The Local Magazine COR 7

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AMBIENTE

Quando la vacanza sostenibile diventa realtà

AVVENTURA

Escursioni alla portata di tutti

ARTE

Le radici e il ritmo della pittura

Dai, provaci!

Un numero sulla voglia di fare e sull’ottimismo

VERSO LA CIMA

E tornare con uno zaino pieno di esperienze

Hanno collaborato a questo numero

1 Il turismo sostenibile è una possibilità concreta o è destinato a rimanere uno slogan? All’inizio delle sue ricerche, la nostra autrice Susanne Pitro era piuttosto scettica. Dopo dieci interviste, ventotto pagine di fitti appunti e un articolo di quasi duemila parole, oggi dice: “Qualcosa sta cambiando. Sempre più persone sono consapevoli dei temi e delle sfide ambientali, hanno voglia di fare le cose in modo diverso e di contribuire al mutamento con le proprie idee. Osservare questi sviluppi è stato per me fonte di ispirazione”.

2 Stefanie Unterthiner è legata alla nostra rivista fin dalla prima edizione. Inizialmente, come committente, ha contribuito alla nascita di COR.

Successivamente come lettrice. E oggi fa parte della nostra redazione nel ruolo di project manager. Welcome back! A tante, entusiasmanti, avvincenti edizioni insieme!

3 Topolino è sempre stato più di un semplice personaggio dei fumetti. Perché ha sempre rappresentato l’idea che, alla fine, il bene trionferà. Topolino è anche un graffito in un luogo che in origine era stato costruito per la guerra. In tempi come questi, un segno di speranza. Peace!

Cor. Il cuore. Das Herz. Cuore di tenebra, forgiato in un passato oscuro, che rivive nelle testimonianze dei tempi bui ancora visibili tra Bressanone e Chiusa. Cuore di luce. Bunker costruiti per la guerra, che oggi ospitano la bellezza, l’arte e il gusto. Ci immergiamo nel passato e siamo affascinati dal presente. Ci godiamo la vita, ma sappiamo che dobbiamo prenderci cura del nostro pianeta. Che dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri. Nelle grandi e nelle piccole cose. Con il cuore. Con la mente. Con amore.

Cordialmente, la redazione

Barbiano
Villandro
Luson
Vandoies
Naz-Sciaves
Plose
Alpe di Rodengo e Luson
Terento
Vallarga
Valles Gitschberg
Rio Pusteria
Varna
Fortezza
Jochtal
Velturno

Colophon

EDITORI

Bressanone Turismo Soc. Coop.

Società cooperativa turistica Rio Pusteria

Società cooperativa turistica Chiusa, Barbiano, Velturno e Villandro

Società cooperativa turistica Naz-Sciaves

Associazione turistica Luson

CONTATTI info@cormagazine.com

REDAZIONE Exlibris

exlibris.bz.it

PUBLISHING MANAGEMENT

Valeria Dejaco, Stefanie Unterthiner (Exlibris)

CAPOREDATTORE

Lenz Koppelstätter

ART DIRECTION

Philipp Putzer farbfabrik.it

AUTRICI E AUTORI

Lisa Maria Gasser, Bettina Gartner, Amy Kadison, Daniela Kahler, Lenz Koppelstätter, Debora Longariva, Judith Niederwanger und Alexander Pichler (Roter Rucksack), Susanne Pitro, Stefanie Unterthiner

FOTOGRAFIE

Copertina: Caroline Renzler; Archivio Comunale di Bressanone/ fondo, Archivio Croce d’Oro Bressanone (69-74), Brandnamic (14, 17, 62-63), Edition Raetia (43), Manuel Ferrigato (12), Alex Filz (5, 16, 62-63, 79, 81), Gemeinde Vahrn/Stefan Plank (34-35), Getty Images/Roger Viollet (55), Gitschberg Jochtal (17, 41), Hofburg/ Dejaco (81), Julia Hofer (35), Meike Hollnaicher & Thomas Schäfer/ Farmfluencers of South Tyrol (20-21), Armin Huber (3), Amy Kadison (67), Tobias Kaser (40-41), Katholisches Sonntagsblatt/ Martina Rainer (16), Kellerei Moling (65), KONI Studios (5, 36-37, 76), Manuel Kottersteger (15), Museo provinciale degli usi e costumi (43), Erich Larcher (76), Augustin Lechner (80-81), Michael Messner (79), Alex Moling (8, 32-33), Thomas Monsorno (6), Hannes Niederkofler (18-19, 39, 64-65, 77, 80), Manni Nössing (64), Michael Pezzei (5, 22-30, 79), Benjamin Pfitscher (15, 78), Caroline Renzler (3, 45-48, 50-51, 52-61), Thomas Rötting (14, 35, 79), Roter Rucksack/Judith Niederwanger & Alexander Pichler (82), Rotwild (15), Andre Schönherr (16), Angelika Schwarz (10), Shutterstock (42, 77), Carmen Stieler (43), Laurenz Stockner (77), Tiefrastenhütte (15), Touriseum (71, 74), Unsplash/ Anna (21), Marika Unterladstätter (38-39), Vintlerhof (21), Harald Wisthaler (37, 76), Oskar Zingerle (15)

ILLUSTRAZIONI

Laura Neuhäuser (4, 66)

TRADUZIONI E REVISIONE

Exlibris (Helene Dorner, Sarah Franzosini, Alison Healey, Debora Longariva, Milena Macaluso, Charlotte Marston, Federica Romanini, Stefanie Unterthiner, The Word Artists)

STAMPA Lanarepro, Lana

Con

6 Così vicino, così lontano

La gioia della varietà

14 Buone nuove

Notizie e curiosità dal territorio

18 Tra l’incudine e il martello

Riflettori puntati su un pezzo da museo

20 Tre domande a…

Miriam Zenorini, che gestisce la prima fattoria bio-sociale dell’Alto Adige

22 Sostenibilità sì, ma nel modo giusto

Ricognizione del cambiamento turistico ed ecologico

32 Tutti in sella, ma con gusto! L’evoluzione del cicloturismo

34 A portata di vetta

Quattro cime e le loro peculiarità

42 Stare bene con le erbe officinali

Consigli per raccoglierle in modo sostenibile

44 Le radici delle origini

Intervista con l’artista Marlies Baumgartner

52 Illuminare il buio

Tre bunker sono tornati a nuova vita

62 Malga Fane

Riparo in quota, caseificio e set cinematografico

64 Voglia di indipendenza

Una visita a Manni Nössing

66 L’Alto Adige per principianti

Episodio 7: La grazia dell’apicoltura

67 Piccolo dizionario sudtirolese Il nostro dialetto, spiegato bene

68 Saluti e baci

Impressioni di viaggio dei tempi andati

76 Solo il meglio I prodotti del territorio

78 Luoghi preferiti

Le declinazioni del silenzio

82 Le piramidi nel bosco

La storia di una foto speciale

Così vicino, così lontano

Panorami spettacolari di boschi e montagne. Città da esplorare in bicicletta. Gusto e tradizione. Bellezza che toglie il fiato. È questa la varietà che ci riempie di gioia.

Che vista sul Sass de Putia! Qui lo ammiriamo dalla finestra della malga Kreuzwiesen Alm punto di ristoro lungo il Dolorama, il sentiero a lunga percorrenza che attraversa le Dolomiti. Qui, a 1.924 metri, matura un formaggio dal gusto intenso e aromatico. Semplicemente irresistibile!

Che futuro! L’auto, ogni tanto, può rimanere in garage. In bicicletta fino alla stazione e poi in treno. Come qui a Bressanone, in tutto l’Alto Adige è in atto la transizione verso la sostenibilità, anche in ambiti come il turismo e la mobilità. Avanti così!

Che meraviglia! La chiesa dell’Abbazia di Novacella fonde armoniosamente vari stili come il romanico, il tardogotico e il tardobarocco dell’area tedesca meridionale. Un edificio sacro luminoso, colorato, popolato da innumerevoli angeli. Semplicemente celestiale!

Che delizia! Il Törggelen ha una lunga tradizione in Alto

Adige. In particolare in Valle Isarco, dove affonda le sue radici. Come qui, sopra Chiusa. Cucina contadina, vino novello, succo di mela e, naturalmente, castagne arrostite sono gli ingredienti di una festa che unisce le generazioni, amata da popolazione locale e ospiti.

BUONE NUOVE

Notizie e curiosità dal territorio

Il numero di questa edizione: 10 anni di Light and Music Show

LIGHT & MUSIC MEETS FATHER OF DISCO: lo spettacolo di luci e musica compie dieci anni. Anche nell’edizione 2025 le suggestive installazioni visive danzeranno sui muri del cortile interno della Hofburg dando vita a un’esperienza immersiva. Lo show, che si presenta in una veste nuova e ancora più magica, sarà accompagnato dalle musiche di Giorgio Moroder, il celebre produttore e compositore originario dell’Alto Adige. In occasione del decimo anniversario, parte del ricavato della vendita dei biglietti sarà devoluto a UNICEF Italia, partner della manifestazione.

Dove? Hofburg Bressanone

Quando? 21/11/2025-6/1/2026

Lo sapevate che… … a Verdignes la farina di pere è un superfood locale?

È RICCA DI FIBRE E ZINCO, è ipocalorica e dolcifica quattro volte e mezza più dello zucchero! La farina di pere, un tempo usata come surrogato del costoso zucchero, è considerata oggi un cibo prezioso e un’alternativa ideale per chi sceglie una dieta ricca di sostanze nutritive. La produzione è tuttora complessa: la farina si ricava dalla “Ferchbirne”, un’antica varietà autoctona, che viene essiccata con cura in più fasi prima di essere macinata. Il paese di Verdignes, noto per il gran numero di alberi di pero, sta facendo rivivere questa tradizione. Il libro “Inser Verdinner Birmehl. Altbewährtes wiederentdeckt” (acquistabile al Bar Gosser di Verdignes) permette di conoscere più da vicino questo superfood locale e le sue affascinanti origini. I lettori più creativi possono sbizzarrirsi con le numerose ricette del volume, dai classici Schlutzkrapfen al dessert di quark, al raffinato chutney – tutti rigorosamente a base di farina di pere.

Lunedì:

BICICLETTA E YOGA

Inspirare profondamente… e godersi la vista! Una seduta di yoga a Cima Lasta (2.194 m) aiuta a ritrovare la pace interiore e la connessione con la natura – nessuna distrazione, solo il suono del vento e lo spettacolo delle montagne circostanti. La vetta si raggiunge in e-bike passando per l’altopiano di Rodengo e Luson.

Martedì:

IL MONDO DELLE API

Cos’è la danza dell’addome? E come si estrae il miele dai favi? I partecipanti al workshop mattutino osservano un apicoltore al lavoro e apprendono perché le api sono essenziali per il nostro ecosistema. L’esperienza si conclude con una degustazione di miele.

Mercoledì:

MENTRE TUTTO DORME

Un’escursione mattutina attraversando il bosco e i prati fino al rifugio Lago di Pausa di Terento (2.312 m) per godersi la pace delle prime ore del giorno. Giunti in cima, si può gustare una ricca colazione in quota con vista sulle vette circostanti.

Ripartiamo!

Una settimana di primavera per recuperare energia e vitalità

Giovedì:

RISVEGLIARE I SENSI

Sentire il morbido muschio sotto i piedi, ascoltare il canto degli uccelli e respirare il profumo degli abeti. Le sedute di forest therapy a Vandoies di Sopra sono incentrate sul rilassamento e sulla respirazione consapevole. L’energia della cascata infonde infine una freschezza stimolante.

Venerdì:

UNA DISTESA DI FIORI

Le chiome dei meli si ricoprono di fiori bianchi e rosa, mentre nell’aria si diffonde un dolce profumo. Nelle escursioni guidate nei meleti di Naz-Sciaves è possibile osservare la primavera che sboccia. E allo stesso tempo scoprire di più sulla coltivazione della mela.

Altre esperienze primaverili durante le settimane “Malghe in fiore”. gitschberg-jochtal.com natz-schabs.info

lunedì
mercoledì
venerdì
martedì
giovedì

W come Workation

PER TUTTI I NOMADI DIGITALI e gli aspiranti tali: il termine “workation” nasce dalla fusione di “work” e “vacation” e si riferisce alla possibilità di trasferire la propria attività lavorativa in una località di villeggiatura, per più settimane o addirittura mesi. I vantaggi? Trarre stimoli e ispirazione dall’ambiente circostante. La base ideale è offerta da alberghi specializzati in esperienze di “workation”, che accettano permanenze più lunghe e “mettono a disposizione degli ospiti l’ambiente adatto a un soggiorno produttivo”, come sottolinea Johanna Huber dell’Hotel Pachers di Novacella. La sua struttura, per esempio, ha realizzato negli spazi comuni nicchie con prese di corrente e una buona illuminazione. Dopo il lavoro, spazio per esperienze culturali, giri in bicicletta e magari un aperitivo nel nuovo bar preferito. Altre destinazioni per un esperimento di workation? L’Hotel Seehof di Naz-Sciaves mette a disposizione una biblioteca e spazi per riunioni, mentre l’Arthotel Lasser di Bressanone offre agli artisti soggiorni ispiranti nell’ambito del proprio progetto di residency.

Tutto solo nell’abbazia

Quando il campanello suona, è PADRE KOSMAS THIELMANN che va ad aprire la porta: “Non mi hanno chiamato qui per fare l’eremita, ma il cappellano dei pellegrini”, dice il cistercense proveniente dal monastero di Heiligenkreuz vicino a Vienna, che dal 1° settembre 2024 vive da solo nell’Abbazia di Sabiona. Il religioso è disponibile per colloqui spirituali, amministra la confessione e celebra ogni giorno la messa nella cappella del convento. A tre anni dalla partenza delle Benedettine, il monastero sopra Chiusa, con i suoi oltre trecento anni di storia, torna a essere abitato. Anche se gli spazi interni, dove le monache vivevano in rigida clausura, rimangono chiusi al pubblico, padre Kosmas ama ricevere visite. In inverno, tuttavia, l’impossibilità di riscaldare il complesso impedisce all’abbazia di accogliere ospiti. La salita al monastero richiede una buona condizione fisica, come ben sa il religioso, che è stato anche maratoneta. Padre Kosmas scende due volte al giorno in città, di solito a piedi, per parlare e confrontarsi con le persone. Con il piccolo fuoristrada, che usa raramente, può arrivare fino all’ingresso del monastero, mentre i visitatori devono percorrere anche l’ultimo tratto di strada a piedi: “Purtroppo neanche i corrieri e i fattorini che consegnano pizze a domicilio possono arrivare fino in cima”, racconta.

klausen.it

All’avventura!

“MAMMA, SIAMO GIÀ ARRIVATI?” Le escursioni con i piccoli possono mettere a dura prova la pazienza, ma la soluzione c’è e si chiama Parco del Sole Gitschberg. Qui i bimbi si divertono sullo scivolo gigante, seguono l’elfa Lili nel folto bosco di Vandoies, imparano a riconoscere le orme degli animali e immergono i piedi nell’acqua gelida del percorso Kneipp in Valle d’Altafossa. Con il nuovo “adventure book” del comprensorio di Rio Pusteria a portata di mano, in ciascuna delle dieci stazioni si raccolgono dei timbri, trasformando così le escursioni in un’avvincente caccia alle medaglie per grandi e piccini. Tutti gli itinerari proposti sono adatti ai bambini. Il libretto contiene indicazioni sui parchi giochi nelle vicinanze e consigli utili per scoprire la montagna nel rispetto della natura: come ci si comporta con gli animali selvatici? Quali piante e funghi si possono raccogliere? Non mancano giochi avvincenti e tanto spazio per disegnare e colorare.

Sostenibilità

In cammino con rispetto

Escursionisti e ciclisti, animali del bosco e al pascolo… e tutto attorno la natura. Una giornata in montagna è fatta di tanti incontri: ecco cinque consigli per viverla nel rispetto reciproco.

Abbassiamo i toni. I caprioli e gli altri animali selvatici sono sensibili ai rumori forti e agli schiamazzi. Per cui, ssst! Cerchiamo di muoverci silenziosamente e di non abbandonare i sentieri segnalati.

La montagna non è una discarica. La regola in montagna è semplice: quello che portiamo con noi, ce lo riportiamo a casa – e lo smaltiamo correttamente lì. Così la natura rimane pulita e protetta per i prossimi escursionisti – e per le prossime generazioni.

Ammirare sì, ma da lontano. Per quanto graziosi possano apparire, gli animali selvatici non amano essere accarezzati. Dobbiamo essere particolarmente prudenti con le vacche madri, che agiscono d’istinto per proteggere i loro piccoli.

Sorridiamo! Un saluto cortese, un passo di lato per lasciare passare gli altri escursionisti: questi piccoli gesti non costano nulla e contribuiscono a rendere più piacevoli gli incontri in montagna.

Rallentiamo! In montagna, la fretta non serve. Prendiamoci tutto il tempo necessario per osservare la natura e goderci l’attimo. Solo così l’escursione diventerà fonte di pace e tranquillità.

Salire a Malga Fane lungo il Sentiero del Latte, ammirare la vista dalla piattaforma degli Omini di pietra e scoprire la meridiana umana del comprensorio Gitschberg: con l'adventure book le escursioni in famiglia sono molto, ma molto più divertenti!

Incudine davanti al banco da lavoro della vecchia fucina, ora trasformata in museo

Datazione: 1850-1920 circa Dimensioni: 95×60 cm; 120 kg circa Materiale: ferro massiccio

CAPO-

Tra l’incudine e il martello

N

ella fucina riecheggia il suono forte e metallico del martello che colpisce il ferro sull’incudine. I colpi si susseguono, uno dopo l’altro, a un ritmo regolare. In sottofondo si sente il mantice che soffia aria sui carboni nella forgia. Concentrato, il fabbro fissa il metallo incandescente che tiene fermo sull’incudine con una tenaglia. Ogni colpo ha uno scopo preciso: modellare la materia grezza fino a trasformarla in un ferro di cavallo.

Fuori fa molto freddo, il rio Kaserbach è contornato di ghiaccioli. Nella vecchia fucina di Luson ferve l’attività. Le giornate sono scandite dall’arrivo dei contadini che portano a ferrare i loro cavalli. In inverno, i ferri vanno affilati ogni due-tre giorni per evitare che gli animali scivolino sui sentieri ghiacciati. È un lavoro che richiede mano ferma e precisione. Spesso rimane al lavoro fino a notte fonda, affilando e riparando zappini tiratronchi che serviranno per i lavori nei campi in estate.

Per molti decenni questa è stata la quotidianità dell’antica fucina. L’edificio, in posizione defilata rispetto al paese, fu

costruito sulle sponde del rio Kaserbach per sfruttarne la forza delle acque con cui azionare imponenti macchinari come i due grandi magli e il mantice. Il carbone necessario veniva prodotto nella vicina carbonaia con legno di abete e latifoglie. Oggi i colpi di martello sono cessati, il passare del tempo ha ridimensionato il mestiere del fabbro. Tenaglie, chiavi, ganci e strumenti per la filettatura, allineati in bell’ordine sull’antico banco da lavoro, ricordano l’operosità dei giorni andati. Sono tutti ancora in ottimo stato, non fosse per il loro colore nero carbone che ne rivela la lunga storia.

La vecchia fucina di Luson

+ L’antica officina, menzionata per la prima volta in documenti storici del 1253, è rimasta in funzione per quasi 750 anni. Qui generazioni di fabbri hanno lavorato il metallo per ferrare i cavalli e per realizzare e riparare strumenti per i boscaioli, ma anche ruote per carri e aratri. Alois Ragginer, l’ultimo fabbro di Luson, è stato testimone della chiusura dell’officina nel 2020. Nel 2024 la vecchia fucina ha riaperto i battenti, ma come museo, concepito per avvicinare i visitatori a questo antico mestiere artigiano. La fucina sulle sponde del rio Kaserbach è raggiungibile a piedi lungo l’itinerario storico-culturale di Luson.

Testo — STEFANIE UNTERTHINER

Fotografie — HANNES NIEDERKOFLER

Tre domande a…

Miriam Zenorini, 39 anni, gestisce il Vintlerhof di Bressanone, il primo maso bio-sociale dell’Alto Adige

Il Vintlerhof coniuga agricoltura e progetti sociali. Quali attività portate avanti? Nell’ambito di progetti di integrazione lavorativa, accompagniamo nel loro percorso di ritorno al mondo del lavoro fino a sedici persone con storie diverse – che siano problemi di dipendenza, difficoltà psicologiche o scolastiche. Alcuni rimangono solo pochi mesi, altri per più anni. Nel pomeriggio offriamo la pet therapy per bambini con i nostri asini, pecore e conigli. Gestiamo anche una scuola materna nel bosco e un asilo nido nel maso, dove i bambini vivono la loro quotidianità il più possibile a contatto con la natura.

La vostra attività agricola si ispira a princìpi ecologici. Quali in particolare?

Da due anni, nella coltivazione dei campi rinunciamo del tutto al trattore. Lavoriamo la terra a mano e, in futuro, speriamo di poterlo fare usando i cavalli. Inoltre, scambiamo i nostri prodotti con quelli dei masi vicini, per esempio carne di agnello in cambio di carne bovina. Lavoriamo quasi solo materie prime di nostra produzione. In futuro vorremmo coltivare anche barbabietole da zucchero per diventare ancora più autosufficienti.

Il lavoro nei campi, il punto vendita, la pet therapy… le sue giornate sono molto piene. Come si ricarica?

Sono da sempre vicina al mondo dell’associazionismo e faccio volontariato in più ambiti. E poi amo i giochi da tavolo, al Vintlerhof ne abbiamo circa seicento! Se poi ho bisogno di rilassarmi davvero, vado a passeggiare con la nostra asina Jana. Con lei anche un breve percorso può durare un’ora – un modo perfetto per ritrovare la calma!

Intervista — STEFANIE UNTERTHINER Fotografie — MEIKE HOLLNAICHER & THOMAS SCHÄFER / FARMFLUENCERS OF SOUTH TYROL

Intervista

Un maso visionario

+ Fin da bambina Miriam Zenorini sapeva di voler diventare una contadina. Ma le mancava un maso. Così ha deciso di formarsi come assistente sociale ed educatrice. Dopo gli studi ha trascorso due anni in India, occupandosi di alfabetizzazione femminile all’interno di una cooperativa lattiero-casearia. Questa esperienza l’ha spinta, una volta rientrata in Alto Adige, a dedicarsi all’agricoltura bio-sociale. Nel 2016, insieme al marito Mirco Postinghel, si è aggiudicata, tramite bando di concorso, la gestione del maso Vintlerhof grazie all’idea di farne il primo maso bio-sociale in Alto Adige. Nel 2022 Zenorini ha ottenuto un riconoscimento per il suo impegno nel campo dell’agricoltura sostenibile.

vintlerhof.it

Il progetto Farmfluencers of South Tyrol racconta le storie di contadini e contadine coraggiosi che credono nella sostenibilità e portano avanti con determinazione la propria visione.

In tutta onestà: è possibile coniugare armonicamente una vacanza e il rispetto per la natura e l’ambiente? La risposta è sì, ma a patto che politica, economia e popolazione creino i necessari circoli virtuosi. E che ospiti e albergatori facciano la loro parte. Una breve ricognizione del cambiamento ecologico e turistico in atto

Intervista — SUSANNE PITRO Fotografie — MICHAEL PEZZEI

Agricoltura biologica, circuiti produttivi locali e vendita diretta al maso: in molte aree dell’Alto Adige è in atto la transizione verso la sostenibilità su larga scala.

È

una di quelle giornate dorate d’ottobre in cui il mondo si veste dei suoi colori più caldi. Al maso Marxenhof, alle porte di Bressanone, il giovane agricoltore Matthias Klammer è impegnato nel raccolto. L’estate è finita da un po’, ma l’orto, con le sue sfumature verdi e gialle, è ancora rigoglioso. Matthias, 27 anni, smuove il terreno con un largo forcone per estrarre carote gialle e viola. Poi passa ai cavolfiori, ai cavoli ricci e alle verze. Subito dietro lo steccato si apre la porta di un pollaio e ne esce una frotta di galline che si dirige chiocciando verso il casale.

E la sostenibilità? Per molte aziende del settore turistico, non solo in Alto Adige, rappresenta il difficile equilibrio tra nobili propositi e sfide quotidiane. Mentre alcuni puntano ancora su e-bike e altre iniziative di piccola entità, vi sono attività che dimostrano come sia possibile coniugare gusto e sostenibilità anche su larga scala. Agricoltura biologica, circoli produttivi locali e vendita diretta testimoniano un cambiamento ormai in atto ovunque. Non da ultimo, il cambio generazionale contribuisce a far sì che, in sempre più aziende, innovazione e sviluppo vadano di pari passo con la sostenibilità ecologica e sociale.

Il maso biodinamico

Marxenhof è un modello di sostenibilità economica, sociale e ambientale. I prodotti vengono venduti nello spaccio interno, in due negozi di generi alimentari e ai ristoratori della zona.

Un idillio agreste. Il maso della famiglia Klammer, oggi un’azienda biodinamica, fino a pochi anni fa era una classica azienda altoatesina produttrice di mele, dal 1999 con certificazione bio. La gestivano i genitori di Matthias, per i quali non rappresentava tuttavia l’unica fonte di reddito. Dopo la morte del padre, Matthias, che ha una laurea in scienze agrarie, ha deciso di portare avanti il maso insieme alla sua compagna. La coppia è partita con un’idea precisa: vivere della sola attività agricola, ben sapendo che ciò avrebbe comportato l’ampliamento e la diversificazione della produzione. “Cercavamo un modello valido sul piano economico, ma che fosse anche socialmente ed ecologicamente sostenibile”, spiega. La soluzione? Il reddito di base è garantito oggi dall’affitto dei quattro appartamenti per le vacanze della proprietà, il resto proviene dalla vendita dei prodotti agricoli nello spaccio interno e in due negozi di generi alimentari, cui si aggiungono le forniture ai ristoratori della zona. Per rendere possibile il progetto, metà della superficie occupata dai meleti è stata convertita alla coltivazione di patate e ortaggi, condotta in base ai principi dell’agricoltura biodinamica.

SOSTENIBILITÀ, DUNQUE. Che non si tratti di un concetto puramente astratto, lo dimostra uno dei clienti più fedeli del Marxenhof: il ristorante Fink di Bressanone, che si trova a un paio di chilometri dall’orto del maso. Il locale dalla lunga tradizione, ospitato in un edificio del centro storico e oggi gestito dalla quarta generazione, ha imboccato un percorso di sostenibilità senza compromessi. Una ristrutturazione rispettosa della struttura preesistente, realizzata con materiali ecologici e di provenienza locale, ha permesso di ricavare nove suite e un’elegante area spa. E la cucina ha abbracciato una nuova filosofia. “Abbiamo quattro figli e, come è naturale, ci preoccupiamo del loro futuro e di quello del nostro pianeta”, dice la proprietaria Petra Hinteregger. La coerenza paga: a pochi anni dal passaggio di consegne, il locale ha già ottenuto la certificazione d’argento di EarthCheck, uno dei programmi di certificazione leader a livello mondiale nel settore del turismo sostenibile. Il riconoscimento è giunto in seguito a un’attenta verifica della conformità aziendale a severi criteri di sostenibilità ecologica e sociale (dall’acquisto delle merci al piano energetico, alla scelta di concedere al personale il benefit di un secondo giorno di riposo settimanale).

Quando Matthias Klammer porta in cucina le verdure fresche, con le mani ancora sporche di terra, il personale non sempre condivide l’entusiasmo dello chef Florian Fink. Patate di piccola taglia, carote di varie dimensioni, tante, troppe barbabietole… “La mia brigata mi ripete spesso che non siamo esattamente una cucina molto efficiente”, racconta lo chef quarantunenne con un sorriso mentre fa rosolare delle cimette di cavolfiore in una padella. Nelle cucine di numerosi ristoranti vengono consegnate addirittura le cipolle già rosolate. Qui, invece, non c’è ortaggio

“Abbiamo quattro figli e ci preoccupiamo del loro futuro e di quello del nostro pianeta.”
Petra

Hinteregger, ristorante

Fink
A soli due chilometri dall’orto del Marxenhof, il ristorante Fink di Bressanone, in mano alla quarta generazione, ha imboccato un percorso improntato all’innovazione e alla sostenibilità.

I prodotti standard non sono visti di buon occhio. La cucina predilige gli ingredienti vegetali, con ortaggi di stagione provenienti da monasteri e aziende biologiche della zona.

che non venga pulito, tagliuzzato e lavorato a mano direttamente sul posto. Con le eccedenze si producono sottoli e conserve, gli scarti sono ridotti al minimo. Le bucce delle variopinte carote del Marxenhof, per esempio, vengono fritte, mentre i loro ciuffi verdi vengono utilizzati per preparare un pesto della casa. Fink gioca con forme e colori, i prodotti standard è difficile che trovino spazio in questa cucina. “Più varietà c’è e meglio è”, conferma lo chef mentre dispone con cura le cimette bicolori di cavolfiore su un letto di gnocchi di patate, uno dei piatti del giorno. L’ultimo tocco è un filo di burro all’abete rosso che Fink stesso prepara in primavera con i germogli freschi raccolti nei boschi intorno a Bressanone.

L’arte culinaria monastica rappresenta la cifra della filosofia che Petra e Florian hanno introdotto nel loro locale sotto i portici di Bressanone. La classica cucina casalinga altoatesina ha ceduto il passo a una cucina che predilige gli ingredienti di origine vegetale, con tanti ortaggi freschi forniti dai monasteri e dagli agricoltori biologici della zona. Le basi di questa filosofia sono state tramandate a Fink da sua madre Antonia, che lo ha preceduto nella gestione della cucina. Il giovane chef trae particolare ispirazione dall’opera dell’erudita medievale Ildegarda di Bingen, alla quale si deve, tra le altre cose, anche la ricetta del decotto di erbe servito agli ospiti prima dei pasti. Ovviamente

“Più varietà c’è, meglio è.”
Florian Fink, chef

piatti e soggiorni in questa locanda completamente rinnovata hanno il loro prezzo, e non potrebbe essere altrimenti: la sostenibilità non si ottiene al ribasso, né negli acquisti presso i circa quaranta fornitori né nel menu del ristorante. Che alcuni avventori storici oggi evitino il locale e rimpiangano i vecchi tempi, è un effetto collaterale tanto dolente quanto inevitabile. “Ci si può ribellare o meno alla realtà, ma che la sostenibilità, nel sistema attuale, rappresenti ancora un bene di lusso è un dato di fatto”, commenta Petra Hinteregger. Per la coppia di imprenditori, la sostenibilità rappresenta l’unica strada percorribile per il futuro della propria attività e l’unico progetto al quale sentono di aderire pienamente. La sala piena dimostra che sempre più ospiti appoggiano e apprezzano questa scelta. →

“Per coinvolgere le persone sono necessari tanti piccoli passi e un’opera di sensibilizzazione.”

In Alto Adige sempre più eventi vengono organizzati pianificando fin dall’inizio misure quali l’uso di stampati a impatto climatico zero, una gestione intelligente dei rifiuti, soluzioni di efficienza energetica e di mobilità rispettose dell’ambiente.

COSA SI INTENDE PER DESTINAZIONE SOSTENIBILE e come si può rendere la sostenibilità tangibile e autentica? Innanzitutto, adeguati incentivi e un quadro normativo di riferimento, come quello fornito dalla Strategia di sostenibilità della giunta provinciale o da progetti come il Marchio Sostenibilità Alto Adige. L’aspetto più importante, tuttavia, è rappresentato dalle tante persone che, ciascuna nel proprio ambito di attività, cambiano gradualmente mentalità, intraprendendo percorsi alternativi e sfruttando le risorse nel rispetto di ambiente, economia e società. Come le due signore che si sono date appuntamento sotto l’enorme corona composta da mele in piazza a Naz-Sciaves per parlare delle sfide future. Una è l’assessora comunale Brigitte Vallazza, l’altra è Karin Suen, direttrice dell’associazione turistica locale. Vallazza è stata la promotrice di un progetto che ha fatto ottenere a Naz-Sciaves, piccola realtà di 3.400 abitanti, il marchio di qualità ComuneClima. Suen vanta un’esperienza pluriennale nell’organizzazione di “green events”. Durante le numerose feste che si organizzano in questa località votata alla coltivazione della mela, al confine tra Valle Isarco e Val Pusteria, è per esempio già ora possibile servire centinaia di ospiti con piatti di porcellana e bicchieri di vetro, lavati in lavastoviglie professionali acquistate appositamente dal Comune. Per ottenere il marchio di sostenibilità assegnato dalla giunta provinciale non è tuttavia sufficiente rinunciare alle stoviglie monouso. Proprio per questo in Alto Adige, terra a forte vocazione turistica, sempre più eventi vengono organizzati pianificando fin dall’inizio misure quali l’uso di stampati a impatto climatico zero, una gestione intelligente dei rifiuti, soluzioni di efficienza energetica e di mobilità rispettose dell’ambiente.

Le due responsabili Vallazza e Suen concordano sul fatto che, una volta imboccata la strada della sostenibilità, si iniziano a intravedere ovunque possibilità di miglioramento. L’assessora Vallazza e il comitato da lei guidato, per esempio, sono impegnati da tre anni nella diffusione dell’energia fotovoltaica: al momento due edifici comunali vengono forniti di energia da impianti solari, mentre in altri sette, tra i quali la nuova scuola per l’infanzia di Sciaves, ne è già stata pianificata l’installazione. Inoltre, il nuovo asilo nido comunale, appena inaugurato, ha ricevuto la certificazione CasaClima. Nelle località insignite del marchio di qualità ComuneClima si lavora per sensibilizzare a un uso sostenibile delle risorse anche in altri ambiti, dalla raccolta differenziata dei rifiuti ai mercatini dell’usato, alla realizzazione di mappe con l’indicazione delle fontane di acqua potabile presenti sul posto, una misura utile a ridurre l’uso di bottiglie di plastica. “Per coinvolgere le persone sono necessari tanti piccoli passi e un’ampia opera di sensibilizzazione. Imporre le misure dall’alto non serve a nulla e genera anzi rifiuto”, afferma la cinquantenne Vallazza. Uno dei suoi maggiori successi è l’iniziativa “Bike to Work”, con cui il comune di Naz-Sciaves ha messo a disposizione della popolazione quaranta bici elettriche in cambio di un contributo simbolico, creando un forte incentivo a lasciare l’auto a casa e raggiungere il posto di lavoro in bicicletta, per esempio utilizzando la nuova ciclabile che, passando per Novacella, collega il paese a Bressanone, ad appena sei chilometri di distanza.

LA MOBILITÀ SOSTENIBILE, in particolare nell’area alpina, rappresenta uno degli aspetti centrali di qualsiasi progetto di sostenibilità. L’obiettivo è incoraggiare popolazione locale e ospiti a passare dall’automobile a mezzi quali treno, autobus e bicicletta. Gli ospiti, in particolare, possono approfittare dei vantaggi dell’Alto Adige Guest Pass. Joachim Dejaco, direttore generale di Strutture Trasporto Alto Adige, l’azienda di trasporto pubblico locale, sottolinea il sensibile incremento nell’utilizzo di treni e autobus in seguito all’introduzione del pass nell’intero Alto Adige, un modello in grado di generare a livello provinciale un fatturato annuo di 20 milioni di euro, reinvestiti in progetti di mobilità. Gli ospiti in possesso del pass possono utilizzare autobus e treni senza costi aggiuntivi. Un importante contributo in tal senso viene dagli albergatori che, investendo nel progetto, scelgono di mettere il pass a disposizione dei loro ospiti. Il circolo virtuoso che ne deriva, prosegue Dejaco, comporta un miglioramento dei servizi anche per la popolazione locale: “L’aumento della domanda ci permette di potenziare l’offerta su numerose tratte”.

IL TRAFFICO DI TRANSITO continua tuttavia a gravare su molti comuni della zona. Mariano Paris osserva con preoccupazione le auto che attraversano le strette strade di Velturno: “Il nostro paese ha urgentemente bisogno di una soluzione per regolare il traffico. Per questo ci siamo attivati presentando numerose proposte di mobilità per il nuovo piano di sviluppo comunale”. Paris parla a nome del “Circolo per il clima Velturno”, un gruppo di sette cittadini e cittadine che nel 2021, in occasione della presentazione dei 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, tenuta nella biblioteca del paese, hanno deciso di avviare l’iniziativa per contribuire all’attuazione delle misure nella loro piccola realtà. →

In tutta la provincia, molte persone si dedicano a promuovere cambiamenti positivi nella loro comunità, specialmente nei circoli per il clima.

A rendere una destinazione sostenibile non contribuiscono solo agricoltori, imprese, politica e istituzioni, ma anche i tanti cittadini e cittadine che, unendo le forze, danno vita in tutto il territorio a circoli per il clima e forniscono spunti per favorire il cambiamento a livello locale. “Il clima mi sta a cuore da sempre e trovo deludente che dall’alto continuino ad arrivare risposte insufficienti”, dice Waltraud Marcher Kerschbaumer, direttrice della biblioteca, tra le prime ad aderire al circolo per il clima. Il gruppo si riunisce una volta al mese. Il costante confronto tra i partecipanti ha portato a molti risultati concreti; dal rinverdimento della piazza con alberi e cespugli autoctoni all’offerta di una consulenza sulla permacultura per giardini privati, da una serie di articoli pubblicati nel bollettino locale dedicati a iniziative congiunte per la raccolta dei rifiuti. Il successo più grande finora raggiunto dal circolo è la bacheca bene in vista all’ingresso dell’associazione turistica locale. Castagne, zucche, sedano e diversi tipi di insalata: tutto ciò che in questa stagione viene coltivato in otto masi della zona può essere offerto qui, o nel gruppo WhatsApp della piattaforma “Frisch, Lokal, Gesund”.

All’inizio, ci è voluta un po’ di opera di convincimento da parte dei membri del circolo per il clima, ma ora sono in molti a Velturno ad apprezzare la possibilità di ritirare gli ortaggi biologici a pochi passi da casa

anziché recarsi in macchina al supermercato. Il fatto che gli ordini vengano ritirati direttamente ai masi, inoltre, ha accresciuto la considerazione per l’agricoltura locale – anche tra i bambini, per i quali non mancano le occasioni di partecipare al raccolto e concludere l’esperienza cucinando tutti insieme. “In questo processo, i cittadini e le cittadine costituiscono l’unità più piccola. Se sempre più persone contribuiscono a rendere il mondo più sostenibile, siamo sulla buona strada”, afferma Paris.

Una riflessione, questa, valida anche per altri attori del settore turistico, dalle aziende e associazioni turistiche ad agricoltori, responsabili politici, amministratori, fino agli ospiti stessi. La vera sostenibilità è possibile solo se un gran numero di persone opera le scelte giuste, è fonte di ispirazione reciproca e ha il coraggio di costruire insieme il cambiamento.

Visibilmente sostenibile

Quando vedi il Marchio Sostenibilità Alto Adige, riconosci destinazioni turistiche, strutture ricettive e ristorative che promuovono attivamente una vacanza più consapevole. Scoprile, impara a conoscerle e accompagna l’Alto Adige verso un futuro sostenibile.

suedtirol.info/vacanze-sostenibili

MA CON GUSTO!

Un tempo le vacanze significavano mangiare bene, bere bene… e soprattutto il dolce far nulla. Acqua passata. Da tempo ormai i vacanzieri e le vacanziere hanno scoperto la bicicletta e affrontano sulle due ruote salite e discese in quota. Ma è davvero tramontata l’epoca delle vacanze all’insegna del relax? All’orizzonte si delinea un compromesso, che a noi non spiace affatto

“L’uccello vola, il pesce nuota, l’uomo corre”, diceva il grande mezzofondista cecoslovacco Emil Zátopek, detto “la locomotiva”. Già, l’uomo corre, ma il vacanziere, quella particolare versione dell’essere umano in vacanza, da qualche anno non corre più, ma pedala. Sempre e ovunque, a quanto pare. Come si spiega questo fenomeno? Si direbbe che una vacanza non possa più definirsi tale senza la pedalata quotidiana, in sella alla classica bici muscolare o facendosi aiutare dall’energia elettrica. Come se, finito l’allenamento… ehm, la vacanza… ci si dovesse presentare all’autorità di competenza per esibire i chilometri e i dislivelli accumulati registrati dal fido smartwatch. Obiettivo mancato? C’è una multa da pagare!

Un tempo ormai lontano le cose erano diverse. Certo, i fanatici dell’attività fisica a tutti i costi ci sono sempre stati. Quelli che, quando il cicloturismo non era ancora in voga, si definivano “scalatori” e pensavano che la montagna si potesse davvero ammirare solo dopo averne toccato la vetta. Ma rappresentavano l’eccezione, non la regola. Per i più godersi le vacanze significava semplicemente evitare qualsiasi tipo di sforzo fisico. Bere, mangiare, non far nulla. Vacanza voleva dire: niente pedalate, niente scalate. Meglio gustarsi un piatto di Schlutzer o canederli fumanti. Cameriere, un’altra porzione, e ci porti ancora mezzo di Lagrein! Poi, per digerire, un bel pisolino a bordo piscina. A proposito di piscina: no, niente vasche prima di colazione! Molto meglio farsi cullare dall’acqua ammirando le cime circostanti. E se al ritorno la bilancia segnava tre chili in più, era la certezza che le vacanze erano state veramente rilassanti! Allora sì che ci si sentiva pronti per rituffarsi nella follia che chiamiamo vita quotidiana. Oggi, invece, una vacanza al passo con i tempi, anzi somma espressione dello spirito del tempo, viene considerata tale solo se si ritorna alla frenesia quotidiana con tre chili in meno.

Da qualche tempo, però, si nota con un certo compiacimento che qualcosa sta cambiando nelle abitudini vacanziere della nostra stravagante specie umana. Tra i due estremi si sta delineando un compromesso: i ciclisti continuano ad affrontare pedalando le strade dei passi e a sfrecciare attraverso le gole alpine, ma la destinazione è un luogo in cui gustare prelibatezze: una trattoria, un locale specializzato nel Törggelen, una cantina vinicola. Proprio così. E alla fine delle vacanze ci si rallegrerà di non aver preso (né perso!) un solo grammo. Anzi, per andare sul sicuro, sulla bilancia non si salirà proprio. L’aquila vola, la trota nuota, Zátopek corre… E voi, vacanzieri e vacanziere? Pedalate come locomotive se ne avete voglia ma, smontati di sella, concedetevi qualche peccato di gola e non abbiate paura di sdraiarvi pigramente a bordo piscina. La parola d’ordine è: ciclismo sì, ma con gusto!

A PORTATA DI VETTA

Toccare il punto più alto della montagna… alzi la mano chi non vorrebbe! Ma è possibile farlo senza correre rischi e senza faticare troppo? Ebbene sì! Vi proponiamo alcune escursioni che vi porteranno in cima senza arrampicate e con meno di 1.000 metri di dislivello

Testo — DANIELA KAHLER

JULIA HOFER insegna tedesco online nell’ambito della formazione degli adulti. “Sono anche guida escursionistica: la montagna compensa le lunghe ore al computer e mi permette di lavorare a contatto diretto con le persone".

FLORIAN HUBER perito meccanico, fa la guida alpina come secondo lavoro. “Ho sempre amato la montagna. Il fatto che alcuni miei colleghi fossero guide alpine mi ha motivato a intraprendere la formazione".

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Lungo questo itinerario capita spesso di camminare per ore senza incrociare altri alpinisti. L’escursione, che inizia al maso Wieserhof di Scaleres (1.550 m), conduce attraverso un bosco di pini cembri fino al limitare del bosco e prosegue quindi per un tratto attraverso dolci alpeggi. Percorsi gli ultimi due chilometri, più ripidi, si giunge infine alla vetta di Punta Quaira (2.514 m). Attenzione: se il tempo volge al brutto, bisogna ritornare subito indietro poiché l’ultima parte del percorso non offre alcuna possibilità di riparo. Se il tempo è bello, invece, si apre una vista spettacolare sui Monti di Fundres e sulle Dolomiti fino alla Val Pusteria. Questo itinerario è particolarmente suggestivo all’alba. Se dopo un’escursione così silenziosa e contemplativa si ha voglia di un po’ di convivialità, è consigliata una sosta alla malga Zirmaitalm.

Vetta con lago MONTE PASCOLO E LAGO RODELLA

Julia Hofer, cosa ci riserva la salita? Per raggiungere la vetta del Monte Pascolo si possono seguire itinerari diversi. Il più bello inizia presso il maso Kühhof e attraversa il bosco solo per un breve tratto, offrendo così una vista aperta sul Sass de Putia, il gruppo delle Odle e lo Sciliar. Questo percorso è particolarmente suggestivo a giugno: durante la fioritura delle rose alpine, il paesaggio si tinge di rosa.

Dalla vetta si scende verso il Lago Rodella. Una volta lì, cosa si può fare? Nelle giornate calde, i meno freddolosi possono provare a tuffarsi in acqua. Dalla vetta del Monte Pascolo vedo spesso escursionisti che si rinfrescano con una nuotata. La maggior parte, però, esce dopo poche bracciate perché l’acqua è davvero fredda.

Nelle immediate vicinanze si trova il Rifugio Lago Rodella, che ogni giovedì propone un menu a base di canederli, non solo quelli classici allo speck, ma anche specialità originali al salmone o al gusto pizza. Il giovedì i canederli si possono gustare anche a cena. Volendo, si può quindi salire al rifugio dopo il lavoro.

A giugno, quando fa buio tardi, si può arrivare in vetta prima dell’imbrunire, ma è bene portare sempre con sé una lampada frontale. Consiglio comunque di non partire troppo tardi perché a un certo punto i canederli finiscono!

L’ITINERARIO

L’escursione inizia all’altezza del maso Kühhof sopra la frazione di Lazfons. Dopo un breve tratto di sentiero forestale in direzione del Rifugio Chiusa, al crocifisso si svolta imboccando un sentiero in salita e si prosegue per circa 1,2 km attraverso un bosco di conifere non particolarmente fitto. All’incrocio con il sentiero n. 14, si prosegue in salita lungo quest’ultimo fino al limitare del bosco e al punto di ristoro Brugger Schupfe (al momento chiuso), a 2.000 m. Di qui si continua a sinistra sempre lungo il sentiero n. 14 fino al cocuzzolo del Muntscheggele (2.154 m) con il suo caratteristico omino di pietra. Qui, al bivio, si imbocca il sentiero n. 10A in direzione nord, che conduce direttamente alla vetta del Monte Pascolo. Dopo circa tre ore di cammino si raggiunge la croce di vetta a 2.436 m. Per il ritorno si segue un percorso diverso. Prendendo il sentiero n. 7 in direzione nord-est, si scende al Lago Rodella, a circa un chilometro di distanza, e di qui al Rifugio Lago Rodella (2.284 m), entrambi visibili dalla vetta. Si prosegue quindi lungo il sentiero n. 8/10 in direzione sud. Poco prima del Muntscheggele ci si ricongiunge al sentiero percorso all’andata e lo si segue per tornare al maso Kühhof.

Partenza e arrivo: parcheggio presso il Kühhof (1.560 m) · Vetta: Monte Pascolo (2.436 m) · Durata: 5 h Lunghezza: 12 km · Dislivello: 964 m · Come arrivare senza auto: da metà maggio a fine ottobre, su prenotazione, un bus navetta collega una volta alla settimana Lazfons al Kühhof

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+ Amate i laghetti alpini? Poco più a sud si trovano il Laghetto dei Morti e, a breve distanza, la vetta di Monte Villandro. L’escursione inizia alla Baita Gasser (1.756 m) sull’Alpe di Villandro. L’itinerario, che attraversa gli ampi prati dell’alpeggio, costeggia boschi di larici e pini cembri fino alla chiesetta dei Morti e all’omonimo laghetto, un piccolo bacino idrico di alta montagna. Di qui si sale fino alla vetta di Monte Villandro (2.509 m), dove la vista si apre a est sulla Valle Isarco e sulle Dolomiti e a ovest sulla Val Sarentino. Il percorso è tecnicamente facile, ma richiede una buona condizione fisica.

Non sono pochi gli escursionisti che azzardano un tuffo nelle acque (fredde!) del Lago Rodella.

La vetta d’inverno CIMA LASTA 3

Florian Huber, ci può descrivere brevemente l’escursione a Cima Lasta? È un’escursione panoramica e paesaggisticamente molto bella. La cima può essere raggiunta con le ciaspole, con gli sci da scialpinismo o semplicemente a piedi lungo un sentiero battuto, che tuttavia si interrompe prima della vetta. La variante più lunga inizia al parcheggio Zumis sopra Rodengo e conduce lungo un sentiero escursionistico fino all’alpeggio dove si trovano il Rifugio Roner e altri punti di ristoro, aperti anche in inverno, che possono rappresentare una meta alternativa alla vetta.

Come appare il paesaggio in inverno? In inverno, a seconda della quantità di neve, il paesaggio cambia continuamente. Anche se percorro questo itinerario dieci volte, lo trovo ogni volta diverso. Nella neve fresca è poi possibile scoprire le orme degli animali che sono usciti la notte precedente. In inverno, il periodo dell’ibernazione, è importante comportarsi in modo rispettoso nei loro confronti, senza abbandonare i sentieri e i tracciati. In questa stagione è bello andare in montagna anche all’alba, con il vantaggio di non doversi alzare troppo presto!

L’ITINERARIO ↓

L’escursione invernale inizia al parcheggio Zumis sopra Rodengo (1.750 m). Qui si imbocca un ampio sentiero in direzione del Rifugio Roner. Dopo poche centinaia di metri si svolta a sinistra sul sentiero n. 4, che attraversa il bosco e conduce al rifugio. Di qui si prende il sentiero n. 2 fino al Rifugio Starkenfeld. Dal rifugio si prosegue lungo il sentiero, si sale su una collina per poi scendere fino all’ampio alpeggio di Cima Lasta. Si procede quindi per un breve tratto in direzione sud attraverso un boschetto di larici e pini cembri, poi in direzione est. Dopo circa un chilometro – e per questo tratto è consigliabile l’uso delle ciaspole – si raggiunge la vetta di Cima Lasta (2.194 m). La vetta, dalla conformazione piatta, è celebre per la vista sulle Alpi della Zillertal e il Gruppo delle Vedrette di Ries. Da lassù sembra di toccare con un dito il Plan de Corones e le Dolomiti della Val Badia! La discesa avviene lungo la dorsale percorsa dal sentiero n. 2 e il sentiero tracciato in direzione sud-ovest, passando nuovamente per il Rifugio Roner e ritornando quindi al punto di partenza.

Cima Lasta è famosa per la sua vista: tutto sembra a portata di mano.

Partenza e arrivo: parcheggio Zumis (1.750 m)
Vetta: Cima Lasta (2.194 m) · Durata: 3 h · Lunghezza: 10 km
Dislivello: 500 m

Escursione o ciaspolata?

In inverno, a seconda del manto nevoso, il paesaggio sembra sempre diverso.

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+ L’escursione sugli sci o con le ciaspole sul poco frequentato Klein Gitsch (2.262 m) inizia dal parcheggio all’ingresso della Valle d’Altafossa sopra Maranza (1.580 m). Di qui si procede dapprima lungo il sentiero invernale battuto in direzione del Rifugio Moserhütte a circa un’ora di cammino. Superato il rifugio, si procede lungo il sentiero n. 6 che risale una piccola altura, dove si trovano una croce e una panchina. Si prosegue quindi lungo il crinale, passando per Großberg e Rumaul, fino a raggiungere la vetta del Klein Gitsch.

Una vetta ricca di storia CROCE DI LAZFONS E CIMA SAN CASSIANO 4

Julia Hofer, qual è la peculiarità di questa escursione? La Croce di Lazfons è un luogo di pellegrinaggio sin dal XVIII secolo ed è il più alto di tutto l’Alto Adige. A inizio estate, per la precisione il penultimo sabato di giugno, si svolge una processione: i fedeli portano un crocifisso, detto il “Dio nero”, da Lazfons fino al santuario di Santa Croce, dove rimane per tutta l’estate. L’itinerario è molto bello anche in autunno, quando i boschi di larici si tingono di giallo e arancione.

Lungo il percorso c’è un punto di ristoro che consiglia? Raccomando di provare il Kaiserschmarrn del Rifugio Chiusa, che viene preparato all’aperto davanti alla baita. Ma a dire la verità tutti i loro piatti sono deliziosi!

Questa escursione può costituire anche una tappa all’interno di un tour di due o più giorni? Sì, la Croce di Lazfons si trova lungo l’Alta Via Hufeisentour. Percorrere questo itinerario, anche solo in parte, richiede tuttavia una buona condizione fisica ed esperienza. L’Alta Via Hufeisentour è composta da sette tappe giornaliere e attraversa l’intero arco delle Alpi Sarentine.

L’ITINERARIO

Anche questa escursione inizia all’altezza del maso Kühhof (1.560 m) sopra la frazione di Lazfons. Qui si imbocca il sentiero sterrato n. 1 in direzione nordovest, che attraverso boschi e pascoli conduce al Rifugio Chiusa (1.920 m). Rimanendo sullo stesso sentiero, si procede verso la vallata per poi salire fino a raggiungere la Croce di Lazfons, il santuario di Santa Croce e l’omonimo rifugio e punto di ristoro (2.296 m). Di qui si segue il sentiero n. 9, attraversando alpeggi e pietraie. Dopo circa 1,5 km si giunge alla vetta di Cima San Cassiano (2.581 m): lo spettacolare panorama abbraccia da un lato le Dolomiti, dal Sass de Putia al Latemar, e dall’altro le Alpi Sarentine. Nelle giornate limpide la vista può arrivare all’arco alpino principale. Il ritorno avviene lungo lo stesso percorso.

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Dal tagliere di speck al Kaiserschmarrn, al Rifugio Chiusa ogni piatto è irresistibile.

Partenza e arrivo: parcheggio presso il Kühhof (1.560 m) · Vetta: Cima San Cassiano (2.581 m) · Durata: 5 h e 30 min · Lunghezza: 15 km · Dislivello: 1.020 m

Come arrivare senza auto: da metà maggio a fine ottobre, su prenotazione, un bus navetta collega una volta alla settimana Lazfons al Kühhof

+ Il Giogo di Terento (2.405 m) non è la cima più alta sopra l’abitato di Terento, ma la vista panoramica sulle Alpi della Zillertal e sulle Dolomiti è imperdibile. Il percorso inizia presso il parcheggio Monteneve (1.600 m) e passa davanti alla malga Pertinger Alm (aperta) per raggiungere Cima Gallina (2.064 m), la prima vetta dell’itinerario da cui si apre una vista mozzafiato. Di qui, superato il bosco, il sentiero prosegue in lieve salita verso il Giogo di Terento. Degna di nota è anche la “Pietra del diavolo”, un grande masso erratico che la leggenda vuole sia stato portato qui dal demonio in persona.

“La natura ci dà ciò di cui abbiamo bisogno”

Intervista — STEFANIE

Bauern und Doktoren Wie in vielen anderen Ortschaften gab es auch in Lüsen im 18. Jahrhundert keinen Arzt. Von Generation zu Generation übertragenes Wissen und einfach verfügbare Heilmittel aus der Natur hatte daher einen umso wichtigeren Stellenwert. Besonders bekannt für ihre volksmedizinischen Kenntnisse waren die Familie Ragginer. Am Gargitthof in Kleinkarneid praktizierten drei Generationen als Heilkundige. Joseph Ragginer, der erste sogenannte Bauerndoktor, behandelte ab 1780 sowohl Menschen als auch Tiere. Der letzte Vertreter der Dynastie, Sebastian Ragginer (im Bild), praktizierte seine Medizin in ganz Südtirol. Die überlieferten Schriften der Familie gewähren faszinierende Einblicke in vergangene Zeiten. Tipp: Eine Kräuterwanderung in Lüsen gibt tiefe Einblicke in die Naturheilkunde von früher.

Piantaggine lanciuola

Plantago lanceolata

Scheda

• ha proprietà antinfiammatorie e lenitive, rafforza le difese immunitarie • particolarmente indicata contro i disturbi delle vie respiratorie, come la tosse, o per favorire la cicatrizzazione delle ferite • periodo ideale per la raccolta: da maggio a settembre • l’efficacia massima si ottiene con le foglie giovani raccolte a inizio estate

Fatto in casa: sciroppo tradizionale per la tosse

2 manciate di foglie di piantaggine

• 1 manciata di germogli freschi di abete

• zucchero

Sminuzzate grossolanamente le foglie di piantaggine e i germogli di abete appena raccolti. In un vasetto di vetro disponete, a strati alternati alti circa 1 centimetro, uno strato di foglie di piantaggine, uno strato di zucchero, uno strato di germogli d’abete, ricominciando quindi con uno strato di foglie di piantaggine, uno di zucchero e così via. È importante pressare bene ogni strato. L’ultimo strato deve essere di zucchero. Chiudete bene il vasetto e lasciatelo riposare in frigorifero per alcune settimane. Dopo circa quattro settimane versate lo sciroppo così ottenuto in flaconcini puliti. Lo sciroppo si conserva in frigorifero per circa sei mesi. Un cucchiaino più volte al giorno aiuta contro la tosse secca e stizzosa, e anche contro la raucedine.

Tintura di calendula per curare le ferite, caramelle alla primula contro il mal di gola. Nel libro “Wickel, Salben und Tinkturen. Das Kräuterwissen der Bauerndoktoren in den Alpen” (Edition Raetia, 4a ristampa, 2024), il farmacista Arnold Achmüller esplora il mondo della medicina popolare. Antichi rimedi casalinghi si uniscono alle scoperte della ricerca farmaceutica.

Carmen Stieler, erborista e guida naturalistica e paesaggistica, ci spiega quali benefici apportano le erbe officinali e come raccoglierle nel rispetto della natura.

Quali accorgimenti bisogna seguire quando si raccolgono le erbe selvatiLa cosa più importante è raccogliere solo le erbe officinali che si è in grado di identificare con certezza. Consiglio di consultare i classici manuali cartacei o di frequentare un corso, piuttosto che affidarsi alle app. Per esempio, una pianta commestibile come l’aglio orsino ha un aspetto molto simile al mughetto, che è invece velenoso. Consiglio poi di raccogliere le erbe selvatiche solo in luoghi incontaminati, lontano da strade, cantieri e campi coltivati con pesticidi. Per permettere alle piante di respirare, potete riporle in una borsa di stoffa o in un cestino.

Come raccogliere le erbe officinali in modo rispettoso della natura?

Le infiorescenze vanno tagliate con accortezza, servendosi di un coltellino o di un paio di forbici. Non strappate mai le piante con le radici, magari per utilizzarne solo i fiori. Staccate le foglie dallo stelo e tagliate quest’ultimo poco sopra il terreno. È poi bene raccogliere solo la quantità di cui si ha effettivamente bisogno – in modo da lasciare abbastanza perché la natura possa rigenerarsi.

Qual è la stagione migliore per raccogliere le erbe selvatiche? Tutto l’anno in realtà, perché la natura ci offre esattamente ciò di cui il nostro corpo ha bisogno al momento giusto. In primavera, per esempio, fioriscono piante come l’ortica e l’acetosa, che forniscono le vitamine di cui il nostro organismo ha bisogno in questa stagione. L’autunno è invece il periodo migliore per raccogliere frutti e radici da cui ricavare le riserve necessarie per affrontare l’inverno.

Qual è la sua erba officinale preferita e come la utilizza? Amo raccogliere l’iperico, che utilizzo per oli e tinture particolarmente indicati per lenire le ferite cutanee e le scottature solari. Raccolgo molto volentieri anche le foglie di more, di fragole e di lamponi che faccio essiccare per ricavarne una tisana da bere tutto l’anno.

Contadini e dottori

+ Nel XVIII secolo a Luson, come in tante altre località della zona, non c’era alcun medico. Il sapere tramandato di generazione in generazione e i rimedi ricavati dalle piante officinali avevano un’importanza fondamentale. La famiglia Ragginer del maso Gargitthof di Cornedo era particolarmente nota per le sue conoscenze di medicina popolare. Ben tre generazioni di Ragginer si dedicarono alla pratica della medicina naturale. Joseph, il primo “dottore contadino”, iniziò a curare sia le persone sia gli animali nel 1780. L’ultimo rappresentante della dinastia, Sebastian Ragginer (in foto), praticava la sua arte in tutto l’Alto Adige. Gli scritti della famiglia giunti fino ai nostri giorni restituiscono un quadro affascinante dell’epoca passata. Il nostro consiglio: le escursioni dedicate alle erbe officinali nella zona di Luson sono un’ottima occasione per conoscere da vicino la medicina naturale di un tempo.

L’ultimo “dottore contadino” di Luson, Sebastian Rugginer (nella foto con la famiglia), morì nel 1899. Il suo lascito è esposto al Museo provinciale degli usi e costumi di Teodone.

“LE NOSTRE ORIGINI SONO PROFONDAMENTE RADICATE IN NOI”

Intervista — LISA MARIA GASSER

Fotografie — CAROLINE RENZLER

L’artista Marlies Baumgartner crea opere seguendo il suo ritmo interiore. Con lei abbiamo parlato di arte e della sua terra natale, di come dipingere aiuti a rallentare i ritmi della quotidianità e di come sia stato vivere in una baita isolata e senza elettricità

Marlies Baumgartner (30 anni) vive e lavora a Varna, tra il suo atelier e il negozio di famiglia, il DEGUST, al piano terra dello stesso edificio. La sua formazione artistica ha avuto inizio nel 2009 presso il liceo artistico “Cademia” di Ortisei in Val Gardena, dove ha ottenuto il diploma di “maestra d’arte” e quello di maturità. Ha conseguito in seguito una laurea triennale in arti visive e pittura alla Libera Accademia di Belle Arti di Firenze, trascorrendo un periodo di studi alla SFA Stephen F. Austin State University di Nacogdoches in Texas (USA).

“ASSECONDANO IL MIO GRANDE BISOGNO DI PROTEZIONE, QUELLA CHE MI SANNO DARE LA NATURA E LE MONTAGNE.”

Marlies, perché dipinge?

MARLIES BAUMGARTNER: La pittura è la forma espressiva a me più congeniale. Sono una persona visiva, percepisco il mondo attraverso la vista e ho bisogno di immagini per indagare le cose che mi interessano.

Come è nata la sua passione per l’arte? Ho sempre sentito l’esigenza di esprimermi in modo creativo. Da bambina dipingevo sempre, istintivamente e spontaneamente.

Ricorda i suoi primi disegni?

Il ricordo più nitido che ho, sono gli abiti da donna che disegnavo con la vernice per legno. Da piccola sognavo di diventare sarta. E poi mi è sempre piaciuto sperimentare con i materiali, allora come oggi. Ricordo ancora l’emozione che ho provato da bambina quando, usando gli acquarelli sui colori a cera per dipingere un campo di papaveri, mi sono accorta che il colore non faceva presa. L’incontro di colori con solubilità diversa aveva qualcosa di magico, è stato bellissimo scoprirne gli effetti incontrollabili e sorprendenti.

Avrebbe potuto diventare sarta e la pittura rimanere un semplice hobby. Invece, si è iscritta al liceo artistico di Ortisei in Val Gardena… È stata una decisione di pancia, la migliore che potessi prendere. Proprio come la scelta, dopo la maturità, di iscrivermi all’Accademia di Belle Arti di Firenze. In tutto quello che riguarda la pittura a guidarmi è sempre stato l’istinto.

L’Alto Adige viene spesso descritto come una terra dagli orizzonti ristretti, piuttosto chiusa ai giovani e alle novità. La sua arte e la sua creatività hanno trovato un posto in Valle Isarco e in Alto Adige in generale?

Penso di sì. In Alto Adige c’è molto fermento, sia all’interno del Künstlerbund, la più grande associazione di artisti locale, che nelle piccole gallerie. Certo, l’Alto Adige non è Berlino, ma mi chiedo: è davvero necessario che lo sia?

Che vantaggi offre la provincia?

Dell’Alto Adige amo soprattutto il fatto che la natura sia così vicina, così tangibile, praticamente davanti alla porta di casa. La nostra epoca ci offre infinite opportunità ed è una grande fortuna, che può però rivelarsi una sfida ardua. Quando tutto appare possibile, si perde spesso di vista ciò che è essenziale. Per questo mi sento più a mio agio in un ambiente piccolo e in grado di favorire lo scambio interpersonale.

“LA TERRA D’ORIGINE È

UN LUOGO. È L’INSIEME DI TANTE PICCOLE PERCEZIONI.”

Come percepisce la scena artistica, giovane e consapevole di sé, che si è creata a Bressanone e dintorni?

Per la mia generazione, ma anche per quella successiva, l’arte gioca un ruolo sempre più importante. In molti ambiti professionali è richiesta una certa creatività. L’arte non è più un mestiere che non dà da vivere. Grazie a una fitta rete di contatti e cooperazioni, anche trasversali rispetto alle generazioni, è oggi possibile dare vita a iniziative e progetti sempre nuovi.

I luoghi influiscono sugli artisti e sulle loro opere?

Il posto in cui ti trovi influisce sempre, ma al tempo stesso rimani la persona che sei. È un’esperienza interessante, che ho vissuto durante i miei studi a Firenze. I miei compagni di corso provenivano da ogni parte d’Italia, ciascuno aveva un approccio, un modo di lavorare e interessi propri. Questo mi ha permesso di imparare molte cose nuove e, per la prima volta, ho compreso il valore delle radici: da dove vieni è talmente radicato in te che emerge continuamente, in un modo o nell’altro, nel tuo lavoro. Non a caso, storicamente le correnti artistiche sono sempre state legate a luoghi specifici.

Che influsso esercitano le sue radici?

Assecondano il mio grande bisogno di protezione, quella che mi sanno dare la natura e le montagne tra le quali sono cresciuta. Non mi abbandonano mai. A Firenze sentivo l’esigenza di riavvicinare a me i luoghi che mi ero lasciata alle spalle, così ho iniziato a indagare artisticamente il territorio dell’Alto Adige. La pittura rappresenta un bisogno primordiale e proprio per questo non può che prendere le mosse dal proprio luogo d’origine.

Quando parla di origini intende un luogo preciso, la sua terra natale?

La terra d’origine è più di un luogo. È l’insieme di tante piccole percezioni che ti entrano dentro e ti fanno sentire protetta: profumi, sapori, suoni. Nel mio caso, per esempio, il calore gioca un ruolo decisivo. Percepire il calore mi fa sentire al sicuro. La stessa cosa accade quando sono immersa nel verde.

Che cosa prova davanti a una tela bianca?

A volte so esattamente cosa accadrà, altre volte non ne ho la minima idea. Spesso, dopo avere lavorato su un dipinto strutturato in modo rigoroso, pianificato e realizzato in base a un modello predefinito, sento l’esigenza di proseguire liberamente con il colore rimasto, trasformando così un’immagine figurativa in un’immagine astratta. →

È anche un modo per rallentare il ritmo?

Assolutamente sì. Con la mia tecnica pittorica rallento questo mondo che gira sempre più in fretta. Ogni trattino rosso, verde e blu, che rappresentano i pixel dei nostri monitor, lo dipingo e lo inserisco a uno a uno nella griglia dei miei quadri. Questo modo di lavorare segue il ritmo del mio cuore.

Quando dipinge, si lascia guidare dal battito del suo cuore?

Di solito ho bisogno di silenzio assoluto per concentrarmi e seguire il mio ritmo interiore. Dipingere diventa così una forma di meditazione che mi permette di ascoltare meglio i miei pensieri. Altre volte, invece, lascio che sia la musica, elettronica o anche dolce e melodica, a scandire il ritmo della pittura.

Per lei, la musica e la consapevolezza del corpo giocano un ruolo importante anche al di fuori della pittura. Da quando era bambina si dedica alla danza…

Il formaggio e l’arte hanno qualcosa in comune?

Il formaggio è già di per sé un’opera d’arte: è il risultato dell’incontro perfetto di natura, uomo e animale, racchiude insomma in sé i tre ordini del mondo vivente. Il formaggio, poi, è un prodotto dalla forte carica espressiva. Proprio come l’arte, racchiude un mondo di forme, colori, strutture e sfumature diverse.

Quanta fiducia in sé stessi serve per lavorare a un’opera senza sapere quale sarà il risultato?

Per me è soprattutto una questione di rispetto. Non voglio sprecare alcun materiale. Le mie opere spontanee migliori nascono su tele che nel corso degli anni ho preparato male, che ho tagliato in pezzi e che sono piene di pieghe e di segni del tempo. È proprio l’imperfezione di questi materiali a liberarmi dalla paura di dipingere senza seguire un progetto preciso.

La paura è un elemento importante anche nei suoi lavori più recenti, in cui affronta il tema dello schermo e del nostro modo di rapportarci a esso. Da alcuni anni mi interrogo sul perché il nostro corpo e il nostro ambiente sembrino non bastarci mai, mi chiedo cosa ci spinga a cercare sempre nuovi spazi. Neanche la luna e l’universo ci bastano più, ora ci siamo lanciati alla conquista degli spazi digitali, apparentemente illimitati e, in quanto tali, antidoto perfetto alla nostra claustrofobia. Ma cosa accade quando le persone spostano sempre più aspetti della propria vita negli spazi digitali? È la domanda alla quale tento di rispondere fornendo una rappresentazione della nostra claustrofobia.

Riesce a non farsi sopraffare dal senso di oppressione che evocano le sue immagini?

Questo senso di oppressione mi abbandona nel momento stesso in cui lo trasferisco sulla tela. In tal senso, la pittura è per me un atto liberatorio.

La danza è da tempo uno degli aspetti più importanti della mia vita, in particolare la danza espressionista, di improvvisazione e contemporanea. Anche quando sono esausta, la danza riesce sempre a darmi una grande energia.

Esausta dalla pittura?

Anche. La pittura richiede molta energia, ma so di averne bisogno. Quando non dipingo sento che mi manca qualcosa. Ora, però, riesco a dedicare più tempo alla mia arte.

Accanto all’attività artistica, lavora con i suoi genitori e sua sorella Antonia nell’azienda di famiglia DEGUST, specializzata da oltre trent’anni nell’affinamento dei formaggi.

Amo i prodotti alimentari di qualità e la buona cucina; per questo mi piace lavorare nella nostra azienda. Mi occupo principalmente del commercio al dettaglio, ma organizzo anche degustazioni e curo gli aspetti creativi. Il contatto con le persone compensa la mia attività pittorica, nella quale sono spesso sola e completamente assorbita da me stessa.

Dove trova l’ispirazione per le sue opere?

Spesso a ispirarmi sono le piccole cose: colori o materiali avanzati, una passeggiata, una conversazione o gli spazi nei quali espongo i miei lavori.

Le viene mai voglia di vivere in una grande città?

Amo il fermento delle metropoli e il fatto che siano un’inesauribile fonte di ispirazione. Per questo, dopo la laurea a Firenze, avrei potuto pensare di trasferirmi in una città ancora più grande. Poi, però, il lockdown ha cambiato le carte in tavola e io ho trovato il mio posto in Alto Adige.

Come ha affrontato la situazione di stasi creata dalla pandemia?

Mi ha permesso di dedicarmi più intensamente alla mia arte e di renderla parte integrante della mia quotidianità. In quel periodo ho fatto poi una delle esperienze più preziose della mia vita: insieme al mio compagno Felix ho vissuto in una baita completamente isolata, senza né corrente elettrica né rete telefonica.

È stato difficile?

Per saperne di più su Hansi Baumgartner e il bunker del formaggio di DEGUST, vedi a pagina

All’inizio mi innervosiva il fatto che tutto andasse così lentamente. Per cucinare, dovevamo prima andare a raccogliere la legna e poi accendere il fuoco. In realtà, abbiamo trascorso le giornate seguendo il ritmo naturale dell’essere umano, che ormai non conosciamo più: all’aperto, nel bosco, immersi nella natura. In quel periodo ho capito che voglio rimanere qui, nella terra in cui sono cresciuta. Ho capito che è la cosa giusta per me.

“DA

SEMBRINO NON BASTARCI MAI.”

ALCUNI ANNI MI INTERROGO SUL PERCHÉ IL NOSTRO CORPO E IL NOSTRO AMBIENTE

Illuminare il buio

I bunker della zona di Bressanone, costruiti in tempi bui e rimasti a lungo inutilizzati, sono tornati oggi a nuova vita. In alcuni di essi si conservano vini e formaggi, altri sono diventati luoghi d’arte. Scopriamo insieme tre luoghi speciali

In fondo, i bunker non testimoniano tanto la forza di un impero, quanto la sua paura di essere annientato.
Liberamente tratto da Paul Virilio (Bunker archéologie, 1975)

Idue dittatori si comportavano come se fossero amici. Perlomeno davanti alle fotocamere, Adolf Hitler e Benito Mussolini sembravano alleati. Dietro le quinte, però, il presidente del consiglio italiano era scettico: tutti i patti e gli accordi siglati sarebbero stati rispettati? Alla fine, prevalse la diffidenza. Fu così che il duce fece costruire centinaia di bunker lungo l’arco alpino, confine naturale del paese a settentrione, circa 440 dei quali nel solo Alto Adige. La linea difensiva prese il nome di “Vallo Alpino”. Le strutture, che potevano essere cavità ricavate nella roccia, blocchi di cemento isolati o case contadine camuffate, hanno superato indenni il passare degli anni. Oggi molti bunker sono di proprietà privata. Al posto di soldati e munizioni, le spesse mura di alcuni di essi ospitano ora prelibatezze gastronomiche e opere d’arte. Siamo andati a scoprirne tre, altrettante testimonianze delle svolte positive di cui la storia, a volte, è capace.

Testo — BETTINA GARTNER Fotografie — CAROLINE RENZLER

“Il percorso espositivo, vario e coinvolgente, ricostruisce le tre vite tipiche

dei bunker altoatesini”, dice Esther Erlacher, curatrice della mostra “Bunkerizzato” al Forte di Fortezza.

Il carro armato rosa

N

el Forte di Fortezza c’è un carro armato. Fin qui, nulla di strano trattandosi di una struttura militare costruita quasi duecento anni fa a difesa delle vie di collegamento lungo l’asse nord-sud dell’impero asburgico. La vera bizzarria è un’altra. Il carro armato è rosa, morbido e imbottito: una sorta di divano, pensato per riposarsi e non per attaccare il nemico.

L’originale veicolo è collocato alla fine della mostra “Bunkerizzato. Bunker in Alto Adige”, allestita tre anni fa al Forte di Fortezza e dedicata alla storia del Vallo Alpino. L’esposizione è ospitata nelle casematte sotterranee, lo spazio più sicuro dell’intera struttura. Le stanze con soffitti a volta sono circondate da spesse mura di granito parzialmente rivestite di mattoni.

All’ingresso si trova invece un enorme aeroplanino di carta, realizzato in realtà in acciaio laccato bianco. Il velivolo, che sembra atterrato qui quasi per caso, suggerisce ai visitatori che questo non è solo un luogo di storia e divulgazione, ma anche di arte.

“Il percorso espositivo, vario e coinvolgente, ricostruisce le tre vite tipiche dei bunker altoatesini”, dice Esther Erlacher, una delle curatrici della mostra. Le tre vite? Erlacher annuisce: “Innanzitutto la costruzione dei bunker tra la fine degli anni trenta e l’inizio degli anni quaranta, poi la riattivazione e l’abbandono degli impianti durante la guerra fredda e, infine, il loro utilizzo attuale”.

La mostra si sviluppa in otto sale, che riservano ai visitatori non poche sorprese. Stupiscono per esempio i pannelli termici, che non solo raccontano pagine di storia, ma riscaldano anche i freddi spazi espositivi. O il modello pieghevole del bunker che riproduce, tra gli altri, le camerate, l’infermeria e la cisterna di acqua. O ancora i graffiti, a testimonianza dei decenni passati, quando i giovani nei bunker organizzavano feste e davano libero sfogo alla loro creatività.

La costruzione del vallo difensivo, sbeffeggiato dalla popolazione con il soprannome dispregiativo di “linea non mi fido”, procurò ricche commesse alle imprese italiane e un bel po’ di grattacapi ai servizi segreti tedeschi. Le fotografie effettuate durante azioni di spionaggio confermano che i tedeschi erano a conoscenza delle attività del duce sul confine.

La seconda guerra mondiale pose fine all’espansione dei bunker imponendo lo spostamento di uomini e materiali in altre aree. La storia del Vallo Alpino come linea difensiva si sarebbe però arricchita di un nuovo capitolo. Negli anni in cui la guerra fredda teneva il mondo con il fiato sospeso, la situazione si fece tesa anche nell’Alto Adige orientale. A Naz, a circa dieci chilometri di distanza dal Forte di Fortezza, fu costituita una base NATO fornita di testate nucleari. I bunker mussoliniani furono utilizzati per esercitazioni militari e adibiti a depositi di munizioni. L’alleanza atlantica era decisa a opporre resistenza in caso di invasione sovietica da est, attraverso la Val Pusteria. Un piccolo dettaglio dell’esposizione bene illustra le conseguenze per la popolazione locale se lo scenario bellico si fosse avverato: guardando attraverso una feritoia, si vede uno specchio. In altre parole: qualunque nemico attacchiamo, alla fine l’attacco è rivolto sempre anche contro noi stessi. →

Ci sono luoghi che sembrano fatti apposta per ispirare storie da brividi. Luoghi che non fanno paura solo ai bambini, ma anche agli adulti. Uno di questi si trova sopra Rio Pusteria, nel folto bosco. Qui, tra gli alberi, si innalza una sorta di colosso di cemento nero. Al posto delle finestre, feritoie dalle quali colpire il nemico.

I bunker del Vallo Alpino, nel loro incredibile numero e varietà di forme, sono una fonte inesauribile di sorprese. Quello di Rio Pusteria ha qualcosa di mostruoso: compatto all’esterno, stretto e tortuoso all’interno. Un forte odore di cantina colpisce subito chi vi entra. Sarà un saluto dall’inferno? Niente affatto! Girato l’angolo sembra di entrare in paradiso. O meglio, in un paradiso per gli amanti del formaggio. Qui, su assi di legno, fanno mostra di sé formaggi erborinati con morchia rossa, pecorini e altri formaggi a pasta semidura. Subito accanto, formaggi di montagna grandi come ruote di carro, allineati in verticale come lo Schüttelbrot nei ripiani dei panifici. “Maturano qui da ormai tre anni”, dice Hansi Baumgartner toccando con delicatezza la spessa patina che si è formata su una delle forme di formaggio di montagna.

Baumgartner, classe 1961, è il titolare della DEGUST di Varna, azienda specializzata nell’affinamento del formaggio. A tal fine si impiegano il whisky, le erbe, il fieno e, per l’appunto, il clima peculiare del bunker, caratterizzato da elevata umidità e temperatura fresca e costante, i parametri ideali per la stagionatura del formaggio. “La crosta deve rimanere umida, altrimenti non può respirare”, spiega l’esperto gastronomo.

Lo stesso Baumgartner da bambino, quando era alto quanto un soldo di cacio (è il caso di dirlo!), giocava nei bunker del Vallo Alpino. Molti anni dopo, diventato esperto di formaggi, ha scelto di conservare i suoi prodotti proprio in questo ambiente così particolare. Di qui la decisione di affittare il bunker sopra Rio Pusteria, di proprietà del vicino maso Strasshof. La costruzione, con le sue tante stanzette simili a celle di stagionatura, è ideale poiché permette lo stoccaggio separato delle diverse famiglie di formaggi, evitando così la commistione di microrganismi, lieviti e muffe.

Questo bunker sembra offrire il posto giusto per ogni tipo di formaggio. Quello a pasta dura, per esempio, matura vicino agli ingressi e ai pozzi di ventilazione, dove la

temperatura oscilla tra i dodici e i quattordici gradi. Il formaggio morbido deve essere invece conservato in spazi più freschi, con temperature tra gli otto e i dieci gradi, per evitare che gli enzimi agiscano troppo velocemente.

Baumgartner ha allestito ogni stanza del bunker scegliendo pavimentazioni e colori diversi per ciascuna di esse. Le strisce di rame che attraversano le pareti rappresentano l’elemento che le unisce: “I calderoni per la produzione di formaggio sono tradizionalmente di rame”, spiega.

Il labirinto del formaggio si sviluppa su due piani. È quasi impensabile che un tempo i soldati potessero resistere quaggiù, senza il moderno impianto di aerazione che il nuovo proprietario ha fatto installare e senza la prospettiva di poter raggiungere di lì a poco un posto dove scaldarsi. Un tempo il bunker era usato come deposito di armi. Oggi ogni due giorni vi entra un collaboratore di Baumgartner incaricato di ispezionare i formaggi, girarne le forme e ungerne alcune con una speciale salamoia. Proprio alla soluzione salata si deve l’intenso odore, che ricorda l’ammoniaca, che si respira nel bunker, ma anche l’inconfondibile aroma dei formaggi. →

Nel bunker di Rio Pusteria, dove un tempo alloggiavano i soldati, si sviluppa oggi su due piani il labirinto del formaggio di Hansi Baumgartner.

L’ oscuro passato nascosto nel cuore della montagna. In questo tratto della strada della Val Pusteria, a pochi chilometri da Bressanone, ogni giorno migliaia di automobili sfrecciano davanti alla stazione di servizio “Lanz”. Tanti vi fanno sosta, per sgranchirsi le gambe e bere un caffè, ma ben pochi sanno che a due passi da qui si trova un bunker sotterraneo, una delle tante testimonianze belliche di queste zone. Scavato nella roccia e lungo circa 200 metri, fu fatto costruire da Mussolini alla fine degli anni trenta come parte del Vallo Alpino. Il nemico non doveva saperne nulla. Le strutture difensive furono ben camuffate come rovine di castelli, come fienili, come parte del paesaggio circostante. “Questo è uno degli ingressi”, dice Matthias Lanz, 46 anni, indicando un punto nascosto tra i cespugli. Dietro si intravede un grande masso. Chiediamo se sia possibile spostarlo per entrare all’interno della montagna.

“Non più”, spiega Lanz che è proprietario sia del bunker che dell’area di servizio. “L’esercito ha interrato o murato tutti e sei gli ingressi.” Per motivi di sicurezza. O forse, chissà, per cancellare il ricordo di un progetto tanto dispendioso quanto inutile.

I bunker, realizzati per respingere un eventuale attacco nazista, non vennero mai utilizzati. Quando poi, negli anni novanta, l’esercito italiano ha ceduto l’intera opera difensiva, la Provincia di Bolzano ha posto venti strutture sotto tutela e ha messo in vendita le rimanenti. In quell’occasione il padre di Lanz ha acquistato il bunker situato accanto alla sua area di servizio.

Circa dieci anni fa Matthias Lanz, che si occupa del commercio di prodotti tipici altoatesine, ha avuto l’idea di produrre vini sfruttando il bunker come cantina di stoccaggio. La scelta del vitigno è caduta su un Riesling, al quale Lanz ha dato il nome di “Julian” in onore del suo primogenito. Per fare spazio alle botti di vino, Lanz fece ampliare la struttura affidandosi a un architetto. Oggi alla cantina si accede attraverso un elegante portone di ferro sovrastato da una tettoia. Per realizzarlo, l’impresa edile ha fatto esplodere lo stretto ingresso originario, rinforzando quindi la parete di granito con reticolati di acciaio e calcestruzzo proiettato.

L’ampio scantinato con soffitto a volta potrebbe contenere decine di botti, ma se ne vedono appena un paio. Cosa ne è stato del progetto? Dove sono finite le bottiglie che Lanz intendeva conservare qui?

I corridoi lunghi e diritti conducono attraverso il sottosuolo dando accesso a nove stanze. In una di esse, finalmente le vediamo: un migliaio di bottiglie, disposte su più ripiani. A smorzare l’entusiasmo ci pensa lo stesso Lanz: “Non sono più in vendita”, dice.

Avvicinandoci capiamo il perché. Le etichette sono cosparse di macchie scure, le scritte appaiono quasi illeggibili. Durante il lungo periodo di stoccaggio si è formata la muffa. “Qui è troppo umido. In inverno l’umidità tocca il settanta per cento e in estate ben il novanta per cento”, spiega Lanz. Alcune bottiglie sono avvolte nella pellicola trasparente, uno dei tentativi intrapresi per contrastare il problema. Ma la battaglia sembra persa in partenza. Così, al posto del vino, oggi maturano nuove idee per utilizzare il bunker: una sala per matrimoni, uno spazio per installazioni luminose? Lanz è aperto a ogni possibilità, o quasi: “Purché non venga mai più usato per lo scopo per cui era stato costruito”.

Il bunker sotterraneo di Matthias Lanz, scavato nella roccia e lungo circa 200 metri, potrebbe presto ospitare matrimoni o trasformarsi in spazio espositivo per installazioni luminose.

LUOGHI SPETTACOLARI

Malga Fane

Come sul set di un film: Malga Fane, con più di quaranta baite e fienili in legno e una cappella, è un luogo idilliaco e un agglomerato architettonico unico nel suo genere.

Beda Weber rimase affascinato da questo “tranquillo villaggio alpino immerso in un’amena solitudine”. Abbiamo fatto visita a Malga Fane (1.740 m), un pittoresco agglomerato tra i Monti di Fundres, in fondo alla Valle di Valles

Un tuffo nel passato

Un villaggio che sembra sospeso nel tempo: più di quaranta baite e fienili in legno, disposti ordinatamente, con i tetti ricoperti di scandole fissate con pietre, come si usava una volta. Villaggi alpini con una tale concentrazione di edifici rustici sono rari anche in Alto Adige. Malga Fane, che un tempo fungeva da alpeggio estivo per gli abitanti di Valles, attira oggi soprattutto gli escursionisti, sia d’estate che d’inverno.

Riparo in alta quota

Rifugio o lazzaretto? Intorno a Malga Fane si raccontano storie legate alle epidemie di peste e colera. Non è certo però se i valligiani si ritirassero quassù per sfuggire al contagio o se usassero il villaggio come lazzaretto per i malati. Nessuna delle due versioni è supportata da fonti storiche. È indubbio, invece, che all’epoca fosse un luogo isolato. La prima strada carrabile per raggiungerlo fu infatti costruita solo nel 1968.

Una donna dalle idee chiare

La sobria cappella alpina fu costruita nel 1898 per volere di Helene Masl che decise di erigerla in memoria del fratello Franz. All’epoca, un’impresa come questa rappresentava una vera e propria sfida per una donna sola come lei. Masl, però, non si lasciò scoraggiare e portò avanti con determinazione la sua visione curandola nei minimi dettagli. Su sua richiesta, le campane della cappella furono fabbricate a Lubiana e trasportate in treno fino a Rio di Pusteria.

Un formaggio ricco di storia

Fin dal XVI secolo il latte fresco di Malga Fane viene lavorato sul posto per produrre burro e un aromatico formaggio di montagna. A garanzia della loro qualità, in passato le forme riportavano lo stemma della casata Wolkenstein. Oggi, da metà giugno a metà settembre, un casaro lavora circa mille litri di latte al giorno, ricavandone eccellenti prodotti.

Suggestivo set cinematografico

La peculiare architettura di Malga Fane attira non solo gli escursionisti, ma anche i cineasti. Nell’autunno del 2022 il celebre regista emiliano Giorgio Diritti ha scelto il villaggio alpino come location del suo film Lubo. Per le riprese, durate tre settimane, Malga Fane si è trasformata nella piccola località svizzera in cui il protagonista presta il servizio militare. Nel 2023 Lubo è stato presentato in concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Arrivederci estate!

Malga Fane è un luogo di antiche usanze, alcune ormai scomparse e altre ancora vive nella cultura locale. Molto sentita è la tradizione delle “Schellen” (campanacci): il mercoledì prima della transumanza ufficiale, i pastori scendono a valle tra un tripudio di suoni di campanacci e grida di giubilo. Il corteo segna la fine dell’alpeggio estivo ed è un’occasione per festeggiare il ritorno a valle degli animali, sani e salvi. Testo

+ IL NOSTRO CONSIGLIO: Malga Fane è il punto di partenza ideale per esplorare i Monti di Fundres, come il Picco della Croce (3.135 m). E dopo l’escursione, niente di meglio che una gustosa “Brettljause”, un tagliere di formaggi tipici!

LE NOSTRE AZIENDE VINICOLE

Voglia di indipendenza

Manni Nössing è un antesignano della viticoltura

indipendente locale. Il suo primo vino, prodotto quando di enologia sapeva ancora poco, ha suscitato un grande interesse. Ritratto di un vignaiolo che ama la libertà e considera che il vino sia un bene culturale dalle mille sfaccettature

Testo — LENZ KOPPELSTÄTTER
Bevi resposabilmente

IL VITICOLTORE MANNI NÖSSING guarda fuori dalla finestra del suo maso, verso i vigneti e la sua città, Bressanone, adagiata nel fondovalle. Il sole si staglia nel cielo limpido. Appesa alla parete c’è una fotografia in bianco e nero che ritrae il maso com’era quando Manni, che oggi ha 53 anni, era ancora un bambino che correva per l’aia. A prima vista non è cambiato nulla, ma l’apparenza inganna.

Qualche tempo fa, alcuni giovani viticoltori fecero scalpore in Alto Adige. Perché voltarono le spalle alle onorate cantine locali. Perché puntarono su una produzione di nicchia e di qualità. Perché volevano fare le cose a modo loro. Perché dissero “vogliamo provarci da soli”. In Valle Isarco, uno dei più ribelli era proprio Nössing: e lo era in tutto, dalle discese folli lungo le piste da sci della Plose alle lunghe notti nelle taverne della città. Fare festa con Manni, ricordano ancora oggi i compagni di allora, era qualcosa di speciale!

Chi sa fare festa sa anche lavorare, come si diceva (e si dice tuttora) tra i contadini. E Manni era destinato a diventare contadino. Fin da piccolo ha sempre dato una mano allo “Hoandlhof”, il maso di famiglia. C’erano il maiale e tre vacche da accudire, c’erano meli, peri e prugni di cui occuparsi. Poi bisognava raccogliere le mele, le pere e le prugne e quindi consegnarle al grossista che passava a ritirare. Passava anche il netturbino che si fermava volentieri per bere con Franz, il padre di Manni, un bicchiere, o forse tutta la bottiglia, di vino del maso. Bisognava falciare, raccogliere il fieno, dare da mangiare agli animali. Si faceva anche il vino, certo, ma in quantità trascurabili. Fino a che arrivò per Manni il momento di rilevare l’attività di famiglia. Allora iniziò a ragionare sul suo futuro. Animali, campi e vigneti… occuparsi di tutto non è affatto facile. Manni provò allora a coltivare un vitigno rosso, un Blauer Zweigelt, proprio nella sua Valle Isarco votata da sempre ai bianchi! Giusto un paio di botti. Il mondo vinicolo locale lo assaggiò e rimase a bocca aperta. Centro!

Era il 1999. Nössing capì che la viticoltura faceva per lui. Ma continuare a vendere tutto il raccolto alle cantine dell’Abbazia di Novacella? No, questo non faceva per lui. Manni preferì fare tutto da solo, al clero non avrebbe consegnato nulla. A Bressanone, la città vescovile per eccellenza! A Manni però poco importava. Lui voleva essere libero. Di seguire la sua strada, una strada che lo condusse in varie regioni vinicole, soprattutto in Piemonte. Il giovane vignaiolo si recò nei paesi di Barolo e Barbaresco, parlò con i viticoltori, osservò il loro lavoro, chiese loro come facessero questo o quello. Da generazioni.

Caparbio, legato alla terra, pragmatico.

F

COME FRIZZANTE

Iniziò a coltivare Sylvaner, MüllerThurgau, Veltliner, Riesling e Kerner. Sui ripidi pendii. Tra i 500 e i 900 metri. Su terreni aridi e sabbiosi. Puntò sull’idealismo. Sull’origine, sul carattere, su uno stile individuale. Sulla freschezza. Su una firma tutta sua.

Manni Nössing è nel settore da quasi venticinque anni ed esporta in tutto il mondo. E il mondo viene da lui in Valle Isarco per capire come nascano i vini di questo ribelle che si è guadagnato il soprannome di “Mr. Kerner”. Nössing ha contribuito a trasformare la sua regione vinicola che ospita oggi numerosi produttori indipendenti come le tenute “Kuenhof”, “Köfererhof”, “Strasserhof” e “Taschlerhof”. Ha imparato bene come funziona il mercato –però è rimasto fedele a sé stesso. “L’odore di stalla mi è rimasto addosso, so bene da dove vengo”, dice con orgoglio.

Tutte le aziende

vinicole intorno a Bressanone

È caparbio, legato alla terra, pragmatico. Il nuovo mondo “profumato” dei vini? Non lo fa impazzire. Instagram? “Non mi serve”, dice. Ma sa riconoscere la vera bellezza: le immagini di Robert Pan, artista altoatesino celebre in tutto il mondo, impreziosiscono le etichette delle sue bottiglie. Si è fatta sera, nel buio brillano le luci di Bressanone. A Nössing piace ancora fare festa. Ma in modo diverso. Prende alla lettera l’idea del vino come bene culturale. Mette a disposizione il suo maso per presentazioni di libri, mostre d’arte, piccoli concerti. Dopo si brinda con un bicchiere di vino. O anche con due o tre.

Che sapore ha lo spumante della Valle Isarco?

Frizzante e ricco di carattere! La Valle Isarco è nota soprattutto per i suoi vini bianchi – ma negli ultimi anni alcuni viticoltori hanno iniziato a produrre anche spumanti. L’interazione tra clima alpino, forte escursione termica tra il giorno e la notte e terreni scistosi a elevato contenuto di quarzo conferisce ai vini di base una straordinaria freschezza ed eleganza. A differenza dello champagne, che può essere prodotto esclusivamente nell’omonima regione francese e si ricava da uve Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier, per lo spumante della Valle Isarco si utilizzano vitigni locali come il Sylvaner che, grazie alla sua fruttata freschezza e alla sua acidità ben definita, offre un’ottima base per la lavorazione successiva. Attualmente sono molto richiesti anche gli spumanti dosaggio zero o “pas dosé”. Questa variante puristica evita l’aggiunta di zuccheri e si concentra sull’essenziale: l’uva, il terroir e la maestria artigianale.

34 anni, di Cornaiano, enologo della Cantina Valle Isarco.

L’Alto Adige per principianti

EPISODIO 7

La grazia dell’apicoltura

a maggior parte delle persone fugge dagli sciami d’api. Io no, anzi li inseguo. È un caldo pomeriggio di maggio, corro attraverso un prato, poi sfreccio lungo la strada trafficata dell’ora del rientro e mi fermo nel parcheggio dietro la chiesa. In un vicolo cieco. Lo sciame che stavo rincorrendo è volato via sopra i tetti. Ritorno sui miei passi. Con il cuore che batte forte e il vento che mi fischia nelle orecchie, sento qualcuno dietro di me gridare in dialetto altoatesino: “Sono le tue api?”. “Sì!”, rispondo al volo, continuando a correre. Ma verso dove non so. Cerco di arrivare dall’altra parte delle case e della chiesa, sperando che lo sciame nel frattempo si sia posato in un posto facilmente accessibile.

Forse dovrei raccontare come è iniziato tutto. Sono diventata apicoltrice quando vivevo qui in Alto Adige ormai da cinque anni. I primi tempi mi sono dedicata alla

Per esperienza posso dirvi che ci si sente ben presto sicuri al punto da rinunciare alla tuta da apicoltore che, per inciso, tiene un caldo tremendo. Così, come mia “divisa” da lavoro ho optato per un paio di jeans comodi e una maglietta a maniche lunghe. Un abbigliamento pratico, che presenta però un indubbio svantaggio: non protegge dalle punture, in particolare in primavera, quando le mie prime visite all’alveare infastidiscono le signore da poco uscite dal torpore invernale. Me lo fanno capire prendendo di mira soprattutto la mia nuca, ma le loro punture non sono mai riuscite a scalfire minimamente la mia passione per questa attività.

Giunta sul lato opposto delle case e della chiesa, il mio ottimismo svanisce non appena mi accorgo che lo sciame si è fermato in aria, sopra una rotatoria. Nel mezzo della nuvola formata da migliaia di api, la regina sta dando disposizioni al suo popolo. Verso che albero dobbiamo dirigerci, Vostra Maestà? Siamo ai suoi ordini! Dopo qualche minuto di indeciso svolazzare, le api volano verso l’albero di Giuda nel giardino accanto alla chiesa. Vado verso il cancello, con lo sguardo rivolto in alto verso lo sciame. Ormai a separarci sono solo una serratura e un chiavistello.

“Vuoi entrare?”, mi sento domandare, sempre in dialetto. Il signore che avevo incrociato prima mi ha raggiunta e si trova ora al mio fianco. È il sacrestano, come intuisco subito, e tiene in mano un pesante mazzo di chiavi che aprono le porte di chiesa e giardino. Oggi è il mio salvatore. Mentre apre il cancello, sopraggiunge il mio socio. Trascorriamo le successive due ore sul tetto della rimessa e arrampicandoci tra le fronde dell’albero di Giuda, con le api e i rami che si impigliano tra i nostri capelli. Grazia ed eleganza? No, decisamente no. Ma almeno siamo riusciti a recuperare lo sciame!

Amy Kadison

Viticoltrice, biologa e autrice, è originaria degli Stati Uniti e ha vissuto in cinque Paesi diversi prima di approdare, nel 2016, in Alto Adige per scrivere la sua tesi di laurea. E decidere di rimanere, per amore delle montagne. Per i lettori di COR, Amy esplora l’altoatesina che è in lei e racconta come l’ha scoperta.

Instagram @amy.kadison

Piccolo dizionario sudtirolese

Il nostro dialetto, spiegato bene

Zöberscht obm

[ˈt səɪbʁʃtˌoʊbm]

Può essere la risposta perfetta alla domanda “dove sei stato oggi?”. “Zöberscht obm”, ovvero “più in alto di così non si può”, non indica un semplice alpeggio in quota, perché fin lassù, se le gambe dovessero cedere, si arriva anche in funivia. Significa proprio la vetta, quella con la croce, la vista che spazia lontano e la firma da lasciare nel libro di vetta.

Schluckizzer

[ˈʃlʊkɪt sʁ]

Dopo uno o più bicchieri di spumante altoatesino, può capitare di essere colti dallo “Schluckizzer”, quel fenomeno causato dalla contrazione involontaria del diaframma e accompagnato in fase di inspirazione dal caratteristico “hic!” dovuto alla chiusura delle corde vocali. Insomma, il singhiozzo. È detto anche “Schnackler” che rende l’idea degli spasimi tipici del singhiozzo. I rimedi più comuni? Inspirare profondamente e trattenere il respiro, oppure, come vuole la superstizione locale, prendersi un bello spavento!

Schwamml

[ˈʃvaml]

Per trovarli servono una vista acuta e un po’ di pazienza… parliamo dei funghi, chiamati con il nome collettivo di “Schwamml”. Andare a funghi

Fonte:

Saluti e baci

Le cartoline sono un ricordo del passato: scritte a mano, impreziosite con dediche e aneddoti, suscitano in noi nostalgia e offrono sguardi talora bizzarri sulle impressioni di viaggio dei tempi andati.

Scorcio del passato: l’odierno viale Ratisbona a Bressanone (a sinistra Villa Adele, a destra l’ingresso al centro storico) era un tempo intitolato all’arciduca Eugenio, un importante generale dell’impero austro-ungarico.

SOGGETTO: Hofburg a Bressanone

DATAZIONE: 1911

Saluti mancati

Che fare quando si ha ancora qualcosa da dire, ma non ce n’è stato il tempo? Quando ancora non esistevano telefoni, e-mail e WhatsApp, non restava che spedire una cartolina. L’autore di questo messaggio si scusa per essere partito senza congedarsi: “Nella fretta di arrivare in tempo alla stazione, l’altro giorno purtroppo non sono riuscito a salutarvi. Quando ho notato che non c’eravate più, era ormai troppo tardi per tornare indietro. Vi prego di perdonarmi. Mi sarebbe piaciuto rimanere più a lungo da voi! Vi mando i miei più cari saluti”. Il mittente poteva però ritenersi fortunato: all’epoca la posta veniva consegnata molto rapidamente, spesso anche più volte al giorno. L’autore poteva insomma essere certo che le sue scuse sarebbero arrivate presto alla coppia di farmacisti a cui aveva scritto.

In tutta sincerità

Non tutti usavano le cartoline per inviare messaggi di auguri. Alcuni, anzi, se ne servivano come valvola di sfogo per esprimere con franchezza la propria opinione e comunicare malumori che avevano ben poco a che fare con la località di villeggiatura. La mittente di questa cartolina, per esempio, scrive: “A chi come te ignora il pericolo o va addirittura a cercarlo, ben starebbe di finire nei guai fino al collo! È quanto si augura di cuore la tua…”. Non ci resta che sperare che il destinatario o la destinataria, dopo avere letto queste parole, abbia optato per un comportamento più prudente.

SOGGETTO: Castel Hahnberg a Bressanone

DATAZIONE: 1902

Scrivere nell’attesa

Non c’è momento migliore per scrivere una cartolina di quando si sta aspettando. La stazione di Fortezza è da sempre crocevia delle linee ferroviarie che vanno da nord a sud e da est a ovest. Ed è proprio qui che i viaggiatori hanno spesso dovuto attendere le coincidenze. Nella cartolina più in alto, i genitori scrivono alla figlia a Graz raccontandole che stanno andando a Bressanone per incontrare un conte, il cui nome non è chiaramente leggibile, e che contano di fare ritorno a Rio di Pusteria nel pomeriggio. Nella cartolina più in basso una figlia comunica alla madre di aver perso il treno: “Cara mamma, ho perso il treno viaggiatori e ho dovuto prendere il rapido. Tutto a posto. Qui il tempo è meraviglioso”. La mittente giustifica la scrittura tremolante con una breve annotazione (“sto scrivendo in treno”) e conclude con “saluti e baci”.

SOGGETTO: Fortezza, stazione ferroviaria e ponte

DATAZIONE: 1895 (sopra) e 1890-1900 (sotto)

Corrispondenza dalle vacanze

Le cartoline postali furono introdotte nell’impero austro-ungarico il 1° ottobre 1869 con il nome di “cartoline di corrispondenza”. Quando, verso la fine del XIX secolo, il loro prezzo diminuì, divennero un mezzo di comunicazione molto popolare – soprattutto per inviare saluti dalle località di villeggiatura. La cartolina qui sopra mostra il prestigioso Hotel Elephant di Bressanone, la cui storia risale al lontano 1551. Gli autori del messaggio apprezzano a tal punto l’albergo da decidere di prolungarvi il soggiorno: “Caro Edi, abbiamo ricevuto la tua cartolina. Noi stiamo bene, speriamo altrettanto di te. Ritorneremo intorno al 20/8, perché il 17/8 qui organizzeranno una riffa che non vogliamo perderci”.

SOGGETTO: Hotel Elephant, Bressanone; Villa Mayr, Varna

DATAZIONE: 1924

I messaggi dei soldati

Durante la prima e la seconda guerra mondiale, le cartoline venivano spesso utilizzate come strumenti di propaganda, per rafforzare l’immagine negativa del nemico o per fornire una rappresentazione eroica dei giovani soldati. Ma non solo. Attraverso la posta militare i soldati scrivevano a casa e le famiglie si tenevano reciprocamente aggiornate. Nel caso di questa cartolina, un ragazzo che frequenta la scuola a Innsbruck, scrive alla madre in Alto Adige, concludendo con una promessa: “Cara mamma, come sapete, l’Italia ci ha dichiarato guerra. Vi prego di scrivermi spesso cartoline, se possibile ogni due o tre giorni, per farmi sapere come state. Anch’io vi scriverò spesso”.

SOGGETTO: interni della locanda Goldener Adler di Bressanone

DATAZIONE: 1915

SOGGETTO: Casa di Cura Dr. von Guggenberg

DATAZIONE: 1897

Teste vuote

Nel 1890 il dottor Otto von Guggenberg fondò a Bressanone la casa di cura idroterapica che portava il suo nome. Nella nobile residenza sulle sponde della Rienza, numerosi ospiti si concedevano una pausa dalla frenesia della vita quotidiana beneficiando dei salutari trattamenti. Anche i firmatari di questa cartolina –tutti originari di Bressanone – vi stanno trascorrendo un soggiorno rigenerante e, soprattutto, piacevolmente divertente. Ecco infatti cosa scrivono: “Passiamo il tempo insieme in allegria. Ahimè, non mi viene più in mente altro da scrivere!”.

Anno dopo anno

Anche in tempi bui, il giovane autore di queste righe non sembra aver scordato le buone maniere. La cartolina indirizzata alla madrina risale alla prima guerra mondiale; era il 19 dicembre e il ragazzo scrive coscienziosamente: “Ora che si avvicina il Santo Natale, sento il dovere di scrivervi qualche riga. Io sto molto bene, spero altrettanto di tutti voi. Con i miei migliori auguri di un felice Natale”. Se il messaggio è decisamente natalizio, lo stesso non si può dire del soggetto della cartolina: i castagni in fiore dei Giardini Rapp a Bressanone fanno più che altro pensare all’estate.

SOGGETTO: Giardini Rapp di Bressanone

DATAZIONE: 1915

Fitti scambi epistolari

A partire dagli anni 2000, l’invio di cartoline ha registrato un drastico calo, dovuto all’avvento di e-mail e sms e, in seguito, dei canali social. Fino ad allora le cartoline davano talvolta vita a fitte corrispondenze, con messaggi che si susseguivano in rapida successione. È il caso di questi due villeggianti che rispondono da Chiusa al loro amico a Dornbirn: “Caro Bergmann, siamo molto lieti di aver ricevuto oggi la tua cartolina. Ne deduciamo che stai bene e sei in buona salute”. Concludono brindando “con un goccetto di quelli speciali” alla salute del destinatario.

SOGGETTO: Chiesa parrocchiale di Chiusa, Chiesa dei Cappuccini, Monastero di Sabiona, Castello di Gerstein, Untere Gasse nel centro di Chiusa

DATAZIONE: 1897

Solo il meglio

Rassegna di prodotti del territorio

❶ Come nuove!

La suola di gomma dei vostri scarponcini da trekking si sta sgretolando? Alcune cuciture hanno ceduto? Nora Delmonego, calzolaia e proprietaria dell’omonima bottega a Chiusa, che la sua famiglia gestisce ormai da cinque generazioni, ripara e restituisce nuova vita a calzature di ogni tipo. Il suo intervento non solo è sostenibile, ma vi risparmierà anche il doloroso “rodaggio” di un paio di scarponcini nuovi. Basta inviare una foto con WhatsApp e l’artigiana vi comunicherà preventivo e tempistica della riparazione. Anche tacchi scollati, cerniere rotte o borse di pelle rovinate qui sono in ottime mani! Risuolatura di scarponcini da trekking, 70100 euro.

❷ Il succo in rosso Fresco, piacevolmente acidulo e con una delicata nota di rabarbaro: “Epfl Roat” del maso Waldharthof di Rasa non è un succo di mela come tutti gli altri. Il segreto è Baya Marisa, l’antica e rara varietà di mela dalla quale viene ricavato, i cui fiori sono rosa acceso e i cui frutti sono rossi sia fuori che dentro. Con la sua freschezza e la sua acidità equilibrata, “Epfl Roat” si abbina perfettamente alle pietanze salate, ma può essere gustato anche come aperitivo frizzante nelle sere d’estate. Bottiglia da 0,7 l, 3,50 euro.

waldharthof.it

❸ Il dentifricio delle api Un apicoltore che fa il dentifricio? Il miele non è certo noto per essere un toccasana per i denti, ma la propoli sì. Le sue proprietà antibatteriche e antivirali sono dimostrate scientificamente. Del resto, le api stesse utilizzano questo prodotto (un mix di resina, cera, oli essenziali e altre sostanze) per sigillare e disinfettare le superfici dell’alveare. L’apicoltore Erich Larcher di Varna ne ricava cosmetici e prodotti per la cura del corpo. Il suo dentifricio, a base di propoli e argilla curativa e aromatizzato alla menta e salvia, pulisce i denti in modo naturale e rinfresca l’alito. Tubetto da 50 ml, 11,90 euro.

larcher-honigprodukte.it

❹ Il rame si fa arte

Rotondo, aromatico, saporito Trentasei mesi di maturazione a 1.924 metri: è questa la formula del gusto intenso e aromatico delle forme di formaggio del rifugio Kreuzwiesen Alm sopra Luson. Johannes Hinteregger, casaro e sommelier del formaggio, lavora il latte crudo per ricavare formaggi freschi e a pasta dura. A chi ama tradizione e ricercatezza, consiglia l’originalissimo caprino “Ziggokas” di Luson, a base di latte cagliato dal sapore deciso, con un cuore morbido di consistenza simile al quark: una vera e propria rarità! Tutti i prodotti sono contrassegnati dal sigillo di qualità “Gallo Rosso”. Formaggio di malga a partire da 23,80 euro al chilo.

kreuzwiesenalm.com

❻ I gamberi di fiume

Herbert Weger di Vandoies di Sopra è l’unico allevatore di gamberi di fiume dell’Alto Adige. Quello che era iniziato come un piccolo allevamento ittico si è trasformato in un progetto di agricoltura sostenibile incentrato sulla biodiversità. I gamberi di stagno e di fiume forniscono infatti un importante contributo al benessere e all’equilibrio del loro ecosistema. I crostacei di Weger si possono gustare nelle raffinate prelibatezze di ristoranti stellati come l’Ansitz zum Steinbock di Villandro.

Tra le mani di Laurenz Stockner, il rame si trasforma in arte. Nell’atelier di Sant’Andrea sopra Bressanone, il fabbro realizza originalissimi recipienti con il rame di Predoi. Nel forno di fusione, anch’esso costruito in proprio, Stockner fonde e lavora la materia prima del luogo per ricavarne sottili lamiere. Il procedimento è complesso e richiede più settimane. Le opere colpiscono per il contrasto tra la delicatezza delle forme e la colorazione intensa delle superfici. Le ciotole di Stockner sono state premiate con numerosi riconoscimenti, tra i quali il Bayerischer Staatspreis. Pezzi unici, prezzo su richiesta. laurenz.it

❼ Il frutto tardivo

Le corniole sono una prelibatezza rara, sono ricche di vitamina C e antiossidanti. I frutti maturano in autunno inoltrato, spesso dopo le prime gelate. Il maso Frötscherhof di Meluno sopra Bressanone ne ricava una confettura, snocciolando i frutti a mano per utilizzarne tutta la polpa, piuttosto scarsa. Il sapore, dolce con una nota acidula, richiama il ribes e fa della confettura un ottimo accompagnamento per la colazione o i piatti di formaggi. Da provare anche le varietà al baby kiwi e alle more bio. Vasetto da 220 g, da 5,20 euro.

froetscherhof.com

Le declinazioni del silenzio

Quando le giornate si accorciano, cresce il desiderio di rifugiarsi in una dimensione più raccolta e di dedicarsi ad attività rilassanti. I nostri suggerimenti per i mesi più tranquilli e quieti dell’anno

Testo

① La grande fortuna

Nel 1494, durante un viaggio in Italia, Albrecht Dürer fu colto proprio qui dall’ispirazione, scegliendo Chiusa come soggetto di diverse opere. Nacque così l’incisione su rame “La grande fortuna”. Oggi, accanto al masso su cui il pittore sedeva per creare i suoi bozzetti (chiamato “Dürerstein”), si trova una panchina dalla quale si può ammirare la vista sul borgo. Il sentiero è particolarmente affascinante in inverno, quando Chiusa è avvolta in un manto candido, offrendo una nuova prospettiva sul pittoresco borgo degli artisti. klausen.it

Punto di partenza: Chiesa parrocchiale di Chiusa

Percorso: circa 30 minuti

② Suoni soavi

Mentre fuori è buio e la città dorme ancora, l’interno del Duomo di Bressanone è già rischiarato dalla luce soffusa delle candele. Qui, nel periodo dell’Avvento, ogni mattina alle sei e trenta si celebra la “messa di Rorate”, accompagnata da esibizioni musicali che variano di giorno in giorno. Le note che si diffondono tra le navate dell’edificio barocco fanno da sottofondo a un’esperienza emozionante, per iniziare la giornata in un’atmosfera raccolta e al tempo stesso solenne.

brixnerdom.com

③ Al bagliore delle fiaccole

Una passeggiata alla luce delle fiaccole dà un tocco magico alla notte d’inverno. Nell’aria fredda e tersa, il silenzio è rotto soltanto dallo scricchiolio dei passi sulla neve. Nel cielo brillano le stelle, mentre il riverbero delle torce avvolge il paesaggio in una luce soffice e calda. La fiaccolata guidata, organizzata ogni martedì da gennaio a marzo, invita a riscoprire la zona con un percorso che si snoda tra boschi e meleti. Il punto di ritrovo è in piazza a Naz.

natz-schabs.info

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Altre esperienze notturne in inverno: Full Moon Dinner sull’Alpe di Rodengo e Luson, ciaspolata a Rio Pusteria in Gitschberg Jochtal

④ Alla scoperta del bosco

Durante una passeggiata nel bosco in inverno, l’aria fresca tonifica a ogni respiro. La neve attutisce i rumori, un silenzio magico regna tutto intorno. I cristalli di ghiaccio scintillano dai rami, mentre il sole basso all’orizzonte avvolge il bosco in una luce arancione. Ogni albero e ogni radura appaiono diversi rispetto all’estate. Il nostro consiglio: un’escursione a Colle Libero con visita all’omonimo santuario, arroccato su un’altura nel cuore del bosco.

plose.org

⑤ La magia natalizia

Il Natale come una volta. Nei quattro fine settimana d’Avvento, il borgo di Terento fa rivivere la cultura e le tradizioni natalizie del mondo contadino. Il programma prevede corsi di preparazione di biscotti per bambini, musica bandistica ricca d’atmosfera e caratteristiche casette che offrono specialità casalinghe. Un’esperienza particolarmente suggestiva è la visita al bosco di Stockner Waldile, dove le ghirlande di luci immergono il bosco in una luce incantata e un cantastorie narra antiche fiabe intorno al fuoco.

gitschberg-jochtal.com

candida nella luce dorata del sole: una passeggiata al tramonto in inverno rivela gli straordinari colori della natura.

⑥ Scene dal passato

La Hofburg di Bressanone ospita una magnifica collezione di presepi. Le opere d’arte, provenienti da Bressanone, dal Tirolo, da Napoli e dalla Sicilia, riempiono le sale del palazzo che fu residenza dei principi vescovi. I numerosi materiali utilizzati (cera, carta, avorio e terracotta) testimoniano la varietà delle opere esposte. Non tutte, peraltro, sono dedicate alla natività: il presepe della Passione narra per esempio la crocifissione di Gesù, mentre il presepe annuale, composto da circa cinquemila statuette, rappresenta più di cinquanta episodi biblici.

hofburg.it

Biscotti, presepi e un cantastorie che narra fiabe intorno al fuoco: il bosco di Stockner Waldile è uno dei luoghi più suggestivi dell’Avvento di Terento.

Le piramidi nel bosco

I fotoblogger altoatesini

Judith Niederwanger e Alexander Pichler ci raccontano come sono nate le loro foto preferite

Qualche anno fa, in una bella giornata d’estate, abbiamo visitato Terento per andare alla scoperta dei mulini lungo l’omonimo sentiero. Alcune di queste strutture secolari hanno addirittura cinquecento anni! Dopo pochi minuti di cammino, poco sopra il paese, ci siamo fermati di colpo.

Tra gli alberi e i cespugli spuntavano strane formazioni rocciose. Con nostra grande sorpresa, ci siamo ritrovati davanti un intero declivio costellato di imponenti piramidi di terra.

Le affascinanti torri di roccia sono il risultato di una frana provocata nel 1837 da un violento temporale. Il torrente Terner trascinò con sé enormi masse di terra, distruggendo anche alcune delle abitazioni circostanti. Nel corso degli anni, dai detriti si sono formate bizzarre colonne naturali sormontate da grandi massi che ancora oggi pioggia e vento continuano a plasmare. Il punto migliore per ammirare – e fotografare – le piramidi di terra è la piattaforma panoramica posta nelle immediate vicinanze.

Il sentiero che conduce alle piramidi di terra è agevole e adatto alle famiglie. Dal parcheggio in centro a Terento si imbocca il sentiero n. 2 (Sentiero dei mulini) e si prosegue per circa 25 minuti fino a raggiungere la meta. Il percorso si snoda attraverso un folto bosco di abeti ed è reso particolarmente interessante dai sette mulini storici che costeggiano il tracciato. Oltrepassato il torrente all’altezza dell’ultimo mulino, si ritorna in paese seguendo il sentiero panoramico n. 1. Un itinerario alternativo è il “Sentiero Natura e Cultura” che, sempre a partire dal parcheggio del paese, passa per il biotopo Pichnermoos.

Judith Niederwanger e Alexander Pichler gestiscono insieme il blog di successo “Roter Rucksack”, dedicato a escursioni e fotografia. Sull’omonima pagina Facebook hanno più di 25.000 fan, su Instagram 19.000 follower. Nel 2023 è uscito il loro secondo libro “Klick dein Wanderglück” (Raetia) con 45 itinerari escursionistici e immagini dell’Alto Adige. roterrucksack.com

Più di 100 km di piste – un unico skipass

Rio Pusteria - Plose

Il comprensorio sciistico per famiglie e amanti del buon vivere.

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