corso divina commedia - purgatorio - canto 15

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COMMENTO AL QUINDICESIMO CANTO DEL PURGATORIO DI DANTE ALIGHIERI


Un nitido segnale orario  Quanto tra l’ultimar de l’ora terza

e ’l principio del dì par de la spera che sempre a guisa di fanciullo scherza, 3 tanto pareva già inver’ la sera essere al sol del suo corso rimaso; vespero là, e qui mezza notte era. 6

(Sono le 15)

Meno complicato del solito e, per una volta, esente da allegorismi mitologici questo esordio astronomico di canto si presta, nondimeno, a interpretazioni complicatissime.


Su ore canoniche,«giratio laulabina» e altro… tra l’ultimar de l’ora terza e ’l principio del dì

vespero là, e qui mezza notte era

Invertendo i termini indica il tempo intercorso tra l’alba e le nove del mattino In Purgatorio era vespero e in qui Italia era mezzanotte, a Gerusalemme erano le tre del mattino, di conseguenza in Purgatorio erano le tre del pomeriggio (Ma il Vespero dovrebbe essere alle 18!) e allora?

la spera che sempre a guisa di fanciullo scherza

Il sole che ondeggiado durante l’anno tra un tropico e l’altro secondo un moto detto dagli astronomi medievali,«giratio laulabina» fa l’effetto di una palla giocata di sponda da un fanciullo


Uno specchio abbacinante E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso, perché per noi girato era sì ’l monte, che già dritti andavamo inver’ l’occaso, 9 quand’io senti’ a me gravar la fronte a lo splendore assai più che di prima, e stupor m’eran le cose non conte; 12 ond’io levai le mani inver’ la cima de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio, che del soverchio visibile lima. 15

Dante non è più abbagliato dal sole e non è per il sole che è costretto ad alzare la mano per farsi solecchio (che del soverchio visibil lima = che smussa la luce)


Come quando da l'acqua o da lo specchio salta lo raggio a l'opposita parte, salendo sù per lo modo parecchio 18 a quel che scende, e tanto si diparte dal cader de la pietra in igual tratta, sì come mostra esperïenza e arte; 21 così mi parve da luce rifratta quivi dinanzi a me esser percosso; per che a fuggir la mia vista fu ratta. 24 "Che è quel, dolce padre, a che non posso schermar lo viso tanto che mi vaglia", diss’io, "e pare inver’ noi esser mosso?". 27

Come quando da una superficie riflettente (acqua o specchio che sia) Il raggio di luce rimbalza dalla parte opposta alla sorgente luminosa, salendo esattamente come scende, così mi parve che davanti a me qualcosa riflettesse la luce, abbacinandomi a dispetto del solecchio e costringendomi a volgere altrove lo sguardo Che cos’è che mi impedisce di schermare la vista quel tanto da rendermi tollerabile quella luce?


CONGEDO E CANTO DI MISERICORDIA

Beat i Mise ric

"Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia la famiglia del cielo", a me rispuose: "messo è che viene ad invitar ch’om saglia. 30

Poi giunti fummo a l’angel benedetto, con lieta voce disse: "Intrate quinci ad un scaleo vie men che li altri eretto". 36

Tosto sarà ch’a veder queste cose non ti fia grave, ma fieti diletto quanto natura a sentir ti dispuose". 33

Noi montavam, già partiti di linci, e ’Beati misericordes!’ fue cantato retro, e ’Godi tu che vinci!’. 39

orde Godi tu chesVinci!

NON MERAVIGLIARTI, E’ UN ANGELO CHE VIENE AD INVITARCI A PROSEGUIRE PRESTO NON PROVERAI PIÙ FASTIDIO PER QUESTE LUCI, ANZI NE PROVERAI PIACERE


UN DUBBIO PREGRESSO DUE SOLITUDINI APPAIATE IN UNO SPAZIO VANO, SALGONO

Lo mio maestro e io soli amendue suso andavamo; e io pensai, andando, prode acquistar ne le parole sue; 42 e dirizza’ mi a lui sì dimandando:

"Che volse dir lo spirto di Romagna, e 'divieto' e 'consorte' menzionando?". 45

O gente umana perché non poni ‘l core Là ‘ve’ mestier di consorte divieto? CONCUPIRE QUEL CHE NON PUÒ ESSERE CONDIVISO : Pg XIV,86-87 –QUESTO Guido delE’Duca IL PECCATO


LASSÙ PIÙ SONO I RICCHI, PIU’ SONO RICCHI

Per ch’elli a me: "Di sua maggior magagna conosce il danno; e però non s’ammiri se ne riprende perché men si piagna. 48 Perché s’appuntano i vostri disiri dove per compagnia parte si scema, invidia move il mantaco a’ sospiri. 51 Ma se l’amor de la spera supprema torcesse in suso il disiderio vostro, non vi sarebbe al petto quella tema; 54

PROPRIO PERCHÉ APPUNTATE TUTTE LE VOSTRE ASPIRAZIONI IN UN CAMPO DOVE, PIÙ SIETE, PIÙ SI RIDUCE LA QUOTA PARTE DI CIASCUNO, SOSPIRATE TRAFELATI DALL’INVIDIA. SE, VICEVERSA L’ASPIRAZIONE AL SOMMO DEI CIELI ORIENTASSE I VOSTRI DESIDERI VERSO L’ALTO, QUELL’ANSIA NON VI OPPRIMEREBBE IL PETTO.


"Io son d’esser contento più digiuno", diss’io, "che se mi fosse pria taciuto, e più di dubbio ne la mente aduno. 60

LASSÙ QUANTI PIÙ SONO A DIRE «NOSTRO» PARTECIPANDO AL BENE DELLA PERCEZIONE DI DIO, TANTO PIÙ NE POSSIEDE CIASCUNO, A MISURA CHE IN QUESTO CHIOSTRO DI SANTI, L’ARDORE DI CARITÀ SI SVILUPPA MOLTIPLICANDOSI.

Com’esser puote ch’un ben, distributo in più posseditor, faccia più ricchi di sé che se da pochi è posseduto?". 63

DOPO LA SPIEGAZIONE DI VIRGILIO, DANTE È PIÙ INSODDISFATTO E PERPLESSO DI PRIMA

ché, per quanti si dice più lì ’nostro’, tanto possiede più di ben ciascuno, e più di caritate arde in quel chiostro". 57

COME PUÒ ESSERE CHE UN BENE DIVISO FRA MOLTI LI FACCIA PIÙ RICCHI DI QUANTO NON LI FAREBBE SE FOSSERO POCHI? COSA VOLEVA DIRE GUIDO DEL DUCA?


Ed elli a me: "Però che tu rificchi la mente pur a le cose terrene, di vera luce tenebre dispicchi. 66

Severamente Virgilio rinfaccia al discepolo di ostinarsi a considerare soltanto i beni terreni

Quello infinito e ineffabil bene che là sù è, così corre ad amore com’a lucido corpo raggio vene. 69

L’indivisibile carità del Creatore fulmineamente si concede alla carità delle creature

Tanto si dà quanto trova d’ardore; sì che, quantunque carità si stende, cresce sovr’essa l’etterno valore. 72

Tanto più si prodiga quanto più chi la riceve brucia

E quanta gente più là sù s’intende, più v’è da bene amare, e più vi s’ama, e come specchio l’uno a l’altro rende. 75

così che in Paradiso maggiore è il numero delle anime amanti, maggiore è la materia e l’esercizio dell’amore e, come specchio su specchio un beato rifrange sull’altro la luce della carità divina


Ottica e Teologia QUESTO BREVE ESCORSO DI TEOLOGIA COMPARATA ALL’OTTICA HA INFASTIDITO PIÙ D’UNO SPECIALISTA REFERENZE AGOSTINIANE E, ADDIRITTURA, STOICHE IL CORRELATIVO METAFORICO DELLA «MULTIPLICAZIONE DELLA LUCE» È TRATTATO DA FISICI ARABI, DA ALBERTO MAGNO, E DA DANTE STESSO NEL CONVIVIO


Carità divulgativa DANTE, CON UNA PROCEDURA ASSAI SEMPLICE E CORRENTE NELLA COMMEDIA, SI FA DIRE DA VIRGILIO QUELLO CHE EGLI STESSO VORREBBE INSEGNARE A NOI IN QUESTE TERZINE, LAMBICCATE E BELLISSIME, CANTA LA «CARITÀ DIVULGATIVA» DI CHI SI CONOSCE UMILE E TERSO SPECCHIO D’UN SAPERE PROGRESSIVO, NON SEPOLCRO DI IRRIFERIBILI E DEFINITIVE COGNIZIONI INIZIATICHE


SULLA TERZA CORNICE E se la mia ragion non ti disfama, vedrai Beatrice, ed ella pienamente ti torrà questa e ciascun’altra brama. 78 Procaccia pur che tosto sieno spente, come son già le due, le cinque piaghe, che si richiudon per esser dolente". 81 Com’io voleva dicer ’Tu m’appaghe’, vidimi giunto in su l’altro girone, sì che tacer mi fer le luci vaghe. 84

IN MATERIA SARA’ MOLTO PIÙ ESAURIENTE DI VIRGILIO, BEATRICE IN PARADISO VIRGILIO SPRONA DANTE A MONDARSI DELLE RESTANTI CINQUE «P» CON LA PRATICA DELLA CONTRIZIONE DANTE NON RIESCE A MANIFESTARE IL SUO PIENO COMPIACIMENTO PERCHÉ S’ACCORGE D’ESSERE SULLA TERZA CORNICE E CIÒ ASSORBE OGNI SUA ATTENZIONE


Genere filosofico della Commedia DANTE SI PROFESSA APPAGATO PER AVER APPRESO DELLA CARITÀ, FILOSOFICAMENTE, QUEL TANTO CHE GLI PERMETTE DI COGLIERE E SCALZARE ALLA RADICE IL VIZIO ANTAGONISTA DELL’INVIDIA. L’ANGELO CANCELLA DALLA FRONTE LA «PIAGA» DELL’INVIDIA E IL PELLEGRINO SEMBRA NON ACCORGESENE LA CONOSCENZA MISTICA DELL’INVIDIA COINCIDE CON L’INDEFINITA LEGGEREZZA DI NON ESSERE INVIDIOSO … CON IL TACERE E, AFFIORANDO ALL’ALTRO GIRONE, CON L’ESSER TUTT’OCCHI


Visioni estatiche: Maria e Giuseppe al Tempio Ivi mi parve in una visïone estatica di sùbito esser tratto, e vedere in un tempio più persone; 87 e una donna, in su l’entrar, con atto dolce di madre dicer: "Figliuol mio, perché hai tu così verso noi fatto? 90 Ecco, dolenti, lo tuo padre e io ti cercavamo". E come qui si tacque, ciò che pareva prima, dispario. 93

UN TEMPIO AFFOLLATO E UNA DONNA CHE CON ATTO DOLCE DI MADRE DICE: «PERCHÉ FIGLIOLO CI HAI FATTO QUESTO? QUANDO LA DONNA TACE LA SEQUENZA DISSOLVE IN UN’ALTRA MOLTO RAPIDAMENTE.


LA MITEZZA DI PISISTRATO …. ALTRA DONNA CON IL VISO INONDATO DI LACRIME DI RABBIA …

Indi m’apparve un’altra con quell’acque giù per le gote che ’l dolor distilla quando di gran dispetto in altrui nacque, 96

NETTUNO O PALLADE ATENA?

«SE SEI SIGNORE DELLA CITTÀ CHE SUSCITÒ TRA GLI DEI TANTA CONTESA, PUNISCI LE BRACCIA INSOLENTI CHE HANNO ABBRACCIATO NOSTRA FIGLIA SULLA PUBBLICA VIA» «CHE FAREMO NOI A CHI CI VUOLE MALE, SE CONDANNIAMO CHI CI AMA?»

e dir: "Se tu se’ sire de la villa del cui nome ne’ dèi fu tanta lite, e onde ogne scïenza disfavilla, 99

vendica te di quelle braccia ardite ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto". E ’l segnor mi parea, benigno e mite, 102 risponder lei con viso temperato: "Che farem noi a chi mal ne disira, se quei che ci ama è per noi condannato?". 105


… il martirio di Santo Stefano … Poi vidi genti accese in foco d’ira con pietre un giovinetto ancider, forte gridando a sé pur: "Martira, martira!". 108 E lui vedea chinarsi, per la morte che l’aggravava già, inver’ la terra, ma de li occhi facea sempre al ciel porte, 111 orando a l’alto Sire, in tanta guerra, che perdonasse a’ suoi persecutori, con quello aspetto che pietà diserra. 114

UNA FOLLA ACCESA D’IRA SI ACCALCA NELLA TERZA E ULTIMA VISIONE:AMMAZZANO A SASSATE UN GIOVINETTO E SI AIZZANO URLANDO: «MARTIRA… MARTIRA…» IL GIOVANE, CADENDO, ALZA GLI OCCHI AL CIELO E PREGA L’ALTISSIMO DI PERDONARE AI SUOI PERSECUTORI


NARRANO GLI ATTI DEGLI APOSTOLI CHE IL DIACONO STEFANO FU IL PRIMO DEI MARTIRI…. GESÙ

TRE STORIE DI GIOVENTU’

IL MOROSO DELLA FIGLIA DI PISISTRATO STEFANO

Facendosi perdonare, due ragazzi ci incutono la dolcezza e la saggezza del perdono, un terzo, perdonandoci, testimonia sotto i nostri occhi il paradosso del perdono.


Non falsi errori e torpore reale Quando l’anima mia tornò di fori a le cose che son fuor di lei vere, io riconobbi i miei non falsi errori. 117

DANTE, TORNANDO IN SÉ, PERCEPISCE LA REALTÀ, RICONOSCE I SUOI «NON FALSI ERRORI» E LA NATURA FITTIZIA MA NON ARBITRARIA DELLE VISIONI ESTATICHE

Lo duca mio, che mi potea vedere far sì com’om che dal sonno si slega, disse: "Che hai che non ti puoi tenere, 120 ma se’ venuto più che mezza lega velando li occhi e con le gambe avvolte, a guisa di cui vino o sonno piega?". 123 "O dolce padre mio, se tu m’ascolte, io ti dirò", diss’io, "ciò che m’apparve quando le gambe mi furon sì tolte". 126

«CHE HAI», GLI CHIEDE VIRGILIO, «CHE NON TI REGGI IN PIEDI E CAMMINI DA PIÙ DI MEZZA LEGA CON GLI OCCHI ANNEBBIATI E LE GAMBE CHE TI SI INTRECCIANO?» «SE MI PRESTI ASCOLTO TI DIRÒ CIÒ CHE MI APPARVE QUANDO HO PERSO L’USO DELLE GAMBE»


Le acque della pace Ed ei: "Se tu avessi cento larve sovra la faccia, non mi sarian chiuse le tue cogitazion, quantunque parve. 129 Ciò che vedesti fu perché non scuse d’aprir lo core a l’acque de la pace che da l’etterno fonte son diffuse. 132 Non dimandai "Che hai?" per quel che face chi guarda pur con l’occhio che non vede, quando disanimato il corpo giace; 135 ma dimandai per darti forza al piede: così frugar conviensi i pigri, lenti ad usar lor vigilia quando riede". 138

E VIRGILIO «SE TU AVESSI SOVRAPPOSTE SUL VOLTO CENTO MASCHERE, NON RIUSCIRESATI COMUNQUE A CELARMI NEANCHE IL PIÙ PICCOLO DEI TUOI PENSIERI» «HAI AVUTO LE VISIONI AFFICHÈ TU NON RICUSI DI APRIRE IL CUORE ALLE ACQUE DELLA PACE CHE INONDANO DI MANSUETUDINE I CUORI ARROVENTATI DALL’IRA» TI HO INTERPELLATO PER RINFRANCARTI IL PASSO


Un banco di nebbia nera Noi andavam per lo vespero, attenti oltre quanto potean li occhi allungarsi contra i raggi serotini e lucenti. 141 Ed ecco a poco a poco un fummo farsi verso di noi come la notte oscuro; né da quello era loco da cansarsi. 144 Questo ne tolse li occhi e l’aere puro.

INTANTO SI SONO FATTE LE 17- 17,30 ED ECCO, A POCO A POCO, FARSI INCONTRO AI DUE UN FUMO SCURO COME LA NOTTE CHE FASCIA IL COSTONE PER QUANTO È LARGO E LI SOMMERGE, LI ACCECA, LI SOFFOCA


E IL CANTO XV SI ARRESTA E SCOMPARE SOTTO UN MANTO DI CALIGINE. CH’ESSO FOSSE MENO BELLO DEGLI ALTRI (COME AFFERMANO CERTI DANTISTI) NON ABBIAMO AVUTO IL TEMPO DI ACCORGERCI


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