TFP Rivista "Tradizione Famiglia Proprietà", giugno 2014

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Anno 20, n. 61 - Giugno 2014 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova

1914- 1918

l a f i n e d i u n m o nd o

Nel centenario della Prima Guerra


Delenda est Austria

“D

elenda est Austria”. È il titolo, e la conclusione, di un articolo scritto dal duca Litta Visconti Arese nel luglio 1918, e pubblicato sulla “The North American Review” (vol. CCVIII, n. 752). Finita la guerra 1914-1918, bisognava distruggere l’impero austriaco. Lo avevano decretato le forze socialiste, lo avevano proclamato i settori liberali, lo avevano deciso le logge massoniche, come dimostra lo storico François Fetjö in «Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-ungarico» (Mondadori, 1990).

Il torto dell’Austria? Essere una “monarchia papista”, come affermava con sdegno il primo ministro francese Georges Clemenceau. Cioè una nazione, o meglio un impero, che all’ideale di Fede cattolica univa inscindibilmente un ideale di Civiltà cristiana. Era proprio questo, forse, che dava tanto fastidio alle forze rivoluzionarie. Nonostante deformazioni e manchevolezze, l’Austria esalava ancora il profumo del Sacro Romano Impero, del quale era erede, soprattutto attraverso la dinastia degli Asburgo. Questo, per la Rivoluzione, non era tollerabile.

In extremis, l’imperatore Carlo, palesemente esente da colpa politica poiché era asceso al trono quasi sul finire del conflitto, si appellò al presidente statunitense Woodrow Wilson, la stella ascendente nel panorama mondiale. Da oltreoceano arrivò la stessa sentenza: l’impero andava abolito e l’Austria smembrata in nome della libertà e dell’uguaglianza.

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Finiva l’egemonia della Vecchia Europa, iniziava quella di una certa cultura americanista diffusa soprattutto dal cinema di Hollywood, dai nuovi ritmi musicali e dalle mode. Fu la più profonda rivoluzione culturale di tutti i tempi. Non fu la fine del mondo. Ma certamente fu la fine di un mondo.

Dal punto di vista della Chiesa – cioè dal punto di vista principale – fu l’inizio del secolo che vide l’aggravarsi fino al parossismo di quel misterioso processo di “autodemolizione” denunciato da Paolo VI nel 1968, che portò la Chiesa da una “primavera” a un “duro inverno”, nelle parole dell’allora cardinale Joseph Ratzinger.

Il 1917 segnò, però, anche l’inizio della grande speranza quando, apparendo ai tre pastorelli a Fatima, la Madonna promise il trionfo del suo Cuore Immacolato. Promessa che implica la fine del processo rivoluzionario che ci ha condotto a questa situazione, e l’affermazione del suo contrario, cioè un consolidamento della Chiesa e una restaurazione della civiltà cristiana.

Promessa fatta anche dal Sacro Cuore di Gesù quando, apparendo a santa Margherita Maria Alacoque nel 1668, disse: “Io regnerò, malgrado i miei nemici e chiunque cercherà di opporsi. Satana finirà umiliato, e con lui tutti i suoi seguaci”. Due promesse che oggi, nel centenario della Prima guerra mondiale, non possiamo non ricordare.


Sommario Anno 20, n° 61, giugno 2014

Editoriale: Delenda est Austria Notizie di attualità Giugno: mese del Sacro Cuore di Gesù Litanie del Sacro Cuore di Gesù 1914-1918: la fine di un mondo L’impero asburgico d’Austria, bersaglio principale delle forze distruttrici Dalla Belle Époque a Hollywood. La grande rivoluzione culturale Il giudizio di Plinio Corrêa de Oliveira sulla Prima guerra mondiale Maria Cristina di Savoia, la “Reginella santa” Maria Cristina di Savoia e la “sua” Napoli Essere nobile e vivere da nobile è incompatibile con la santità? Il miracolo della Madonna della Neve Il mondo delle TFP Due stili, due modi di essere Conferenza Internazionale Giovanile

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Copertina: Dalla Belle Époque alle rovine della Prima guerra mondiale. L’Esposizione universale di Parigi del 1900; la città di Ypres distrutta dalle bombe.

Tradizione Famiglia Proprietà Anno 20, n. 61 giugno 2014 Dir. Resp. Julio Loredo

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Direzione, redazione e amministrazione: Tradizione Famiglia Proprietà - TFP, Viale Liegi, 44 — 00198 ROMA Tel. 06/8417603 Aut. Trib. Roma n. 90 del 22-02-95 Sped. in abb. post. art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 — Padova Stampa Tipolito Moderna, via A. de Curtis, 12/A — 35020 Due Carrare (PD) TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014 - 3


Attualità

Il “villano ecologico”

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ono sempre di più gli specialisti che puntano il dito contro l’alto costo dell’industrializzazione forzata della Cina, senza nessun controllo effettivo, né sociale né ambientale. Secondo il libro «Soil Pollution and Physical Health», pubblicato nel 2013 dal ministero per la Protezione Ambientale della Cina, ben il 15% della terra coltivata nel paese è inquinata. Oltre tredici milioni di tonnellate di grano sono avvelenati ogni anno da metalli pesanti. Ventidue milioni di ettari sono stati irrimediabilmente danneggiati. Nello Hunan, cuore agricolo del Paese, l’incidenza dei tumori è quasi il triplo della media nazionale, colpendo specialmente la popolazione rurale. Tuttavia i campi continuano ad essere irrigati con acque industriali altamente contaminate. Nel villaggio di Chenjiawan sono rimaste appena venti persone, tutte anziane. Le industrie inquinanti non vengono risanate, perché non è nell’interesse del Governo, che punta solo a una crescita da “superpotenza”.

Recentemente, perfino il giornale ufficiale “China Daily” ha pubblicato un editoriale allertando sul fatto che “la contaminazione dei campi con metalli pesanti sta erodendo le fondamenta della sicurezza alimentare del Paese, diventando sempre più un pericolo per la sanità nazionale”. (Nelle foto: smog a Harbin, Cina settentrionale. Le acque del fiume Jianhe, nello Henan, inquinate con metalli pesanti)

Venezuela resta a terra

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e compagnie aeree nazionali e internazionali stanno sospendendo i voli in Venezuela perché il governo, ormai in bancarotta, ha bloccato ogni pagamento. Negli ultimi cinque anni, secondo Julio Arnaldes, presidente del Consejo Superior de Turismo, la flotta delle compagnie di bandiera è diminuita del 52%: “Buona parte dei nostri aerei sono a terra per mancanza di soldi per la manutenzione. Altri, più vecchi, non possono operare perché non superano i requisiti tecnici per l’aereonavigalibità”.

Aeroporto di Caracas

Sta diventando quasi impossibile uscire dal Paese anche a causa dei severi controlli sulla valuta. I giornali hanno dovuto ridurre il numero di pagine per mancanza di carta, e nei supermercati i clienti devono affrontare lunghe code per acquistare perfino la carta igienica. Benvenuti nel “socialismo bolivariano”.

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Migliaia di medici cubani fuggono all’estero

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egli ultimi anni, le università cubane hanno sfornato decine di migliaia di medici, inviati poi in paesi latinoamericani come “assistenti sanitari”. Si tratta, in realtà, di una vasta operazione di propaganda comunista, visto che manca loro la benché minima qualifica professionale. Questi cosiddetti medici, infatti, si rifiutano di sostenere l’esame di Stato, richiesto invece ai medici locali. Abbondano le storielle horror, come quella in cui un sanitario prescrisse medicinali per cavalli, usati a Cuba per curare umani… L’operazione, però, si sta dimostrando un boomerang. Nel solo 2013, quasi tremila “medici” (il 60% in più rispetto all’anno precedente) hanno approfittato del soggiorno all’estero per non rientrare più nel proprio paese. Secondo il dott. Julio César Alfonso, presidente di Solidariedad sin Fronteras, la maggior parte del personale sanitario è fuggita a causa delle durissime condizioni di lavoro a Cuba, paragonate a “un sistema di moderna schiavitù”. (Nella foto: “Medici” cubani arrivano in Brasile. Poca professionalità ma molta propaganda)

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Il ritorno dei gusti tradizionali delude le femministe

ome lucidare una teiera d’argento? Come preparare una indimenticabile millefeuille? Qual è il migliore uncinetto per fare una sciarpa? Ecco alcuni dei temi che, a sorpresa, interessano sempre di più le donne francesi. Lo rivela un articolo pubblicato da “Figaro Madame”, supplemento del noto quotidiano parigino dedicato alla donne. Temi che sembravano ormai spazzati via dai profondi cambiamenti psicologici e culturali degli ultimi decenni, stanno invece suscitando un crescente interesse, soprattutto nelle nuove generazioni. Secondo “Figaro”, “i prodotti rétro stanno tornando di moda”.

La tendenza arriva dagli Stati Uniti, dove il movimento di ritorno alla tradizione è fiorente. È stato analizzato, con preoccupazione, dal “The New York Times”, pulpito del femminismo radicale. Aumentano i blog dedicati alla vendita o allo scambio di oggetti appartenenti alle nonne. Le femministe sono scioccate. La giornalista Valérie de Saint-Pierre, fervente femminista, dichiara con rammarico: “Adesso sono io che sono passata di moda!”.

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Attualità

I figli di coppie omosessuali hanno meno possibilità di finire gli studi

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no studio esaustivo condotto in Canada e recentemente pubblicato sulla “Review of Family Economics”, ha riscontrato che i bambini cresciuti all’interno di “famiglie” composte da persone dello stesso sesso hanno il 35% in meno di probabilità di ottenere il diploma scolastico rispetto ai figli di famiglie costituite da un uomo e una donna. Questa percentuale, stimata per i maschi, diviene più elevata nelle femmine, le cui probabilità sono ancora inferiori.

Il professor Douglas W. Allen, economista presso la Simon Fraser University di Vancouver, sottolinea che, a differenza dei precedenti studi fatti su campioni troppo piccoli per essere scientificamente validi e che, quindi, a volte mostravano risultati contrastanti, la ricerca da lui condotta è basata su un numero molto considerevole di persone, in concreto un campione casuale del 20 % della popolazione canadese.

I

“Libération”, simbolo del maggio ’68, entra in agonia

l quotidiano “Libération”, simbolo della rivoluzione anarchica e ugualitaria della Sorbonne dovrà chiudere i battenti per mancanza di fondi. “Libération”, nata come pamphlet sulle barricate del maggio ’68, è diventata poi il portavoce dell’estrema sinistra francese dopo la fondazione del giornale vero e proprio, nel 1973, ad opera di Jean Paul Sartre. La situazione, però, è alquanto cambiata e oggi il numero di lettori è calato vistosamente. Il giornale è riuscito a vivacchiare solo grazie ai contributi dell’odiato capitalismo e ai sussidi statali a fondo perduto. Per evitarne il fallimento, nel 2006 è stato rilevato dal banchiere Édouard de Rothschild, al quale si associò poco dopo l’imprenditore italiano principe Carlo Caracciolo. Invano. Sembra che gli ideali anarchici e ugualitari esplosi nel maggio ‘68 non impressionino più l’opinione pubblica francese, sempre più spostata a destra, come hanno dimostrato le ultime elezioni europee.

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Mese del Sacro Cuore di Gesù

Giugno: mese del S ac ro Cuore di Ge s ù di Plinio Corrêa de Oliveira

La devozione al Sacro Cuore di Gesù ebbe un ruolo decisivo nella formazione spirituale e intellettuale di Plinio Corrêa de Oliveira: “Quando avevo dieci anni, mentre crescevo nella conoscenza di Nostro Signore Gesù Cristo, ho cominciato ad analizzare attentamente il Sacro Cuore. Contemplandolo, sentivo che alcune zone molto profonde della mia anima cominciavano ad aprirsi. Queste zone, che imploravano per manifestarsi, nel contatto col Sacro Cuore di Gesù si schiudevano e trovavano la loro piena espansione”. Offriamo alcuni commenti del noto pensatore cattolico sulle litanie del Sacro Cuore. Il testo è tratto dalla registrazione di una riunione del 24 giugno 1965.

(Foto, immagine del Sacro Cuore di Gesù nel santuario di Rosolini, SR)

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O

Mese del Sacro Cuore di Gesù ggi è la vigilia di una grande festa: il Sacro Cuore di Gesù. Vi consiglio calorosamente di leggere e di meditare le Litanie del Sacro Cuore. È una vera meraviglia! Vorrei commentarne alcune con voi oggi.

In primo luogo, questa bella invocazione: Cor Iesu, in sinu Vírginis Matris a Spíritu Sancto formátum, Cuore di Gesù, formato dallo Spirito Santo nel seno della Vergine Madre.

Immacolato di Maria. Questo ci porta a valutare la fiducia senza riserve che dobbiamo avere nell’efficacia dell’intercessione della Madonna, tenendo presente che Nostro Signore non può rifiutare niente a una Madre santissima e perfetta. Nei confronti della Sua Madre, Gesù ha il riguardo più superlativo (se mi permettete il pleonasmo) che il Creatore possa avere riguardo alla Sua più perfetta creatura. Tanto più che Egli sa che la Sua carne, ipostaticamente unita alla Seconda Persona della Santissima Trinità, è interamente carne della Sua Madre. Per noi che abbiamo una grande devozione alla Madonna, questa meditazione ha un grande significato.

Il Cuore di Gesù è, nella sua realtà materiale e carnale, l’oggetto del nostro culto, come simbolo della volontà di Nostro Signore e, quindi, del Suo amore per noi. È il cuore più santo che possa esistere poiché è unito Un’altra ipostaticamente bella invocaalla divinità. zione: Cor Iesu, Eppure, questo maiestatis infiniCuore è stato fortae, Cuore di mato nel grembo Gesù, di maestà indella Madonna Imfinita. macolata, esclusivaSant’Agostino mente con la materia dice: “Ubi humilitas, ibi che la madre dà per formaiestas. Dove c’è mare il corpo del bambino. l’umiltà, c’è la maestà”. Le Questo Cuore è carne di due cose sono inseparabili. PosMaria. Il Preziosissimo Sangue siamo quindi concludere che il Sacro che per Esso fluisce è sangue di Cuore di Gesù, che è Maria. Parlare del un abisso di umiltà, è Sacro Cuore di Gesù è L’immagine del Beau Dieu d’Amiens è quella anche un universo di parlare del Cuore Imche meglio rappresenta l’altissima sintesi fra la somma maestà e la perfetta umiltà maestà. Come vorrei macolato di Maria. essere un artista per diMeditiamo su questo mirabile processo di ge- pingere una figura di Nostro Signore che esprima nerazione per il quale la madre dà se stessa per for- non solo la maestosità, e nemmeno solo l’umiltà, ma mare il corpo del figlio. Gesù fu generato per intero la loro sintesi. Ogni immagine pia del Sacro Cuore di dal e nel corpo di Maria, in un rapporto così intimo Gesù esprime, in un certo modo, ciò che la maestà che Ella si consumava in un incendio di amore e di ha in comune con l’umiltà, e ciò che l’umiltà ha in adorazione verso questo Figlio che si andava for- comune con la maestà. Nostro Signore è la più alta mando nel suo grembo. Possiamo perciò capire come sintesi della santità, in cui entrambe le virtù si incroil Cuore di Gesù sia sostanzialmente unito al Cuore ciano e si fondono. 8 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014


Corpo della beata Anna Maria Taigi, nella chiesa di S. Crisogono, a Roma. Semplice cuoca, non voleva spacciarsi per regina. Aveva, però, una tale maestà che era impossibile passarle a fianco senza esserne intimidito.

Il Beau Dieu d’Amiens

Ricordo la figura detta il Beau Dieu d’Amiens, nel portale della cattedrale di Amiens, in Francia. Gesù non ha il Sacro Cuore sul petto, anche perché all’epoca tale devozione non esisteva ancora. Ma io lo trovo altamente espressivo in questo senso. È un Re il più meritevole, il più nobile, ma allo stesso tempo così sereno, così mansueto, così padrone di sé. Egli sembrerebbe capace di subire la peggiore ingiuria e di rimanere totalmente impassibile, tranquillo, sereno, senza la benché minima reazione del proprio amore ferito. Sempre che questo fosse l’atteggiamento più virtuoso in tale contingenza. Secondo me, l’immagine del Beau Dieu d’Amiens è quella che meglio rappresenta l’altissima sintesi fra la somma maestà e la perfetta umiltà. Come figli della Contro-Rivoluzione, tenendo conto che la Rivoluzione fa una caricatura del-

l’umiltà e tace sulla maestà, dobbiamo chiedere al Cuore di Gesù che ci dia quella forma elevata e nobile di maestà, quel senso di regalità che è caratteristica essenziale dello spirito contro-rivoluzionario. Ciò implica un senso dell’ordine, dell’onore, della gerarchia che è maestoso, anche quando si tratta del più umile degli uomini. Non posso non invocare a tale riguardo la straordinaria figura della beata Anna Maria Taigi (17691837). Era una semplice cuoca a Roma, non voleva spacciarsi per regina. Aveva, però, una tale maestà che era impossibile passarle a fianco senza esserne intimidito. Oppure santa Teresina di Gesù Bambino (1873-1897), così maestosa nella sua modestia e nella sua affabilità, che suo padre la chiamava “ma petite Reine”. Un’altra invocazione: Cor Iesu, fornax ardens caritatis, Cuore di Gesù, fornace ardente di carità.

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Mese del Sacro Cuore di Gesù A sin., statua del Sacro Cuore appartenente alla madre di Plinio Corrêa de Oliveira. Le mani e i piedi sono ingialliti dai tanti baci datigli in devozione

Cuore di Gesù sofferente e misericordioso. Sofferente anche per i mali che noi Gli procuriamo. Il Cuore di Gesù disposto a soffrire fino in fondo, che ama la sofferenza perché ne comprende il valore, ci insegna che la sofferenza è la grande legge della vita. Una vita senza sofferenza non vale assolutamente nulla. Da un certo punto di vista, la vita dell’uomo vale nella misura in cui soffre e ama la sofferenza. Ciò è quanto ci insegna il Cuore di Gesù paziente.

Una delle espressioni più tipiche della capacità di soffrire è lo spirito di iniziativa, per cui l’uomo supera la pigrizia, vince la sonnolenza, affronta con successo la noia, calpesta l’egoismo e si butta nel lavoro, si lancia nella lotta, nel punto più arduo se necessario, pronto ad abbandonarla senza indugio nel caso gli interessi della Chiesa puntino nella direzione opposta. La forma più elevata di pazienza è lo spirito di combattività, per cui l’uomo rinuncia al proprio comfort per servire gli interessi della Chiesa. Ecco ciò che dobbiamo chiedere al Cuore di Gesù, paziente e misericordioso.

Il Cuore di Gesù è una fornace ardente dell’amore di Dio, perché la carità è propriamente l’amore di Dio. E il fatto che Egli ne sia una fornace ardente — cioè non solo un forno, che già darebbe l’idea di fuoco, ma una fornace ardente — rende chiaramente l’idea che Egli è al centro di tutto l’amore di Dio. La devozione al Sacro Cuore di Gesù, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, è fatta appositamente per coloro che, afflitti da tiepidezza spirituale, trascinano faticosamente la propria vita spirituale. Questa devozione comunica loro il fuoco della fornace ardente della carità. Se vogliamo, per noi e per gli altri, il vero amore di Dio; è questa una delle devozioni più adatte e più eccellenti.

Il valore della sofferenza

Un’altra invocazione molto importante per il nostro tempo: Cor Iesu, pátiens et multae misericórdiae, Cuore di Gesù, paziente e misericordioso.

Che cosa vuol dire, esattamente, essere paziente? Paziente è chi soffre. Possiamo quindi dire:

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Essere misericordioso vuol dire avere pietà. Ecco un altro aspetto del Sacro Cuore di Gesù, che credo non sia sempre ben capito dalle generazioni più giovani: la misericordia divina perdona non una volta, né due, né duemila. La misericordia divina perdona sempre perché non vuol essere superata nel perdonare. Questo ci porta ad avere una fiducia illimitata nel Sacro Cuore di Gesù, per l’intercessione del Cuore Immacolato di Maria. Cuore di Gesù, paziente e misericordioso. Paziente con i miei difetti e con i miei peccati, misericordioso con le mie mancanze, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, abbiate pietà di me! È un’ottima invocazione da recitare molte volte al giorno, per non perdere la fiducia in Nostro Signore Gesù Cristo.

Ringraziamento dopo la Comunione

Ancora un’invocazione: Cor Iesu, propitiátio pro peccatis nostris, Cuore di Gesù, propiziazione per i nostri peccati.

A volte capita che ci sentiamo fondamentalmente indegni. Anche le anime più pure e più virtuose si sentono indegne. Capiscono che di fronte all’infinita giustizia di Dio noi non siamo nulla. Que-


Due atteggiamenti tipici di Plinio Corrêa de Oliveira mentre fa il ringraziamento dopo la Santa Comunione, che egli riceveva quotidianamente

sta invocazione dà pace all’anima: il Sacro Cuore di Gesù è una propiziazione per i nostri peccati.

Che cosa vuol dire propiziazione? Io sono inutile. I sacrifici che faccio non valgono nulla perché vengono da me, che non valgo niente. Ma c’è una Vittima che vale tutto perché è senza macchia, senza difetti, è una Vittima unita ipostaticamente alla divinità stessa. Questa Vittima è Nostro Signore Gesù Cristo, che offre Se stesso per me. Tutto ciò che io non riesco a ottenere, questa Vittima ottiene per me.

Questa Vittima si è addossata i miei peccati, e li ha espiati per me. Perciò, se da una parte considero i miei peccati con enorme vergogna e contrizione, dall’altra li considero con un’immensa fiducia perché Qualcuno è morto per me, Qualcuno ha versato fino all’ultima goccia di sangue per me. Io non ho alcuna fiducia in me, ma questo Sangue infinitamente prezioso è stato versato per me.

Un’ultima invocazione: Cor Iesu, fons totíus consolationis, Cuore di Gesù, fonte di ogni consolazione.

La parola consolazione ha due sensi: rafforzare, o rinvigorire, e comunicare gioia. È la gioia, la soavità, l’unzione dello Spirito Santo. In entrambi i sensi, il Sacro Cuore di Gesù è la fonte di ogni consolazione. La nostra forza viene da Lui. È Lui che ci dà la forza quando ci sentiamo deboli, tiepidi, disorientati. Quando ci troviamo di fronte a qualche grande atto di generosità a cui siamo chiamati, senza il coraggio di

realizzarlo, non facciamo “olimpismo”, non immaginiamo che bastino le nostre forze. No! Il Sacro Cuore di Gesù è la fonte di ogni forza. Attraverso il Cuore Immacolato di Maria, che è l’unico canale per arrivare al Cuore di Gesù, dobbiamo andare da Lui e chiedergli la forza, con la certezza che non ne usciremo frustrati. Con l’aiuto del Sacro Cuore avrò la forza che serve per fare anche le cose più ardue e più difficili nella vita spirituale.

Ecco alcune considerazioni che possiamo utilizzare quando facciamo il ringraziamento dopo la Comunione.

Quanto sarebbe utile, per esempio, meditare ogni giorno su un’invocazione del Sacro Cuore di Gesù durante il ringraziamento, tenendo conto che abbiamo appena ricevuto la Comunione, cioè la presenza reale di Nostro Signore. Possiamo meditare, per esempio, sul Sacro Cuore come fonte di ogni forza:

Signore, Voi siete la fonte di ogni forza. Io vorrei avere mille volte più forza di quanto ne ho, per servirvi meglio. So che questa fonte di ogni forza è adesso presente dentro di me; so che la fonte della forza siete Voi. Datemi forza contro i Vostri nemici esterni e contro le mie cattive tendenze, che sono pure nemiche Vostre. Abbiate pietà di me, Ve lo chiedo per mezzo del Cuore Immacolato di Maria.

Questo dovrebbe essere fatto seguendo liberamente i movimenti della nostra anima. Da parte mia, resta un suggerimento: quando, nel ringraziamento dopo la Comunione, sentite aridità, cioè quando non avete niente da dire a Nostro Signore, recitate una di queste invocazioni e meditate. Avrete fatto un eccellente Comunione, fonte di vere grazie. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014 - 11


Mese del Sacro Cuore di Gesù

Litanie del Sacro Cuore di Gesù

Cuore di Gesù, Figlio dell’eterno Padre, Cuore di Gesù, formato dallo Spirito Santo nel seno della Vergine Madre, Cuore di Gesù, sostanzialmente unito al Verbo di Dio, Cuore di Gesù, di maestà infinita, Cuore di Gesù, tempio santo di Dio, Cuore di Gesù, tabernacolo dell’Altissimo, Cuore di Gesù, casa di Dio e porta del Cielo, Cuore di Gesù, fornace ardente di carità, Cuore di Gesù, ricettacolo di giustizia e di amore, Cuore di Gesù, pieno di bontà e di amore, Cuore di Gesù, abisso di ogni virtù, Cuore di Gesù, degnissimo di ogni lode, Cuore di Gesù, Re e centro di tutti cuori, 12 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014

Cuore di Gesù, in cui sono tutti i tesori di sapienza e di scienza, Cuore di Gesù, in cui abita la pienezza della divinità, Cuore di Gesù, in cui il Padre ha posto la sua compiacenza, Cuore di Gesù, dalla cui abbondanza noi tutti ricevemmo, Cuore di Gesù, desiderio dei colli eterni, Cuore di Gesù, paziente e misericordiosissimo, Cuore di Gesù, ricco in tutti coloro che ti invocano, Cuore di Gesù, fonte di vita e di santità, Cuore di Gesù, propiziazione per i peccati nostri, Cuore di Gesù, colmato di obbrobri, Cuore di Gesù, spezzato per le nostre scelleratezze, Cuore di Gesù, fatto obbediente fino alla morte, Cuore di Gesù, trapassato dalla lancia, Cuore di Gesù, fonte di ogni consolazione, Cuore di Gesù, vita e resurrezione nostra, Cuore di Gesù, pace e riconciliazione nostra, Cuore di Gesù, vittima dei peccati, Cuore di Gesù, salute di chi in Te spera, Cuore di Gesù, speranza di chi in Te muore, Cuore di Gesù, delizia di tutti i Santi, Gesù, mansueto e umile di cuore. Rendi il nostro cuore simile al tuo.

Preghiamo. O Dio onnipotente ed eterno, guarda al Cuore del tuo dilettissimo Figlio, alle lodi e alle soddisfazioni che Esso ti ha innalzato in nome dei peccatori, e perdona clemente tutti coloro che ti chiedono misericordia nel nome dello stesso tuo Figlio Gesù Cristo, che è Dio e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen


1914-1918: la fine di un mondo

doss ier

1914-1918

la fine di un mondo TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014 - 13


1914-1918: la fine di un mondo

Il

28 luglio 1914, l’impero austro-ungarico dichiarava guerra alla Serbia in seguito all’assassinio dell’erede al trono, l’arciduca Francesco Ferdinando. Il gioco delle alleanze trascinò nel conflitto quasi tutte le nazioni europee, gli Stati Uniti d’America e il Giappone. La lotta armata infurierà per ben quattro anni, lasciando sul campo oltre 25milioni di morti. Quella del ‘14-18 non fu solo una guerra ma anche, e soprattutto, una rivoluzione, una delle più devastanti della storia. Se non fu la fine del mondo, fu certamente la fine di un mondo.

Il conflitto inghiottì tre imperi, Austria, Germania e Russia, per non parlare anche del crollo dell’impero ottomano. Pose le condizioni per l’ascesa dei totalitarismi che funesteranno il secolo XX. In particolare, determinò la presa del potere dei bolscevichi in Russia, punto di partenza dell’imperialismo comunista, vero flagello dell’umanità. I cambiamenti più decisivi, però, furono a livello sociale e culturale. Il conflitto demolì la Belle Époque, segnando la fine dell’egemonia della Vecchia Europa, e avviando pari passu il declino finale della Civiltà cristiana. Diede un colpo mortale allo spirito aristocratico e tradizionale, diffondendo invece quello egualitario e liberale, aprendo in questo modo la via alla rivoluzione culturale che culminerà nel Maggio ’68. Nato nel 1908, Plinio Corrêa de Oliveira modellò il suo spirito e il suo pensiero nel fervido scontro fra i resti di civiltà cristiana presenti nella Belle Époque — nella quale scorgeva echi dell’Ancien Régime, a sua volta riflesso del Medioevo cristiano — e l’irrompere del cataclisma rivoluzionario rappresentato, da una parte, dal bolscevismo e, dall’altra, da un certo americanismo diffuso soprattutto dal cinema, dai nuovi ritmi musicali e dalle mode, col quale egli si trovò in rotta di collisione.

Nel centenario di questo immane avvenimento, presentiamo un dossier che tratta non tanto gli aspetti storici e socio-politici della Prima guerra mondiale, quanto piuttosto il suo carattere di Rivoluzione, nel senso che Plinio Corrêa de Oliveira attribuiva a questo vocabolo nel libro «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione».

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doss ier

L’impero asburgico d’Austria come bersaglio principale delle forze distruttrici

L

a prima Guerra mondiale segna la fine del vecchio ordine temporale in Europa, costruito lungo due millenni nello spirito del Cristianesimo, sotto l’influsso della Chiesa di Roma, la quale, sin dall’antichità, aveva formato la società europea attraverso la sua opera missionaria ed evangelizzatrice. La Chiesa ha cristianizzato e plasmato la cultura dell’Impero romano e poi quella dei popoli germanici, soprattutto attraverso l’ordine benedettino, che ha contribuito in larga misura alla Civitas christiana. A seguito dell’opera politica di Carlo Magno (748-814), si profilò, nel Medioevo, un nuovo Impero occidentale. Per merito di una “translatio imperii”, si generò un Sacro Romano Impero ormai direttamente consacrato dai Papi, persino attraverso un rito liturgico di incoronazione ecclesiastica. La vecchia Europa, dunque, ha tratto il suo carattere politico e sociale da due elementi: dall’idea di un impero romano ed europeo, e dal Cattolicesimo. Due elementi uniti intrinsecamente in una sola concezione della civiltà cristiana in terra.

Il vecchio ordine europeo, rappresentato in modo imperfetto ma reale da tre grandi potenze a carattere monarchico, Russia, Germania e Impero austriaco, era

di Don Marc Hausmann incarnato soprattutto da quest’ultimo, visto che esso solo riuniva quelle due componenti centrali: l’idea (ed anche la provenienza storica in senso giuridico e politico) dell’Impero di Carlo Magno e la Fede cattolica professata effettivamente. La dinastia regnante, la casa degli Asburgo (o Asburgo-Lorena), originaria dal Sud dell’Impero romano-tedesco, continuò la tradizione inaugurata da Carlo Magno di rappresentare e attuare l’unità politica e religiosa dell’Europa.

Gli Asburgo hanno svolto con grande coscienza quel compito religioso e politico che è definito “Reichsidee”, “l’idea dell’Impero”, il mandato cioè di salvaguardare la purezza della Fede, di difendere la Chiesa e di propagare l’unità politica dell’Occidente cristiano. Sin dall’assunzione alla dignità di Re di Germania e di Imperatori romani, la Casa d’Asburgo si è insediata in Austria, paese con il quale sarà per sempre identificata e che diventerà pertanto anche il sinonimo per quella che si potrà chiamare la “missione” del casato d’Asburgo: incarnare e promuovere una visione internazionale del corpo politico, cioè un ordine temporale oltre i confini nazionali, il cui unico criterio doveva essere la Fede degli Apostoli.

Il palazzo imperiale di Schönbrunn, a Vienna TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014 - 15


1914-1918: la fine di un mondo

L’impero austro-ungarico rappresentava, ormai in modo imperfetto ma reale, l’idea di un Impero europeo e romano, e di un Cattolicesimo, intrinsecamente uniti in una concezione della civiltà cristiana in terra Nelle foto, l’imperatore Francesco Giuseppe e l’imperatrice Elisabetta, detta Sissi

L’identificazione dell’Austria con la vocazione imperiale e cattolica della dinastia d’Asburgo sarà potenziata lungo i secoli dall’opera efficace prestata dagli stessi Asburgo all’Europa cristiana in occasione delle minacce più drammatiche contro l’unità politica e religiosa dell’Occidente, come, ad esempio, il nascente nazionalismo. La tipica politica internazionale asburgica dei matrimoni valeva l’acquisto di regni interi in maniera pacifica; in tal modo, la congiunzione politica fra questi regni tramite legami dinastici realizzava la formazione dell’ordine internazionale preordinato dall’idea dell’Impero.

La stessa “missione imperiale” si palesava nella politica asburgica di difesa dell’Occidente nei confronti dell’invasione musulmana e culminava con la lotta contro l’eresia protestante. Allo stesso tempo, gli Asburgo resero un servizio senza paragone alla diffusione della religione cristiana con la scoperta e la cristianizzazione dell’America e di altri continenti. Saranno sempre gli Asburgo, come imperatori, ad opporsi con veemenza alle tendenze volte a sciogliere la tradizionale concezione romana e cattolica dell’Europa. Essi si manifestarono ancor più avanti nella storia, a seguito della Rivoluzione francese, quali veri e propri campioni di quella causa che ormai si poteva chiamare il “partito antirivoluzionario d’Europa”, prestando il loro alto patronato all’attività politica del cancelliere dell’Impero austriaco, 16 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014

il principe Metternich (1773-1859), il maggiore avversario, nell’Ottocento, di ogni mossa rivoluzionaria e della massoneria.

All’alba della prima Guerra mondiale, l’Austria non deve più confrontarsi con la minaccia musulmana né con il protestantesimo, bensì con una nuova forma di liberalismo e di egalitarismo che, pilotato dalle logge massoniche, vede nell’istituzione politica della monarchia in genere, e nell’Impero austriaco in particolare, il maggiore nemico del loro progetto politico e ideologico per l’Europa, radicalmente democratico e laicista. Si può dire che, sebbene le tre grandi potenze monarchiche fossero il bersaglio dei rivoluzionari, il nemico par excellence era l’Impero austriaco e la dinastia d’Asburgo. Di fronte al socialismo e al comunismo, che imponevano, al pari del nazionalismo, l’esaltazione dello Stato, del potere astratto e totalitario, l’Austria si presentava come l’erede più autentico del vecchio ideale di società cristiana. Scriveva, a questo proposito, il dottor Plinio Corrêa de Oliveira: “Maturava in me l’idea che l’Austria fosse il paese d’Europa ad avere conservato più resti della società organica, più spontaneità, meno dominio dello Stato e, in una parola, più anima. […] Essa [l’Austria] era ancora il sacro Impero romano-tedesco, e mi si presentava come nazione princeps nell’Ordine politico-religioso”.


E, nella stessa pagina: “Nei paesi governati dagli Asburgo, l’Ordine politico e sociale vigente mi pareva aver attinto la sua piena espressione religiosa, in una sacralità molto marcante, inerente al potere temporale, che io non ho trovato in altre nazioni nella stessa misura e nello stesso significato. Non conosco una cerimonia ufficiale di nessun paese, dove i signori e le signore, andando per strada durante un corteo funebre, in un certo momento si scambiassero segni di reverenza e si salutassero. Mi sembrava che questo bagliore di civiltà cristiana, animata dalla Fede, splendesse in Austria in maniera straordinaria come in nessun altro paese, compressa la Spagna”.

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La prima Guerra mondiale scoppiò proprio a causa delle provocazioni rivolte contro la dinastia asburgica, culminante nell’assassinio terrorista dell’erede al trono Francesco Ferdinando nel 1914 da parte di gruppi nazionalisti serbi. La guerra si concluse con la caduta della medesima dinastia, voluta ed orchestrata in maniera sistematica da varie istituzioni, animate dall’odio contro l’idea dell’Impero rappresentata dalla Casa d’Austria. Infatti, non solo il presidente americano Wilson (1856-1924), noto massone, era determinato ad eliminare la tradizionale potenza cattolica del centro Europa, ma anche il primo ministro francese Clemenceau (1841-1929) si distinse per la medesima insistenza, essendo anch’egli membro della massoneria, della sua frangia più radicale, il Grande Oriente francese. Sotto l’egida degli Asburgo fu condotta l’evangelizzazione del Nuovo Mondo

Sopra, l’imperatore Carlo V Sotto, la cattedrale e il palazzo episcopale di Lima, Perù

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1914:1918: la fine di un mondo

Nel corso del conflitto, le forze rivoluzionarie decisero di annientare l’Austria, la “monarchia papale”, come la chiamavano i liberali. Il progetto fu portato avanti soprattutto dal Primo ministro francese Georges Clemenceau (sin.) e dal Presidente americano Thomas Woodrow Wilson (dx.)

Potrebbe sorprendere tale accanimento contro la monarchia austro-ungarica, dato che essa aveva perso già da tempo il vigore dei suoi principi cattolici e l’idea dell’Impero romano, tali quali erano pervenuti sin dal Medioevo. Gli stessi Asburgo non erano più la dinastia più reazionaria d’Europa; lo erano piuttosto le famiglie borboniche della vecchia Italia, ormai decadute dal potere, quali i Duchi di Parma o i Reali di Sicilia, oppure i Carlisti spagnoli, che si contraddistinguevano per la loro mentalità fortemente antirivoluzionaria.

Gli Asburgo d’Austria, invece, per il semplice fatto di aver mantenuto il potere lungo il XIX secolo, così tormentato politicamente ed ideologicamente, hanno assunto una mentalità di compromesso e di cedimento nei confronti dei tempi moderni, per mantenere in contraccambio la continuità sul trono. Il loro Impero si può paragonare, fino a un certo punto, con le monarchie che fino ad oggi mantengono il potere al prezzo di transigere sui principi morali e la dissoluzione della cultura cristiana. Basti pensare alla monarchia inglese la quale, nonostante abbia conservato il suo cerimoniale tradizionale, ha capitolato in larga misura nei confronti della rivoluzione sociale e morale dell’Europa.

Sebbene la casa regnante d’Austria non abbia, certo, mai mostrato cedimenti in tal misura, dall’estinzione della dinastia asburgica vera e propria e dal successivo avvento della nuova dinastia di Lorena, creata dal matrimonio dell’ultima discendente di Casa d’Asburgo Maria Teresa (1717-1780) con il duca Francesco Stefano di Lorena (1708-1765), noto

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frammassone, aveva ormai largamente abdicato alla missione di difendere e promuovere il regno di Cristo sotto la guida della Chiesa di Roma (fede asburgica nota nella storia come “pietas austriaca”), a profitto di una mentalità più pragmatica e ridotta alla fattibilità “razionale”, tipica dell’illuminismo settecentesco che riduceva il profilo religioso alla pietà privata dei membri di casa d’Austria. Nonostante ci sia stata, a seguito della Rivoluzione francese, la ripresa di una coscienza di reazione contro la modernità, essa già non era altro che una immediata resistenza e repressione dei movimenti più preocuppanti, senza il sostegno di una vera e propria base ideologica. Non proveniva più da una profonda convinzione spirituale e da una vera visione teorica del proprio ufficio politico. Tale perdita progressiva del proprio carisma tradizionale si accentuò nel periodo antecedente la prima Guerra mondiale, sotto Francesco Giuseppe (1830-1916), salito al trono nel 1848. Nonostante la personalità credente ed essenzialmente conservatrice di Francesco Giuseppe, l’Impero e i valori che esso rappresentava si avviavano al declino. Già all’inizio del suo regno, nel 1854, il giovane imperatore rifiutò di partecipare alla guerra contro gli Ottomani nel conflitto di Crimea (1853-56), rifiuto che pesò doppiamente. La Russia, come seconda grande potenza autocratica e antirivoluzionaria, perseguiva lo smembramento dell’impero musulmano in Europa, storico nemico del Cristianesimo. E aveva pure contribuito in larga misura alla salvezza della monarchia au-


dosNonostante un’evidente decadenza, l’Impero austriaco conservava ancora il profumo del Sacro Romano Impero A dx., l’imperatore Francesco Giuseppe in preghiera davanti al Santissimo Sacramento durante il Corpus Domini a Vienna Sotto, la corona imperiale

striaca nella rivoluzione del 1848 contro le agitazioni in Ungheria.

Nel rifiuto di Francesco Giuseppe di contraccambiare l’aiuto russo si può individuare la radice della prima Guerra mondiale. La Russia si dichiarò nemica dell’Austria, portando il suo sostegno alle forze nazionaliste serbe. Infine, l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando fece scoppiare la guerra nella quale si videro, in effetti, nemiche le due grande potenze della reazione antiliberale in Europa.

Inoltre, dopo aver perso le guerre contro i nazionalisti in Germania e in Italia, Francesco Giuseppe dovette rivolgersi alla nuova classe industriale austriaca per ottenere il risanamento delle finanze dell’impero, compromesse a causa dei costi bellici. Non solo, dovette pure in cambio approvare la formazione di un nuovo governo sotto la guida del ministro Schmerling (1805-1893), rappresentante del filone liberale e borghese, il cui governo tosto procedette all’abolizione del concordato con Pio IX (con il pretesto che la santa Sede, a seguito del dogma dell’infallibilità papale, aveva “cambiato identità costituzionale”), cercando così di liberarsi dall’influsso della Chiesa cattolica nel settore educativo e sanitario. Schmerling introdusse altresì la forma costituzionale nella monarchia con il sistema parlamentare, ormai dettato dal profilo ideologico dei nuovi partiti socialisti, liberali e nazionalisti. Francesco Giuseppe dovette, inoltre, accettare la divisione interna del suo Impero fra la parte ungherese, ormai indipendente da Vienna, e la parte austriaca, in lotta anch’essa contro le tendenze separatiste delle sue varie nazionalità.

L’esaurimento spirituale del vecchio Impero austriaco si concluse nell’ultimo periodo del regno di Francesco Giuseppe, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, segnato, a causa dell’industrializzazione, da un arricchimento e pertanto da una laicizzazione e mondanizzazione crescente della società, sempre meno pervasa dagli ideali della Chiesa cattolica. Quest’ultima fu, nonostante gli onori ad essa pubblicamente attribuiti da parte della Casa imperiale, ridotta ad una istituzione privata in mezzo alle altre religioni e anche apertamente attaccata e perseguitata da parte di intellettuali di stampo massonico. Lo stato non poté intervenire in tali conflitti vista la sua neutralità confessionale. Lo stesso imperatore insistette alla vigilia della Grande guerra che fossero nominati, e anche retribuiti ufficialmente da parte del ministero della guerra dell’Impero, gli imam per essere, a pari titolo delle cappellanie cattoliche, curati d’anime dei soldati di religione musulmana nell’esercito di sua Maestà. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014 - 19


1914-1918: la fine di un mondo

“Quello che ammirai in quel corteo fu, soprattutto, la maestà, tenendo in sé l’alleanza fra la nota aristocratica e monarchica, la nota sacrale e cattolica e la nota militare. Tre aspetti che coesistevano magnificamente e che mi lasciavano incantato”

Plinio Corrêa de Oliveira

Ci si chiede perché mai le forze della modernità, dagli Stati Uniti fino alla carboneria italiana, si siano ostinate nello sterminare proprio la monarchia austriaca. La ragione potrebbe essere che, nonostante quei fatti incontestabili di una decadenza spirituale degli ideali imperiali, la monarchia asburgica conteneva ancora tanta sostanza della sua eredità passata. Non solo i principi dell’Occidente cristiano permeavano grandi ceti della società, sia in campagna sia a Vienna, ma l’Impero in quanto Impero, non il suo “nimbo”, la sua “leggenda”, ma la sua potenza reale dimostrava ancora un gigantesco edificio di forza europea della Tradizione.

Lo si può paragonare alla Chiesa cattolica di oggi la quale, nonostante le sue infinite difficoltà e ferite, esterne e interne, è comunque ancora la istituzione al mondo che incarna realmente i valori del Cristianesimo, in maniera molto più essenziale ancora dell’Impero di Francesco Giuseppe. Ma anche quest’ultimo mostrò, nei suoi ultimi anni, il suo servizio valoroso che contribuì alla vittoria del Cattolicesimo contro le forze del liberalismo quando, nel memorabile conclave del 1903, grazie al suo storico “veto”, riuscì a bloccare l’ascensione al soglio pontificio del cardinale Rampolla (1843-1913), sospetto di simpatie moderniste, e provocò in tal modo indirettamente l’elezione di san Pio X (1835-1914), vero confessore della Fede cattolica. Si può pertanto immaginare la presenza dell’Impero austriaco nell’Europa del 1914 come l’ultimo grande testimone della millenaria civiltà 20 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014

cattolica e romana in campo temporale, fortemente segnato dalla crisi ideologica ma comunque imponente per tale sua eredità spirituale. Il suo ruolo era di contraddire il progresso della rivoluzione alla maniera di un vecchio colosso inerte e passivo, ma proprio per questo efficace, che induceva gli architetti della nuova Europa a controbattere in particolare la Casa d’Austria.

Un simbolo espressivo di tale posizione dell’Austria-Ungheria furono i funerali dell’imperatore Francesco Giuseppe nel 1916 a Vienna, l’ultima grande manifestazione di quella bellezza antica e morente, ormai fragile ma certamente gloriosa. Meditando su quella cerimonia, che all’epoca vide al cinema, Plinio Corrêa de Oliveira espresse la concezione mistica di quell’Impero grandioso con le seguenti parole: “La maniera in cui questi militari sfilavano e, di tanto in tanto, si salutavano e facevano attenzione gli uni agli altri, mostrava un misto di dignità ieratica, di vivacità giovanile e di senso storico, come se provenissero da altri tempi… Ho avuto l’impressione che una tradizione secolare, una forza militare ed una eleganza da passo di danza si fossero unite, per ispirargli tutta la movimentazione e l’attitudine, in un alto rispetto di se stessi e nella coscienza di possedere una missione speciale al cospetto di Dio. […] Intanto, quello che ammirai in quel corteo fu, soprattutto, la maestà, tenendo in sé l’alleanza fra la nota aristocratica e monarchica, la nota sacrale e cattolica e la nota militare. Tre aspetti che coesistevano magnificamente e che mi lasciavano incantato”.


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D al l a B e l l e É p o q u e a H o ll y w o od l a g r a n d e ri v o l u z i o n e c u l t u r a l e

di Juan Miguel Montes

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1914-1918: la fine di un mondo

Il passaggio dalla Belle Époque ai Roaring Twenties, ovvero dalla Vecchia Europa a un certo spirito hollywoodiano, ha rappresentato forse la più grande rivoluzione culturale di tutti i tempi. Nella esplicitazione della lotta fra la Cristianità e la secolarizzazione, Plinio Corrêa de Oliveira ha dato particolare risalto al fenomeno del cinema americano

Un caso che fa riflettere

In mezzo allo tsunami di trash che le telenovele rovesciano sulle famiglie dappertutto, un caso ha suscitato grande sorpresa: la serie Downton Abbey, che da anni spopola in Gran Bretagna e nel resto del mondo, anche se in Italia non sembra abbia avuto un grandissimo successo. Il fenomeno riempie interi voli charter di “pellegrini”, persino giapponesi e cinesi, che visitano il luogo dove la serie viene girata: l’imponente castello di Highclere nell’amena campagna inglese. Tralasciando qualche battuta o scena biasimevole, sembra che la buona riuscita della serie stia nel riproporre con molta proprietà una atmosfera sociale che ancora resisteva allo stravolgimento provocato dalla Prima Guerra Mondiale. La famiglia dei conti Grantham e la sua numerosa servitù riescono bene a far rivivere il mondo della Belle Époque agli occhi dei nostri contemporanei. Quel mondo che ancora serbava parecchi dei valori caratteristici della vecchia civiltà

europea: spirito cavalleresco, buone maniere, armonia fra i ceti sociali, autenticità e sviluppo della personalità individuale, ognuno nella propria condizione.

Di Downton Abbey scrive eloquentemente sul “Corriere della Sera” (30/12/13) Chiara Maffioletti “Lo scrittore premio Oscar Julian Fellowes (autore della trama) non ha ceduto alla tentazione di rendere i ricchi meno buoni dei poveri. Ed è forse una delle ragioni del successo della serie”. Cioè, Fellowes non ha fatto ricorso al facile sfruttamento dei temi della lotta di classe, dell’invidia sociale, dell’ugualitarismo e del populismo ad ogni costo. Almeno fin qui non l’ha fatto e non ci resta che augurarci che non ceda in futuro ad eventuali pressioni “politicamente corrette”. L’armoniosa piccola società di Highclere affascina i telespettatori ovunque, dopo decadi di ideologie propinate contrario sensu. Già abbiamo riferito su questa rivista, come le scuole di formazione per maggiordomi, a Londra, non tengono il passo alla committenza di miliardari di altri continenti, desiderosi d’imparare i modi della vecchia civiltà europea.

Agli inizi di Hollywwod

Avvisaglie di una sorta di ritorno alla casa paterna? Il tempo lo dirà. Il fatto è ad ogni modo paradossale, giacché è stata proprio la cinematografia a tirare la volata, da almeno un secolo a questa parte, alla radicale mutazione e massificazione del costume e dei gusti in tutto il pianeta.

Nelle memorie della sua vita raccontate ai numerosi discepoli provenienti principalmente dal Brasile, ma poi più o meno da ogni dove, Plinio Corrêa de Oliveira sotA sin., cartellone di Dowtown Abbey: un successo televisivo che evince una sorprendente sete di ordine e di splendore 22 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014


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Plinio Corrêa de Oliveira descrisse sovente l’atmosfera che si respirava nella bella palazzina paulista dove la nonna materna, Donna Gabriela, regnava indiscussa su figli e figlie, generi e nuore e uno stuolo di nipoti. Era un ambiente matriarcale, ancora fortemente improntato alle tradizioni europee

tolineava – con prodigiosa buona memoria e fine penetrazione di persone ed eventi – l’enorme importanza che questa rivoluzione culturale di matrice hollywoodiana ebbe nella formazione della sua meditazione sulla storia e nella esplicitazione dei concetti che lo portarono a scrivere più tardi «Rivoluzione e Controrivoluzione» e ad agire nell’ambito dell’apostolato contro-rivoluzionario che segnò tutta la sua vita. Ciò avveniva negli anni immediatamente posteriori agli episodi raccontati da Downton Abbey, cioè dall’immediato dopoguerra alla metà degli anni ‘20. Quando Plinio Corrêa de Oliveira era un ragazzino.

una amicizia personale con la principessa Isabella, nonostante uno dei suoi figli fosse un politico di spicco nella cosiddetta Repubblica Vecchia che sostituì la sovranità dei Braganza in Brasile. Plinio Corrêa de Oliveira descrisse sovente l’atmosfera che si respirava nella bella palazzina pauli-

Ancora nella Belle Époque

Egli era nato nel 1908 in una famiglia che aveva ricoperto ruoli rilevanti nell’ancora giovane storia brasiliana. Un suo prozio – João Paulo Corrêa de Oliveira – fu presidente del Consiglio dei Ministri nell’ultimo periodo dell’Impero. Costui divenne famoso anche per aver firmato la “Legge Aurea”, quella dell’emancipazione degli schiavi, sotto la reggenza di Isabella, figlia di Pietro II, onde le connotazioni monarchiche della famiglia paterna. Pure sua nonna materna era una devota monarchica e vantava

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1914-1918: la fine di un mondo

sta dove la nonna materna, Donna Gabriela, regnava indiscussa su figli e figlie, generi e nuore e uno stuolo di nipoti. Era un ambiente veramente patriarcale o, se si vuole, matriarcale, ancora fortemente improntato alle tradizioni europee. Vi si parlava correntemente il portoghese ma, quando c’era qualche tema più confidenziale, si adoperava il francese, dominato alla perfezione anche dai piccoli, al fine di evitare indiscrezioni davanti ad estranei o servitori.

Egli conserverà un intenso ricordo di quell’ambiente in cui vivrà fino ai sedici anni. Tutto lo ha impresso nella memoria: l’atmosfera più o meno solenne dei diversi salotti, il tono elevato e cerimonioso delle conversazioni, la grande deferenza prevalente nella famiglia, non solo fra i propri componenti ma anche con i visitatori e con gli stessi impiegati. Ricorderà pure una certa proiezione della caratura morale della famiglia nella servitù, la quale si sentiva inglobata nel sistema patriarcale; le grida e i giochi allegri dei cugini negli spazi loro riservati; il grande carisma di sua madre, Donna Lucilia, nell’improvvisare racconti ispirati alla letteratura infantile francese per un assorto auditorio di piccoli finalmente quietati dopo le scorribande tipiche dell’età. 24 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014

Gli anni dell’immediato Dopoguerra, all’incirca dal 1918 al 1924, saranno determinanti nell’analisi di idee, persone e ambienti che il pensatore brasiliano continuerà a fare per il resto dei suoi giorni. Il suo focolare era ancora molto segnato dall’ambiente della Belle Époque, nonostante l’avvenuta soppressione della monarchia brasiliana e lo stravolgimento dell’Europa operato dall’immane conflitto mondiale. Tuttavia, a casa sua le ripercussioni concrete di questi avvenimenti tardavano a farsi sentire.

Alla sorgente dell’idea di Rivoluzione e Controrivoluzione

Certo, non tutto ciò che succedeva in quest’ambiente Plinio Corrêa de Oliveira lo prendeva per oro colato. Molto presto, seppe fare una netta critica su certe incoerenze dell’atmosfera domestica. Non gli sfuggiva che molte di quelle belle formalità erano ormai prive di supporti ideali e morali, né gli sfuggiva il laicismo montante che distingueva fra spiriti forti, cioè quelli dei sempre meno cattolici uomini adulti e spiriti deboli, donne e bambini, in cui la religione era accettabile in quanto esseri, appunto, fragili, bisognosi di sentimenti e di miti. Cioè, la stessa religione, anche se apparentemente rispettata, dive-


Dalla Belle Époque ai Roaring Twenties: una profonda rivoluzione culturale

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Pag. a fianco, un salotto parigino di fine Ottocento A dx., copertina della rivista “Time” del 1922: “Teaching old dogs new tricks”, come dire “svecchiando i conservatori”...

niva sempre più svuotata del suo contenuto. Erano le avvisaglie, per lui, del grande fenomeno che più tardi descriverà magistralmente come la Rivoluzione, con la R maiuscola.

Ma al pari di questi difetti, Plinio Corrêa de Oliveira discerneva quanto ancora rimaneva della vecchia Cristianità, quali erano le potenzialità di una sua restaurazione e rinnovamento, quante forze morali sopravvivevano nelle anime con cui un apostolato si poteva fare. Allora germogliò la sua grande intuizione: la possibilità effettiva della Contro-Rivoluzione. A quel periodo corrisponde pure la descrizione di se stesso che anni dopo farà: “Quando ero ancora molto giovane, contemplai rapito le rovine della Cristianità. Ad esse affidai il mio cuore; voltai le spalle al mio futuro e, di quel passato carico di benedizioni, feci il mio avvenire….”.

Cioè, si delineava nello spirito l’idea chiara che una “instauratio omnia in Christo” anche a livello sociale era percorribile, nonostante questo significasse per paradosso “voltare le spalle al futuro”, a quella carriera che già molti parenti e conoscenti vedevano addensarsi come una nuvola dorata sulla testa del tanto promettente Plinio. Lui, invece, pensava all’avvenire, a qualcosa di molto più elevato e trascendente del mero futuro personale, cioè della propria carriera.

Il collegio San Luigi

I fatti che s’imprimeranno più fortemente nella memoria di Plinio, come vero inizio della sua visione dell’opposizione fra la bandiera della Rivoluzione e quella della Contro-Rivoluzione, avverranno al suo ingresso alla scuola dei padri gesuiti della città di San Paolo, dove prenderà conoscenza con grande entusiasmo dei famosi Esercizi, capolavoro assoluto di Sant’Ignazio, in cui si parla appunto della lotta senza tregua di due bandiere.

Il Collegio San Luigi Gonzaga di San Paolo era una scuola frequentata dalla élite paulista ma non solo. Si trattava comunque di una istituzione di ec-

cellenza. Egli non risparmierà nel corso della sua vita eloquenti elogi di gratitudine ai figli di Sant’Ignazio, che lo consolidarono nei suoi propositi facendogli conoscere non solo la spiritualità del loro fondatore ma anche i metodi di una logica implacabile, complemento intellettuale indispensabile per rafforzare la sicurezza della sua Fede. Tuttavia, nonostante la bravura morale e accademica dei maestri, è in questa scuola che, per paradosso, Plinio Corrêa de Oliveira scoprirà la vastezza e profondità del processo di secolarizzazione che già attanagliava l’Occidente. Scoprirà l’altra bandiera.

La più grande rivoluzione culturale

In realtà, da acuto osservatore delle persone e degli ambienti, Plinio vide chiaramente il fossato che si era aperto fra l’ambito spirituale e morale dei maestri e quello degli allievi, non di rado provenienti da famiglie di vecchie tradizioni. A grandi passi, essi volevano sostituire i modelli comportamentali imparati a casa e a scuola con quelli veicolati dall’allora nascente e poderosa macchina di rivoluzione culturale chiamata Hollywood.

“Con molta chiarezza – racconterà anni dopo – ho visto l’intero mondo che c’era dietro quel cambiamento: il rifiuto dell’amabilità, del rispetto, della cortesia e della reciproca fiducia, il ritmo accelerato, il disprezzo delle regole di buona educazione riteTRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014 - 25


1914-1918: la fine di un mondo

nute completamente inutili, l’introduzione della brutalità nella vita. Mentre le antiche maniere che avevo imparato esprimevano un modo di essere e un ordine di anima, la quale aveva come riflesso l’ordine del corpo, il mondo moderno, al contrario, manifestava un disordine delle anime”.

Del buio delle sale oscure, in mezzo all’assordante baccano che gli altri ragazzi facevano davanti a episodi di violenza, di agitazione, di dubbia moralità del cinema, Plinio conserverà questi ricordi: “In quella occasione capii meglio come il modo ieratico di essere era superiore alle maniere rivoluzionarie che, tuttavia, andavano sempre più per la maggiore. Notai pure che quella semplificazione delle antiche formule europee (…) si dava a beneficio dei nuovi stili nordamericani, come si poteva vedere nelle pellicole. Ed i ragazzi adottavano quello stile yankee, in opposizione a ciò che loro ritenevano decrepito e melenso nell’Europa”.

La vecchia Europa e i nuovi Stati Uniti

Nutrito da libri e album dell’editoria europea, in prevalenza francese, che egli trovava nella biblioteca di casa, la sua opzione contro la rivoluzione culturale della cinematografia hollywoodiana fu netta: “Immaginavo che l’Europa delle tradizioni, l’Europa della Semaine de Suzette, di Rosa von Tannenburg e di Carlomagno, avevano qualcosa che io amavo. Tuttavia capivo che il continente americano, da nord a sud, era molto influenzato per il cinema di Hollywood ed era somigliante a quanto vedevo attorno a me. Orbene, per me Hollywood era l’Index delle cose come esse non dovevano essere, del modo come non si doveva pensare, entrare o uscire, tossire, respirare o sbattere le ciglia. Era la Geenna dove tutto succedeva in modo sbagliato”.

Alla scuola San Luigi, il fantasma della Geenna si materializzava, secondo i racconti del pensatore brasiliano, soprattutto all’ora della ricreazione. I ragazzi davano la stura alle peggiori imitazioni di Hollywood: gestacci, parolacce, trambusto, frenesia, rotolamenti per terra, ecc. Tutto in grande contrasto con quella posata razionalità e ferrea logica che i maestri cercavano di inculcare loro nelle lezioni. La cifra vincente della mentalità “alla Hollywood” sembrava essere una spontaneità di sentimenti e gesti assunta a valore supremo, in opposizione alla saggezza, alla riflessione, alla pacatezza, valori che Plinio vedeva promanare soprattutto dalla vecchia Europa. L’eleganza e la raffinatezza di quest’ultima ormai non destava fra i giovani il fascino di quei ragazzoni 26 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014

muscolosi, sportivi, talvolta insudiciati dal grasso delle macchine o dalle risse polverose che Hollywood regalava a mani piene. Lo stesso modo di relazionarsi fra i sessi cambiava totalmente di registro, senza arrivare certo a quanto vediamo oggi nel cinema e nelle fiction. Tuttavia già allora certe movenze, certi doppi sensi gestuali o verbali, erano eloquenti. Le volgarità salivano a galla, tutto annunciava la sostituzione più o meno graduale di un mondo per l’altro.

Una previsione avveratasi

I gesuiti della scuola San Luigi venivano spesso presi in giro dagli allievi. I prototipi di buone maniere, di virtù sociali, di compostezza e castità da loro incarnati o predicati venivano stravolti dai prototipi hollywoodiani. Non c’era catechismo o lezione di logica che tenesse testa all’ondata di nuove tendenze che, domenica dopo domenica, si rovesciava sui ragazzini nelle sale di cinema.

Plinio ci andava pure. Analizzava freddamente tutto. Detestava in cuor suo questa rivoluzione culturale. Evitava di parlarne troppo per non isolarsi dai coetanei e soprattutto per maturare una visione ben articolata, che gli permettesse di fare più in là una critica convincente. D’altronde voleva diventare un apostolo al servizio della Cristianità e percepiva bene che, se il modello hollywoodiano era profondamente sbagliato e diseducativo, per ridare tono a tutta una civiltà non bastavano solo le formule di cortesia usate nella signorile dimora della nonna.

Perciò amava in quel periodo andare ai mercati ortofrutticoli in cui i figli dell’immigrazione italiana, spagnola, portoghese e libanese gareggiavano a gran voce per smerciare i rispettivi prodotti. Si estasiava davanti a tanta vitalità e autenticità, formandosi così un quadro completo di una vera società organica.

L’avversione di Plinio per lo “spirito di Hollywood” si è rivelata giustificata. Quasi cento anni sono trascorsi e viviamo in una cultura sempre più fatta a immagine e somiglianza di quella mentalità trasmessa dalla cinematografia hollywoodiana al mondo intero. Anche coloro che criticano il modello economico o la potenza politica americani, sono molto spesso plasmati da quella mentalità e lo si vede persino nella loro vita quotidiana. Può darsi che sia un fenomeno inconsapevole, ma comunque rivelatore della profonda penetrazione di una cultura.

Fenomeni come Downton Abbey ed altri film di pregio non denotano una stanchezza di quel modello? Vedremo.


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Il giudizio di Plinio Corrêa de Oliveira sulla prima Guerra mondiale e le sue conseguenze di Juan Gonzalo Larraín Campbell

Lo scopo di questo articolo è quello di illustrare il giudizio del prof. Plinio Corrêa de Oliveira sulla prima Guerra mondiale e le sue conseguenze, attraverso alcuni suoi scritti. Per il pensatore cattolico, la guerra ‘14-18 non fu il frutto di circostanze fortuite, né soltanto la conseguenza di intrighi internazionali. Fu un episodio, violento e sanguinoso, del grande processo rivoluzionario che, ormai da cinque secoli, stava distruggendo la Cristianità.

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1914-1918: la fine di un mondo

el suo libro «Rivoluzione e Contro Rivoluzione», descrivendo la crisi dell’Occidente cristiano, il dott. Plinio spiega:

“Il processo critico di cui ci stiamo occupando è, come abbiamo detto, una rivoluzione. Usiamo questo vocabolo per indicare un movimento che mira alla distruzione di un potere o di un ordine legittimo e all’instaurazione al suo posto di uno stato di cose (intenzionalmente non vogliamo dire ‘ordine di cose’) o di un potere illegittimo. In questo senso, a rigore, una rivoluzione può essere incruenta. Quella di cui ci occupiamo, si è svolta e continua a svolgersi con ogni genere di mezzi, alcuni dei quali cruenti e altri no. Le due guerre mondiali di questo secolo, per esempio, considerate nelle loro conseguenze più profonde, sono suoi capitoli, e dei più sanguinosi; mentre la legislazione sempre più socialista di tutti o quasi tutti i popoli odierni costituisce un progresso importantissimo e incruento della Rivoluzione” (1).

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La miopia degli statisti europei nell’Ottocento

Secondo il pensatore cattolico brasiliano, l’esplosione del 1914 fu l’esito inesorabile della miopia degli statisti europei nell’Ottocento, assorbiti da stretti problemi nazionali mentre bruciava il continente. In uno scritto del 1936, in occasione della Conferenza Panamericana convocata dal presidente statunitense Franklin D. Roosevelt, egli ammoniva:

“Non possiamo ripetere in America il grande errore politico che caratterizzò la diplomazia europea nel secolo trascorso fra la caduta di Napoleone e la Grande guerra.

“Tra il 1815 e il 1914 l’Europa era divorata dalle fiamme dell’incendio rivoluzionario iniziatosi nel 1789. Le forze anti-monarchiche e anti-sociali infierivano su tutti i paesi europei, scuotendo i troni, assalendo le istituzioni religiose, sconquassando ogni pezzo del vecchio edificio europeo di Filippo II e di Luigi XIV.

“Di fronte a tale assalto rivoluzionario, che misure prendevano le monarchie europee? Praticamente nessuna. Se si fossero unite, le cancellerie europee avrebbero potuto schiacciare l’idra rivoluzionaria in poche mosse. Disunite, sarebbero state divorate dalla stessa idra. Purtroppo, prevalse la seconda scelta.

Mentre si versavano fiumi di sangue per il possesso di un paio di metri di terra, nemmeno una goccia fu versata in difesa della struttura politica e sociale dell’Europa. L’unica, gloriosa, eccezione fu il sangue eroicamente versato dai martiri di Castelfidardo e di Mentana

C. Bossoli, La battaglia di Castelfidardo. Sopra, Zuavi pontifici 28 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014


Nel 1917, il Vecchio Continente era esausto e in rovina. L’antico ordine stava naufragando nella voragine della guerra. In un contrasto abilmente manipolato dalla propaganda, i soldati americani sbarcarono sorridenti, ottimisti, con la faccia di un babbo che viene a mettere ordine in una baruffa di bambini A dx., il generale John Pershing, capo della Forza spedizionaria statunitense, sbarca a Boulogne-sur-Mer, Francia, nel 1917

Perché? Perché l’unione di tutte le forze conservatrici avrebbe supposto una vasta intesa internazionale. La miopia degli statisti europei, però, li portava a non vedere, nel terreno della diplomazia, se non angusti problemi economici e microscopiche questioni nazionali.

“Mentre si versavano fiumi di sangue per il possesso di un paio di metri di terra nello SchleswigHolstein, nell’Alsazia-Lorena, in Silesia o nei Balcani, nemmeno una goccia di sangue fu versata in difesa della struttura politica e sociale dell’Europa. L’unica, gloriosa, eccezione a questa regola generale fu il sangue eroicamente versato dai martiri di Castelfidardo e di Mentana. “Il risultato di questa miopia non si fece aspettare. Mentre i monarchi europei si consumavano in lotte sterili per estendere i loro imperi, la Rivoluzione scavava la fossa nella quale sarebbero stati sepolti. Così, l’Europa cristiana e monarchica del 1815 diventò l’Europa laica e repubblicana del 1918” (2).

La distruzione della Cristianità

Nel 1945 Plinio Corrêa de Oliveira scrisse un lungo saggio gettando uno sguardo panoramico sulla prima metà del secolo XX. Ecco come descriveva, metaforicamente, gli anni successivi alla prima Guerra mondiale:

“Sarà molto difficile per gli storici del futuro comprendere, come la comprendiamo noi, l’epoca agitata, crepuscolare, indecisa nella quale irruppero nel mondo i partiti totalitari. Bisogna aver vissuto fra il 1920 e il 1925 per capire l’immane caos ideologico in cui versava l’umanità. Il cristianesimo sembrava

un enorme edificio in fase finale di demolizione. Non si risparmiava nessuno sforzo per portare a termine questa distruzione. Ovunque, specialisti silenziosi strappavano le pietre dalle mura, tiravano giù gli architravi, scardinavano le porte e portavano via le finestre. Questo lavoro, fatto con la segretezza, l’astuzia e l’agilità di cospiratori, avanzava in modo freddo e implacabile, senza perdere un attimo. I demolitori si davano il cambio. Di giorno o di notte, mentre gli altri uomini si divertivano, dormivano, lavoravano o passeggiavano, i demolitori non si fermavano. Mostri con fattezze umane assalivano le vetuste mura della Cristianità, con un furore delirante e impetuoso, come se stessero attaccando non un edificio di pietra, ma uno di carne, un grande corpo vivente. Masse arrabbiate sfondavano le porte e si calavano dalle finestre, saccheggiavano le reliquie indifese e i tesori abbandonati, spaccavano le vetrate, profanavano gli altari, distruggevano le immagini, abbattevano torri millenarie, finora inespugnate. A una certa distanza, turbe di randagi cercavano i relitti della Casa di Dio per costruire con essi le strutture stravaganti e sensuali dell’orgogliosa Città del demonio. “Questo è appena un’allegoria. Nessuna allegoria, però, nessuna immagine, nessuna descrizione potrà mai ritrattare la confusione di quei giorni del post-guerra” (3). TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014 - 29


1914-1918: la fine di un mondo

Favorendo in Russia il germe del comunismo, il Kaiser Guglielmo II (a sin.) provocò la persecuzione dei cristiani e preparò la propria caduta. Nell’abbandonare alla propria sorte i cristiani russi e la Famiglia imperiale, anche la monarchia inglese venne meno alla difesa della Fede e del principio monarchico. A dx., il re Giorgio V con suo cugino, lo Zar Nicola II

L’egemonia occidentale si sposta dall’Europa tradizionale agli Stati Uniti livellatori

Nello stesso saggio, dopo aver descritto il processo rivoluzionario tra il 1789 e il 1918, Plinio Corrêa de Oliveira afferma:

“Nel 1918 un soffio rivoluzionario spazzò l’Europa. Lo zarismo crollò strepitosamente, lasciando al potere il comunismo. Tutta la vita intellettuale e sociale si staccò ancor di più dal passato. In Occidente, l’egemonia si spostò dall’Europa tradizionale agli Stati Uniti livellatori” (4).

L’“americanismo”: una conseguenza della guerra

José Gustavo de Souza Queiroz fu un amico della prima ora e compagno d’armi del dott. Plinio. Morì nel 1946 in giovane età, lasciando in eredità alcune proprietà che diventeranno le prime sedi della futura TFP. Descrivendone la personalità, nelle “Note

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biografiche” che accompagnano la sua traduzione dell’opera di Joseph de Maistre sull’Inquisizione, Plinio Corrêa de Oliveira commenta l’“americanismo” degli anni ‘20:

“Il collegio è un microcosmo in cui si riflettono, spesso con esagerazione e a volte anche in modo tempestoso, le preoccupazioni, le idee, le tendenze dell’ambiente domestico e sociale di ogni studente. Nel tempo in cui José Gustavo era un ragazzo, soffiavano fortissime le raffiche del dopoguerra. La Prima guerra mondiale provocò una vera rivoluzione che rovesciò vari troni in Europa e democratizzò i costumi in tutto il mondo.

“Le maniere dette ‘americane’ dominavano totalmente le nuove generazioni. E per ‘maniere americane’ voglio dire i modi impudenti e bruti dei ragazzi, la sensualità precoce e sfrenata, lo spirito di rivolta contro ogni legge e ogni autorità, atteggiamenti in cui erano esimi i cow boys che vedevamo nel cinema. Lontano dagli sguardi supervisori degli insegnanti e dei genitori, anche nelle migliori scuole


i modi, le opinioni, i temi di conversazione, tutto era improntato a questo ‘americanismo’ dirompente” (5).

La scienza e il progresso non hanno risolto i problemi

Commentando le rivelazioni della Madonna a Fatima, il dott. Plinio denunciava lo stato d’animo ottimista che contraddistingueva la Belle Époque, e la cecità riguardo ai veri problemi dell’epoca. Ottimismo poi smentito, appunto, dalla Grande guerra:

“I fatti contemporanei più significativi sono: (…) Una crisi universale. La società ostentava nei primi anni di questo secolo, cioè fino al 1914, un aspetto brillante. Il progresso regnava indiscusso in tutti i terreni. La vita economica aveva raggiunto una prosperità senza precedenti. La vita sociale era facile e attraente. L’umanità sembrava avviarsi verso un periodo d’oro. Alcuni pochi sintomi stonavano da questo sfarzo. C’era miseria materiale e morale. Ma erano in pochi a misurare l’importanza di queste lacune. La maggior parte pensava che la scienza e il progresso avrebbero risolto tutti i problemi. La prima Guerra mondiale pose una terribile smentita a tale ottimismo. Anzi, i problemi si aggravarono fino al 1939” (6).

Il tempo di Dio arriverà

Chiudiamo, riferendo il giudizio, durissimo, di Plinio Corrêa de Oliveira sui massimi responsabili

doss ier

della catastrofe del 1914-1918, con le sue sequele. Si tratta di un articolo scritto “col cuore indignato e l’anima sanguinante” nel 1937 in occasione dell’Anschluss, cioè l’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista. Il pensatore cattolico vi denuncia il connubio fra i “Cesari totalitari” e i “sinedri liberali”:

“La drammatica scomparsa dalla mappa europea dell’Austria cattolica, calpestata con brutalità criminale dagli stivali nazisti, rende opportuna una visione politica retrospettiva, che facciamo col cuore indignato e l’anima sanguinante. Più di qualsiasi argomento teorico, questa retrospezione mostrerà il connubio dei Cesari totalitari e dei sinedri liberali, lavorando insieme per crocifiggere di nuovo il Divino Salvatore, rappresentato oggi dalla Santa Chiesa. “I. Di fronte alla situazione disperata delle truppe tedesche durante il passato conflitto, l’imperatore Guglielmo II cedette alle promesse allettanti di certi poteri occulti. Fece trasportare segretamente Lenin dalla Svizzera in Russia. La spedizione si realizzò in un treno d’acciaio sigillato in partenza per impedire la diffusione del virus comunista in Germania. La rivoluzione ambita esplose quindi in Russia, portando al potere i bolscevichi. I comunisti ricompensarono Guglielmo II firmando la pace di Brest-Litovsk, molto vantaggiosa per la Germania. “Il cristiano Guglielmo II tradì la causa di Cristo. L’Imperatore tradì la causa dell’Ordine. Ma Dio

Mentre Guglielmo II, il maggiore responsabile della Guerra, soggiornava tranquillamente a Doorn, il beato Carlo I moriva di tuberculosi a Madeira, abbandonato da tutti. Il suo crimine: essere cattolico

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doss ier

1914-1918: la fine di un mondo ha il suo tempo. Per Guglielmo II, il tempo di Dio non tarderà.

“II. Nell’ultima fase della Grande guerra, un cataclisma spaventoso coprì di sangue la Russia. Fatta la pace, ci si aspettava che le potenze occidentali vi intervenissero per riportare il paese all’ordine. La Gran Bretagna e la Francia, invece, contemplarono con indifferenza la vittoria comunista in Russia. Oltre a qualche protesta platonica, non mossero un dito per difendere le popolazioni cristiane perseguitate, né per riportare sul trono la Famiglia imperiale che, anzi, fu vilmente assassinata a Ekaterinburgo.

“Cristiana, la monarchia inglese tradì la causa di Cristo e il principio monarchico. Cristiana anch’essa, la borghesia che governava la Francia tradì la causa di Cristo e il principio della proprietà privata. Non avevano tempo per pensare a Cristo e alla civiltà cristiana. Pensavano solo a come spartirsi le spoglie, ancora palpitanti, degli imperi vinti. Bisognava raccogliere il frutto della vittoria. Riguardo a Cristo, che si arrangi! In questo modo, 155 milioni di anime furono lasciate senza difesa di fronte alla propaganda atea e alla persecuzione religiosa. “Ma Dio ha il suo tempo. E per l’Inghilterra e la Francia, il tempo di Dio non tarderà.

“III. Il virus comunista si diffuse dalla Russia alla Germania, all’Austria e all’Ungheria. Guglielmo II vide con rammarico che il fuoco che egli aveva appiccato nella casa del vicino, ora avvampava in casa sua e in quella degli alleati. Cadde l’orgogliosa monarchia creata da Bismark, e l’altero Kaiser finì a terra. Nel frattempo, Francia, Gran Bretagna e gli Stati Uniti vedevano con malcelato piacere come il socialismo si diffondeva nell’Europa centrale, indebolendo e demoralizzando ulteriormente le potenze perdenti. Quanto a Cristo, che si arrangi!

“IV. Nel trattato di Versailles, la Germania fu diminuita nel suo territorio e umiliata nel suo morale. La perdita delle colonie e il peso insopportabile delle riparazioni di guerra schiacciarono il popolo tedesco. Di conseguenza, crebbe il malcontento e il socialismo. La Santa Sede chiese clemenza per i vinti, ma i poteri occulti sorridevano nell’ombra. Il principale perdente non era la Germania, ma Cristo, contro cui si scatenò, in Russia e nell’Europa centrale, la furia dei comunisti. “V. Molto più perseguitata della Germania fu, però, l’Austria. Sebbene comprendesse un’importante minoranza protestante, agli occhi dei poteri occulti, l’Austria era colpevole di un reato imperdonabile: essere una potenza cattolica. La disparità di trattamento

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degli Alleati nei confronti della Germania e dell’Austria è scioccante. La Germania fu umiliata e mutilata, ma sopravvisse. L’Impero austro-ungarico fu squartato, ne rimase solo l’Austria germanica, che a stento riuscì a sopravvivere. Mentre Guglielmo II, ritenuto dagli stessi Alleati il massimo colpevole della Guerra, soggiornava tranquillamente a Doorn, in Olanda, l’imperatore Carlo d’Austria moriva di tubercolosi a Madeira, Portogallo, povero come Giobbe, ma come lui mirabilmente rassegnato. Nessun governante del mondo osò venire in suo aiuto. Abbandonato da tutti, l’ultimo imperatore della Casa d’Austria morì come un paria. Solo la Chiesa lo confortò nella sua agonia. Eppure, asceso al trono alla fine della guerra, su di lui non pesava la benché minima colpa per il conflitto. Anzi, aveva cercato in ogni modo la pace. La sua unica colpa era di essere cattolico. Ma verrà il tempo di Dio. (...) “XIII. Appoggiato dal cancelliere Franz von Papen, il traditore dei cattolici tedeschi, il signor Adolf Hitler prese il potere in Germania. E il tempo di Dio cominciò ad arrivare per la Francia e l’Inghilterra. ( ... ) Nel 1935, consolidatosi l’asse Roma-Berlino, Hitler cominciò a chiedere imperiosamente l’annessione dell’Austria alla Germania. Mentre le potenze alleate scuotevano la testa, ma restavano immutate, l’Italia esprimeva discretamente il suo gradimento. (...)

“XIV. Di Mussolini, nelle cui mani sta la direzione di uno dei popoli più nobili e più cattolici del mondo, è meglio non parlare. Il Führer lo ringraziò con un telegramma benevolo e generoso: “Non dimenticherò il vostro gesto”. “Ma neanche Dio dimentica. E il Suo tempo sta per arrivare” (7).

Fin qui le parole profetiche scritte da Plinio Corrêa de Oliveira nel 1937. Due anni dopo, con lo scoppio della seconda Guerra mondiale, l’ora di Dio arrivò per quasi tutti i popoli europei. _________________________

1. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Luci sull’Est, Roma 1998, p. 57. 2. Id., Os mexicanos, nossos irmãos, in “Legionário”, n. 220, 29 novembre 1936. 3. Id., A grande experiência de 10 anos de luta, in “Legionário”, n. 666, 13 maggio 1945. 4. Ibid. 5. Id., Notas Biográficas sobre o Sr. José Gustavo de Souza Queiroz pelo Prof. Plínio Corrêa de Oliveira, in “Cartas sobre a Inquisição Espanhola”, Revista Leituras Católicas, Anno LIX, settembre 1949, n. 712. 6. Id., Fátima explicação e remédio da crise contemporânea, in “Catolicismo”, n. 29, maggio 1953. 7. Id., A conjuração dos Césares e do Sinédrio, in “Legionário”, n. 288, 20 marzo 1938.


Santità e nobiltà

Maria Cristina di Savoia, la “Reginella santa”

di Antonino Sala

Sabato 25 gennaio 2014, in una solenne cerimonia presso la Basilica di Santa Chiara, a Napoli, la Chiesa ha proclamato beata la regina Maria Cristina di Savoia (1812-1836), moglie di Ferdinando II Re delle Due Sicilie. Alla cerimonia hanno partecipato rappresentanti delle Reali Case di Savoia e di Borbone Due Sicilie. Modello di santità e di nobiltà, simbolo di ciò che avrebbe potuto rappresentare l’Unità d’Italia nel segno della Tradizione

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Santità e nobiltà aria Cristina Carlotta Giuseppina Gaetana Efisia di Savoia nacque a Cagliari il 14 novembre 1812 e subito fu consacrata a Maria Santissima. Figlia minore di Vittorio Emanuele I di Sardegna e dell’arciduchessa Maria Teresa d’Asburgo-Este, fu principessa del regno di Sardegna per nascita, e regina delle Due Sicilie per matrimonio con Ferdinando II. Suo padre aveva combattuto contro le forze rivoluzionarie francesi nella campagna del 1793 in Savoia e dopo la pace di Parigi seguì la famiglia reale nell’esilio di Cagliari. Fiero avversario di Napoleone, non accettò compromessi: tornò in Piemonte soltanto dopo la sconfitta del Bonaparte nel maggio 1814.

Adolescente, dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele I a favore di Carlo Felice (1765-1831), il soggiorno a Nizza, il trasferimento a Moncalieri (dove il padre morì) e una breve sosta a Modena, si stabilì con la madre e la sorella maggiore Maria Anna (1803-1884), che diverrà Imperatrice d’Austria, a Palazzo Tursi nella città di Genova. Tutte e tre nel 1825 decisero di recarsi a Roma per l’apertura dell’Anno Santo: la paterna benevolenza di Papa Leone XIII, la solennità delle sacre funzioni e la visita alle numerose chiese, ai tanti monasteri e alle catacombe contribuirono ad accrescere l’intensità della fede di Maria Cristina.

Appena ventenne, dopo la morte della madre, lasciò Genova e per volere di re Carlo Alberto (17981849), raggiunse Torino. A sorreggerla e confortarla in tanto succedersi di lutti e distacchi, non le rimase che la sua salda e forte fede, così forte che avrebbe desiderato divenire monaca di clausura, ma Carlo Alberto, la Regina Maria Teresa di Toscana (18011855) e l’entourage di Corte cercarono di dissuaderla. Infine, il suo direttore spirituale, l’olivetano Giovan Battista Terzi, fece cadere ogni sua resistenza. Maria Cristina scriverà: «Ancora non capisco come io abbia potuto finire, col mio carattere, per cambiare parere e dire di sì; la cosa non si spiega altrimenti che col riconoscervi proprio la volontà di Dio, a cui niente è impossibile».

Il 21 novembre 1832 nel Santuario di Nostra Signora dell’Acquasanta a Genova, venne celebrato il matrimonio con Ferdinando II delle Due Sicilie (1810-1859). La Regina decise, in accordo con il Re, che una parte del denaro destinato ai festeggiamenti nuziali fosse utilizzato per donare una dote a 240 spose e per riscattare un buon numero di pegni depositati al Monte di Pietà.

Nei pochi anni in cui fu regina riuscì a impedire l’esecuzione di tutte le condanne capitali, e «finché ella visse tutti i condannati a morte furono aggraziati». Si dedicò prevalentemente ad azioni di bontà verso i poveri e i malati. Donna di grande mitezza, si fece ben volere da tutti e seppe anche reagire con intelligenza agli attacchi della propaganda.

Il suo credo cattolico non fu solo un sentimento, ma un fatto di vita: ogni giorno assisteva alla Santa Messa; non giungeva mai al tramonto senza aver recitato il Rosario; suoi libri quotidiani erano la Bibbia e l’Imitazione di Cristo; partecipava intensamente agli esercizi spirituali; fermava la carrozza ogni qual volta incontrava il Santo Viatico per via inginocchiandosi anche nel fango, in cappella teneva a lungo lo sguardo sul Tabernacolo per meglio concentrarsi su Colui ch’era padrone del suo cuore. Affidò la protezione della sua esistenza a Maria Santissima e donò il suo abito da sposa al Santuario di Santa Maria delle Grazie a Toledo, dove tuttora è conservato con venerazione.

Ferdinando II, Re delle Due sicilie 34 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014

Il 16 gennaio 1836 nacque Francesco II, l’ultimo re delle Due Sicilie. Il parto condusse alla morte la giovane Maria Cristina, morte che lei stessa aveva predetto e che accolse con rassegnazione, nella gioia di dare al mondo una nuova creatura di Dio.


A dx., la cerimonia nella Basilica di Santa Chiara Sotto, la folla davanti alla basilica In fondo, il Te Deum nella Cappella Palatina, Palermo

Era il 31 gennaio e le campane suonarono il mezzogiorno. Maria Cristina, con in braccio il tanto atteso Francesco, giunto dopo tre anni di matrimonio, lo porse al sovrano, affermando: «Tu ne risponderai a Dio e al popolo… e quando sarà grande gli dirai che io muoio per lui». Rivestita del manto regale, adagiata nell’urna ricoperta di un cristallo, venne trasportata nella Sala d’Erede per l’esposizione al pubblico. Per tre giorni il popolo sfilò in mesto pellegrinaggio per vedere un’ultima volta la «Reginella Santa», come ormai tutti la chiamavano. La salma venne tumulata nella Basilica di Santa Chiara (la stessa che accoglie le spoglie di suo figlio Francesco II), dove si trova tuttora.

Subito si verificarono fatti prodigiosi grazie alla sua intercessione. Re Ferdinando II avviò il processo di beatificazione della defunta regina consorte Maria Cristina. Pio IX nel 1859 firmò il decreto di introduzione della sua causa di beatificazione. Il 10 luglio 1859 la Santa Sede comunicò che la scomparsa regina era stata proclamata venerabile.

estremamente significativa se consideriamo che le ultime parole della Venerabile sul letto di morte furono anche la sua più alta professione di fede: “Credo, Domine! Credo, Domine!”.

Nel pomeriggio del 2 maggio 2013 papa Francesco, ricevuto in udienza privata il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, ha autorizzato la promulgazione del decreto riguardante il miracolo attribuito all’intercessione della regina Maria Cristina. La beatificazione è avvenuta nella mattinata di sabato 25 gennaio 2014 nella Basilica di Santa Chiara a Napoli.

La sera, a Palermo, città che diede i natali al suo sposo Ferdinando II, il Comitato Maria Cristina di Savoia Regina delle Due Sicilie ha onorato la “Regina Santa” con un solenne Te Deum presieduto da S. E. il Cardinale Paolo Romeo, e la pubblicazione del volume di Tommaso Romano e Antonino Sala «La Beata Maria Cristina di Savoia Regina delle Due Sicilie (1812-1836) Regalità e Santità».

Il miracolo che ha permesso la sua beatificazione è stato descritto e accertato dai medici della Consulta della Congregazione delle Cause dei Santi. Si tratta della guarigione della sig.na Maria Vallarino da una tumefazione al seno. L’iter della causa di beatificazione della Venerabile Maria Cristina di Savoia si è concluso felicemente nel corso dell’anno bicentenario della sua nascita e dell’Anno della Fede. Questa coincidenza è

TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014 - 35


Santità e nobiltà

Maria Cristina e la “sua” Napoli

P

er tanti napoletani poco dopo la sua morte era già la “Reginella Santa”, e Maria Cristina di Savoia, moglie di Ferdinando II di Borbone, e Regina delle Due Sicilie, sugli altari è arrivata davvero.

Il 25 gennaio scorso è stata proclamata Beata nella Basilica di Santa Chiara, a Napoli. Presenti tre Cardinali, sei Vescovi, decine di Principi e Nobili di tutta Europa, e oltre duemila fedeli. Il Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, ha letto la bolla papale di beatificazione. “La vita di Maria Cristina è un modello per la Chiesa”, ha affermato.

Nata a Cagliari nel 1812 da Vittorio Emanuele I di Savoia e Maria Teresa d’Asburgo Austria, costretti all’esilio in Sardegna in seguito all’occupazione di Torino da parte delle truppe rivoluzionarie francesi, rimase orfana del padre a 11 anni. La sua profonda religiosità fu influenzata dallo zio, Carlo Emanuele IV (1751-1819), marito di Maria Clotilde Saveria Borbone (1759-1802), sorella di Luigi XVI, che dopo la morte della moglie entrò nel noviziato

di Marina Carrese

dei Gesuiti. La Principessa Maria Clotilde è stata dichiarata Venerabile dalla Chiesa.

Maria Cristina pensava - riferiscono concordemente i suoi biografi - alla consacrazione religiosa, ma Carlo Alberto, salito al trono di Sardegna dopo che i liberali avevano costretto all’abdicazione Carlo Felice, progettava per lei un matrimonio di Stato che consentisse ai Savoia un’alleanza con i Borbone di Napoli.

Consigliata dal suo confessore, l’olivetano Padre Giovan Battista Terzi, accettò con obbedienza la scelta del proprio stato e le nozze con il ventiduenne Ferdinando II di Borbone. Il matrimonio fu celebrato il 21 novembre 1832 a Voltri (Genova), nel Santuario di Maria Santissima dell’Acquasanta. Dieci giorni dopo la coppia reale giunse a Napoli in nave, accolta da una folla entusiasta. Maria Cristina, come primo atto riscattò dal Monte di Pietà tutti i pegni fino a sei ducati e li restituì ai proprietari, dette in dono al tesoro di San Gennaro un prezioso diadema ereditato dalla madre e regalò la dote a 240 spose povere del Regno. Il popolo napoletano l’ado-

Uno striscione di strada, in occasione della cerimonia di beatificazione, lo scorso gennaio 36 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014


Carlo Emanuele IV

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a fede della Beata Maria Cristina di Savoia fu molto influenzata dallo zio, Carlo Emanuele IV. Egli nacque a Torino il 24 maggio 1751, figlio maggiore di Vittorio Amedeo III e di Maria Antonia, figlia di Filippo V di Spagna. Sposò Maria Clotilde di Borbone, sorella di Luigi XVI di Francia.

Devotissimo, nel 1794 egli divenne membro del terz’ordine di San Domenico, prendendo il nome di Carlo Emanuele di San Giacinto, ritirandosi spesso in convento per lunghi periodi di preghiera. Nel 1802 Maria Clotilde si ammalò di febbre tifoidea e morì in odore di santità. Distrutto dal dolore, Carlo Emanuele abdicò a favore del fratello Vittorio Emanuele I.

Nel 1815, Carlo Emanuele entrò nel noviziato gesuita a Roma, dove morì il 6 ottobre 1819. Fu sepolto presso l’altare maggiore della chiesa di Sant’Andrea al Quirinale.

rava. Recenti ricerche hanno fatto scoprire immaginette della Regina di Napoli che i legittimisti borbonici portavano sui fucili dopo il 1861. Maria Cristina amava molto la sua nuova Patria e lo dimostrava in ogni modo possibile.

Col marito Ferdinando II, nonostante maldicenze e aneddoti denigratori messi in giro dalla propaganda liberale, che hanno trovato eco perfino in Benedetto Croce, il rapporto era splendido. “Non si riesce a trovare una virgola che faccia pensare a una costrizione o a una pietosa bugia”, ha scritto nel suo recente libro sulla Regina Maria Teresa Balbiano d’Aramengo, che ha consultato il suo folto epistolario.

Il 16 gennaio 1836 Maria Cristina di Savoia dette alla luce l’erede al trono di Napoli, il futuro Francesco II. Aveva chiesto insistentemente a Dio il dono della maternità. Mori di setticemia quindici giorni dopo il parto, il 31 gennaio 1836, a soli 23 anni. Il popolo già la invocava nelle sue preghiere, e nel 1852 il Cardinale Sisto Riario Sforza, Arcivescovo di Napoli, avviò il Processo sulla fama di santità, virtù e miracoli di Maria Cristina, conclusosi l’anno scorso.

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Santità e nobiltà

Essere nobile e vivere da nobile è incompatibile con la santità?

La beatificazione della Regina Maria Cristina di Savoia, moglie di Ferdinando II Re delle Due Sicilie, solleva con forza il problema della santità dei nobili. Essere nobile è incompatibile con l’essere santo? Trascriviamo di seguito alcune considerazioni in merito di Plinio Corrêa de Oliveira

L’

odierna incomprensione nei confronti della nobiltà e delle élites tradizionali analoghe risulta, in gran parte, dalla propaganda abile, seppure priva di obiettività, fatta contro di esse dalla Rivoluzione francese.

Questa propaganda - alimentata continuamente durante i secoli XIX e XX dalle correnti ideologiche e politiche succedanee di quella Rivoluzione - è stata combattuta, con crescente efficacia, dalla storiografia seria. Vi sono però settori dell’opinione in cui essa perdura ostinatamente. È bene, quindi, dire qualcosa al riguardo.

Secondo i rivoluzionari del 1789, la nobiltà era formata sostanzialmente da gaudenti che, detenendo insigni privilegi onorifici ed economici che indoravano la vita grazie ai meriti e alle ricompense ottenute da lontani antenati, si potevano permettere il lusso di vivere solo godendo le delizie dell’esistenza terrena e, peggio ancora, specialmente quelle dell’ozio e della voluttà. Questa classe di gaudenti era inoltre di grave peso per la Nazione, a danno delle classi povere, queste si laboriose, morigerate e utili al bene comune. S. Luigi Gonzaga, dei Duchi di Mantova

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Tutto questo ha prodotto l’idea che la vita tipica di un nobile, col risalto e la agiatezza che normalmente deve comportare, inviti per se stessa ad un atteggiamento di rilassatezza morale, molto diversa dalla ascesi richiesta dai principi cristiani.

Pur senza negare che possa contenere qualcosa di vero, poiché nella nobiltà e nelle élites analoghe della fine del secolo XVIII già si facevano notare i segni precursori della terribile crisi morale del nostro tempo, è bene sottolineare che questa versione, dannosa al buon nome della classe nobiliare, è molto più falsa che vera. Lo prova fra l’altro la stessa storia della Chiesa, con il gran numero di nobili che Essa ha elevato all’onore degli altari, attestandone la pratica in grado eroico dei Comandamenti e dei consigli evangelici.

San Pier Giuliano Eymard ha così potuto dire che “gli annali della Chiesa dimostrano che un gran numero di santi, e fra i più illustri, portavano un blasone, possedevano un nome, una famiglia illustre: alcuni erano perfino di sangue reale”.

Molti fra questi santi abbandonarono il mondo per praticare più sicuramente le virtù eroiche. Altri invece, come i Re San Luigi di Francia e San Fernando di Castiglia, conservarono il fasto della loro posizione e praticarono le virtù eroiche vivendo completamente nella elevatissima condizione nobiliare che era loro propria.

Per smentire più completamente queste versioni denigratorie della nobiltà, e dei costumi e degli stili di vita che la sua condizione comporta, bisognerebbe indagare quale sia la percentuale dei nobili fra quelli onorati come santi dalla Santa Chiesa. (...)

Merita particolare attenzione uno studio fatto da André Vauchez, professore all’Università di Rouen, intitolato La Sainteté en Occident aux derniers siè-


A sin., la Serva di Dio Maria Clotilde di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele II, Re d’Italia A dx., la Serva di Dio Maria Clotilde di Borbone, sorella di Luigi XVI Re di Francia, moglie di Carlo Emanuele IV, Re di Sardegna

cles du Moyen Age. Esso presenta una statistica di tutti i processi ordinati dai Papi tra il 1198 e il 1431. Ecco la statistica fornita da Vauchez: Processi di canonizzazione: 71 Nobili: 62% Classe media: 15,5% Popolo: 8,4% Origene sociale ignota: 14,1% (...)

Questi dati, per quanto molto interessanti, non potevano soddisfare il desiderio di un quadro più completo, poiché si riferivano a un numero molto ridotto di persone e ad uno spazio di tempo relativamente breve. Si rendeva necessaria una ricerca che comprendesse un numero più vasto di persone e un tempo più ampio. (...)

Abbiamo scelto quindi l’Index ac Status Causarum, una pubblicazione ufficiale della Congregazione delle Cause dei Santi, erede della antica Sacra Congregazione dei Riti. Si tratta di una “edizione straordinaria e amplissima fatta per commemorare il

IV Centenario della Congregazione e che include tutte le cause ad essa pervenute dal 1588 fino al 1988, e anche quelle più antiche conservate nell’Archivio Segreto Vaticano”:

Santi nobili: 21,7% Beati nobili: 12% Conferma di culto di persone nobili: 31,8% (...)

Se prendiamo in considerazione che la classe nobile rappresenta non più del 1,5% della popolazione totale, i dati sopra riportati dimostrano che, in ciascuna delle categorie, la percentuale dei nobili è notevolmente maggiore di quella dell’insieme della popolazione di un Paese. Questo dimostra l’esatto contrario delle calunnie rivoluzionarie sulla pretesa incompatibilità tra, da un lato, l’appartenenza e permanenza nel ceto nobiliare e, dall’altro, la pratica della virtù.

(Plinio Corrêa de Oliveira, Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII, Marzorati, Milano 1993, pp. 255259) TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014 - 39


Basiliche romane

Il miracolo della Madonna della Neve

L

a sacra Tradizione ci tramanda il ricordo dell’apparizione mariana che diede origine alla costruzione della Basilica di Santa Maria Maggiore e alla memoria liturgica che si onora il 5 agosto di ogni anno.

Santa Maria Maggiore è una delle quattro basiliche papali di Roma, eretta su uno dei setti colli della Città eterna, l’Esquilino: un autentico gioiello dal punto di vista artistico. La struttura originaria paleocristiana è stata arricchita nei secoli da vari e significativi elementi. Ci preme ricordare che nella basilica è custodita la reliquia della Sacra Culla che accolse Nostro Signore alla nascita e la Salus Populi Romani, icona bizantina raffigurante la Madonna con il Bambino, dipinta secondo la tradizione da San Luca. Tale immagine, intensamente venerata nel corso dei secoli dai fedeli, è stata più volte oggetto di profonda devozione da parte di diversi papi.

Veniamo ora ai fatti. Siamo al tempo del pontificato di Liberio (352-366), papa, romano di nascita, che ebbe sporadici contrasti sia con l’imperatore Costanzo II, favorevole all’Arianesimo, sia, ovviamente, con l’imperatore Giuliano l’Apostata. In principio, Papa Liberio osteggiò decisamente il primo, figlio di Costan-

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di Pier Paolo Picano

tino il Grande, per difendere la dottrina di Sant’Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto, impegnato ad avvalorare il credo sulla natura di Cristo contro le pretese dei seguaci di Ario che negavano la divinità di Nostro Signore. In seguito, purtroppo, egli si piegò ai dettami di Costanzo II sconfessando il grande Santo e Dottore della Chiesa. Contro l’imperatore Giuliano, invece, caldeggiò senza indugi il Concilio di Nicea (325) ove tra i diversi pronunciamenti si condannava nettamente proprio l’arianesimo, riabilitando in parte la “caduta” avuta con il precedente regnante.

La storia ha origine dalla pia iniziativa di un nobile e ricco romano di nome Giovanni e della sua consorte che decisero, non avendo figli, di offrire alla Santa Vergine la costruzione di una chiesa investendo tutti i loro beni. Nella notte tra il 4 e 5 agosto dell’anno 352, la Madonna apparve in sogno agli sposi, dicendo che avrebbe indicato con un miracolo dove sarebbe dovuta sorgere una basilica a Lei dedicata. I coniugi corsero immediatamente da Papa Liberio, che accolse con stupore la notizia. Anch’egli aveva fatto lo stesso identico sogno. Questa vicenda attesta che, sin dai primi secoli, i fedeli cristiani erano profondamente devoti a Maria e che, talvolta, le intenzioni nobili e pure possono avere, pur non ricercata, una bellissima e inaspettata ricompensa.


Si recarono sul luogo indicato, l’Esquilino e poterono ammirare il miracolo compiuto. Una copiosa nevicata aveva coperto la sommità del colle in piena estate. Il Papa tracciò il perimetro della nuova chiesa, seguendo la superficie coperta di neve e i nobili coniugi sostennero, come promesso, le spese per costruzione.

La chiesa fu chiamata “liberiana” in onore del Pontefice o anche, dal popolo ad nives, della neve. Papa Sisto III (432-440), fece abbattere l’edificio precedente e con parte del materiale di recupero, fece erigere una nuova grande chiesa. Prese tale decisione anche in armonia con il concilio di Efeso (431) dove si era pronunciato solennemente la Maternità Divina di Maria. Alla santa Vergine andava dedicato un magnifico tempio. Una volta terminata, nessun’altra chiesa, a Roma, era così imponente e bella. Qualche decennio dopo alla Basilica di Santa Maria venne attribuito il titolo di Maggiore per indicarne la preminenza su tutte le altre chiese dedicate alla Madonna.

Ancora oggi, a Roma, la sera del 5 agosto si ricorda il miracolo. Oltre a celebrare l’ufficio liturgico, viene lanciata dall’alto della cupola della Cappella Paolina, ove si conserva l’immagine della “Salus Populi Romani”, una cascata di petali bianchi di rosa.

La Basilica di Santa Maggiore non solo rappresenta un’opera di evidente bellezza, ma soprattutto ci aiuta a comprendere che la Cristianità ha una ricchezza di elementi ineguagliabili. Bellezza, come detto: il campanile romanico, il più alto di Roma, le cappelle Paolina e Sistina, i quattro organi, gli splendidi mosaici e il soffitto cassettonato, impreziosito dal primo oro delle Americhe, non possono che destare stupore e meraviglia in colui che visita il luogo sacro. Devozione religiosa: la reliquia della Sacra Culla e l’icona venerata da fedeli e papi nei secoli, aiutano coloro che cercano conforto e raccoglimento per la preghiera. Storia: la costruzione, che risale ai primi secoli del Cristianesimo, è testimonianza di antichità e, sorprendentemente, ha attraversato i secoli incolume, nonostante le avversità che hanno colpito la Città nel corso della sua storia. Miracolo: tutto ciò trae origine da un evento di natura prodigiosa, il cielo si apre e manifesta la sua attenzione e benevolenza alle nostre preghiere. Generosità: un atto disinteressato ottiene inaspettatamente un dono più grande, essere beneficiati della visita di Maria. Tradizione: l’evento viene onorato nella memoria liturgica e dalla cascata di petali di rosa.

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Il mondo delle TFP

Marcia Nazionale per la Vita 2014 nessun compromesso nessuna eccezione di Julio Loredo

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T

rentamila secondo la Polizia municipale di Roma. Quarantamila secondo gli organizzatori. Tanti erano i partecipanti alla Marcia nazionale per la Vita, ormai alla sua quarta edizione. Un vero successo.

Il corteo è partito da un luogo altamente simbolico: la Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, in piazza della Repubblica, eretta dai Romani Pontefici per commemorare le migliaia di martiri cristiani uccisi nelle Terme di Diocleziano. Oggi, duemila anni dopo, il sangue innocente scorre di nuovo. Non più nelle Terme, nel Circo o nel Colosseo, bensì nelle cliniche abortiste. Proprio per fermare questa strage degli innocenti, il popolo per la vita si è mobilitato per far sentire la sua voce nel cuore della Cristianità. Snodandosi per le strade del Centro storico, la Marcia si è conclusa a piazza S. Pietro, dove i partecipanti hanno assistito all’Angelus di Papa Francesco che, dopo aver salutato la Marcia, ha avuto calde parole di incoraggiamento: “Andate avanti!”.

La Marcia è stata preceduta da due convegni. Il “Congresso nazionale per la vita” si è svolto presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, e ha coinvolto note personalità del mondo prolife italiano, inclusi rappresentanti della TFP italiana. In varie tavole rotonde sono stati analizzati gli aspetti medici, etici e giuridici sollevati dall’aborto. La “Conferenza internazionale di leader per la vita” si è tenuta nell’Auditorio S. Pio X in via della Conciliazione. Nel corso della mattina, decine di leader per la vita, provenienti da quattordici paesi, tra cui diversi dirigenti delle TFP europee, si sono riuniti per discutere sulle strategie per fermare l’aborto in Europa e nel mondo. La sessione pomeridiana, aperta al pubblico, ha visto l’intervento del cardinale Raymond Leo Burke, pre-

fetto della Segnatura Apostolica e di George Weigel, biografo di Papa Giovanni Paolo II.

La Marcia da sempre coinvolge una vastissima coalizione di associazioni, religiose e laicali, unite nel comune desiderio di difendere la vita umana dal concepimento alla morte naturale e di cancellare la legge 194 che nel 1978 aprì la porta alla strage degli innocenti. La Marcia ha dovuto superare nel tempo ostacoli non indifferenti, sia psicologici sia politici. Non è infrequente, infatti, imbattersi in chi pensa che la legge 194 sia “una legge buona applicata male”. Niente di più fuorviante e pericoloso. Secondo questa opinione, la 194 conterrebbe anche aspetti positivi che, però, non sono stati mai attuati. Invece di chiederne l’abolizione, dovremmo batterci per la sua applicazione integrale. È un tranello che bisogna assolutamente dissipare.

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Il mondo delle TFP

Nella normativa legale precedente alla 194, l’aborto in Italia non era consentito, e anzi veniva sanzionato dalle norme contenute nel Titolo X del Libro II del Codice penale, che prevedeva la reclusione da due a cinque anni a chiunque cagionasse l’aborto di una donna consenziente. Nel caso di donna non consenziente, la pena saliva da sette a quindici anni. Tuttavia, alla luce dell’articolo 54 dello stesso Codice, venivano contemplate alcune eccezioni, quale per esempio ‘salvare la vita della gestante’.

La 194 capovolge questa concezione giuridica, ritenendo l’aborto un atto di per sé legale, salvo poi applicare qualche restrizione. La legge suddivide in modo del tutto arbitrario la vita intrauterina in tre periodi, fissando per ciascuno di essi una differente disciplina e avendo come esclusivo criterio di riferimento i rischi per la salute della donna, senza il benché minimo accenno ai diritti del nascituro, al quale viene pertanto negata la condizione di persona. Ecco l’intrinseca malvagità di questa legge.

Secondo la morale cattolica, nell’impossibilità di ottenere il bene perfetto, è lecito scegliere un bene minore, purché — ed ecco la sfumatura fondamentale — si indichi chiaramente trattarsi di una scelta non perfetta in attesa di tempi migliori. Applicato al caso sarebbe dunque moralmente lecito affermare: “Come primo passo, vediamo pure di migliorare la 194, applicandola bene, fermo restando che noi, come cattolici, puntiamo alla sua abolizione e ci batteremo in questo senso”. È quest’ultima affermazione — essenziale per la moralità dell’atto — che manca in molte persone. E allora la scelta diventa immorale: non si può assolutamente accettare tout court la 194 come buona. Accettare la legge 194 significa acconsentire alla legalizzazione dell’omicidio-aborto terapeutico, il suo finanziamento pubblico e all’obbligo per gli enti ospedalieri di eseguirlo. Inoltre, significa accettare la somministrazione gratuita da parte dei consultori di contraccettivi, tra i quali quelli abortivi precoci. E questo è evidentemente immorale. Ed è proprio per trasmettere questo messaggio in difesa della vita che è nata la Marcia per la Vita di Roma, alla quale l’Associazione Tradizione Famiglia Proprietà – TFP partecipa sin dalla prima manifestazione. Lo slogan che anima la Marcia è “Nessun compromesso, nessuna eccezione”. La difesa della vita innocente non può ammettere eccezioni. 44 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014

Solo una posizione ferma e constante ci potrà portare alla vittoria.


Brasile

Basta sangue innocente!

S

Marcia per la vita a Rio de Janeiro

i è realizzata a Rio de Janeiro, Brasile, la prima Marcia in difesa della vita per un Brasile senza aborto. I partecipanti, circa cinquemila, hanno sfilato per il centro dell’antica capitale brasiliana, per concentrarsi in piazza Carioca. Dal palco, personalità civili e religiose, tra cui l’arcivescovo della città cardinale Orani Tempesta, hanno incoraggiato i presenti a lottare contro la legalizzazione dell’aborto.

I giovani dell’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira hanno sfilato con le loro bandiere e la loro banda musicale. Portavano a spalla una bella immagine della Madonna di Fatima. Lo striscione diceva: “La forza del male sta nella debolezza del bene. Combattere l’aborto senza compromessi, ecco la chiave della vittoria”.

L’evento mirava a rafforzare la reazione contro l’aborto e in difesa del nascituro, ora più minacciato che mai per causa di una legge, recentemente approvata dalla presidente socialista Dilma Rousseff che, con il pretesto di proteggere la donna, favorisce ulteriormente la pratica dell’aborto.

A dx., i giovani dell’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira. Al centro, un cartello che palesa la contraddizione degli abortisti: mentre difendono le scimmie, uccidono i bambini... TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014 - 45


Il mondo delle TFP

Libro della TFP francese

In difesa della famiglia

nel loro linguaggio, come freno alla libera espansione della sessualità scatenata. “Il padre – scrive Herbert Marcuse – è l’archetipo di ogni dominazione, inizia la reazione a catena di schiavitù, ribellione e dominazione coatta che caratterizza la storia della civiltà”. Civiltà dalla quale l’uomo dovrebbe liberarsi, tornando quindi alla barbarie.

A

borto, eutanasia, coppie di fatto, “matrimonio” omosessuale, ideologia gender, contraccettivi, pillole del giorno dopo… Una vera valanga devastatrice si sta abbattendo su un’istituzione che, al contrario, andrebbe tutelata con ogni mezzo come caposaldo dell’ordine morale e sociale: la famiglia. Da una prospettiva rivoluzionaria, questa valanga è perfettamente spiegabile: distrutta la famiglia si cancellano le radici dell’equilibrio psicologico, si annienta la sorgente della moralità, si elimina la cellula fondamentale della società, si dà un colpo mortale al principio della proprietà privata e alla tradizione. In una parola, si passa dalla civiltà alla barbarie.

Ne «L’origine della famiglia, della proprietà e dello Stato» Friedrich Engels mostra, con sorprendente lucidità, come la famiglia sia la radice di ogni “alienazione”, cioè di ogni soggezione a un ordine superiore, sia sociale sia politico. Più recentemente, pensatori post-freudiani hanno puntato il dito contro la famiglia come fonte principale di “nevrosi”, cioè

La famiglia è radice dell’equilibrio psicologico, sorgente della moralità, cellula fondamentale della società, focolaio di santità 46 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2014

Per difendere la famiglia, spiegandone le fondamenta e funzioni, la TFP francese ha pubblicato un libretto intitolato «Il matrimonio cristiano è necessario all’equilibrio della società?». Basato esclusivamente sul Magistero pontificio, l’opuscolo mostra come quando vacilla l’istituzione della famiglia, è tutto l’ordine sociale che minaccia rovina. “La famiglia è la cellula madre della società – dice il libro – quando non si rispettano né la legge naturale né quella di Dio in ciò che la concerne, ne risultano conseguenze funeste per tutto il corpo sociale”.

Alla famiglia va anche associato un ideale di santità. La famiglia scaturisce dall’ordine naturale. Nostro Signore l’ha, però, elevata alla dignità di sacramento: “Elevando il matrimonio alla dignità di sacramento, Nostro Signore Gesù Cristo ha aperto per gli sposi una via di santità nella quale il fine naturale della perpetuazione della specie umana è innalzato a un livello molto più nobile: generare nuovi membri per il Corpo Mistico di Cristo”. Il Magistero ribadisce che gli sposi devono raggiungere il vertice della perfezione cristiana all’interno del matrimonio.

Il libro della TFP francese è parte della campagna “La Francia ha bisogno della civiltà cristiana”, un’iniziativa che sta riscuotendo molto successo.


Due stili, due modi di essere

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di Plinio Corrêa de Oliveira

a principessa Elisabetta, erede al trono d’Inghilterra, e la signora Eva Duarte de Perón, moglie del generale Juan Domingo Perón, presidente della Repubblica Argentina, sono state, senza dubbio, le due figure femminili più in vista nel panorama politico internazionale nel 1951.

Vivendo pienamente il suo tempo, la principessa Elisabetta rappresenta in modo scintillante la dama del ventesimo secolo formata sotto l’influenza delle tradizioni ancora vive, specialmente in Inghilterra. Gli inglesi vedono in lei un simbolo della gloria nazionale; la più alta espressione della finezza, della grazia e della superiorità della gentry inglese; la rappresentazione visibile e sensibile di ciò che la nazione può produrre di più idealmente signorile. La sua superiorità, molto autentica, si illumina col fascino di una affabilità attraente e comunicativa. La sua popolarità in Inghilterra è immensa, a ben dire unanime. C’è opposizione contro il Governo, non contro la monarchia, e tanto meno contro la sorridente e affascinante erede al trono.

Anche la signora Eva Perón nella sua figura, nei suoi gesti, nel suo atteggiamento, incarna uno “stile” caratteristico del nostro tempo, ma completamente diverso. Militando nella vita politica con molta familiarità, e con uno zelo e un’assiduità insoliti anche tra gli uomini, l’ex-attrice e ancor oggi popolare oratrice di ampie risorse è vista con distacco, anzi con somma freddezza, dalle famiglie tradizionali che coltivano la distinzione e i modi raffinati che hanno reso celebre la società di Buenos Aires. La signora Perón è l’idolo del movimento sindacale, delle masse di descamisados*, con cui si identifica in tutto e per tutto.

L’una e l’altra, la Principessa e la leader dei descamisados, rappresentano ideali, principi, modi di essere fondamentalmente diversi che si stanno scontrando, a volte in modo cosciente e violento, a volte in modo implicito ma permanente, in quasi tutti i paesi oggi. Confrontare queste due figure femminili, considerate non personalmente ma come modelli, non implica confrontare due nazioni, ma due modi di essere che esistono in tutti i paesi.

Stiamo mettendo a confronto due classi sociali? No, affatto. Possiamo trovare entrambi gli “stili” in alto e in basso nella scala sociale. Un esempio: la beata Anna Maria Taigi. Semplice cuoca nel palazzo dei Principi Chigi, a Roma nel secolo scorso, attirava l’attenzione dei passanti, non solo per la sua pietà, ma anche per la venerabilità della sua figura. Un altro esempio è la classica figura del contadino capofamiglia, “regnando” sul suo clan come un patriarca d’altri tempi. È una figura nobile benché popolare. Ribadiamo: nel raffronto fra le due figure è evidente il contrasto fra due stili, due modi di essere.

* Descamisado, letteralmente “senza camicia”: termine usato originariamente in Spagna per designare i partigiani radicali della rivoluzione del 1812. È simile a sans-culotte. Usato poi per designare i seguaci popolani del generale Perón. La parola proviene dalla tradizione anarchica del sindacalismo argentino, il cui primo organo si chiamava “El Descamisado”. (Tratto da “Catolicismo”, n. 13, gennaio 1952)


Restaurare la civiltĂ cristiana una crociata per il XXI secolo

Conferenza Internazionale Giovanile

organizzata dalla TFP

dal 23 al 27 luglio 2014 Zamek Niepołomice Polonia Per informazioni: info@atfp.it 348-3812471


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