Due passi tra le fiabe

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Due passi tra le f i a b e

Testo di Helen Mortimer

Illustrazioni di Lars van de Goor e Gabriella Barouch

Traduzione di Luigi Cojazzi

pagina 8

Hänsel e Gretel

Indice

pagina 14

Cenerentola

pagina 20

Il principe ranocchio

pagina 26

La regina delle nevi

pagina 56

Le origini delle fiabe

pagina 58

Biografie

pagina 32 Cappuccetto Rosso

pagina 38

Raperonzolo

pagina 44

La bella addormentata

pagina 50

Il brutto anatroccolo

THänsel e Gretel

anto, tanto tempo fa, un povero taglialegna e la moglie vivevano con i loro due amati figlioletti, Hänsel e Gretel, in una casetta malandata ai margini di un fitto bosco.

Erano tempi duri. Vari raccolti erano andati perduti e la gente pativa la fame. Da mesi il taglialegna non vendeva nemmeno un ciocco. Una sera, seduto sul gradino davanti casa, sospirò. “La nostra ultima gallina è così debole che non riesce neanche più a fare le uova”, disse. “E nella credenza ci sono solo mezza pagnotta e una cipolla ammuffita. Se va avanti così, i nostri bambini moriranno di fame.”

“Che cosa possiamo fare?” chiese la moglie.

“Portiamoli nel bosco e lasciamoli lì. Chissà, forse qualche anima buona li troverà e li prenderà con sé.”

La moglie pianse, ma fu d’accordo: non c’era altro da fare. L’indomani, di buon mattino, i quattro si incamminarono lungo il sentiero che portava nel bosco.

Per mantenere alto il morale della famiglia, il taglialegna fischiettava le canzoni che aveva sentito cantare dai tordi. Si addentrarono nella foresta, ancora e ancora.

A un certo punto si fermarono in una radura lontana.

Il taglialegna raccolse dei ramoscelli secchi per accendere un fuoco.

“Dovete restare qui, bambini. Tenetevi al caldo e prendetevi cura l’uno dell’altra”, disse loro la madre. “Se avete fame, spilluzzicate un po’ di pane. Io e il papà andiamo a fare legna e torniamo appena possibile.” Hänsel e Gretel guardarono i loro genitori scomparire tra gli alberi.

La giornata fu lunga e, per passare il tempo, i due fratelli costruirono traballanti torri di sassolini. A un certo punto del pomeriggio, la luce cominciò a calare, finché il sole tramontò e scese il buio della sera. “Quando torneranno?” chiese Gretel. Hänsel, che la sera prima li aveva sentiti parlare, sapeva che i loro genitori non sarebbero tornati.

Ma aveva pensato a un piano: prima di uscire di casa, si era messo in tasca un pezzo di pane, lo aveva sminuzzato e seminato lungo il cammino.

Ora bastava seguire il sentiero di briciole e avrebbero ritrovato la strada di casa. Lo disse a sua sorella e insieme si misero a cercare le briciole. Ma la ricerca fu vana… gli uccellini avevano beccato tutta la mollica.

Stanchi e spaventati, i bambini si rifugiarono sotto le radici di un vecchio albero. “Possiamo dormire qui stanotte”, disse Hänsel, mentre si accoccolavano stretti l’uno all’altra.

Il bosco era bellissimo nella bruma del mattino, ma quale sentiero scegliere? Hänsel e Gretel vagarono stremati per due giorni, bevendo acqua di sorgente con le mani. Per due notti dormirono come creature del bosco.

Il terzo giorno, quand’erano così esausti da non riuscire quasi più a trascinare i piedi, si imbatterono in una casetta tra i pini.

Non avevano mai visto niente di simile.

Le pareti erano fatte di brioche e il tetto di pan di zenzero.

Le finestre di caramello trasparente rilucevano calde e invitanti, e le persiane di biscotto erano decorate con ghirigori di glassa. Dalle vaschette di zucchero filato ricoperte di briciole di torta spuntavano dei lecca-lecca. C’era persino un pomello di ciliegia candita sulla porta rivestita di cioccolata. Fu Gretel a dare il primo morso. “Deliziosa!” sospirò assaporando il gusto dolce e speziato di una tegola di pan di zenzero. Hänsel leccò il vetro burroso e zuccherino di una

finestra. I bambini erano tutti intenti a smangiucchiare deliziati quando la porta si aprì e un’anziana donna si fece avanti zoppicando. Era tozza come un ceppo e i capelli scompigliati le spuntavano dalla testa come cespugli di rovi. “Poveri bambini”, gracchiò la donna, “dovete avere proprio una gran fame. Venite dentro, in casa c’è molto altro da mangiare”.

La vecchia servì loro dei piatti ricolmi di frittelle e due bei bicchieri di latte. Poi li condusse in una stanzetta accogliente e loro si accoccolarono su morbidi letti imbottiti di piume.

Ma ben presto i loro sogni dolcissimi si trasformarono in un incubo.

Perché quella donna in realtà era una strega.

Hänsel si svegliò di soprassalto quando la vecchia lo afferrò e lo trascinò fuori, rinchiudendolo in una gabbia. Quanto a Gretel, la strega cattiva la costrinse a lavorare dall’alba al tramonto: doveva raccogliere legna, pulire il pollaio, cucinare pasti sostanziosi per ingrassare il fratello e farlo diventare paffuto e succulento. Ogni mattina la strega controllava se Hänsel fosse pronto per essere cucinato. “Fammi sentire il dito!” gli ordinava, per tastarne lo spessore. “Deve essere bello cicciotto, non striminzito!” sogghignava. Ma Hänsel, sapendo che la vecchia ci vedeva poco, la ingannava porgendole un ossicino di pollo. Ben presto la strega perse la pazienza.

“Me lo mangerò lo stesso”, dichiarò, “magro o grasso che sia!”. “Accendi il forno, ragazzina, e dimmi quando è caldo!” Gretel capì che quella era la sua occasione. “Ma l’apertura è troppo stretta”, ribatté. “Come faccio ad arrivarci con l’accenditoio?”

“Stupida! Si fa così.”

Quando la strega si chinò e mise la testa nel forno, Gretel la spinse dentro e richiuse lo sportello con forza.

Subito la bambina si precipitò a liberare il fratello. Ridendo di sollievo dopo tanta paura, i due si misero a saltellare intorno alla casa di pan di zenzero. Fu lì che trovarono i gioielli e l’oro che la strega aveva nascosto in giro. Si riempirono le tasche e fuggirono via.

La foresta era fitta e misteriosa, ma alla fine Hänsel e Gretel riuscirono a scorgere la loro casetta malandata in lontananza. Corsero senza fermarsi e si gettarono tra le braccia di papà e mamma.

“I nostri raggi di sole”, pianse di gioia il taglialegna.

“Non vi abbandoneremo più, promesso!” aggiunse la moglie.

Hänsel e Gretel mostrarono ai loro genitori i tesori della strega. Il luccichio di quei beni preziosi significava che i tempi duri erano finiti. Una nuova vita di abbondanza e spensieratezza attendeva la famiglia del taglialegna.

Cenerentola

C’era una volta un ricco mercante rimasto vedovo con una figlia. Decise di risposarsi, ma la nuova moglie e le due figlie di lei erano cattive e dure come l’inverno. La figlia del mercante, invece, era delicata come la nebbia che sfiora la brughiera, bella e gentile. Perciò le sue sorellastre la invidiavano.

“Cenerentola!” strillavano ogni volta che volevano qualcosa: che fosse lavare i vestiti, preparare da mangiare o rassettare le loro camere da letto. La ragazza non si chiamava davvero Cenerentola: era un nomignolo affibbiatole dalle sorellastre che la costringevano a dormire tra la cenere del camino.

Ora, il re aveva organizzato per il compleanno del figlio tre notti di balli e festeggiamenti che si sarebbero tenuti nel suo castello in mezzo alla foresta.

La casa del mercante era pervasa da un’eccitazione febbrile. Le due sorellastre iniziarono subito a prepararsi per la festa. Si incipriarono i capelli, si imbellettarono le guance e strinsero il più possibile i loro bustini di taffetà. Cenerentola, vestita come sempre con i suoi abiti da lavoro impolverati, le osservava malinconica. Loro le sbraitavano ordini – “Prendimi il ventaglio!”, “Cercami il profumo!” – e lei quel ballo poteva solo sognarselo.

Mentre la carrozza delle sorellastre scompariva nella nebbia, Cenerentola si asciugò una lacrima. Stava per rientrare quando si accorse che accanto alla sua spalla fluttuava leggiadra una fatina.

“Sono la tua fata madrina”, disse con una voce delicata ma decisa, “e ti dico che tu andrai al ballo!”.

La fata puntò la bacchetta su una zucca che stava maturando su una pianta, e che subito si trasformò in una carrozza di legno lucido dal colore intenso. Poi la fata agitò la bacchetta in direzione di quattro topolini che dormivano nella loro tana, trasformandoli in una pariglia di pony chiazzati. Un rospo verde oliva, che saltellava tra le foglie secche, atterrò direttamente sul sedile del conducente con le sembianze di un elegante cocchiere in livrea.

“Tutto pronto!” annuì la fata. Poi si voltò verso Cenerentola e la fece sistemare in piedi sotto le fronde di un albero. A un cenno della madrina, gli scoiattoli scossero i rami. Una pioggia di foglie ricoprì il corpo della ragazza per poi trasformarsi in un meraviglioso abito di seta color smeraldo.

Osservando il proprio riflesso in un laghetto, Cenerentola restò senza fiato. “È tutto vero?” mormorò.

“Lo è eccome!” rispose la madrina aiutandola a salire in carrozza. “Goditi il ballo, ma ricorda: devi tornare prima di mezzanotte. A quell’ora l’incantesimo finirà.”

Il cocchio attraversò il ponticello di pietra che portava al castello.

Giunta a destinazione, Cenerentola scese dalla carrozza. Un valletto l’accompagnò nella grande sala mentre il banditore annunciava il suo arrivo con uno squillo di tromba. Nessuno tra gli ospiti radunati sotto la volta del salone aveva mai visto una simile bellezza. “E lei chi è?” si domandavano tutti, incantati dalla sua grazia. Il principe si fece avanti e la invitò a danzare.

Ballarono insieme felici per tutto il resto della serata.

Ma quando l’orologio batté un quarto a mezzanotte, Cenerentola scappò via, proprio come la fata madrina le aveva raccomandato di fare.

Le sorellastre rincasarono ore dopo e la trovarono addormentata accanto al camino, vestita come al solito con i suoi stracci logori.

Il giorno dopo in casa non si parlò d’altro che del ballo e, soprattutto, della misteriosa ospite che aveva danzato tutta la sera con il principe. Senza dire una parola, Cenerentola aiutava le sorellastre a prepararsi per la seconda sera di festa.

Dopo che se ne furono andate, apparve di nuovo la fata madrina e ripeté la sequenza di magie del giorno prima. Il nuovo abito era ancora più bello – evocava una cascata di seta color ruggine.

E, proprio come la sera precedente, quando Cenerentola fece il suo ingresso al ballo, lasciò tutti senza fiato.

Il giovane festeggiato voleva ascoltare solo la sua voce e tenere solo la sua mano. Anche quella notte, Cenerentola seguì il consiglio della madrina e lasciò la festa a un quarto a mezzanotte.

Di buon mattino le sorellastre chiamarono Cenerentola per farsi aiutare nei preparativi per la terza serata, la più sontuosa di tutte. Si lavarono in acqua di rose, si arricciarono i capelli e indossarono abiti finemente ricamati.

Non appena uscirono, apparve la fata madrina. “Anche stasera abbiamo un po’ di magie da fare!” disse tutta allegra. Ancora una volta fece apparire con un incantesimo la carrozza, i pony e il cocchiere. “E adesso, l’abito!” esclamò.

Cenerentola si mise sotto l’albero. Un turbine di foglie rosse volteggiò nell’aria avvolgendola in uno scintillante vestito di raso viola.

Quando arrivò al castello, fu il principe in persona ad accoglierla e condurla nella grande sala.

Ballarono ritmi vivaci e delicati valzer.

Cenerentola non voleva che la serata finisse, e perse ogni nozione del tempo...

Finché non sentì suonare i rintocchi della mezzanotte.

Uno, due, tre, quattro... reggendosi il vestito uscì di corsa dalla sala. Cinque, sei, sette, otto...

attraversò in fretta i cancelli del castello, perdendo una scarpetta di cristallo. Nove, dieci... cercò invano la sua carrozza, i pony e il cocchiere. Undici, dodici... all’improvviso vide quattro topi correre accanto a lei, una zucca rotolare tra i ciottoli e un rospo saltellare nella penombra.

L’abito che stringeva tra le mani non era più di raso viola, ma di ruvida tela grezza. Cenerentola attraversò il ponticello a tutta velocità e rincasò. Sfinita e abbattuta, si addormentò tra la cenere.

Il mattino dopo fu svegliata dallo squillo di tromba del banditore del re, che stava passando di casa in casa per trovare la fanciulla che aveva perso la graziosa scarpetta di cristallo.

Le due sorellastre provarono disperatamente a infilarsela. Ma per quanto si sforzassero, non riuscivano a far entrare il piede in quella delicata calzatura.

Il valletto stava per andarsene quando Cenerentola chiese se poteva provarla anche lei.

“Cosa?” le disse una delle sorellastre con fare di scherno. “Tu?”

Ma il piede di Cenerentola scivolò nella scarpetta senza nessuna difficoltà.

E non solo: il valletto riconobbe subito il suo sorriso dolce. “È lei!” esclamò. “È la dama che il mio padrone stava cercando!”

E fu così che il principe ritrovò la sua Cenerentola.

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