14 | Ticino Cultura
syndicom | N. 9 | 25 settembre 2015
storie di confine
I Rodari di Maroggia e la Fabbrica del Duomo di Como Il Duomo di Como è tra i più belli di Lombardia, e alla sua realizzazione hanno contribuito in maniera determinante anche artisti provenienti da paesi ora ticinesi. I registri della Fabbrica dal 1463 al 1480 annotano tra i mastri, che lavoravano sotto la direzione di Luchino Scarabota da Milano: Giacomo da Bissone, Giovanni e Filippo da Mendrisio, Abondio di S. Abondio, che era un de Campestro di Lugano. Era chiamato di S. Abondio perché era anche capomastro e consulente di fiducia di quel monastero fuori le mura di Como (allora amministrato dal commendatario Gian Giacomo Castiglioni, arcivescovo di Bari), presso il quale abitava. Un atto del 1501 lo qualifica come “ingeniarius”, ossia ingegnere della Fabbrica del Duomo, quando già dal 1487 direttore dei lavori era lo scultore Tomaso Rodari: il che fa pensare che egli affiancasse il Rodari per le opere murarie, rispetto alle opere di rivestimento marmoreo e di ornamento scultoreo. L’attività professionale di Abondio gli rendeva buoni profitti, che egli investiva nell’acquisto di beni: a Bernaschina di Parè, a Gorla Maggiore, a Garzeno, a Guanzate, a Cadorago… Quando muore (ai primi del 1509) la sua attività è proseguita dal figlio Francesco e poi dal nipote Antonio. In primo piano va messo, però, Tomaso Rodari, che presso il Duomo comincia la sua attività nel 1484 come scultore (“lapicida”), ricevendo nel 1487 anche l’incarico di ingegnere della Fabbrica. Sono 14 le statue per la facciata del Duomo, scolpite tra il 1484 e il 1485, pagategli 40 lire ciascuna. Con il fratello Giacomo realizza tra il 1505 e il 1507 la “porta della rana” (perché vi è scolpita una rana), ossia la porta laterale settentrionale, considerata il “capolavoro” tra le opere di scalpello dei due fratelli, che pure hanno realizzato la porta laterale meridionale e, probabilmente, il gruppo dell’Adorazione dei Magi nella lunetta sopra la porta maggiore, oltre alle edicole sulla facciata, in cui sono poste le statue dei due Plinii; opere di un altro scultore, che si potrebbe forse ipotizzare in Tomaso Bregno “de Righetia” di Osteno, documentato a Como, con intermittenze, almeno dal 1457 al 1502. Era fratello del più famoso Andrea Bregno, attivo a Roma. Si devono a Tomaso Rodari anche le sculture, all’interno del Duomo, degli altari di S. Lucia, di S. Apollonia e della Deposizione. Egli, socio della Confraternita di S. Abondio, deve aver eseguito anche la statua, già in Cattedrale, ora nella basilica del santo vescovo patrono. Essa replica, con varianti, quella sulla facciata del Duomo, ora mutila delle mani. Meno fortunata fu la carriera di Tomaso come architetto progettista del “trilobato” delle cappelle maggiori del Duomo. Dovette rassegnarsi ad eseguire, non il suo, ma il progetto di Cristoforo Solari (peraltro – sembrerebbe pure di poter ipotizzare – ispirato a uno schizzo di Leonardo da Vinci). Sotto la sua direzione lavoravano numerosi lapicidi, tra i quali il citato fratello Giacomo, e altri due fratelli: Donato e Bernardino. Donato aveva sposato Faustina Ventretti, sorella di Francesco, altro scultore della Fabbrica. Da lei ebbe Gerolamo, egli pure divenuto “lapista”. Ma c’era anche Nicolò Marzorati, che aveva sposato Caterina, figlia di Tomaso, da cui aveva avuto Paolo. Questa, rimasta vedova, ebbe una figlia naturale dal pittore Ambrogio Ghezzi (de Ghezis), di nome Crelia, nominata erede dal nonno Tomaso, che dettò
Mario mascet ti Laureato in Lettere, è stato insegnante di scuola media e assessore alla Cultura della provincia di Como. È autore inoltre di vari volumi di storia locale.
il suo testamento il 6 giugno 1526. Avrebbe sposato anche lei un “lapista”: Andrea Marzorati di Battista. Tomaso Rodari volle essere sepolto nella cappella di S. Rocco nella chiesa di S. Provino, che era vicina alla casa, divisa nel 1507, con il fratello Giacomo. Questi era morto tre anni prima, e nel suo testamento (dettato nel 1520) aveva scelto come luogo di sepoltura la chiesa di S. Agostino. Ambedue i fratelli si erano sposati due volte. La prima moglie di Tomaso (da cui aveva avuto Crelia) era una Maddalena Della Torre di Mendrisio, fu Antonio; la seconda moglie, pure una Maddalena, vedova di un mastro Ignazio, con un figlio minorenne di nome Pietro Martire. Della prima moglie di Giacomo, da cui era nato Battista, non si è appurato il nome; la seconda moglie era un’altra Maddalena Della Torre, che gli diede due femmine e due maschi. Era figlia di Bartolomeo, venditore di calce in Como, in parrocchia di S. Fedele. Gli scultori Rodari, figli di Giovanni, provenivano da Maroggia. La casa paterna, nella divisione dei beni del 1507, toccò a Giacomo. Dallo stesso atto si apprende che Tomaso aveva beni a Trevano di Uggiate, e altri immobili a Bizzarone; mentre Giacomo aveva beni a Castel S. Pietro e teneva a livello svariati fondi a Cortelia (presso Mendrisio), a Caneggio, a Morbio Superiore, a Maroggia, a Mendrisio, a Nesso, oltre a possedere una casa su due piani a Como, nel borgo di Porta Torre, affittata al calzolaio G. Maria de Maniis da Lurago. Gli atti notarili rivelano altri rapporti nella cerchia dei lapicidi della Fabbrica del Duomo. Il 12 aprile 1509, “in domo ubi pichantur lapides”, cioè nel laboratorio dove si lavoravano le pietre, compare Petrina de la Stampa, vedova di Battista de Interlegniis, abitante a Boffalora, pieve di Balerna, che accompagna lì il figlio Pietro ad imparare l’arte “pichandi et intaliandi lapides”, ossia ad apprendere la scultura. Suo istruttore, con cui Petrina stipula il contratto, sarà Nicolò Marzorati, il (futuro?) genero di Tomaso, che con il fratello Giacomo fa da testimone. Alcuni anni dopo, Pietro de Interlegniis (che abbiamo appreso essere di Boffalora, in quel di Chiasso), figura tra i lapicidi registrati a libro paga nella Fabbrica del Duomo: aveva imparato l’arte. Spezzoni di vita di mastri e scultori “ticinesi” nei burrascosi anni di crisi dello Stato di Milano sforzesco, conteso tra Francesi e Spagnoli, quando il Mendrisiotto (dal 1516), sarebbe passato sotto il dominio dei “XII Cantoni” confederati, senza per questo interrompere gli stretti legami con Como.
Mario Mascetti
nelle immagini A centro pagina: • Le statue di Tomaso Rodari nel polittico sulla facciata del Duomo di Como Qui a sinistra: • La cosiddetta “porta della rana” di Tomaso e Giacomo Rodari. • Statua di S. Abondio da attribuire a Tomaso Rodari. Fotografie: Mario Mascetti