Trantran 14

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www.trantran.net | n. 14 mensile | 14 dicembre_2010 | Distribuzione gratuita | Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale -70% - CN/RE - n.5/2010

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[ MUSICAL ]

Noemi Smorra: La Lucia de I Promessi Sposi si racconta a Trantran

[ INTERVISTE ]

[ ATTUALITà ]

Igor Cassina, l’oro della Brianza

Maternità e crisi

[ ASTROLOGIA ]

Parla Ada Alberti

La Magia del Medio Oriente

[ MUSICA ]

[ SCRITTURA ]

I dARI: i nuovi pensatori

[ ALTROVE ]

Il racconto di Natale



[ SOMMARIO ]

5 Editoriale Buon Natale a chi... lo soffre

Anno II - numero 14 - 14 dicembre 2010 Editore: Trantran Editore s.r.l. Sede e Redazione: Viale Cesare Battisti, 121 - Vedano al Lambro C.F./P.I./RIMB 06774520966 REA MB1864900 Reg. Trib. di Monza n.1995 del 29/06/2010

In questo numero...

Fondatori Marta Migliardi, Elena Gorla, Adriana Colombo, Guido Bertoni

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Direttore Alfredo Rossi Capo Redazione Marta Migliardi Vice Capo Redazione Elena Gorla Inviata Speciale: Adriana Colombo Redazione Alberto Citterio, Juri Casati, Giulia Cavaliere, Gabry, Claudio, Fabio Paolo, Guido, Niccolò, Gaber, Lorenzo, Sara Tripaldi, Giulia Trapanotti e Fatima Bianchi. Si ringraziano per questo numero Alfredo Viganò, Nonna Giulia, Mary Orfino, Stefano e Ewa Alleva (e tutta la famiglia Alleva), Alessio Ramerino, Maurizio Medici per i suoi bellissimi racconti, Enrico Mason e Alessandro Fais, Eloisa Castagna per la sua gentilezza, Franco e Ada, Alter, i ragazzi/e delle 6 del mattino che distribuiscono Trantran, Stefano Capelli, Valerio Colombo, il computer di redazione Geppetto (mitico), le famiglie e gli animali, tutti gli amici che non vediamo mai a causa del lavoro e che ancora ci sopportano, Dominga e Asia (malgrado l’odore dei cani) Spillo che russa in redazione (alla faccia di chi lavora) e, come sempre, Alice (senza la cui esistenza tutto ciò non sarebbe possibile), l’ENPA sez. Monza e Brianza e Juliet Barry, tutti i cani, gatti & co che passeranno il Natale in canile… a tal proposito: regalate adozioni a distanza! Buon Natale a tutti!

Sede Via Degani, 1 - 42124 Reggio Emilia (RE) Tel. 0522.232092 - 926424 - Fax 0522.231833 info@eridania-editrice.it - www.eridania-editrice.it Filiale Via Betty Ambiveri, 11 - 24126 Bergamo Stampa Grafiche2000 - Cassinetta di Lug. (MI) Tiratura 14.000 copie È vietata la riproduzione di testi, grafica, immagini e impostazione. Eridania Editrice s.r.l. non si assume nessuna responsabilità diretta e indiretta sull’esattezza dei dati e dei nominativi contenuti nella presente pubblicazione, nonchè sul contenuto dei testi, degli slogan, sull’uso dei marchi e delle foto da parte degli inserzionisti.

SpazzaTour... I dARI

Una vita fra le stelle: Ada Alberti, vita da astrologa fra studio e passione

13 Bis! 13 Noemi Smorra:

io che non vivo senza amore e teatro La befana vien di notte...

Arturo Fiesta Circo: l’inimitabile orchestrina e un’intervista via mail

19 Altrove

L’indimenticabile sapore del Medio Oriente

23 In cuccia

Adozione a distanza: un gesto di amore vero

24 Verdissimo

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Per contattarci

Direttore Responsabile e Amministratore Unico Genesio Ferrari

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Pigne e muschio: non solo a Natale!

Noemi Smorra (foto gentilmente concessa dall’attrice stessa)

Progetto grafico, impaginazione, raccolta pubblicitaria

7 Clochart 7 Igor Cassina... l’oro della Brianza

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Foto di copertina

direzione@trantran.net redazione@trantran.net trantran@trantran.net raccontiamoci@trantran.net segreteria@trantran.net

6 Spunti di vista Una madre e un figlio, nulla di più... (anche a Betlemme)

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25 Brigantia

Sulle tracce della Monaca di Monza - 2^ parte

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soloMonza I segreti dello chef

I cappelletti di nonna Giulia

Reality Raccontiamoci

Non è un paese per donne Mathitya e il giorno dei sogni

L’angolo del pendolare

I nuovi controllori Lettere dei lettori

35 Di tutto un pò

Texas Hold’em: organizzare un torneo casalingo

37 Buon (ultimo?) anno! 38 Dalla Provincia

Seconda rassegna organistica della Provincia di Monza e Brianza

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39 Dal Comune

Natale con i Custodi Sociali

40 Sportivamente

Orienteering: lo sport di orientamento anche a Monza!

41 Le sciure 42 Ci vediamo presto


B&B HOTELS a Monza libertà al cliente in stile econo-chic! Innanzitutto non fatevi trarre in inganno dal nome: B&B non significa solo Bed & Breakfast ma è anche e soprattutto il nome della catena alberghiera, giunta finalmente dalla Francia (dove è una realtà di successo presente da oltre vent’anni) anche in Italia, che unisce un design pratico e lineare a prezzi economici, laddove “economico” non è sinonimo di bassa qualità o scarsi servizi ma una filosofia che viene incontro a tutte le esigenze del viaggiatore moderno. C’è tutto quello che serve, insomma: una stanza pulita, organizzata bene, con climatizzatore, un bagno bello e perfettamente funzionale (dotato di asciugacapelli), telefono a linea diretta e un televisore 26 pollici a schermo piatto. Com’è possibile tutto questo? Questione di scelte di modelli e di organizzazione, ci spiega il presidente della B&B Hotels Italia, Jean Claude Ghiotti, come, ad esempio, una selezione accurata di materiali moderni e facilmente pulibili. Noi di Trantran siamo andate a visitare il B&B di Monza per toccare con mano questo nuovo e innovativo stile di ospitalità. Innanzitutto la posizione: il B&B di Monza si trova vicino alla Villa Reale e al centro della città, ma è anche collegato alle maggiori arterie stradali, quindi facilmente raggiungibile da tutti gli aeroporti e autostrade. Perché noi tutti sappiamo bene che la comodità della location, oltre che la qualità dei servizi e la funzionalità delle camere, è fondamentale per un soggiorno agevole, sia che si tratti di lavoro che di vacanza! E l’attenzione alla location è una caratteristica che unisce tutti i B&B, più di 220 hotel presenti non solo in tutta Europa ma anche in Italia (oltre che a Monza, infatti, sono presenti altri B&B anche a Firenze e Padova e, entro la fine del 2011, la catena vedrà nuove aperture in tutta la penisola). L’ambiente è moderno e minimalista, colorato (ogni piano ha un colore di riferimento diverso) ma elegante nella sua essenzialità e, in onore del Gran Premio di Monza, alle pareti, i rendering della città e del circuito automobilistico. Sembra proprio che quest’albergo sia stato ideato pensando con la testa di chi viaggia per lavoro, ma anche per le famiglie, le coppie, i turisti in generale. La libertà di disdire la propria prenotazione fino alle 19.00 dello stesso giorno d’arrivo, Wi Fi ( di modo che sia possibile lavorare o connettersi a internet anche dalla camera) e Sky gratuiti, reception sempre aperta e, prossimamente, anche un codice personale del cliente che gli permetterà, dopo aver acquistato il soggiorno online, di accedere alla camera senza passare dalla reception. Dimenticatevi, quindi, le fastidiosissime trafile burocratiche che spesso tormentano i vostri arrivi o le vostre partenze presso la maggior parte degli hotel. Il successo della B&B è dato anche dal ser-

vizio, ovvero dall’atteggiamento del personale che gestisce gli alberghi: un’accoglienza cordiale e amichevole. La disponibilità è, infatti, un altro cardine della filosofia dei B&B, che la differenzia da tante altre catene. Per tutti questi motivi è fortissima la fidelizzazione degli ospiti che tornano sempre a soggiornare nei B&B. Tutte le mattine, inoltre, potrete ristorarvi con un’abbondante colazione continentale, che include un’offerta di dolce e salato, oltre ad una vasta gamma di bevande, calde e fredde. A disposizione 24 ore su 24 anche un corner shop dove gli ospiti possono acquistare bevande e snack, pagando direttamente senza scomodi addebiti sul conto della camera. Forse non è elegante parlare di prezzi, ma dopo avervi descritto servizi, design e ospitalità vi sembra che sia poco poter usufruire di tutto questo a soli 55 euro a camera? Non bisogna essere addetti ai lavori per rimanere piacevolmente sorpresi da questo dato di fatto, che certamente ci fa riflettere su come, spesso, paghiamo in più solo ciò che è superfluo, perché, credeteci, al B&B di Monza non manca proprio niente per un piacevole soggiorno!


[ EDITORIALE ]

[ Il Direttore ALFREDO ROSSI foto di Gabriele Benini ] Natale è tempo di tante cose: luci, colori, emozioni, auguri, regali da fare e da ricevere, traffico, alberi da addobbare, presepi da recuperare in cantina, menù da preparare o da acquistare... Natale è tutto questo e molto altro ancora, anche secondo il proprio credo religioso e il proprio senso della famiglia. Ma Natale è anche il tempo della tristezza, una tristezza malinconica che colpisce chi non è più bambino, cioè ha già fatto la quinta elementare, o non ha più bambini che stanno frequentando le elementari: è una tristezza molto lieve, facile da soffocare, ma che viene a tutti e che anche se allontanata, si ripresenta. Provate a pensarci: sicuramente è venuta anche a voi, almeno venti volte e sempre nel periodo delle feste di fine anno. I motivi sono diversi. Gli psicologi spiegano che siccome il Natale è la festa dei bambini e degli affetti può portare alla coscienza ricordi passati, pieni di felicità (spesso più compiuta di quella presente) e, come tali, malinconici. E inoltre è la quasi certezza che non riusciremo più a essere spensieratamente felici come allora che ci mette in crisi. Ci sono i medici che danno un’altra spiegazione: dicembre è il periodo dell’anno in cui le giornate sono più corte e quindi viene meno quella stimolazione luminosa che ha, come ormai è assodato da tanti studi scientifici, un’azione benefica sul nostro umore. I raggi luminosi stimolano il nervo ottico e regolano così la produzione di determinati ormoni che influiscono

Buon Natale a chi... lo soffre Gli psicologi spiegano che siccome il Natale è la festa dei bambini e degli affetti può portare alla coscienza ricordi passati, pieni di felicità (spesso più compiuta di quella presente) e, come tali, malinconici sui nostri ritmi, vale a dire il sonno, l’appetito, la risposta immunitaria e anche la sfera sessuale. C’è anche il fatto che più dell’ultimo dell’anno, reso obbligatoriamente euforico dallo spumante o dallo champagne, è il periodo natalizio quello

dei bilanci sulla propria vita. E, se si è onesti, il bilancio non è mai del tutto positivo, visto anche il fatto che l’essere umano è per sua natura incontentabile. Tutto questo può concorrere alla malinconica tristezza natalizia. Ma non è niente di tragico: questo tipo di tristezza si può cercare di combatterla, riconoscendola e vincendo l’isolamento che può sembrare, in quella particolare situazione, la medicina più logica per “guarire”, forti anche della consapevolezza di non essere davvero i soli a soffrire di cambiamenti dell’umore apparentemente tanto in contrasto con il periodo delle festività. L’importante è che questo stato d’animo non si trasformi in una vera e propria depressione, una delle malattie più subdole e pericolose di questo nostro tempo. E allora, auguri di buon Natale e di buon anno a tutti, anche a chi... soffre gli auguri, da parte di tutta la redazione di Trantran. Alfredo Rossi P. S. Auguri anche a tutti i vostri amici a quattro zampe: se volete un consiglio, provate a vincere la malinconia con un animale. Vi aiuterà eccome, anche se è giusto sappiate che dovrete occuparvi di lui, sempre. Ma occuparsi, magari anche sbuffando, di un essere vivente, animale o uomo che sia, è sempre meglio che affogare nella malinconica tristezza.


[ SPUNTI DI VISTA ]

Una madre e un figlio, nulla di più... (anche a Betlemme)

La maternità oggi fra crisi dell’individuo e crisi economica [ di Elena Gorla ] La maternità nel mondo contemporaneo è una cosa strana. Se nell’arco della lunga storia dell’umanità l’essere madre, il fare figli, è sempre stata la cosa più naturale del modo in quanto fondamento stesso del mondo nel suo divenire, oggi la maternità sembra avere perso quasi del tutto la sua naturalità. La componente animale insita nel meccanismo biologico della riproduzione è stata del tutto (almeno nel mondo occidentalizzato) mascherata tramite una serie di sovrastrutture, sociali, culturali, economiche e intellettuali. Le donne sono le principali artefici di questa inversione di tendenza che se, sotto molti aspetti le ha liberate dall’immagine cristallizzata nei secoli che considerava inscindibile il binomio donna/madre, ha, però, anche aperto in loro, liberando la loro essenza in un’ottica possibilista, il dilemma della scelta, tanto più amletico poiché gravato da una dose di responsabilità individuale, sociale e culturale sconosciuta in epoche in cui il fare figli era semplicisticamente uno sbocco naturale dell’essere donna. Le donne, che dopo millenni si sono faticosamente riappropriate della loro particolarità individuale, del loro diritto a gestire e scegliere i propri corpi e il proprio ruolo nella società, come spesso accade, sono rimaste vittime di un sistema che, nella scelta di essere anche madri, le ha isolate. Il punto di vista della collettività, infatti, è in proposito molto ambiguo e tale ambiguità traspare in modo subdolo leggendo fra le righe delle cronache giornalistiche. Un esempio di questo fenomeno è l’uso del termine giovane madre nelle pagine dei quotidiani: una sinistra aura di negatività ammanta questo termine che in passato avrebbe istintivamente richiamato alla mente immagini di tenerezza e dolcezza. Oggi non è più così. Al termine giovane madre le cronache spesso abbinano immagini di disagio sociale e degrado culturale a corollario degli avvenimenti spesso nefasti che vedono coinvolte le giovani madri in questione. Giovane madre: sottocultura, gravidanza non calcolata, incapacità di accudire la prole per immaturità o situazione personale ed affettiva disordinata, inadeguatezza al ruolo, intervento dei servizi sociali….queste le immagini moderne di giovani madri. E non c’è da stupirsi di questa trasformazione: quale donna oggi, che abbia una formazione culturale accettabile,

Namibia - Donna himba con bimbo Foto di Roberta Miti

che viva in un contesto sociale non degradato, che studi o lavori tenacemente per costruire la propria indipendenza economica potrebbe mai scegliere di avere un figlio prima dei trent’anni? Questa diffusa opinione traspare dalle parole di un sistema mediatico ad impronta fortemente maschilista, che considera naturale l’abdicazione femminile alla più naturale forma di femminilità biologica. L’attuale sistema non considera la crisi (conscia o inconscia) dell’universo femminile posto di fronte alla scelta di essere o non essere madre, di rimandare, di aspettare, di calcolare, di mediare con la ragione quello che è e resta, al di là di ogni sovrastruttura, un istinto biologico naturale. La maternità è una realtà carica di sfumature emotive che oscillano immancabilmente dalla felicità più alta al terrore. Nella visione che spesso ci viene proposta della madre moderna, invece, le sfumature vengono appiattite. Forse, alla base di quest’atteggiamento, sta la convinzione dell’assoluta necessità di tutti i fronzoli che sembrano parte fondamentale della maternità: merletti, carrozzine, abitini alla moda, latte in polvere, sofisticate apparecchiature capaci di monitorare costantemente il battito cardiaco ed il respiro del neonato durante il sonno, sonaglini e pupazzetti rigorosamente atossici, bagnetti ergonomici dal brevetto olandese studiati per ricreare le piacevoli suggestioni dell’utero materno… e via dicendo, in un elenco pressoché infinito di gadget “indispensabili” a neo mamme e neonati

in cui spesso la realtà supera l’immaginazione. Ovvio, dunque, supporre che una giovane senza grandi capacità economiche sia automaticamente inadatta al ruolo che deve ricoprire mentre una giovane dalla carriera luminosa sia naturalmente più idonea al compito che potrà svolgere senza rinunciare agli impegni professionali grazie ad un massiccio impiego di tate variamente distribuite nell’arco delle 24 ore. Il problema del lavoro, della carriera, è dunque superabile dove una forte disponibilità economica permetta di sopperire ai limiti insiti nella condizione di neo mamma. Dove si possa delegare ad altri la cura del neonato diventa giusta e accettabile la scelta di maternità, in caso contrario la società contemporanea reputa naturale la scelta della donna di rimandare la maternità a un’epoca della vita in cui si sia raggiunta un’indipendenza economica più stabile alla quale viene fatta ipocritamente corrispondere una sorta di maturità mentale. Eppure quando una donna, superata la soglia dei quaranta, forse domandandosi per quanto ancora le sia biologicamente possibile temporeggiare in attesa di tempi migliori, decide di lanciarsi nell’avventura di essere madre, lo stesso sistema che ha implicitamente favoreggiato lo slittamento in avanti dell’ “età giusta per fare figli”, grida allo scandalo di una gravidanza dopo gli ‘Anta. Un meccanismo senza vie di fuga. Non si considera in questo modo di ragionare che, in fondo, tolti tutti gli orpelli della maternità, ciò che resta in tutti i casi, agiati e disagiati, troppo giovani o troppo in là con gli anni che siano, è molto più semplice e bello: una madre e un figlio, nulla di più. Ogni differenza si annulla nella semplicità e nella forza di questo binomio e, a ben guardare da questo punto di vista, potrà sorgerci anche il dubbio che una madre povera in canna possa amare e accudire il proprio figlio tanto quanto una regina, che una giovane dalla carriera lanciata nello show business possa scegliere di rinunciare alle luci della ribalta per il semplice desiderio di occuparsi personalmente del proprio bambino. Al di là dei tempi e dei luoghi, dei loro visi e dei loro abiti, le donne, nel loro essere madri, nelle difficoltà che questo comporta, nei timori, nei dolori, nelle scoperte e nei sorrisi dei propri figli sono tutte magicamente uguali, nell’atemporale essenza dell’essere.


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Igor Cassina:

l’oro della Brianza [ di Marta Migliardi ] Non capita tutti i giorni di trovarsi faccia a faccia con un atleta di importanza mondiale come Igor Cassina: medaglia d’oro alla sbarra alle Olimpiadi di Atene 2004, nominato successivamente ambasciatore ONU (ambasciatore di buona volontà). Un esempio concreto per i giovani, ma non solo. Un esempio di costanza, impegno che sottolinea l’importanza dello sport anche nell’ambito sociale, un interscambio, insomma, tra sport e società. Come lui stesso affermò: “Ottenere un bel risultato non dipende solo da noi stessi, ma anche da tutto quello che ci circonda”. E infatti, questo meraviglioso atleta non smette mai di ringraziare la sua famiglia e la sua città, Meda, dimostrando un attaccamento a valori sani, valori che spesso, perdonatemi la demagogia, vengono dimenticati o dati per scontati. Lo incontriamo proprio a Meda, nella palestra dove si allena quotidianamente, in vista delle prossime Olimpiadi di Londra 2012. Invadiamo il suo spazio per una mezz’oretta con telecamere, microfoni

e tacchi poco appropriati a calpestare tappetini da ginnasti, eppure lui, serenamente, si presta a questa nostra piccola rivoluzione, con il sorriso e la gentilezza tipica dei grandi. E per grandi non intendo persone anziane, intendo quei pochi che hanno raggiunto i propri obiettivi, con sacrifici e dedizione, ma che hanno mantenuto la cortesia e la gentilezza tipiche di sensibilità al contempo raffinate e semplici, di chi insomma, pur nel successo, ha mantenuto l’umiltà e la voglia di migliorarsi sempre. Guardando il tuo sito www.igorcassina. it appare evidente il forte legame che, da sempre, ti unisce alla tua terra d’origine, la Brianza. Gareggiando hai girato il mondo intero, ma le foto caricate sul tuo sito ritraggono Meda, gli amici di sempre e la famiglia. Cos’è per te la Brianza? Io sono nato a Seregno e risiedo a Meda. Ci sono legato perché è la mia terra d’origine ed ho una famiglia che mi ha sostenuto in tutti questi anni. Ma anche Meda, il mio comune, e i miei concit-

tadini sono sempre stati vicini e mi hanno sempre sostenuto con il loro tifo, nonostante, magari, ogni tanto le cose potevano non andare bene. Con il mio attrezzo, la sbarra, può capitare di non rimanere agganciati e cadere per terra, quindi fino a quando vinci le cose vanno bene, se si sbaglia può accadere che non ci sia più quella riconoscenza nei tuoi confronti. Invece devo dire che i miei concittadini mi hanno sempre capito e supportato. Anche perché qui c’è una forte tradizione della ginnastica artistica e forse proprio per questo capiscono le difficoltà di quello che io e i miei compagni facciamo. La medaglia d’oro olimpica che ho vinto il 29 agosto 2004 mi ha fatto acquisire tanti crediti e pertanto, anche se ogni tanto le cose non vanno alla perfezione, la gente si ricorda sempre di quel bell’evento… Questo però, ci tengo a dirlo, non vuol dire che adesso vivo sugli allori o di rendita, anzi ci si impegna ancora di più per cercare di dare sempre nuove soddisfazioni! Ci hai giustamente parlato della meraviglio-


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sa medaglia d’oro di Atene, riallacciandoci a questo, come si gestiscono le emozioni in quei momenti così importanti? Nello sport in generale, in particolare nella ginnastica artistica, dove ci presentiamo a una giuria, e l’esercizio dura al massimo 40 o 50 secondi e ti prepari per tante ore e tanti anni per cercare di realizzare un tuo sogno e si ha solamente una possibilità, un tentativo. In caso d’errore non possiamo risalire sull’ attrezzo e rifare l’esercizio. Ovviamente la concentrazione deve essere al massimo. In uno sport molto tecnico, come il mio, non serve fare né tanto in più né tanto in meno, bisogna fare il giusto, proprio perché è una questione di millesimi di secondo. Questi gesti tecnici così estremi, da realizzare in brevissimo tempo, richiedono che la nostra attenzione sia completamente focalizzata all’esercizio da eseguire: devono scattare quegli automatismi che sono necessari, nonostante la tensione e il momento cruciale legato alla gara. Bisogna essere estremamente attenti e questo lo si può fare solamente allenandosi costantemente, tutti tutti TUTTI i giorni!! Hai iniziato con la ginnastica giovanissimo e la ginnastica, sicuramente ti ha dato molto. Ti ha rubato anche qualcosa? Io ho iniziato a 5/6 anni a fare questo bellissimo sport, grazie a mia sorella Mara, che già lo praticava. Certo, il mio sogno, sin da piccolo, era quello di vincere una medaglia importante, o un

mondiale o un’Olimpiade, e ho fatto tutto in funzione di questo, se dovessi ritornare indietro è fuori discussione che rifarei tutti gli stessi passi, magari anche meglio, però, certo, qualche rinuncia ho dovuto farla. Oggigiorno mi rendo conto che le amicizie ho dovuto trascurarle un pochino perché, comunque, quando andavo a scuola, oltre ad allenarmi, dovevo fare i compiti e non potevo andare con gli amici in giro, o a giocare a pallone…le ore sono 24 durante la giornata ed andando 2 volte al giorno in palestra e a scuola, non è stato facile conciliare il tutto. Oltre che per l’oro olimpico, sei entrato indelebilmente nella storia della ginnastica per il tuo irripetibile Movimento Cassina. Qual è il segreto di questo movimento? Se sono riuscito a realizzare il mio obiettivo di vincere una medaglia importante è ovviamente grazie alla famiglia, grazie al mio allenatore e grazie al Movimento Cassina! E’ stato un movimento ideato proprio con il mio allenatore e la federazione internazionale ha riconosciuto l’originalità, quindi dal 2001, dai campionati del mondo in Belgio, avendolo presentato come primo ginnasta al mondo, la federazione internazionale ha riconosciuto la valenza originale del movimento e gli ha dato il mio nome: un movimento molto complesso che vale addirittura 6/10, quindi è la massima difficoltà che al momento si può proporre in gara. Ci sono due ginnasti che l’hanno

presentato nell’ultima edizione dei campionati del mondo, quindi, da un certo punto di vista mi fa piacere che qualcuno, dopo tanti anni, abbia provato a eseguire il movimento ed è da stimolo per cercare di portare sempre nuove innovazioni a questo sport, anche se è difficile perché effettivamente siamo arrivati quasi al limite delle possibilità umane con gli attrezzi, però è un movimento che rimarrà nella storia e grazie al quale ho potuto realizzare tanti miei sogni. Sei stato inviato a Quelli che il Calcio, sei stato protagonista di Ballando sotto le stelle: come sono state quelle esperienze in Tv? Ti sono piaciute o è un capitolo chiuso? Grazie ai miei risultati sportivi ho avuto la fortuna di conoscere un ambiente, un mondo che la maggior parte delle persone, come il sottoscritto prima di vincere le Olimpiadi, conosceva solo dal divano di casa! La mia è stata una bella esperienza, ho conosciuto delle persone stupende. Arrivando dallo sport il mondo dello spettacolo ti può anche scombussolare un pochino perché l’impostazione e la gestione è totalmente diversa. Però mi sono divertito da Ballando con le stelle a diverse comparsate fino a Quelli che il calcio, con Simona Ventura che ringrazio perché mi ha sempre seguito, anche negli ultimi campionati del mondo, e mi ha portato anche fortuna. Anche Milly Carlucci è una bellissima persona, quindi sono stato bene e fortunato nell’incontrarle. E non lo dico per ruffianeria: oltre che per carattere, non sarebbe mio interesse farlo, dal momento che sono uno sportivo e attualmente quello di fare ginnastica artistica è il mio lavoro. Diciamo che non chiudo le porte davanti a niente anche perché il mio obiettivo è quello di arrivare a Londra 2012, dopo di che credo che dovrò pensare a quello che vorrò fare nella vita quindi non si sa mai: magari potrei avere anche un ruolo in televisione. Le esperienze che ho avuto in quell’ambito mi hanno comunque gratificato e dato soddisfazione! Saluta i nostri lettori di Trantran… Grazie a voi per la bellissima ospitalità che mi avete dato, un grandissimo in bocca al lupo a tutti voi di Trantran e… ce la faremo insieme! Forza!!!


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SPAZZA TOUR: i dARI [ di Marta Migliardi ] Dario, Fabio, Cadio e Fasa. Questa volta c’erano tutti quanti. Siamo andati a trovare i dARI presso la loro casa di produzione in un freddo ma assolato pomeriggio di fine novembre. Li avevamo già incontrati, qualche mese fa, in occasione del concerto di Alberto Camerini a Sesto San Giovanni, che, infatti, si era rivelato un loro grande estimatore, definendoli al pari dei mitici Duran Duran. E per una fanatica degli anni 80 come me, la parola di Camerini e il suddetto paragone sono stati lo stimolo per approfondire la conoscenza di questa band elettropunk (come loro stessi si definiscono) o emotronik (elettronica

emozionale). Come spesso accade quando si fa rumore, quando si riscuote successo, c’è chi li ama e chi li detesta. C’è chi li ha definiti dei pensatori (la critica musicale Marinella Venegoni) che “tentano di raccontare lo smarrimento della crescita in un universo carente di punti di riferimento, le delusioni della vita quotidiana e stigmatizzano persino la televisione... “ e chi li ha accusati di essere solo un mero prodotto commerciale. Io, che vivo la musica da profana, o, come diceva Simona Ventura durante la prima edizione di X Factor, “di pancia”, devo dire che sono stata conquistata da questa band. Ho ascoltato i loro cd e le loro parole spes-

Istruzioni per l’uso per una fan sopra i trent’anni… so gergali, arrabbiate, spaesate e non sempre coniugate come farebbe un professore. Ma nessuno, in fondo, si aspetta da loro quel tipo di poesia. La poesia che io ho visto nei dARI è quella di un’intelligenza creativa, irriverente, quella che anche noi, oramai trentenni, avevamo quando volevamo cambiare il mondo, o anche solo lamentarci di qualcosa. Non lasciatevi, quindi, trarre in inganno dallo slang, dal linguaggio proprio della loro generazione che non è per forza sinonimo di pochezza ma, al contrario, racchiude un universo emotivo intenso e intelligente. In fondo, si tende sempre a sottovalutare la contemporaneità, salvo poi, come accadde anche a Camerini, diventare


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mitici dopo molti anni di carriera. Molti, per lo più invidiosi, credevano che questa band non avrebbe avuto lunga vita, credevano che sarebbe stato il solito tormentone lampo. Precisi e professionali, pur mantenendo spontaneità e la gentilezza, questi quattro ragazzi di Aosta, invece, si sono pienamente guadagnati il loro spazio nel panorama musicale italiano. E possono piacere anche a chi, come me, non ha più 15 anni. I dARI saranno in tour anche a gennaio con una seconda trance del loro Spazza Tour, di cui ci parlano in questa intervista… Questo vostro nuovo tour segue l’uscita del vostro ultimo album “In Testa”. Spazza Tour, perché questo nome? Dario: Intanto ci piaceva come suonava, e poi gli abbiamo dato un significato particolare. Nella società di oggi, se pensiamo alla coscienza sociale, spesso viene buttata nell’immondizia, quindi noi abbiamo voluto portare un messaggio di sensibilizzazione… Il maggior pregio e il peggior difetto della società in cui viviamo oggi? Fabio: Secondo noi il maggior pregio e il maggior difetto di oggi si incontrano in quello che è l’utilizzo delle nuove tecnologie e del progresso, quindi internet e i social network più che mai. Tutte queste cose sono estremamente positive da un lato e ugualmente negative dall’altro. Fanno senz’altro scoprire alle persone dei nuovi modi di porsi, di presentarsi e di esprimersi, e la gente, è risaputo, ci passa un sacco di tempo, però allo stesso modo diventano dei contenitori dov’è difficile capire cosa sia eticamente giusto e sbagliato e quindi c’è il rischio, a volte, di inciampare in questi meccanismi. La tecnologia bisogna saperla usare a proprio vantaggio, che può essere davvero un modo utile anche per poter esprimere le proprie opinioni. Però non va usata in maniera superficiale, come ci capita spesso di osservare, perché si possono creare dei malintesi che sono difficili da riparare. Di recente avete vinto gli MTV Music Award come Best Look: quanto c’è di genuino e quanto di costruito nel vostro modo di apparire? Cadio: Fortunatamente di studiato non c’è nulla, nel senso che ci siamo sempre definiti persone che hanno attenzione al proprio look, ma singolarmente, per il proprio piacere personale, quin-

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di ognuno di noi ha il suo modo di vestire che è completamente autonomo rispetto a quello degli altri. Infatti, alcune volte, “cozziamo” un po’ insieme, siamo un mix ben assortito! Però è forse anche questo che ci caratterizza, nel senso che per lo meno noi non abbiamo mai pensato ad avere un look di gruppo, ma indossiamo quello che più ci rappresenta singolarmente. Proprio per questo Fabio, il giorno in cui abbiamo vinto il Best Looking, ha detto, nel suo discorso, che ognuno deve vestirsi come gli piace. Perché il sentirsi rappresentato da quello che indossi, è il modo giusto per porsi anche nei confronti degli altri: quindi fatelo anche voi! Molte delle vostre fan sono giovanissime: vi sentite la responsabilità di dover essere per loro un esempio, sia per quanto riguarda la vostra vita privata, sia per ciò che concerne la stesura dei vostri testi? Fasa: Sicuramente abbiamo una responsabilità per i messaggi che lanciamo e che vengono recepiti da questo pubblico giovane. Ma, comunque, non abbiamo solo questo tipo di pubblico! Credo che siano importanti i messaggi che lanciamo tramite le canzoni, la vita privata, invece, rimane tale! Chiaramente cerchiamo di essere un buon esempio sempre! Cosa ne pensate dei talent show? Dario: La mia idea è che siano, al momento, una realtà. Non dovrebbero essere l’unica realtà perché crediamo che ne esistano di svariate, musicalmente parlando, in altrettanto svariati ambiti. Purtroppo oggi si tende a pensare che quella dei talent show sia l’unica strada possibile per intraprendere la carriera del cantante o dell’interprete. Io credo che, oggi, in Italia, ci sia più bisogno di bravi compositori. Abbiamo bisogno di gente che scriva canzoni, canzoni nuove! Il top, comunque, sarebbe quello di poter mantenere vive tutte le realtà: ovvero quella delle band che suonano nei garage e che scelgono di intraprendere un percorso differente e anche quella dei talent. Due strade che tendono comunque a un unico fine: riuscire ad esprimersi e a comunicare. Voi un talent Show non l’avete fatto per scelta o per caso? Cadio: Non c’erano all’epoca, e poi non aveva senso! Noi ci siamo trovati dentro il mondo musicale attraverso un’altra strada, che per noi è sta-

ta quella giusta. Io credo che l’ambito sia molto importante. A volte guardando i reality vediamo qualcuno e pensiamo: è perfetto per quel tipo di spettacolo! E probabilmente al di fuori di quel contesto non avrebbe le stesse possibilità. Noi ci sentiamo una band live che suona, scrive le proprie canzoni e che ce la fa senza avere bisogno di quei supporti televisivi, dei talent show, ma, ripeto: ben vengano! Fasa: (ndr ride) E poi non ci avrebbero mai preso! A parte gli scherzi Amici o X Factor propongono bellissime voci ma non tanto di artisti! Vasco Rossi non l’avrebbero mai preso a un talent! Ma neanche i dARI! Sono senz’altro delle belle voci ma, secondo me, da lì a essere dei veri autori ce ne passa… Rimane il fatto che sono ragazzi come noi e fanno bene a rincorrere i loro sogni. Torniamo allo Spazza Tour: suonate nei teatri, quindi è anche un contesto un po’ particolare. Com’è andato il vostro “debutto in teatro”? Fabio: Il debutto è stato fantastico e carico di energia positiva! Lo Spazza Tour è iniziato l’11 novembre ad Aosta, quindi nella nostra città, e c’è stato un momento in cui ci siamo guardati e ci siamo proprio resi conto che stavamo respirando una tensione, un’emozione, che mancava da un bel po’ di tempo. Anche il fatto di cominciare dalla nostra città è stato significativo. Paradossalmente ci troviamo sempre fuori sede, fuori dalla nostra regione. Il teatro è fantastico, è un palco diverso, molto suggestivo e che ti dà tanto. E’ stato bello anche ricevere tutto il calore del pubblico, forse proprio perché in un ambiente come il teatro diventa tutto più intimo. Tutto questo ci ha dato molta carica, tant’è che è stato un crescendo anche nelle date successive a Torino e Verona. In realtà avevamo già fatto esperienze in teatro e avevamo visto che la gente partecipava, era contenta e incuriosita di vedere una band elettropunk come noi in un contesto come quello teatrale. L’esperimento ci piace e oltre alla musica riusciamo a unire un aspetto visivo, costituito da parecchi schermi che proiettano immagini che raccontano un po’ anche la nostra storia durante lo spettacolo. Lo Spazza Tour continuerà anche a gennaio, dove faremo una seconda trance (si veda il sito sempre aggiornato www.dariforce.com) Vedi l’intervista integrale su www.trantran.net


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Una vita fra le stelle: Ada Alberti, vita da astrologa fra studio e passione [ di Adriana Colombo ] A ridosso delle festività natalizie tutti iniziamo a stilare una lunga lista di propositi per l’anno nuovo sulla base dai nostri desideri di miglioramento ma anche, più ipocritamente, sui nostri timori per il futuro. Come sarà il 2011? Cosa possiamo fare per prepararci al meglio ad affrontarlo? Interrogativi e timori molto diffusi tanto da indurre la quasi totalità degli italiani a correre in libreria alla ricerca di un aiuto da parte delle stelle. L’astrologia, specie in questo periodo dell’anno, è una risorsa alla quale tutti vogliono attingere alla ricerca di moniti e consigli. Ma al di là delle ricettine di vita confezionate segno per segno, cos’è realmente l’astrologia e quale supporto può dare alle nostre vite? Lo chiediamo ad Ada Alberti, astrologa nota a molti per le sue numerose apparizioni in TV, che allo studio di questa complessa ed antica disciplina ha dedicato, sorretta da una grande sensibilità e passione, l’intera vita. Ada Alberti: giornalista, laureata, da dove nasce la tua passione per l’astrologia? La passione per l’astrologia per me è una questione di famiglia da generazioni: mio padre è astrologo, mia zia è astrologa e anche mio zio è astrologo. Io non credevo nell’astrologia, poi, dato che adoro mio padre, ho sempre seguito tutto quello che lui ha fatto nella vita e l’ho fatto anch’io: però, questa cosa dell’astrologia, proprio non mi andava giù! Pensavo che fosse impossibile, solo attra-

verso dei dati, dei numeri (come giorno, mese, anno, luogo e ora di nascita) potere conoscere la vita di un individuo. Ho sempre creduto di più ai fenomeni paranormali, non all’astrologia che è una cosa scritta. Mio padre, però, un giorno mi chiese: “ma tu hai mai letto qualcosa in merito?” Io risposi di no e così mi regalò un libro sulla storia dell’astrologia e mi disse: “quando l’avrai letto, forse, potrai parlare con me!”. Per me fu una batosta. Lessi il libro e rimasi basita e affascinata da tutto quello che c’era scritto, ma non volevo darla vinta a mio padre chiedendogli aiuto nella spiegazione degli aspetti matematici legati alla disciplina. Quindi mi rivolsi un’insegnante di matematica, perché io ero una frana in matematica ma nell’astrologia il calcolo e gli aspetti, per così dire, matematici sono molto importanti. Così tutto ebbe inizio. Cominciai con lo studio del mio quadro astrale, fui la mia prima cavia, poi proseguii con quello delle mie insegnanti del liceo e... insomma sono ancora qua a parlare di astrologia, avevo 15 anni e adesso ne ho 48! Ti capita spesso di essere fermata dalle persone che ti chiedono, come se tu fossi un oracolo, “dimmi il mio futuro”? Capita ovunque. Prima, per esempio, guardavo un paio di scarpe in una vetrina e sono stata praticamente assediata da persone che mi chiedevano il loro oroscopo. Questo succede praticamente sempre. Ci spiegheresti il lavoro che c’è dietro un

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[ CLOCHART ] vero oroscopo? Tralasciamo gli oroscopi giornalieri, fatti alla radio o alla televisione, dietro i quali c’è comunque uno studio bello tosto ma che non sarà mai paragonabile ad un oroscopo personale… Il quadro astrale personale è la fotografia del cielo al momento della nostra nascita e lì, c’è la nostra vita che è legata anche alla vita dei nostri famigliari, dei nostri mariti, lì puoi vedere tutto. La cosa che io trovo più interessante (perché il sapere se ti sposerai o no io la definisco astrologia spicciola), la vera astrologia, è la ricerca del sé: chi siamo, dove andiamo, da dove veniamo. È, semplificando, come andare da uno psicologo ed essere analizzati: ovviamente quest’esempio è una semplificazione spicciola, perché, in realtà è una cosa molto profonda e complessa, ma riuscire a sapere chi siamo è molto importante per la direzione che potremo prendere nel nostro futuro. Il quadro astrale è una traccia della nostra vita che esiste già al momento della nostra nascita poiché siamo noi che l’abbiamo scelto: siamo noi che decidiamo dove e da chi nascere e trascorrere la vita che viviamo. Siamo, infatti, noi stessi a creare quei “nodi” o punti in cui improvvisamente soffriamo…sto sovrapponendo troppi piani, questo perché mi occupo anche di astrologia karmica. Cos’è l’astrologia karmica? L’astrologia karmica è una disciplina attraverso la quale puoi sapere in quale paese hai vissuto, che segno zodiacale eri in una vita precedente. Io inizialmente non credevo nemmeno nell’astrologia karmica perché pensavo e che nel momento in cui mi avesse detto che “ho vissuto in India” non avrei potuto smentirla o confermarla, invece, attraverso lo studio, mi sono resa conto che realmente ti dice tutto quello che hai fatto nelle vite precedenti. Poi dalla base di ciò che eri ed hai fatto nei tuoi passati puoi comprendere il perché della tua vita attuale: da ciò che stai scontando a ciò che farai. Sembra quasi di sfogliare un libro le cui pagine siano state scritte da qualcuno che ti conosce bene: è straordinario! Quindi, ritornando a quei famosi “nodi” che indicano la sofferenza noi sappiamo di doverli affrontare per poter fare il grande salto ed evolverci come anima. L’astrologia è la ricerca del sé e ci può aiutare nell’evoluzione dell’anima. E se tante volte quando le cose non ci vanno bene (un fidanzato no, due fidanzati no, problemi vari…) ci viene il dubbio di essere forse noi stessi un po’ sbagliati, ecco che l’astrologia, ci aiuta a osservare le cose attorno a noi, a leggerle, e a porci in discussione e decidere come cambiare qualcosa di noi. Qui c’è la crescita, l’evoluzione, la maturità. Ecco l’astrologia è un aiuto. A livello più superficiale è vero che ci sono tratti caratteriali simili tra persone dello stesso segno? Sì, più o meno sì, ma non c’è solo questo in un quadro astrale. Ci sono anche le posizioni di tutti gli altri pianeti: Venere, Marte, Giove, il Sole etc.. che rendono ogni individuo unico. Tutti gli italiani una sbirciatina al giornale, la mattina, per vedere l’oroscopo la danno. Secondo te da cosa nasce questa pulsione

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atavica di volere sapere il futuro? È che abbiamo tutti paura perché non sappiamo quello che ci accadrà, quindi se riusciamo a trovare un aiutino leggendo la pagina degli oroscopi, perché no? Penso che sia questo. E qui si torna alla differenza fra astrologia intesa come conoscenza del sé e quella più spicciola: io mi trovo, purtroppo, a dover fare molta più astrologia spicciola rispetto a quella di crescita. Generalmente l’astrologia di crescita è più richiesta dalle persone più umili. L’umiltà è un pregio tra i più nobili, e con umiltà non intendo certo ignoranza. Per quanto riguarda gli individui più “colti”, come politici e persone dell’alta finanza, io mi ritrovo a fare gli oroscopi tipo elenco: giorno 1, parti; giorno 2, incontra l’avvocato....fino alla fine del mese con la specifica delle cose da fare o non fare. Fare questo tipo di oroscopo non è molto stimolante però, per farlo, devi essere molto preparato e conoscere bene l’astrologia perché se poi non gli va come dici.... Devi avere molto esperienza e avere studiato molto bene l’astrologia per arrivare a fare questo tipo d’oroscopo molto dettagliato. Noi collaboriamo con l’ENPA e sappiamo che anche tu ami gli animali…in più occasioni, anche su facebook ti sei data da fare per aiutarli. Anche gli animali hanno un oroscopo? Certamente sì! Il mio cane è del Toro, un testa dura, un capoccione (NDR. sorride), e allora quando è un po’ mogio capita che io dica: “vedi, poverino, oggi la luna è in Leone, per questo voi Toro siete un po’ giù di corda!”. Certo che gli animali hanno un oroscopo, sono esseri viventi e come tali hanno un loro quadro astrale. Il tuo rapporto con la televisione? Io faccio televisione, porto l’astrologia in televisione perché voglio che l’attenzione per l’astrologia rimanga viva negli esseri umani, nella gente. Cerco di farlo nel miglior modo possibile, cioè in modo quanto più veritiero possibile… e non è facile. Ho lavorato 8 anni in Rai e, da circa 6 anni, sono in Mediaset. La differenza è che la Rai ti da molto più tempo per spiegare le informazioni, Mediaset, invece, è più immediata ed io preferisco, forse, l’immediatezza di Mediaset. Comunque faccio televisione anche per un altro motivo, quello economico: io non mi faccio sempre pagare gli oroscopi, non ho uno studio privato, ma li faccio gratis quando mi rendo conto che una persona ha veramente bisogno di me. In qualche modo devo vivere quindi, da persona seria e che ci crede, porto anche l’astrologia in televisione, professionalmente. Ho lottato per questo. Arriviamo ad Aghi e spilli, in questo libro fai gli oroscopi ad alcuni vip e non le mandi certo a dire…come è nato questo progetto? Io ho lavorato per una serie di riviste specializzate (tra cui Astrella) e, a un certo punto, il caporedattore che era uno scorpione, mi chiese di scrivere qualcosa sugli artisti ma in un modo, diciamo così, cattivello: “devi essere una iena!”, mi disse… Io che sono una buona, ho trasformato la cosa e l’ho fatta in modo ironico, molto divertente, usando una dialettica teatrale. Da lì poi ho pensato di

scrivere un libro che, però, non è una raccolta di quello che avevo fatto. Aghi e Spilli, mi piace, è un libro talmente “avanti” che ancora la gente, secondo me, deve capirlo. Io ho scritto anche un altro libro Eroscopo che tratta di tutto quello che nessuno ha mai scritto dei 12 segni zodiacali e che riguarda l’amore, i sentimenti, il sesso, le zone erogene, cosa devi indossare, dove portare a cena una persona, ecc… a seconda del suo segno zodiacale. Riesci a non farti influenzare dal carattere del personaggio nella stesura del suo oroscopo o c’è un insieme delle due cose: scienza e sensibilità? Prima la sensibilità, dopo la “parascienza”, chiamiamola così altrimenti gli scienziati si potrebbero alterare e siccome sono una pacifista... Chi è Ada e chi è Aghi, due facce della stessa medaglia? Io nel mio libro ho fatto l’oroscopo vero degli artisti tirando fuori però, solo gli aspetti planetari che parlavano unicamente dei loro difetti. Aghi ha fatto anche il mio di oroscopo, tirando fuori delle grandi verità, quando scrivi non puoi mentire. Ada è molto dolce, ama la famiglia, ama suo marito, il suo cane. Aghi è una guerriera, un soldato. Ho lottato contro lo scetticismo, anche in televisione. Mi ricordo una volta in cui ero su Rai Tre nella trasmissione Cominciamo bene estate con Corrado Tedeschi e Ilaria D’Amico e, a un certo punto, un ospite, invece di parlare della sua materia, tanto per fare audience, cominciò a parlare di astrologia. Io ero dalla sarta della Rai, sentì questa cosa, sono entrata come un fulmine in trasmissione, la capo struttura era spaventata per ciò che poteva succedere, ho preso un microfono e ho detto: “Lei non può parlare di me, senza di me!”. Lo share andò alle stelle ma, io difesi l’astrologia con le unghie e con i denti, perché la conosco. Questa è Aghi, non la freghi, non mi freghi; sono una siciliana testona, sono un ariete, soldato con mercurio in toro e non ci sono santi: ma non sono cattiva, mi difendo! Sappiamo lo studio che c’è dietro un oroscopo, ce l’hai spiegato, ma per il 2011 ci dai notizie buone e cattive? Potete andare a vedere sul mio sito www.adaalberti.it . Aspettando il 2012, lo scrissi nel 2008 e fino ad ora si è avverato tutto. Che libro ci consiglieresti per avvicinarci all’astrologia? Chi vuole intraprendere uno studio serio dell’astrologia dovrebbe iniziare a leggere un libro pesantissimo ma è quello giusto ed è il SementoskiKurilo. Per chi volesse conoscere qualcosa può cercare di leggere dei libri sulla storia dell’astrologia, solitamente la casa editrice che ci aiuta di più ad avvicinarci all’astrologia è l’Armenia. Un aneddoto divertente su qualche vip rispetto agli oroscopi? Solitamente mi chiedono come andrà lo share della loro trasmissione allora io glie lo scrivo e poi loro mi scrivono: “brava, ci hai azzeccato!”


[ BIS! teatro, musica ed eventi a monza e brianza ]

Noemi Smorra

io che non vivo senza amore e teatro

La Lucia de I Promessi Sposi si racconta in esclusiva a Trantran 13


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Una scena de I Promessi Sposi

Noemi Smorra è Lucia

Come vivi la tua Lucia? Quanto c’è di pop in lei? Ti senti di assomigliarle in qualche aspetto? Lucia pop, popolare e a tratti comicissima, la Lucia delle parodie e l’atra Lucia, così piccola eppure così forte. Non so se le assomiglio, probabilmente no, ma di sicuro anche io ho fede. Sei nata e vivi a Roma, è stato difficile per te cogliere le particolarità di un personaggio così profondamente legato al territorio lombardo? No, assolutamente. E poi mia madre è nata a Milano e ha vissuto lì fino ai 7 anni, ho respirato in casa sia la cultura lombarda che quella campana, mio padre è nato e cresciuto a Napoli. Ma, comunque sia, questi personaggi sono universali e raccontano una storia italiana. I Promessi Sposi sono un musical imponente, a tratti corale: com’è lavorare con un cast così numeroso? Come ti sei trovata con i tuoi illustri colleghi e col regista Guardì? Qualche aneddoto divertente o curioso da raccontare? Essere sessanta sulla scena è cosa assai rara, produttivamente parlando, per cui ho goduto al massimo di ogni giornata di lavoro. Guardì ha riunito nel suo grande progetto persone con tanto talento e umanità, il periodo dell’allestimento è stato meraviglioso.

[ di Marta Migliardi ] Incontro Noemi Smorra, l’attrice nel ruolo di Lucia, del musical I Promessi Sposi (dal 14 al 30 Dicembre al Teatro degli Arcimboldi di Milano) nei pressi della Stazione Termini di Roma. Acqua e sapone, con lunghissimi capelli ramati, nella sua splendida semplicità è impossibile non notarla. Occhi intelligenti, gli occhi che osservano e scrutano con delicatezza i particolari del mondo. Noemi è immediata. Non mi stupisce affatto che, sempre di più, si stia imponendo nel panorama delle attrici italiane. Il motivo del nostro incontro era la sua adesione alla nostra Campagna di sensibilizzazione sulle (tossico)dipendenze ma, dopo pochi minuti, mi è già ben chiaro che non posso farmi sfuggire dalle mani l’occasione di intervistarla. Trascorriamo quasi tutta la giornata insieme, tra un set e l’altro e un veloce pranzo al ristorante cinese, ecco quello che la bella attrice ci racconta di sé. I suoi profondi pensieri su amore, arte, depressione. Il suo mondo delicato e forte insieme. Luminosa nella sua umiltà. Ricordatevi il suo nome e il suo volto: sentirete presto, anzi prestissimo parlare ancora di lei.

Noemi, dal 14 dicembre in scena al teatro degli Arcimboldi di Milano con il Musical I Promessi Sposi, nel ruolo di Lucia: quanta modernità, quanta attualità c’è nelle vicende di Renzo e Lucia? C’è sempre tanta attualità in questa vicenda che ognuno di noi ha letto e analizzato. Soprusi, ingiustizie, astuzie, debolezze, potere, amore, la fede, la richiesta di perdono, il perdono. L’umanità tutta raccontata con una forza straordinaria. Arrivare ad incarnare Lucia è stato un percorso tra i più arricchenti.

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Gli uomini di Lucia…parlaci di loro…qual è nell’opera manzoniana il tuo personaggio preferito? Renzo Tramaglino, Don Rodrigo, l’Innominato, Fra Cristoforo! Ma io non posso non amare più di tutti l’Innominato, che arrivato a un certo punto della sua vita non riesce più a viverla, schiacciato dal male, dallo schifo che ha seminato. La forza della conversione di questo personaggio mi commuove. Parliamo un po’ di te: canto, ballo e recitazione. Un’artista completa. Ma con quale di queste forme d’arte ti senti maggiormente appagata? Ho sempre cantato tanto e adoro le storie, i personaggi. Amo recitare e amo cantare allo stesso modo. Con la danza, ho poca dimestichezza, ma adoro saper gestire il mio corpo in relazione al personaggio. Il corpo dell’attore mi interessa. Un argomento molto attuale: i talent show. Sappiamo che hai partecipato ai provini di X Factor. Talent show: un aiuto ai giovani artisti o un cinico meccanismo televisivo che porta ad un successo effimero e poco duraturo? Come dici tu il Talent può essere un grande aiuto oppure un mezzo che produce effimera popolarità, è difficile rispondere. Sicuramente è un’opportunità che l’inizio di questo millennio ci offre, ma so che non è l’unica strada percorribile, ce ne sono tante per fortuna. L’importante è non perdere mai di vista gli obbiettivi e ciò che si vuole comunicare con la propria musica. Sei stata testimonial della nostra campagna di sensibilizzazione sulle (tossico) dipendenze. Purtroppo non potrai partecipare all’evento perché proprio quel giorno debutterai al Teatro degli Arcimboldi. Riassumeresti, per i nostri lettori, il tuo pensiero sull’argomento?


[ BIS! ]

I Promessi Sposi

Prima di tutto devo farvi tanti complimenti per la campagna che state conducendo con ardore. E poi ci terrei a ripetere che la lucidità è rivoluzionaria: non potevate scegliere uno slogan migliore di questo! La lucidità, la consapevolezza, ci permettono di vivere un’esistenza attiva, godibile, in cui i sentimenti e i valori riescono a prendere il sopravvento; e solo in questa particolare condizione si può pensare di rivoluzionare il mondo interiore e quello che ci circonda. L’arte e l’amore. Quanto incide la sensibilità artistica sulle relazioni amorose? E viceversa? Tantissimo. E’ così difficile rimanere in equilibrio con la persona che si ama. Ma credo che per tutti sia difficile, non solo per gli artisti. Io sono pronta a tutto, non vivo senza l’amore né senza il teatro. Farò sicuramente tanti errori, tanti ne ho fatti, ma d’altronde cadere ti fa sentire più da vicino il profumo della terra, e più spesso ti ricordi che sei vivo, che puoi rialzarti, crescere e quindi amare, e, perché no? Sbagliare ancora. L’arte e la depressione. Alcuni artisti si sentono più ispirati in momenti di crisi, altri, al contrario, si bloccano. Tu come vivi i momenti così detti “bui”? Io nei momenti di crisi prima mi blocco, piagnucolo, poi mi guardo allo specchio e mi viene da ridere, e allora mi rimetto in moto: studio, mi confronto, e prima o poi la luce ritorna con la stessa intensità del sole d’agosto a mezzogiorno. Domande “botta e risposta” per conoscere qualche curiosità su Noemi Smorra. Favorevole o contraria: All’aborto Favorevole. All’eutanasia Favorevole. Alla vivisezione Contraria.

Piatto preferito Colore preferito Ultimo libro letto Ultimo film visto Colpo di fulmine o lento innamoramento? Cantante preferito/a Una cosa alla quale non rinunceresti mai Mare o montagna? Se fossi… Un fiore Una canzone Una città Un indumento Un’emozione

Cassata Siciliana forever! Verde Il peso della farfalla, di Erri De Luca (Feltrinelli, 2009). Noi credevamo, di Mario Martone. Lento innamoramento. Mercedes Sosa, la sua voce mi rasserena. La lealtà. Mare, che sia inverno oppure estate.

Il girasole. Non, je ne regrette rien. Roma. Un guanto di lana bianca. Un gruppo di attori che si trovano e costruiscono insieme una storia da raccontare.

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Immagine della Befana 2008. Il Drago

La Befana vien di notte‌ Appuntamento sul Lambro per una festa di antiche suggestioni

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[ BIS! ] [ di Elena Gorla ] La nebbia che dal Lambro si alza misteriosa nelle sere dei mesi più freddi, l’incanto delle feste che cede il passo alla malinconia degli sfavillii oramai trascorsi, l’anno che inizia carico d’incertezze e promesse: è il tempo della Befana. E’ dal 1987 che il comitato per il diritto al Mito/Festa del Bambino col sostegno della gente della Valle del Lambro festeggia l’arrivo della Befana sul Lambro, ad Agliate, in un rito carico di suggestioni legate ad un tempo lontano. Il mito della Befana, infatti, ha origini antiche, legate ai tempi della terra e delle stagioni. La vecchia che porta i doni, nell’immaginario contadino, rappresentava l’anno vecchio oramai concluso e, nel contempo, le promesse e gli auspici per quello nuovo. Il profondo legame di questa figura della tradizione col mondo rurale e con i cicli della natura è, dunque, un tratto caratterizzante di questa festività d’inizio anno: dopo il solstizio d’inverno, il giorno in cui la luce sembra soccombere al buio delle tenebre, ricomincia il viaggio verso la luce, da questo giorno (21 dicembre), infatti, che il sole resta progressivamente sempre più a lungo nel cielo allungando così le nostre giornate e portando la natura ad un progressivo risveglio. Dopo la morte, dunque, segue la rinascita, in un’alternanza perpetua di cicli vitali. In Brianza, terra dalle antiche radici rurali, i riti legati alla natura, al rinnovarsi dei cicli di morte e vita, trovano nella Befana sul Lambro ad Agliate lo scenario ideale per perpetrarsi nella fantasia di adulti e bambini. In un borgo che, più di molti altri, ha saputo conservare il sapore del tempo passato, la presenza del Lambro rimane tutt’oggi, qualcosa di più di una mera presenza accessoria. Qui il fiume, con la sua fauna e la sua flora, mantiene una parte profonda e attiva nell’esistenza di chi vive quei luoghi che si esprime nell’attività del Laboratorio. Il Laboratorio (sito ad Agliate in via Dell’Isola ed aperto tutti i sabati e le domeniche a partire dal 6 novembre dalle 15.00 alle 18.00) è aperto a tutti coloro che desiderino intervenire e partecipare, grandi e piccini, ed è un esempio concreto di questo legame fra il fiume e la gente che vive nella sua valle. E’ una struttura aperta e mobile all’interno della quale si intende potenziare la creatività di più persone a confronto tra loro nell’elaborare un progetto a più mani e più voci che sia una rilettura critica della realtà tramite la festa. E’ necessario, sostiene attivamente il comitato per il diritto al Mito/Festa del Bambino, valorizzare ed allargare questo tipo di ricerca per contrastare un totale impoverimento e distruzione dell’immaginario da parte del sistema mass-mediologico e dell’imperativo commerciale. Qui nascono, si progettano e si costruiscono tutte le strutture sceniche che servono all’animazione e alla teatralizzazione della festa: ogni anno, infatti, il Laboratorio elabora e sviluppa un tema che aggancia il mito della Befana alle problematiche socioambientali. L’edizione 2011 porta, infatti, l’emblematico titolo di ONDANEiRA: il Lambro, le paure e l’immaginario dell’infanzia, con un riferimento esplicito al disastro ambientale che agli inizi del 2010 devastato il fiume e la sua fauna. Sul fiume fervono i preparativi, la befana sta per arrivare, la festa la attende: il 5 gennaio 2011 alle ore 18 sul ponte di Agliate. Non mancate…se ne avete il coraggio!

Befana 2010. Bambini in opera nel Laboratorio

Befaneira (danza macabra) Il sudario nero copre il volto del fiume senza più respiro. Orrore della decomposizione e del lezzo che emana! Chi avrà il coraggio di sollevarlo? La Befana avanza, i cuori tremano, gli animali tacciono, gli orologi cessano di battere il tempo. Di fronte all’istante sospeso, alla porta dell’impossibile. Un gioco di polso della vecchia, cade il velo e si apre il sipario: sono scheletri di pesce scintillanti, fanciulle che scivolano accarezzate dall’acqua e scendono a valle, monili e maschere d’oro senza espressione... Sarcofago e scrigno, il fiume vomita i suoi tesori. Ha inizio la Befaneira - verminaio e danza - il carnevale macabro che possono vedere solo gli spettri, i cani col pelo irto e i bambini dal cuore intrepido. Introduzione alla Befana sul Lambro 2011, tratta dal sito www.befanalambro.net

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Arturo Fiesta

ARTURO FIESTA CIRCO: l’inimitabile orchestrina e un’intervista via mail [ di Fabio Paolo Costanza ] E lo chiamerai Giovanni, è il nuovo album dell’Arturo Fiesta Circo, è uscito il 16 ottobre 2010 per Via Audio Records/Venus Distribuzione. Un concept album. Un album-coraggio-capolavoro. Da un punto di vista stilistico e contenutistico. E lo chiamerai Giovanni, ultimo lavoro di quello che è ormai uno dei progetti più prestigiosi della scena brianzola, già nel titolo svela l’audacia del progetto che, oltre ad essere musicale, porta con sé il marchio della letterarietà e della sfida culturale. Che non è poco in questi tempi bui. L’Arturo Fiesta Circo è fatto e vive di storie, storie multiformi ed altamente dense, come la sua. Al suo interno confluiscono, infatti, i vecchi tour islandesi del capobanda italo/belga Sergio Arturo Calonego, bluesman d’esperienza convertito al fingerstyle e a Brassen, la sapienza elettronica del chitarrista ed effettista Giuseppe Magnelli (già Grenouille), la voce calda della corista Sara Giolfo, il talento della pianista (e compositrice con già un proprio album all’attivo) Sara Denova, la matematica perfezione della sezione ritmica (Fabio Bianco al basso e Fabio Giussani alla batteria). Biografie ed esperienze musicali diverse e a volte diametralmente opposte che confluiscono e rendono unica quest’orchestrina. Unica perché

Ecco le prossime date del Tour dell’Arturo Fiesta Circo. Andate a vedere! 14 dicembre: La Casa 139, Milano 14 gennaio: Officine Sonore, Vercelli 15 gennaio: Arci Pintupi, Verderio Inferiore 21 gennaio: Materia Off, Parma 27 gennaio: Contestaccio, Roma 28 gennaio: 909 Caffè, Castiglione del Lago 29 gennaio: Loop Cafè, Perugia 4 febbraio: Bepop, Como 19 febbraio: Arci Brixton, Alassio 20 febbraio: Diavolo Rosso, Asti

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disco, Gesù/Royale, che aveva il destino dipinto negli occhi e dipinse il suo destino con gli occhi di un bambino. Questo però era il mio, di avviso. Così al quarto ascolto consecutivo del disco, mi è venuto spontaneo mandare una mail al Capobanda Sergio Arturo Calnego, che considero un amico ed un mio “zio” molto particolare: Sergio: Bibbia, Peccatori, Pagliacci, Ballerine...? Questa è la risposta, in esclusiva per Trantran:

capace con E lo chiamerai Giovanni di passare con una bravura e coerenza stilistica disarmante dal jazz old style (di L’Acrobata) alla chanson francaise contemporanea (della la straziante La Lune), dal valzer accompagnato da chitarre elettriche e postmoderne (La Ballerina) fino al rock duro e puro (L’Idiota). Ad impreziosire il tutto, come nel precedente disco (Distratto a Sud, registrato in presa diretta presso lo storico live club All’unaetrentacinque circa di Cantù), la fisarmonica del Maestro Armando Illario, anche lui compositore e nome fra i più noti nel panorama folk italiano. E poi c’è La Storia: e qui la sua temerarietà. E lo chiamerai Giovanni è una Rivisitazione delle Sacre Scritture (sic), del Nuovo Testamento come storia di tutti i giorni, come storia di oggi. La sconsacrazione di Gesù di Nazareth non come Figlio di Dio, ma come un Grande Uomo, forse il più grande. Rivoluzionario dell’Amore fatto di carne e cuore. Geniale pianista di un circo senza tempo, perché, la vita degli uomini, questo è e questo è sempre stato. In questo disco ci sono, dunque, Gesù di Nazareth, il rivoluzionario, pianista senza piano di nome Royale e l’Arcangelo Gabriele che di mestiere fa l’acrobata e che dipinge nel firmamento il volto dell’unica amata, Maria La Ballerina. Non è questo il luogo per spiegare nel dettaglio i significati e la rete metaforica di una rivisitazione complessa, anche perché condicio sine qua non di ogni storia è che qualcuno, in ogni caso, non la capisca. Una sola raccomandazione a mio avviso: si tenga bene a mente chi è il protagonista di questo

“Sono un appassionato di storia ed ho sempre letto la Bibbia non come un testo sacro , ma in modo sentimentalmente laico. Se leggi il Nuovo Testamento con la leggerezza di un Signore degli Anelli o di un Moby Dik ti rendi conto della saggezza e della rivoluzione che nasconde. Al di la del fatto religioso in sé io credo che la Bibbia tramandi storie bellissime ed in particolar modo questo succede con il Nuovo Testamento. L’Antico Testamento è un libro dogmatico e duro. Leggendolo non stupisce che si possano fare guerre di religione perché è un libro di guerra. Il Nuovo Testamento è una cosa diversa. Paradossalmente l’idea di un dio è quasi sfumata perché quello che (mi) ha sempre colpito è il messaggio di grande umanità, difesa dei più deboli e di accettazione dell’errore è più forte ed eloquente di tutti i miracoli presunti o reali che sono descritti. Quasi non servono. Questa è un’ Epoca poco spirituale ma ancor più distratta ed ansiosa. Dicono che dobbiamo difendere il pensiero occidentale. Io credo che un pensiero non vada difeso con il dogma ma con la poesia. E poi , se ci pensi , non c’è nulla da difendere se sei solo testimone. Cosa c’entri il mio disco con questo argomento non lo so. Non l’ho scritto perché dovesse avere un senso ma posso dirti con certezza che ho visto vite simili a quelle raccontate nei vangeli. Tensioni e speranze e temporali molto simili. I protagonisti del nuovo testamento ci assomigliano più di quello che noi possiamo credere. Giovanni forse rende questi personaggi più umani, più fallibili , più simili a noi. Non saprei. E poi cos’è la Spiritualità ? La spiritualità è osservare la linea di lato. Quando diventi padre non sei solo padre di tua figlia / figlio. Quando diventi papà sei il papà di tutti i bambini. Non so se risponde alla domanda, ma se ne genera un’altra non credo che sia male”.


[ ALTROVE racconti e consigli di viaggio ]

L’INDIMENTICABILE SAPORE DEL

MEDIO ORIENTE [ di Nora Albertini,

foto di Luca Bazooka ]

Difficile riassumere le impressioni di un viaggio magico e profondo come quello che abbiamo fatto in Medio Oriente. Un viaggio di due settimane che comunque consigliamo a tutti. Atterrati a Beirut, Tania, la nostra giovane autista, ci guida verso Gemmayzeh dove alloggiamo per due notti e due giorni in un grazioso appartamento con ampi locali e soffitti alti, un piccolo giardino popolato di alberi profumati, panni stesi, bimbi che giocano durante il giorno e un micio sornione, un po’spelacchiato, in perenne ricerca di cibo. Gemmayzeh sta a Beirut un po’ come i Navigli stanno a Milano oppure Shoreditch High Street sta a Londra: un susseguirsi di bar, ristoranti, pubs tutti attaccati l’uno all’altro, alcuni dal decor minimal e licenzioso

altri un po’ più sofisticati. Ma tutti con un comune denominatore: la musica. La musica a volume alto, techno, house, trance, latina. Ce n’è per tutti i gusti purché sia assordante tanto che quando passi davanti a un locale e qualcuno apre la porta per entrare o uscire, ti senti travolto da una carica di decibel che ti lascia letteralmente tramortito. Gemmayzeh è piena di giovani: ragazze bellissime, vestite all’occidentale, sfoggiano tacchi alti, seni prorompenti e profumi intensi, speziati. I ragazzi non sono da meno e adorano aggirarsi per le vie guidando grandi macchine tirate a lucido e con impianti stereo da far invidia al piu’ tecnologico night club. Gemmayzeh è viva e brulicante. Si viene letteralmente travolti da tanta vita e glamour, perché è vero quel che si dice: Beirut è tendenza all’ennesima potenza. Non c’è giorno o sera che non succeda qualcosa di interessante che sia arte, musica, letteratura. Basta leggere i giornali, le locandine appese ai muri. Insomma, qui è vietato annoiarsi. C’è la voglia di vivere e la voglia di dimenticare anche se ancora si vedono le case dalle pareti bucate dai proiettili, retaggio di un passato lontano ma pur sempre parte di questo tutto cosi’ travolgente ed eccitante che è oggi Beirut. Il secondo giorno, decidiamo di lasciare la fragorosa vita di Gemmayzeh per dedicarci ad attività piu’ rilassanti ma non meno ludiche: gita a Byblos. Ci arriviamo dopo 45 minuti a bordo di un bus che in Italia forse chiameremmo pullmino e che a Beirut si chiama invece serviced taxi. Non ci sono fermate stabilite e non esistono biglietti, abbonamenti o altre burocrazie. Il sistema funziona così: si cammina sul ciglio della strada e non appena si avvista un pullmino gli si fa segno di fer-

marsi. Per la verità, il più delle volte è il pulmino ad abbordarti, suonandoti ripetutamente per attirare la tua attenzione e chiederti se vuoi un passaggio. Un serviced taxi porta circa 20 persone e a bordo si può fumare (come del resto ovunque a Beirut si fuma e pure tanto). Una volta saliti, si comunica la propria destinazione al conducente che il 99.9% delle volte dirà di sì, si prende posto e ci si gode la corsa. Si paga solo a destinazione raggiunta: una corsa costa circa 3000 lire libanesi (per due persone), poco piu’ di un euro. Byblos è una villaggio di pescatori, con un piccolo porto popolato di ristoranti e una spiaggia sassosa, il mare azzurro-verde e il chioschetto che serve birre, narghileh, shawarma e suona musica araba, ad alto volume, ovvio, per tutto il dì. Ci dedichiamo all’ozio in spiaggia che culmina con un pranzo in uno dei ristoranti al porto dove ci fanno scegliere il pesce e ce lo cucinano alla griglia, rigorosamente accompagnato da insalata fresca condita con olio di oliva, prezzemolo e limone. Al rientro a Beirut dopo un’altra eccitante corsa sul serviced taxi e prenotiamo un tavolo per la cena da Abdel Wahab, il ristorante migliore di Beirut: se avete solo una sera da trascorrere qui allora questo e’ il vostro posto. Ordiniamo almeno cinque mezze (antipasti): humous, baba ganoush (un intingolo di crema di melanzane affumicate perfetta con il pane), olive, insalata, affettato di agnello e poi zuppa di lenticchie e pollo stufato. Bagniamo il tutto con vino bianco libanese e finiamo con baklava, frutta fresca e narghileh alla rosa. L’indomani ci rechiamo alla stazione degli autobus che è adiacente a quella dei taxi con l’intenzione di prendere il primo bus per Damasco ma il tassista che ci carica a Gemmayzeh sostiene che i taxi ci mettono meno tempo e così dieci minuti dopo siamo seduti su una vecchia e gigantesca macchina nera americana con un

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[ ALTROVE ]

tassista dalle dita tozze e anello con pietra nera al mignolo e accanto a lui la nostra compagna di viaggio, una ragazza libanese dai capelli neri corvini, sopracciglia finissime, unghie lunghissime. Il viaggio per Damasco dura in tutto quattro ore e la parte più tediosa è il passaggio della frontiera dove bisogna mettersi in coda a un affollatto sportello per farsi timbrare l’uscita dal Libano. Una volta ottenuto il timbro di uscita si può oltrepassare la frontiera ma non prima di essersi fermati – di nuovo – e di aver mostrato i passaporti ai poliziotti. Per fortuna il nostro tassista conosce per filo e per segno la prassi e non ci fa perdere nemmeno un secondo. Passata la barriera, si scende di nuovo dalla macchina e ci si rimette in coda agli sportelli per ottenere il timbro di entrata in Siria. Grazie al cielo ho dato retta alla mia Bibbia del Viaggiatore ovvero la Lonely Planet e ho provveduto a ottenere i visti di entrata per la Siria prima ancora di partire. Dalla frontiera a Damasco c’è ancora una buona oretta e mezza di macchina e notiamo subito che le strade siriane sono tappezzate con gi-

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gantografie del presidente Bashar Al-Assad. Lui è ovunque. Fa molto caldo, ci sono macchine, autobus, camion, taxi, rumore. Arriviamo in albergo alle cinque passate. Veniamo accolti da un cameriere che prende subito le nostre valigie e ci invita a sedere mentre Ahmed, il proprietario del B&B, ci viene incontro e ci offre un té. Ahmed parla inglese correttamente, ha vissuto all’estero per alcuni anni e conosce la cultura europea molto bene. La sua fidanzata è svedese e lavora per le Nazioni Unite. Grazie ad Ahmed il nostro breve soggiorno a Damasco (due giorni e due notti) si trasforma in qualcosa di speciale; seguiamo per filo e per segno le sue raccomandazioni. Ci rendiamo subito conto che Damasco è una vera e propria esperienza sensoriale dove il tempo è scandito dalla cantilena del muezzin alle 6 del mattino, a mezzogiorno, alle 4 del pomeriggio e alle 8 di sera. Damasco profuma di cumino, caffé e saponi ed è un profumo che non ti lascia mai, ti accompagna per tutto il tempo. La gente ti sorride e ti accoglie sempre con un cordiale Welcome, benvenuto. Uno dei posti piu’ interessanti della citta’ vecchia è sicuramente la Moschea di Ummayad: imperdibile. Luogo di culto ma anche di aggregazione, nella moschea si entra a piedi scalzi e alle donne occidentali viene data una lunga mantella grigia dotata di copricapo. Il cortile interno della moschea è un pavimento di marmo bianco lucido e liscio. Ci sono bambini che scorrazzano a destra e a manca, gruppi di uomini e donne seduti a terra a chiacchierare, a pregare, a guardare le persone che passano. L’interno della moschea è per lo più dedicato alla preghiera e alla lettura dei libri sacri. Ci sono gruppi di uomini da una parte e gruppi di donne dall’altra e al centro un predicatore.

Dopo la visita alla moschea decidiamo di tuffarci nei souq e troviamo quasi subito lo storico caffé Bakdash dove fanno uno dei gelati più buoni del mondo: hanno soltanto tre gusti, vaniglia, cioccolato e fragola che servono con pistacchi freschi in una coppetta oppure in un cono. Il locale è lungo e stretto con grandi tavoloni e accanto al banco dei gelati c’è il “rompighiaccio”, un giovane muscoloso che letteralmente spacca il ghiaccio con una enorme pala di legno così mentre tu te ne stai lì a gustare la freschezza e la prelibatezza del gelato, lui instancabilmente spacca… Probabilmente si potrebbero dedicare capitoli interi ai ristoranti di Damasco e alla cucina siriana e ci vorrebbe anche abbastanza tempo per sperimentarla tutta ma devo dire che Al Khawali e Naranj – come ci consiglia il nostro amico Ahmed – ben presentano e riassumono il “mangiar bene” siriano. Entrambi i ristoranti sono a cielo aperto in senso letterale poiché la sala principale è una sorta di cortile senza tetto dove si cena sotto le stelle. Entrambi i ristoranti hanno una magnifica terrazza sulla città ed entrambi servono pane caldo, appena sfornato: un profumo inebriante e appagante. La differenza tra i due è che il primo non serve alcool mentre il secondo sì. Tutte e due le esperienze sono state uniche. Non credo di aver mai trovato una cucina così fresca, saporita, delicata come quella di Damasco: ci siamo saziati di humous servito con pinoli e olio di oliva e poi mandorle fresche, tabouleh, burgul, baklava, pastelle fritte, frutta fresca... Difficile lasciare Damasco dopo due giorni così intensi (e delle mangiate pantagrueliche!) ma siamo pronti per partire alla volta della Giordania. E la storia si ripete. Altro giro in taxi, altro passaggio di frontiera (e qui ci perquisiscono la macchina da cima a fondo) e altre gigantografie, questa


[ ALTROVE ] volta pero’ si tratta del re di Giordania, King Abdullah II e anche la sua figura compare spesso e volentieri per le strade, nei negozi, nei ristoranti. Il viaggio Damasco – Amman dura circa 5 ore e mezza. Amman ci sembra molto urbana e quel poco che vediamo ha decisamente poco fascino e molto cemento. Ad Amman noleggiamo la macchina e qui incomincia un viaggio di sei giorni che passa per Mar Morto, Wadi Mujib, Wadi Rum, Petra, Wadi Araba e Feynan.. Il Mar Morto ci accoglie nel tardo pomeriggio con un tramonto rosa mozzafiato, vediamo il sole calare dietro ai monti di Israele (sulla sponda opposta alla nostra) su uno specchio d’acqua calma. Se si chiama Mar Morto d’altronde un ragione c’è e lo capiamo non appena, dopo il tramonto, ci immergiamo nelle sue acque. Non c’è alcuna forma vivente a eccezione di mosche e zanzare (che svolazzano intorno). L’acqua è oleosa e tremendamente salata, talmente salata da essere amara quando ci si passa la lingua sulle labbra. E’ impossibile nuotare nel Mar Morto. E’ bellissimo trastullarsi nell’acqua. Si può dormire a

pancia in su come se ci fosse un materassino sotto di noi, si può leggere un giornale come se si fosse seduti in poltrona…ma di nuotare non se ne parla perché non c’è modo di tenere il corpo sott’acqua. Soggiorniamo allo Chalet Mujib, un gruppo di bungalow a picco sul mare. Molto tranquillo. Il passaggio ideale per una visita di un giorno ed un’escursione nel Wadi Mujib. Nel Wadi Mujib si cammina immersi nell’acqua, risalendo la corrente di un fiume per arrivare fino alla cascata. La camminata è piacevole anche se è bene avere qualche nozione di base. Non c’è tuttavia da preoccuparsi poiché all’entrata della riserva naturale, si viene muniti di giubbotto salvagente. Dal Wadi Mujib ci siamo spostati verso il Wadi Rum dove abbiamo trascorso la notte nel deserto e poi a seguire visita a Petra. Due classici del viaggio in Giordania e potrei spendere ore intere

a raccontare l’unicità di Petra e l’intensità del deserto ma poiché la lettearatura gli ha già dedicato molte pagine, ho deciso di dedicare queste ultime righe a un luogo forse meno popolare ma di grande fascino: Feynan. Qui arrivati lasciamo la macchina al Visitors Centre e un beduino a bordo di una 4x4 ci viene a recuperare e ci porta in albergo. L’Ecolodge è un hotel costruito nel totale rispetto dell’ambiente circostante, dove l’energia è generata da panelli solari che forniscono acqua calda, l’unica luce è quella delle candele, si mangia vegetariano e il pane, così come la maggior parte di ortaggi e frutta, sono forniti dalle comunità beduine circostanti. L’Ecolodge è un posto unico, molto romantico la sera quando dopo cena ci si raccoglie tutti in terrazza sul tetto, a bere té con menta e rosmarino, sdraiati su comodissimi divani a guardare il cielo stellato…ma è anche un luogo molto interessan-

te di giorno per fare una camminata nella natura e per avvicinarsi alla vita della comunità beduina di Feynan: passeggiando per i dintorni, si vede il piccolo villaggio dei beduini con le loro grandi tende, i greggi di capre, le 4x4 parcheggiate sotto a improvvisati garage, la piccola moschea e la scuola con 45 bambini. Ci sono tre cose di questo viaggio che mi sono rimaste impresse nella memoria e che non dimenticherò mai: l’accoglienza e l’ospitalità delle persone in Siria e in Giordania, il sapore del pane di Feynan fatto a mano e cotto dalle donne beduine e l’immagine della luna che mi ha fatto compagnia tutta la notte quando ho dormito sulla terrazza di Feynan mentre il gatto selvatico miagolava e da qualche parte un cane abbaiva ed un mulo rispondeva... E mio marito era chiuso in stanza con la dissenteria: ma questa è un’altra storia...

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[ IN CUCCIA Due chiacchere a quattro zampe ]

ADOZIONE A DISTANZA: UN GESTO DI AMORE VERO [ rubrica a cura di GABRIELLA ]

Presso il canile intercomunale di Monza, gestito dalla Sezione di Monza e Brianza dell’ENPA, sono ospitati diversi animali i quali, per l’età avanzata o per problemi fisici o comportamentali, non troveranno facilmente qualcuno che li prenderà con sé. Possono però essere adottati a distanza da chi ha a cuore il loro diritto ad una vita dignitosa. Come funziona il Progetto Famiglia a Distanza? Versando un contributo mensile di € 15,00 si riceve l’attestato di adozione, nuove foto e aggiornamenti ogni mese dell’amico prescelto. E chi vuole partecipare più attivamente nella sua vita può venire a trovarlo presso il canile e, nel caso dei cani più tranquilli, fare una passeggiata con lui. Ma vediamo brevemente chi sono gli animali che si possono adottare a distanza. Dodici sono i cani attualmente nel Progetto: i “vecchi” amici Lillo, Teky, Randa, Goss, Leon, Emy, Egon e Candy, e quattro new entry, Bonga, Frolla, Timbo e Susi, ritirati recentemente da un altro canile dove alcuni hanno passato anche dieci anni della loro vita. I cani adatti a tutti I cani sono sostanzialmente suddivisi in due gruppi. Nel primo abbiamo quelli anziani e bravi, adatti a tutti, compresi bambini e chi non ha precedente esperienza con i cani. Si ha anche la possibilità di venirli a trovare su appuntamento presso il canile di via Buonarroti 52 e portarli in passeggiata. In questo gruppo troviamo Emy, Egon, Bonga, Frolla e Timbo. I cani più complessi Abbiamo poi cani un pochino più complessi con i quali alcuni volontari, grazie al supporto delle nostre due educatrici cinofile Ilaria e Selene, stanno facendo un percorso per rendere la loro permanenza in canile non solo più gradevole ma anche il più breve possibile. Questo lavoro può anche essere vissuto in prima persona. Infatti, prendendo appuntamento, potrete portare a passeggio il cane accompagnati da uno dei volontari che

si occupano di lui che vi faranno vedere alcuni giochi educativi che usiamo, ad esempio le ricerche olfattive, e vi potranno anche insegnare il “lavoro”. In questo secondo gruppo troviamo Goss, Teky, Leon, Susi, Lillo e Candy. Mentre i primi tre non sono assolutamente adatti ai bambini, per gli ultimi due (Lillo e Candy) l’opportunità della passeggiata o delle attività interattive è da valutare a seconda della situazione. Per quanto riguarda Susi, questo bell’incrocio di pastore maremmano/bergamasco dal pelo bianco e riccio è stata accalappiata poco più che cucciola nel 2001 nel comune di Cernusco sul Naviglio (MI). Prima di essere stata trasferita al canile di Monza il 29 ottobre 2010, è sempre vissuta nel canile di Pantigliate (MI). Susi non ha esperienze e quindi ha paura di tutto. In termini tecnici si direbbe che soffre della sindrome da privazione sensoriale, tipica dei cani che entrano in canile molto giovani e lì restano chiusi per tutta la vita, senza fare esperienze che possano far loro conoscere il mondo esterno. Ha paura delle persone e dei rumori e la manifesta ansimando e tremando. Forse Susi non sarà mai un cane che amerà stare in mezzo a tanta gente o in posti rumorosi, ma può comunque essere un’ottima compagna di vita. Come tutti i cani è in grado di stupirci, regalandoci grandi emozioni. Per concludere il gruppo abbiamo Randa, una cagnolina un po’ particolare. Randa è semiselvatica e l’educatrice cinofila e un’altra volontaria ENPA stanno occupando del suo recupero psichico. I miglioramenti fatti sono incredibili e com-

moventi ma per ora anche per lei non è ancora pensabile portarla in passeggiata. Gli affascinanti felini Infine, per gli appassionati dei gatti, c’è un’intera banda di meravigliosi mici da adottare in gruppo! Sono tutti selvatici o semiselvatici e vivono nello spazio denominato l’Oasi, appositamente attrezzato con arricchimenti ambientali, pensato per gli ospiti a lungo termine il cui spirito libero non rende loro adatti all’adozione. Alcuni arrivano da situazioni brutte dove non possono tornare. Altri sono stati rinvenuti feriti o malati, ora guariti, ma non sappiamo dove vivevano. Poi ci sono i “terremotati”, 13 mici soccorsi a L’Aquila dopo la distruzione della loro colonia felina nel sisma del 6 aprile 2009. Ognuno ha il proprio carattere e la propria storia, e ognuna ha quel fascino tutto felino! Dalla sua nascita nel gennaio del 2006, il Progetto Famiglia a Distanza ha coinvolto e emozionato numerose persone. In questi cinque anni molti degli ospiti del progetto ci hanno salutati per andare a vivere con una famiglia vera, in una casa senza le sbarre. In alcuni casi sono stati proprio i loro “genitori a distanza” a portarseli a casa per sempre! Per informazioni, anche su come regalare un’adozione a distanza a Natale, consultate il sito www.enpamonza.it alla pagina Adozioni > Progetto Famiglia a Distanza o scrivere a adozioni.monza@enpa.org.

Banchi Natalizi Fino al 19 dicembre i volontari dell’ENPA saranno presenti in centro Monza ogni sabato e domenica con un bellissimo banco natalizio! Al gazebo, allestito in via Italia dalle 9,00 alle 19,00 orario continuato, troverete un’ampia e ricca selezione di gadget e idee regalo, tutti a tema animale, oltre naturalmente ai calendari 2011 e i dolci natalizi!

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[ VERDISSIMO

CURIOSITà, PROPRIETà E USI DELLE PIANTE INTORNO A NOI ]

Pigne e muschio: non solo a Natale! [ di Jacopo Ways ] Pigne e muschio sono quasi sinonimo di Natale: il muschio è quasi una componente essenziale per il presepe, mentre le pigne, verniciate d’argento, d’oro o di colore rosso, diventano ornamenti per pacchetti, per le porte di casa o come addobbi dell’albero di Natale o anche per le ghirlande. Ma vediamo questi due vegetali più da vicino. Le pigne sono fondamentalmente costituite da un asse centrale, attorno al quale sono ordinatamente disposte squame più o meno spesse, più o meno lignificate, all’interno delle quali ci sono delle brattee che contengono il seme. E’ possibile vedere sullo stesso ramo pigne a differenti stadi di maturazione, facilmente distinguibili per colore e dimensione: la piccola pigna verde appena spuntata si trova accanto a quella rossastra o marrone, legnosa e molto più grande. Alcuni coni diventano gialli o anche porpora. Di solito restano eretti finchè non sono maturi, poi, si capovolgono pendendo verso il basso. Le variegate sfumature marroni e le insolite trame delle pigne offrono, a chi realizza ghirlande, l’opportunità di creare innumerevoli composizioni originali. Nel caso della pigna di pino bianco, che tende a coprirsi di resina, la tostatura scioglie la

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resina ed uniforma il colore. Non tutti concordano sul fatto di legare oppure di incollare le pigne nel realizzare ghirlande. Se le incollate fra di loro, dovete prevedere i mutamenti delle pigne dovuti ai cambiamenti di umidità. Le pigne si aprono e chiudono continuamente, tanto da spezzare qualsiasi fissaggio, se non viene effettuato con una colla elastica. Il muschio appartiene alla famiglia delle Briofite (Bryophyta), un gruppo numerosissimo di piante terrestri, di cui nel mondo ne sono state riconosciute più di 23.000 specie. Generalmente si pensa che i muschi crescano in zone umide ed ombrose, ma in realtà non è così, infatti li si può ritrovare in una vastissima varietà di ambienti, dai più cupi ai più soleggiati. Dal momento che non possiedono radici (quelle che hanno svolgono solo il ruolo di ancoraggio) riescono a vivere anche dov’è presente un substrato sottilissimo di terra, purché vi sia umidità sufficiente, anche se è ben noto che la maggior parte delle specie riesce a superare periodi di siccità rimanendo in uno stato disidratato, che può essere poi superato in poche ore in presenza d’acqua. A differenza delle piante superiori che crescono traspirando acqua dalle foglie ed assorbendola, assieme agli elementi nutritivi, dalle radici, per i

muschi il trasporto di acqua e di sostanze nutritive avviene per capillarità ed interessa l’intera colonia di piante. In più i muschi hanno la grandissima capacità di assorbire direttamente dalle foglie (se così possiamo definirle) l’umidità dell’aria, il che li rende più resistenti agli sbalzi idrici, ma anche maggiormente soggetti all’inquinamento atmosferico. Se siete abituati a considerare il muschio solo come ornamento per il presepe, dovete sapere che in Giappone questa pianta è molto amata e viene coltivata come fosse un fiore. Del resto avere quei cuscinetti di muschio color verde brillante non è male e fa una macchia di colore che non stona affatto nelle nostre case. I metodi per coltivare il muschio in casa sono essenzialmente due. Si prende del muschio secco e lo si frulla, proprio così, tritandolo finissimo. Poi si mette della garza (questo serve per poterlo poi spostare) su un terreno argilloso messo in un vaso basso (meglio ancora, un sottovaso: il muschio non ha bisogno di molta terra) e si sparge sopra questa polverina. Basta annaffiare (spesso, ma evitando il ristagno d’acqua) e nel giro di poco tempo avrete un bellissimo “prato” di muschio. Per mantenerlo in vita, basta bagnare ogni giorno con lo spruzzino, meglio con acqua distillata, perché il muschio teme il calcare. Un altro metodo è quello di partire con un po’ di muschio preso dal terreno: dopo averlo levato (con una spatola o una paletta piatta), togliete quanta più terra potete, poi fatelo aderire bene sulla terra argillosa che avrete preparato e premetelo bene, in modo che non ci siano ristagni di aria. Una volta che si sarà riprodotto, coprendo completamente il contenitore in cui l’avete posto, potete mettere al centro un fiore (una margherita o altro) e avrete una composizione davvero originale.


[ BRIGANTIA STORIA,

LEGGENDE ED ESCURSIONI NELLA NOSTRA VERDE TERRA ]

Il ponte delle catene

SULLE TRACCE DELLA MONACA di monza Seconda parte

[ di Juri Casati

Foto storiche gentilmente concesse da Alfredo Viganò ]

Dove eravamo rimasti? Ah sì… Gian Paolo Osio si era nascosto nel convento di Santa Margherita a Monza perché era ricercato per l’omicidio di Rainerio, ucciso perché parlava troppo del rapporto tra lui e suor Virginia. La giustizia ecclesiastica aveva arrestato suor Virginia, cioè Marianna De Leyva, il 25 novembre 1607 e l’aveva condotta nel ritiro di Santa Valeria a Milano, una sorta di carcere per prostitute pentite che si trovava nei pressi di Sant’Ambrogio. Mentre venivano sentiti i primi testimoni l’Osio convinse suor Benedetta e suor Ottavia - testimoni e complici di tutti i misfatti - a fuggire con lui. Seguiamo - sempre attraverso le successive deposizioni processuali - la loro fuga: usciti dal convento, percorsero l’attuale via Azzone Visconti e l’attuale via Aliprandi. Oltrepassarono il Lambro, ma decisero di non uscire dalla città utilizzando la porta del Carrobiolo - che sorgeva circa all’incrocio delle attuali via Frisi e via D’Azeglio e che fu abbattuta alla fine dell’Ottocento - poiché era sorvegliata. Preferirono uscire da un punto, che comunque non doveva essere lontano da lì, in cui le mura erano crollate. Seguirono quindi il corso del Lambro verso nord per circa un chilometro e si fermarono alla

Chiesa di Santa Maria delle Grazie per pregare. Qui avvenne la svolta che portò nel giro di poco tempo - attraverso la confessione delle due suore - al chiarimento di tutta la vicenda. La Chiesa di Santa Maria delle Grazie - che si trova nell’attuale via Montecassino - fu eretta tra il 1463 e il 1467 in un luogo già sacro da centinaia di anni perché era sede di un’antica cappella dedicata alla Vergine. Nel Cinquecento il convento si ampliò per le necessità dovute alla produzione della lana: vennero costruiti un lanificio e una lavanderia. Nel Seicento venne aggiunto il porticato esterno alla Chiesa. La prima immagine venerata con il titolo di Santa Maria delle Grazie probabilmente rappresentava una Madonna con il Bambino. L’attuale Sacra Icona Mariana - una tela del XV secolo di autore ignoto che raffigura l’Annunciazione - ai tempi della nostra vicenda era collocata lontano dalla vista dei fedeli, ma pochi anni dopo venne spostata in una posizione visibile al pubblico per via della crescente devozione di cui era oggetto. L’Editto Imperiale di Napoleone del 1810 ordinò la chiusura dei conventi e l’espulsione dei religiosi. Nel giro di pochi anni la Chiesa e il convento di Santa Maria delle Grazie vennero spogliati di tutte le loro opere d’arte. La Chiesa ad un certo punto venne usata come magazzino. Il

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[ BRIGANTIA ] convento fu usato anche come caserma. Risale a quegli anni l’espressione di “Grazie Vecchie”. L’Annunciazione fu spostata più volte in città e fu sempre fonte di Grazie e attirò ovunque pellegrini. L’Annunciazione e i Frati Minori Conventuali poterono tornare alle Grazie solo nel 1931.

scritte dall’Osio, il quale poi gliene aveva fatte ricopiare alcune per vedere se aveva una grafia migliore della sua). Suor Virginia non voleva far entrare l’Osio in convento e prete Arrigone le fece pervenire un libro di massime scritto in latino, lingua che lei non conosceva, in cui c’era scritto – sempre secondo il Nostro – che il peccato stava nell’uscire dal convento e non nell’entrare in convento. In seguito battezzò una calamita e la fece baciare a suor Virginia per stregarla. Produsse altre fatture che consegnò ad altre monache che lui insidiava. Intendiamoci: erano stregonerie alla Vanna Marchi (anche se una di queste fatture una notte misteriosamente si dissolse). L’Inquisizione lo interrogò - e lui negò tutto -, ma poi fu tutto sommato indulgente e lo condannò solamente a remare per tre anni sulle galere di Stato. Il giudice tuttavia precisò: “vogliamo e ordiniamo che su di esse, per il detto periodo di tempo, remi effettivamente”. Di lui non si è saputo più nulla. Il 22 dicembre 1607 iniziò l’interrogatorio della “Signora” che venne sentita solo un paio di volte. Tuttavia anche a lei, come alle altre monache, non venne risparmiata la tortura dei sibilli che consisteva nello schiacciamento prolungato delle dita delle mani. La tortura serviva a confermare le dichiarazioni rese sotto confessione. E la Signora e le altre monache confessarono tutto e confermarono tutto sotto tortura.

74 Via Aliprandi 19

Torniamo a noi. La preghiera non doveva aver giovato all’Osio dato che, appena ripartiti da lì, gettò suor Ottavia nel Lambro e cercò di finirla colpendola alla testa con il calcio del suo archibugio che però si staccò dalla canna. Per riuscire a cavarsela la donna dovette fingersi morta. Successivamente si mise a vagare per le campagne circostanti in cerca di aiuto. Un contadino si rifiutò di aiutarla, ma la indirizzo di nuovo verso la Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Seppur gravemente ferita farà a tempo a deporre prima di morire il 26 dicembre 1607. I giudici – oltre alla sua deposizione - acquisirono agli atti anche il calcio dell’arma che era stato trovato dal padre guardiano di Santa Maria delle Grazie sul greto del fiume. Venne sequestrata inoltre, a casa di alcuni lavoratori di un mulino, la veste della suora che questi avevano trovato in acqua. È difficile capire in quale mulino lavorassero poiché all’epoca tra San Giorgio e il Ponte delle Catene erano attivi undici mulini. Torniamo alla nostra storia. Il 2 dicembre venne ritrovata anche suor Benedetta. L’Osio l’aveva gettata due giorni prima in un pozzo nei pressi di Velate. Era viva, anche se con una gamba fratturata. Pochi giorni dopo, in quello stesso pozzo, venne ritrovato anche un teschio di donna. Probabilmente era il teschio della novizia Caterina, uccisa un anno e mezzo prima dall’Osio perché voleva rivelare i fatti di cui era stata testimone in quel convento. Il teschio venne sepolto nel cimitero di Santo Stefano a Milano nei pressi dell’attuale Università Statale. Gli scavi nella casa dell’Osio portarono al rinvenimento di altre ossa umane. Ormai il quadro degli eventi era chiaro e si poteva procedere speditamente con gli arresti, gli ultimi interrogatori e le condanne. Il 7 dicembre venne arrestato prete Arrigone da Oggiono. Non è possibile riassumere in poche righe la grandezza di questo cinico, ma geniale maneggione dalla tirchieria spavalda che fu il sordido motore della vicenda. Faccio una rapida carrellata delle sue “imprese” tralasciandone solo un paio veramente irriferibili in questa sede. L’Osio non sapeva scrivere lettere d’amore e prete Arrigone si offrì di scriverle al posto suo. Ovviamente poi, visto come stavano andando le cose tra l’Osio e suor Virginia, confessò alla monaca di essere il vero autore delle lettere per ricevere lo stesso “trattamento” ottenuto dall’Osio, ma la cosa non gli riuscì (in seguito al processo – temendo che fosse rimasta qualche lettera compromettente scritta da lui - disse che le lettere erano state

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Santuario della B. V. Delle Graz ie 1944

Suor Candida Colomba, suor Benedetta Homati e suor Silvia Casati vennero condannate all’ergastolo da scontarsi in una cella murata nel convento di Santa Margherita a Monza. Il 18 ottobre 1608 Suor Virginia venne condannata alla medesima pena, da scontarsi però nel ritiro di Santa Valeria a Milano. Il giudice si premurò di precisare per tutte quante che: “Mai, finché avrà vita possa e abbia la facoltà di uscirne e neppure le possa essere concessa da alcuno”. In realtà vennero tutte liberate dopo 14 anni. Anche se governavano gli spagnoli eravamo pur sempre in Italia. Gian Paolo Osio venne condannato a morte dal Senato di Milano il 25 febbraio 1608. Il governatore Fuentes mise una taglia sulla sua testa dato che era latitante. Alcuni raccontano che sia stato tradito da un amico e che sia stato ucciso, ma non è certo. La casa degli Osio venne rasa al suolo e al suo posto venne eretta una colonna infame che fu subito sfregiata, tanto che nel 1609 Fuentes dovette emanare una grida per criticare il gesto e per proibire il gioco del pallone su quello spiazzo. Nessuno lo ascoltò. Nel 1613 la colonna fu infine abbattuta. Suor Virginia morì il 7 gennaio 1650 a Milano.


[ SOLOMONZA... ] Pistorio M.V. - Brigantya Monza - Notte di Natale

SOLO

MONZA Abitualmente questa rubrica si chiama NonsoloMonza e qui descriviamo gli splendidi paesi di cui la nostra Brianza è ricca Luoghi da scoprire e visitare in tutti i periodi dell’anno ma, per Natale, abbiamo voluto stravolgere un po’ le cose e soffermarci a parlare del nostro capoluogo, città antica e bellissima, che per le feste si veste di magia e incanto. Perché, e lo diciamo con fierezza e orgoglio e un pizzico di campanilismo, Monza è una città per tutte le stagioni: quelle temperate per lo splendido Parco con i suoi giardini, ma anche quelle fredde per la ricchezza di monumenti e il bellissimo centro decorato. Non solo Monza?. A ridosso delle festività natalizie Monza, accesa dalle tante luci di festa, offre un volto fiabesco, ancor più spettacolarmente accentuato dalle “imbiancate” che già da inizio mese non si sono fatte aspettare e che, al di là degli inevitabili disagi cui si accompagnano, rendono però speciale l’atmosfera natalizia. Monza in questo periodo offre, inoltre, tante proposte per trascorrere le giornate di festa in città, senza doverci allontanare alla ricerca di svaghi ed attività, anche all’aria aperta. Primo fra tutti l’appuntamento con Mon-

za on Ice (fino al 9 gennaio 2011), la pista di pattinaggio sul ghiaccio, allestita in piazza Trento e Trieste, che movimenta e rallegra le festività monzesi con pomeriggi di animazione e corsi di pattinaggio, oltre che, naturalmente, con la possibilità di cimentarsi liberamente in questo sport invernale. Anche quest’anno torna in piazza San Paolo la manifestazione dedicata ai più piccoli, Bimbò sotto l’albero (dal 18 al 29 dicembre, ingresso libero), uno spazio coperto e riscaldato che tutti i giorni ospiterà laboratori, giochi e animazioni a tema natalizio. Immancabile l’appuntamento, il 22 dicembre alle ore 21, con il concerto di Natale in Duomo: il concerto per i tre organi dal titolo I Misteri Gaudiosi e i Re Magi (opera di Mirko Ballicco, musiche di Arvo Pärt). La notte di Natale, al termine della S. Messa, i monzesi sono invitati all’ormai tradizionale appuntamento con il vin brulé in piazza Duomo, dall’Associazione Nazionale Alpini- Sezione di Monza, ottimo per scaldarsi e occasione unica per scambiarsi gli auguri e magari incontrare vecchi amici che non si vedono da tempo! Oltre a tutto questo, naturalmente, l’offerta culturale prosegue con la mostra Sacro e Profano

presso il Serrone della Villa Reale (fino al 9 gennaio 2011), ma i giorni di festa possono essere una buona occasione anche per dedicarsi alla scoperta dei musei monzesi, ricchi di tesori antichi e preziosi ma spesso dimenticati, nella ricerca frenetica di nuove proposte, proprio perché sempre facilmente e piacevolmente accessibili. Dal Museo del Duomo fino alla Cappella di Teodolinda, senza dimenticare, specialmente a Natale, periodo in cui la spiritualità troppo spesso viene trascurata in favore del consumismo, una visita alla scoperta della più antica basilica cittadina che risale, nella sua attuale fattezza, al 1300…ci riferiamo, naturalmente, al nostro Duomo. Sarà, quindi, facilissimo godere appieno la magia delle feste anche senza allontanarsi troppo da casa: basta indossare un pesante giaccone e prepararsi a trascorrere un’allegra giornata perdendosi fra le vie del centro addobbate e illuminate, lasciandosi sorprendere dalle tante attrazioni che vi sono state allestite per far rinascere la magia del Natale anche negli animi dei burberi più incalliti…

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[ I SEGRETI DELLO CHEF ]

I cappelletti di nonna Giulia

con il mattarello se siamo proprio bravi ed allenati, oppure con l’aiuto delle apposite macchinette. Ritagliate, quindi, dei cerchi di pasta (ci si può aiutare con un bicchiere) e mettere all’interno di ogni cerchio un cucchiaino di ripieno, chiudere a mezzaluna e ripiegare su se stesso il cappelletto. Noi li mangeremo in brodo, rigorosamente di carne, e accompagnati da un buon bicchiere di vino rosso! Buon appetito e Buon Natale a tutti. Le sciure Guarda il video della preparazione sul sito www.trantran.net nella sezione I segreti dello chef!

Ingredienti

[ di Adriana Colombo ] Cari lettori è il numero di Natale e, in via del tutto eccezionale, abbiamo pensato, invece di svelarvi come di consueto i segreti degli chef brianzoli, di invitarvi a casa nostra per il pranzo natalizio e di preparare per voi i cappelletti di nonna Giulia (la mia cara nonna). Dei cappelletti non vi proponiamo la ricetta originale ma quella che da sempre accompagna i miei natali. Iniziamo col preparare il ripieno. Mettiamo in una casseruola abbondante olio d’oliva ed un battuto di cipolla sedano e carote, in cui metteremo a rosolare 2 etti di polpa di maiale, 2 etti di polpa di vitello, 1 etto di petto di pollo e una salsiccia sbriciolata, salare e pepare come per preparare un brasato. Intanto tritiamo 1 etto di mortadella e 1 etto di prosciutto crudo (è preferibile il

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gambuccio, cioè quello più vicino all’osso, più morbido e dolce). Quando la carne è cotta va tritata finemente. In un contenitore amalgameremo i due triti, abbondante parmigiano (circa. 3 etti), 2 uova, un’abbondante grattugiata di noce moscata, sale e pepe q.b. Lasciamo riposare il composto per almeno tre ore in modo che i sapori si contamino perfettamente. Iniziamo a preparare la pasta solo quando il riposo del ripieno sia ultimato, preparandola con troppo anticipo, infatti, potrebbe seccare troppo rendendo difficoltosa la chiusura dei cappelletti: disponiamo su di una spianatoia 5 etti di farina a fontana, all’interno mettiamo 5 uova e una buona presa di sale, iniziamo a lavorare l’impasto fino a renderlo morbido ed omogeneo, se necessario aggiungiamo un po’ d’acqua o di olio d’oliva. A questo punto non ci resta che tirare la pasta,

Per la pasta: 5 hg farina 5 uova Per il ripieno: 2 hg polpa di maiale 2 hg polpa di vitello 1 hg petto di pollo 1 salsiccia 1 hg prosciutto crudo 1 hg mortadella 3 hg parmigiano 2 uova olio, sedano, carota, cipolla, noce moscata, sale e pepe


[ REALITY ]

REALITY Venti domande per vedere la Brianza con gli occhi dei brianzoli

ENRICO Età 56 Dove sei nato? A Seregno. Dove vivi? A Seregno. Vivi da solo o con la famiglia? Vivo da solo. Destra o Sinistra? Sinistra. Che lavoro fai? Ho un’ edicola. Cosa ti piace di Monza e Brianza? Mi piace la disponibilità delle persone. Di molte persone, anche se non tutte! Associazione d’idee. Se ti dico verde… I prati dell’Alta Brianza.

Cena… Baldoria con gli amici. Vai al parco? Solo un paio di volte all’anno. Chi è Dario Allevi? Il presidente della provincia di Monza e Brianza. Dai un voto a Monza e Brianza Sei… meno meno. Ai trasporti in Brianza? Sei e mezzo. Al commercio in Brianza? Dieci anni fa avrei dato un bell’otto e mezzo, anche nove, oggi, però, siamo scesi a un sei e mezzo. Se non in Brianza dove vorresti vivere? Quanto all’Italia mi piacerebbe stare a Bologna...

allargando l’orizzonte, invece, mi piacerebbe una casetta in Giamaica. Esprimi un desiderio. E’ quasi Natale quindi direi: un Natale felice per tutti, soprattutto per tutti i bambini. Metropolitana a Monza: favorevole o contrario? Favorevole: potrebbe aiutare sensibilmente anche il traffico sulla Valassina! Dimmi un proverbio Mogli e buoi dei paesi tuoi! Dì qualcosa ai nostri lettori Ragazzi, cerchiamo di avere un po’ di serena euforia per il futuro perché altrimenti, se ci abbandoniamo allo sconforto, davvero andiamo a rotoli!

ROBERTO Perego Roberto, ma per gli amici semplicemente Bobo. Età 31 Dove sei nato? A Monza. Dove vivi? A Cremella. Vivi da solo o con la famiglia? Vivo con la mia ragazza. Destra o Sinistra? Destra. Che lavoro fai? Faccio il carpentiere. Cosa ti piace di Monza e Brianza?

Della Brianza mi piace soprattutto la tranquillità. Associazione d’idee. Se ti dico verde… Serenità, relax. Cena… Allegria. Vai al parco? Si, spesso. Chi è Dario Allevi? Non saprei… Dai un voto a Monza e Brianza Otto. Ai trasporti in Brianza? Non li uso… non saprei. Al commercio

in Brianza? Cinque. Se non in Brianza dove vorresti vivere? Amo la Sardegna. Esprimi un desiderio. Avere una bella famiglia. Metropolitana a Monza: favorevole o contrario? Favorevole! Dimmi un proverbio L’erba del vicino è sempre più verde…. Dì qualcosa ai nostri lettori Un augurio per tutti: pace e amore!

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[ RACCONTIAMOCI ] [ di Giulia Cavaliere ] Dicembre è Natale e Natale è natività, un concetto che non ha, come ancora erroneamente molti tendono a credere, una sola prospettiva. Abbiamo deciso di raccontare ai nostri lettori idee, modi diversi e, soprattutto, la necessità della diversità e l’importanza non trascurabile delle più svariate possibilità e per farlo abbiamo scelto di incontrare la giornalista e scrittrice Nicoletta Canazza, autrice del romanzo “La madre distratta - Amore, maternità e carriera alle soglie degli anta” (Edizioni Clandestine, 2010) in cui è raccontata assai esaustivamente la condizione esistenziale di una donna di quasi quarant’anni divisa tra la necessità di assecondare il marito che desidera avere un figlio a ogni costo e tutte le angosce che questa situazione, aggiunta al quotidiano affanno, intimamente, le procura. Un libro che riflette sulle alternative, sulla molteplicità dei ruoli dell’essere, oggi, una donna, incarnando cioè il perpetuo modificarsi della femminilità che nel mutare, si evolve, ma non viene rispettata in tutta la propria complessità. Nicoletta, iniziamo con una semplice curiosità: cosa ti ha spinta a scrivere un libro come questo, su questi temi? Colpa del treno. Avevo accettato un lavoro “a tempo”, che mi obbligava a circa 4 ore da pendolare ogni giorno. Attorno a me viaggiavano donne di tutte le età e le estrazioni sociali. Parlavano. Molti temi erano ricorrenti: difficoltà nell’accesso al lavoro, nella ricerca della stabilità affettiva o economica, ma anche uno scollamento tra l’immagine della donna che passa dai media e la realtà, l’assenza di servizi a sostegno della famiglia, e poi il gossip e il modello di sottocultura a cui ha abituato una certa tv, le infinite sfaccettature della maternità e del ruolo di madre. Non sempre angelicata come vorrebbero pubblicità e fiction, anzi. Ho cominciato a prendere appunti. Le donne non hanno paura di affrontare temi scomodi come la procreazione assistita, il diniego di maternità, la difficoltà di “fare” la madre seguendo il modello tradizionale. Volevo raccontare donne “reali”, donne che a un certo punto della loro vita, più o meno attorno ai 40 anni, si erano trovate a farsi domande e a non riconoscersi nelle risposte. A mano a mano che scrivevo, però, mi sono resa conto che mi serviva un altro registro per raccontare il dolore delle donne, gli effetti e la sua gestione. Da qui il romanzo.

Non è un paese per donne

Intervista a Nicoletta Canazza, autrice di “La madre distratta”

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Nel titolo del tuo romanzo usi l’aggettivo «distratta», è una scelta particolare; durante la lettura, la vicenda, l’intreccio, non mi hanno suggerito l’idea della distrazione, quanto più quella dell’aver avuto, semmai, un bisogno biologico e umano, la maternità, non in un’età conforme a quella della maggioranza delle donne. La parola distratta di primo acchito connota questa madre negativamente, in qualche modo sembra che in questa parola ci sia una sorta di condanna a chi non ci ha pensato prima: “sei stata distratta e ora non puoi più avere quel che vuoi”. Che ne pensi? Il verbo distrarre sta per trascinare in parti diverse, separare, ma anche rompere, lacerare, dividere, fare a pezzi, tenere impegnato, allontanare, staccare, strappare, separare a forza, vendere al minuto, persino mettere all’asta. A me colpiva l’accezione “usare un bene per uno scopo diverso da quello a cui era destinato”, che si usa per la “distrazione di pubblici beni”. Che le donne siano diventate sempre più “bene pubblico” mi sembra ben evidenziato da un modello culturale che non si fa scrupolo di umiliare i loro corpi in tv come sui giornali, nei messaggi pubblicitari. La mia protagonista è una donna “distratta” perché il dolore ha modificato profondamente la sua consapevolezza influendo sulla sua maturazione e portandola “in ritardo” a un traguardo che per una donna dovrebbe avere altri tempi. Il suo è uno sguardo critico, non offuscato dal sentimentalismo. A un certo punto nel libro un medico dice alla paziente-narrante: «All’estero è diverso. Capisce?». Mi sono domandata se nel tuo libro si possa ravvisare anche una sorta di pensiero politico, su quali sono i diritti di una donna, nella sua totalità di essere femminile, in questa nazione. Mi sono chiesta se nello scriverlo tu ti sia documentata su cosa possono fare le donne in Italia per vivere la propria possibilità di maternità come e quando vogliono e quali, probabilmente agghiaccianti, disparità con l’estero tu vi abbia trovato.


[ RACCONTIAMOCI ] Partiamo dai numeri. Nel 2005 hanno fatto ricorso alla procreazione assistita in Italia 30mila coppie, nel 2008 erano raddoppiate: oltre 60mila (più 16mila all’estero, dove non a caso hanno alzato i prezzi per gli italiani). Nel 2008 con la Pma sono nati 10mila “nuovi” italiani. Eppure in Italia ci si vergogna a parlarne. Intendiamoci, la sterilità non dipende solo dalle donne che arrivano tardi alla maternità. Quella maschile comincia a essere un problema globale. Da noi però non si può parlarne. E’ un tabù e come tutti i tabù genera pregiudizi. Mi ha molto colpito, quest’estate, la differenza di trattamento sui media per la maternità di Gianni Nannini (grazie di esserci) e quella di una mamma toscana regolarmente coniugata. Entrambe a quota 54 anni, ma mentre per la prima si sono sprecate pagine di dissenso e condanna, per la seconda (gravidanza dichiarata naturale) si sono viste solo foto di famiglia sorridenti. Allora di cosa stiamo parlando? Meno ipocrisia per favore. Ogni donna ha diritto di scegliere il momento e il modo in cui essere madre. Nel libro parli molto della “violenza” fisico-psicologica dell’avere continuamente a che fare con medici e ospedali che invadono, frantumano sogni e speranze e sono luoghi asfittici, poveri di alcuna forma di calore. Paradossale come nei paesi in cui le condizioni sanitarie e della donna sono a tutti gli effetti peggiori, ci sia quasi una libertà maggiore per quanto riguarda la procreazione e gli aspetti a essa legati, è come se la carenza di strutture assistenziali e progresso in realtà possa risultare d’aiuto a un rispetto della natura delle cose, senza le intromissioni tecnologico-progredite dei nostri ospedali. Avevi mai pensato a questo paradosso? Che ne pensi? Non so quanto dipenda dalla volontà di colpevolizzare le donne che scelgono dolorosamente la Pma (specie quelle attorno ai 40 anni) e quanto invece dalla semplice necessità di standardizzare le cure a livelli minimi di qualità. Il punto è che quando si ha a che fare con sentimenti così privati, così intimi, l’eccessiva burocratizzazione diventa un ulteriore aggravio di sofferenza. I cicli di cure sono devastanti per qualsiasi coppia, anche la più affiatata, e spesso richiedono più tentativi. I fallimenti annientano. Molte coppie non riescono a superarli e te lo scrivono pure nei protocolli medici. Una domanda, una provocazione: c’è un’età per fare un figlio? Non dico un’età legislativamente valida, ma un’età che il buon senso impone di non superare. Abbiamo parlato di Gianna Nannini che oggi, in un ospedale di Milano, ha partorito la sua primogenita. La cantante, abbiamo detto, ha 54 anni. Ti sembra giusto che, ad esempio, una ragazza di quindici anni, con tutte le questioni esistenziali imposte dall’essere un’adolescente, abbia una madre di 69 anni? Si dice che l’età media aumenta, ma malattie come il cancro spesso stroncano vite giovanissime. Quanto c’è di egoistico in tutto questo secondo te? Non credo che una ragazzina minorenne che rimane incinta perché ha fatto sesso, magari ubriaca, senza precauzioni abbia automaticamente più buonsenso di una donna over 40 che vuole fermamente essere madre. Bisogna stare attenti a stabilire paletti e categorie. Se si decide che a 54 anni non si ha più l’energia per seguire un bimbo piccolo, allora il veto vale anche per le tante nonne over 50-60-70 che fanno le baby sitter a tempo pieno dei propri nipoti. Stabilire condizioni di base per garantire il pieno sviluppo psicologico di un bimbo porta a pericolose derive. E i disabili? E i precari, i disoccupati? I tossicodipendenti? E una coppia dove uno dei coniugi viene condannato a pene detentive? Credo che la vita sia profondamente cambiata, ma che le politiche non riescano ad andare al di là di una contrapposizione ideologica, su ogni aspetto del vivere civile. Servono azioni anche scomode, strategie, capacità di progettare il futuro. Scienza e ricerca saranno sempre più parte del futuro. Pensare di regolare i cambiamenti sociali con criteri di 20-30 anni significa essere miopi. Il dolore viene dato ancora per scontato mentre si dovrebbe combattere per eliminarlo. Nel resto dell’Europa la terapia antidolore nelle sale parto è la regola. Da noi no. Ci sono ancora travagli di 15-20 ore, e magari si muore ancora di parto. E perché non abbiamo farmaci antalgici per i bambini?

Il termine “concepire” letteralmente significa “accogliere”, diciamo “fare un figlio” ma noi non facciamo niente. È lui che viene da noi, semmai, e questo lo dico fuori da una qualsiasi concezione religiosa, lo dico in modo del tutto laico, lo dico linguisticamente parlando. Non credi che esista una forma di accanimento ossessiva nella ricerca del figlio quando questo non arriva? Quanto credi che quest’accanimento sia dovuto all’idea, di cui tu parli, secondo cui una donna deve diplomarsi/laurearsi/trovare lavoro/un uomo e i figli? C’è un pregiudizio di fondo. Questa cosa dell’accoglienza, della sottomissione, dell’accettazione è una “invenzione” culturale molto comoda. Ma la donna, in quanto femmina della sua specie, è un animale competitivo. La natura l’ha creata così, quindi compete per il territorio, per gli affetti, per la casa, per il lavoro. Compete con la figura della propria madre. Anche per la conquista della maternità se diventa essenziale per il proprio progetto di vita e se l’assenza di figli viene percepita come discriminante. Forse si dovrebbe rivedere il concetto di “normalità”. Magari cominciando anche col sostituire il concetto di “colpa” con quello di “responsabilità”. Non vedo nulla di criticabile in una donna che sceglie in completa consapevolezza, anche contro il sentire della maggioranza. Se un uomo resta solo e non ha figli, come per molte altre questioni, non è un problema. Se è una donna a non farne il problema invece c’è, una donna sola senza figli è una zitella, un uomo nella stessa condizione è scapolo. Scapolo è bello perché vuol dire che ti diverti e hai tutte le donne che vuoi, zitella vuol dire sfigata, senza nessuno che ti apprezzi, brutta, superata. Penso che la forma più corretta e completa di emancipazione sarebbe l’affermarsi del diritto, che una donna ha, di poter non volere un marito e anche un figlio. Le funzioni vitali sono molte, basti pensare all’arte, alle donne che non hanno fatto figli ma hanno scritto grandi opere letterarie. Cosa ne pensi? Ogni scelta personale è legittima e deve essere riconosciuta come tale, specie nelle scelte di vita. Mi è capitato di sentir dire da un opinionista, che il sistema non funziona più perché le donne non fanno più figli. Mi permetto di rovesciare il ragionamento e di dire che se le donne non fanno figli è perché il sistema non funziona. Non funziona per chi ha una famiglia numerosa, né per chi ha un figlio e ne vorrebbe due ma non può permetterselo, né per chi ne vorrebbe disperatamente uno e deve fare i conti con una legge mortificante sulla procreazione assistita, ma anche per chi non vorrebbe “dover” fare la madre perché ritiene di poter dare di più in altri campi. E’ triste, ma forse, parafrasando il titolo di un film, è il caso di dire che questo “non è un paese per donne”. Magari per escort sì. E’ triste pensare a un Paese che rinuncia a metà dell’intelligenza disponibile solo perché trova più comodo legiferare a senso unico scaricando sulle donne quella rete di servizi di base che lo Stato non è in grado di fornire. Pensi che un libro come il tuo possa aiutare anche la consapevolezza di una giovane donna, come me, e come molte lettrici del nostro giornale, a una coscienza più ampia di femminilità? Perché? Credo che si debba cominciare a ragionare di maternità fuori dagli stereotipi. Si pensa che il senso di maternità nelle donne sia scontata. Non è così. Generare è un istinto innato, ma non si coniuga necessariamente con il procreare. La costruzione psichica della maternità avviene nei primi sette anni di vita. Se in questo periodo interviene un trauma, una perdita, una deprivazione affettiva l’approccio con la maternità viene compromesso e adeguarsi comunque al “modello” nei tempi imposti dalla società può essere devastante. Psicologi e psicanalisti hanno gli studi pieni di pazienti che sono stati bambini mal sopportati, spesso traumatizzati dal rapporto con le proprie madri. Bisogna avere il coraggio di parlare anche dell’infanticidio (circa 25 casi all’anno), della crescita delle depressioni post parto (almeno un migliaio di casi considerati gravi dalla società dei ginecologi in Italia ogni anno), dell’impennata nel ricorso alle cure anti sterilità. Dire, come sento spesso, che le donne dovrebbero fare figli “prima”, significa avere una visione della società ferma a qualche decennio fa. Le giovani donne si meritano di più.

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[ RACCONTIAMOCI ]

MATHITYA

E IL GIORNO DEI DONI [ di Maurizio Medici ] Tanto tempo fa, in un mondo lontano chiamato Zamon, viveva un vecchio re. Il vecchio re Drian, così si chiamava, regnava con fare giusto e benevolo. Il vecchio re era triste, non aveva un erede. La cosa che desiderava di più era un figlio. Una sera, affacciandosi alla finestra della camera da letto, mentre il fuoco del camino scoppiettava assai vivace, il vecchio re fissò il cielo. La stella della sera risplendeva come non mai. Re Drian espresse il suo desiderio. O stella della sera, che risplendi e sei leggera che riposi lì nel cielo Puoi avverare un desiderio? Dona un piccolo fagotto ad un vecchio mal ridotto che si siede su di un trono un erede chiedo in dono... O stella della sera, che risplendi e sei leggera. <Salute vecchio re.> Re Drian sussultò. Chi aveva parlato? <Chi sei?> Chiese titubante. <Mi chiamo Blenio, sono lo spirito della stella

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La stella della sera risplendeva come non mai. Re Drian espresse il suo desiderio. della sera.> Dalla penombra, il misterioso interlocutore prese forma. Aveva le sembianze di un cervo. La maestosa creatura avanzò di qualche passo, poi aggiunse: <Hai espresso un desiderio e questo è stato accolto, ma attento.> Re Drian era tutto orecchi. <Vecchio re, tu sei buono, ma dovrai affrontare una prova assai difficile.> Il cervo fissò il bimbo tra le braccia del re poi continuò: <Il bimbo che crescerai sarà la tua prova. Al compimento del suo sedicesimo compleanno, prima che i miei palchi cadano per l’ultima volta, io tornerò da te. Se avrai passato la tua prova il patto sarà estinto, se avrai fallito il tuo popolo

soffrirà.> Re Drian fissava il bimbo poi si rivolse a Blenio: <Perché questa prova?> <Vecchio re, come ti ho già detto tu sei un buon re. Hai espresso un desiderio e questi è stato esaudito. Ma ogni cosa ha un suo prezzo.> Lo spirito della stella della sera si voltò rivolgendosi l’ultima volta al vecchio re. <Ricorda, al compimento del suo sedicesimo compleanno tornerò> poi svanì nella notte. La mattina seguente re Drian presentò al popolo il suo erede. <Miei cari, il mio desiderio è stato avverato. In questo giorno di festa presento a voi il mio erede e vostro futuro re: Mathitya! Che significa dono del cielo. Questo giorno, sarà per lui una festa! Brindiamo a Mathitya! Brindiamo al Giorno del Dono!> Tutti applaudivano. Erano passati ormai quindici anni. Il giovane Mathitya non era quello che re Drian aveva sperato. Era egoista e senza cuore. Mancava solo un giorno al giorno del dono. Mathitya e re Drian si trovavano nella sala del trono. <Padre, per quest’anno ho in mente un dono che vorrei da voi> Re Drian sussultò, poi chiese <Quale dono figlio mio?> Mathitya sorrise: <Voglio la vostra corona>


[ RACCONTIAMOCI ] Il vecchio re sobbalzò a quella richiesta. Il vecchio re prese le mani del figlio. <Per quale motivo figlio, vuoi la mia corona?> Mathitya ci pensò un po’ su poi rispose <Perché così potrò avere quello che voglio, senza aspettare il giorno del dono> <Per quale motivo vuoi obbligare il popolo a recarti dei doni?> <Perché se indosso quella corona diventerà il mio popolo e non potranno più negarmi nulla> Il vecchio re venne attraversato da una tristezza profonda. Il giovane Mathitya prese quell’esitazione come un diniego. <Lo sapevo! Voi non mi volete bene padre!> Re Drian sobbalzò nuovamente <Non dire così figliolo, sai che farei qualsiasi cosa per te, ho indetto la festa del dono solo per te, per festeggiare il giorno in cui sei arrivato da me> <Non mi importa, io voglio quella corona e voi me la darete!> Detto questo scappò via. Re Drian era abbattuto. Come aveva mai potuto permettere che quel giovane diventasse così? La giornata scorse lentamente. Re Drian era preoccupato. Mathitya non si trovava da nessuna parte. Il vecchio re sperava che nulla fosse accaduto al giovane ragazzo. Calò la sera. Mathitya tornò al castello. Il vecchio re era seduto davanti al camino, immobile a fissare il fuoco. Mathitya corse ad abbracciarlo ma il re non si mosse. Mathitya Si staccò dal petto del padre guardandolo. Il vecchio re aveva gli occhi chiusi, sembrava dormisse, ma il suo petto non si muoveva, il vecchio re non respirava. Mathitya non si accorse delle lacrime che scivolavano lente sul suo viso. <E’ colpa mia> Sussurrò tra le lacrime. Il fuoco del camino si spense. Mathitya corse fuori dalla stanza gridando <Aiuto! Aiutatemi!> Ma non c’era nessuno. La paura di rimanere solo lo terrorizzava. Corse giù per le scale, inciampando e cadendo. Rotolava nell’oscurità. Era come se cadesse giù, in fondo, negli abissi della terra. Due braccia lo scossero con virilità. <Mathitya! Mathitya!> Il giovane principe aprì gli occhi. Re Drian guardò il figlio <Hai fatto un brutto sogno figliolo?> Mathitya non credeva ai suoi occhi, il padre era vivo! <Padre!>. Mathitya si sentiva di nuovo a casa, e di nuovo bene. Era stato solo un brutto sogno! Il popolo attendeva all’interno del salone principale. Mormorii e bisbiglii creavano un sottofondo gradevole. Re Drian, seduto sul trono, si alzò <Popolo di Zamon, vi presento il principe Mathitya!> Le trombe squillarono, mentre gli applausi scrosciavano ma del giovane principe neanche l’ombra. All’improvviso il portone principale si aprì. Mathitya, vestito a festa e fiero entrò nella sala. La folla si aprì, creando un corridoio per il giovane. La gente era sbigottita, temevano qualcosa di brutto.

Mathitya si avvicinò al padre. Il vecchio re, preso dall’imbarazzo prese la parola. <Il primo dono è il mio> Detto questo si tolse la corona porgendola al figlio. Un gelido silenzio percorse la sala. Mathitya prese la corona posandola sul capo. Si voltò <Popolo di Zamon> La gente era attonita. Il giovane principe era appena diventato re. Mathitya continuò. <In questo giorno sono divenuto re. Voi tutti mi darete obbedienza come avete fatto con mio padre.> Un brusio generale misto a sorpresa fece vacillare i presenti. Il giovane re scese lentamente tra la folla. Continuò a camminare tra le persone, tra gli sguardi del suo popolo. Arrivò di fronte ad una famiglia povera, senza alcun dono. La figlia più piccola sussurrò <Noi non abbiamo alcun dono per te nostro re> La gente si zittì. Mathitya fissò la bambina. Poi sorrise. Si slacciò delicatamente il mantello facendolo scivolare sulle spalle della piccola <Sono io che ho un dono per te piccola mia> La bimba era ora avvolta dal caldo mantello di Mathitya. <Ho un dono per tutti voi! Da oggi non festeggeremo più il giorno del dono, ma sarà ribattezzato il giorno dei doni! Ognuno potrà, se vorrà fare doni e riceverne. Nessun capriccio graverà su di voi. State con le persone care, festeggiate e radunatevi con i vostri parenti e amici. E, se vorrete, la mia porta resterà aperta per tutti voi,

se mi concederete l’onore di condividere con il mio popolo... mi correggo: con i miei amici; la mia tavola.> Un boato si alzò nel salone, applausi e urla di gioia vibravano tra le mura. <Viva il nostro re!> <Evviva!> Tutto intorno era divenuto una grande festa. Suoni, musica e grida di felicità. Mathitia si avvicinò a re Drian <Padre> sussurrò <Questa è vostra> Prese la corona e la porse al padre <Ho capito che tutti i doni del mondo non valgono niente, se poi rimani solo> Re Drian aveva gli occhi pieni di lacrime. <Voglio diventare un buon re, padre> Detto questo abbracciò il vecchio re. <Ti voglio bene...> Il vecchio re guardò il figlio restituendogli la corona. <Sei appena diventato un buon re figliolo.> Mathitya sussultò mentre il padre gli posava delicatamente la corona sul capo. Il patto era estinto e la stella della sera brillava, più luminosa che mai. Mathitya ha imparato che la cosa più bella nel ricevere un dono è il poterlo condividere con le persone che ama, senza forzare nessuno. Un dono è bello se chi te lo reca lo fa con il cuore. E se non si riceve un dono, non importa. Mathitya ha imparato a donare senza pretendere nulla, perché anche quando si dona si riceve sempre qualcosa di unico: un sorriso... FINE

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[ L’ANGOLO DEL PENDOLARE ]

I NUOVI CONTROLLORI [ rubrica a cura di Juri Casati ] C’era una volta… non cominciano così le fiabe? Beh una volta - e questa non è una fiaba - a fare i controllori sui bus venivano mandati gli autisti prossimi alla pensione o quelli che non superavano più le visite mediche, di solito per via della vista che con gli anni si era abbassata. Erano animali dai riflessi appannati, con poca voglia di combattere e che facevano il minimo sindacale di multe proprio per dimostrare alla Direzione Generale di essere ancora in vita. Costoro ave-

LETTERA DEI LETTORI

Vita da pendolare: non solo stress Buongiorno, sono uno dei tanti pendolari che ogni mattina si affolla sui treni gremiti diretto dalla Brianza verso Milano Centrale. Orami conosco i miei compagni di viaggio quasi meglio degli amici di una vita. Confesso: origlio le loro telefonate, ascolto senza falsi pudori le loro conversazioni, le confidenze fra amici e gli sfoghi di mogli, padri, figli…mi facci davvero gli affari di tutti per trascorrere il tempo del mio lungo e scomodo viaggio quotidiano. Questa è una lettera che invio a voi, redazione di Trantran, per rivolgermi a loro, perché davvero in tanti fra loro, leggono questa pagina il giorno della vostra uscita. Volevo scusarmi per le mie intrusioni senza invito nelle loro vite e volevo ringraziarli perché mi sono reso conto che tutti loro, compagni di viaggio, sono diventati anche inconsapevoli compagni di vita. Ieri sera, addormentandomi, mi sono tornate alla mente le profonde riflessioni che la ragazza con la giacca bianca che sale a Lissone esternava all’amica. Quanta saggezza in una così giovane viaggiatrice. Le sue parole di coraggio mi hanno accompagnato tutto il giorno. Per questo la voglio ringraziare e voglio ringraziare anche tutti gli altri di voi che, senza saperlo, ogni giorno mi fate compagnia. Giacca a vento marrone

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vano l’atteggiamento tipico di chi lavora mentre pensa ai nipoti, alla pesca, all’orto, al gioco delle carte, alla schedina al sabato (allora c’era) o semplicemente alla pensione. Tutti noi ricordiamo il loro comportamento. Innanzitutto arrivavano quando più te li aspettavi. Non entravano mai in azione al mattino presto quando i mezzi erano strapieni, ma uscivano dalle tane - sempre che ci fosse il sole - verso le 10.00 quando sui mezzi non c’era più nessuno. Alla fermata si presentavano in divisa con tanto di cappello di ordinanza per farsi vedere bene da lontano e da tutti. Prima di salire indugiavano sempre un attimo tanto per lasciar tempo ai portoghesi di abbandonare il mezzo. Infine, una volta saliti a bordo, si avvicinavano al posto del conducente e si mettevano a chiacchierare con l’autista non rispettando lo storico divieto. Attraversavano così - difendendo un forte che non era assediato da nessuno - il loro personalissimo Deserto dei Tartari che li avrebbe condotti prima o poi alla pensione. Trovavano conforto solamente nel dare informazioni – ma soprattutto preziosi consigli non richiesti - ai passeggeri bisognosi di semplici indicazioni. A volte multavano, ma la loro presenza era più simbolica che reale, come quella dei piantoni davanti alle caserme. Essi assolvevano in realtà alla funzione di “contenere” il fenomeno del mancato pagamento dei biglietti entro limiti accettabili. Ecco perché attaccavano le loro (poche) prede prevalentemente nei pomeriggi del fine settimana: per non consentire agli utenti occasionali di prendere brutte abitudini. Da qualche anno la musica è cambiata. Ce ne siamo accorti tutti. L’età media dei controllori si è drasticamente abbassata. La mansione di controllore non è più sinonimo di “deposito di conduttori di mezzi pubblici a fine carriera”. Oggi un bambino può finalmente dire: “mamma, da grande farò il controllore” perché la figura di “controllore professionista” esiste davvero. Sembra che questo cambiamento sia frutto della privatizzazione o della crisi. Indagheremo. Pare di capire che l’obiettivo non sia più quello di contenere il fenomeno del mancato pagamento dei biglietti entro limiti accettabili, ma l’obiettivo sia proprio quello di snidare i colpevoli, multarli e di fare affluire nelle casse della Direzione Generale nuovi fondi. I nuovi controllori sono più determinati, pensano

ai figli, alle mogli e al week end. Forse pensano anche alla carriera. Si presentano anche nell’ora di punta. Spingono, salgono a bordo, verificano in ogni condizione meteorologica. Sono vestiti in borghese e tirano fuori il cappello e il distintivo solo quando le porte si sono chiuse alle loro spalle intrappolando i portoghesi. Non sentono più ragioni. Probabilmente hanno un certo numero di contravvenzioni da fare e probabilmente vengono controllati gli effettivi incassi delle multe che fanno. Ecco perché loro puntano alle categorie deboli, ma paganti: studenti, impiegati e massaie che in passato venivano lasciati in pace. I dialoghi dei nuovi controllori meriterebbero uno studio a parte per la vena surreale che contengono e per la complessità sociologica che nascondono: “Siete in due ma se la pagate subito vi faccio una contravvenzione soltanto”, “Lei non ha correttamente obliterato il biglietto”, “Non ha rispettato la fascia di utilizzo”, “Anche se siamo in ritardo di due ore la multa la devo fare lo stesso perché il servizio va pagato comunque”. È un teatro dell’assurdo che ricorda un film di Aldo, Giovanni e Giacomo: “Questo biglietto è pluritimbrato” “Si vede che l’ho pagato di più”.


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ORGANIZZARE UN TORNEO CASALINGO [ rubrica a cura di UTGaber ] Il Texas Hold’em è diventato un gioco diffusissimo negli ultimi anni non solo perché è molto divertente, ma soprattutto per la notevole spinta mediatica ricevuta e per la possibilità di giocare attraverso internet collegandosi a poker room virtuali dove è possibile partecipare a decine di tornei sportivi senza neanche muoversi da casa. Sappiamo che la maggior parte dei giocatori di Hold’em giocano quasi esclusivamente sulla rete, e moltissimi non hanno mai giocato dal vivo. Questo fenomeno è maggiormente accentuato in Italia perché qui, non senza una evidente contraddizione, un torneo di poker viene considerato sportivo (e quindi non prevalentemente aleatorio) solo se giocato online e non invece se giocato dal vivo. Ne consegue quindi che nel nostro paese è possibile giocare dal vivo con ingressi e pagamenti in denaro solo ed esclusivamente nei casino autorizzati. Nulla ci impedisce naturalmente di giocare privatamente tra amici o parenti per il solo scopo ludico, soprattutto in questo periodo di vacanze.

Vediamo quindi come organizzare al meglio un Sit&Go di Texas Hold’em casalingo. Naturalmente sono assolutamente necessari almeno un mazzo di carte e un adeguato numero di chips in almeno quattro diversi colori. Per la scelta delle carte sarebbe preferibile optare per un mazzo di carte in plastica, magari big index ovvero con gli indici maggiorati per una più facile lettura. Rispetto alle carte plastificate le carte in plastica hanno una maggiore durevolezza e conservano nel tempo le proprie caratteristiche, mentre il prezzo è più o meno analogo. Per quanto riguarda le chips se ne trovano in commercio di diversi tipi. Le migliori, per solidità, durevolezza ma anche per la piacevolezza nel maneggiarle, sono le chips in ceramica. Purtroppo però sono molto più costose e anche più difficili da reperire di quelle in plastica che sono invece ormai diffusissime e si possono acquistare in molti negozi anche non specializzati o presso molti tabaccai. Se optiamo per le chips in plastica acquistiamo possibilmente quelle con anima in metallo da 11g, sono praticamente le più diffuse e hanno un prezzo decisamente ac-

Gioco responsabile Il gioco è un elemento importantissimo nella vita di una persona. Si può dire anche che sia fondamentale e necessario oltre che naturalmente piacevole, e ciò vale sia per i bambini che per gli adulti. Ovviamente gli adulti hanno (in genere) modalità e tipologie di gioco diverse e non sempre “istituzionali”, per qualcuno può essere un hobby più o meno creativo oppure uno sport, ma tutti abbiamo bisogno di un po’ di svago ogni tanto. L’importante è che il divertimento non diventi una dipendenza, e purtroppo è quello che può succedere con il gioco d’azzardo (ma non solo). Paradossalmente però il poker sportivo può rappresentare un buon modo di coniugare la necessità di gioco con un certo controllo. Si può partecipare a tornei che offrono montepremi altissimi e fortissime emozioni pagando soli pochi euro, ma bisogna sempre mantenere il controllo sulla propria attività di gioco. Chi si occupa di patologie legate al gioco d’azzardo indica diversi segnali di allarme, se ci riconosciamo in uno o più di questi sarebbe bene riconsiderare il nostro rapporto con il gioco: • Impulso di giocare somme sempre maggiori; • Necessità di nascondere l’entità delle somme giocate ad amici o parenti; • Perdita del controllo sulla quantità di tempo e/o denaro destinati al gioco.

cessibile; generalmente è meglio scegliere quelle neutre, cioè senza un valore impresso. Per un Sit&Go casalingo bastano 300 chips e si trovano facilmente dei kit comprendenti la valigetta per il trasporto a circa 30 € o meno, soprattutto cercando in rete. Normalmente le chips in questi kit sono di discreta fattura e incluso si trova anche il bottone del dealer e cinque dadi (inutili per il THE), ma spesso è inutile sperare di poter usare le carte comprese nella valigetta. Con chips e carte a disposizione non ci resta che organizzare il tavolo. Per prima cosa bisogna decidere la struttura del torneo, ovvero l’andamento dei livelli e la quantità di chips che

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[ DI TUTTO UN PO’ ]

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si daranno a ciascun giocatore. Il torneo durerà più tempo tanto maggiore sarà il numero di chips e tanto più lento l’andamento dei livelli. Bisogna trovare un giusto bilanciamento tra una buona giocabilità e una durata accettabile. Una struttura con 5.000 chips con un primo livello 25/50 e innalzamento ogni 15 minuti dovrebbe portare ad una durata di non più di tre o quattro ore al massimo con una decina di giocatori, ma se se si gioca in sei si può decidere di aumentare gli stack o allungare i livelli. Molto dipende da quanto il gioco è loose, comunque sarà quasi inevitabile che prima o poi la struttura collassi, ovvero che si perda di giocabilità, quando l’average stack si avvicina ai dieci BB. Potete trovare un esempio di livelli per un S&G nel riquadro. Per gestire i livelli dei bui può bastare una semplice sveglia oppure si possono utilizzare dei software appositamente studiati scaricabili dalla rete (ad esempio PokerClock, Hollywood Tournament Poker o il più professionale Poker Tournament Manager), da utilizzare direttamente online (come That Poker Clock) o per i-Phone o palmari (come Tim Tourney Timer). Una volta deciso l’ammontare dello stack prepareremo una puglia per ciascun partecipante; non servono molte chips di basso valore, e se non abbiamo sufficienti chips per tutti i giocatori alzeremo il valore nominale della chip più alta. A questo punto bisogna estrarre a sorte le posizioni. Un ottimo metodo è utilizzare le stesse

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Small Blind 25 50 75 100 150 200 300 400 500 600 800 1000 1500 2000 2500

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Big Blind 50 100 150 200 300 400 600 800 1000 1200 1600 2000 3000 4000 5000

carte da gioco: si contrassegna la posizione 1 con il bottone (le altre seguiranno ovviamente in senso orario) e si fanno pescare le carte precedentemente selezionate (dall’asso fino al numero corrispondente ai giocatori partecipanti) e conseguentemente si assegnano i posti a sedere. Per velocizzare la distribuzione delle carte si può incaricare un giocatore di fare da dealer e cambiare solo dopo qualche giro anziché far distribuire le carte dal giocatore sul bottone. Comunque si decida, la procedura resta sempre la stessa: dopo aver ben mescolato le carte e accertato

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che SB e BB abbiano pagato i rispettivi bui si distribuiscono due carte a testa, una carta per volta, in senso orario a partire da SB. Al momento di scoprire il flop si brucia la prima carta (cioè la si scarta senza mostrarla) e se ne girano tre; si fa lo stesso mostrando però una sola carta per il turn ed eventualmente per il river. Con l’innalzarsi dei livelli diventerà necessario effettuare un chip raise (o color-up); si elimineranno cioè le chips dal taglio più piccolo sostituendole con chips dal taglio maggiore arrotondando per eccesso o per difetto. Ricordiamoci che bisognerebbe sempre mantenere la continuità tra BTN, SB e BB (pertanto ci potrà essere il caso che venga pagato solo il BB, o che il bottone rimanga su una sedia vuota) e che una volta giunti all’head’s up bisogna invertire bottone in modo che SB e BTN coincidano – sempre evitando che lo stesso giocatore paghi due volte consecutivamente il BB. Non dimenticando lo scopo esclusivamente ludico vorremo comunque prevedere un premio che potrebbe essere, visto il periodo natalizio, un certo numero di panettoni. Se al torneo hanno partecipato sette giocatori o meno si pagheranno i primi due arrivati (e.g. 4 panettoni al primo e 2 al secondo), se si sono seduti otto giocatori o più si pagheranno i primi tre (e.g. 5 panettoni al primo, tre al secondo e uno al terzo). Non mi resta che augurare a tutti buon divertimento e buone feste, con la raccomandazione particolare di non mangiare l’intero montepremi in una sera.


[ DI TUTTO UN PO’ ]

Buon

(ultimo?) anno! Il calendario dei Maya

Questa storia ha inizio quasi 8400 anni fa, nelle calde terre che si estendono dalla parte meridionale del Messico fino all’Honduras ed a El Salvador. Questa storia, infatti, nasce nella culla della civiltà precolombiana più ampia ed evoluta e le sopravvive di molti, moltissimi secoli. La leggenda, affascinante e terribile, ha origine con il popolo Maya e affonda le radici nella loro avanzatissina conoscenza matematica e astrologica: è conosciuta da molti semplicemente come la fine del mondo. Tutto ha origine dalla loro estesa conoscenza del tempo, dal loro calendario. I Maya avevano, in realtà, due calendari, uno che potremmo definire “civile” e serviva allo svolgimento della vita di tutti i giorni, articolato in un susseguirsi di 360 giorni (chiaramente un po’ più lunghi delle nostre 24 ore) per anno; e uno chiamato il Lungo Computo, il cui inizio era fatto risalire all’inizio della stessa civiltà Maya e che serviva allo svolgimento dei riti sacri. Secondo il Lungo Computo, non solo la terra si muove attorno al sole ma l’intero sistema solare si muove, percorrendo un’ellisse attorno al centro della galassia, la Via Lattea. Questo centro era da loro chiamato Hunab Ku, cioè la cosa intelligente, il supremo dio della galassia. Egli era raffigurato solo attraverso un simbolo detto farfalla galattica. Secondo la loro antica credenza Hunab Ku, governava il destino

Conto alla rovescia verso il 2012, secondo le previsioni dei Maya

degli uomini e dall’intera galassia tramite Esplosioni di Coscienza che provenivano dal centro (la scienza moderna ha rilevato in corrispondenza del buco nero supermassiccio, posto nel centro galattico, una radiosorgente luminosa molto complessa, detta Sagittarius A, nella costellazione del sagittario, al centro della Via Lattea). Stando al Lungo Computo del calendario Maya, dunque, l’intero universo ha dei cicli che corrispondono alle ere della terra. Ogni ciclo, ogni era, dura esattamente 1.872.000 giorni (circa 5.125 anni) e ciò significa che l’era attuale, che ha avuto secondo il loro calendario, inizio nel 3114 a.c., terminerà con il solstizio d’inverno del 2012, il 21 dicembre. Il 22 dicembre dovrebbe, dunque, coincidere con l’inizio di un nuovo ciclo, di una nuova era galattica. Da qui il mito della fine del mondo legata a questa fatidica e vicinissima data, mito che però non tiene in considerazione che questa data nell’immaginario Maya rivestiva un significato del tutto diverso, tant’è che molti sono i documenti risalenti alla loro civiltà in cui si parla di date anche successive a questa. Per loro la fine di un ciclo era, infatti, un momento di grandi festeggiamenti poiché conduceva all’inizio di un’, era nuova, più evoluta e, dunque, più serena. Da qui, tuttavia, le teorie relative a “cosa accadrà nel 2012” sono proliferate in molte direzioni.

Ecco una fra le più accreditate: L’inversione dei poli magnetici terrestri e i grandi cataclismi Questa teoria che si basa su studi di carattere geologico che hanno rilevato l’aumento della risonanza di cavità Schumann (frequenza sonora della terra). Tale aumento risulta, inoltre, da un altro fenomeno: la diminuzione del campo magnetico terrestre. L’intensità della densità del campo magnetico è proporzionale alla velocità di rotazione del pianeta. Attualmente il campo magnetico terrestre ha raggiunto una flessione pari al 50 per cento se comparato a quello di 1.500 anni fa. Questo fenomeno, che è destinato ad andare avanti, rientra in un meccanismo del tutto naturale. Con questi parametri così bassi la Terra cesserà di ruotare. Non sarà la prima volta che accadrà una simile trasformazione visto che una cosa simile pare si sia palesata per ben 14 volte negli ultimi 4,5 milioni di anni. Tutte le volte che l’intensità del campo magnetico del nostro pianeta è diminuita, fenomeno che oggi possiamo sperimentare in prima persona, è corrisposto uno spostamento dei poli, in altre parole l’inversione del nord e sud magnetico, e la terra comincerà, dunque, a ruotare in senso inverso. Questa transazione causerà epocali trasformazioni geologiche, cataclismi terrestri, eruzioni esplosive dei vulcani, ecc. Sopra le nostre teste da anni, il satellite Oersted è in orbita con la missione di registrare il campo magnetico terrestre. Dal confronto dei risultati di Oersted con quelli del satellite Magsat (attivo negli anni ‘80) è stato, quindi, possibile osservare i cambiamenti avvenuti nel nostro pianeta negli ultimi vent’anni: si è scoperto che due regioni della Terra (poste rispettivamente nell’Africa meridionale e al Polo Nord) hanno subito enormi variazioni del proprio campo magnetico locale. A queste variazioni dell’aumento della frequenza sonora della terra sarebbero legati anche gli aumenti nelle temperature del pianeta. Noi vogliamo credere, come i Maya, che questo cambiamento sarà motivo di festeggiamenti e non di catastrofi, però, riflettiamo: se avessimo davvero un solo anno di vita? Che cosa faremmo? Cerchiamo di vivere e agire sempre al meglio. Buon (ultimo?) anno!

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MONZA

[ DAL COMUNE... ]

Natale con Custodi Sociali 16 dicembre dalle 14,30 presso la sala polifunzionale della Biblioteca Comunale in via Zara 9 è in programma il Natale festeggiato dai Custodi Sociali con gli anziani delle cinque circoscrizioni cittadine che hanno partecipato alle attività durante l’anno. La festa è aperta a tutti i cittadini che vogliono conoscere le attività del Custode Sociale. Sono previsti canti, balli e giochi e un rinfresco per scambiarsi gli auguri di Natale. Chi la organizza Il servizio Custodi Sociali è stato avviato nel giugno 2008. L’Assessorato alla Famiglia e alle Politiche Sociali ha lavorato per la progettazione e la realizzazione con la Fondazione Don Gnocchi - Istituto Palazzolo in collaborazione con l’ALER. Attualmente sono presenti in tutte le circoscrizioni di Monza. Il custode sociale è vicino agli anziani nella zona in cui abitano, ne intercetta le necessità, li ascolta e li aiuta a comprendere dove e come rivolgersi per i piccoli e grandi problemi di vita quotidiana. Collaborano attivamente con l’Ufficio Anziani del Settore Servizi Sociali. Informazioni I cittadini possono telefonare presso la Fondazione al numero 02 39703548. Per informazioni sul servizio: www.ambitodimonza.it.

Rinsaldare i legami intergenerazionali della comunità e coinvolgere anche quelle persone che ne vivono ai margini. Una tradizione che il nido comunale sostiene da alcuni anni: conoscere e lavorare con le diverse realtà della città è uno dei modi per rispondere al compito istituzionale del servizio pubblico di favorire l’integrazione e tutelare i soggetti più fragili.

Emergenza freddo Dare un’ attenzione in più a chi si trova, per scelta o per un temporaneo momento di difficoltà, a vivere per strada è un impegno preso dall’Amministrazione Comunale. Le prime necessità delle persone che passano la notte ai margini delle nostre strade sono di avere immediato soccorso per evitare malattie procurate o accentuate dal freddo e avere

un posto dove passare la notte per evitare il rischio peggiore del congelamento. Anche quest’anno l’assessorato alla Famiglia e alle Politiche Sociali ha confermato la convenzione stipulata con la Croce Rossa per affrontare le situazioni di emergenza. In concreto Dai primi di dicembre ai primi di marzo i volontari della Croce Rossa saranno attivi per le strade di Monza dando cibo caldo, coperte e attivando il 118 di fronte ad emergenze sanitarie, portare in un luogo caldo chi lo necessita. Per questo è stata appositamente installata una tenda nel cortile dell’ex CAIS in via Spallanzani. Per informazioni Se siete in strada e notate una persona in stato di difficoltà potete richiedere l’intervento al numero telefonico 039 204591. Risponderà, 24 ore su 24, la segreteria della Croce Rossa.

S. Rocco sotto l’albero Il 16 dicembre alle ore 10.15 davanti alla sede della Circoscrizione 3 di fronte alla chiesa di S.Rocco, nella piazzetta della fontana i bambini del nido comunale S.Rocco, delle scuole N.Sauro, Casa dei Bambini, Koinè con gli anziani del Centro Anziani S.Rocco e i Nonni Civici di S.Rocco, i rappresentanti della circoscrizione si ritrovano per addobbare l’albero di natale. L’attività prevede canti, distribuzione di caramelle e palloncini. S.Rocco si raccoglie intorno all’albero con i suoi bambini, le educatrici, le insegnanti insieme agli anziani e alle famiglie. Un’occasione per festeggiare gli spazi della città dove vivono tutto l’anno.

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[ SPORTIVAMENTE ]

Teamorienteering Dettaglio

Orienteering: lo sport di orientamento anche a Monza! [ di Jacopo Rossi ] Lo sport di orientamento, conosciuto come orienteering, è nato in Scandinavia più di un secolo fa e solo verso gli anni ‘80 arriva in Italia diffondendosi su tutto il territorio nazionale con prevalenza nelle regioni Trentino, Veneto, Lombardia. L’orienteering si svolge a contatto con la natura: l’impianto sportivo è il bosco. I concorrenti, leggendo la cartina del territorio con l’aiuto della bussola, devono raggiungere tutti i punti di controllo (chiamati “lanterne”), segnati sulla mappa completando un tracciato precedentemente definito. L’ordine dei passaggi è obbligatorio ma la strada per raggiungere i punti è libera: ognuno sceglie la più veloce, la più agevole o la più sicura. L’abbinamento dell’aspetto fisico (la corsa) e dell’impegno mentale (sapere sempre dove ci si trova e prendere decisioni velocemente) fa di questo sport un’attività completa e divertente. Lo si pratica in diversi modi: • C.O. di corsa in mezzo ai boschi • MTB-O con la mountain-bike su sentieri e strade sterrate • Ski-O con gli sci sulle piste da fondo • Trail-O di precisione adatto anche ai diversamente abili Lo si pratica a diversi livelli: • agonistico, ci sono più di 20 categorie divise Orienteering

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per sesso, età e difficoltà • amatoriale, ci sono delle categorie non agonistiche, praticabili anche in coppia • promozionale, in città e nei parchi cittadini Come funziona : • equipaggiamento: per cominciare bastano tuta e scarpe adatte per correre nel bosco e una bussola per orientare la cartina • la cartina: in scala 1:10.000 o 1:15.000, rappresenta il terreno di gara e su di essa è indicato il percorso da fare. Viene consegnata ai concorrenti al momento della partenza. La simbologia della carte di orienteering è comune in tutto il mondo. • l’iscrizione: all’iscrizione viene consegnato un cartellino testimone da punzonare oppure un chip elettronico che registra i passaggi ai punti fissi (le “lanterne”): questo per verificare la correttezza del percorso svolto. • la partenza: si parte a intervalli di almeno un minuto uno dall’altro. • la gara: la scelta del percorso è libera ma bisogna passare dai punti nell’ordine dato. Sul punto si trova una “lanterna” con punzone per timbrare il cartellino o per il chip. • l’arrivo: viene rilevato il tempo di arrivo e ritirato il testimone per il controllo (o si scarica il chip). Con il percorso completo e corretto vince chi ha impiegato il minor tempo. Sport dalle forti potenzialità educative- formative

Riprende il ciclo di conferenze sulla prevenzione

coinvolge chi lo pratica in maniera completa in una combinazione di prestazione fisica, valutazione della situazione, capacità di osservazione e percezione spaziale, concentrazione, determinazione mentale, in un’immersione nella natura completa poiché è il bosco lil terreno su cui si svolge normalmente incantata. L’orienteering è in pratica uno sport che si basa, più che sulle capacità di corsa, sulla capacità di leggere e interpretare la carta topografica, di fare giuste scelte di percorso, di osservare e riconoscere sempre il terreno. Si può cominciare a tutte le età. I campioni più forti, vengono dai paesi scandinavi (Svezia, Finlandia e Norvegia), dalla Svizzera e dalla Francia. Si disputa regolarmente un campionato del mondo e una coppa del mondo, in cui anche gli atleti azzurri a volte si distinguono con le loro performance. Entro pochi anni è probabile che il Cio (Comitato olimpico internazionale) faccia debuttare l’orienteering tra le discipline delle Olimpiadi invernali. L’attività in Italia è organizzata dalla F.I.S.O. (Federazione Italiana Sport Orientamento) e dalle sue Società Sportive che operano territorialmente a livello sia agonistico che promozionale attraverso la produzione di carte e l’organizzazione di gare, corsi didattici, attività varie. La sede di Monza: Fitmonza Orienteering Team, Via della Birona 56, tel 0392320036, sito internet: www.0055.org/


[ LE SCIURE ]

[ IL NATALE AL TEMPO DELLA CRISI ]

Cara Redazione, mi chiamo Paola e sono una precaria di 29 anni. Come al solito l’avvicinarsi del Natale mi mette in crisi, per varie ragioni, ma la più oggettiva, almeno quest’anno è che è abitudine tra noi amici scambiarci dei piccoli doni, ma vista la mia situazione economica, non so proprio come fare. Volevo chiedervi qualche consiglio o parere su come uscire da questa situazione, per me imbarazzante. Grazie, siete grandissime Paola Cara Paola, credo che tu non sia l’unica ad avere questo problema ma che, anzi, siamo in tanti. La prima cosa che potrei suggerirti e, che tra noi amici è in auge da un po’ di anni, è quella, se non si vuole completamente abolire il rituale dei doni, di fare una serata ad estrazione…Mi spiego meglio: ci si trova tutti insieme ed ognuno porta un unico regalo, ovviamente unisex, su ogni dono viene apposto un numerino, poi in una scatola si mettono tutti i numeri ed ognuno estrae il suo pacchetto. Questo è un modo per passare una bella serata con gli amici, non svuotarsi il portafogli e tornare a casa tutti con un regalo un po’ più carino che se si dovessero fare tanti micro pensierini, che rischiano di diventare oggetti inutili che vengono stipati nei mobili. Una seconda soluzione può essere (noi l’abbiamo applicata in alcune occasioni, ma dipende anche dalla confidenza che si ha all’interno del gruppo) l’organizzarsi una giornata di relax tutti insieme (magari alle terme), di cui tutti, arrivati in questo periodo dell’anno, hanno bisogno! In questo caso, ovviamente ognuno paga per sé ma, cosa c’è di più bello di passare un’intera giornata con i propri amici mentre, magari, ci si fa fare pure un bel massaggio? Un’altra soluzione è quella di realizzare tu stessa dei regalini per i tuoi amici: potresti fare sciarpe e cappellini per tutti (se sai lavorare a maglia), che viste le temperature degli

ultimi anni fanno sempre comodo! Oppure delle cornici (magari con una foto significativa della vostra amicizia) o dei segnaposti con la tecnica del decoupage; per le amiche puoi anche realizzare delle candele particolari, dei centritavola o della bigiotteria. Insomma cara Paola: aguzziamo l’ingegno! Personalmente apprezzo sempre molto questo genere di regali, perché raccontano un po’ sia di chi li fa che di chi li riceve. Spero ti siamo state utili. Un abbraccio, Le Sciure.

[ CHI LA FA L’ASPETTI ]

Care sciure, vi scrivo per un consiglio amoroso: gli amici del mio ragazzo (alcuni fidanzati ma la maggior parte single) stanno iniziando a progettare le “feste” sulla neve e ci hanno chiesto se vogliamo partecipare alla partenza in comitiva. Il mio ragazzo, però, ha prontamente risposto che si sente molto stanco in questo periodo e, dunque, preferisce trascorrere tutte le feste a casa, per godere di un po’ di riposo…Io certamente preferirei partire, non che non sia stanca e stressata di mio ma…siamo giovani: una bella dormita ristoratrice e un po’ di sano divertimento non guasterebbero! Comunque il problema è un altro: io non credo alla “stanchezza”… sarà un caso ma questo trucchetto (che lui ovviamente nega) lo ha già messo in pratica, in passato, in almeno un paio di circostanze. Il suo gioco è questo. Prima dice di non voler andare in un dato posto in compagnia della compagnia di amici, poi, sotto data, inscena con un pretesto qualsiasi una terribile litigata con me che termina con una provvisoria rottura. Lui, quindi, solo, affranto e sconsolato per non deprimersi ancora di più, decide di dare ascolto agli amici e seguirli (da solo) nel loro viaggio. Poi, quando torna, diventa un pezzo di pane e mi dice quanto gli sono mancata…ecc, ecc…e si fa pace. Una volta, d’accordo, è un caso ma due…io ci vedo una strategia…e ora ci riprova! Voi che dite: sono malfidente? E se, come penso, sta architettando una nuova “truffa” come mi devo comportare? Grazie dell’attenzione e auguri! Francesca

Carissima, che furbone il tuo fidanzato! Anche se il suo comportamento ti puzza per ora aspetta. Temporeggia e stai a vedere quali mosse farà ma se le cose andranno come ti aspetti non farti cogliere impreparata. Prima di tutto fai lui ben notare, a parole ma soprattutto con i fatti, che tu non sei lì a dipendere dai suoi sbalzi di umore. Se ha voglia di litigare per niente, tu puoi non avere per niente voglia di fare la pace appena la luna gli passa. Inoltre previeni: inizia subito a chiarire con gli amici che tu ha molta voglia di partire col gruppo e che stai facendo di tutto per fargli cambiare idea. Quindi, quando (e se) lui litigherà sotto data, prendi subito il telefono, chiama un amico comune ed affrettati a dire che parti con loro per non rattristarti ancora di più a casa sola pensando ai tuoi problemi amorosi. Che ci stia a casa lui solo soletto! Siamo certe che, nonostante la sua iniziale irritazione per l’essere stato gabbato, al tuo rientro sarà ancora più premuroso ed ansioso di volere fare la pace con te. Come ammonisce il detto: chi di spada ferisce…di spada perisce!

[ COME DIRE NO? ]

Cara redazione di Trantran, vi prendo sempre in stazione andando al lavoro ma, purtroppo, per l’uscita dell’ultimo numero, ero a casa ammalatissimo e vi ho perso. Ma un aspetto positivo in questo c’è: appena mi sono sentito un po’ meglio sono andato a leggervi sul sito e ho scoperto che molte delle interviste erano anche video! Bello! …però non potreste spedirmi una copia del numero di ottobre? Al bar sotto casa l’avevano già scippato e sapete…sfogliare la carta ha tutto un altro sapore… ecco il mio indirizzo:………… Bruno Caro Bruno, siamo contente che le nuove interviste video ti siano piaciute! Tanti ci fanno la tua stessa richiesta, stiamo riflettendo sulle spedizioni o su piccoli abbonamenti: a Gennaio vi faremo sapere. Grazie. Le sciure

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Il prossimo numero uscirà martedì 25 GENNAIO

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Guasti illuminazione strade. .800 901050 Guasti ENEL .............................800 023421 Polizia di Stato......................... 039 24101 Polizia Municipale Monza ........039 28161 Polizia stradale Arcore: ........039 617333 Polizia stradale Seregno: .... 0362 239077 Protezione civile ......................039 28161 Soccorso stradale ........................... 116 Vigili del fuoco .................................. 115

DOVE TROVARE LA RIVISTA • Stazione di Monza • Stazione di Seregno • Stazione di Desio • Stazione di Seveso • Stazione di Meda • Stazione di Lissone • MM Cologno Monzese/Brugherio ..nelle stazioni la distribuzione avverrà la mattina del giorno d’uscita tramite hostess • Edicola Sira, via Solferino, davanti all’Ospedale Vecchio, Monza • Edicola Enrico, via Cavour 142, Seregno • Bar Boulevard viale Cesare Battisti 121, Vedano al Lambro • Ottica Mottadelli, via Preda 13, Verano Brianza • Bar Zapin, via IV Novembre, Vergo Zoccorino (Besana Brianza) • Tennis Concorezzo, via Libertà 1, Concorezzo • Tambourine, via Carlo Tenca 16, Seregno • Comune di Vedano al Lambro (info point) • Comune di Monza (info point) • Enoteca Brambilla, via Cattaneo 57, Lissone • Flu-on laboratorio, S. Rocco Monza • Speedy Bar,Via Appiani 22 Monza • Studiofluido, via Leonardo da Vinci 30, Seregno • Osteria dei Vitelloni, via Garibaldi n.25, Seregno • Bloom di Mezzago • Bar Tabacchi Ambrosini, Monza

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