnologie dal titolo “Il Biobutanolo: produzione e prospettive applicative”. Ne proponiamo una sintesi curata dall’autrice.

Negli ultimi anni, la necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e di sviluppare fonti energetiche più soste nibili ha portato a un crescente interesse per i biocarburanti. Questi ultimi rappresentano un'alternativa ai carburanti tradizionali, offrendo vantaggi sia in termini di riduzione delle emissioni di gas serra sia di utilizzo di risorse rinnovabili. Tra le opzioni più promettenti per il futuro, il biobutanolo, un combustibile sorprendente mente sostenibile che si distingue per la sua maggiore compatibilità con i motori a combu stione interna, la sua elevata densità energetica e la ridotta igroscopicità rispetto al bioetanolo. Il butanolo è un alcol a quattro atomi di car bonio che può essere prodotto attraverso processi di fermentazione microbica a parti re da diverse fonti di biomassa. Il metodo più comune per la sua produzione è la fermentazione ABE (Acetone-Butanolo-Etanolo), che sfrutta microrganismi anaerobi per convertire gli zuccheri presenti nelle materie prime in una miscela di prodotti fermentativi. Rispetto ad altri biocarburanti, il biobutanolo ha il vantaggio di poter essere utilizzato nei motori a benzina senza modifiche sostanziali, di essere meno corrosivo e di avere una maggiore miscibilità con i carburanti fossili, riducendo così i costi di distribuzione e adattamento della rete di rifornimento. Tuttavia, nonostante i suoi numerosi vantaggi, la produzione su larga scala di biobutanolo deve ancora affrontare alcune sfide, tra cui la bassa resa fermentativa, i costi di purificazione elevati e la disponibilità di materie prime sostenibili. Per migliorare la competitività di questo biocarburante, la ricerca si è concentrata su nuove strategie di fermentazione, l'ottimizzazione dei microrganismi produttori e l'utilizzo di bio-

masse non alimentari per ridurre l’impatto ambientale e i costi di produzione. Uno dei principali limiti della fermentazione ABE è la bassa resa del butanolo, che costituisce solo il 60% dei prodotti finali, mentre il resto è acetone ed etanolo. Inoltre, l’elevata tossicità del butanolo per i microrganismi ne limita la concentrazione nel mezzo, riducendo la produttività e richiedendo processi di purificazione energivori. Tradizionalmente, la produzione avviene in modalità batch, con cicli discontinui che comportano tempi morti e limitano l’efficienza. Per ovviare a ciò, sono stati sviluppati sistemi di fermentazione continua, che permettono l’aggiunta costante del substrato e la rimozione dei prodotti, garantendo condizioni stabili e una crescita microbica prolungata. Un’evoluzione ulteriore è la fermentazione multistadio, che suddivide il processo in fasi con condizioni ottimizzate, migliorando resa, selettività e riducendo i sottoprodotti.

Parallelamente all’ottimizzazione del processo fermentativo, la ricerca ha puntato anche sullo sviluppo di ceppi batterici geneticamente modificati in grado di resistere a concentrazioni più elevate di butanolo e di convertire in modo più efficiente gli zuccheri in prodotto finale. Gli studi su Clostridium beijerinckii e Clostridium acetobutylicum hanno portato alla creazione di varianti migliorate che

presentano una maggiore tolleranza ai solventi e un metabolismo più orientato verso la produzione di butanolo anziché di acetone ed etanolo. Inoltre, altri batteri, come Escherichia coli, sono stati ingegnerizzati per convertire direttamente il glucosio in butanolo con rese più elevate rispetto ai clostridi tradizionali. Un aspetto centrale nella produzione di biobutanolo riguarda le materie prime utilizzate. In passato si privilegiavano colture alimentari ricche di zuccheri, ma il loro impiego ha sollevato problemi legati alla sostenibilità, come la sottrazione di risorse all’agricoltura alimentare e l’aumento dei costi. Per questo, l’attenzione si è spostata su materie prime non alimentari e biomasse di scarto, come residui agricoli e forestali, rifiuti organici urbani e scarti industriali. Promettenti anche le colture lignocellulosiche,

coltivabili su terreni marginali e non in concorrenza con la filiera alimentare. Un’area di ricerca particolarmente promettente è quella delle microalghe, che possono essere coltivate in ambienti acquatici offrendo un doppio vantaggio: da un lato, crescono rapidamente e non necessitano di terreni coltivabili, dall’altro, possono essere utilizzate per sequestrare CO₂ dall’atmosfera, contribuendo alla mitigazione del cambiamento climatico.

La separazione del biobutanolo dal brodo fermentativo rappresenta una delle principali voci di costo nel processo produttivo. La distillazione, pur garantendo un'elevata purezza del prodotto, comporta un elevato dispendio energetico. Tecniche alternative come la pervaporazione con membrane selettive, l’assorbimento su materiali porosi (es. zeoliti e resi-

ne) e l’estrazione con solventi a basso impatto ambientale, consentono una riduzione del consumo energetico fino al 50%, migliorando l'efficienza complessiva del processo.

Nonostante i numerosi progressi tecnologici, il biobutanolo deve ancora affrontare diverse sfide prima di poter competere su larga scala con i combustibili fossili. La principale barriera è rappresentata dai costi di produzione, che rimangono più elevati rispetto a quelli di altri biocarburanti come il bioetanolo. Per rendere il biobutanolo economicamente vantaggioso, sarà fondamentale investire in miglioramenti della resa fermentativa, tecniche di purificazione più efficienti e infrastrutture per la distribuzione. Inoltre, sarà necessario sviluppare politiche di supporto e incentivazione per promuovere la produzione e l’adozione di questo biocarburante. L’Unione Europea sta già investendo in progetti di bioraffinerie avanzate, mentre molte aziende stanno esplorando la possibilità di integrare il biobutanolo nei carburanti per il trasporto su strada, nell’aviazione e nel settore marittimo. Grazie alla sua versatilità e alle sue caratteristiche chimico-fisiche superiori rispetto ad altri biocarburanti, il biobutanolo potrebbe giocare un ruolo cruciale nella transizione verso un’economia più sostenibile e a basse emissioni di carbonio.

Fonte: (2024) Exactitude Consultancy: “n-Butanol Market Overview”

LA RAFFINAZIONE ASSET STRATEGICO: LO STUDIO THEA PRESENTATO AL

MINISTRO URSO

Roma, 7 febbraio 2025 - La riunione convocata dal Ministro Urso al Mimit sulla raffinazione è stata l’occasione per presentare lo studio “Decarbonizzazione e Competitività. Una visione di sviluppo per il Polo Industriale di Siracusa”, promosso da Confindustria Siracusa e realizzato da The European House-Ambrosetti. Presenti i principali stakeholder industriali attivi nell’area, tra cui ISAB, Sonatrach Raffineria Italiana, Versalis, Sasol Italy, B2G Sicily, Buzzi e Air Liquide Italia. All'incontro ha partecipato anche il presidente Gianni Murano che ha ribadito l'importanza di governare il processo di transizione verso i low carbon fuels, con politiche che favoriscano gli investimenti e garantiscano l'equilibrio tra l’approvvigionamento di prodotti tradizionali, la crescita della domanda e la sostenibilità economica.

MASTER IN DIRITTO DI IMPRESA ALLA LUISS

Roma, 25 gennaio 2025 - Il presidente Gianni Murano è intervenuto al Master in Diritto di Impresa organizzato dall’Università Luiss Guido Carli con una lezione sul tema della collaborazione tra Istituzioni Pubbliche ed imprese per la promozione della sostenibilità ambientale e dell’innovazione tecnologica nella transizione energetica. Il presidente ha ribadito l’impegno di UNEM nel cercare di stimolare la collaborazione tra aziende e istituzioni per lo sviluppo di infrastrutture e progetti innovativi, creare occasioni di confronto tra stakeholder per nuove opportunità di business, sensibilizzare l’opinione pubblica sulle opportunità della transizione energetica e sul ruolo dell’industria.di dare un contributo concreto, valorizzando le infrastrutture strategiche e le eccellenze tecnologiche e umane delle filiere europee.

AUTOTRASPORTO E SOSTENIBILITÀ: LA PAROLA AL MERCATO

Milano, 3 febbraio 2025 - Il presidente di UNEM Gianni Murano ha partecipato alla tavola rotonda “Osservatorio per la Transizione dei Trasporti: quale Road Map” nell'ambito del convegno "Autotrasporto e sostenibilità. La parola al mercato" organizzato da Federauto. Il presidente nel corso del dibattito ha sottolineato l’ineludibilità della decarbonizzazione del trasporto, che procederà più lentamente e con maggiori criticità rispetto a quanto ipotizzato; la necessità di tenere vive tutte le opzioni per azzerare il carbonio in base al principio della neutralità tecnologica; l’importanza dei biocarburanti come una soluzione tecnologicamente consolidata e in gran parte disponibile per decarbonizzare i settori scarsamente elettrificabili.

SICON SITI CONTAMINATI, ESPERIENZE NEGLI

INTERVENTI DI RISANAMENTO

Brescia, 12 febbraio 2025 - Il workshop “SiCon Siti Contaminati, esperienze negli interventi di risanamento” organizzato dall’Università degli Studi di Brescia, Sapienza Università di Roma e Università degli Studi di Catania è stata un’interessante occasione di confronto tra gli operatori del settore tesa a mettere a disposizione dei partecipanti un ampio quadro di quanto è stato realizzato fino ad oggi nel campo delle bonifiche, con specifico risalto agli aspetti tecno-operativi. Donatella Giacopetti di UNEM ha parlato della necessità di realizzare gli interventi di trasformazione necessari alla transizione ecologica nei siti in bonifica in tempi certi attraverso la valutazione della compatibilità tra opera e attività ambientale.

PROTOCOLLO D’INTESA UNEM-MOTUS-E SULLA MOBILITÀ ELETTRICA

Roma, 25 febbraio 2025 - Il protocollo di intesa firmato da UNEM e Motus-e lo scorso febbraio presso il Ministero delle Imprese e del Made In Italy, alla presenza del Sottosegretario Massimo Bitonci, ha l’obiettivo di favorire la realizzazione e lo sviluppo delle infrastrutture di ricarica per le auto elettriche presso i distributori di carburante. Nel commentare la firma, il presidente Gianni Murano ha sottolineato che il protocollo nasce dall’esigenza comune di trovare soluzioni per la promozione di una mobilità sempre più decarbonizzata, ma va anche vista come un’occasione per riqualificare gli impianti esistenti ampliando l’offerta per i consumatori a tutte le energie per la mobilità.

LABORATORIO SULLA TRANSIZIONE ENERGETICA E I MUTAMENTI CLIMATICI. LEZIONE UNEM ALLA LUMSA

Roma, 3 marzo 2025 - In occasione della lezione tenuta alla Lumsa nell’ambito del corso "Laboratorio sulla transizione energetica e i mutamenti climatici" tenuto da Carlo Crea, il presidente Gianni Murano ha parlato degli scenari energetici internazionali dei prossimi anni, dell’evoluzione normativa in materia di transizione, del ruolo delle COP quale luogo di confronto ideale e degli scenari per l’Italia, con un focus sui trasporti. Molti gli stimoli arrivati dagli studenti che hanno mostrato un chiaro interesse per quello che potrà essere in futuro il loro campo di attività professionale.

RIUNIONE PROGRAMMATICA DEL PROGETTO RIQUALIFICAZIONE

AMBIENTALE. FIRMATO ACCORDO UNEM – REMTECH EXPO

Roma, 4 marzo 2025 - Grande successo per la prima riunione programmatica 2025 del "Progetto di riqualificazione ambientale" lanciato nel 2019 da UNEM con l’obiettivo di contribuire a diffondere le conoscenze tecnico-scientifiche su particolari aspetti innovativi o di sostenibilità degli interventi di risanamento, che ad oggi conta oltre 25 aziende aderenti, di cui 7 entrate nel solo 2024. Nell'occasione è stato firmato il rinnovo per altri tre anni dell'Accordo di collaborazione tra UNEM e REMTECHEXPO Ferrara Expo in materia di risanamento ambientale e sviluppo sostenibile dei territori siglato la prima volta nel 2021. Nutrita la partecipazione di operatori e istituzioni che hanno portato un punto di vista qualificato sui temi delle bonifiche, della sostenibilità e della rigenerazione dei territori. Il Presidente Gianni Murano ha sottolineato l'importanza del "Progetto di riqualificazione ambientale" perché riesce a mettere insieme non solo le aziende associate, ma realtà diverse che lavorano per fare e fare meglio.

IL PUNTO SUI MERCATI PETROLIFERI NEL CONVEGNO AIEE

Roma, 13 marzo 2025 - In occasione del seminario “Il settore energetico nel 2024 e le prospettive per il 2025, organizzato dall’AIE presso l'Auditorium GSE UNEM, Rita Pistacchio di UNEM, ha fatto il punto sull’andamento dei mercati petroliferi internazionali e nazionali, sottolineando come il petrolio sia ancora la prima fonte di energia. Una fonte indispensabile nel soddisfare la domanda di mobilità aerea, navale e stradale. Un ruolo cruciale, ha spiegato, decisamente ignorato nei piani europei, così come sono ignorate le potenzialità dei biocarburanti e dei low carbon fuels in ottica decarbonizzazione.

#FORUMAUTOMOTIVE 2025

Milano, 18 marzo 2025 - Anche quest’anno UNEM ha partecipato in qualità di sostenitore al #ForumAutomotive, divenuto negli anni una importante occasione per fare il punto sull’evoluzione della mobilità mettendo al centro il ruolo della filiera automotive, fulcro dello sviluppo economico e occupazionale. Intervenendo alla tavola rotonda “2015-2025: 10ANNI di innovazione alla massima velocità” il presidente Gianni Murano ha sottolineato che il settore ha proposto nuove soluzioni in grado di contribuire concretamente al raggiungimento del Net Zero Emissions al 2050 e i biocarburanti sono una di queste soluzioni, già disponibili sul mercato. Ha parlato anche del Tour of Europe coordinato da FuelsEurope che si propone di evidenziare appunto il potenziale di decarbonizzazione dei carburanti rinnovabili (biofuels e sintetici) per il raggiungimento degli obiettivi di neutralità carbonica e far crescere la consapevolezza della loro disponibilità in Europa.

NEWS DALLE ASSOCIATE

Alma Petroli avvia iter per l’ottenimento della certificazione parità di genere

Alma Petroli ha intrapreso il percorso per ottenere la certificazione della parità di genere, un passo significativo verso un ambiente di lavoro sempre più inclusivo ed equo. “La valorizzazione delle persone e delle loro diversità, spiega una nota, è da sempre un principio guida per la nostra azienda e attraverso questo percorso vogliamo consolidare le nostre politiche in materia di pari opportunità, equità salariale e conciliazione tra vita professionale e personale, seguendo standard riconosciuti a livello nazionale e internazionale”. “La promozione della parità di genere e dei principi definiti nella Politica per la Parità di Genere, conclude la nota, non è solo un valore etico, ma anche un elemento strategico per la crescita sostenibile dell’azienda e per il benessere di chi lavora con noi”.

Accordo tra Eni, Maire e Iren per produrre carburante dagli scarti

Eni, Met development (Maire) e Iren hanno concluso un accordo per costruire presso il sito industriale a Sannazzaro de' Burgondi (Pavia), un impianto di metanolo e idrogeno “circolari”, utilizzando la tecnologia Nx Circular di Nextchem. Questa tecnologia, spiega una nota, prevede la conversione di specifiche tipologie di scarti generando gas di sintesi (syngas), successivamente utilizzato per produrre carburanti e prodotti chimici sostenibili di alta qualità. Una volta realizzato l'impianto sarà in grado di convertire in gas di sintesi circa 200.000 tonnellate all'anno di scarti non riciclabili che saranno forniti da Iren Ambiente. Il gas di sintesi verrà a sua volta, convertito per produrre fino a 110.000 tonnellate all'anno di metanolo circolare e fino a 1.500 tonnellate all'anno di idrogeno circolare.

Accordo Eni e Renault per decarbonizzare i trasporti

Eni ed il Gruppo Renault hanno firmato un accordo per sviluppare future opportunità di collaborazione in ottica di decarbonizzazione del settore dei trasporti. Un comunicato informa che le due aziende lavoreranno per l'individuazione di percorsi di sviluppo congiunti in vari ambiti, tra cui infrastrutture per la mobilità elettrica, servizi di mobilità smart e soluzioni di fornitura energetica a supporto del processo di transizione. In questo contesto, un primo risultato concreto è rappresentato dall'acquisto di veicoli Renault da parte di Enjoy e dal ritorno di Eni in Formula 1 con il team BWT Alpine Formula One in qualità di Official Energy and Fuel Partner.

Nuovo look per le stazioni di servizio Enilive

È iniziato il rebranding delle stazioni di servizio Enilive che saranno caratterizzate da nuovi colori sui toni dell’azzurro, un nuovo design degli ambienti di sosta e rifornimento e dall’inserimento di tanti elementi digitali per comunicare in tempo reale con i clienti. Il progetto, spiega una nota, punta a consolidare il ruolo delle Enilive Station come vetrina di una mobilità che sta cambiando e che guarda al futuro, per offrire alle persone un’esperienza unica. La prima stazione di servizio rinnovata è stata quella in via Botticelli a Torino. Protagonista di questa rinnovata scelta stilistica grafica è sempre il cane a sei zampe contraddistinto però da una “svolta”, il segno grafico che ha sostituito la fiamma, per sottolineare l’impegno di Enilive nel percorso di evoluzione di una mobilità sempre più sostenibile.

Contratto in Arabia Saudita per Nextchem

Nextchem, attraverso la sua controllata NextChem Tech, si è aggiudicata un contratto triennale per la fornitura di servizi di consulenza ingegneristica e tecnologica relativi al recupero dello zolfo della raffineria Satorp di Jubail, in Arabia Saudita. Nello specifico NextChem Tech elaborerà soluzioni di ingegneria per migliorare le prestazioni, supportare la risoluzione dei problemi operativi e migliorare l'efficienza energetica e l'impronta carbonica delle tre unità che compongono il recupero dello zolfo. In una nota, Alessandro Bernini, ceo di Maire, ha affermato che “questa collaborazione è frutto del nostro impegno costante per migliorare la sostenibilità e l'efficienza dell'industria della raffinazione con processi tecnologici all'avanguardia ".

Bilancio di Sostenibilità per Q8

Q8 Italia ha presentato il Bilancio di Sostenibilità 2023-2024, redatto secondo gli standard internazionali del Global Reporting Initiative, che analizza l’impegno e i risultati raggiunti dall’azienda in ambito Environmental, Social and Governance, in linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu. “Sono davvero orgoglioso di come l’azienda, anche quest’anno, abbia fornito il proprio contributo ai fattori integrati in tutte le proprie strategie di business” ha commentato Bashar Alawadhi, Amministratore Delegato di Q8 Italia. “Q8 Italia, ha proseguito, è convintamente impegnata per la realizzazione di una transizione verso un’economia ambientalmente più sostenibile che sia anche equa ed inclusiva, garantendo sicurezza e benessere sociale alla società in tutte le sue componenti anche più fragili.”

Q8 cresce nella produzione di biogas

Q8 Italia si rafforza nella produzione di biogas. Dopo aver rilevato da Fox Petroli il 50% di EcoFox, entrando a pieno titolo nella produzione di biocarburanti, Il gruppo sbarca nel mondo del biometano e bioGNL con l’acquisizione del 100% delle quote di Agriferr e di ArMa. Agriferr è proprietaria di due impianti, uno per la produzione di bioGNL con una capacità di 2,5 milioni mc/anno, e l’altro per la produzione di biogas da sottoprodotti agricoli che sarà convertito per produrre biometano, con un potenziale di 2,1 milioni di mc/anno. Entrambe le società, spiega una nota, producono a partire da materie prime di seconda generazione avanzate in conformità ai requisiti normativi nazionali con lo scopo di contribuire attivamente alla decarbonizzazione del settore dei trasporti.

Q8 Italia partecipa alle audizioni CNEL

Q8 Italia ha avuto l’opportunità di portare la propria esperienza e le sue “best practice” in un’occasione preziosa di dialogo, le audizioni sul tema “Innovazione tecnologica, riforme del lavoro e qualità del processo normativo”, organizzate dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del lavoro (CNEL). L’obiettivo condiviso con gli altri partecipanti al tavolo di lavoro, spiega un comunicato, è stato quello di studiare l’impatto delle trasformazioni tecnologiche in corso sugli attuali modelli di organizzazione del lavoro, cercando di individuare le aree di intervento concreto e garantire un quadro normativo moderno, trasparente e certo.

Terzo Bilancio di Sostenibilità per Sonatrach

Sonatrach ha pubblicato il terzo Bilancio di Sostenibilità relativo agli anni 2022 e 2023. In base al grado di sostenibilità delle proprie attività, tutti gli indici tematici analizzati nel bilancio sono risultati in miglioramento: dalla tutela della qualità dell’aria, alla gestione delle risorse e del rischio, dalle emissioni di gas serra alla sicurezza sul lavoro, passando per la gestione delle risorse idriche e la tutela del suolo. Tutti questi risultati sono legati al percorso di sostenibilità integrata avviato dall’azienda già da diversi anni.

Sonatrach partecipa al Petrolchemical and Refining Congress

Sonatrach Raffineria Italiana ha annunciato la sua partecipazione alla nona edizione del Petrolchemical and Refining Congress che vedrà allo stesso tavolo leader del settore, esperti e promotori che esploreranno gli ultimi progressi e le strategie di decarbonizzazione. L’evento vedrà l’incontro di diversi esponenti del mondo della raffinazione e Sonatrach Raffineria Italiana sarà lieta di confrontarsi sugli argomenti di comune interesse.

Accordi TotalEnergies e Air Liquid sull'idrogeno verde

TotalEnergies e AirLiquid hanno creato una joint venture detenuta al 50% da entrambe, per lo sviluppo di due progetti nei Paesi Bassi che prevedono la produzione e fornitura di idrogeno verde. Nello specifico, TotalEnergies si impegna per la produzione e la fornitura di circa 45.000 tonnellate all'anno di idrogeno verde da energia elettrica rinnovabile proveniente principalmente dal parco eolico offshore OranjeWind. L’obiettivo di questi progetti è ridurre le emissioni di CO2 delle raffinerie di TotalEnergies in Belgio e nei Paesi Bassi e contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei in materia di energie rinnovabili nei trasporti.

DIGITAL FUEL TWIN: LA PIATTAFORMA DI BOSCH PER LA TRACCIABILITÀ

DELLE PROPRIETÀ DEI CARBURANTI ENTRA NEL TOUR

D’EUROPE

DELLA FILIERA AUTOMOTIVE

Il Digital Fuel Twin (DFT) è una soluzione innovativa sviluppata da Bosch per la tracciabilità digitale delle proprietà dei carburanti lungo l'intera filiera, in ottica well-to-tank, dalla produzione fino al rifornimento del veicolo, che permette di monitorare, verificare e certificare in tempo reale l’utilizzo effettivo di carburanti rinnovabili e la riduzione di emissioni di CO₂.

Collaborando con produttori di carburanti e gestori di stazioni di servizio, il DFT consente infatti di registrare informazioni dettagliate sulla provenienza, la composizione e il contenuto di carbonio del carburante. Al momento del rifornimento vengono automaticamente condivise informazioni tra veicolo, stazione di servizio e piattaforma cloud, documentando il tipo e la quantità di carburante erogato e fornendo dati certificati sull'impronta di carbonio reale dei veicoli. Inoltre, il DFT facilita il pagamento digitale presso le stazioni di servizio e, dal 2035, potrebbe garantire che i veicoli con motore a combustione interna utilizzino esclusivamente carburanti a zero emissioni, impedendo l'avvio del motore in assenza della documentazione digitale corrispondente. Il DFT si basa su un’architettura aperta, compatibile con i sistemi telematici già presenti a bordo di veicoli leggeri e pesanti. Si tratta di un’innovazione che potrebbe avere un impatto importante nel percorso per la neutralità climatica e che è stata messa al centro del Tour d’Europe, l’iniziativa della filiera automotive europea per promuovere l’uso dei carburanti rinnovabili, grazie all’integrazione della piattaforma nei veicoli partecipanti al Tour. L’obiettivo è dimostrare scientificamente la riduzione delle emissioni climalteranti ottenuta grazie all’impiego di carburanti sostenibili in motori a combustione interna, fornendo anche dati di supporto per le politiche pubbliche.

Attraverso il Tour d’Europe, Bosch e i partner del progetto – costruttori e fornitori di fuels – vogliono dimostrare che

la tracciabilità digitale delle emissioni è già possibile, e che può diventare uno strumento chiave per una regolamentazione più equa e ispirata alla neutralità tecnologica. In particolare, il DFT offre una soluzione concreta per riconoscere il contributo dei carburanti rinnovabili nel ridurre le emissioni dei veicoli già in circolazione, senza attendere la completa elettrificazione del parco auto. Non a caso il prossimo 23 giugno, quanto il Tour terminerà a Bruxelles, insieme ai risultati raccolti verrà presentata anche una proposta per l’integrazione di questi strumenti nei quadri normativi della UE.

"Quando guardiamo allo stato del mondo di oggi, alla nostra crisi globale su diversi livelli, ciò che è più evidente è che nessuno dei nostri principali problemi –energia, ambiente, cambiamento climatico, disuguaglianza economica, violenze e guerre – può essere compreso separatamente. Sono questioni sistemiche, sono cioè tutte interconnesse e interdipendenti. E per capirle e risolverle, dobbiamo cambiare la nostra prospettiva: non considerando più il mondo come una macchina composta da elementi singoli, ma come una rete di combinazioni inseparabili di relazioni.

La visione “frammentata” del mondo ci ha estraniati dalla natura e dagli esseri umani nostri simili. Essa ha provocato una distribuzione delle risorse naturali incredibilmente ingiusta, che crea disordine economico e politico. La separazione operata da Cartesio e la concezione meccanicistica del mondo hanno quindi portato nello stesso tempo benefici e danni; si sono rivelate estremamente utili per lo sviluppo della fisica classica e della tecnologia, ma hanno avuto molte conseguenze nocive per la nostra civiltà.

Perché la vita, dai suoi primordi, più di tre miliardi di anni fa, non ha portato avanti il pianeta con la lotta, il combattimento o la semplice competizione, ma attraverso l’utilizzo di connessioni.

>> Fritjof Capra, I principi sistemici della vita, 2024

RACCOGLIAMO E RIGENERIAMO PER NON LASCIARE IL SEGNO.

Ogni anno noi di CONOU raccogliamo e rigeneriamo oltre 180.000 tonnellate di olio minerale usato, evitando emissioni, risparmiando acqua e proteggendo il suolo. Un ciclo virtuoso che riduce l’impatto ambientale e preserva la natura, senza lasciare tracce. Perché un futuro davvero sostenibile è quello che non pesa sull’ambiente.

L’ECCELLENZA ITALIANA È CIRCOLARE.

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