Medioevo Dossier n. 14, Maggio 2016

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BORGHI DELL’ITALIA MEDIEVALE

N°14 Maggio 2016 Rivista Bimestrale

My Way Media Srl - Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c.1, LO/MI.

AI G M BO UID ED R A IEV G AL HI I

MEDIOEVO DOSSIER

Dossier

EDIO VO M E

BORGHI

DELL’ITALIA MEDIEVALE

€ 7,90

Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, l’incanto di un patrimonio unico al mondo



I BORGHI MEDIEVALI

FRAMMENTI DI UN’IDENTITÀ a cura di Francesco Colotta

C’

è un’Italia apparentemente minore, ma dall’inestimabile valore storico, che non ha eguali in Europa. Nessun’altra nazione del Vecchio Continente, infatti, può vantare un numero cosí elevato ed eterogeneo di borghi medievali, distribuiti dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Sorti nell’età di Mezzo, spesso sulle rovine di antichi insediamenti, i borghi ebbero solitamente spiccate funzioni difensive, dotati com’erano di rocche e possenti

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cinte murarie, a presidio del circondario. Una destinazione d’uso intuibile già dal nome con cui venivano definiti: il termine «borgo», infatti, derivante dal latino burgus e dal germanico burg, indicava un «luogo fortificato» e solo in un Veduta di Sorano (Grosseto), dominato dalla fortezza che gli Orsini, a lungo padroni del borgo, fecero realizzare nel XV sec. sui resti di una piú antica rocca di fondazione altomedievale.

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BORGHI

Presentazione

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IL VILLAGGIO FORTIFICATO

IL BORGO 1 . IL MASTIO solida torre principale, oltre a essere rifugio per gli abitanti in caso di attacco nemico, ospita le stanze padronali. 2 . LE CHIESE con i loro campanili e gli edifici religiosi annessi fioriscono in ogni borgo divenendo punto di contatto fra gli appartenenti alla comunitĂ . 3 . LA POPOLAZIONE del villaggio vive del lavoro dei campi e dello sfruttamento sistematico di tutte le risorse offerte dal territorio circostante. 4 . LA PIAZZA PRINCIPALE rappresenta un importante punto di aggregazione sociale. Posta nel cuore del borgo, ospita gli edifici pubblici, dove viene amministrato il potere.

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A destra veduta del borgo di Pentedattilo, oggi frazione del Comune di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria).


secondo momento acquisí l’accezione piú ampia e generica che riveste oggi, ossia di centro di piccole o medie dimensioni, senza un riferimento a una tipica fisionomia. Talvolta, nei secoli dell’Alto Medioevo, i nuclei abitativi non presero forma intorno ai castelli o alle torri di avvistamento, ma ad altre strutture originarie, i santuari, per esempio, o, meno frequentemente, i mercati. Questo nuovo Dossier di «Medioevo» propone un viaggio attraverso le meraviglie dei borghi, lungo le stradine di piccoli gioielli urbanistici nei quali le testimonianze architettoniche dell’età di Mezzo sono ancora vive e rappresentano una ricchezza da tutelare. Un itinerario che svela l’inestimabile patrimonio di un’Italia spesso meno nota e perciò capace di riservare non poche sorprese. La selezione dei luoghi segue un duplice criterio, che ha privilegiato la qualità degli edifici e, nello stesso tempo, il rilievo degli eventi storici che coinvolsero i singoli abitati in epoca medievale. Una scelta che, naturalmente, non pretende

d’essere esaustiva, ma costituisce lo spaccato di un panorama vastissimo. C’è poi un altro rilievo che rende affascinante il profilo dell’Italia dei borghi: la successione e anche il confronto, spesso conflittuale, di culture e genti verificatisi all’interno di ogni singolo abitato nei turbolenti anni dell’età di Mezzo ci consentono di ricostruire altri frammenti essenziali dell’«identità italiana». Anche in queste realtà periferiche, infatti, antiche popolazioni italiche, Romani, Goti, Bizantini, Arabi, Longobardi, Franchi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, oltre alla Chiesa, all’impero e alle grandi famiglie nobiliari, hanno lasciato impronte significative della propria presenza. Queste testimonianze e le relative stratificazioni convivono oggi nelle forme dei monumenti e in numerose tradizioni tramandate nei secoli, molto piú che nelle grandi città. Perché ogni cultura, nei borghi medievali, si è ritagliata un piccolo, ma essenziale spazio di eternità.


SOMMARIO I BORGHI MEDIEVALI 3 Frammenti di un’identità VALLE D’AOSTA 12 Étroubles L’accoglienza innanzitutto 15 Bard PIEMONTE 16 Vogogna Il paese che si fece capitale 20 Ricetto di Candelo, Serralunga d’Alba, Neive

LOMBARDIA 28 Sirmione Quella perla affacciata sul lago

FRIULI-VENEZIA GIULIA 44 Gradisca d’Isonzo L’imprendibile fortezza sul fiume

32 Soncino, Gromo, Bienno

48 Venzone, Gemona del Friuli

TRENTINO-ALTO ADIGE 34 Glorenza Una ricchezza nata su misura

EMILIA-ROMAGNA 50 Castell’Arquato Sempre con Piacenza, nel bene e nel male

37 Canale di Tenno, Chiusa

54 Verucchio, Fontanellato, Vigoleno

VENETO 38 Montagnana Mura e torri a far da corona

TOSCANA 58 San Gimignano Prodigi, torri e altre storie

42 Asolo, Soave, Arquà Petrarca

62 Pitigliano, Certaldo, Montalcino

42 22 LIGURIA 22 Apricale Sulla rocca baciata dal sole 26 Castelvecchio di Rocca Barbena, Triora, Castelnuovo Magra


PUGLIA 98 Monte Sant’Angelo San Michele aveva un... toro 104 Vico del Gargano, Sant’Agata di Puglia, Cisternino

68 MARCHE 64 Gradara Nel castello del delitto inventato 68 Corinaldo, Offida, Caldarola UMBRIA 70 Spello La pietra e i colori 74 Ferentillo, Montone, Campello sul Clitunno LAZIO 76 Civita di Bagnoregio Splendido isolamento

110 Tricarico

ABRUZZO 82 Capestrano Nella terra del guerriero

CALABRIA 112 Stilo La Bisanzio dello Jonio

85 Civitella del Tronto, Pacentro

116 Altomonte, Morano Calabro, Pentedattilo

MOLISE 88 Agnone Rintocchi di storia

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91 Pesche

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80 Collalto Sabino, Calcata, Bomarzo

SICILIA 118 Caccamo Echi di un’antica congiura

CAMPANIA 92 Sant’Agata de’ Goti Casanova è passato di qui

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BASILICATA 106 Acerenza Sentinella della Lucania

96 Sessa Aurunca, Cusano Mutri, Vairano Patenora

122 Montalbano Elicona, Gangi, Calascibetta SARDEGNA 124 Bosa La roccaforte del giudicato 128 Posada, Castelsardo


Lucerna Berna

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Casale Monferrato 13

Torino

A sinistra Nemesis (o Das Große Glück), incisione di Albrecht Dürer in cui è inserita una veduta del borgo altoatesino di Chiusa (vedi a p. 37). 1502.

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VALLE D’AOSTA (1) Étroubles (2) Bard (3) Champorcher (4) Gressan (5) La Salle PIEMONTE (6) Vogogna (7) Ricetto di Candelo (8) Serralunga d’Alba (9) Neive (10) Barolo (11) Barbaresco (12) Cortemilia

(13) (14) (15) (16)

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Exilles Garessio Roccaverano Volpedo

LIGURIA (17) Apricale (18) Castelvecchio di Rocca Barbena (19) Triora (20) Castelnuovo Magra (21) Baiardo (22) Cervo (23) Dolceacqua (24) Diano Castello

Sono evidenziati in neretto i castelli descritti nel testo. 10

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Bolzano

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Venezia

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Bergamo

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Reggio Emilia

MARE ADRIATICO Bologna Bolog Bo g 76

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Ravenna

Im ola ol Imola 75 20

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MAR LIGURE

(25) M illesimo (26) Noli (27) Varese Ligure LOMBARDIA (28) S irmione (29) S oncino (30) G romo (31) Bienno (32) Castellaro Lagusello (33) Castiglione Olona (34) Chiavenna (35) Clusone (36) Fortunago (37) Morimondo (38) Tremosine (39) Zavattarello

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Firenze

TRENTINO-ALTO ADIGE (40) Glorenza (41) C anale di Tenno (42) Chiusa (43) B leggio Superiore (44) Stenico (45) Vipiteno VENETO (46) Montagnana (47) Asolo (48) Soave (49) Arquà Petrarca (50) Bardolino (51) Bevilacqua (52) Cittadella (53) Malcesine

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Pesaro

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(54) Marostica (55) Monselice (56) Sant’Ambrogio di Valpolicella (57) Valeggio sul Mincio FRIULI-VENEZIA GIULIA (58) Gradisca d’Isonzo (59) Venzone (60) Gemona del Friuli (61) Clauiano (62) Fagagna (63) Majano (64) Muggia (65) Sauris di Sotto (66) Strassoldo (67) Valvasone

EMILIA-ROMAGNA (68) Castell’Arquato (69) Verucchio (70) Fontanellato (71) Vigoleno (72) Bagno di Romagna (73) Bardi (74) Bobbio (75) Brisighella (76) Dozza (77) Longiano (78) Montegridolfo (79) San Giovanni in Marignano (80) San Leo (81) Sant’Agata Feltria BORGHI D’ITALIA

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VALLE D’AOSTA

Étroubles L’accoglienza innanzitutto

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orto nel cuore della valle del Gran San Bernardo, a 1270 m di altezza, il borgo di Étroubles ha rivestito un ruolo strategico fin dall’antichità grazie alla sua posizione chiave lungo il tracciato della via delle Gallie (arteria che collegava la zona del Po con le regioni alpine). I Romani gli diedero il nome di Eudracinum e anche di Restapolis, utilizzandolo presumibilmente come residenza invernale per la guarnigione militare. Nell’età di Mezzo, il borgo si sviluppò in seguito all’intensificarsi del transito dei pellegrini cristiani che dal Nord Europa si recavano a Roma: l’area di Étroubles costituiva un passaggio obbligato, perché era attraversata della via Francigena (l’insieme di strade che collegava il Settentrione del continente con la Città Eterna, che comprendeva il tracciato della via delle Gallie) e rappresentava la tappa che precedeva


Aosta. Proprio in virtú del grande afflusso di fedeli, il piccolo abitato si organizzò per fornire loro le migliori condizioni di accoglienza, allestendo un ospizio per viaggiatori che rimase attivo fino al XVIII secolo.

I «soldati della neve»

In epoca bassomedievale, su disposizione dei Savoia – negli anni di governo della famiglia sabauda su gran parte dell’odierno territorio valdostano –, a Étroubles vennero costituiti gruppi di marroniers (chiamati in seguito anche Soldats de la Neige), vere e proprie guide alpine incaricate di accompagnare mercanti e pellegrini sulle alture del colle del Gran San Bernardo sia nel tragitto di andata che in quello di ritorno, un servizio rimasto in funzione fino al 1783. Insieme ai tanti pellegrini, nel piccolo abitato transitarono anche papi e imperatori, tra cui

Napoleone Bonaparte, il quale, nella notte del 20 maggio 1800, soggiornò presso la locale casa dell’Abbé Veysendaz, sorta nel luogo in cui, nell’età di Mezzo, si trovava l’ospizio. L’architettura di Étroubles conserva un aspetto tipicamente medievale: lungo strette stradine in ciottolato sorgono antiche abitazioni dai tetti in lose (termine di origine incerta che indica lastre in pietra utilizzate come tegole. n.d.r.), ristrutturate in epoca recente, mentre dall’alto un imponente campanile quattrocentesco domina l’abitato, unica testimonianza rimasta di quella che nel Medioevo era la principale chiesa del borgo. Risale all’Ottocento, invece, l’edificio adiacente la chiesa oggi dedicata a santa Maria Assunta, la cui struttura originaria venne abbattuta a causa delle estreme condizioni di degrado in cui versava. Una torre si conserva nella vicina frazione di

Étroubles (Aosta). Veduta del borgo, dominato dal campanile quattrocentesco progettato dal maestro lapicida di Gressoney Yolli de Vuetto.

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VALLE D’AOSTA

Étroubles

Vachéry ed è uno dei gioielli architettonici dell’intera valle del Gran San Bernardo. Costruita nel XII secolo con funzioni militari, divenne in periodo piú tardo residenza di potenti famiglie nobiliari, i Vachéry soprattutto, da cui ereditò il nome, e anche i La Tour.

Una breccia leggendaria

La torre ha la struttura di un parallelepipedo a pianta quadrata, con mura spesse circa 2 m. Nel lato occidentale è ancora visibile l’antico accesso – oggi murato – posto a una ragguardevole altezza dal suolo per rendere difficilmente espugnabile l’edificio. L’accesso odierno, al piano terra, venne ricavato in seguito, mentre la presenza di una breccia di origine ignota ha ispirato una leggenda di ambientazione medievale: si narra che un conte di Savoia, recatosi ad Aosta per impegni politici, venne sorpreso da una bufera du-

A destra la torre medievale di Vachéry, frazione di Étroubles. In basso gruppo scultoreo in legno policromo raffigurante la Pietà, dalla cappella di Vachéry. Opera di scultore valdostano, prima metà del XVII sec. Étroubles, Trésor de la Paroisse.

rante il viaggio e si vide costretto a trovare rifugio nella località piú vicina. Bussò dunque alla porta della torre dei Vachéry e ricevette accoglienza, ma non venne trattato con i riguardi dovuti a un uomo del suo rango. L’indomani, indispettito, il conte diede ordine di abbattere l’edificio, ma, impietosito dalle suppliche della dama di Vachéry, che si era gettata ai suoi piedi, tornò sulla sua decisione. Tuttavia, in segno di ammonimento e per punire la mancanza di rispetto di cui era stato vittima, stabilí che un’ampia breccia della torre rimanesse sempre aperta. Tra i monumenti locali sono da menzionare anche le «cinque cappelle»: la piú antica è quella di Échevennoz, risalente al XV secolo, mentre le altre (Bezet, Saint-Roch, Eternod e Vachéry) hanno origini databili fra il Cinquecento e il Settecento. Divenuto negli anni un luogo a vocazione turistica, il borgo ospita À Étroubles, avant toi sont passés…, un museo permanente a cielo aperto che espone nelle strade dell’abitato opere di artisti di fama internazionale, con la collaborazione della Fondation Gianadda di Martigny.

DOVE E QUANDO ÉTROUBLES Office du Tourisme, Strada Nazionale Gran San Bernardo 13 Info tel. 0165 78559; www.comune.etroubles.ao.it; www.expoetroubles.eu; www.baladesculturelles.com;


BARD

Antico insediamento di epoca romana e in seguito presidio del re ostrogoto Teodorico (454-526), Bard si presenta come un esempio perfetto di borgo fortificato medievale, con la rocca abbarbicata su un imponente promontorio, a proteggere l’abitato e lambita dalle acque della Dora Baltea. Inexpugnabile oppidum era definito il suo castello in un documento del 1034, anno in cui apparteneva al visconte di Aosta Boso, i cui discendenti dominarono il territorio per altri due secoli, fino all’arrivo dei Savoia. Edificato nell’XI secolo, il Forte di Bard ha subito nel tempo radicali restauri, in particolare nell’Ottocento, dopo essere stato gravemente danneggiato dalle truppe napoleoniche. La sua struttura si caratterizza

per la presenza di tre corpi di fabbrica collocati a diversi livelli sul promontorio (a partire dal basso l’Opera Ferdinando, l’Opera Vittorio, e, all’apice, l’Opera di Gola e di Carlo Alberto). Nel paese, il cui aspetto conserva forme e stili medievali, si possono rintracciare altri monumenti del passato, come la Casa Valperga (XV-XVI secolo) dalla caratteristica facciata decorata da una bifora, la Casa del Vescovo, la Casa della Meridiana, la Casa Urbano e la Casa Ciuca (cosí chiamata per la sua instabilità), realizzate anch’esse tra il Quattrocento e il Cinquecento. Da segnalare, infine, la chiesa dell’Assunzione di Maria, attestata già nel Medioevo, ma poi ricostruita nel XIX secolo. INFO tel. 0125 833811; www.fortedibard.it

L’imponente forte che sovrasta il borgo di Bard, sulla valle della Dora Baltea, ricostruito nell’Ottocento dal sovrano Carlo Felice di Savoia sui resti di una fortezza medievale, precedentemente distrutta dalle truppe di Napoleone.

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PIEMONTE

Vogogna Il paese che si fece capitale

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orgo dal passato prestigioso, al centro della Val d’Ossola, Vogogna veniva probabilmente chiamata, in età antica, Vallis Agonum, cioè «Valle degli Agoni»: un toponimo che evocava una popolazione gallica presente nella regione piemontese prima dell’avvento dei Romani. E che questi ultimi avessero frequentato il territorio vogognese è provato da un’iscrizione incisa nella roccia, sulla strada del Sempione, che ricorda la via fatta costruire dall’imperatore Settimio Severo nel 196 d.C. L’abitato fiorisce soprattutto nel Basso Medioevo, un’epoca preceduta da sporadiche apparizioni nelle cronache: nel 970, una pergamena notarile si limita a citarne il nome, mentre le cronache dell’XI-XII secolo lo descrivono come un villaggio di contadini, sotto il controllo del vescovo di Novara, nel quale sorgeva una fortificazione. Il XIV secolo segnò la vera e propria ascesa politica del borgo che, nel 1328, venne eletto capi-


Vogogna (Verbano Cusio Ossola). Uno scorcio del castello trecentesco edificato per volere di Giovanni Maria Visconti: in evidenza, l’interno delle mura e il profilo della torre quadrata, la struttura piú antica del complesso, ripetutamente ampliato nel corso del Medioevo.

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PIEMONTE

Vogogna

tale dell’Ossola Inferiore, in concorrenza con Domodossola, scelta, invece, come centro amministrativo dell’Ossola Superiore. In quegli anni si registrò inoltre l’arrivo di numerosi migranti provenienti dalla vicina Pieve Vergonte – alla quale Vogogna era in precedenza legata da una sorta di vincolo di vassallaggio –, all’indomani delle devastazioni patite da questa località a causa di un’alluvione.

Sotto l’egida del biscione

Un ventennio piú tardi, conservando un ruolo egemone nella valle, Vogogna passò sotto la giurisdizione del ducato di Milano, a guida viscontea, che si impegnò a potenziare i confini dei suoi possedimenti. Il piccolo centro dell’Ossola Inferiore, che rappresentava un avamposto essenziale per la difesa del ducato dalle possibi18

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li incursioni svizzere dal Vallese, fu quindi rafforzato nelle sue architetture militari, con la ristrutturazione del castello e l’ampliamento della cinta muraria. La temuta invasione non giunse, tuttavia, dalla Svizzera, ma venne guidata dal marchese del Monferrato e dai suoi alleati, una lega antiviscontea composta da Estensi e Gonzaga. Vogogna fu assediata dalle truppe mercenarie inglesi al soldo del marchese e cadde, ma tornò comunque a essere un possedimento dei Visconti. L’ostilità della Chiesa nei riguardi di questi ultimi fu alla base di nuovi conflitti nella zona dell’Ossola: Gregorio IX, infatti, invitò le popolazioni sottomesse a ribellarsi contro la famiglia milanese e l’appello venne accolto dalla fazione dei guelfi Spelorci che occuparono diversi centri della valle, compien-


Nel XV secolo, la capitale dell’Ossola Inferiore, nel frattempo divenuta possedimento dei Borromeo, altra potente e nobile famiglia meneghina, visse un nuovo periodo di splendore. Oltre alla conferma del suo ruolo politico, Vogogna conseguí una significativa affermazione commerciale tra i centri della valle, che ne accrebbe non solo la prosperità, ma anche la bellezza architettonica. Residenza dei Borromeo, venne ulteriormente rafforzata nelle proprie difese militari con l’edificazione, sul lato meridionale del castello, di una cinta muraria quadrangolare e, su alcuni tratti della fortificazione, di basi a scarpa, apprestate al fine di opporre una migliore resistenza contro le nuove armi da fuoco. La fase del declino coincise, alla metà del Cinquecento, con l’inizio della dominazione spagnola e proseguí nei secoli successivi con la sottomissione prima all’impero austriaco, quindi ai Savoia e, poi, ai Francesi. Tuttavia, fino al 1808, Vogogna mantenne il ruolo di centro guida dell’Ossola Inferiore.

Echi del gotico lombardo

do saccheggi anche a Vogogna. Con la tregua sancita a Samoggia (1376), molti territori tornarono sotto il controllo dei Visconti, ma la pace non assicurò tranquillità alla regione.

Da nemici ad alleati

La rivalità tra l’Ossola Inferiore e quella Superiore, nonostante gli sforzi diplomatici degli stessi Visconti, continuò a rinfocolare vecchi odi e si tradusse in un imprevisto quadro di alleanze: nel 1416, Vogogna firmò un accordo con gli storici nemici svizzeri, in previsione di un ulteriore conflitto con i corregionali dell’Ossola Superiore. Eppure, appena sei anni prima, le truppe vogognesi erano accorse in aiuto di Domodossola, assediata dagli Elvetici, e avevano contribuito in modo determinante alla resistenza della storica nemica.

Veduta di Vogogna dalla collina del castello visconteo: il borgo, che nel Trecento fu capitale dell’Ossola Inferiore, contrapposto a Domodossola, conserva ampie porzioni dell’impianto medievale.

L’odierno borgo è dominato dalla trecentesca rocca viscontea, mentre non molto si conserva delle mura, rimaneggiate a piú riprese nel corso del Medioevo. Presso il castello è custodita una testimonianza piú antica, la torre poligonale di una fortificazione che risale verosimilmente al X secolo. A ridosso della rocca sorge il Palazzo Pretorio, antica sede del governo dell’Ossola Inferiore, concepita anch’essa dai Visconti alla metà del XIV secolo. È un notevole esempio di «broletto» lombardo in stile gotico, caratterizzato da archi ogivali poggianti su colonne: al suo interno si conserva un mascherone in pietra ollare di origine incerta (alcuni studi lo ritengono databile al III o al II secolo a.C.), che raffigurerebbe una divinità celtica. Affacciata su piazza Camillo è la cosiddetta Casa Marchesa, la cui costruzione risale al 1350. Fuori dal centro storico, nella frazione Dresio, sorge, invece, l’oratorio di S. Pietro, presumibilmente di origine longobarda, al cui interno sono conservati affreschi del XV secolo e nel cui cortile fa da fontana una replica del mascherone custodito in Palazzo Pretorio a Vogogna.

DOVE E QUANDO VOGOGNA Comune, via Nazionale 150 Info tel. 032 487200; www.comune.vogogna.vb.it; www.parcovalgrande.it

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Altri borghi

PIEMONTE

Vogogna

A destra uno scorcio del ricetto di Candelo (Biella), mirabile esempio di architettura fortificata del XIII-XIV sec., concepita per garantire una sicura custodia alle vettovaglie dei nobili locali e che, in casi di emergenza, poteva assolvere anche a funzioni militari. In basso, sulle due pagine veduta del borgo di Serralunga d’Alba (Cuneo), sviluppatosi intorno al complesso del castello.

RICETTO DI CANDELO

Un borgo di appena duecento abitazioni contadine, tutte di origine medievale: è il ricetto (dal latino receptum, ritiro, rifugio) di Candelo, un piccolo paese della provincia di Biella. L’abitato appare ancora come una tipica struttura fortificata del XIII-XIV secolo adibita alla conservazione di riserve di vettovaglie per i signori locali e che, solo in casi estremi, poteva essere utilizzata come rifugio. Costituiva un ottimo nascondiglio, ma non era in grado di resistere a lungo a eventuali assalti militari per l’estrema fragilità delle costruzioni. Nei secoli sono stati apportati pochi rimaneggiamenti alle case, alle mura difensive costruite con semplici ciottoli di torrente e anche alle strettissime stradine interne, le cosiddette rue. Secondo studi recenti, il ricetto di Candelo è uno dei borghi medievali meglio conservati d’Europa. Situato nel Comune omonimo, occupa una superficie di 13 000 mq, ha un perimetro di circa 500 m. Quasi tutti gli edifici sono a due piani, tranne il palazzo del principe che risale alla fine del Quattrocento e fu voluto dal feudatario Sebastiano Ferrero. INFO tel. 0152 536728; www.prolococandelo.it

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SERRALUNGA D’ALBA

Autentico gioiello architettonico, edificato ad anelli concentrici sopra una collina, Serralunga d’Alba domina la Langa cuneese con il suo castello. Nel Medioevo fu dominio di varie famiglie nobiliari piemontesi: i del Carretto, i Saluzzo e, all’inizio del XIII secolo, i Falletti, sotto i quali conobbe un periodo di grande crescita economica. Proprio in virtú di questo exploit commerciale e a protezione dell’intensa attività mercantile, nel Trecento si provvide a fortificarlo, con la costruzione di una rocca, nel sito in cui sorgeva in precedenza solo una torre di avvistamento. La struttura del castello richiama la fisionomia del donjon francese (torrione avente anche funzione di residenza e magazzino). Altre tre torri, di assetto diverso, svettano sul complesso, rimasto inalterato nella sua fisionomia originaria. All’interno, nel Salone dei Valvassori, affreschi della metà del XV secolo raffigurano il martirio di santa Caterina d’Alessandria. INFO www.comune.serralungadalba.cn.it; www.castellodiserralunga.it

In questa pagina, dall’alto veduta del borgo di Neive, nelle Langhe cuneesi; la medievale Porta di San Rocco; la torre romanica dell’Orologio, databile al XIII sec.

NEIVE

Posto lungo l’antica via Aemilia Scauri, il sito collinare su cui sorge l’odierna Neive era frequentato già in età romana. Nell’XI secolo, quando si temevano incursioni saracene, il luogo venne fortificato con l’edificazione di una rocca – Oppidum Nevearum nelle fonti coeve –, e, nelle vicinanze, sorse un monastero benedettino. Le vicende politiche del borgo – nel XII secolo compreso in una struttura unitaria di governo di cui facevano parte Barbaresco, Neviglie, Trezzo, Santa Maria del Piano e San Sisto – seguirono poi i destini della potente Asti, all’epoca in perenne conflitto con Alba. Nel XIV secolo, inglobata nel Capitanato d’Astesana (unione di luoghi fortificati, promosso da Asti, per contrastare l’espansionismo dei Savoia), Neive venne ulteriormente fortificata, con una possente cinta muraria. Ricco è il patrimonio di testimonianze medievali racchiuse tuttora nella parte piú antica del borgo: oltre alla tipica struttura urbanistica, si evidenziano la torre duecentesca dell’Orologio, la sopravvissuta torre romanica del monastero benedettino (X secolo) e alcune dimore storiche come la casa Cotto e la casa Demaria. INFO www.comune.neive.cn.it

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LIGURIA

Apricale Sulla rocca baciata dal sole

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e case di Apricale, nell’Imperiese, sembrano costruite ordinatamente a scale, ricalcando fedelmente il profilo della collina sulla quale sorsero molti secoli fa. Il borgo ha origini antiche, come hanno dimostrato le indagini archeologiche condotte in località di Cian deu Re (Piano del Re), dove è stata rinvenuta una necropoli della tarda età del Bronzo con tombe a tumulo. Arroccata su un costone a picco sul mare, Apricale era frequentata fin dalla preistoria, verosimilmente per le favorevoli condizioni climatiche di cui godeva, una qualità che risulterebbe iscritta nel suo stesso toponimo – forse derivato dal latino «apricus», cioè «soleggiato» –, ap-


parso per la prima volta in una carta del monastero francese di Lérins (fondato sull’isola di Saint-Honorat, nelle acque antistanti Cannes), nel 1092, con la forma di Avrigallo. Altre ipotesi ritengono piú credibile che l’etimo del nome discenda dall’antica espressione dialettale àvregu, con il significato di «pietra dura», in riferimento alla composizione del terreno su cui sorge il paese. L’abitato nacque per iniziativa dei conti di Ventimiglia intorno al perimetro di una fortificazione piú antica. Tra il XII e il XIII secolo, il borgo conobbe uno sviluppo notevole, che ebbe anche effetti politici, il piú significativo dei quali fu l’emergere di una pressante richiesta di autono-

mia. Un passo decisivo nella lotta per l’indipendenza si ebbe nel 1216 – ma la data è incerta –, con l’elezione dei primi consoli locali, chiamati ad amministrare la giustizia motu proprio, senza l’influenza dei nobili ventimigliani. Piú solida fu l’affermazione autonomista concretizzatasi nella promulgazione, nel 1267, degli Statuti di Apricale, tra i piú antichi della Liguria, chiamati a regolare ogni singola attività del borgo applicando norme tratte dal diritto romano e da quello longobardo. Si tratta di un documento eccezionale, tuttora custodito nel locale castello, grazie al quale gli storici hanno potuto ricostruire nei dettagli la vita quotidiana di una piccola comunità del Basso Medioevo.

Apricale (Imperia). Arroccato su un costone collinare dell’Imperiese, il borgo conserva una tipica fisionomia medievale e pregevoli testimonianze architettoniche del periodo in cui beneficiò di una sostanziale autonomia politica.

Pene disumane

Nel testo, solo per fare un esempio, in relazione alle sanzioni contro i crimini piú gravi, veniva contemplata una forma di «Giudizio di Dio», che prevedeva la possibilità per l’imputato di essere assolto nel caso in cui fosse riuscito ad attraversare una strada con un ferro rovente in mano, senza subire ustioni. Tra le altre disposizioni, figura l’atroce pena prevista

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LIGURIA

Apricale

per gli assassini, condannati a essere sepolti vivi accanto alle loro vittime, e la decapitazione comminata alle donne che si macchiavano del reato di adulterio. Tuttavia, l’indipendenza non fu del tutto compiuta, secondo quanto risulta dai numerosi accordi sottoscritti con i conti di Ventimiglia in materia di versamento dei tributi e di elezione dei governanti (podestà e consoli): nel 1276 venne stabilito che ai nobili spettassero onerose imposte e il diritto di nominare gli amministratori locali, come anche la facoltà di annullare in appello sentenze comminate per ogni tipo di reato. In seguito, Apricale cambiò signoria di riferimento e passò sotto l’egida dei Doria di Dolceacqua, i quali disposero di unire il borgo con la vicina Isolabona. Il XIV secolo fu segnato da numerose dispute con i Comuni vicini per questioni riguardanti i confini, liti che sfociarono anche in veri e propri atti di violenza, in particolare con Dolceacqua, Briga, Pigna, Baiardo e Perinaldo. Le dispute vennero finalmente appianate nel Quattrocento, grazie agli accordi che garantirono ai borghi compresi nel territorio dell’odierna provincia di Imperia un lungo periodo di pace. Una faida all’interno della famiglia Doria riac24

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A sinistra e in alto due scorci del borgo di Apricale, con le tipiche stradine che si inerpicano sul rilievo collinare, i portici e le abitazioni in pietra. Nella pagina accanto uno degli affreschi quattrocenteschi nella navata della chiesa di S. Maria degli Angeli ad Apricale. cese, però, le ostilità: nel 1523 Bartolomeo, che aveva ereditato i feudi dell’Imperiese, uccise con trentadue pugnalate lo zio Luciano Grimaldi, signore di Monaco, con l’intento di conquistarne i domini. I Monegaschi reagirono con veemenza, inviando un esercito nei territori di Bartolomeo e presero di mira diversi abitati tra cui Apricale, che capitolò dopo una strenua resistenza. Poco dopo, tuttavia, i Doria tornarono in possesso del borgo e sottoscrissero una pace con i Grimaldi, sancita anche da matrimoni dinastici tra membri delle due famiglie.

Tra boschi e uliveti

Dalla sommità del colle sul quale è adagiato, il borgo domina una valle dalla vegetazione rigogliosa, con fitti boschi e uliveti. All’interno delle sue mura, parzialmente sopravvissute al tempo e lungo le quali sono dislocate tre porte duecentesche ad arco acuto, si trovano molte testimonianze del passato medievale, a partire dal castello della Lucertola (secondo la tradizione, il nome richiamerebbe il simbolo adottato da

una popolazione di Celto-Liguri stanziatasi anticamente in quel sito), affacciato nella piazza principale del paese. Edificato nel X secolo, fu in seguito soggetto a rimaneggiamenti che lo trasformarono in una grande fortezza. Dopo il rovinoso assalto monegasco del 1523, il castello venne in gran parte ricostruito in forme meno imponenti e oggi ospita il Museo della storia di Apricale. Un altro monumento simbolo, la chiesa parrocchiale della Purificazione di Maria Vergine (XII secolo), subí anch’essa diversi rifacimenti, che hanno finito con il conferirle le attuali sembianze barocche. Il campanile della parrocchiale è stato ricavato dalla torre quadrata del vicino castello della Lucertola. Piú autenticamente medievali sono, invece, la chiesa di S. Antonio Abate (XIII secolo), la chiesa di S. Maria degli Angeli (nella cui navata sono presenti affreschi del XV secolo) e i ruderi della romanica chiesa di S. Pietro in Ento (XI secolo).

DOVE E QUANDO APRICALE Comune, via Cavour 2 Info tel. 0184 208126; e-mail: apricale@apricale.org; www.apricale.org

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Altri borghi

LIGURIA

Apricale

CASTELVECCHIO DI ROCCA BARBENA

Una delle perle architettoniche dell’entroterra ligure, Castelvecchio di Rocca Barbena, sorge sulle pendici di un’altura e lungo il corso del torrente Neva, nel Savonese. Abitato fin dall’antichità, nel XII secolo divenne un importante feudo del marchesato dei Clavesana: in quel periodo il sito dell’odierno Comune era dominato da un castello, presumibilmente costruito nel secolo precedente. Il borgo si sviluppò a partire dal Duecento, ma, poco dopo, subí la concorrenza politica della vicina Zuccarello, che assunse presto le funzioni di capitale del marchesato, nel frattempo passato sotto il controllo dei Del Carretto. Il declino di Castelvecchio si interruppe nel Cinquecento, quando gli stessi Del Carretto ne elessero la rocca a propria residenza. Ancora oggi il castello domina dall’alto il borgo, con i resti della mura e alcune torrette di avvistamento, ma riporta i segni degli assalti genovesi che ne danneggiarono in buona parte la struttura. Nell’abitato sottostante, tra gli stretti carrugi, si notano numerose case di epoca medievale, collegate tra loro da archi in pietra per assicurare una maggiore stabilità in caso di eventi sismici, e i caratteristici portali in tufo. Medievale è anche la parrocchiale (XV secolo), dedicata a Nostra Signora Assunta, che nel tempo, tuttavia, ha acquisito fattezze barocche. INFO www.comune.castelvecchio.sv.it

A sinistra i resti della fortezza di Castelvecchio di Rocca Barbena (XI sec.), che porta ancora i segni dei gravi danni subiti nel Seicento per mano dei Genovesi nel corso di un lungo assedio. A destra uno scorcio del borgo di Triora, definito la «Salem d’Italia», perché teatro, nel XVI sec., di un celebre processo di stregoneria.

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TRIORA

La «Salem d’Italia» ha un aspetto tipicamente medievale, ma la sua storia evoca soprattutto il Rinascimento. Nel 1587, in questo suggestivo borgo della provincia di Imperia, si svolse uno dei piú grandi processi di stregoneria della storia d’Italia. Nel mirino dell’Inquisizione finirono alcune donne, accusate di aver provocato la carestia di cui il paese era da tempo vittima. Furono i rappresentanti del parlamento locale a denunciare il fatto, attivando subito le autorità inquisitorie che, giunte sul posto, avevano sottoposto a tortura le sospette. Una delle accusate, Isotta Stella, morí per le ferite ricevute, mentre un’altra imputata si suicidò in carcere. Echi dei tragici eventi giunsero a conoscenza dei vertici politici della Repubblica genovese – di cui Triora era un dominio – che attivarono un’indagine e che, in seguito all’accertamento di informazioni contraddittorie, decisero di far sospendere il processo. Il borgo oggi affascina per il suo profilo urbanistico: posto al 780 m sul livello del mare, presenta pregevoli esempi di architettura religiosa medievale, come le chiese della Madonna delle Grazie (XII secolo), S. Dalmazio (XIII secolo), S. Caterina di Alessandria (XIV secolo) e S. Bernardino (XV secolo). INFO www.comune.triora.im.it

CASTELNUOVO MAGRA

Simbolo delle lotte tra aristocrazia locale e potere ecclesiastico, Castelnuovo Magra compare nelle cronache del XIII secolo, che lo descrivono come luogo fortificato. Era stato il vescovo della vicina Luni, Gualtiero II, a concepirlo, per difendere la Lunigiana dalle incursioni degli acerrimi nemici Malaspina. Un altro porporato, Enrico da Fucecchio, vi edificò poi un castello imponente, che divenne la sede della diocesi di Luni, al cui interno fu firmata, nel 1306, la pace tra i vescovi e i Malaspina, tregua che sarebbe stata siglata alla presenza di Dante Alighieri. Nei secoli successivi Castelnuovo appartenne al marchesato di Fosdinovo, ai Genovesi e, per un breve periodo, anche ai Fiorentini. La rocca di origine duecentesca domina tuttora l’abitato, con le sue torri che vennero erette in periodo tardo-medievale. Le strutture medievali convivono invece con piú radicali rifacimenti di età rinascimentale nelle facciate delle chiese antiche. INFO http://comune.castelnuovomagra.sp.it

Qui sopra veduta dall’alto del borgo medievale di Castelnuovo Magra, nello Spezzino, roccaforte diocesana fin dal Duecento.

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LOMBARDIA

Sirmione Quella perla affacciata sul lago «O

Sirmione, perla delle penisole e delle isole, che tutte quante, nei limpidi laghi e nel mare aperto, offre il Nettuno delle acque dolci e delle salate, con quale piacere, con quale gioia torno a rivederti» (Carmina, XXXI). Cosí il poeta latino Gaio Valerio Catullo (84-54 a.C.) celebrava la bellezza dell’antica Sirmio, la cui importanza, in epoca romana, derivava soprattutto dalla posizione strategica occupata, sulla direttrice della via Gallica, che collegava i municipi della Pianura Padana. Imponenti testimonianze di quel passato lontano sono giunte fino ai nostri giorni, convivendo con le dominanti architetture medievali che ancora caratterizzano l’identità urbanistica del borgo. Già località di residenze e di villeggiatura di numerose famiglie patrizie di Roma e in seguito presidio fortificato, Sirmione crebbe di densità abitativa solo dalla fine del VI secolo, quando acquisí un significativo ruolo politico, sempre in virtú della sua posizione strategica: all’interno dei domini longobardi dell’Italia settentrionale, il borgo era collocato in un luogochiave per consentire il controllo della strada che univa Verona a Brescia e quella che conduceva alla Val d’Adige. Capoluogo della iudiciaria sermionensis (in età longobarda, iudiciaria è sinonimo di ducato e sembra sottolineare un accentramento intorno a una civitas, n.d.r.), Sirmione crebbe ulteriormente d’importanza nel VII-VIII secolo e sul suo territorio sorgevano già vari luoghi di culto (tra cui S. Martino, S. Vito, S. Pietro in Mavino e il monastero di S. Salvatore), alcuni costruiti su iniziativa della moglie di re Desiderio, Ansa. Sviluppatosi su una penisola che si affaccia sul 28

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Lago di Garda, il borgo subí un notevole ridimensionamento politico nel periodo della dominazione franca e, col tempo, entrò sempre piú nell’orbita delle attività politiche di Verona. Nei riguardi del potere imperiale, invece, godeva di una certa autonomia, come testimonia un documento del 1220, sottoscritto dall’imperatore Federico II, con il quale si concedevano a Sirmione alcuni privilegi, tra cui il diritto di pesca e commercio sulle acque del lago. Si presume che la cittadina disponesse anche di un ordinamento comunale.

L’impronta scaligera

Fin dal XIII secolo, l’influenza veronese ebbe come simbolo lo splendido castello, fatto edificare dal podestà di Verona Mastino I della Scala († 1277) e sorto sui resti di una fortificazione romana. In quegli anni a Sirmione aveva trovato rifugio un folto gruppo di eretici patarini (la Pataria era un movimento sorto all’interno della Chiesa milanese), guidati da un vescovo ufficiale, i quali celebravano riti regolari, verosimilmente nel vecchio monastero longobardo di S. Salvatore. La loro attività, però, non venne tollerata dagli Scaligeri, che, informati dall’Inquisizione, decisero di reprimerla: nel 1276 piú di 150 eretici furono catturati dalle truppe di Mastino e, portati a Verona, subirono la condanna al rogo. Alla dominazione scaligera, protrattasi fino al 1378, seguí quella di Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, il quale rinnovò i privilegi feudali in vigore in precedenza, concedendo alla cittadinanza l’esenzione da alcuni tributi. All’amministrazione milanese, rimasta in cari-


Sirmione (Brescia). Veduta aerea del borgo lombardo, con il Castello Scaligero, costruito in diverse fasi tra il XIII e il XIV sec. in un’incantevole posizione sulle acque del Lago di Garda. BORGHI D’ITALIA

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LOMBARDIA

Sirmione

ca per circa un decennio, subentrarono dapprima un nuovo governo scaligero e, nel 1405, la Repubblica di Venezia, sotto la cui gestione vennero potenziate le difese del borgo, in particolare quelle del castello del quale si ampliò la darsena. Il rafforzamento delle fortificazioni risultò provvidenziale e permise ai Veneziani di contrapporre una difesa piú efficace agli attacchi dei Visconti, i quali, a partire dal 1438, avevano compiuto incursioni sulla sponda meridionale del lago. Dopo due anni di conflitto, la Serenissima prevalse sui Milanesi e Sirmione non cambiò di nuovo governo, restando nell’orbita dei domini veneziani fino al 1797.

Diritti esclusivi

Nel XVI secolo, secondo testimonianze scritte, nel borgo risiedevano oltre mille abitanti, che vivevano soprattutto dei proventi ricavati dalle attività agricole e dalla pesca. Scongiurati i rischi di nuove invasioni, il Comune fu però dilaniato da una violenta disputa interna, che vedeva schierati da una parte i cittadini originari del luogo e dall’altra le famiglie di «forestieri»: materia del 30

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In alto l’altare della chiesa di S. Anna (XV sec.), eretta nei pressi del corpo di fabbrica del castello.

contendere era la gestione dei beni comunali, che i Sirmionesi «autentici» non volevano concedere anche a chi discendeva da migranti, esclusione rimasta in vigore fino al 1780. Il passato di Sirmione è ben riconoscibile nel profilo delle sue fortificazioni, delle mura e, soprattutto, del castello, edificato nel punto di maggiore restringimento della penisola, in una posizione incantevole, completamente circondata dalle acque del lago. Attraversando il ponte levatoio si accede al cortile, il nucleo principale della fortezza: concepita a pianta rettangolare, con tre torri di struttura quadrangolare e con un’altra grande torre avente la funzione di mastio, è una delle architetture militari meglio conservate d’Italia. Secondo una leggenda, nei locali del maniero si consumò un fatto di san-


gue che risalirebbe agli anni in cui a Sirmione si erano asserragliati gli eretici patarini. Un giovane di nome Ebengardo, che viveva all’interno del castello con la sua amata Arice, concesse accoglienza a un cavaliere, Elaberto. Colpito dalla bellezza di Arice, l’ospite si propose di conquistarla con ogni mezzo e una notte, introducendosi nella stanza della donna, cercò di violentarla. Svegliato dalle grida dell’amata, Ebengardo accorse in suo aiuto, ma la trovò morta e, accecato dalla rabbia, uccise il cavaliere. Il luogo di culto piú importante del borgo è la quattrocentesca chiesa di S. Maria Maggiore (o S. Maria della Neve), edificata sulle rovine del santuario longobardo dedicato a S. Martino. Accanto al corpo di fabbrica del castello si trova,

Sulle due pagine le torri e le caratteristiche merlature a coda di rondine del castello di Sirmione, edificato nel XIII sec. per iniziativa del podestà di Verona Mastino della Scala sui resti di una fortificazione romana. Nella pagina accanto, in basso uno degli affreschi quattrocenteschi custoditi all’interno della chiesa di S. Maria Maggiore.

invece, la piccola chiesa di S. Anna, anch’essa del XV secolo, mentre sul punto piú elevato della penisola sorge la chiesa di S. Pietro in Mavino (XIV secolo). Altri due edifici religiosi, le chiese di S. Salvatore e dei SS. Vito e Modesto, conservano ancora qualche traccia di costruzioni altomedievali.

DOVE E QUANDO SIRMIONE Azienda di Informazione e Accoglienza Turistica-I.A.T. Sirmione, viale Marconi 8 Info tel. 030 3748721 o 030 916114; e-mail: iat.sirmione@provincia.brescia.it; www.provincia.brescia.it

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Altri borghi

LOMBARDIA

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Sirmione

SONCINO

Storia, leggende e bellezza si intersecano tra le strade di Soncino, splendido borgo medievale del Cremonese. Popolato fin dall’antichità a ridosso della sponda destra del fiume Oglio, in uno dei tratti piú ameni della pianura lombarda, fu presumibilmente un castrum goto. Conquistato prima dai Bizantini e poi dai Longobardi, subí il sanguinoso assalto di Carlo Magno nel 773. Passò quindi sotto i conti di Bergamo, i quali, nel 1118, lo cedettero al Comune di Cremona: in questa fase della sua storia, venne eletto «borgo franco», destinatario perciò di privilegi fiscali in cambio di servigi militari da prestare in caso di guerra. Soncino, in quel periodo, poteva contare già un su alcune fortificazioni – sorte nel X secolo, verosimilmente in seguito alla minaccia di incursioni ungare – e poté, quindi, opporre un’efficace resistenza agli attacchi dei Bresciani e dei Milanesi. Solo nel XIII secolo, però, le sue architetture militari cominciarono ad acquisire forme imponenti, in particolare durante il governo di Buoso da Dovara. Lo sviluppo urbanistico fu accompagnato dall’affermazione commerciale e, con essi, crebbe l’aspirazione autonomista, che dovette spesso scontrarsi con l’influenza esercitata da Cremona. L’indipendenza giunse nel Trecento, ma non durò a lungo: contesa dalle grandi signorie, Soncino divenne un possedimento dei Visconti, che utilizzarono il borgo soprattutto come avamposto militare contro Venezia. Nel Quattrocento, però, la Serenissima riuscí a conquistarlo e impresse un’ulteriore accelerazione alla crescita economica, soprattutto nel settore dell’imprenditoria tessile, che vide affermarsi generazioni di talentuosi pannilana. Il Medioevo soncinese volse al tramonto con la

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In alto Soncino (Cremona): Gli affreschi quattro-cinquecenteschi che ornano gli interni della chiesa di S. Maria delle Grazie. In basso la rocca di Soncino, edificata dai nobili milanesi Sforza nel XV sec., su progetto dell’architetto Bartolomeo Gadio. dominazione degli Sforza, i quali investirono risorse cospicue per irrobustire la cinta muraria e costruire un nuovo castello. La rocca quattrocentesca, tuttora il monumento piú importante del borgo, venne ideata da una squadra di grandi architetti, tra i quali figurava Bartolomeo Gadio, uno dei progettisti del Castello Sforzesco milanese. Fra gli altri monumenti di origine medievale meritano una citazione il Palazzo comunale, la Torre civica, Palazzo Azzanelli e le chiese di S. Maria Assunta (XII secolo), S. Giacomo (XIV secolo) e S. Maria delle Grazie (XV secolo). INFO tel. 0374 83188; www.soncino.org


GROMO

Il toponimo Gromo, per alcuni storici, significa «grumo di roccia» o «altura», ma, secondo altre ipotesi, deriverebbe dal nome della tribú celtica, i Grumi, che qui si sarebbero stanziati nel V secolo a.C. Occupato in seguito dai Romani, nel Duecento il sito venne concesso in feudo dall’imperatore Federico II alla famiglia Licini, che provvide a fortificarlo, edificando un castello. In quegli anni il borgo conquistò una sostanziale autonomia, ottenendo anche lo sfruttamento sull’estrazione del ferro e dell’argento, che costituiva una delle ricchezze offerte dal territorio. Sotto l’ala protettrice del Comune di Bergamo, Gromo visse un lungo periodo di prosperità, godendo anche di altri privilegi di carattere economico, come, per esempio, l’esenzione dai tributi. Alle fortune commerciali contribuí l’industria delle armi, che conobbe un ulteriore sviluppo in seguito alla dominazione della Repubblica di Venezia, iniziata nel XV secolo, e che valse al paese il soprannome di «Piccola Toledo». Sul punto piú alto della collina su cui sorge l’abitato, il castello tuttora presidia la Val Seriana, con la sua torre armigera, rimasta sostanzialmente intatta dal Duecento, epoca della sua costruzione. Altri monumenti di rilievo sono il Palazzo Milesi, databile al XV secolo (oggi sede del municipio), la chiesa di S. Gregorio, risalente allo stesso periodo, e quella di S. Giacomo, edificata nel XII secolo. INFO tel. 0346 41345; www.gromo.eu

In alto Gromo (Bergamo). Una veduta del borgo, ribattezzato «Piccola Toledo» per la fiorente industria di armi attiva fin dal Medioevo e poi potenziata dalla dominazione veneziana.

BIENNO

È stato ipotizzato che a Bienno, in epoca medievale, svettassero ben dieci torri, sei in piú rispetto a quelle oggi sopravvissute. L’antico borgo del Bresciano era anche rinomato, fin dall’epoca romana, per la lavorazione del ferro. Si presume che il toponimo derivi dal latino biennium, termine che indicava i canali artificiali che ne alimentavano le fucine. L’attività siderurgica si sviluppò in modo significativo grazie ai monaci benedettini, che, nel X secolo, introdussero l’utilizzo dei mulini ad acqua, in grado di azionare il maglio per la lavorazione dei metalli. Dei proventi di questa remunerativa attività beneficiarono anche le architetture, che nel Quattrocento si arricchirono di monumenti e palazzi signorili, durante il periodo di massima prosperità del borgo. Di particolare interesse sono i luoghi di culto: la quattrocentesca chiesa di S. Maria Annunciata, la chiesa dei SS. Faustino e Giovita (di origine medievale e riedificata nel Seicento), la chiesetta di S. Defendente e la Cappella della Piscina, entrambi databili al XV secolo. Splendide, infine, sono le quattro torri medievali, risalenti all’XI-XIII secolo (Avanzini, Rizzieri, Bontempi e Mendeni) e la Casa Bettoni, palazzetto che conserva forme rinascimentali. INFO tel. 345 0484986; www.bienno.info

Qui sopra Bienno (Brescia), chiesa di S. Maria Annunciata. Particolare dell’affresco raffigurante la Crocifissione.

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Glorenza (Bolzano). La via dei Portici, strada principale del borgo altoatesino, che nel Medioevo, grazie a Mainardo II, duca del Tirolo, divenne uno dei centri mercantili piú frequentati dell’intera Val Venosta.


TRENTINO-ALTO ADIGE

Glorenza Una ricchezza nata su misura U

na delle piú straordinarie bellezze architettoniche dell’Alto Adige è racchiusa tra le mura di Glorenza, un piccolo borgo della Val Venosta, di appena 800 abitanti, che ha mantenuto intatto il suo fascino dalle sembianze medievali. Nota nell’antichità con il nome di Glurnis, che significa «ontaneto» o «noccioleto», in una lettera di concessione del duca Ottone, datata 30 aprile 1304, Glorenza viene nominata come città. Nell’età di Mezzo, l’abitato si distinse come uno snodo nevralgico per i traffici mercantili fra Austria, Svizzera e Italia settentrionale. E proprio al commercio dovette la sua antica fortuna: già sede di un tribunale, vi venne infatti istituito, nel 1291, il mercato di San Bartolomeo, su iniziativa del duca Mainardo II del Tirolo, che si sarebbe tenuto da allora in poi ogni 24 agosto. La fiera durava dieci giorni e nacque per fare concorrenza a quella che ogni anno veniva organizzata in occasione della Natività di Maria

nella vicina Müstair, sede di mercato soggetta al principe vescovo di Coira. Il nuovo emporio esercitò fin da subito un notevole richiamo e tale successo favorí la crescita dell’abitato che, alla fine del XIII secolo, alcune fonti citano come burgum, cinto da imponenti mura merlate e al quale si accedeva attraverso due porte. Le dimensioni di Glorenza, tuttavia, rimanevano sempre limitate e, per favorirne lo sviluppo, vennero offerti speciali privilegi ai forestieri che vi avessero fissato la propria residenza (per esempio, l’esenzione per dieci anni dal pagamento delle imposte).

Il monopolio dell’oro bianco

Una crescita economica piú consistente si registrò a partire dal 1332, con il varo di un provvedimento che imponeva l’uso della «misura di Glorenza» nel territorio della Val Venosta per la pesatura di tutte le merci. La delibera, di fatto, avvantaggiò i mercanti, che potevano, inoltre,

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TRENTINO-ALTO ADIGE

Glorenza del trionfo, saccheggiarono il borgo, massacrando anche molti civili. Secondo la tradizione, Massimiliano, sconvolto dalla distruzione di Glorenza, sarebbe scoppiato in lacrime davanti alle sue rovine. Per favorirne la ricostruzione, il sovrano concesse, poi, agevolazioni fiscali a chi voleva insediarsi, mentre Ludovico il Moro provvide a inviare vettovaglie per sfamare i pochi sopravvissuti, che però non giunsero a destinazione.

Trecentocinquanta feritoie

beneficiare di un’altra disposizione favorevole al borgo: l’acquisizione del monopolio per il commercio del sale che proveniva da Hall, città austriaca nei pressi dell’odierna Innsbruck. Si trattava di un affare di proporzioni piú che ragguardevoli, considerando che Hall produceva circa 130 carri di sale alla settimana e riforniva una vasta zona, comprendente la Lombardia e il versante settentrionale del Veneto.

Affari e diplomazia

Glorenza non vide lievitare solo il suo benessere economico, ma cominciò ad acquisire anche un notevole peso politico, come dimostra la presenza di un rappresentante del borgo nella Dieta Tirolese che si riuniva a Merano (organismo complementare al potere del principe, del quale facevano parte esponenti delle classi sociali piú elevate, ma anche di quelle contadine). Glorenza divenne teatro anche di importanti incontri diplomatici, come quello del 1496 tra l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo e il suo alleato milanese Ludovico il Moro, della cui delegazione – secondo alcune fonti coeve – avrebbe fatto parte anche Leonardo da Vinci. Fu il preludio della battaglia della Calva, che, il 22 maggio del 1499, vide contrapporsi le truppe di Massimiliano, appoggiate dalla Lega Sveva, alla Confederazione svizzera e alle Tre Leghe dei Grigioni, minacciate dalla politica espansionista degli Asburgo. Lo scontro ebbe luogo a Tubre, ma soprattutto a Glorenza, dove l’esercito imperiale, nonostante la superiorità numerica, venne sconfitto dagli Elvetici che, non paghi 36

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Il campanile della quattrocentesca chiesa di S. Pancrazio a Glorenza, sulla cui facciata campeggia un affresco raffigurante il Giudizio Universale, attribuito alla scuola del pittore austriaco Michael Pacher (1435-1498).

Glorenza, alla fine, rinacque, grazie al contributo dell’imperatore e dell’architetto Jörg Kölderer, il quale progettò un nuovo borgo, dotandolo di una cinta muraria ampliata e torrioni semicircolari. Avviati all’indomani della della battaglia della Calva (scontro che si combatté nel 1499 e che può essere considerato come il momento culminante di due secoli e mezzo di rivalità tra la diocesi di Coira e i feudatari del Tirolo per il possesso dell’alto bacino dell’Adige), i lavori si conclusero nel 1580. L’aspetto odierno del borgo è il risultato della ricostruzione tardo-medievale e di successivi restauri, che non ne hanno però stravolto la fisionomia. Le mura attuali si presentano in tutta la loro imponenza con tre porte di accesso, sette torri, il camminamento di ronda e ben trecentocinquanta feritoie. Varcata la Porta di Tubre, attraverso la quale si accede all’abitato (ma che, in origine, era un’abitazione), si procede lungo stradine abbellite da edifici nobiliari cinquecenteschi, come il suggestivo Castel Glorenza e la Casa Fröhlich, appartenuta ai nobili Matsch, che sulla facciata posteriore presenta un dipinto raffigurante un’allegoria dei peccati capitali. Tra gli altri monumenti, spiccano la Torre Flurin, che nel Medioevo fu sede del tribunale; la Torre Kolben, citata già nel XIV secolo in alcuni documenti comunali; le chiese di S. Pancrazio (XV secolo) e di S. Giacomo al Maso Söles (XVI secolo), che si trovano entrambe al di fuori delle mura.

DOVE E QUANDO GLORENZA Ufficio Turistico, via Flora 31 Info tel. 0473 831097; e-mail: glurns@rolmail.net; www.gemeinde.glurns.bz.it www.altavenosta-vacanze.it


Altri borghi

CANALE DI TENNO

Solo poche decine di abitanti vivono oggi a Canale di Tenno, una delle piú straordinarie sopravvivenze di abitato contadino medievale. Questa frazione del Comune di Tenno ha resistito allo spopolamento, conservando la sua identità originaria. Sorto presumibilmente sul finire dell’Alto Medioevo, il borgo risulta citato per la prima volta nel Duecento, ma nel suo sito era già da tempo presente un castello. Nel Quattrocento, durante il conflitto che opponeva Milano a Venezia, nella rocca trovò rifugio il condottiero Piccinino, al comando delle forze meneghine, che riuscí poi a fuggire durante l’assedio nemico. Il toponimo Canale potrebbe riferirsi all’agevole approvvigionamento idrico che il suo territorio offriva fin dall’età di Mezzo, vista la vicinanza del Lago di Garda e di corsi d’acqua. INFO tel. 0464 554444; www.gardatrentino.it

In alto uno scorcio di Canale di Tenno (Trento), borgo che conserva alcuni autentici esempi di abitazioni contadine del Medioevo. A sinistra Una veduta di Chiusa (Bolzano), antica sede doganale sorta sul fiume Isarco.

CHIUSA

Sede vescovile fin dal VI secolo, Chiusa si impose nel Medioevo come sede doganale, ma è probabile che lo fosse stata già in età romana. Collocato in una posizione incantevole lungo il fiume Isarco, il borgo altoatesino conservò il suo importante ruolo strategico anche dopo il X secolo, in seguito al trasferimento della sede vescovile nella vicina Bressanone. Lo sfruttamento delle miniere a Montefondoli (Pfunderer Berg) contribuí in modo significativo allo sviluppo economico di Chiusa che raggiunse l’apice tra il XV e il XVI secolo. L’abitato si arricchí di eleganti edifici e di

monumenti che affascinarono anche il pittore rinascimentale tedesco Albrecht Dürer: in una delle sue incisioni, Nemesis (o Das Große Glück), l’artista inserí proprio alcuni scorci del borgo. Rievocano quegli antichi splendori le memorie architettoniche dell’età di Mezzo, come la quattrocentesca parrocchiale di S. Andrea, l’imponente monastero di Sabiona che richiama la fisionomia di una fortezza, la chiesa gotica degli Apostoli (XV secolo), la rocca di Branzoll, nel cui complesso ampiamente restaurato in epoca moderna, sopravvive la duecentesca torre del Capitano. Altre significative testimonianze dell’età di Mezzo sono rappresentate dal Palazzo del Municipio, dal vecchio albergo del Leone d’Oro e dalla casa della Dogana Vescovile. INFO tel. 0472 847424; www.klausen.it

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VENETO

Montagnana Mura e torri a far da corona

N

ella pianura compresa tra l’Adige e i Colli Euganei, il Medioevo rivive lungo i due chilometri della cinta muraria, perfettamente conservata, di Montagnana. Simbolo dell’architettura militare trecentesca, il borgo fu un vicus romano sull’itinerario della via Annia, strada della Gallia Cisalpina, e cominciò a popolarsi nel periodo delle invasioni barbariche, durante il quale divenne sede amministrativa (caput Scodesiae), dipendente dalla corte longobarda di Monselice. Già nell’XI secolo si dotò di fortificazioni, fattesi indispensabili per scongiurare la costante minaccia delle incursioni degli Ungari da est. In quegli anni, Montagnana era dominio degli Obertenghi, una dinastia di origine longobarda, ed entrò in seguito nelle mire del condottiero 38

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Ezzelino III da Romano (1194-1259) – vicario dell’imperatore Federico II –, che aveva già espugnato Padova, Este e altri centri limitrofi. Nessun esercito sembrava in grado di ostacolarlo, eppure la cittadina veneta («fortissimo municipio», secondo le cronache del tempo) riuscí a resistere ai suoi attacchi, proprio grazie alle fortificazioni di cui disponeva. Nel 1239, Ezzelino fu costretto alla fuga, ma non rinunciò al suo piano di conquista e poté realizzarlo qualche anno piú tardi, nel 1242, ricorrendo all’uso del fuoco. Dopo averlo in gran parte distrutto, il condottiero provvide a ricostruire il borgo, dotandolo di una fortezza ancora piú imponente, il castello di S. Zeno, che sorse nel sito della precedente rocca. Il dominio di Ezzelino si protrasse per


alcuni anni, fino a quando i Montagnanesi, forti di un’alleanza con alcuni profughi vicentini, si ribellarono e lo sconfissero. Nel 1275, il paese venne ulteriormente fortificato con la costruzione di una cinta muraria che, nella sua prima versione, circondava solo parte dell’abitato. Furono poi i Da Carrara, una famiglia aristocratica padovana, nel 1362, a completare l’opera ampliando l’estensione delle mura fino ai circa 2 km già ricordati.

Un esercito di fantocci

Divenuta ormai uno dei domini del Comune di Padova, Montagnana si trovò di conseguenza in guerra con Verona e, secondo una leggenda, si salvò dall’invasione scaligera grazie a uno stratagemma: le autorità ordinarono di cucire una

gran quantità di panni rossi, che vennero poi applicati come mantelle a numerosi fantocci di legno, collocati lungo tutto il camminamento di ronda delle mura. Quando le truppe veronesi si apprestarono ad assediare il borgo, ebbero perciò l’impressione che l’esercito nemico fosse molto piú consistente del previsto e, temendo di venir sopraffatti, preferirono fuggire. All’inizio del XV secolo, il borgo, politicamente in declino, fu conquistato dalla Serenissima e la nuova egemonia favorí l’afflusso di numerosi mercanti veneziani. Il dominio della Repubblica lagunare durò fino al 1797. La splendida cinta muraria montagnanese è rimasta pressoché inalterata fin dall’epoca della sua costruzione. Le pareti nord e sud, lungo le quali sorgono le 24 torri, sono composte da fi-

Montagnana (Padova). Un tratto dell’imponente cinta muraria, eretta a protezione del borgo nel XIII-XIV sec., quando era sotto il dominio di Ezzelino III da Romano e della famiglia Da Carrara: la fortificazione, lunga circa 2 km, è presidiata da 24 torri, collegate tra loro da un camminamento di ronda.

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VENETO

Montagnana

In alto la facciata gotica del duomo di Montagnana (XV sec.), che custodisce al suo interno dipinti del Giorgione e di Paolo Veronese. Nella pagina accanto il tratto della fortificazione montagnanese sulla quale si affaccia la rocca degli Alberi, costruita nel Trecento su iniziativa del signore di Padova Francesco da Carrara.

lari di blocchi in trachite che provengono dai Colli Euganei, mentre il resto della costruzione è in laterizio. I tratti est e ovest sono i piú antichi e risalgono all’epoca dei Da Carrara. Le mura chiudono la cittadina formando un quadrilatero irregolare e hanno un’altezza di 6-8 m (a cui si devono aggiungere altri 3 m di parapetto e di merlatura), uno spessore di 96-100 cm e presentano nella parte superiore merli di tipo guelfo. Attorno al perimetro della cinta si trova, inoltre, un ampio fossato, alimentato nel Medioevo dalle acque del fiume Frassine, che scorre a circa 2 km da Montagnana.

I monumenti simbolo

Oltrepassata la cinta muraria, si accede all’abitato, anch’esso ben conservato nel suo impianto urbanistico medievale, con strade parallele che collegano i due monumenti simbolo del borgo, il castello di S. Zeno e la rocca degli Al40

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beri. Il primo, piú volte rimaneggiato, contiene l’edificio piú antico, una torre quadrangolare alta 38 m, che risale al periodo delle prime fortificazioni volute da Ezzelino da Romano. Il secondo, incastonato nel versante ovest delle mura, fu eretto nel 1360, su iniziativa di Francesco Da Carrara, signore di Padova. Altro monumento di notevole interesse è il duomo, con una facciata in stile tardo-gotico, la cui datazione si attesta tra il XV e il XVI secolo: all’interno sono custoditi dipinti attribuiti a Paolo Veronese, al Giorgione e a Giovanni Buonconsiglio detto il Maniscalco. Di notevole bellezza è anche Palazzo Magnavin-Fioratti (XV secolo), in stile gotico veneziano, con l’ampio portico a tre arcate e le colonne sulla cui sommità sono posti capitelli con volte a vela. Tra gli altri monumenti significativi si segnalano l’antico ospedale della Natività e la chiesa tardoromanica di S. Francesco.


DOVE E QUANDO MONTAGNANA Ufficio Turistico-I.A.T. Montagnana Castel S. Zeno, piazza Trieste 15 Info tel. 0429 81320; e-mail: ufficioturistico@comune.montagnana.pd.it; www.comune.montagnana.pd.it

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Montagnana

Altri borghi

VENETO

A sinistra veduta di Asolo (Treviso), con la torre del castello dove, nel XV sec., l’ex regina di Cipro Caterina Cornaro fissò la propria residenza. In basso una casa medievale di Asolo. Nella pagina accanto, in alto Soave (Verona), l’antica strada che conduce verso il castello medievale. Nella pagina accanto, in basso, a destra Arquà Petrarca (Padova), la chiesa di S. Maria Assunta, la cui costruzione originaria risale all’XI sec.

ASOLO

Definita «città dai cento orizzonti» dal poeta Giosuè Carducci, per la ricchezza e l’amenità dei suoi scorci, Asolo sorge su un rilievo collinare del Trevigiano. Fu un importante municipium romano, al quale sono riferibili i resti di un foro, di un teatro e un impianto termale. In epoca altomedievale, il borgo conservò l’antico prestigio in virtú della sua elezione a diocesi, ruolo che mantenne fino al X secolo, quando invece passò sotto la giurisdizione del vescovo di Treviso. Dopo un breve periodo di declino, Asolo venne fortificata nel XII secolo con l’edificazione di un possente castello. Conquistata da Ezzelino da Romano e, in seguito, dal Comune di Verona, conobbe un periodo di grande fulgore sotto il dominio della Repubblica di Venezia, dalla metà del Trecento: l’abitato si ampliò considerevolmente e la cittadinanza ottenne numerosi privilegi. Nel 1489 la Serenissima ne affidò la signoria all’ex regina di Cipro Caterina Cornaro, che fissò la propria dimora nel locale castello, dando vita a una corte sfarzosa, composta da poeti, artisti e letterati. Monumenti ed eleganti palazzi riportano l’orologio della storia ai fasti della Asolo medievale e rinascimentale, a iniziare dalla rocca posta sulla cima del Monte Riccio che

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domina l’abitato: costruita a cavallo tra il XII e il XIII secolo, presenta una pianta poligonale irregolare. L’altro castello, che porta il nome della sovrana Caterina Cornaro, rappresenta lo storico cuore politico dell’antico borgo: dimora prima di Ezzelino da Romano e poi della regina, conserva ancora tre delle quattro torri originarie e parte della cinta muraria. Altri importanti monumenti asolani sono la loggia della Ragione, la rinascimentale Casa Longobarda, la cattedrale (ricostruita con forme neoclassiche) e la chiesa di S. Caterina (XIV secolo). INFO tel. 0423 524675; www.comune.asolo.tv.it


SOAVE

Fondata forse in epoca longobarda, nel Duecento Soave era compresa tra i domini del Comune di Verona, ma venne poi conquistata da due potenti aristocratici: Rolando de Rossi e Martino II Della Scala. Altre famiglie nobiliari si contesero il paese che passò prima sotto il controllo dei Visconti e in seguito di Padova. All’inizio del XV secolo, Soave passò sotto l’amministrazione veneziana, alla quale rimase a lungo fedele, tanto da meritarsi, nel 1517, l’Antenna e lo Stendardo di San Marco. La Serenissima volle dotare di efficaci difese il castello del borgo: posta sulla cima del Monte Tenda, la rocca vigila tuttora sulla valle sottostante con il suo svettante mastio, i tre cortili e la lunga cinta muraria che lo racchiude. Altre architetture significative del borgo sono la duecentesca parrocchiale, il santuario di S. Maria della Bassanella (XII secolo), la quattrocentesca chiesa di S. Maria dei Domenicani, il trecentesco Palazzo di Giustizia, il Palazzo Sambonifacio (XIII secolo), il Palazzo Scaligero (XIV secolo) e il Palazzo Cavalli (XV secolo). INFO tel. 045 6190773; www.comunesoave.it

ARQUÀ PETRARCA

Nel X secolo, una rocca presidiava dall’alto il territorio dell’odierna Arquà Petrarca e intorno a quel fortilizio cominciò a svilupparsi il primo nucleo di abitazioni. Progressivamente sorsero anche i primi edifici di culto, le chiese di S. Maria e della Trinità, parte delle cui strutture originarie sono tuttora visibili. Nel XIII secolo, il borgo divenne feudo degli Este, ma passò presto sotto il dominio del Comune di Padova e, nel Trecento, si trovò coinvolto nella faida tra le famiglie dei Da Carrara e Della Scala. Francesco Petrarca decise di stabilirvisi e trascorse ad Arquà gli ultimi anni della sua vita. In seguito, la memoria di quei raffinati echi letterari, spinse alcune famiglie aristocratiche del Padovano e del Veneziano a costruire nel paese eleganti edifici. Proprio i palazzi rappresentano il tratto storico-monumentale piú interessante dell’attuale borgo: la casa del Petrarca, la cui originaria struttura duecentesca fu oggetto di profonde ristrutturazioni curate proprio dal poeta; la Loggia dei Vicari, anch’essa

A sinistra gli interni dell’abitazione duecentesca in cui Francesco Petrarca trascorse gli ultimi anni di vita. databile al XIII secolo; il quattrocentesco Palazzo Contarini, ornato da bifore e trifore ad arco acuto. Da menzionare sono anche la tomba dello stesso Petrarca, realizzata sei anni dopo la sua morte (avvenuta nel 1374), l’oratorio della SS. Trinità (XIV secolo) e la Chiesa di S. Maria Assunta, la cui costruzione originaria risale all’XI secolo. INFO www.arquapetrarca.com

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FRIULI-VENEZIA GIULIA

Gradisca d’Isonzo L’imprendibile fortezza sul fiume I

l destino di Gradisca d’Isonzo è scritto nel nome: il toponimo, infatti, deriva dallo slavo gradišce, ossia «luogo fortificato», una funzione strategica che la cittadina ha assunto fin dal Medioevo, grazie alle sue possenti difese architettoniche. Inoltre, il sito nel quale si sviluppò l’abitato poteva contare su una formidabile protezione naturale, garantita dalla vicinanza dell’Isonzo. Il fiume scorreva a ridosso delle mura e dunque, oltre a facilitare l’approvvigionamento idrico, era in grado, al bisogno, di offrire una rapida via di fuga. La fama del borgo come baluardo difficile da espugnare emerse solo a partire dal XV secolo, ma è verosimile che anche in precedenza Gradisca abbia costituito un caposaldo efficace nell’arginare le incursioni degli Ungari. Le prime notizie sul paese si possono rintracciare in un documento ufficiale del Capitolo di Aquileia

che risale al XII secolo e riporta i nomi dei pochi abitanti del luogo, all’epoca un piccolo villaggio: si tratta di sette coloni, la maggior parte di chiara origine slava.

L’avamposto «perfetto»

Una sistemazione urbanistica vera e propriaborgo si ebbe nel Quattrocento, per iniziativa della Repubblica veneziana, interessata a mettere in sicurezza un territorio minacciato dalle incursioni ottomane. Quel luogo, situato su una collinetta e sulla riva destra dell’Isonzo, rappresentava un avamposto militare ideale, secondo quanto testimonia anche l’iscrizione in latino Gradisca d’Isonzo (Gorizia). Un torrione innalzato lungo le mura della fortificazione costruita nel Quattrocento dai Veneziani per difendere il borgo dalle incursioni ottomane.


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FRIULI-VENEZIA GIULIA

Gradisca d’Isonzo

incisa su una lapide oggi custodita nella Loggia dei Mercanti, uno dei piú celebri monumenti del paese: «Gradiscam viculi appellatione Turcorum incursionibus oppositam condidere Veneti» («Gradisca [è] il nome del villaggio fondato dai Veneziani di fronte alle invasioni turche»). Provenienti dai vicini Balcani, i Turchi erano già penetrati piú volte nel territorio della Serenissima, oltrepassando l’Isonzo, e avevano seminato il terrore in vari paesi senza incontrare resistenze. Venezia, pertanto, ritenne che nei pressi del fiume occorresse erigere una serie di fortificazioni e la piú imponente proprio a presidio di Gradisca. Nel 1474 la costruzione era stata quasi ultimata, mentre una nuova sortita dei Turchi aveva colpito la zona dell’Isonzo. Il neonato fortilizio venne ulteriormente ampliato e il borgo che proteggeva, in omaggio al capitano di Venezia Giovanni Emo, avrebbe dovuto assumere il nome di Emopoli, ma il proposito non venne attuato. Gradisca continuò a rivestire il ruolo di baluardo sull’Isonzo e si popolò di abitazioni, anche in seguito alla firma di un trattato di pace con gli Ottomani. A dimostrare la presenza di un’intensa vita civile all’interno delle mura, fu la nomina da parte del governo lagunare di un provveditore speciale per il borgo, chiamato a venire incontro

alle richieste dell’ormai numerosa popolazione, relativamente ai servizi essenziali. Nel 1481 la rocca, che ancora oggi si può ammirare all’interno della cittadina, venne ultimata, mentre il completamento delle mura – le cui dimensioni nei progetti avrebbero dovuto raggiungere i 20 m di altezza – fu portato a termine in seguito. Nel borgo sorgeva anche un santuario, l’odierna chiesa della Beata Vergine Addolorata, all’epoca gestita dall’Ordine dei Servi di Maria, che venne poi ufficialmente consacrato a inizio Cinquecento.

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BORGHI D’ITALIA

I Turchi rinunciano all’assedio

L’opera di fortificazione del borgo continuò comunque in modo intenso, sulla struttura della cinta muraria e sul fossato, soprattutto in prossimità della scadenza dell’armistizio firmato con gli Ottomani. I timori di nuove sortite dell’esercito turco si rivelarono fondati, e i ripetuti interventi volti a irrobustire le architetture militari salvarono Gradisca. Alla fine del XV secolo, infatti, gli Ottomani, che avevano ancora una volta attaccato il territorio giuliano, preferirono non assediare quel luogo munito di imponenti fortificazioni e saccheggiarono, invece, le zone circostanti. Vista l’importanza strategica del baluardo gradi-

In alto disegno raffigurante l’assedio austriaco di Gradisca del 1616, che impegnò a lungo le truppe veneziane. Nella pagina accanto la Porta Nuova, che costituiva l’accesso a Gradisca sul lato settentrionale dell’abitato.


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Sotto l’ala dell’aquila bicefala

Colpita da massicci bombardamenti, Gradisca riuscí a resistere, ma dovette alla fine firmare la resa e divenne, pertanto, austriaca. Restò sotto la dominazione asburgica per molti anni, nonostante i ripetuti tentativi dei Veneziani di riprenderla, e visse periodi di grande splendore in età moderna, durante la quale fu eletta capoluogo di una contea principesca. Solo dopo la prima guerra mondiale, nel 1921, per effetto degli accordi di pace che seguirono la sconfitta dell’esercito austro-ungarico, venne annessa al regno d’Italia. Oggi Gradisca conserva solo una parte delle sue possenti fortificazioni tardo-medievali e rinascimentali, a partire dalle magnifiche mura quattrocentesche, sulle quali sorgono i torrioni del Portello, della Calcina, della Campana, della Marcella, della Spiritata, di San Giorgio e due varchi d’accesso, la Porta Nuova e la Porta del Soccorso. Del celebre castello si può ancora ammirare gran parte della struttura risalente agli interventi veneziani, con il Palazzo del Capitano e l’Arsenale Militare. Tra le altre testimonianze del periodo della Serenissima spiccano la Casa dei Provveditori e il Palazzo del Fisco, entrambi risalenti al XV secolo, ma che presentano ritocchi di epoche successive.

DOVE E QUANDO GRADISCA D’ISONZO Info Point I.A.T., via Ciotti 49 Info tel. 0481 960624; e-mail: prolocogradisca@virgilio.it; www.prolocogradisca.it; www.turismofvg.it

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BORGHI D’ITALIA

Altri borghi

scano, i Veneziani disposero l’ennesimo puntellamento delle difese, servendosi anche della consulenza di Leonardo da Vinci, inviato nel borgo per ottimizzarne gli armamenti. Sventata la minaccia turca, gli attacchi giunsero da un altro fronte, la cui pericolosità era stata sottovalutata. La politica espansionista dell’imperatore austriaco Massimiliano d’Asburgo stava da tempo minacciando le regioni che confinavano con i suoi possedimenti, in particolare quelle del Goriziano: con la morte del filo-austriaco conte di Gorizia, infatti, la città era passata di fatto sotto il controllo imperiale. Dopo aver attaccato con scarsi successi altri domini limitrofi della Repubblica di Venezia, Massimiliano lanciò nel 1511 un’offensiva piú decisa, potendo contare sull’appoggio della Chiesa, della Francia, del re Ferdinando d’Aragona e dei duchi di Mantova e Ferrara, i quali avevano aderito alla Lega di Cambrai.

VENZONE

A Venzone, il Medioevo è, per cosí dire, risorto dalle macerie: devastato dal terremoto che nel 1976 colpí il Friuli, il borgo è stato infatti ricostruito nel rispetto delle forme medievali originarie. Il primo abitato vero e proprio sorse verso la fine del X secolo, durante il dominio franco, e si sviluppò quando il paese entrò a far parte del patriarcato di Aquileia e soprattutto, nel Duecento, sotto la signoria della famiglia Mels. In quegli anni vennero edificati la doppia cinta muraria, che ancora oggi rappresenta uno dei tratti distintivi del borgo, e un complesso di castelli deputati a sorvegliare tutta la valle. Venzone, nel XIV secolo, divenne un prezioso alleato di Venezia nella sua guerra contro i Carraresi e questo sodalizio comportò l’assoggettamento alla Serenissima. Il restauro post-terremoto ha restituito alla storia monumenti straordinari: il duomo dedicato a S. Andrea Apostolo (XIV secolo); la chiesa di S. Antonio Abate risalente allo stesso periodo; la Casa Marcurele, una costruzione in stile romanico databile all’XI secolo che rappresenta la testimonianza piú antica della città; il Palazzo degli Scaligeri di origine trecentesca; il Palazzo del Comune, sempre del XIV secolo; la Casa Calderari. Una citazione a parte merita il doppio anello delle mura, un’opera di fortificazioni davvero unica, intervallata da torri rettangolari e poligonali. INFO tel. 0432 985034; www.prolocovenzone.it


A destra Gemona del Friuli (Udine). La facciata del duomo di S. Maria Assunta (XIII-XIV sec.), alla sinistra del quale svetta la torre campanaria trecentesca. Nella pagina accanto il trecentesco Palazzo del Comune di Venzone (Udine): distrutto dal terremoto del 1976, il borgo è stato ricostruito rispettandone l’originaria fisionomia medievale.

GEMONA DEL FRIULI

Nell’Historia Langobardorum, Paolo Diacono scrive che a Gemona, nel VII secolo, sorgeva un castello. Minacciata dalle invasioni degli Ungari, divenne uno dei centri di maggior peso politico del patriarcato di Aquileia, tanto da conquistare, nel XII secolo, l’autonomia comunale. In quegli anni nel borgo sorse un mercato, a prova del notevole sviluppo commerciale, sancito poi dall’istituzione di un dazio di deposito per tutte le merci transitanti sul suo territorio. Nonostante il terribile terremoto che la colpí nel Trecento, Gemona visse in quel secolo un periodo di grande splendore, durante il quale si arricchí di dimore signorili e monumenti. Passata nel XV secolo sotto il controllo di Venezia, mantenne il suo prestigio politico ancora per qualche

anno, prima di essere coinvolta nel conflitto tra la Serenissima e l’Arciducato d’Austria. I suoi monumenti principali sono stati ricostruiti dopo il sisma del 1976: il magnifico duomo intitolato a di S. Maria Assunta, la cui costruzione si attesta tra il XIII e il XIV secolo e che mostra una mirabile fusione tra elementi romanici e gotici, interpretati dall’ingegno di artisti locali; l’adiacente torre campanaria, di fondazione trecentesca; il Museo della Pieve e Tesoro del Duomo, anch’esso di origine trecentesca, che custodisce i registri battesimali di quel periodo; il castello, databile nella struttura originaria all’XI secolo e poi rimaneggiato nelle epoche successive. INFO tel. 0432 981441; www.gemonaturismo.it

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EMILIA-ROMAGNA

Castell’Arquato Sempre con Piacenza, nel bene e nel male 50

BORGHI D’ITALIA


L

a tradizione assegna a Castell’Arquato un rango elevato fin dall’età antica, attribuendone la fondazione – leggendaria – a un patrizio romano di nome Caio Torquato, che avrebbe disposto la costruzione di un castrum in quel territorio. L’importanza dell’insediamento, sorto a presidio della Val d’Arda, è in ogni caso storicamente accertata: nell’VIII secolo, per esempio, rappresentava per gli occupanti longobardi una roccaforte strategicamente essenziale per la difesa di quell’area dagli attacchi dei Bizantini. Amministrato da un aristocratico di nome Ma-

gno, il borgo era a quel tempo sede di una vera e propria curtis (organizzazione agricola del territorio), nonché di un tribunale, una pieve e un mercato; una realtà sociale articolata, a cui faceva da corollario un efficiente apparato produttivo. Verso la fine dello stesso secolo, Castell’Arquato passò sotto il controllo del vescovato di Piacenza. Prestigio e prosperità erano destinati a durare nel tempo, come attestano testimonianze riferibili all’XI secolo, che segnalano lo svolgimento di ben tre fiere nel corso dell’anno e descrivono il fiorire di virtuose attività commerciali.

Castell’Arquato (Piacenza). Una veduta della Piazza Monumentale: sulla sinistra, la collegiata di S. Maria, le cui strutture risalgono in gran parte al XII-XIV sec.; al centro, il Palazzo del Podestà (XIII sec.), alla cui fabbrica originaria appartengono il cui nucleo centrale e la scalinata. BORGHI D’ITALIA

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EMILIA-ROMAGNA

Castell’Arquato

In alto, uno degli affreschi quattrocenteschi dedicati alla vita di santa Caterina d’Alessandria, che ornano l’interno della collegiata di S. Maria di Castell’Arquato, una delle chiese piú antiche del Piacentino. A sinistra, una delle strutture esterne della trecentesca Rocca Viscontea, eretta nella parte piú elevata del borgo nel periodo delle guerre tra i nobili milanesi e i piacentini Scotti. L’influenza vescovile perdurò fino al 1220 e, al suo esaurimento, Castell’Arquato divenne libero Comune, in cambio di un corrispettivo di 700 lire piacentine e di un irrisorio canone annuo da versare all’autorità episcopale. Era tuttavia il Comune di Piacenza a nominare i podestà incaricati di amministrare il borgo, scegliendoli tra i membri di famiglie nobiliari, che per legge restavano in carica per tre anni: accanto ai podestà, dotati di poteri esecutivi e legislativi, venne insediato un Consiglio Generale, nel quale era cooptato anche un ecclesiastico.

Un anno di assedio

Il dominio della guelfa Piacenza espose il borgo alle incursioni militari dei Ghibellini, una delle quali, nel 1256, si tradusse in un lungo assedio, senza esito, guidato da Oberto Pallavicino. Alla fine del XIII secolo, la famiglia Scotti, appoggiata dalla fazione guelfa, dai mercanti e dalle corporazioni degli artigiani prese il sopravvento 52

BORGHI D’ITALIA


sui partiti rivali e diede inizio alla sua signoria, interrotta solo per un breve periodo all’inizio del Trecento. Nel 1316, la guerra tra gli Scotti e i Visconti coinvolse anche Castell’Arquato: gli uomini di Galeazzo Visconti assediarono la rocca, all’interno della quale gli Scotti si erano asserragliati con un’armata le cui file erano state considerevolmente infoltite dai contadini della zona e, dopo una battaglia durata circa un anno, la espugnarono. Il governo dei Visconti fu caratterizzato dalla concessione di ampi spazi di autonomia per le istituzioni locali, che poterono emanare un corpus di norme legislative. Nel 1324, quando l’amministrazione del borgo passò di nuovo sotto l’egida del Comune di Piacenza, gli Arquatesi lottarono per preservare gli spazi di autogoverno che avevano conquistato e riuscirono a mantenerli, anche grazie al ritorno al governo dei Visconti. Alla metà del XIV secolo, i nobili milanesi si impegnarono a proteggere piú efficacemente il borgo, promuovendo la costruzione di una nuova rocca, che tuttora sopravvive al centro dell’abitato. Tali interventi architettonici, tuttavia, non evitarono, nel 1404, l’ennesima capitolazione militare, ancora una volta per mano degli Scotti. L’alternarsi tra le due storiche famiglie lombarde nella gestione politica di Castell’Arquato continuò anche nel XV secolo: agli Scotti, strategicamente non piú interessati a mantenerne il controllo, subentrarono di nuovo i Visconti. Il destino del borgo seguí, pertanto, quello della dinastia viscontea, poi soppiantata dall’ascesa degli Sforza. Nel 1453, Francesco Sforza ne affidò il governo a Bartolomeo Colleoni, ma in seguito, a causa del passaggio di quest’ultimo nelle fila della Repubblica di Venezia, lo cedette ad altri condottieri: prima a Sceva da Corte e poi a Tiberio Brandolino. Alla fine del Quattrocento, Castell’Arquato fu conquistata dai Francesi e rimase in loro possesso per un breve periodo, tornando poi saldamente nelle mani degli Sforza che la tennero fino al 1707.

Il tempo ritrovato

Castell’Arquato è uno dei borghi medievali meglio conservati dell’intero Settentrione d’Italia e vanta una nutrita schiera di monumenti che ne testimoniano il glorioso passato, prima fra tutti la Rocca viscontea, posta nella parte piú elevata del paese. Costruita – secondo il Registrum Magnum di Piacenza – tra il 1342 e il 1349, è munita di quattro torri quadrate, delle quali solo quella orientale riveste ancora integralmente l’aspetto originario, e di un imponente mastio, alto circa 35 m.

In alto, a destra l’abside centrale della collegiata di S. Maria, sul quale si aprono tre monofore, con al centro un crocifisso ligneo del XIV sec.

Un’altra splendida architettura dell’età di Mezzo, il Palazzo del Podestà – situato nella Piazza Monumentale – risale all’epoca del dominio della famiglia Scotti (XIII secolo), e conserva nel mastio rettangolare e nella grande scalinata esterna evidenti testimonianze del periodo della fondazione. Nei pressi sorge la collegiata di S. Maria, la cui struttura originaria (VIII secolo) venne completamente distrutta da un terremoto: gran parte dell’edificio fu, quindi, riedificato nel XII e nel XIV secolo, e della costruzione piú antica resta solo il fonte battesimale. Della trecentesca cinta muraria, invece, sono ancora visibili alcuni tratti e la Porta di Sasso.

DOVE E QUANDO CASTELL’ARQUATO IAT-piazza Municipio 1 Info tel. 0523 803215: e-mail: iatcastellarquato@gmail.com; www.castellarquatoturismo.it; www. emiliaromagnaturismo.it

BORGHI D’ITALIA

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Altri borghi

PIEMONTE Manta EMILIA-ROMAGNA

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Castell’Arquato

VERUCCHIO

Ben prima che Verucchio prendesse forma, ai piedi della roccia su cui sorge il borgo attuale, si era sviluppato un insediamento, la cui nascita va verosimilmente attribuita alla vicinanza delle vie Flaminia ed Emilia. Lo spostamento sull’altura fu deciso al tempo delle invasioni barbariche e l’abitato divenne prima dominio dei Goti e poi bizantino. Nel Basso Medioevo, da questo avamposto nella vallata del Marecchia ebbe origine l’epopea della celebre famiglia Malatesta, la cui giurisdizione si estese progressivamente a gran parte dell’odierno Riminese. La potente casata governò sulla regione per molti secoli e la sua influenza si ridusse dalla metà del Trecento, quando il cardinale Egidio Albornoz, su incarico di papa Innocenzo VI, lanciò un’offensiva nel Centro Italia volta a riconquistare i territori un tempo appartenuti allo Stato Pontificio. I Malatesta riuscirono a mantenere un’influenza su alcune roccaforti, tra cui Verucchio, ma, nel XV secolo, dovettero cederla ai nuovi padroni dell’Italia centro-settentrionale, i Visconti. Il borgo tornò solo per un breve periodo sotto l’amministrazione dei suoi antichi signori, che ne ristrutturarono la rocca, per poi essere conquistato dalle truppe di Federico di Montefeltro. Nel Cinquecento, Verucchio perse la sua centralità politica e, in seguito, né i Borgia, né lo Stato Pontificio seppero restituirgliela. I simboli che evocano l’antico splendore del borgo sono i monumenti databili all’epoca malatestiana: la rocca detta «del Sasso» (XII secolo), perché edificata su uno sperone; la rocca del Passarello, della quale oggi sopravvive solo una porta; i resti della cinta muraria e la Torre civica. Tra le architetture religiose si segnalano la pieve di S. Antonio, risalente al X secolo, e il convento di S. Francesco, nel cui chiostro si trova un cipresso che, secondo la tradizione, sarebbe stato piantato dallo stesso Assisiate. INFO tel. 0541 670222; www.verucchioturismo.it

BORGHI D’ITALIA

FONTANELLATO

Nel XII secolo, in un territorio intensamente frequentato fin dall’età del Bronzo, nacque il borgo fortificato di Fontanellato. L’insediamento apparteneva alla famiglia nobiliare dei Pallavicino e, nel Trecento, venne poi ceduto ai Sanvitale. Nel XV secolo, il castello e il circondario beneficiarono dello status di contea. La fortezza di Fontanellato non ebbe solo funzioni militari, ma fu utilizzata anche come residenza signorile e ancora oggi conserva questa duplice fisionomia: di pianta quadrangolare, presenta un imponente mastio centrale con quattro torri poste ai vertici e all’interno ospita affreschi del Parmigianino (1503-1540). Di notevole impatto visivo è il fossato che circonda la rocca. Sul versante sud-ovest del castello sorge il cinquecentesco oratorio dell’Assunta, mentre il vicino santuario della Beata Vergine del Santo Rosario è stato ricostruito nel Seicento sui resti di un complesso del XVI secolo. INFO tel. 0521 829055; www.fontanellato.org


VIGOLENO

La frazione di Vigoleno, compresa nel Comune di Vernasca, è situata su un rilievo a un’altezza di oltre 300 m e si profila agli occhi dei visitatori come un borgo impenetrabile, cinto da fortificazioni. Fondato

In questa pagina il castello medievale di Vigoleno (Piacenza). Nella pagina accanto, dall’alto, in senso orario veduta dall’alto della Rocca Sanvitale di Fontanellato (Parma); particolare degli affreschi del Parmigianino nella Rocca Sanvitale; la Rocca Malatestiana di Verucchio (Rimini), detta anche «Del Sasso» per la sua posizione sulla sommità di uno sperone roccioso che domina l’abitato.

presumibilmente nel X secolo, si affermò come una delle principali roccaforti del Comune di Piacenza, a presidio dei confini con il territorio di Parma. Nel XIII secolo passò sotto il controllo di una famiglia ostile alla politica di Piacenza, i guelfi Scotti, che subirono in seguito gli attacchi dei Ghibellini. In uno degli assalti il locale castello venne distrutto. Gli stessi Ghibellini lo riedificarono, ma fu nuovamente danneggiato alla fine del XIV secolo. Nel Quattrocento, infine, venne ricostruito ancora una volta. Nel borgo si possono anche vedere l’oratorio di S. Maria delle Grazie e la pieve di S. Giorgio. INFO www.comune.vernasca.pc.it

BORGHI D’ITALIA

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LIGURIA

Apricale

BORGHI DELL’ITALIA CENTRALE

8

Viareggio

TOSCANA (1) San Gimignano (2) Pitigliano (3) Certaldo (4) Montalcino (5) Anghiari (6) Castiglion Fiorentino (7) Cetona (8) Fosdinovo (9) Lucignano (10) Monteriggioni (11) Pienza (12) San Casciano dei Bagni (13) San Quirico d’Orcia (14) Suvereto MARCHE (15) Gradara (16) Corinaldo (17) Offida (18) Caldarola (19) Cingoli (20) Matelica (21) Mondavio (22) Offagna (23) Sarnano (24) Treia (25) Visso UMBRIA (26) Spello (27) Ferentillo (28) Montone (29) Campello sul Clitunno (30) Bevagna (31) Corciano (32) Montefalco (33) Monteleone di Spoleto (34) Norcia (35) Panicale (36) Torgiano (37) Trevi (38) Vallo di Nera 56

BORGHI D’ITALIA

LAZIO (39) Civita di Bagnoregio (40) Calcata (41) Collalto Sabino (42) Bomarzo (43) Acquapendente (44) Canterano (45) Castel di Tora (46) Fara in Sabina (47) Farnese (48) Ronciglione (49) Sermoneta (50) Tolfa ABRUZZO (51) C apestrano (52) C ivitella del Tronto (53) P acentro (54) A bbateggio (55) C arsoli (56) C arunchio (57) G uardiagrele (58) P ietracamela (59) R occascalegna (60) S anto Stefano di Sessanio (61) S canno

Sono evidenziati in neretto i castelli descritti nel testo.

Livorno

14

Portoferraio


Ravenna

Imola

Forlì

15

Prato

21 3

16

Ancona 22

5

MARE ADRIATICO

1 10

19

28

6

24

Siena

20

9

18

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4 13

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36

7

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26 37 29 2 9

34

43

52

38

2

39

27

33

47

Orbetello

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42

Rieti

60

48 40

Roma

50

San Benedetto del Tronto

17

25

51 46

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41 55

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44

61

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MAR TIRRENO Frosinone

Isernia

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Nella pagina accanto particolare della Vergine annunciata, scultura attribuita a Domenico d’Agostino. 1369. Montalcino, Museo Civico e Diocesano (vedi a p. 63).

Latina

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TOSCANA

San Gimignano Prodigi, torri e altre storie

L

a tradizione attribuí a San Gimignano un’origine antichissima e dal carattere sovrannaturale: infatti, secondo la leggenda, l’avrebbero fondata due patrizi, Silvio e Muzio, in fuga da Roma nel periodo della congiura di Catilina (63 a.C.). All’alba del Medioevo, poi, il borgo si sarebbe salvato dall’assedio di Totila grazie all’apparizione del vescovo e martire modenese Geminiano: un evento prodigioso, ma che finí con il lasciare la sua impronta sul nome assunto dalla città. La vera storia, invece, ha inizio il 30 agosto del 929, data che viene citata nella donazione al vescovo Abelardo di Volterra del territorio chiamato Monte della Torre («prope Sancto Geminiano adiacente») sul quale sorgeva un castello. L’atto di liberalità portava la firma del re d’Italia Ugo di Provenza, interessato a controllare quell’avamposto sulla via Francigena attraverso

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BORGHI D’ITALIA

alleati affidabili. All’indomani della fondazione e per molti decenni, il vero padrone del borgo fu il vescovo volterrano, ma, nel XII secolo, l’aspirazione a staccarsi dal dominio ecclesiastico si fece pressante e favorí l’ascesa di una nuova classe dirigente laica. I cosiddetti «boni homines», che in precedenza avevano solo coadiuvato il vescovo nel governo, si impadronirono di un crescente potere politico. Di lí a poco, quando ne divennero i principali amministratori, diedero alla città i suoi quattro consoli. Con l’infuriare della lotta per le investiture e l’avvento in Italia della dinastia degli Hohenstaufen, il potere ecclesiastico subí un attacco frontale. Alcuni centri, come per esempio Siena, cacciarono i vescovi dalle proprie amministrazioni, proclamando la propria autonomia. San Gimignano non si accodò al diffuso sentimento filoimperiale e divenne libero Comune piú di


trent’anni dopo. Nel Duecento, il borgo subí le conseguenza dell’acuirsi della faida tra Guelfi e Ghibellini, rispettivamente rappresentati dalle storiche famiglie degli Ardinghelli e dei Salvucci. Il 1242 segnò l’inizio del vero e proprio conflitto armato tra le due fazioni.

L’«arte» di far fruttare il denaro

La veloce ascesa di San Gimignano, nel corso del XIII secolo, fu soprattutto economica e venne favorita dall’intraprendente borghesia capitalistica, cresciuta all’ombra del potere vescovile. I mercanti locali avevano sfruttato a proprio vantaggio la felice posizione lungo la via Francigena, traendo però grande profitto anche dalla vicinanza della strada interna che da Siena conduceva a Pisa. Il segreto della fioritura economica, però, non risiedeva solo nella strategica posizione lungo

due arterie stradali: i Sangimignanesi, infatti, si distinsero anche come abili prestatori di denaro, talvolta a usura, attività dalla quale potevano ricavare interessi che sfioravano anche il 30%. A incrementare in modo ulteriore la loro ricchezza contribuí la commercializzazione di prodotti tipici pregiati: zafferano, il vino bianco Vernaccia e la lana, lavorata secondo gli insegnamenti dei maestri senesi. La ricchezza favorí il repentino incremento demografico, che fece impennare il numero degli abitanti a oltre 12 000 unità, con conseguenti problemi di spazio. Si rese allora necessaria una legge per regolare tale affollamento e venne stabilito che ogni cittadino avrebbe potuto possedere soltanto un’abitazione dalle misure limitate quanto a estensione in larghezza e in profondità. Anche per questo motivo il borgo si sviluppò dal punto di vista urbanistico in altez-

San Gimignano (Siena). Veduta del borgo con le sue torri, simbolo dell’autorità delle famiglie che nel XIII e nel XIV sec. si contesero il potere: delle 72 esistenti in periodo medievale, oggi ne sopravvivono 14.

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TOSCANA

San Gimignano

IN VISITA ALLE TORRI 1 . TORRI DEI SALVUCCI Appartennero alla famiglia ghibellina piú importante della città e si trovano oggi in piazza del Duomo. A differenza delle torri della famiglia rivale sono molto simili tra loro, entrambe dotate di strette aperture. 2 . TORRI DEGLI ARDINGHELLI Situate nella celebre piazza della Cisterna, all’angolo della piazza del Duomo, le torri degli Ardinghelli furono costruite nel XIII secolo e si differenziano tra loro per dimensioni e per la grandezza delle finestre. 3 . TORRE ROGNOSA Fu la prima ad essere eretta e risale al 1200. La sua altezza sfiora i 51 m e svetta tuttora sopra il Palazzo del Podestà, nella piazza del Duomo. Secondo la tradizione, l’appellativo «Rognosa» si riferisce al periodo in cui l’edificio, adibito a carcere, era abitato da persone gravate da diverse «rogne». 4 . TORRE DEI CUGNANESI Apparteneva alla ricca famiglia dei Cugnanesi ed è una delle torri piú alte della città. Costruita nel Duecento è situata tra via San Giovanni e via del Quercecchio.

A destra uno scorcio della piazza del Duomo con, sulla sinistra, il profilo di una delle torri dei Salvucci. In basso pianta di San Gimignano, con l’indicazione delle piú importanti tra le torri superstiti e dei principali monumenti della città.

5

3

Piazza della Cisterna

1 Piazza Duomo 2 Duomo

Palazzo Comunale

6

7 4

5 . TORRE DEL DIAVOLO Posta in piazza della Cisterna, la Torre, secondo una leggenda medievale, deve la sua imponente altezza a un incantesimo del demonio. 6 . TORRE DEI BECCI Si affaccia su piazza della Cisterna e su via San Giovanni ed evoca il nome di un’altra facoltosa famiglia di mercanti sangimignanesi. 7 . TORRE GROSSA Piú tarda rispetto alle storiche torri del potere politico e finanziario, la Torre Grossa è la piú alta di San Gimignano (54 m) e l’unica aperta alle visite del pubblico. Venne ultimata nel 60

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1311 e si trova anch’essa nell’ampia piazza del Duomo, accanto al Palazzo del Popolo.


IL SIMBOLO DI UNA CITTÀ

FREDDE E POCO CONFORTEVOLI In epoca medievale le torri di San Gimignano erano 72, tante quante erano, piú o meno, le famiglie facoltose della città. In età moderna si ridussero a 25 e oggi ne restano ancora 14. Le torri furono costruite a pianta quadrata e dotate di pochissime aperture, cosí da poter resistere a eventuali assalti. Nella parte inferiore erano di solito poste le botteghe, mentre ai piani superiori si trovavano le camere e la cucina, anche se, solitamente, gli edifici non erano utilizzati come luogo di residenza fissa. All’interno, infatti, le torri erano fredde e arredate in maniera piuttosto spartana. Per questo motivo accanto a esse sorgevano palazzetti sontuosi, piú confortevoli e illuminati. Gli statuti del XIII secolo stabilirono che l’altezza non dovesse superare il limite dei circa 51 m della Torre del Podestà, detta anche «Rognosa». Ma, nel Trecento, la norma venne di fatto abrogata, con l’elevazione della Torre Grossa fino a 54 m.

Particolare della pala d’altare di San Geminiano raffigurante il vescovo di Modena che tiene il modellino della città di cui è patrono. Tempera su tavola di Taddeo di Bartolo. 1401-1403 circa. San Gimignano, Pinacoteca Civica.

za con la proliferazione di torri che, secondo gli statuti del 1255, non dovevano superare una misura massima: 50,92 m, quanto cioè raggiungeva la «Rognosa». Le famiglie piú potenti si trovarono costrette a rispettare queste limitazioni, pena la mutilazione forzata dei loro edifici. Alcuni scrittori locali del Trecento celebrarono le torri come creazioni artistiche ispirate da ideali estetici e cavallereschi. In realtà, l’esagerata altezza delle costruzioni rivestiva un significato puramente materiale, caratterizzandosi come uno sfoggio di potenza da parte dei governanti e dei facoltosi mercanti che le abitavano.

Andava intanto profilandosi la fine di un’epoca: uno dei cardini dello sviluppo economico cittadino – l’alleanza mercantile con la ghibellina Pisa – venne meno, anche per motivi politici, in particolare dopo la capitolazione della Repubblica marinara nello scontro navale con Genova del 1284. San Gimignano venne cosí risucchiata nell’orbita di Firenze.

Chi di usura ferisce...

Alla metà del XIV secolo, una crisi finanziaria colpí molte zone della Toscana e mise in ginocchio la stessa San Gimignano, mentre la peste provocava un crollo demografico. Subendo poi una sorta di legge del contrappasso, il borgo divenne vittima degli interessi usurari dei prestatori di danaro: i piú attivi in quel frangente risultarono i banchieri fiorentini Peruzzi. Anche dal punto di vista politico il XIV secolo segnò l’inizio del declino. L’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, sceso in Italia, assunse un atteggiamento ostile nei riguardi della Lega guelfa e, nel 1312, attaccò Firenze. Il monarca si rivolse anche contro gli alleati dei Fiorentini, minacciando invasioni e saccheggi. Delle campagne di Enrico approfittò la ghibellina Pisa, appoggiata in seguito dal capitano di Ventura Uguccione della Faggiola. La sua vittoria nella battaglia di Montecatini (1315) provocò un’emorragia di adesioni al guelfismo: alcune città stracciarono i loro accordi con Firenze temendo la ricostituita potenza militare pisana. San Gimignano subí la controffensiva ghibellina, in particolare quella guidata, qualche anno dopo, da Castruccio Castracani, ma restava ancora saldamente in mano ai guelfi. Non ci furono vincitori, invece, nell’eterna faida tra Salvucci e Ardinghelli. Nel 1352 i Salvucci accusarono Rossellino e Primerano Ardinghelli di complottare l’uccisione del capitano del popolo, Benedetto Strozzi. Fecero, poi, pressioni su quest’ultimo che si vide quasi costretto a condannare a morte i sospettati. I Salvucci avevano assestato un colpo durissimo agli avversari, ma subirono l’immediata reazione della fazione rivale, che distrusse le loro abitazioni, tranne le immortali torri.

DOVE E QUANDO SAN GIMIGNANO Associazione Pro Loco San Gimignano Piazza del Duomo, 1 Info tel. 0577 940008; e-mail: prolocsg@tin.it oppure info@sangimignano.com; www.sangimignano.com

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San Gimignano

Altri borghi

TOSCANA

PITIGLIANO

La «piccola Gerusalemme» ha origini etrusche, ma la sua vera epopea prese avvio nell’XI secolo, con una bolla di papa Niccolò II, che attesta l’esistenza del borgo chiamato Pitigliano. Nel XII secolo, era un possedimento degli Aldobrandeschi, la cui egemonia si estendeva su gran parte della Maremma, i quali dotarono il primo abitato di vari fortilizi. Nel XIV secolo, con l’avvento degli Orsini – eredi per via matrimoniale degli Aldobrandeschi –, Pitigliano divenne addirittura capitale di una contea, in guerra costante prima con il Comune di Orvieto e poi con Siena. Un secolo piú tardi, sotto l’amministrazione del capitano di ventura Niccolò III, il borgo venne ampliato e abbellito, beneficiando del talento architettonico di personalità come Baldassare Peruzzi e Antonio da Sangallo. A partire dal Cinquecento, all’interno delle sue mura, trovarono rifugio numerosi Ebrei, in fuga dalle persecuzioni papali, che negli anni formarono una comunità stabile, incidendo in modo significativo nella vita culturale ed economica della cittadina. L’odierna Pitigliano conserva le sembianze assunte nel suo periodo d’oro, tra Quattro e Cinquecento: arroccata su uno sperone di tufo, è cinta da splendide mura, frutto delle ristrutturazioni operate da Antonio da Sangallo sul complesso di fortificazioni di epoca aldobrandesca. Numerose sono le chiese di origine medievale tra le quali possiamo ricordare la cattedrale dei Ss. Pietro e Paolo (rimaneggiata piú volte a partire dal Rinascimento), il trecentesco santuario della Madonna delle Grazie e la chiesa dei Ss. Maria e Rocco (XII secolo). Conserva traccia dell’originario impianto medievale Palazzo Orsini (databile all’XI-XII secolo), mentre sono rinascimentali gli edifici del ghetto ebraico, tra cui la sinagoga. Fuori dalle mura del borgo si trovano resti di architetture militari dell’età di Mezzo (il castello dell’Aquila e la rocca di Morrano). INFO tel. 0564 617111; www.comune.pitigliano.gr.it

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BORGHI D’ITALIA

In basso Certaldo (Firenze), Palazzo Pretorio (XII sec.). Nella facciata sono inseriti gli stemmi della famiglia a cui appartennero i Vicari della Valdelsa succedutisi nel tempo.


Nella pagina accanto, in alto veduta di Pitigliano (Grosseto). Le sue architetture quattro-cinquecentesche testimoniano il periodo di massimo splendore del borgo.

CERTALDO

Il borgo di Certaldo, noto soprattutto come luogo d’origine di Giovanni Boccaccio (1313-1375), conserva ricche testimonianze del suo passato medievale. «Certaldo, come voi forse avete potuto udire – scrisse il poeta nel Decameron –, è un castello di Val d’Elsa posto nel nostro contado, il quale, quantunque picciol sia, già di nobil uomini e d’agiati fu abitato». Centro di origini etrusco-romane, prese forma nell’Alto Medioevo intorno a una fortificazione, forse franca, e comparve nelle cronache nel 1164, citato in un documento firmato dall’imperatore Federico Barbarossa, con il quale il sovrano concedeva il territorio alla famiglia nobiliare degli Alberti. Questi ultimi fecero quindi erigere numerose torri difensive, in previsione di temuti attacchi della Repubblica di Firenze, ma anche per affermare pubblicamente il loro prestigio. Sul finire del XII secolo, però, il paese dovette arrendersi ai Fiorentini e ridurre l’altezza delle sue torri. Legatasi alla città del giglio, Certaldo fu chiamata a partecipare alla battaglia di Montaperti (1260), tra le fila guelfe, e subí nuovi danni, questa volta per mano dei vincitori senesi.

Rimase, comunque, sotto il dominio fiorentino e non poté godere dell’autonomia concessa in quegli anni a molte località della Toscana. Nel Quattrocento, invece, divenne sede di un vicariato e assunse rilevanti competenze in materia amministrativa e di giustizia su un vasto territorio della repubblica, funzione che ne favorí la crescita politico-economica. Verso la fine del Medioevo, infatti, all’interno delle mura sorsero una scuola, un ospedale e, nel tribunale locale, si celebravano i piú importanti processi dell’intera Valdelsa. Dell’autorevolezza raggiunta da Certaldo nell’età di Mezzo si trova traccia in numerose abitazioni signorili del borgo: la Casa Boccaccio, dove si ritiene abbia vissuto il poeta; il duecentesco Palazzo Machiavelli, con la sua splendida torre; il Palazzo Pretorio, del XII secolo; il Palazzo Stiozzi Ridolfi e il Palazzo Giannozzi. Di significativo interesse sono i resti delle mura medievali, con le porte, e vari luoghi di culto tra i quali spiccano le duecentesche chiese dei SS. Jacopo e Filippo e dei SS. Tommaso e Prospero, insieme all’ancora piú antica pieve di S. Lazzaro. INFO tel. 0571 656721; www.comune.certaldo.fi.it

MONTALCINO

Storica roccaforte della Repubblica di Siena, Montalcino subí per alcuni brevi periodi la dominazione fiorentina, dalla quale si affrancò dopo la battaglia di Montaperti (1260). Nel Trecento, i Senesi potenziarono la cinta muraria e costruirono una rocca, a presidio della Val d’Orcia. Il borgo godette di generose concessioni di privilegi e di una significativa autonomia, che crebbe nel Quattrocento, quando papa Pio II la elesse diocesi. L’abitato conserva la sua impronta medievale: alcuni tratti delle mura, con le sei porte, e la chiesa di S. Francesco sono databili al XIII secolo, mentre la fortezza risale al Trecento. Del XIV secolo sono anche la chiesa di S. Agostino e il Palazzo dei Priori, con il vicino edificio La Loggia che presenta una magnifica facciata con archi a tutto sesto. INFO tel. 0577 849331; www.prolocomontalcino.com

A destra particolare della Vergine annunciata, scultura lignea policroma attribuita a Domenico d’Agostino. 1369. Montalcino, Museo Civico e Diocesano.

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MARCHE

Gradara Nel castello del delitto inventato


C

he fosse un avamposto strategico formidabile lo avevano intuito già i Romani, tra i primi a stanziarsi nel sito oggi occupato dalla rocca di Gradara. Arroccata su un promontorio a circa 150 m di altezza, la fortezza, infatti, presidia uno snodo viario molto conteso fin dall’età antica e che si trova in prossimità dell’attuale confine fra le Marche e l’Emilia-Romagna. La storia del borgo è segnata da vicende turbolente e a tratti leggendarie, delle quali fu teatro il suo maniero, che prese compiutamente forma nel XII secolo, per volere di Pietro e Ridolfo de Griffo, esponenti di una famiglia molto influente nel Pesarese. La struttura iniziale comprendeva solo un mastio, dal quale si poteva controllare un territorio vastissimo compreso tra il monte Carpegna e la Gradara (Pesaro e Urbino). La torre che si innalza accanto all’ingresso del possente castello costruito nel XII sec. e, in seguito, ampliato per volere della famiglia Malatesta, che ricevette in feudo il borgo marchigiano nel 1283, da Bonifacio VIII.

costa dell’Adriatico. I successivi proprietari, i potenti Malatesta da Verucchio, decisero di proteggere la fortezza erigendo ben due cinte di mura, in un’epoca funestata da scontri durissimi tra dinastie nobiliari. Con il passare degli anni il fortilizio venne ultimato, fino ad assumere le sembianze che tuttora conserva: un edificio a forma di quadrilatero, munito di imponenti torri angolari. Gradara era stata concessa in feudo ai Malatesta da papa Bonifacio VIII, nel 1283. Nel 1363, uno dei piú celebri esponenti della famiglia, Malatesta III Malatesta († 1364), detto «Antico» o «Guastafamiglia», dispose la promulgazione del primo Statuto del borgo. Il nobile passò alla storia anche per le efferatezze consumate nella rocca, al cui interno fece rinchiudere e uccidere alcuni suoi familiari, colpevoli di averne ostacolato i piani. Di tutt’altro spirito si mostrò il figlio, Pandolfo II († 1373), che assicurò a Gradara un periodo di grande fervore culturale, ospitando artisti tra cui Gentile da Fabriano e Iacopo da Imola.

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MARCHE

Gradara

Nel XV secolo la cittadina si arricchí di fortificazioni e monumenti, mentre il castello cominciava ad assumere i lineamenti di un elegante palazzo signorile. Dall’esterno, il borgo e la rocca apparivano difficilmente espugnabili, ma non si rivelarono tali quando, nel 1463, il condottiero Federico da Montefeltro lanciò un attacco. La battaglia durò circa quaranta giorni e si concluse con la resa degli assediati.

La stanza della «divina» Lucrezia

Pochi anni piú tardi, Gradara passò ancora di mano, questa volta su imposizione del papa e venne assegnata a una delle famiglie piú fedeli alla Chiesa di Roma, gli Sforza di Pesaro. Anche i nuovi padroni furono insidiati da casate rivali a cui faceva gola la posizione strategica del borgo: prima i Della Rovere, poi i Borgia e i Medici si impadronirono dell’abitato e della fortezza dopo furiosi scontri sul campo. Alla fine del Medioevo nel castello risiedette Lucrezia Borgia, in quanto consorte di Giovanni Sforza, nel periodo in cui il nobile dominava sul territorio. E oggi una stanza della rocca porta il nome della discussa figlia di Alessandro VI. La vicenda piú celebre ambientata nel maniero, sospesa tra realtà e leggenda, è l’epilogo della relazione amorosa tra Paolo Malatesta e Francesca da Polenta, descritta da Dante Alighieri nel canto V dell’Inferno. Secondo alcune tesi, infatti, l’assassinio dei due spasimanti sarebbe stato compiuto nella rocca di Gradara. Lo proverebbero, per esempio, le ricerche compiute da studiosi come Luigi Tonini (1807-1874), che datano il fatto di sangue presunto tra il 1285 e il 1289, anni nei quali i Malatesta erano stati banditi da Rimini e avevano perso gran parte dei loro domini, tranne Gradara. In ogni caso, non sappiamo se il delitto si sia realmente consumato e l’unico dato certo è l’esistenza dei protagonisti della tragica storia d’amore, che appartenevano a due potenti famiglie. Il resto della vicenda, invece, trae ispirazione dalla sola fonte disponibile, cioè la versione letteraria di Dante, la cui attendibilità troverebbe una vaga conferma nei contatti intercorsi tra il poeta e Paolo Malatesta.

Ambientazioni alternative

Il giovane nobile rivestí la carica di capitano del popolo a Firenze, dal 1282 al 1283, e proprio nella città del giglio i versi del V canto subirono una rielaborazione pseudo-storica da parte dei commentatori danteschi del Trecento, giungendo fino a Boccaccio. Quei liberi riadattamenti della Divina Commedia si fusero poi 66

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In alto la Camera da letto della Rocca Malatestiana di Gradara, nella quale una leggenda ambienta la celebre tragedia di Paolo e Francesca, assassinati per gelosia dal marito della donna, Gianciotto. A sinistra Paolo e Francesca, olio su tela di Jean-Auguste Dominique Ingres. 1819. Angers, Musée des Beaux-Arts. con le tradizioni orali e le notizie sui luoghi d’origine dei protagonisti, tutti nati e cresciuti nelle zone di Rimini, Ravenna e Pesaro. La limitrofa Gradara venne cosí scelta come «palcoscenico ideale» della vendetta consumata dal consorte tradito, Gianciotto. Nel tempo, sono state poi avanzate molte ipotesi alternative che suggeriscono, come teatro dei fatti, altri scenari marchigiano-romagnoli: la stessa Rimini, Sant’Arcangelo di Romagna, Verucchio, Meldola e Pesaro. Secondo la tradizione, tutto avrebbe avuto inizio alla fine del Duecento, a Ravenna, città in cui Francesca era nata e aveva vissuto prima delle nozze. La giovane doveva sposare Giovanni «Lo Zoppo», detto Gianciotto, per esaudire la volontà del padre al quale il matrimonio serviva per motivi strettamente politici. Il promesso consorte, infatti, era il secondogenito del potente Malatesta di Verucchio, con il quale il padre della ragazza intendeva siglare una pace dopo anni di contrasti. La chiave della vicenda, ovvero lo scambio di

persona tra Gianciotto «lo Zoppo» e suo fratello Paolo «il Bello», organizzato dai genitori dei sue sposi per paura di un rifiuto della sposa, potrebbe essersi svolta a Ravenna. Accortasi di aver contratto un matrimonio per procura con il «brutto» della famiglia Malatesta, Francesca si sarebbe gettata fra le braccia di Paolo, consumando il suo adulterio nel castello, nel quale si trovava rinchiusa. Gianciotto avrebbe quindi sorpreso gli amanti in una stanza della rocca e immobilizzato il fratello Paolo, puntandogli la spada contro il petto. Francesca avrebbe allora cercato di frapporsi tra l’arma e il suo amante, finendo con l’essere trafitta. Subito dopo, Gianciotto trucidò anche Paolo, servendosi di uno degli strumenti di tortura del castello. Oltre alla celebre rocca e alle mura, Gradara conserva altre testimonianze del suo passato medievale e rinascimentale: fra le piú interessanti, la trecentesca chiesa di S. Giovanni e la chiesa del SS. Sacramento (XVI secolo).

DOVE E QUANDO GRADARA Pro Loco di Gradara piazza 5 Novembre Info tel 0541 964115, cell. 340 1436396; e-mail: info@gradara.org; www.gradara.org

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Gradara

Altri borghi

MARCHE

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CORINALDO

La scalinata di via Piaggia nel borgo di Corinaldo (Ancona), con il pozzo della Polenta, edificato nel Quattrocento su iniziativa del tiranno Antonello Accattabriga.

La tradizione identifica Corinaldo come un luogo destinato a rifugio, che avrebbe preso nome dall’espressione latina «curre in altum» («fuggi in alto»), a evidenziare una ben protetta posizione collinare. Sorto intorno all’XI secolo, il borgo occupa in effetti un sito di notevole importanza strategica. Ottenne l’autonomia comunale nel XIII secolo e si schierò dalla parte guelfa durante i conflitti tra papato e impero fino ai primi anni del Trecento. Conquistato dal condottiero ghibellino, Nicolò Boscareto, vicario sul territorio del monarca Ludovico il Bavaro, si espose agli attacchi delle truppe papali che, nell’estate del 1360 assediarono il borgo. Guidati da Galeotto Malatesta, i guelfi ebbero la meglio e distrussero gran parte dell’abitato, con una tale furia da rendere necessaria, negli anni seguenti, una lunga opera di ricostruzione, che si concluse nel 1367. Alla dominazione malatestiana subentrarono il governo degli Sforza e, agli inizi del Quattrocento, l’era dei Della Rovere, che resistettero con successo all’assedio del

capitano di ventura Braccio da Montone (al secolo Andrea Fortebracci, 1368-1424). Alla fine del Medioevo, le mura malatestiane vennero rafforzate, specie sul versante meridionale, con il contributo alla progettazione del celebre architetto senese Francesco di Giorgio Martini. Nel 1517, le imponenti fortificazioni ressero l’urto anche dell’esercito del duca di Urbino che, dopo 23 giorni di assedio, fu costretto a rinunciare all’impresa. Il borgo odierno è ancora difeso dalla possente cinta, tra le meglio conservate del Centro Italia, con i suoi 912 m di lunghezza, i merli a coda di rondine, le torri, le numerose feritoie, i camminamenti di ronda e le porte. All’epoca medievale sono inoltre riferibili la Casa del Trecento; la chiesa di Madonna del Piano; la collegiata di S. Francesco (XIII secolo), che, però, dopo ripetuti rimaneggiamenti, si mostra oggi in forme seicentesche. Risale invece al XVIII secolo il santuario dedicato a santa Maria Goretti, nativa del luogo. INFO tel. 071 7978636; www.corinaldoturismo.it

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OFFIDA

Insediamento longobardo, Offida e il suo castello furono per un periodo possedimenti dell’abbazia di Farfa (nel Reatino). Verso la fine XIII secolo, il borgo beneficiò delle autonomie comunali concesse dal papato, con il diritto di eleggere podestà e priori e, secondo il Chronicon Farfense, assunse l’aspetto di una città vera e propria. Nel Trecento, Offida si alleò con Fermo, all’epoca in guerra con i rivali Ascolani, subendone gli assalti. Gli scontri proseguirono anche nel secolo successivo e si intrecciarono con il conflitto interno tra Guelfi e Ghibellini (rappresentati rispettivamente dalle famiglie Baroncelli e Boldrini), cosí da rendere necessario l’intervento pacificatore del papa. Ma la faida continuò a insanguinare il territorio di Offida anche dopo la fine del Medioevo e venne interrotta solo alla metà del XVI secolo con la firma di un trattato di pace con Ascoli. Il borgo conserva tratti della cinta muraria medievale, alcune torri e i resti della rocca cinquecentesca. Nel centro si può ammirare il vecchio Palazzo Comunale, la cui costruzione risale al XIII secolo, che spicca con la sua torre merlata e il portico a sette arcate. Splendida è la chiesa gotica di S. Maria della Rocca, edificata nel XIV secolo su un precedente luogo di culto benedettino. Il santuario di S. Agostino (XV secolo) è, invece, noto soprattutto perché custodisce le reliquie del miracolo eucaristico, verificatosi a Lanciano nel 1273. INFO tel. 0736 888706; www.turismoffida.com

CALDAROLA

Al centro delle lotte tra papa e imperatore, il piccolo borgo di Caldarola venne assegnato in feudo al Comune di Camerino. Il suo destino si legò a quello della Santa Sede e, nel 1259, venne distrutto da re Manfredi di Svevia. Quella di Caldarola, tuttavia, non fu solo una storia di dipendenze: nel Quattrocento, infatti, godette di una forma di autogoverno concessa da papa Eugenio IV, e visse un periodo rigoglioso dal punto di vista architettonico nel Cinquecento, grazie agli interventi del cardinale Evangelista Pallotta, originario del paese. Monumento simbolo dell’epoca d’oro rinascimentale è il magnifico castello Pallotta, la cui struttura originaria risale al IX secolo. Una rocca, nella frazione Croce, presenta tracce di architetture medievali, risalenti al Trecento, mentre in località di Pievefavera rivestono un certo interesse la chiesa di S. Maria Assunta e il Palazzo Sparapani. INFO http://turismo.comune.caldarola.mc.it

In alto la sala della Biblioteca del castello Pallotta di Caldarola (Macerata): si notano il camino e una cassapanca in noce intagliato, entrambi di fattura cinquecentesca. A sinistra il Palazzo Comunale di Offida (Ascoli Piceno), la cui costruzione risale intorno al Duecento, con la torre merlata e il caratteristico portico a sette arcate.

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UMBRIA

Spello La pietra e i colori I

speo Pelisio, uno dei compagni di viaggio di Enea in fuga da Troia, sarebbe stato il leggendario fondatore di un insediamento umbro che divenne poi un importante municipio in epoca romana con il nome di Hispellum. Celebrato da Giulio Cesare, aveva mura imponenti, un teatro, un impianto termale e godeva di un’ampia autonomia amministrativa. Quando l’impero romano imboccò la via del declino, la fiorente cittadina patí gli sconquassi causati dalle invasioni barbariche, e da grande centro della Regio VI, Umbria, decadde a località di scarso rilievo, vivendo una condizione di anonimato politico che si interruppe solo nel VI secolo, con l’arrivo i Longobardi. Il borgo venne allora inglobato nel potente ducato di Spoleto ed entrò quindi a far parte dei domini della Chiesa di Roma. A partire dal XII secolo, conquistò un ruolo ancora piú prominente negli equilibri strategici della regione, ottenendo anche lo status di libero Comune. Spello poté quindi autogovernarsi, contando anche su propri ordinamenti: divisa in tre quartieri principali (Porta Chiusa, Mezota e Posterula o San Martino), era amministrata da un podestà, da un gruppo di priori e disponeva di un esercito.

La rappresaglia dell’imperatore

Ma la sua armonia interna venne presto infranta da violente lotte intestine e, nel Duecento, dal conflitto guelfo-ghibellino che infuriava tra i potenti Comuni di Spoleto e Perugia. In seguito all’affermazione di quest’ultima, passò sotto il controllo imperiale, subendo ingenti danni di guerra. Nel 1238, infatti, per punirne l’ondivaga 70

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Spello (Perugia), collegiata di S. Maria Maggiore, Cappella Baglioni. Particolare dell’Annunciazione, affresco del Pinturicchio raffigurante la Vergine e san Gabriele Arcangelo. 1500-1501.


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UMBRIA

Spello fedeltà alla corona, Federico II aveva ordinato la distruzione di Spello. Altri eventi militari videro il borgo impegnato in prima linea, sotto le insegne ghibelline, ma nel Trecento, dopo la riconquista di gran parte del Centro Italia da parte delle truppe del cardinale Albornoz, cambiò di nuovo bandiera, tornando a far parte dei possedimenti papali. La cittadina, tuttavia, continuò a vivere periodi di instabilità, causati dall’alternarsi al potere di famiglie nobiliari e condottieri che, tra il XIV e il XV secolo, si contesero il territorio: da Biordo Michelotto a Gian Galeazzo Visconti, da Braccio da Montone a Giovanni Pucci. Alla fine furono i nobili perugini Baglioni a prendere il sopravvento e il loro lungo dominio coincise con una fase di fulgore architettonico e commerciale per il borgo. Nel Seicento, Spello tornò nuovamente sotto il controllo dello Stato Pontificio, restandovi fino all’Ottocento.

Un patrimonio ricco e variegato

Il passato del borgo è ben vivo nei suoi monumenti, a partire dalla cinta muraria di impianto romano, poi riedificata nel Trecento, e dai resti dell’antico anfiteatro e delle terme. Anche la Porta Consolare a tre fornici, sulla quale sono incastonate statue di epoca repubblicana, risale al periodo della dominazione di Roma, mentre accanto si erge, imponente, una torre quadrata medievale. Notevole testimonianza dell’arte augustea è la Porta Venere, affiancata dalle romaniche torri di Properzio di forma dodecagonale, che si presume risalgano al XII secolo. All’interno delle mura, oltrepassato il vecchio terziere di Porta Chiusa, si incontra la chiesa principale, dedicata a S. Maria Maggiore. Edifi-

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In alto il crocifisso duecentesco custodito nella chiesa di S. Andrea e attribuito al Maestro Espressionista di Santa Chiara. Nella pagina accanto uno scorcio del centro storico di Spello. In basso, sulle due pagine veduta del borgo, dominato dal campanile di S. Maria Maggiore.

cata nel XII-XIII secolo nel sito dove anticamente sorgeva un tempio dedicato a Giunone e Vesta, venne profondamente ristrutturata nel Seicento, soprattutto in facciata, ma conserva pregevoli fregi romanici. Al suo interno si trova la Cappella Baglioni, decorata dai magnifici affreschi che il Pinturicchio, su commissione dell’omonima famiglia, dipinse fra l’autunno del 1500 e la primavera del 1501 e che raffigurano scene dell’Annunciazione e della Natività.

Un capolavoro a quattro mani

Tra gli altri luoghi di culto spicca la chiesa di S. Andrea, nel XIII secolo sede di una delle prime comunità francescane, nella quale si possono ammirare il portale e un altare trecenteschi, e la Madonna in trono e santi, opera anch’essa del

Pinturicchio (che però dovette affidarne la realizzazione al pittore perugino Eusebio di San Giorgio e di cui ultimò, nel 1508, le parti piú significative). Altri interessanti monumenti religiosi sono la chiesa di S. Lorenzo (XII secolo), che custodisce pregevoli affreschi quattrocenteschi; la chiesa di S. Claudio, la cui edificazione risale all’XI secolo; il monastero agostiniano di S. Maddalena, di fondazione verosimilmente trecentesca; la chiesa di S. Sisto (XIII secolo), della quale è visibile solo la facciata; la romanica chiesa di S. Martino, eretta tra l’XI e il XII secolo. Da non mancare è poi il Palazzo del Comune, al cui interno sono esposte molte iscrizioni romane rinvenute nell’area. Di costruzione duecentesca, presenta alcuni elementi della struttura originaria, tra cui la loggia con volte a crociera al piano terra e, in quello superiore, tre bifore romaniche decorate da capitelli. Il Palazzo Baglioni, concepito invece nel Trecento come fortezza dagli architetti dello Stato Pontificio, venne ristrutturato nel Cinquecento e trasformato in residenza nobiliare. Da segnalare, infine, il tardo-medievale Palazzo Urbani, che conserva in gran parte la sua fisionomia, nonostante gli interventi di epoca moderna.

DOVE E QUANDO SPELLO Pro Loco-I.A.T. Spello piazza Matteotti 3 Info tel. 0742 301009; e-mail: prospello@libero.it http://turismo.comune.spello.pg.it

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Spello

Altri borghi

UMBRIA

MONTONE

FERENTILLO

Due nuclei si affacciano sulle sponde opposte del fiume Nera, presidiati da altrettanti castelli che li dominano da un’altura: questo è lo scenario suggestivo che compone l’abitato di Ferentillo, centro del Ternano fondato dal re Liutprando nel 742, come avamposto longobardo nella zona. Poi, nel XII secolo, soprattutto al fine di proteggere la limitrofa abbazia di S. Pietro in Valle, sorsero sul territorio alcune fortificazioni, collocate alle pendici dei rilievi che sovrastavano l’insediamento. Dopo l’epoca longobarda, infatti, Ferentillo era stato donato da Carlo Magno alla Chiesa di Roma e, da allora, il destino del Comune risultò legato a quello dei piú importanti centri di potere ecclesiastici umbri. Alla fine del Medioevo, e ancor di piú nel Rinascimento, il borgo conquistò un proprio spazio di autonomia, che ne favorí la crescita economica e coincise con un periodo di grande fioritura culturale. Le bellezze del passato sono racchiuse nei due nuclei originari, Matterella e Precetto: fiori all’occhiello delle testimonianze architettoniche medievali sono tuttora le due rocche, la collegiata duecentesca di S. Maria (nel primo nucleo storico) e la chiesa di S. Stefano (nel secondo), databile allo stesso periodo. Compresa nel territorio del Comune di Ferentillo è anche la celebre abbazia di S. Pietro in Valle (VI-VIII secolo). INFO tel. 0744 780724; www.comune.ferentillo.tr.it

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Il nome di Montone evoca l’epopea della famiglia Fortebracci, il cui esponente piú famoso, Andrea, detto Braccio (1368-1424), fu l’invincibile condottiero che, nel Quattrocento, conquistò molti territori dell’Italia centrale, strappandoli al controllo del papato. Secondo la tradizione, la potente dinastia avrebbe cominciato la sua scalata politica proprio a Montone, erigendo prima una rocca e poi fondando un vero e proprio centro abitato. Le cronache testimoniano la presenza nel XII secolo di un castrum nel sito e la sua acquisizione dello status di Comune, sotto l’ala protettiva di Perugia. Il periodo di massimo splendore si ebbe proprio durante il dominio di Andrea Fortebracci, nel XV secolo, e vide tra i suoi artefici anche prestigiosi artisti e architetti, come Antonio Alberti e Fioravante Fioravanti. Nel 1414, il borgo venne elevato a contea dall’allora antipapa Giovanni XXIII, mentre il pontefice legittimo, Martino V, qualche anno dopo, confermò la concessione del territorio alla famiglia Fortebracci. Uno dei suoi esponenti, Carlo, alleato dei Veneziani, si fece valere in battaglia nel 1473 contro i Turchi e ricevette come premio dalla Serenissima una delle spine della corona di Cristo. La leggenda narra che quando la sacra reliquia,

In alto veduta di Ferentillo (Terni), nella Valnerina, con la rocca e il borgo sottostante. A destra il reliquiario della Sacra Spina, nella collegiata di S. Maria Assunta a Montone (Perugia). Il sacro resto fu donato a Carlo Fortebracci da Venezia, per i servigi resi combattendo i Turchi.


portata dai soldati, varcò le porte di Montone, le campane cominciarono a suonare da sole. Nel borgo si possono ammirare numerosi monumenti religiosi di età medievale, prima fra tutti la Collegiata di S. Maria Assunta, costruita nel Trecento e poi ampliata nel XVII secolo, che custodisce al suo interno la Sacra Spina. Risale al Trecento anche la gotica chiesa di S. Francesco, mentre la pieve di S. Gregorio risultava attiva già nell’XI secolo. Tra le architetture civili spicca l’imponente rocca di Aries, la fortezza delle origini di Montone, che presenta in gran parte le tracce degli interventi realizzati nel Trecento e nei secoli successivi. INFO www.comunemontone.it

A destra, in alto veduta aerea della fortificazione di Campello sul Clitunno (Perugia). A destra, in basso l’interno del Tempietto del Clitunno, databile tra il IV e l’VIII sec., dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO. Qui sotto un momento della festa della Donazione della Santa Spina, a Montone (Perugia).

CAMPELLO SUL CLITUNNO

Artefici della fondazione di Campello sul Clitunno, sorto nel X secolo attorno alle strutture di un castello, furono alcuni nobili francesi, provenienti da Reims. Nelle cronache, tuttavia, il luogo fortificato compare solo nel XIII secolo e viene descritto come roccaforte imperiale, i cui possidenti subirono l’anatema di papa Onorio III, che li definí «figli del demonio». Anche nel Trecento i nobili proprietari della rocca persistettero nella loro linea politica antipapale e si trovarono a dover fronteggiare gli attacchi del signore di Spoleto, Pietro Pianciani, alleato della Chiesa, che riuscí ad avere il sopravvento incendiando il paese. Il borgo venne quindi ricostruito e, nel 1366, il cardinale Albornoz ne rafforzò le difese. Alla fine del XIV secolo la comunità locale dei massari (lavoratori fissi della terra) prese il potere, strappandolo ai feudatari, e instaurò un forma di governo democratico, retto da un podestà nominato da Spoleto. La pace sociale, però, non ebbe lunga durata e, nel 1447, il castello divenne teatro di una resa dei conti tra fazioni rivali. Oggi l’abitato medievale di Campello sul Clitunno risulta diviso in vari nuclei. Quello storico di Campello Alto, sviluppatosi intorno alla fortezza originaria (nella quale prevalgono i segni dei rifacimenti trecenteschi), conserva anche altre interessanti architetture del passato, come la chiesa di S. Donato (XIII secolo), il trecentesco Palazzo Comunale e, nelle vicinanze, il complesso monastico dei Barnabiti, che custodisce affreschi del XV secolo. Nella frazione di Acera, anch’essa di tipico impianto medievale, si trovano palazzi trecenteschi e cinquecenteschi, oltre alla chiesa di S. Biagio (XV secolo). A Pissignano, invece, si segnalano il castello dell’XI secolo e il Tempietto sul Clitunno, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO: è una chiesa di forme corinzie, costruita presumibilmente in epoca longobarda, nel VII-VIII secolo (ma alcuni studi la assegnano al IV-V secolo), sui resti di un sacello romano. INFO www.campelloweb.com

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LAZIO

Civita di Bagnoregio Splendido isolamento 76

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S

ituata al confine fra Lazio e Umbria, la cittadina di Bagnoregio, nel Viterbese, deve la sua notorietà a quella che oggi è una sua frazione, Civita, che l’erosione della rupe tufacea su cui sorge ha progressivamente isolato dal resto dell’abitato. Il fenomeno, al quale si uní anche una significativa attività sismica, dovette avere inizio già in epoca antica, ma subí una brusca accelerazione tra il XVIII e il XIX secolo, quando si registrarono ripetuti crolli, primo fra tutti quello che, nel 1759, interessò la strada che univa questa parte del borgo al resto dell’insediamento, conosciuto come Rota. Il destino di Civita sembrò segnato in maniera definitiva nel 1944, quando fu distrutto il ponte in muratura che, nel 1920, aveva ripristinato il collegamento con la «terraferma». Tuttavia, un ventennio piú tardi, nel 1965, fu ultimato un nuovo ponte pedonale in cemento armato, che ha segnato il lento ma costante ritorno alla vita della frazione.


Ben prima di queste vicende, l’area di Bagnoregio ha vissuto una storia densa di eventi, fin dalla preistoria, quando l’azione erosiva del rio Chiaro e del rio Torbido non aveva ancora compromesso il pianoro tufaceo, che si presentava come un’area ideale per lo stanziamento. In epoca etrusca, la zona gravitò nell’orbita di Orvieto, uno dei centri piú importanti dell’Etruria interna, e, passata sotto il controllo di Roma, l’antica Bagnoregio beneficiò della realizzazione della via Cassia, che ne favorí lo sviluppo. Dopo la caduta dell’impero romano, la zona condivise il destino di gran parte della Penisola: venne investita dalle invasioni barbariche e vide avvicendarsi nuovi padroni. Saccheggiata dai Visigoti di Alarico nel 410, fu poi conquistata dai Goti, ai quali subentrarono i Bizantini, nel 553, e, nel 605, i Longobardi, la cui dominazione ebbe fine nel 774. Bagnoregio venne allora acquisita dalla Chiesa di Roma, ma, piú tardi, gli assetti mutarono ancora una

volta: si aprí infatti l’era delle dominazioni delle famiglie nobiliari, in particolare dei conti di Bagnoregio, e poi, nel 1140, il borgo divenne libero Comune, svincolandosi dal controllo dell’aristocrazia feudale, un’autonomia che mantenne a lungo, anche quando si trovò a essere inglobato nello Stato Pontificio.

La fine dell’autonomia

Civita di Bagnoregio (Viterbo). Veduta dell’abitato medievale, che sorge su una rupe tufacea soggetta a progressiva erosione e al quale si accede attraverso un lungo ponte in cemento armato.

A quell’epoca, il nome Bagnoregio indicava l’intera cittadina, composta dai nuclei di Rota, a occidente, e della Civita, a oriente, ciascuno dei quali era a sua volta diviso in quattro contrade. Le sue fortune politiche declinarono a partire dal Quattrocento, subito dopo l’eroica resistenza contro l’esercito francese di Carlo VIII. Compresa nei possedimenti dello Stato Pontificio, Bagnoregio si vide infatti imporre alcuni cardinali come amministratori: un provvedimento promulgato da papa Alessandro VI (1431-1503), che sancí di fatto la fine dell’autonomia. BORGHI D’ITALIA

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LAZIO

Civita di Bagnoregio

In alto uno scorcio di Civita di Bagnoregio. A destra il crocifisso ligneo quattrocentesco custodito all’interno della chiesa di S. Donato. Nella pagina accanto, in basso la quattrocentesca Porta di S. Maria, ingresso principale al borgo, che riporta tracce di costruzioni piú antiche.

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Come già detto, Civita di Bagnoregio si raggiunge grazie al ponte realizzato alla metà del secolo scorso. Al borgo si accede per la Porta di Santa Maria, cosí chiamata per via della chiesa omonima che la sovrastava, poi trasformata in abitazione privata. La porta, di forme gotiche (XV secolo), venne restaurata tra il 1554 e il 1558 dallo scultore Raffaele da Montelupo; è sormontata da due leoni che tengono tra le zampe la testa di un uomo, a simboleggiare la vittoriosa rivolta di Bagnoregio contro il dominio dei nobili Monaldeschi, signori di Orvieto, che a lungo ebbero il controllo del borgo. La chiesa di S. Donato, edificata nell’età di

Mezzo e rimaneggiata nel Rinascimento, presenta tracce di impianto romanico. All’interno sono conservate le reliquie di sant’Ildebrando, vescovo della città nel IX secolo, un prezioso Crocifisso ligneo quattrocentesco della scuola di Donatello, ritenuto miracoloso dai fedeli locali, e un affresco della scuola del Perugino. La chiesa di S. Donato fu sede vescovile fino al 1699, quando, in seguito al terremoto del 1695, si decise di trasferirla a Bagnoregio. Diverse abitazioni di Civita conservano la loro fisionomia medievale e sono provviste dei «profferli» (scale esterne di accesso), un elemento tipico dell’architettura di quel tempo in


DOVE E QUANDO CIVITA DI BAGNOREGIO Pro Loco Bagnoregio Info tel. 0761 780833; www.prolocobagnoregio.it La chiesa di S. Donato, affacciata sulla piazza principale del borgo di Civita di Bagnoregio: edificata nel Medioevo, subí una serie di rifacimenti in epoca rinascimentale, ma conserva strutture di impianto romanico.

tutto l’Alto Lazio. Architettonicamente pregevoli sono poi alcune dimore d’età rinascimentale, come quelle dei Cristofori-Colesanti, dei Mazzocchi-Alemanni e dei Bocca. Intorno all’anno 1217, il borgo diede i natali a Giovanni Fidenza, che, entrato nell’Ordine francescano nel 1243, è passato alla storia come Bonaventura da Bagnoregio. Dottore della Chiesa e poi santo, è noto, fra l’altro, per aver scritto una biografia di san Francesco d’Assisi (la Legenda maior), che fu probabilmente utilizzata da Giotto per elaborare le Storie francescane affrescate nella basilica assisana. Di Bonaventura, Bagnoregio conserva oggi solo il ricordo, affidato a una piccola edicola, murata là dove sorgeva la casa in cui il santo trascorse la sua adolescenza. Alla metà del XVI secolo, l’abitazione fu trasformata in chiesa, che però non ebbe lunga vita: danneggiata dai terremoti del 1695 e del 1764 e compromessa dai franamenti della rupe, venne abbandonata nel 1826. BORGHI D’ITALIA

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Altri borghi

LAZIO

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Civita di Bagnoregio

COLLALTO SABINO

Bersagliato dalle invasioni longobarde e saracene, l’insediamento che sorgeva in epoca altomedievale nell’odierno territorio di Collalto Sabino, cominciò ad assumere ben presto le forme di un luogo fortificato. Nell’XI secolo venne acquisito dall’abbazia di Farfa e conquistò un proprio spazio politico, anche in virtú della sua collocazione, poiché si trovava al di confine tra i domini dello Stato Pontificio e il Meridione normanno. Collalto divenne, poi, un avamposto dell’impero e rimase sotto il suo controllo sino alla fine del XIII secolo, quando venne ceduto allo Stato Pontificio. I sovrani l’avevano cinto con mura imponenti e dotato di un castello possente, valutando il ruolo centrale della località, al tempo in cui infuriavano le guerre guelfo-ghibelline. La sua connotazione di baluardo militare è tuttora testimoniata dalla cinta muraria quattrocentesca e dal castello baronale, anch’esso risalente al XV secolo, ma poi rimaneggiato nel Seicento. È databile all’XI secolo, invece, la parrocchiale di S. Lucia, mentre presenta profili tardomedievali il convento di S. Maria, situato fuori dalle mura del borgo. Nei pressi del convento si trovano, infine, i resti del castello altomedievale di Montagliano. INFO tel. 331 8766590; www.prolococollaltosabino.it

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CALCATA

Borgo medievale di minuscole dimensioni del Viterbese, immerso nella vegetazione lussureggiante della valle del fiume Treja – con i suoi castagni e le acacie –, Calcata conserva tracce della presenza dell’uomo fin dal periodo della cultura etrusco-falisca. Il primo riferimento esplicito a una località esistente in quel territorio si rintraccia, però, solo nel 780, in un documento che ne attesta l’appartenenza alla Domusculta Capracorum, vasto latifondo comprendente Veio e alcuni fondi, tra i quali le odierne Faleria e Mazzano. Nel XIII secolo il borgo assume il nome di Castrum Sinibaldorum, in chiara connessione con la famiglia dei Sinibaldi, e si trova al centro di numerosi eventi bellici, nel corso dei quali viene distrutta. Alla ricostruzione provvidero poi gli Anguillara e le tracce delle loro architetture sono tutt’oggi presenti nell’abitato. Calcata nel Medioevo acquisí la sua compiuta identità, con le caratteristiche case in tufo e i punti panoramici posti sul perimetro delle mura. Nell’età di Mezzo vengono erette le mura, la doppia porta d’accesso e la chiesa del SS. Nome di Gesú, principali monumenti del borgo. Tra le testimonianze medievali si segnala anche il Palazzo Baronale, sorto sul sito di un castello, del quale è visibile ancora la torre ghibellina. La parte piú antica dell’edificio, risalente all’XI secolo, è sopravvissuta in alcune strutture dei seminterrati e del piano terra. L’attuale fisionomia del palazzo (che è divenuto proprietà del Parco Valle del Treja e ne ospita gli uffici), è frutto dei rifacimenti cinquecenteschi e settecenteschi. INFO tel. 0761 587021; www.comune.calcata.vt.it


BOMARZO

Con un passato etrusco e romano, Bomarzo si affermò come sede vescovile nell’Alto Medioevo. Nel X secolo, assediata dagli Ungari, fu distrutta, ma venne presto ricostruita e si conquistò un significativo ruolo strategico all’interno dei possedimenti laziali dello Stato Pontificio. Agli inizi del Cinquecento fu poi ceduta ai nobili Orsini, che realizzarono nei pressi del centro storico il Parco dei Mostri, nel quale trovarono posto sculture raffiguranti animali mitologici, divinità e creature dall’aspetto terrificante. Bomarzo è il frutto di un armonico innesto di magnifiche architetture rinascimentali (come il Palazzo Orsini e la chiesa di S. Maria Assunta) in un abitato tipicamente medievale. INFO tel. 0761 924666; www.prolocobomarzo.it

In alto veduta del borgo medievale di Calcata, nel Viterbese, contornato dalla lussureggiante vegetazione del Parco regionale Valle del Treja. A destra una delle enigmatiche sculture del parco rinascimentale dei Mostri, situato nelle vicinanze del borgo di Bomarzo (Viterbo). Nella pagina accanto la chiesa della Madonna della Speranza, a Collalto Sabino (Rieti), che sorge a ridosso della cinta muraria.

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ABRUZZO

Capestrano Nella terra del guerriero


I

l borgo abruzzese di Capestrano deve la sua notorietà alla statua in pietra che raffigura un guerriero, trovata nel 1934 in una necropoli scoperta nei pressi dell’abitato: una grande scultura, databile alla prima metà del VI secolo a.C., sulla quale corre un’iscrizione che identifica con un personaggio di nome Nevio (forse un re) l’uomo ritratto in atteggiamento fiero, con il quale contrasta il curioso copricapo, simile a un sombrero. Molti secoli piú tardi, nel Medioevo, piú a valle dell’attuale centro storico, sorgevano vari villaggi, fra cui quelli di Presciano e Capodacqua, che furono piú volte colpiti dalla furia delle invasioni saracene. L’estrema vulnerabilità di questi piccoli centri spinse i loro abitanti a trasferirsi in un luogo piú protetto, su un’altura,

«Caput Presanum» («sopra Presciano»), espressione da cui sarebbe poi derivato il toponimo Capestrano. Secondo altre tesi, il nome trarrebbe invece origine da «Caput trium amnium» («principio di tre sorgenti»), riferito ai corsi d’acqua che alimentano il vicino fiume Tirino.

La riconoscenza di Carlo d’Angiò

Nel XIII secolo il borgo risultava sotto il controllo di Riccardo d’Acquaviva, nobile fedele a Carlo I d’Angiò, che il sovrano aveva premiato con ampie concessioni territoriali per l’aiuto ricevuto nella conquista del Regno di Napoli. Nel Trecento passò nelle mani di Pietro da Celano e, un secolo dopo, fu acquisito dal duca di Amalfi, Antonio Todeschini Piccolomini, nipote del pontefice Pio II.

Sulle due pagine una veduta di Capestrano (L’Aquila). Il borgo è dominato dal quattrocentesco castello Piccolomini, la cui torre quadrata è invece parte di una precedente fortificazione medievale. A sinistra la scultura in pietra a tutto tondo nota come «Guerriero di Capestrano». Secondo quarto del VI sec. a.C. Chieti, Museo Archeologico Nazionale.

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ABRUZZO

Capestrano

Il XV secolo e il primo Rinascimento, caratterizzati da lunghi periodi di pace per il paese, furono turbati dall’attacco del condottiero Braccio da Montone, nel 1423, e dall’incursione delle armate francesi, nel 1528: entrambi vennero respinti dopo una strenua resistenza. Nel Cinquecento, Capestrano fu venduta al granduca di Toscana Francesco de’ Medici e divenne prima marchesato e poi, con l’avvento di Antonio de’ Medici, figlio di Francesco, principato. Il governo dei nobili fiorentini durò fino al Settecento, secolo che inaugurò il dominio dei Borbone.

Nel segno dei Piccolomini

Simbolo del prestigio politico acquisito da Capestrano in periodo tardo-medievale, il castello Piccolomini venne ricostruito nel Quattrocento sulle rovine di una precedente fortificazione, di cui si conserva una torre quadrata. Piú volte rimaneggiato, l’edificio mostra oggi le forme assunte in seguito agli interventi operati verso la fine dell’età di Mezzo e nel Rinascimento. Collocata nella parte piú alta del borgo e oggi sede del municipio, la rocca reca all’ingresso lo stemma della famiglia Piccolomini – artefice della sua riedificazione – ed è munita di tre torri angolari. Il lato maggiore dell’edificio principale, che si affaccia verso la piazza principale di Capestrano, fu dotato di due bastioni circolari e di un fossato. Lungo il coronamento sopravvivono alcune parti della merlatura originaria, mentre nel cortile si può ammirare un pozzo in marmo risalente al Quattrocento. In un muro del cortile è inoltre visibile un’antica iscrizione sepolcrale, incisa in una lapide, verosimilmente di epoca romana. Tra le architetture religiose riferibili all’età di Mezzo, spicca il convento francescano, progettato nel XV secolo da san Giovanni da Capestrano (1386-1456), al cui interno sono custoditi alcuni oggetti appartenuti al religioso. All’VIII secolo risale l’abbazia di S. Pietro ad Oratorium, situata nei pressi del fiume Tirino: fondata in periodo altomedievale dal re longobardo Desiderio, fu ricostruita in stile romanico nel XII secolo. All’edificio originale vengono attribuiti solo alcuni bassorilievi che decorano la parte superiore del portale, mentre sono databili al XII-XIII secolo le tracce di alcuni affreschi dell’abside che raffigurano 84

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In alto l’iscrizione latina con la formula del SATOR, che campeggia in un muro esterno della chiesa capestranese di S. Pietro ad Oratorium. Qui sopra il ritratto di un santo benedettino affrescato nell’abside della stessa S. Pietro. XII sec.

Cristo, i simboli dei quattro evangelisti e i ventiquattro vegliardi dell’Apocalisse. Su una delle pareti esterne della chiesa, a sinistra del portale, invece, è ben visibile un’iscrizione murata che reca l’enigmatico quadrato del SATOR (formula palindroma in lingua latina, presente in numerosi monumenti antichi e medievali, la cui interpretazione è tuttora controversa). Notevole è poi la seicentesca chiesa di S. Maria della Pace, edificata nel luogo in cui, nell’età di Mezzo, sorgeva un altro edificio di culto, la chiesa di S. Maria della Macchia. Nella frazione di Forca di Penne, infine, si erge una torre medievale avente funzioni di avvistamento, a pianta quadrangolare, parzialmente intatta, che raggiunge un’altezza di circa 20 m. Intorno alla torre sono stati rinvenuti i resti di strutture che attesterebbero la presenza di un edificio piú articolato.

DOVE E QUANDO CAPESTRANO Associazione Pro Loco Capestrano, piazza Mercato Info cell. 347 6054489; e-mail: prolococapestrano@gmail.com; www.comunedicapestrano.it


Altri borghi

PACENTRO

Civitella del Tronto, uno dei borghi-fortezza piú suggestivi del Centro Italia, si trova nel Teramano, su un’altura non distante dal mare. Sorta presumibilmente sul sito dell’antico insediamento piceno di Beregra, la cittadina fu ribattezzata Tibitella in periodo altomedievale e si sviluppò come bastione nella Val Vibrata, un territorio spesso insidiato dalle incursioni degli Ungari e dei Saraceni. A invadere il paese, però, furono gli Ascolani, alla metà del Duecento, con una sortita che provocò la reazione dello Stato Pontificio. E proprio per fare fronte alle frequenti turbolenze, il borgo venne ulteriormente fortificato, prima dagli Angioini e poi dagli Aragonesi. Nel Cinquecento, nonostante la loro solidità, le piú importanti architetture militari furono in gran parte ricostruite. Al pieno Medioevo risalgono la duecentesca Porta Napoli, con arco a tutto sesto, e il trecentesco Palazzo del Capitano, noché numerosi luoghi di culto cittadini: innanzitutto, il santuario di S. Maria dei Lumi, posto fuori dalle mura del centro, databile al XIV secolo; la trecentesca chiesa di S. Francesco, la cui facciata conserva ancora le forme gotico-romaniche dell’epoca della sua costruzione; la quattrocentesca chiesa di S. Maria degli Angeli e la splendida abbazia di S. Maria in Montesanto (VI secolo). INFO tel. 0861 918321; www.comune.civitelladeltronto.te.it

La leggenda colloca sulle pendici del Monte Morrone un villaggio fondato dall’eroe troiano Pacinus, ma le prime prove certe della presenza di un abitato nel sito dell’odierna Pacentro risalgono al Medioevo, all’VIII secolo. Fino ad allora era un possedimento del ducato di Spoleto e, in seguito, passò sotto la giurisdizione del monastero di S. Vincenzo al Volturno. Nell’XI secolo venne costruita una fortezza, per proteggere la zona dagli attacchi dei Saraceni e dei Normanni e, nel circondario, sorsero abitazioni e luoghi di culto: nel XII secolo, secondo testimonianze dell’epoca, nel borgo vivevano una cinquantina di famiglie. Le sorti di Pacentro dipesero a lungo dal Regno di Napoli e poi dalle potenti famiglie dei Caldora e degli Orsini. Il castello Caldora è considerato uno dei capolavori architettonici d’Abruzzo: la struttura originaria viene comunemente datata all’XI secolo e aveva una pianta a forma trapezoidale; nel Duecento fu aggiunta una delle tre torri quadrangolari che tuttora svettano sul sito della rocca: Fra il XIV e il XV secolo, il complesso fortificato fu piú volte restaurato: comparvero alcuni torrioni circolari, tre dei quali ancora visibili, e si provvide a realizzare una piú solida cinta muraria. Risale al Quattrocento anche la parrocchiale di S. Maria Maggiore, mentre la chiesa di S. Marcello, la piú antica del borgo, venne fondata nel 1047. Testimonianze di rilievo del passato, infine, sono anche la Porta Urbica medievale, l’antico lavatoio pubblico («I Canaje») e i palazzi signorili rinascimentali. INFO tel. 0864 41114; www.comune.pacentro.gov.it

In alto uno scorcio della fortezza di Civitella del Tronto (Teramo), che racchiude un’area di ben 25 000 mq.

In basso veduta del borgo di Pacentro (L’Aquila), nella cui parte alta si stagliano i resti del castello Caldora (XI-XIII sec.).

CIVITELLA DEL TRONTO

BORGHI D’ITALIA

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BORGHI DELL’ITALIA DEL SUD E ISOLE

Olbia 70 69 73

72

68

74

Oristano

76 71 75 77

Sono evidenziati in neretto i castelli descritti nel testo. A sinistra Monte Sant’Angelo (Foggia), santuario di S. Michele Arcangelo. Statua che ritrae il santo mentre schiaccia Satana (vedi alle pp. 98-103).

MOLISE (1) Agnone (2) Pesche (3) Frosolone (4) Oratino (5) Riccia CAMPANIA (6) Sant’Agata de’ Goti (7) Sessa Aurunca (8) Cusano Mutri (9) Vairano Patenora (10) Caiazzo (11) Castellabate (12) Guardia Sanframondi (13) Limatola (14) Monteverde (15) Nusco


Roma

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21 1

20

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Latina

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Caserta

Foggia

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14 15

6

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10 1 0

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33 34 18 8

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39

Taranto

35

36

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Lecce

17 31

42

46 41

MAR TIRRENO

50 48

47

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5 51

Catanzaro 44 40 40 49

Palermo

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Alcamo

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65

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53

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55 5

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Caltanissetta

63 66

43

45

MAR JONIO

Catania

Gela Ragusa

(16) (17) (18) (19)

iardo R San Severino di Centola Teggiano Zungoli

PUGLIA (20) Monte Sant’Angelo (21) Vico del Gargano (22) Sant’Agata di Puglia (23) Cisternino (24) Alberona (25) Bovino (26) Minervino Murge (27) Oria (28) Peschici (29) Pietramontecorvino (30) Polignano a Mare (31) Specchia

BASILICATA (32) A cerenza (33) T ricarico (34) Brienza (35) Craco (36) Guardia Perticara (37) Montescaglioso (38) Muro Lucano (39) P ietrapertosa CALABRIA (40) S tilo (41) A ltomonte (42) M orano Calabro (43) P entedattilo (44) Badolato (45) Bova (46) Civita

(47) (48) (49) (50) (51) (52)

accuri C F iumefreddo Bruzio Gerace Montalto Uffugo Santa Severina Santo Stefano

di Rogliano (53) Stignano SICILIA (54) Caccamo (55) Montalbano Elicona (56) Gangi (57) Calascibetta (58) Alcara li Fusi (59) Burgio (60) Castroreale (61) Erice

(62) (63) (64) (65) (66) (67)

eraci Siculo G ovara di Sicilia N Petralia Soprana Salemi Savoca Sutera

SARDEGNA (68) Bosa (69) Posada (70) Castelsardo (71) Atzara (72) Bortigali (73) Galtellí (74) Gavoi (75) Laconi (76) Ortueri (77) Sanluri BORGHI D’ITALIA

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MOLISE

Agnone Rintocchi di storia


A

gnone, la «città delle campane» (e per alcuni, non senza una certa enfasi, l’«Atene del Sannio»), era abitata fin dal III secolo a.C., epoca in cui si ipotizza la presenza nel suo territorio di profughi provenienti dall’Irpinia: si trattava di gruppi di reduci sanniti, sconfitti dai Romani nella battaglia combattua nel 293 a.C. presso Aquilonia (città sannitica nell’alta valle dell’Ofanto). Un vero e proprio borgo cominciò a prendere forma in età altomedievale, negli anni dell’oc-

cupazione longobarda e conobbe i primi fasti architettonici nel XII secolo, con la dominazione della famiglia Borrello, originaria della vicina Pietrabbondante e legata politicamente alla Repubblica di Venezia. Questo stretto connubio favorí l’afflusso di numerosi artigiani lagunari, della cui permanenza si trova traccia nella parte piú antica dell’abitato, denominata «rione veneziano» e in alcuni monumenti cittadini sui quali compare l’effigie del leone di San Marco. I Veneziani che si stanziarono ad Agnone sareb-

Nella pagina accanto una campana prodotta dalla Fonderia Marinelli di Agnone (Isernia), attiva fin dal Medioevo. In basso, sulle due pagine una veduta del borgo di Agnone, arroccato su un’altura, a oltre 800 m di quota.

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MOLISE

Agnone

bero stati esuli in fuga dalle zone dei Balcani occupate dall’impero ottomano; ma vi è anche chi ha ipotizzato che provenissero dalle colonie pugliesi della Serenissima. Grazie alla loro presenza, sorsero nuove attività artigiane, in particolare nel settore della lavorazione dell’oro, dell’argento, del ferro battuto e del rame. All’era luminosa della Serenissima fecero seguito un breve periodo di governo dei nobili Carbonara, feudatari di re Manfredi di Svevia, e il dominio degli Annibaldi e dei Minutolo, fedeli luogotenenti degli Angiò.

Una tradizione di successo

Del notevole sviluppo delle attività artigianali beneficiò in primo luogo la produzione delle campane, destinata a trasformarsi in uno dei simboli della tradizione agnonese. Verso la fine del Medioevo, in questa attività altamente specializzata si misero in luce un artigiano locale, Giuseppe Campato e, soprattutto, la famiglia Marinelli: quest’ultima diede vita a un’industria vera e propria, facendosi cono90

BORGHI D’ITALIA

scere e apprezzare anche al di fuori dei confini del borgo. Quella dei Marinelli di Agnone è una delle piú antiche fonderie del mondo e, nel Trecento, sfornò la sua prima creazione: una campana del peso di circa 2 quintali, commissionata da una chiesa del Frusinate. Nel XV secolo, con il dominio aragonese sul Meridione d’Italia, la produzione registrò un significativo incremento, e gli splendidi manufatti dei Marinelli arrivarono a far sentire i propri rintocchi nell’intera Penisola. Nel 1924, la fonderia ricevette l’imprimatur della Santa Sede, che autorizzò l’apposizione dello stemma pontificio sulle campane. Tuttavia, il prestigio conquistato nei secoli da Agnone non fu solo frutto della sua fiorente industria fondiaria, ma anche della progressiva affermazione politica. Nell’Ottocento, infatti, al tempo del Regno delle Due Sicilie, il borgo figurava nell’elenco delle città dette «regie», dotate cioè di propri organi di governo – il sindaco, i giudici – e soggette direttamente all’autorità del sovrano: si trattava di località che rive-


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PESCHE

L’esistenza, in epoca normanna, di un abitato nell’area di Pesche è attestata dalle fonti. Situato oggi nella provincia di Isernia, sui fianchi del monte San Bernardo, il borgo si sviluppò ai piedi della sua fortezza (nella quale gli abitanti potevano rifugiarsi in caso di pericolo), che si configura come un recinto fortificato e della quale si conservano una parte delle mura e alcune torri. Nel XII secolo, il territorio passò sotto il controllo di un nobile locale, Guglielmo di Pesclo e, in seguito, legò il suo destino sempre piú strettamente all’abbazia di Montecassino, subendo solo per un breve periodo il dominio di Ligorio Carafa, presto costretto ad abbandonarlo per le pressioni di papa Urbano VI. Tornato fra i possedimenti di Montecassino, il borgo fu gravemente danneggiato da un sisma dopo la metà del Quattrocento. Oltre alla rocca, si possono ammirare varie chiese databili al Medioevo e al Rinascimento – S. Michele, S. Giovanni Battista, S. Maria del Rosario –, nonché l’ex monastero benedettino. INFO http://egov.hseweb.it/pesche; www.iserniaturismo.it

Nella pagina accanto, in alto un artigiano agnonese impegnato nella preparazione della forma di fusione di una campana. Nella pagina accanto, in basso la facciata della chiesa trecentesca di S. Emidio.

In alto veduta del borgo di Pesche (Isernia), che si sviluppò lungo il pendio sottostante la sua fortezza, concepita come un recinto fortificato, cinto da mura scandite da torri.

stivano un’importanza strategica all’interno dei confini del regno e per questo esentate da qualsiasi sudditanza di tipo feudale.

Monumenti religiosi e civili

La struttura urbanistica di Agnone ha preso forma nell’area compresa fra le antiche chiese di S. Marco (XI-XII secolo), S. Nicola (X secolo, poi ristrutturata nel Trecento) e S. Pietro Apostolo (X-XI secolo). Altri notevoli luoghi di culto sono la trecentesca chiesa di S. Francesco, eletta Monumento Nazionale, la cui facciata conserva un rosone e portale a sesto acuto, mentre gli interni risentono degli interventi effettuati in epoca rinascimentale; la chiesa di S. Emidio, anch’essa eretta nel XIV secolo con forme tipicamente gotiche; S. Biase (XI secolo), S. Amico (XII-XIII secolo) e S. Chiara (XV secolo). La chiesa di S. Antonio Abate (databile secondo una tradizione al XII secolo), invece, evidenzia imponenti architetture di epoca posteriore, come il campanile settecentesco, ma custodisce dipinti dell’VIII secolo.

Nel corso del Medioevo, sorsero inoltre edifici funzionali alle attività artigianali in continua espansione. Al pianterreno di uno dei piú celebri palazzi cittadini, la Casa Nuonno (XIV secolo), ornato da una splendida bifora gotica, si trovavano locali adibiti a botteghe, fra cui quella di un orafo. Meritano quindi una menzione il quattrocentesco Palazzo Apollonio, dalla cui facciata si protende un leone in pietra – con funzione di reggiscudo –, che evoca i già citati trascorsi veneziani del borgo, il trecentesco Palazzo Fioriti, la Casa Bonanni (XV secolo) e la Casa Santangelo (XVI secolo).

DOVE E QUANDO AGNONE Ufficio Informazioni e Accoglienza Turistica corso Vittorio Emanuele 78 Info tel. 0865 77249; e-mail: proloco.agnone@gmail.com; www.prolocoagnone.com

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CAMPANIA

Sant’Agata de’ Goti Casanova è passato di qui


S

ulle prime propaggini del Monte Taburno, in cima a uno sperone di tufo, si staglia Sant’Agata de’ Goti. Nel suo territorio, in epoca antica, era sorto il villaggio sannitico di Saticula, la cui presenza è attestata da ritrovamenti archeologici e dalle testimonianze di Tito Livio e Virgilio, e che, nel 313 a.C., divenne colonia di Roma. Quasi mille anni piú tardi, Saticula subí gli attacchi di Unni e Goti e da questi ultimi, secondo un’ipotesi suggestiva ma controversa, avrebbe tratto il proprio toponimo: dopo la battaglia combattuta ai piedi dei Monti Lattari (lo scontro, nell’ottobre del 552, vide la vittoria dei Bizantini di Narsete sulle truppe guidate dal re goto Teia, che trovò la morte sul campo), infatti, un gruppo di Goti avrebbe trovato rifugio nel sito in cui sorge l’odierna Sant’Agata e vi si sarebbe fermato per alcuni anni.

Piú certa si rivela, invece, la presenza dei Longobardi, che elessero il borgo a gastaldato, alle dipendenze del Ducato di Benevento, come risulta in un documento del 568. Schieratosi con i Bizantini, il paese subí nell’866 l’assedio delle truppe dell’imperatore carolingio Ludovico II, il Giovane, e alla fine capitolò.

Sede vescovile e poi di contea

Sede vescovile nel secolo seguente, fu poi conquistata dai Normanni, durante la cui dominazione rivestí il prestigioso ruolo di sede di contea, con a capo Rainolfo, fratello del principe di Capua Riccardo I. In questa fase venne eretto uno dei suoi monumenti simbolo, il duomo romanico, che oggi si mostra in forme prevalentemente barocche, frutto delle successive ristrutturazioni. Nel 1230, il territorio passò sotto il controllo

Sant’Agata de’ Goti (Benevento). Il borgo campano, noto come la «perla del Sannio», ebbe un ruolo politico prestigioso al tempo della dominazione longobarda e poi di quella normanna e molte delle sue abitazioni conservano un’impronta medievale.

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CAMPANIA

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Sant’Agata de’ Goti


semicerchio della lunghezza di circa 1 chilometro, sono il risultato di stratificazioni succedutesi fin dall’Alto Medioevo. Di impianto longobardo è la chiesa di S. Angelo in Munculanis, che, nel Novecento, ha riacquisito le sue forme medievali grazie al restauro di cui è stato fatto oggetto. La struttura, a pianta basilicale, tripartita, presenta colonne databili all’epoca longobarda, sopra le quali si erge la torre campanaria ornata da monofore e bifore. Anche il duomo, dedicato a S. Maria Assunta, è di origini altomedievali (970), ma ha subito profondi rimaneggiamenti, assumendo forme romaniche a partire dal XII secolo, e una piú evidente fisionomia barocca nel Sei-Settecento, frutto di ristrutturazioni attuate anche per riparare ai notevoli guasti causati da vari terremoti.

Un affresco come monito

dello Stato Pontificio, al quale fecero seguito il governo dei nobili Siginulfo e, soprattutto, degli Artus, famiglia di origine francese fedele agli Angioini. Nel Trecento, un’altra dinastia francese legò i suoi destini a quelli del borgo sannita: i De Goth, dai quali – secondo un’ipotesi alternativa a quella poc’anzi ricordata – potrebbe discendere il toponimo di Sant’Agata de’ Goti, che comparve nella sua forma completa solo a partire dalle cronache del XIV secolo. Alla fine del Medioevo e in età rinascimentale, si succedettero altre dominazioni, sempre di casate aristocratiche: prima i Della Ratta, in seguito, gli Acquaviva, i Ram e i Cosso. Nel Cinquecento, fu vescovo di Sant’Agata Felice Peretti, destinato a diventare papa Sisto V e che qui compose gran parte delle sue opere. Il Seicento, infine, vide l’egemonia politica dei Carafa che durò fino al 1806: nel corso della loro amministrazione, sulla cattedra vescovile locale sedette Alfonso Maria de’ Liguori, futuro santo. E, nello stesso secolo, il borgo accolse anche l’avventuriero e scrittore veneziano Giacomo Casanova (1725-1798). Le testimonianze architettoniche di Sant’Agata de’ Goti, il cui centro storico ha una pianta a

In alto la Porta San Marco, databile al XV sec., che si apre lungo l’odierna via Riello, un percorso che descrive una sorta di circonvallazione interna al borgo. Nella pagina accanto il Giudizio Universale, affresco quattrocentesco che decora la controfacciata della chiesa dell’Annunziata di Sant’Agata de’ Goti, opera di artista campano, forse identificabile con Ferrante Maglione.

La chiesa di S. Menna, invece, si presenta sostanzialmente inalterata: databile al XII secolo e consacrata da papa Pasquale II, conserva il portale romanico originario e, all’interno, custodisce i resti di uno splendido pavimento musivo, considerato tra i piú antichi del Meridione d’Italia. Gioiello dello stile gotico è la chiesa dell’Annunziata, la cui fondazione risale al XIII secolo: ascrivibile al periodo duecentesco è l’abside, mentre il resto dell’edificio, a una navata, è l’esito delle ristrutturazioni promosse nel Quattrocento, quando vennero anche realizzati i pregevoli affreschi che decorano l’interno, tra cui il Giudizio Universale. La grande composizione occupa l’intera controfacciata dell’edificio: l’intento era evidentemente quello di far sí che i fedeli, a conclusione delle funzioni, uscendo dalla chiesa, si trovassero di fronte, come monito, la rappresentazione del destino che attende i cristiani dopo la morte. Nel Duecento si colloca anche la fondazione della chiesa di S. Francesco, poi ristrutturata in stile barocco, legata alla tradizione secondo la quale, suonare con la mano destra il batacchio della sua campana, sarebbe garanzia di lunga vita. Tra le architetture civili, spiccano il castello ducale, di epoca longobarda, ma con rifacimenti di età normanna, il palazzo vescovile e il municipio (XIII secolo), collegato alla chiesa di S. Francesco.

DOVE E QUANDO SANT’AGATA DE’ GOTI Comune, piazza Municipio 1 Info tel. 0823 718211; www.santagatadegoti.net/turismo/turismo.htm

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Altri borghi

CAMPANIA

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Sant’Agata de’ Goti

SESSA AURUNCA

Municipium romano dal 90 d.C., Sessa Aurunca fu una città potente e il suo abitato aveva dimensioni molto piú estese del perimetro odierno. Dopo la caduta dell’impero, visse una lunga fase di declino, ma nel V secolo risultava compresa nell’elenco delle sedi vescovili campane. Tornò agli antichi fasti nel Basso Medioevo, a partire dal Trecento, quando la nobile famiglia dei Marzano, una delle piú influenti nel Regno di Napoli, ne fece la capitale del proprio ducato. Ai Marzano subentrarono i potenti De Corduba, aristocratici spagnoli che nel Cinquecento assicurarono a Sessa Aurunca ulteriore prestigio politico. Molto ricca è l’area archeologica, con il teatro romano, la fontana monumentale e i resti delle terme. E altrettanto significative sono le testimonianze di epoca medievale, tra le quali spiccano la Torre di San Biagio (XIII secolo) e il castello ducale, di impianto normanno-svevo, nel quale si trovano tracce di precedenti strutture di epoca longobarda. Risale al XII secolo la fondazione della cattedrale romanica, intitolata ai santi Pietro e Paolo: ristrutturata nel Settecento, conserva, tuttavia, il pavimento cosmatesco originario. È invece trecentesca la chiesa di S. Giovanni a Villa. Meritano infine una menzione i templi di S. Eustachio, S. Agostino e S. Carlo, di impianto rinascimentale e barocco. INFO tel. 392 1082779; www.prolocosessaaurunca.it

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CUSANO MUTRI

Agli inizi del Medioevo, nel territorio in cui – in età antica – era attestata l’esistenza dell’insediamento sannitico di Cossa, sorse un castrum. Nell’VIII secolo, qui si stabilí una comunità di monaci benedettini, che promosse la costruzione di vari luoghi di culto, ma il primo, consistente, sviluppo dell’abitato si ebbe con l’avvento dei Normanni e nuove architetture videro la luce nel tardo Medioevo. I secoli dell’età di Mezzo sono oggi testimoniati dai resti del castello e dalle numerose chiese e abitazioni, poste lungo i vicoli del centro storico. Tra le piú significative, vi sono: la chiesa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, la cui struttura originaria risale al VI secolo, ma che oggi si mostra in forme perlopiú seicentesche; la chiesa di S. Nicola (XII secolo) a tre navate; la chiesa di S. Maria del Castagneto, la cui prima fondazione è databile all’epoca altomedievale. INFO www.comune.cusanomutri.bn.it


VAIRANO PATENORA

In questa pagina veduta di Vairano Patenora (Caserta), dominata dai resti del quattrocentesco castello aragonese. Nella pagina accanto, in alto la Porta di Mezzo del borgo di Cusano Mutri (Benevento). Nella pagina accanto, in basso il castello ducale di Sessa Aurunca (Caserta), di impianto normanno-svevo.

Il borgo di Vairano Patenora fu colonizzato in epoca altomedievale dai Longobardi, ma furono i Normanni a dotarlo delle prime vere fortificazioni: nell’XI secolo, su un rilievo collinare sorse il castello, che, nel 1193, fu in grado di resistere all’assedio delle truppe di Enrico VI di Svevia e dell’abate di Montecassino Roffredo dell’Isola. L’iniziativa militare dell’imperatore rientrava nella piú vasta strategia di attacco alle terre che avevano scelto di allearsi con il nemico Tancredi, re di Sicilia. Nel XIII secolo il borgo raggiunse la sua massima estensione e anche un certo rilievo politico, attestato dal soggiorno tra le sue mura di personalità del calibro di Federico II e del pontefice Gregorio X. Vairano fu gravemente danneggiata nel Quattrocento, dalle incursioni del condottiero Giovanni Maria Vitelleschi e dei nobili avversi ai nuovi dominatori aragonesi. Gli Spagnoli ricostruirono la rocca e le fortificazioni a partire dal 1491. Tra le architetture medievali spiccano anche i resti dell’abbazia della Ferrara (XII secolo), nella quale visse per un periodo il giovane frate Pietro Angelerio, futuro papa Celestino V; la chiesa di S. Tommaso e la chiesa della Madonna di Loreto. INFO www.comune.vairano-patenora.ce.it

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PUGLIA

Monte Sant’Angelo San Michele aveva un... toro 98

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P

olo fra i piú importanti del culto micaelico, Monte Sant’Angelo, si sviluppò sulla sommità di uno sperone che ne fa il borgo piú elevato del Gargano, a 843 m. L’abitato si estende a ridosso del santuario che, secondo la tradizione, sarebbe stato eretto nel luogo indicato dall’«Arcangelo guerriero». Vuole la leggenda che, nel 490, un pastore in cerca di un toro fuggito dalla sua mandria, lo scorse dentro una grotta impervia e, non riuscendo ad accedervi, decise di abbattere l’animale con un colpo di freccia. Il dardo scoccato dal suo arco, però, assunse una traiettoria imprevedibile e, virando all’improvviso, tornò indietro, ferendo il pastore ad una gamba. Terrorizzato per il prodigio, l’uomo corse dal vescovo della vicina Siponto – che in alcune versioni del racconto viene identificato con san

Lorenzo Maiorano – e gli riferí l’accaduto. Appresa l’inspiegabile vicenda, il porporato dispose solo un breve periodo di penitenza per la popolazione e, nell’ultimo giorno previsto di preghiera, ebbe un’apparizione: vide in sogno san Michele Arcangelo, il quale gli rivelò di aver scelto quella grotta come luogo sacro e chiese di dedicarla al culto cristiano.

L’apparizione respinge l’invasore

Piú tardi, il sito venne elevato ufficialmente a santuario, dopo altre due presunte apparizioni di san Michele, una delle quali aveva consentito a Siponto di salvarsi dall’invasione degli Eruli, guidati dal generale Odoacre (434-493). Nell’VIII secolo, anche i Longobardi divennero devoti di san Michele Arcangelo, nei cui attri(segue a p. 102)

Monte Sant’Angelo (Foggia). Veduta dell’antico rione Junno, con le tipiche case unifamiliari a schiera. L’abitato del borgo si estese progressivamente nel Medioevo intorno alla struttura del celebre santuario dedicato a san Michele Arcangelo.

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PUGLIA

Monte Sant’Angelo

QUASI UN LABIRINTO

In alto particolare della facciata del santuario di S. Michele Arcangelo, a Monte Sant’Angelo. Tra due piccoli rosoni, la statua dell’Arcangelo.

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Sulle due pagine spaccato assonometrico del santuario di Monte Sant’Angelo, costruito, tra la fine del V e l’inizio del VI sec., per iniziativa del vescovo di Siponto, sopra una grotta naturale, sul luogo delle apparizioni dell’Arcangelo Michele.

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. CAPPELLA DEL SANTISSIMO SACRAMENTO 1 2. CRIPTA E ALTARE DELL’ARCANGELO 3. PORTE BRONZEE 4. ATRIO INTERNO 5. ATRIO ESTERNO 6. TORRE ANGIOINA

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PUGLIA

Monte Sant’Angelo buti guerrieri rivedevano le virtú belliche del dio pagano Wotan. Durante la loro dominazione sorsero i primi edifici del santuario, al quale cominciarono ad affluire pellegrini provenienti non soltanto dal Meridione della Penisola, ma anche dal Settentrione e alcuni addirittura dal Nord Europa.

Sulla via della Terra Santa

Nel IX secolo, dopo i danni causati dalle invasioni saracene, il santuario fu rapidamente ricostruito per iniziativa del re franco Ludovico II e, in seguito, si configurò come avamposto strategico della Chiesa di Roma, in una zona di confine con i domini bizantini, trasformandosi quindi in una tappa obbligata per i crociati diretti in Terra Santa. Proprio in quel periodo, intorno al santuario, cominciò a prendere forma un abitato: nacquero le cosiddette «mansioni», rifugi per il soggiorno temporaneo dei pellegrini, La statua in pietra che ritrae san Michele Arcangelo mentre schiaccia Satana, collocata nell’edicola sulla facciata del santuario (vedi foto a p. 100, in alto).

DOVE E QUANDO MONTE SANT’ANGELO Info www.turismomontesantangelo.it


La cripta di S. Michele Arcangelo, sul cui altare è collocata la statua in alabastro dell’angelo che sguaina la spada contro il diavolo, opera del Sansovino. 1507.

che con il passare degli anni furono trasformate in abitazioni vere e proprie. Alle soglie dell’anno Mille, il borgo era presumibilmente costituito da un piccolo nucleo di case, situate nella zona che oggi corrisponde al vecchio quartiere Junno. Passato sotto la dominazione normanna, il paese venne protetto da architetture militari imponenti, da mura, in parte ancora visibili, e da un castello, ampliato in epoche successive. L’anima medievale piú profonda di Monte Sant’Angelo si ritrova in alcuni edifici del suo santuario. Delle strutture primitive, restano le cripte longobarde (VII-VIII secolo), scoperte in seguito a scavi effettuati tra il 1949 e il 1960 e che, anticamente, fungevano da accesso alla grotta. La facciata dell’atrio, invece, risale all’Ottocento, come il portale di sinistra, mentre quello di destra presenta elementi decorativi trecenteschi. Accanto alla facciata si staglia lo splendido campanile ottagonale, innalzato nel Duecento e voluto da Carlo I d’Angiò in omaggio all’Arcangelo Michele, la cui intercessione, nelle convinzioni del sovrano, sarebbe stata decisiva nella conquista francese del Meridione d’Italia. Negli ambienti sotterranei si trovano la statua cinquecentesca del santo, opera di Andrea Sansovino e la cosiddetta «cattedra episcopale», databile alla metà dell’XI secolo.

Il battistero «trasformato» in tomba

Della Monte Sant’Angelo medievale sono poi testimonianza la chiesa di S. Giovanni in Tumba, piú nota come Tomba di Rotari, che risale al

XII secolo. Si tratta di uno dei monumenti piú singolari della cittadina pugliese: la sua attribuzione al re longobardo nacque dall’errata interpretazione di un’iscrizione letta all’interno dell’edificio, nella quale compaiono i nomi dei fondatori: un Rodelgrimo, da Monte Sant’Angelo, e un Pagano, oriundo di Parma, ma cittadino di Monte, citati anche in un documento del 1109 come cognati. È probabile che la struttura fosse stata concepita come battistero della vicina chiesa di S. Pietro, la piú antica del borgo, ricostruita in epoca ottocentesca. Da non perdere sono poi la vicina chiesa di S. Maria Maggiore (XI secolo); la chiesa di S. Salvatore, di epoca longobarda, situata nel quartiere Junno; di origine altomedievale è anche il tempio di S. Apollinare, nel quale sono rinvenibili tracce della costruzione originaria; infine, le trecentesche chiese di S. Francesco d’Assisi e di S. Benedetto. Distante pochi chilometri dal borgo di Monte Sant’Angelo, ma compresa nel territorio del Comune, è l’abbazia di S. Maria di Pulsano, ricavata nella roccia nel VI secolo e, ampliata nel Duecento. La rocca, nella parte piú alta del paese, ha origini altomedievali, ma fu piú volte rimaneggiata nelle epoche sveva, angioina e aragonese. Utilizzata soprattutto come carcere, svolse alla fine del Medioevo una funzione piú propriamente militare, testimoniata dalle modifiche apportate dall’architetto Francesco di Giorgio Martini (1439-1501), che misero il complesso in condizioni di resistere alle armi da fuoco. BORGHI D’ITALIA

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Altri borghi

VICO DEL GARGANO

Una delle prime comunità a stanziarsi sul territorio di Vico del Gargano fu un gruppo di Slavi, al quale i Bizantini aveva assegnato il gravoso incarico di fermare l’avanzata dei Saraceni sul territorio. La missione fu compiuta con successo nel 970 e, come ricompensa, ai valorosi combattenti venne data la facoltà di stabilirsi nel sito in cui oggi sorge il borgo. Pochi anni piú tardi, nel Gargano irruppero i Normanni, che in quell’insediamento fecero edificare una rocca e alcuni luoghi di culto. Nel Duecento, gli Svevi ampliarono il castello e, nello stesso secolo, il piccolo abitato venne ulteriormente protetto, innalzando una cinta muraria e numerose torri. Proprio il castello e le mura rappresentano le piú evidenti sopravvivenze medievali di Vico: nella rocca, di pianta quadrangolare, sono visibili gli interventi realizzati dagli Svevi e dagli Aragonesi. In ambito religioso, merita una menzione la chiesa di S. Marco (XIII-XIV secolo). INFO www.viaggiareinpuglia.it

SANT’AGATA DI PUGLIA

Avamposto chiave del Ducato di Benevento in periodo altomedievale, Sant’Agata di Puglia, nell’XI secolo, divenne dominio dei Normanni, ma si ribellò ai nuovi conquistatori. In realtà fu un normanno stesso, Abelardo, a porsi a capo di una rivolta popolare contro il duca Roberto il Guiscardo, costringendo quest’ultimo a sedare l’insurrezione con la forza. Per la sua posizione strategica, su un’altura che dominava tutto il Foggiano, il borgo rivestí un ruolo di primo piano per le popolazioni che lo governarono in seguito, gli Svevi e gli Angioini. Tale prestigio trova riscontro nella decisione di Carlo d’Angiò di utilizzarne il castello come residenza. Sant’Agata di Puglia fu poi governata dalle potenti famiglie degli Orsini e dei Loffredo. Il borgo odierno ha una tipica fisionomia medievale ed è protetto da una doppia cinta muraria: la prima, che racchiude il castello, risale al periodo longobardo, mentre la seconda, di epoca bassomedievale, presidia una parte dell’abitato sottostante. La rocca, rimaneggiata per adibirla a palazzo ducale, conserva ancora sezioni di epoca medievale, come per esempio le torri quadrangolari. Tra le chiese piú antiche si segnalano la chiesa Matrice S. Nicola e la chiesa di S. Andrea. INFO tel. 0881 984433; www.comune.santagatadipuglia.fg.it

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In basso Sant’Agata di Puglia (Foggia). La chiesa di S. Andrea, costruita in età bizantina e poi rimaneggiata in periodo tardo-medievale.

Uno dei bastioni del castello di Vico del Gargano (Foggia), monumento simbolo del borgo: la fortezza, costruita dai Normanni, venne poi ampliata dagli Svevi e dagli Aragonesi.


CISTERNINO

Alcuni monaci basiliani si stanziarono sul sito dell’odierna Cisternino in età altomedievale e costruirono un edificio sui resti di quello che anticamente era un importante insediamento romano, nel luogo in cui oggi sorge la chiesa Madre di S. Nicola. Il borgo del Brindisino fu a lungo sotto l’amministrazione del vescovo di Monopoli, prima di essere conquistato, nel XV secolo, dalle truppe della Repubblica di Venezia e poi dagli Spagnoli. Tra i principali monumenti del centro storico, il cui aspetto è caratterizzato dal bianco intenso delle abitazioni, spiccano la torre normanno-sveva (XI-XII secolo), ristrutturata nel Trecento, la Torre Amati, la chiesa Madre di S. Nicola (XII secolo), costruita sulle rovine del tempio bizantino altomedievale, e il cinquecentesco Palazzo Vescovile. INFO www.comune.cisternino.br.it; www.viaggiareinpuglia.it

Qui sopra la medievale Torre Amati di Cisternino (Brindisi), una delle sopravvivenze del sistema di difesa concepito dagli Angioini nel periodo della loro dominazione sul borgo.

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BASILICATA

Acerenza Sentinella della Lucania

C

itata da autori come Tito Livio e Orazio, Acheruntia era una delle «sentinelle» della Lucania antica e, nel tempo, il suo ruolo strategico non venne mai meno: nell’Alto Medioevo – come si apprende dallo storico bizantino Procopio di Cesarea – Acerenza fu, infatti, un presidio ostrogoto, conquistato dal re Totila e difeso da una nutrita milizia. Occupato poi dai Longobardi, il borgo perse le sue mura, abbattute per ordine di Carlo Magno, ma ciò non gli impedí d’essere scelto come capoluogo di un importante gastaldato, il cui controllo era conteso dal principato di Salerno 106

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e da quello di Benevento. Nel X secolo, il territorio passò sotto il dominio bizantino e divenne uno degli avamposti chiave nella lotta tra la Chiesa di Roma e Costantinopoli per l’egemonia politico-religiosa sul Meridione d’Italia.

Nel nome della Vergine e del vescovo

Nell’XI secolo, i Normanni sottomisero il Sud della Penisola e Acerenza entrò a far parte dei possedimenti del cavaliere Asclettino I, finendo poi direttamente sotto il controllo di Roberto il Guiscardo. Anche i Normanni intuirono le potenzialità strategiche della roccaforte lucana e la

Sulle due pagine veduta del borgo di Acerenza (Potenza), con il profilo della cattedrale, uno degli edifici di culto medievali piú imponenti dell’intero Meridione. Nella pagina accanto le misteriose figure animali e umane intrecciate, che ornano il portale della cattedrale lucana.


inglobarono nella contea di Puglia, ma non la elessero capitale, accordando tale privilegio alla vicina Melfi. Durante il loro governo, sorse il monumento simbolo del borgo, la cattedrale intitolata a santa Maria Assunta e a san Canio Vescovo, uno dei piú imponenti luoghi di culto medievali dell’intero Meridione. Dopo un breve periodo di autonomia, nell’era svevo-angioina Acerenza conservò il suo ruolo centrale nelle vicende politiche della Lucania. I Francesi la nominarono «città regia», mentre in seguito fu proprietà dei Sanseverino, dei Durazzo, dei Barnota e dei BORGHI D’ITALIA

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BASILICATA

La chiesa acerentina di S. Vincenzo, di fondazione medievale. Il borgo rivestí un importante ruolo politico-religioso, trovandosi in una zona di confine tra le circoscrizioni ecclesiastiche della Chiesa romana e quelle di rito orientale.

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Acerenza

Morra. Passato sotto gli Aragonesi, il borgo imboccò la via del declino, culminata nel Rinascimento con un’era di instabilità, caratterizzata da lotte tra potenti feudatari e da conflitti tra autorità ecclesiastiche. Il patrimonio monumentale di Acerenza comprende soprattutto architetture religiose, prima fra tutte la già citata cattedrale, edificata nell’XI secolo dopo la concessione papale della dignità di metropolita al vescovo locale, con il chiaro obiettivo di rafforzare la presenza della Chiesa di Roma in un territorio situato al confine con le circoscrizioni ecclesiastiche di rito greco. Co-

struita sul sito di una precedente chiesa paleocristiana e di un tempio pagano dedicato ad Ercole Acheruntino, ha mantenuto in parte l’aspetto romanico delle origini, con la tipica pianta a croce latina.

Un accoppiamento misterioso

Interventi attuati nel XIII secolo ne modificarono la facciata, oggi composta da due spioventi, mentre sul lato destro si erge la torre campanaria, rimaneggiata nel Cinquecento. Alla fase della prima costruzione risale, invece, il portale mediano in stile romanico-pugliese, in partico-


noto come Dracula – fuggita dalla Romania prima dell’arrivo dei Turchi. All’XI secolo si data la chiesa di S. Laviero Martire (detta anche del Purgatorio), dedicata ad un martire locale (messo a morte al tempo dell’imperatore Costantino e le cui origini, in realtà, vengono rivendicate anche dalle cittadine di Teggiano e Ripacandida) che è anche patrono di Acerenza, insieme a san Canio, mentre risale al Duecento la chiesa dell’Annunziata. Un’antica chiesa rupestre, compresa nel territorio del Comune, nella contrada Sant’Angelo, viene ritenuta connessa al culto micaelico diffusosi nel Gargano all’inizio del Medioevo e, nel XIII secolo, fu proprietà dell’ordine monastico degli Ospedalieri di San Giovanni da Gerusalemme. Nel centro del borgo, accanto a palazzi settecenteschi, si incontrano altre testimonianze del glorioso periodo medievale: l’ex castello, che risultava già presente in epoca longobarda, poi ristrutturato nel Duecento, e il Palazzo della Pretura (XVI secolo).

In basso scultura raffigurante un leone, che orna lo spigolo sinistro della facciata della cattedrale di Acerenza. La chiesa, costruita nell’XI sec., venne poi completata nel XIII sec.

In alto San Geminiano, vescovo di Modena, tiene il modellino della città di cui è patrono, particolare della pala d’altare di San Geminiano. Tempera su tavola di Taddeo di Bartolo (1362-1422). 1401-1403

lare la cornice. Curioso è l’ornamento delle due colonne che sorreggono l’arco del portale, sostenute da figure animali (presumibilmente scimmie) e umane, secondo alcune interpretazioni intente a compiere atti sessuali. All’interno sono custoditi un polittico con Storie della Vergine e una Pietà del XVI secolo. Cinquecentesca è anche la cripta, posta al di sotto del presbiterio, realizzata per volere della famiglia Ferrillo e, in particolare, di Giacomo Alfonso Ferrillo e di sua moglie Maria Balsa, che ricostruzioni leggendarie identificano con la figlia del conte Vlad III di Valacchia – comunemente

DOVE E QUANDO ACERENZA Accoglienza Turistica-Presidio Turistico APT Info tel. 329 4233465; e-mail: info@prolocoacerenza.it; www.prolocoacerenza.it

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Altri borghi 110

TRICARICO

Avamposto fortificato del Materano, Tricarico conserva nel suo nucleo piú antico i segni di un armonico intreccio tra culture. Lo testimoniano in primo luogo le sue architetture, mirabili per la compresenza di stili che rievocano i vari domini succedutisi nel corso dei secoli: dai Longobardi ai Saraceni, dai Bizantini ai Normanni. Nel Quattrocento, il paese aveva tra i propri residenti anche una nutrita comunità ebraica, mentre nel Cinquecento si popolò di Albanesi; quest’ultimo fenomeno migratorio si verificò in seguito all’insediamento, come feudatario della zona, di Erina, nipote dell’eroe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg. Il rilevante ruolo politico e la rinomanza di cui Tricarico godeva nel periodo tardomedievale e rinascimentale trovano conferma nella sua presenza tra i luoghi illustrati dalla celebre raccolta di mappe curata da Frans Hogenberg e Georg Braun, Civitates orbis terrarum (XVI-XVII secolo). Nella fisionomia del borgo prevalgono oggi le tracce della dominazione islamica e normanna: i quartieri storici della Ràbata e della Saracena presentano la struttura tipica della casba, quelli del Piano e del Monte, invece, sorsero in epoca normanna. Fra i monumenti di maggiore rilievo, possiamo ricordare la torre normanna (XI secolo), che nell’età di Mezzo costituiva il mastio di un imponente castello in seguito trasformato in convento; il Palazzo Ducale trecentesco, oggetto di ampie ristrutturazioni nel Seicento; i tratti delle mura, alcune porte, le torri e gli orti terrazzati dei quartieri arabi (X secolo); la cattedrale romanica di S. Maria Assunta (XI secolo, in seguito rimaneggiata); la chiesa e il convento di S. Francesco d’Assisi (XIV secolo); il quattrocentesco convento di S. Antonio da Padova e il trecentesco convento di S. Chiara. INFO tel. 393 1090808; www.prolocotricarico.it

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Sulle due pagine veduta di Tricarico (Matera), la cui fisionomia mostra la compresenza di culture e stili diversi. In basso, a sinistra la mappa del borgo compresa nella raccolta Civitates orbis terrarum (XVI-XVII sec.), curata da Frans Hogenberg e Georg Braun.


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CALABRIA

Stilo La Bisanzio dello Jonio 112

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A

lture e mare sono i principali elementi identitari di Stilo: il monte, in particolare, è il Consolino, che nel VII secolo assicurò un rifugio sicuro alle popolazioni aggredite via mare dai Saraceni. Il nome dell’insediamento è attestato a partire dal 982, quando Stilo sarebbe stata teatro di una celebre battaglia, combattuta tra le truppe del sovrano Ottone II e l’esercito arabo dell’emirato della Sicilia, conclusasi con la vittoria dei secondi (altre ipotesi collocano lo scontro a Capo Colonna, promontorio a sud di Crotone).


La crescita dell’influenza politica di Stilo fu graduale ed ebbe inizio con la dominazione bizantina, per poi proseguire con l’arrivo dei Normanni. Questi ultimi, elevandolo a «regio demanio», garantirono al borgo una prima forma di autonomia territoriale e amministrativa, un privilegio conservato anche durante il periodo svevo e angioino. All’occorrenza, il paese fu capace di opporsi a quanti cercarono di assoggettarlo e l’anelito indipendentista ebbe il merito di rafforzare la coesione della comunità. L’impronta piú profonda nella tradizione e nel-

la cultura locali è quella lasciata dai Bizantini, a partire dal X secolo: alla fine dell’Alto Medioevo, infatti, una comunità di eremiti e monaci basiliani si stabilí sulle pendici del Monte Consolino e la loro presenza è oggi testimoniata dai resti di affreschi databili a quel periodo, rinvenuti all’interno di alcune grotte. Integratisi nella vita sociale, i religiosi concepirono il monumento piú celebre di Stilo, la Cattolica, chiesa che si annovera tra le piú alte espressioni dell’architettura bizantina del Sud Italia. I Normanni, in seguito, misero mano alla forti-

Stilo (Reggio Calabria). Le caratteristiche cupole della Cattolica, edificata nel X sec. da una comunità di monaci basiliani.

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CALABRIA

Stilo

ficazione del borgo – innalzando innanzitutto la rocca –, che poté cosí superare una fase particolarmente turbolenta della storia calabrese.

Il filosofo guida la rivolta

Anche durante i governi angioino e aragonese Stilo rivestí un’importante funzione strategica nell’odierna area del Reggino, mentre in epoca rinascimentale i suoi abitanti osarono rivoltarsi contro i dominatori spagnoli. A guidare l’insurrezione, nel 1599, fu il figlio piú illustre di Stilo, il filosofo Tommaso Campanella (1568-1639), il quale incitò la popolazione a ribellarsi all’oppressore aragonese, cercando l’appoggio del potere ecclesiastico e dei nobili. Tradito da alcuni seguaci, il pensatore venne però arrestato e la rivolta fu repressa con la forza. Molti sono i tesori dell’età di Mezzo e del Rinascimento che ancora risplendono nel borgo. In cima al Monte Consolino si trovano i resti del castello normanno, distrutto nel Cinquecento dai Francesi: di pianta quadrangolare, ha conservato tracce delle mura e alcune torri triangolari e circolari. Non lontano dalla rocca sorge il già citato baluardo della Calabria bizantina, la Cattolica, situato su un gradone dell’altura che sovrasta 114

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l’abitato. Il nome «Cattolica» deriva dall’originale denominazione greca di katholikí, che, secondo le regole della religione ortodossa, spettava alle chiese provviste di battistero. Il monumento colpisce soprattutto per il suggestivo amalgama fra la modestia delle dimensioni (il tempio è a pianta quadrata e misura appena 7,40 x 7,50 m) e l’originale elaborazione della sua architettura, sottolineata dalla copertura composta da cinque piccole cupole e dalla presenza di tre absidi. L’interno è suddiviso in nove spazi quadrati dalle quattro colonne (tre in marmo e una in granito) che reggono la cupola centrale e sono sormontate da capitelli in granito a piramide tronca, tipicamente bizantini. Gli affreschi che decorano la chiesa furono scoperti solo alla fine degli anni Venti, per merito dell’archeologo Paolo Orsi (18591935), e successive ricerche accertarono che sulle pareti si succedettero quattro diversi strati di pittura, l’ultima delle quali risale al XV secolo. La figura piú bella si trova nell’abside centrale ed è quella di un santo aureolato, con capelli ricci e barba; l’uomo indossa una lunga tunica a pieghe, sulla quale scende un mantello con croci nere dentro grandi riquadri: è stato identificato con san Giovanni Crisostomo che,


insieme a san Basilio e a san Gregorio, è uno dei grandi padri della Chiesa orientale.

Una scoperta recente

Tra le altre raffigurazioni si possono ammirare una Madonna dormiente attorniata dagli Apostoli, una Presentazione di Gesú al Tempio e un Cristo benedicente. Sulla colonna a sinistra dall’ingresso sono state recentemente scoperte iscrizioni in lingua araba, che potrebbero risalire all’XIXII secolo. Altri luoghi di culto di rito orientale si affiancarono a quello principale, ma solo alcuni di essi sono giunti fino a noi. Testimonianza di epoca bizantina è inoltre la piccola chiesa di S. Nicola da Tolentino. Anche il duomo appartiene alla storia della Stilo medievale: edificato nel XIV secolo, venne parzialmente ricostruito nel Settecento in seguito ai danni causati da un sisma. Tra le altre architetture dell’età di Mezzo, spiccano la quattrocentesca chiesa di S. Francesco, il duecentesco convento delle Clarisse, l’antica Porta Stefanina, il monastero di S. Giovanni il Vecchio (XV secolo), la chiesa di S. Domenico, anch’essa quattrocentesca, e la chiesetta rupestre della Madonna delle Grazie, che si trova al di fuori del borgo. In alto veduta di Stilo, il cui abitato si sviluppò sulle pendici del Monte Consolino in epoca altomedievale. Nella pagina accanto affresco del soffitto della Cattolica, raffigurante il Cristo Benedicente. A destra l’ingresso della Cattolica. Appaiono ben evidenti le piccole cupole (sono cinque in tutto) che caratterizzano la copertura della chiesa e ne costituiscono uno degli elementi architettonici piú originali.

DOVE E QUANDO STILO Info http://stilo.asmenet.it; http://www.turiscalabria.it

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Altri borghi

ALTOMONTE

Plinio il Vecchio citò un insediamento nel Reggino, Balbia, che sorgeva nei pressi del fiume Esaro, in un’area oggi compresa nel Comune di Altomonte. Nell’Alto Medioevo, in quel territorio si sviluppò un nuovo abitato, che occupò una posizione piú elevata dell’antico, cosí da potersi meglio difendere dalle incursioni saracene. Nell’XI secolo, i Normanni lo cinsero di fortificazioni piú adeguate e promossero l’edificazione di alcuni luoghi di culto, che ancora oggi rappresentano il biglietto da visita del borgo. Il XIV secolo fu un ulteriore periodo di splendore e vide susseguirsi la dominazione angioina, in particolare dei Sangineto, fedeli alleati di Carlo I d’Angiò, e quella dei Sanseverino. Situata in una suggestiva posizione, su un promontorio dal quale si possono ammirare le bellezze naturalistiche del Parco del Pollino e della Piana di Sibari, Altomonte, conserva intatto il suo fascino medievale. Il castello normanno (XI-XII secolo), che ha subito ritocchi in epoche successive, sorge ancora a guardia dell’abitato, insieme alla Torre dei Pallotta (XI secolo), ristrutturata nel Duecento. Nelle vicinanze sorge un edificio religioso di probabile origine bizantina, la chiesa di S. Giacomo Apostolo. La chiesa principale del borgo è S. Maria della Consolazione, una magnifica testimonianza dell’arte gotico-angioina (XIV secolo). Quattrocentesco è invece il convento domenicano, in piazza Tommaso Campanella, dove il filosofo potrebbe aver concepito la sua opera piú celebre, La città del sole. INFO www.comune.altomonte.cs.it; www.turiscalabria.it

A sinistra Altomonte (Cosenza), chiesa di S. Maria della Consolazione. Statua marmorea, particolare del sarcofago del conte Filippo Sangineto, realizzata da un allievo dello

MORANO CALABRO

Al confine con la Basilicata, Morano Calabro appare in tutta la sua imponenza dall’alto di uno sperone roccioso, sulla cui cima si stagliano il castello normanno e l’adiacente collegiata affacciati sulla valle del fiume Coscile. Nel Medioevo il borgo resistette eroicamente agli assedi dei Saraceni e, nel 1076, riportò una schiacciante vittoria sui musulmani nella battaglia detta di Petrafòcu, tuttora celebrata come uno degli eventi piú gloriosi della storia cittadina: nello stemma del Comune, infatti, compare la figura di un moro, in memoria di quel vittorioso scontro, al termine del quale i Moranesi esibirono come trofeo per le vie del centro la testa del capo nemico. In epoca normanno-sveva l’abitato si ingrandí e venne protetto con l’edificazione di un castello, poi ampliato agli inizi del Rinascimento. Della rocca oggi si conservano solo alcuni resti, tuttavia sufficienti per ammirare i tratti stilistici conferiti alla struttura dai Normanni, dagli Svevi e dal feudatario Pierantonio

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scultore senese Tino di Camaino. XIV sec. In basso Morano Calabro (Cosenza), chiesa di S. Bernardino. Affresco quattrocentesco di Aloisio de la Mensa.


Sanseverino, intenzionato a far assumere al fortilizio un aspetto simile a quella del Maschio Angioino di Napoli. Rilevanti testimonianze medievali sono inoltre la chiesa di S. Bernardino da Siena (XV secolo) e la collegiata dei SS. Pietro e Paolo (XI secolo, ma poi rimaneggiata in forme barocche), della quale spicca il campanile quadrangolare. Anche la collegiata di S. Maria Maddalena ha origini medievali e custodisce lo splendido Polittico Sanseverino (1477), opera del pittore veneto Bartolomeo Vivarini che sarebbe giunto in Calabria grazie appunto ai Sanseverino di Bisignano, signori di Morano e fondatori della già citata chiesa di S. Bernardino, particolarmente devoti al santo francescano e agli Osservanti. INFO www.comunemoranocalabro.it

A destra i resti del castello normanno-svevo di Morano Calabro. In basso il borgo di Pentedattilo (Melito Porto Salvo, Reggio Calabria), arroccato sul Monte Calvario.

PENTEDATTILO

Pochi chilometri separano Pentedattilo dalla punta dello stivale della Penisola italiana. Collocato sulle pendici del Monte Calvario, il borgo prende nome dalla curiosa forma che un tempo presentava il suo abitato: simile a una mano gigantesca, con le cinque dita aperte (dal greco penta daktylos). Abbandonata nel Settecento, Pentedattilo è parzialmente tornata a vivere grazie a un gruppo di artigiani che ha adibito a botteghe e laboratori alcuni vecchi edifici del paese. In epoca romana, si era qui sviluppato un importante presidio militare, creato per sfruttare la posizione strategica del sito, collocato sulla strada che conduceva al massiccio dell’Aspromonte. Agli inizi del Medioevo, l’insediamento cominciò a spopolarsi e visse una fase di declino almeno fino alla dominazione dei Normanni, i quali accorparono il borgo ad altre località limitrofe, costituendo una baronia. Venne quindi dotato di fortificazioni piú imponenti, tra cui un castello, rimaneggiato nel Cinquecento e del quale oggi si vedono pochi resti. In condizioni migliori sono la chiesa dei SS. Pietro e Paolo e quella della Madonna della

Candelora, mentre anche di un convento domenicano si conservano soltanto alcune porzioni delle strutture originarie. INFO www.turiscalabria.it

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SICILIA

Caccamo Echi di un’antica congiura 118

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D

efinita «Cartagine siciliana» dallo storico isolano seicentesco Agostino Inveges (che fondò la sua convinzione sull’opinione di Stefano Bizantino, secondo il quale in Sicilia era esistita una città chiamata Cartagine), l’antica Caccamo sorgeva su uno sperone roccioso, alle falde del Monte San Calogero: qui avrebbe trovato rifugio un gruppo di soldati punici sopravvissuti alla disfatta subita per mano dei Siracusani e degli Agrigentini nella battaglia di Imera del 480 a.C. (il piú grande scontro combattuto dalla grecità d’Occidente contro il barbaro). Nell’XI secolo, sull’altura si formò un piccolo centro fortificato, che il geografo arabo al-Idrisi cita con il toponimo tuttora in uso. Il borgo, all’epoca normanno, godeva dello status di baronia e venne in seguito ceduto al locale signore Goffredo de Sageyo, per poi passare, nel XII secolo, sotto il controllo dei nobili Bonello, che resero piú funzionale il castello.


Proprio la rocca, in quel periodo, fu teatro di fatti di sangue che coinvolsero uno degli esponenti della famiglia Bonello, Matteo, che si pose a capo di una rivolta nobiliare contro il dispotico governatore Maione di Bari, luogotenente del re normanno Guglielmo I il Malo, odiato dall’intera popolazione. Matteo aveva preparato la sommossa insieme ad altri aristocratici e, nel giorno stabilito per l’azione, prese il comando delle operazioni: a Palermo – si presume sulla via Coperta, davanti al palazzo arcivescovile – assassinò Maione, dopo di che, rientrato nel castello di Caccamo, progettò addirittura di catturare il sovrano normanno Guglielmo. Questi, nel frattempo, si era dichiarato disposto a perdonare gli autori dell’eccidio, perché consapevole del consenso popolare di cui godevano, ma il suo atto di clemenza non lo salvò dalla violenta determinazione dei rivoltosi e pochi giorni dopo venne catturato. I congiurati non si limitarono a rapire

il re, ma misero a ferro e fuoco interi quartieri di Palermo, scatenando, in particolare, una vera e propria persecuzione nei riguardi dei residenti di fede musulmana.

L’inganno di re Guglielmo

Le violenze provocarono la reazione dei fedelissimi del sovrano e la loro controffensiva costrinse i cospiratori a rifugiarsi nuovamente nella fortezza di Caccamo. Guglielmo, intanto, era stato liberato e meditava vendetta e, non potendo espugnare il castello, finse di voler scendere a patti, promettendo inoltre l’emanazione di provvedimenti che avrebbero rafforzato l’autonomia dei nobili. Matteo Bonello, fidandosi delle promesse, uscí dal suo nascondiglio e si recò a corte per avviare le trattative, ignaro della trappola che il monarca gli aveva teso; venne infine arrestato, rinchiuso nel palazzo e ucciso dopo terribili torture. Alla morte di Guglielmo, Caccamo entrò a far

Caccamo (Palermo). Il profilo del castello normanno, una delle fortezze meglio conservate del Meridione d’Italia: databile al XII sec., la struttura sorge in prodigioso equilibrio su una rupe rocciosa a strapiombo sulla vallata.

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SICILIA

Caccamo

parte dei possedimenti di un nobile francese, Giovanni Lavardino, il cui dominio non mancò di scatenare nuove rivolte. In seguito, al governo si succedettero numerosi aristocratici e ecclesiastici, tra i quali l’arcivescovo di Palermo, ma verso la fine del Duecento, erano sempre le famiglie francesi a mantenere ben saldo il controllo del territorio. Solo con la guerra del Vespro (1282-1302), il destino politico di Caccamo subí un radicale cambiamento, in particolar modo con l’avvento al potere dei nobili Chiaramonte, ai quali i vincitori Aragonesi avevano concesso il borgo in feudo. In quel secolo, sorsero sontuosi palazzi, mentre sia le mura che il castello furono ristrutturati. Caccamo divenne successivamente contea, ma il periodo di splendore si interruppe presto, coincidendo con il declino politico dei Chiaramonte, entrati in rotta di collisione con l’amministrazione centrale spagnola. Nuovi aristocratici, fedeli agli Aragonesi, si contesero l’egemonia sul Palermitano e non mancarono ulteriori sommosse popolari, che imposero un ulteriore potenziamento della rocca.

Una fortezza immortale

Il castello di Caccamo è oggi una delle fortezze medievali piú grandi e meglio conservate di tutto il Meridione. Arroccato a strapiombo su una rupe, ha una struttura compatta, difesa da cortine e dotata di bastione e merlature. Il com120

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plesso, di origine normanna, subí profonde trasformazioni nel XIII-XIV secolo e qualche rimaneggiamento anche nel Seicento, quando dovette assolvere alla funzione di palazzo baronale. La pianta risulta irregolare, per via dei diversi livelli ai quali furono innalzati i vari edifici. Al suo interno si trova la sala della congiura, dove nel 1160 i nobili, guidati da Matteo Bonello, ordirono appunto le proprie trame.

In alto, a sinistra il nucleo compatto di abitazioni di rilevante pregio storico arroccate sulla collina. Il quartiere piú antico del borgo, Terravecchia, conserva ancora un tipico impianto viario duecentesco.


DOVE E QUANDO CACCAMO Associazione Turistica Pro Loco Caccamo, Piazza Duomo Info tel. 091 8122032; e-mail: info@prolococaccamo.it; www.prolococaccamo.it

Sulle due pagine la mole del castello che domina il borgo di Caccamo, nelle cui stradine convivono armoniosamente architetture medievali, rinascimentali e barocche.

L’abitato sottostante ha un tipico impianto medievale, che risulta piú accentuato nel nucleo piú antico, il quartiere della Terravecchia, del quale si può seguire il tracciato viario di origine duecentesca. Numerose sono le chiese dell’età di Mezzo, a partire dal duomo, di progettazione normanna, poi rimaneggiato nel Quattrocento e nel Seicento. Di fondazione medievale è la chiesa dell’An-

nunziata, ripetutamente rimaneggiata, in particolare in epoca barocca. L’ex chiesa di S. Marco conserva il suo portale trecentesco a sesto acuto, mentre si ritiene databile al Quattrocento il monastero di S. Francesco d’Assisi. Fuori dal centro storico sorgono altre interessanti architetture religiose bizantine e normanne, tra le quali il monastero basiliano di S. Nicola de Nemore (X secolo) e l’eremo di S. Anna. BORGHI D’ITALIA

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Altri borghi 122

MONTALBANO ELICONA

Nel Libro di Ruggero (1154), il geografo arabo al-Idrisi descrisse Montalbano Elicona come una località dalle terre straordinariamente fertili, presidiata da un castello imponente. Sotto la dominazione normanna, il borgo era allora in piena ascesa, ma già tre secoli prima aveva conosciuto un’epoca di splendore, grazie ai Bizantini e agli Arabi. In seguito all’avvento dei Normanni, l’aspetto di luogo fortificato si fece piú evidente, grazie al consolidamento delle mura, delle porte e alla costruzione di torri. I nuovi governanti si mostrarono tolleranti nei riguardi delle comunità musulmane che ancora vi risiedevano, ma quella spontanea forma di rispetto non ebbe lunga durata. Dopo la morte del re normanno Ruggero II, infatti, gli islamici furono perseguitati e molti di loro costretti a rifugiarsi nelle campagne circostanti. Nuove turbolenze agitarono Montalbano all’inizio del XIII secolo, quando si schierò con la Chiesa di Roma, contro Federico II: nel 1233 una rivolta popolare provocò la reazione degli imperiali, che distrussero gran parte dell’abitato. Il borgo, però, risorse dalle macerie, anche grazie all’aiuto dello stesso Federico, il quale, valutandone la posizione strategica, contribuí alla sua ricostruzione. Altri interventi architettonici vennero promossi dagli Svevi e, in seguito, anche dagli Aragonesi. Il principale monumento storico del piccolo centro del Messinese è il castello (XII secolo), che presenta una funzionale sintesi di architetture normanne, sveve e aragonesi. Risale al Trecento, invece, il piú importante luogo di culto, la romanica chiesa di S. Caterina d’Alessandria. Altre testimonianze dell’età di Mezzo sono i ruderi della chiesa di S. Michele (XII secolo) e la chiesa dello Spirito Santo (XIV secolo). INFO tel. 0941 678019; www.comune.montalbanoelicona.me.it

BORGHI D’ITALIA

GANGI

La bellezza del borgo di Gangi ha pochi eguali nell’Italia Meridionale. Una tradizione riferisce che sul suo sito anticamente venne fondata la colonia cretese di Engyon, nella quale sorgeva un sontuoso tempio dedicato al culto delle dee madri. Anche la storia medievale di Gangi è scandita da eventi dai contorni leggendari, come la tradizione secondo la quale il borgo sarebbe stato raso al suolo nel 1299 dalle truppe aragonesi. Risulta invece certo che, nell’XI secolo, i Normanni cacciarono i Saraceni da Gangi e annetterono il paese alla potente contea di Geraci. Dopo la dominazione sveva e angioina, l’abitato crebbe notevolmente e un censimento del Cinquecento indica in 4000 il numero dei suoi abitanti. Nella parte piú alta del paese svetta il possente castello trecentesco, con le sue forme squadrate ed eleganti, acquisite con i rimaneggiamenti apportati nel Seicento. Altre fortificazioni a presidio del borgo sono la Torre dei Ventimiglia (XIV secolo) e la Torre Saracena, quest’ultima risalente all’epoca della dominazione araba. Trecentesca è anche la chiesa di S. Nicolò, mentre hanno subito profonde modifiche dopo il Medioevo il santuario dello Spirito Santo, la chiesa del SS. Salvatore, la chiesa di S. Maria della Catena e la chiesa di S. Cataldo. INFO www.gangiborgodeiborghi.it

A sinistra l’abitato di Montalbano Elicona (Messina) sovrastato dalla possente rocca, la cui costruzione risale al XII sec. A destra l’impressionante agglomerato di case del borgo di Gangi (Palermo), che si sviluppò fin dal Medioevo su una collina alle pendici delle Madonie: secondo un censimento, nel Cinquecento la popolazione raggiungeva i 4000 abitanti.


CALASCIBETTA

Qui sotto veduta di Calascibetta (Enna), borgo sorto in epoca medievale a poca distanza dal capoluogo. All’interno delle sue mura numerose culture e popolazioni hanno lasciato profonde tracce: dai Normanni agli Aragonesi, dagli Arabi agli Ebrei.

Un crogiolo di culture caratterizza la storia medievale di Calascibetta, borgo dei Monti Erei, a pochi chilometri di distanza da Enna. Insediamento bizantino e successivamente arabo, venne conquistato dai Normanni nell’XI secolo: per volere del sovrano Ruggero I vi sorse un castello e l’abitato fu cinto da possenti mura e arricchito di splendidi monumenti. Poté beneficiare, poi, di privilegi e di un significativo ruolo politico nella Sicilia normanna, mantenendolo anche in epoche successive, in particolare con l’avvento della dominazione aragonese. Sulla sommità dell’altura si trova la parte piú autenticamente medievale del borgo, nella quale sono visibili resti di mura, alcune torri, la Regia Cappella Palatina (XIV secolo), di edificazione aragonese, e l’antico quartiere arabo. Piú a valle è invece situato il quartiere ebraico, che testimonia la presenza nel paese di una comunità israelitica fin dal Trecento. INFO www.comunecalascibetta.gov.it

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SARDEGNA

Bosa La roccaforte del giudicato 124

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I

Fenici navigarono spesso nelle acque antistanti il tratto di costa sarda sulla quale oggi sorge Bosa e vi fondarono forse un insediamento. In età romana, la stessa area vide svilupparsi un abitato di dimensioni piuttosto estese, che raggiunse verosimilmente il rango di municipium e la cui fonte di ricchezza principale era il grande porto, che attirava intensi traffici mercantili. All’inizio del Basso Medioevo, Bosa fu sede vescovile, nonché capoluogo della curatoria di Planargia, principale divisione amministrativa del giudicato di Logudoro. In seguito, come altre zone della Sardegna, il borgo si trovò esposto alla minaccia saracena. La cittadina venne coinvolta nella guerra che oppose le Repubbliche Marinare (Pisa e Genova) ai Sa-


raceni, entrambi determinati ad assicurarsi il controllo dell’isola. Nel XII secolo, la frequenza delle incursioni navali suggerí di presidiare quell’importante snodo portuale con un castello, che venne innalzato nel 1112 per iniziativa dei marchesi Malaspina dello Spino Secco, famiglia nobiliare di origine lucchese alla quale il giudicato di Logudoro aveva concesso il borgo in feudo. Agli inizi del Trecento, con l’incombere dell’egemonia aragonese sulla Sardegna, le fortificazioni furono ampliate, ma l’intervento non impedí agli Spagnoli di dilagare. Nel XIV secolo, piú volte, gli Aragonesi cedettero in feudo Bosa al giudicato di Arborea, i cui amministratori maturarono l’intenzione di rendersi indipendenti: fu Mariano IV a compiere lo strappo e il

castello divenne una delle principali roccaforti del Giudicato sardo. Con la battaglia di Sanluri del 1409, però, gli Aragonesi prevalsero sulle truppe del regno indipendente di Arborea e riconquistarono subito Bosa.

Autonomi, ma divisi

Gli Spagnoli concessero ampi spazi di autonomia (investendo di poteri effettivi il consiglio generale, il sindaco e il podestà), ma nel borgo si generò una vera e propria spaccatura interna. La gestione politica dell’abitato risultava, infatti, separata da quella del suo castello che era presidiato da un feudatario degli Aragonesi. Ne scaturí un inevitabile conflitto armato: nel 1421, il capitano Pedro di San Giovanni bombardò l’abitato, dalla fortezza, nel tentati-

Bosa (Oristano). Uno scorcio del borgo, sviluppatosi lungo il fiume Temo; sulla destra è l’ottocentesco Ponte Vecchio, mentre sullo sfondo, sopra la collina, si riconoscono i resti del castello Malaspina.

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SARDEGNA

Bosa

A sinistra una delle stradine del borgo, nel quartiere tardomedievale di Sa Costa, con le tipiche abitazioni dai colori vivaci: quello di Bosa è uno dei pochi centri storici della Sardegna che presenta intatta la propria fisionomia originaria.

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In alto il castello Malaspina, detto anche di Serravalle, costruito nel XII sec. sulla sommità di una collina per presidiare il borgo: la struttura conserva integre le torri in pietra e la possente cinta muraria.

vo di porre fine a una rivolta della popolazione, scesa in piazza per difendere l’autonomia del proprio vescovo, oppressa dall’ingerenza del castellano. Sul finire del Quattrocento, Bosa risultava governata dal capitano generale della flotta reale spagnola Giovanni di Villamarí e beneficiò di vari privilegi. Nominata città regia, accrebbe la proprie fortune politiche e mercantili, almeno fino al 1520. In seguito, il borgo andò incontro ad un rapido declino, generato soprattutto dalla perdita di centralità del porto.

A controllo del territorio

Del castello che fu protagonista della storia medievale del borgo restano le imponenti torri in pietra. Sorta sulla sommità del colle chiamato di Serravalle, la struttura è stata piú volte ampliata nel tempo, per opera di Pisani, Aragonesi e Spagnoli, fino a diventare un complesso circolare. Fulcro del fortilizio è il mastio centrale, o torre regina, circondato da una cinta muraria costruita in trachite chiara, sulla quale si elevano torri di avvistamento disposte a quasi uguale distanza lungo la cerchia, dalla quale si può controllare tutto il territorio circostante. Del complesso castrense fa parte la chiesa di Nostra Signora di Regnos Altos, che si trova sulla piazza d’armi del castello. Intitolata in origine a sant’Andrea, venne verosimilmente fondata

al tempo in cui si mise mano alla costruzione del castello, vale a dire nei primi decenni del XII secolo. In occasione di un intervento di ristrutturazione, sono stati rinvenuti sulle pareti affreschi databili alla metà del XIV secolo e all’ambito della pittura italo meridionale di cultura franco-sveva. All’attuale titolare del tempio è legata la festa della Madonna di Regnos Altos, che ogni anno, in settembre, anima il centro storico di Bosa. Di rilievo sono anche altre testimonianze storiche contenute nei luoghi di culto, alcuni dei quali si trovano fuori dal perimetro del borgo. S. Pietro (XI-XII secolo), posta in una zona di campagna a poca distanza dall’abitato, è una delle chiese romaniche piú antiche della regione. Altri esempi di architetture religiose medievali sono S. Giovanni Battista (XII secolo), in stile gotico-catalano; S. Maria di Caravetta (XII secolo); S. Eligio e la chiesa di Santa Croce, che risale all’inizio del Rinascimento.

DOVE E QUANDO BOSA Associazione turistica Pro Loco Palazzo Municipale, via Garibaldi 1 Info tel. 0785 376107; www.comune.bosa.or.it; www.sardegnaturismo.it

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Altri borghi

POSADA

Centro che, secondo recenti ipotesi, potrebbe addirittura essere stato fondato in epoca preromana da genti provenienti dall’Italia centrale, l’abitato sviluppatosi là dove oggi sorge Posada fu conquistato dai Romani e assunse il nome di Feronia. Nel Medioevo, il borgo appartenne al giudicato di Gallura e, data la sua delicata posizione di confine con il regno di Arborea, fu presidiato fin dal XII secolo da un castello, chiamato oggi «della Fava». Il nome della rocca è legato alla leggenda secondo la quale, durante un attacco turco, gli abitanti fecero mangiare a un piccione tutte le fave rimaste in paese e, dopo averlo ferito, lo spinsero nell’accampamento musulmano. Gli assedianti, notando la pancia piena

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del volatile, si convinsero che Posada potesse contare su grandi riserve alimentari e che sarebbe stata in grado di resistere a lungo. Decisero, pertanto, di rinunciare all’attacco e ripartirono. Alla fine del Duecento, il borgo venne conquistato dai Pisani e, nel secolo seguente, dagli Aragonesi. Nel Quattrocento, infine, entrò a far parte dei possedimenti del giudicato di Arborea. La Posada medievale si sviluppò intorno al suo castello, i cui resti dominano ancora l’abitato. Tra i luoghi di culto piú antichi meritano una citazione le chiese di S. Lucia, della Madonna del Soccorso e di S. Antonio Abate. INFO www.comune.posada.nu.it


CASTELSARDO

La storia di Castelsardo ha un’impronta genovese. Fu, infatti, la famiglia ligure dei Doria a colonizzare il suo territorio nel XII secolo, edificandovi un castello in funzione anti-pisana e chiamando la località Castel Genovese. Per proteggere il borgo vennero inoltre costruite due cinte murarie, limitando l’accesso all’abitato a due sole porte. Lo sviluppo urbanistico risentí dell’origine ligure dei suoi governanti, che progettarono la roccaforte sarda sul modello dei borghi della loro regione, con stradine molto strette (somiglianti ai carrugi) e gli edifici collocati a gradoni su una collina. Castelsardo rimase a lungo sotto il controllo genovese, fino alla metà del XV secolo, tranne un breve periodo di dominio dei nobili Malaspina di Mulazzo. Poi iniziò l’era aragonese. Del castello voluto dai Doria, si conservano pochi resti, una parte della cinta muraria e la rocca interna, mentre l’impianto viario del paese è rimasto sostanzialmente inalterato dai tempi del governo genovese. Risale al XII secolo anche il palazzo La Loggia, che ha però subíto ripetuti rimaneggiamenti. Principale luogo di culto cittadino è la splendida concattedrale di S. Antonio Abate, ristrutturata in stile gotico-rinascimentale nel XVI secolo. INFO www.castelsardoturismo.it

In alto il centro di Posada (Nuoro), sul quale dominano i resti del castello della Fava (XII sec.): il borgo, nel Medioevo, occupava un’area di notevole importanza strategica, ai confini tra il regno di Gallura e quello di Arborea. A destra la cattedrale di S. Antonio Abate a Castelsardo (Sassari), costruita in forme gotiche e poi ampliata nel Rinascimento.

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