Lo Stato Civile Italiano - Gennaio 2019

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Poste Italiane S.p.A. Sped. in a.p.-D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BO CMP - Bologna/45% ISSN 1720-3228

anno CXV

STATO CIVILE Testimoni e Unioni Civili Cittadinanza Italiana e lingua Annotazione fondo patrimoniale

ANAGRAFE Cancellazione anagrafica dello straniero irregolare Residenza anagrafica del detenuto

ELETTORALE Elezioni europee 2019 Affidamento in prova ai servizi sociali e reiscrizione nelle liste elettorali

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE RappresentativitĂ sindacale Salario minimo legale

gennaio 2019

mensile



DIRETTORE RESPONSABILE - Donato Berloco Direttore Editoriale Gabriele Casoni Vice Direttore Maria Teresa Magosso Serena Rafanelli Consiglio di Redazione Alfonso Ermanno Matarazzo Diego Giorio Giovanni Pizzo Michele Ius Paolo Morozzo della Rocca Vincenzo Mercurio Redazione quesiti Gabriele Casoni Donato Berloco Maria Teresa Magosso Serena Rafanelli Alessandra Schianchi Alfonso Ermanno Matarazzo Antonia De Luca Cosimo Damiano Zacà Diego Giorio Enrico Maggiora Gianna Nencini Giovanni Pizzo Maria Rita Serpilli Martino Conforti Michele Ius Paolo Gros Paolo Morozzo della Rocca Paolo Richter Mapelli Mozzi Patrizia Dolcimele Valeria Tevere Vincenzo Mercurio Segreteria di redazione Alessandra Schianchi Direzione, amministrazione e diffusione M. Chiara Soldati - c.soldati@sepel.it - MINERBIO (BO) Tel. 051 878143 - Fax 051 878509 sepel@sepel.it - sepel@pec.it Servizio Abbonamenti Tel. 051 878143 Fax 051 878509 ufficioabbonamenti@sepel.it

I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO SONO Gabriele Casoni l Donato Berloco l Maria Teresa Magosso l Giovanni Berloco l Marina Caliaro l Salvatore Restuccia l Serena Rafanelli l Paolo Morozzo della Rocca l Giovanni Pizzo l Vincenzo Mercurio l Martino Conforti l Cosimo Damiano Zacà l Alfonso Ermanno Maratazzo l Valeria Tevere l Diego Giorio CONDIZIONI DI ABBONAMENTO Canone di abbonamento 2019 A euro 275,00 - B euro 342,00 Estero A euro 368,00 - B euro 435,00 - Prezzo del fascicolo Italia euro 31,10 - Estero euro 33,46 (IVA assolta dall’Editore). Al fine di garantire continuità al servizio di spedizione della Rivista e di invio dei servizi on line correlati, Sepel editrice considera l’impegno di abbonamento continuativo. La disdetta per il successivo anno è da comunicarsi per raccomandata, entro il mese di novembre dell’anno in corso di abbonamento. Numero arretrato, dell’anno in corso, euro 40,43; per gli anni antecedenti, se disponibili, prezzo da convenire. Per ogni controversia l’abbonato accetta la competenza dell’Autorità giudiziaria di Bologna. I pagamenti debbono essere effettuati alla Ed. S.E.P.E.L. - Via Larga Castello, 15 - 40061 Minerbio (Bologna) direttamente o a mezzo c.c.p. 23377401 intestato a «Lo Stato Civile Italiano» - S.E.P.E.L. - 40061 Minerbio (Bologna). I fascicoli non ricevuti potranno essere rispediti, gratuitamente se disponibili, purchè richiesti entro tre mesi dalla data di pubblicazione. IN CASO DI MANCATA CONSEGNA INVIARE A CMP DI BOLOGNA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A VERSARE LA DOVUTA TASSA. È vietata la riproduzione anche parziale degli articoli, studi, recensioni, disegni, rubriche e quant’altro pubblicato nella Rivista «Lo Stato Civile Italiano» senza autorizzazione della Direzione. Tale divieto richiama e fa salvi in ogni caso tutti i diritti ed azioni di tutela della proprietà letteraria e scientifica, dei marchi e dei brevetti, nonchè dei diritti di esclusività di pubblicazione. Editrice S.E.P.E.L. sas - Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Bologna n. 4590 del 10 novembre 1977 - Roc 1726. Le opinioni espresse negli articoli, studi, recensioni, rubriche di questa Rivista appartengono ai singoli Autori che sono responsabili dei loro scritti. Gli Autori garantiscono di essere unici ed esclusivi titolari di tutti i diritti di utilizzazione economica degli articoli, studi, recensioni, rubriche di questa Rivista e garantiscono a Sepel Editrice che l’esercizio degli stessi, da parte di Sepel Editrice, non violerà in ogni caso diritti o prerogative di terzi e che gli stessi sono originali e mai prima d’ora pubblicati sollevando l’Editore da ogni eventuale richiesta di risarcimento danni proveniente da terzi. Fotocomposizione: S.E.P.E.L. - MINERBIO (BO) — Stampa:Artigiana Bolognese - Budrio (B0) - Associata all’U.S.P.I. (Unione Stampa Periodica Italiana) Tiratura n. 3.000 copie (Legge 23 dicembre 1996, n. 650, art. 1, comma 28) - Pubblicità inferiore al 45%

Redazione Portomaggiore (FE) redazione@sepel.it Progetto grafico mediamorphosis Al fine di migliorare la qualità del servizio puoi inviare i tuoi suggerimenti all’indirizzo: suggerimenti@sepel.it

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Indice La tua guida alla società che cambia, dal 1901

Articoli Editoriale Gli Auguri, gli auspici e l’impegno della Rivista per il nuovo anno 2019

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Gabriele Casoni

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Donato Berloco

Acquisto della cittadinanza italiana e conoscenza della lingua

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Maria Teresa Magosso

Annotazione sull’atto di matrimonio della costituzione del fondo patrimoniale, adempimenti necessari e rilevanza nei confronti dei terzi Circolare del Ministero dell’Interno n. 12 del 16 luglio 2018

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Minimassimario a cura di Gabriele Casoni

L’ufficiale dello stato civile competente per le comunicazioni relative alle annotazioni conseguenti all’accordo di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile

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Serena Rafanelli

Una buona notizia in materia di residenza anagrafica delle persone private della libertà personale

Le sottoscrizioni elettorali sono valide anche se manca la data La carta di identità al cittadino AIRE

Salvatore Restuccia

Il cittadino delegato per la celebrazione del matrimonio può non essere residente nel Comune ove si celebrerà il matriomonio

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Minimassimario a cura di Giovanni Pizzo

Marina Caliaro

La cittadinanza in genere: storia ed attualità

Della cancellazione per mancato rinnovo della dichiarazione di dimora abituale o, meglio, della cancellazione anagrafica dello straniero irregolare: ma le parole non avevano un peso?

Paolo Morozzo della Rocca

Giovanni Berloco

Unioni civili: richiesta di costituzione (l. 76/2016; D.M. 27 febbraio 2017)

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Anagrafe

Stato Civile I testimoni nella costituzione delle unioni civili possono essere anche i parenti delle parti

L’ufficio dello stato civile non comunica all’ufficio anagrafe i provvedimenti di interdizione, tutela, inabilitazione o amministrazione di sostegno

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Elettorale L’elettore tra storia ed attualità

La portata applicativa dell’art. 6 del D.P.R. n. 396/2000 con riguardo alla celebrazione dei matrimoni

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Il rilascio delle certificazioni di stato civile mediante acquisizione dei dati dagli atti anagrafici

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Vincenzo Mercurio

Esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali e reiscrizione nelle liste elettorali: la nuova pronuncia della Cassazione

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Martino Conforti

Un antipasto delle elezioni europee 2019

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Cosimo Damiano Zacà

Pubblica Amministrazione Efficacia della contrattazione collettiva e rappresentanza sindacale 76 Alfonso Ermanno Matarazzo


Indice La tua guida alla società che cambia, dal 1901

Rubriche Quesiti

Focus di diritto internazionale ed europeo

a cura della Redazione de «Lo Stato Civile Italiano»

a cura di Valeria Tevere

Stato Civile Procedimento di riconoscimento cittadinanza italiana iure sanguinis - Il cognome delle istanti sarà quello risultante dall’atto di nascita Annullamento del matrimonio - Rilascio estratti per riassunto e per copia integrale dell’atto di matrimonio e nascita

Il caso Berlusconi c. Italia: osservazioni sulla decisione della Corte di Strasburgo in tema di decadenza di senatore

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30 Sportello inverso

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a cura di Diego Giorio Il Comune di Torino cerca informatici

Atto di nascita di bambina nata da coppia nigeriana coniugata - La minore viene indicata erroneamente come figlia nata fuori del matrimonio - Rettifica

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Manifestazione di volontà alla cremazione in testamento pubblico - L’istanza può essere presentata da chiunque

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Anagrafe Iscrizione anagrafica del cittadino extracomunitario in caso di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno

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Anche per il minore straniero nato in Italia da genitori non residenti va presentato il passaporto per la prima registrazione anagrafica

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Per l’accesso agli atti anagrafici ed ai registri stato civile nulla è cambiato con riguardo al divieto di accesso diretto da parte di terzi (fatte salve le eccezioni previste dal regolamento anagrafico

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Atti ufficiali a cura di Donato Berloco e Gabriele Casoni

Rassegna Normativa Prassi Giurisprudenza

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Editoriale

Gli Auguri per il nuovo anno

di Gabriele

Casoni

Direttore Editoriale

Gli auguri, gli auspici e l’impegno della Rivista per il nuovo anno 2019

N

el trascorso anno 2018 ho dedicato gran parte del mio tempo professionale all’osservazione delle domande che i colleghi hanno posto alla «Redazione Quesiti» di questa Rivista. M’interessava indagare non tanto l’esame dei contenuti, quanto la ricerca di comuni denominatori agli interrogativi. Volevo capire dove stanno le difficoltà maggiori nel recupero di risposte alle quotidiane o eccezionali problematiche che s’incontrano sul lavoro concreto dei demografici. La prima e più immediata constatazione è assai conosciuta da chi trascorre le proprie mattinate ad orientarsi tra labirinti le cui vie d’uscite appaiono spesso alquanto ardue. La pressochè infinita casistica delle discipline afferenti le materie dello stato civile, dell’anagrafe e dell’elettorale, evidenziano l’oggettiva impossibilità di conoscere a menadito un vastissimo numero di leggi, circolari, direttive, sentenze. Il più delle volte la soluzione al caso pratico è dato dall’intreccio e dalle sovrapposizioni di tutte queste fonti, tutte necessarie ed essenziali al corretto comportamento del funzionario dei demografici. Basti pensare che, ad esempio in materia di cittadinanza, per la comprensione di taluni contesti bisogna tener conto anche di una legge del 1912 già abrogata da ventisei anni. Rimanere ininterrottamente concentrati su una così ampia

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quantità di nozioni, principi, regole, interpretazioni, orientamenti giurisprudenziali, non è cosa facile, soprattutto se si considera anche l’intrinseca diversità delle argomentazioni e dei concetti con i quali si ha a che fare e con l’alto profilo giuridico-amministrativo cui attengono le materie oggetto d’indagine costante. I diritti della personalità e l’ordine interno (leggasi, diritto internazionale privato), la polizia mortuaria (con le annesse tematiche riguardanti la cremazione, l’affidamento e la dispersione delle ceneri, alle quali aggiungerei i passaporti mortuari), il diverso trattamento anagrafico riservato rispettivamente ai cittadini comunitari ed ai cittadini extracomunitari, le rettifiche e la loro differenza rispetto alle correzioni (come e quando?), l’accesso agli atti, le trascrizioni degli atti formati all’estero, la disamina delle sentenze giudiziarie emesse all’estero, le adozioni (nazionali, internazionali, di maggiori e minori di età, di cittadini italiani o stranieri), le consultazioni elettorali e le molteplici modalità preparatorie delle liste nonchè le modalità di voto (e di scrutinio), l’ANPR, sono, in ordine sparso, una minima (davvero ridottissima) rappresentazione dell’esteso pianeta dei servizi demografici. Esigere la puntuale conoscenza del «tutto» è inimmaginabile; d’altra parte nessuno sa tutto e coloro che credono di sapere tutto è tutto quello che sanno.


Editoriale Gli Auguri per il nuovo anno

Dunque, dopo tante ponderazioni, si giunge alla conclusione che non è importante (anche perchè impossibile) avere a mente qualsiasi articolo di legge, numeri e date di qualsiasi circolare, massime giurisprudenziali ed orientamenti dottrinali. Piuttosto ciò che risulta fondamentale è sapere dove cercare la soluzione, quale fonte interpellare e soprattutto dove trovarla, con facilità ed in sveltezza. La consapevolezza di un contesto tanto complicato e l’esatta cognizione delle sue esigenze è ciò che ha sospinto la Casa Editrice Sepel ed i collaboratori della Rivista «Lo Stato Civile Italiano» verso un decisivo miglioramento dei propri servizi, integrandoli di nuovi strumenti a disposizione dei propri abbonati. La realizzazione e l’aggiornamento annuale del master in stato civile ed in anagrafe rappresentano due distinti, ma collegati, percorsi di studio che coniugano l’indispensabile apprendimento delle conoscenze di base con approfondimenti riguardanti le ipotesi di lavoro che più frequentemente si trovano ad affrontare l’ufficiale di stato civile e l’ufficiale d’anagrafe. La formazione continua mediante i numerosi corsi annuali e-learning, oltre alla formazione in aula ed agli interventi in house dedicati, hanno l’ambizioso obiettivo di costantemente qualificare gli operatori ed i dirigenti dei servizi demografici attraverso l’esposizione e l’interpretazione più accreditata delle novità normative, senza tralasciare la riconsiderazione e la rivisitazione degli argomenti più complessi e mai ben assimilati o intorno ai quali sempre si affollano dubbi e perplessità. La più recente innovazione, alla quale il gruppo dei progettisti ed esperti ha a lungo lavorato, riguarda il sistema di ricerca di tutti i materiali utili al lavoro, quali strumenti di lavoro essenziali. Il nuovo portale sepel.it mette ora a dispo-

sizione dei propri abbonati due tipi di ricerca: per tema (già conosciuto ed apprezzato) e parole chiave. In special modo la ricerca per parole chiave consente di rintracciare qualsiasi fonte pertinente tra leggi, circolari, direttive, sentenze, e materiali propri tra pubblicazioni, quesiti risolti, modulistica, corsi e-learning. L’insieme dei risultati dati dalla semplice digitazione di una o più parole (anche il nome di un autore del quale si rammenta un articolo pubblicato, ma non più facilmente recuperabile) fornirà tutti gli strumenti utili per lo studio e la risoluzione del caso che s’accinge ad affrontare l’abbonato. Ed è proprio attraverso queste innovazioni che Sepel si pone come fonte privilegiata per la ricerca di quel «tutto» del quale tanto si rinviene la necessità.

Coloro che credono di sapere tutto è tutto quello che sanno

Da ultimo, ma non per importanza, questa Rivista, inizia il nuovo anno con veste grafica nuova, una distribuzione dei contenuti ed una loro impaginazione che ne rende più facile la lettura e consente la più immediata individuazione dei materiali d’interesse personale.

L’auspicio è quello di rendere i migliori servizi ed offrire le migliori consulenze nel modo più facile, veloce, puntuale e preciso. A tutti i demografici i migliori auguri di un anno nuovo ricco di soddisfazioni, con la ferma intenzione d’essere come sempre al vostro fianco per il supporto e l’ausilio necessari.

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Stato Civile I testimoni nella costituzione delle unioni civili

I testimoni nella costituzione delle unioni civili possono essere anche i parenti delle parti Donato Berloco

Direttore Responsabile

L

’argomento che si affronta nel presente contributo dottrinario è teso a stabilire se i testimoni nell’atto di costituzione dell’unione civile possano essere, oltre che estranei, anche parenti delle parti contraenti.

1. Normativa di riferimento.

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1. Normativa di riferimento 1 2. Ragioni di diniego 1 3. Motivi per l’ammissibilità dei testimoni-parenti 1 4. Il numero dei testimoni nella costituzione della unione civile in imminente pericolo di vita o fuori della casa comunale

Il dubbio si pone per il fatto che la normativa si limita laconicamente ad enunciare «alla presenza di due testimoni», senza alcun’altra precisazione, come, invece, è dato rinvenire nell’art. 107 del c.c. in riferimento alla celebrazione del matrimonio allorquando è precisato: «Nel giorno indicato dalle parti, l’ufficiale dello stato civile, alla presenza di due testimoni, anche se parenti, dà lettura agli sposi degli articoli...».

Al riguardo, l’art. 1, comma 2, della legge n. 76/2016 prevede espressamente che la dichiarazione di costituzione dell’unione civile debba avvenire «di fronte all’ufficiale dello stato civile ed alla presenza di due testimoni». A sua volta, l’art. 70-octies del D.P.R. 396/2000, come introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 19 gennaio 2017, sancisce: «2. Le parti, nel giorno prescelto, si presentano e rendono personalmente e congiuntamente, alla presenza di due testimoni, all’ufficiale dello stato civile del Comune dove è stata presentata la richiesta, la dichiarazione di voler costituire unione civile.

2. Ragioni di diniego.

4. L’ufficiale dello stato civile, ricevuta la dichiarazione di cui al comma 2, fatta menzione del contenuto dei commi 11 (diritti e doveri reciproci) e 12 (indirizzo della vita familiare) dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76, iscrive l’atto di costituzione dell’unione civile nel registro delle unioni civili. Tale atto, dopo essere stato letto agli intervenuti, è sottoscritto dalle parti, dai testimoni e dall’ufficiale dello stato civile».

I testimoni nell’atto di costituzione dell’unione civile — si sostiene da una parte dei cultori della materia — non possono essere parenti delle parti, a differenza di quanto avviene nell’atto di celebrazione del matrimonio. Le disposizioni che si riferiscono al matrimonio, fra cui quelle dell’art. 107 del c.c., e le disposizioni contenenti le parole «coniuge» o termini equivalenti si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile solo se sono espressamente richiamate dalla legge sulle unioni

Il pensiero dello scrivente è nel senso di ritenere che nelle unioni civili i testimoni ben possano essere parenti di una o di entrambe le parti.

Ma prima di esporre le argomentazioni giuridiche di supporto a tale tesi va evidenziato e confutato l’orientamento contrario.


Stato Civile I testimoni nella costituzione delle unioni civili

civili n. 76/2016. Ebbene, nessuna norma di detta legge n. 76/16 (o del D.Lgs. n. 5 del 19 gennaio 2017) richiama il menzionato art. 107 che consente la presenza di testimoni anche se parenti agli sposi. Ne deriva, in punto prettamente normativo, che quest’ultima disposizione, relativamente al tema dei testimoni-parenti, non possa essere estesa alle unioni civili. Che occorra la presenza dei testimoni è confermato dalla normativa di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 76/2016 e art. 70-octies, comma 2, del D.P.R. 396/2000, per cui l’atto — secondo il dettato dell’art. 12, comma 3, del D.P.R. 396/2000 — se compiuto alla presenza dei testimoni sarà immediatamente sottoscritto oltre che dai dichiaranti, anche dai testimoni, prima della sottoscrizione dell’ufficiale dello stato civile. Ulteriore conferma è data dall’allegato I al decreto del Ministro dell’Interno del 27 febbraio 2017 riportante lo schema dell’atto di costituzione dell’unione civile in cui è menzionato l’inciso: «A questo atto sono stati presenti quali testimoni ...». La normativa sulle unioni civili, pertanto, statuisce l’obbligatorietà della presenza dei testimoni da costituire e menzionare nell’atto.

civile, anche se poi è stata prevista dalla relativa formula di cui all’Allegato 1 al D.M. del 27 febbraio 2017): ma identica è la natura giuridica dell’atto costitutivo. Invero, anche la costituzione dell’unione civile avviene mediante atto formale e pubblico (dichiarazione del consenso manifestato dalle parti di fronte all’ufficiale dello stato civile ed alla presenza dei testimoni, successivamente registrato dallo stesso ufficiale dello stato civile nell’apposito registro previsto dall’art. 134-bis del R.D. n. 1238 del 9 luglio 1939, come aggiunto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 5 del 19 gennaio 2017). Altro esempio di differenziazione è dato dal mancato richiamo all’art. 78 del c.c. da parte della legge Cirinnà determinandosi, così, una differenza di status di coniuge e di unito civilmente, in quanto è da escludere che l’unione civile generi il vincolo di affinità tra ciascuna parte ed i parenti dell’altra. Come pure agli uniti civilmente non si applica il dovere di collaborazione e quello di fedeltà invece previsti dall’art. 143 del c.c. per i coniugi. Per altro, in senso opposto, la legge Cirinnà, con l’art. 1, comma 10, conferisce alle parti la facoltà di stabilire di assumere, per la durata dell’unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. Stessa facoltà, invece, non è prevista per le coppie eterosessuali che contraggono il matrimonio.

Però, dal contesto delle disposizioni non è dato evincere che i testimoni possano essere anche i parenti delle parti. E questa circostanza è una nota di differenziazione esistente tra la celebrazione del matrimonio e la celebrazione della unione civile. Ora, il fatto che la nuova normativa sulle unioni civili abbia disciplinato minuziosamente il nuovo istituto creando, ove possibile, degli agganci con l’istituto del matrimonio, ma che, nel caso specifico, non risulti alcun collegamento, anzi una netta diversificazione tra l’art. 107 del c.c. e l’art. 70-octies, comma 2, del D.P.R. 396/2000, induce alcuni operatori del diritto a ritenere che i parenti non possano fungere da testimoni.

I mentovati rilievi denotano che il matrimonio e l’unione civile sono due istituiti distinti con proprie peculiarità, anche se aventi molti profili ed effetti comuni.

Con ciò non si viene a porre in essere una soluzione irragionevole, deteriore e discriminatoria rispetto alla celebrazione del matrimonio, ma si evidenzia uno degli aspetti di diversità previsti dal legislatore tra l’istituto del matrimonio e quello delle unioni civili, pur essendo prevalenti i tratti di equiparazione tra gli stessi istituti. Differenze tra matrimonio e unione civile si registrano, ad esempio, per quanto riguarda sia il procedimento di costituzione del vincolo (per l’unione civile è omessa la fase delle pubblicazioni e delle eventuali opposizioni), sia la celebrazione (oltre alla dichiarazione delle parti, non è prevista dalla norma espressamente la dichiarazione di costituzione dell’unione civile dall’ufficiale dello stato

La conseguenza pratica di tale ragionamento sarebbe, conclusivamente, la decretazione della esclusione di parenti delle parti nell’atto di costituzione delle unioni civili. Ragionando in tal senso non significa invadere la sfera di competenza del legislatore, ma significa soltanto mettere in rilievo che la norma dell’art. 107 del c.c. relativamente alla presenza dei testimoni «anche se parenti» non è richiamata dalla legge n. 76/2016.

Voler rendere estensibile e applicabile anche all’istituto delle unioni civili la norma del c.c. di cui all’art. 107 relativa alla possibilità che i testimoni del matrimonio civile possano essere anche parenti dei nubendi, significherebbe porsi in violazione della clausola generale di equivalenza di cui all’art. 1, comma 20, della legge n. 76/2016 che prevede, come detto, l’estensibilità alle unioni civili della normativa civilistica del matrimonio solo se sia espressamente richiamata.

3. Motivi per l’ammissibilità dei testimoni-parenti. In senso possibilista, si adduce quanto segue.

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Stato Civile I testimoni nella costituzione delle unioni civili

Innanzitutto, non si tratta di rendere applicabile alle unioni civili l’art. 107 del c.c., ma di tener conto che la nuova previsione normativa (art. 1, comma 2, della legge n. 76/2016, art. 70-octies del D.P.R. 396/2000) non abbia fatto un espresso riferimento ai testimoni-parenti, nè nel senso ostativo, nè in quello permissivo. Ora, tutto ciò che non sia vietato è da ritenersi lecito nel rispetto dei principi fondamentali del diritto. Se si tiene conto della natura della funzione svolta dai testimoni nelle unioni civili è difficile che possa trovarsi un conflitto di interesse (che sta a base del divieto in generale di costituire come testimoni i parenti in un atto pubblico). È vero che la legge notarile (art. 50) prevede che «non sono testimoni idonei i ciechi, i sordi, i muti, i parenti e gli affini del notaro e delle parti nei gradi indicati nell’art. 28, il coniuge dell’uno o delle altre e coloro che non sanno o non possono sottoscrivere...», però tale disposizione non troverebbe applicazione nel caso in esame posto che si tratti di normativa specifica non suscettibile di applicazione analogica. I testimoni nell’atto di costituzione dell’unione civile sono «testimoni passivi», cioè non manifestano alcuna volontà in ordine al momento formativo dell’atto. Essi sono fidefacienti dell’avvenuta prestazione del consen-

dell’unione civile, come pure per la celebrazione del matrimonio, non si richiede che gli stessi manifestino alcuna dichiarazione. È difficile, pertanto, intravedere nella costituzione dell’unione civile il sorgere e il concretizzarsi di un «conflitto di interesse» tra le parti (da un lato) e i testimoni-parenti delle stesse (dall’altro), che legittimerebbe la esclusione del parente dallo svolgere tale funzione. E nè si intravede una ipotesi di incompatibilità, prevista, invece, allorquando le parti siano parenti dell’ufficiale dello stato civile (art. 6 del D.P.R. 396/2000); fattispecie, questa, del tutto diversa da quella oggetto di approfondimento. E allora, come si giustifica la differente formulazione prevista nella normativa del matrimonio (in cui è detto espressamente che i parenti possono fungere anche da testimoni) rispetto alla normativa sulla costituzione dell’unione civile che si limita soltanto a stabilire la obbligatorietà della loro presenza senza aggiungere altro? Ebbene, la risposta a tale domanda potrebbe essere ricercata nel fatto che il Legislatore delle unioni civili abbia ritenuto pleonastico aggiungere le parole «anche se parenti» al comma 2 dell’art. 1 della legge n. 76/2016 e all’art. 70-octies, comma 2, del D.P.R. 396/2000 dopo la frase «alla presenza di due testimoni» tenendo conto proprio della funzione svolta dai testimoni in tale circostanza.

I testimoni nell’atto di costituzione dell’unione civile sono «testimoni passivi» so, della lettura dei commi 11 e 12 dell’art. 1 della legge n. 76/2016 da parte dell’ufficiale dello stato civile e testimoniano, con la loro sottoscrizione alla fine della celebrazione, la dichiarazione fatta dall’ufficiale dello stato civile circa l’avvenuta costituzione dell’unione civile. Tale conclusione si fonda sul ruolo che svolgono i testimoni. Essi nella unione civile sono, per l’appunto, testimoni, e non dichiaranti, come, invece, lo sono le parti. Ciò è desumibile anche dallo schema dell’atto di costituzione di cui all’Allegato I al decreto ministeriale del 27 febbraio 2017 che prevede l’inciso: «ed avendomi ciascuno risposto affermativamente a piena intelligenza anche dei testimoni sotto indicati, ho dichiarato che è costituita l’unione civile tra i medesimi. A quest’atto sono stati presenti quali testimoni...». Per i testimoni richiesti per la costituzione

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Il silenzio del Legislatore sulla tematica dei testimoni fa sì che la norma debba essere interpretata tenendo conto dei principi generali che regolano la capacità delle persone, ossia che i testimoni debbano esse maggiorenni, capaci di intendere e di volere a prescindere dall’essere parenti o meno con una o entrambe le parti. Se il legislatore avesse voluto escludere i parenti delle parti dal fungere da testimoni, lo avrebbe detto espressamente (ubi lex voluit dixit, ubi non voluit tacuit), oppure avrebbe previsto ipotesi di invalidità dell’atto. La normativa sulle unioni civili, infatti, non prevede conseguenze sanzionatorie a carico delle parti e dell’ufficiale dello stato civile, non essendo applicabile l’art. 138 del c.c. per difetto di richiamo da parte della legge n. 76/2016, e nemmeno nei riguardi dell’atto di costituzione.


Stato Civile I testimoni nella costituzione delle unioni civili

Infatti, la presenza di un testimone parente di uno dei soggetti costituenti la unione civile non viene contemplata dall’art. 1, comma 4 e seguenti della legge Cirinnà, come causa impeditiva o invalidante, per cui l’atto eventualmente posto in essere con un testimone-parente non sarebbe nemmeno impugnabile. Si tratta, invece, di applicare il nuovo dettato dell’art. 70-octies, comma 2, per quello che dice, e cioè che occorrono i due testimoni, a prescindere dal legame di parentela rivestito dagli stessi rispetto alle parti, tenendo conto che la ratio della presenza dei testimoni è basata sul concetto di presenza passiva degli stessi. Dal quadro espositivo appena elaborato non risulterebbero limitazioni di capacità per i testimoni-parenti, per cui qualunque persona maggiorenne e avente la capacità di agire (art. 2 del c.c.), compresi i parenti delle parti, sarebbe idonea a svolgere tale funzione. Ragionare diversamente (cioè ritenendo che i parenti non possano essere assunti a testimoni) significherebbe svolgere da parte dell’operatore del diritto una interpretazione «additiva», vale a dire aggiungere al dettato normativo come voluto dal Legislatore un disposto non previsto; sarebbe come invadere la sfera di attribuzione riservata al legi-

slatore, che si verifica quando l’interprete applichi non la norma esistente, ma una norma da lui stesso creata: ma ciò non è consentito all’interprete(1)!

4. Il numero dei testimoni nella costituzione della unione civile in imminente pericolo di vita o fuori della casa comunale. Argomento a latere rispetto a quanto sopra esposto è sè nella costituzione dell’unione civile in imminente pericolo di vita o fuori della casa comunale i testimoni debbano essere quattro oppure due. Ebbene, la seconda risposta è quella espressamente prevista dall’art. 70-novies e 70-decies del D.P.R. n. 396/2000, come introdotti dal D.Lgs. n. 5/2017. Quanto appena detto è suffragato dalle Formule n. 121.1 e 121.2 e si pone in deroga alla previsione di cui all’art. 110 del c.c. che richiede, per il matrimonio fuori della casa comunale, 4 testimoni. Per altro, gli artt. 101 (matrimonio in imminente pericolo di vita) e 110 (celebrazione fuori della casa comunale) del c.c. non sono richiamati dalla legge n. 76/2016, per cui è fuori discussione la loro inefficacia estensiva, essendo detti istituti disciplinati direttamente e dettagliatamente dal menzionato D.Lgs. n. 5/2017.

1)  Assunto condiviso dalla linea ufficiale degli esperti Sepel (Casoni , Magosso, Ne ncini ).

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Le adozioni e gli adempimenti dell’ufficiale dello stato civile e di anagrafe di Donato Berloco (seconda edizione)

L’Opera traccia un quadro completo dei principali adempimenti a carico dell’ufficiale di stato civile e di anagrafe in materia di adozioni. L’Autore ha dato all’Opera un taglio pragmatico in relazione alle varie problematiche che si presentano dopo l’emanazione della sentenza di adozione ordinaria o legittimante — interna o internazionale — sotto il profilo dello stato civile e di anagrafe, con particolare disamina condotta in ordine alla vexata quaestio del cognome che l’adottato dovrà assumere, al suo status civitatis, alla sua posizione nello status familiae, nei rapporti di parentela con i membri della famiglia adottiva, all’iscrizione anagrafica prima e dopo la sentenza di adozione, alla trascrizione dell’atto di nascita dell’adottato straniero, ecc. In questa seconda edizione dell’Opera si fa riferimento inoltre alla legge 219 del 10 dicembre 2012 che sancisce l’eliminazione di ogni distinzione tra «figli legittimi» e «figli naturali», al D.Lgs. n. 154/2013 e ad altre innovazioni di rilevante interesse giuridico e sociale: dal D.L. n. 132 /2014 e legge di conversione n. 162/2014 in materia di separazioni e divorzio, alla legge n. 173/2015 sul diritto alla continuità affettiva dei bambini in affido familiare, alla legge n. 75/2016 sulle unioni civili e le convivenze di fatto, al D.Lgs. del 10 agosto 2018 che, nel recepire le disposizioni del Regolamento Europeo GDPR ha abrogato, tra l’altro, l’art. 177 del D.Lgs. n. 196/2003. L’Opera è una guida per l’operatore dei Servizi Demografici fondata sull’id quod plerunque accidit, in una cornice di riferimenti normativi e giurisprudenziali, di richiami a circolari che tracciano l’iter per il quotidiano operare e con riferimenti dottrinali specie per ipotesi atipiche non contemplate espressamente nelle fonti e nel Massimario del Ministero dell’Interno. Per tali ragioni, nell’affrontare immediatamente le varie problematiche, l’Opera è diretta non solo agli Operatori degli Uffici dello stato civile e di anagrafe, ma anche agli studi legali, operatori sociali, Enti coinvolti pubblici e privati, ad aspiranti genitori adottivi, ad associazioni di volontariato, a studiosi a vario titolo della materia.

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INDICE CAPITOLO PRIMO - Adozione di persone maggiori di età pronunciate in Italia CAPITOLO SECONDO - Adozioni di maggiorenni stranieri pronunciate in Italia CAPITOLO TERZO - Adozione pronunciata all’estero di persona maggiorenne CAPITOLO QUARTO - Adozione legittimante interna CAPITOLO QUINTO - Adozione di minori in casi particolari CAPITOLO SESTO - Adozione internazionale CAPITOLO SETTIMO - L’adozione e il rapporto di parentela alla luce della legge n. 219 del 10 dicembre 2012 e del D.Lgs. n. 154 del 28 dicembre 2013 CAPITOLO OTTAVO - Divieto di diffusione di notizie sull’adozione legittimante CAPITOLO NONO - Quadro riepilogativo di tutte le ipotesi di adozioni CAPITOLO DECIMO - Orientamenti ministeriali in materia di adozione CAPITOLO UNDICESIMO - Casistica APPENDICE NORMATIVA GIURISPRUDENZA

Le Adozioni e gli adempimenti dell’ufficiale dello stato civile e di anagrafe di Donato Berloco (seconda edizione) Per acquisto: www.sepel.it Euro 29 IVA assolta dall’editore (Non Abbonati) Euro 24 IVA assolta dall’editore (Abbonati) Sepel editrice - 40061 Minerbio (Bologna) Tel. 051 878143 - Fax 051 878509

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Stato Civile Acquisto della cittadinanza italiana

Acquisto della cittadinanza italiana e conoscenza della lingua Maria Teresa Magosso

Vice Direttore

L

a legge 5 febbraio 1992, n. Acquisto di cittadinanza civili) o unione civile con sogget91 vede due diversi tipi di to già cittadino italiano, prevede per matrimonio o naturalizzazione italiana, la presentazione di un’istanza da unione civile l Acquisto di uno tramite conferimento della parte della persona interessata cittadinanza per cittadinanza a seguito matrimononchè di documentazione staconcessione l Competenza ad nio o unione civile con cittadino bilita secondo precise indicazioni emettere il decreto e o cittadina italiana e l’altro tramiministeriali. discrezionalità l Può essere te concessione collegata a speposta alla base di un diniego cifiche condizioni personali dei Con la legge 20 maggio 2016, n. di riconoscimento della richiedenti, dove nella maggior 76, entrata in vigore dal 5 giugno parte dei casi sono connessi ob2016, è stata introdotta, al comcittadinanza l’inadeguata conoscenza blighi di residenza legale nel terma 20 dell’art.1, la norma che della lingua italiana? l Giuramento ritorio italiano, di diversa durata. stabilisce l’applicabilità alle parti e adempimenti dell’ufficiale di Sussistono, inoltre, modalità di acdell’unione civile tra persone delstato civile l Conversione in quisto agevolato per concessione lo stesso sesso delle disposizioni legge n. 132 del 1° dicembre 2018 relativamente agli stranieri oriunpresenti in leggi, atti aventi forza del decreto legge n. 113 del di italiani, cioè con ascendenti di di legge, nei regolamenti, negli 4 ottobre 2018 – Modifica della legge primo o secondo grado, cittadini atti amministrativi e nei contrat5 febbraio 1992, n. 91 l Cosa prevede italiani per nascita, divenuti strati collettivi contenenti le parole la conoscenza della nieri con conseguente perdita «coniuge», «coniugi» o termini lingua rispetto al livello B1? della cittadinanza italiana. A ciò si equivalenti. Lo scopo è quello di aggiunge il fatto che il Governo si garantire, come stabilito dal legiè riservato la prerogativa di concedere la cittadinanza slatore, l’effettività della tutela dei diritti e il pieno ademitaliana a persone che abbiano reso particolari servizi pimento degli obblighi derivanti dall’unione civile. all’Italia o alle quali sia interesse dello Stato conferire la Fanno eccezione solo le disposizioni del codice civile cittadinanza italiana. non espressamente richiamate. Ciò porta a concludere che le norme di cui all’art. 5 della legge 91/1992 come Acquisto di cittadinanza modificate dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 riguardanti per matrimonio o unione civile. l’acquisto della cittadinanza italiana da parte del coniuLa naturalizzazione mediante conferimento della cittadige di cittadino/a italiano/a possano essere riferite anche nanza italiana a seguito di matrimonio (valido agli effetti alle parti dell’unione civile(1).

1)  Pertanto l’articolo in questione dovrà essere integrato e letto nel seguente modo: Il coniuge (l’unito/a civilmente), straniero/a o apolide, di cittadino/a italiano/a può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio (la costituzione dell’unione civile), risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio (della costituzione dell’unione civile) se residente all’estero, qualora, al momento dell’adozione del decreto di cui all’art. 7, comma 1, non sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi (non sia intervenuto lo scioglimento dell’unione civile). I termini di cui al comma 1 sono ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi… (dagli uniti civilmente).

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Stato Civile Acquisto della cittadinanza italiana

Nella determinazione del conferimento della cittadinanza per matrimonio (o unione civile) non vi è spazio per valutazioni da parte dell’Amministrazione procedente di carattere discrezionale in quanto la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 5 e di eventuali cause ostative ex art. 6, lettere a), b) concernenti le condanne penali, dev’essere esclusivamente accertata. Diverso il caso in cui si accertino, nei confronti dello straniero richiedente la cittadinanza, motivi concreti di pericolosità per la sicurezza della Repubblica. Infatti la norma ammette, come ulteriori ipotesi che può dar luogo a rifiuto della cittadinanza, l’esistenza di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica [(ex art. 6, lett. c)] nel qual caso è necessario che il Ministro dell’Interno acquisisca il parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato.

Acquisto di cittadinanza per concessione. La cittadinanza può essere concessa con provvedimento amministrativo di cui all’art. 9 quando lo straniero possieda determinati requisiti stabiliti dalla legge, oppure abbia posto in essere determinati comportamenti rilevanti per l’Italia, o sia interesse dello Stato ammetterlo a far parte della comunità nazionale. Il legislatore ha dunque stabilito una serie di condizioni personali che si devono riscontrare nello straniero perchè possa richiedere e ottenere la concessione della cittadinanza italiana. Infatti, in relazione alla particolare condizione, sono richiesti periodi di residenza legale in Italia più o meno lunghi. Lo straniero può dunque chiedere che gli venga concessa la cittadinanza italiana se rientra in una di queste fattispecie: —  il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado (nonno o nonna) sono stati cittadini per nascita ed egli risiede legalmente in Italia da almeno tre anni [art. 9, comma 1, lett. a)]; —  se è nato nel territorio della Repubblica e vi risiede legalmente da almeno tre anni [art. 9, comma 1, lett. a)]; —  se è discendente in linea retta di avo già residente nei territori che sono appartenuti alla monarchia austro-ungarica ed emigrato all’estero prima del 16 luglio 1920, mentre rimane di difficile riscontro, dato il tempo trascorso, l’altra ipotesi di una richiesta da parte di soggetto che sia stato residente nei territori che sono appartenuti alla monarchia austro-ungarica ed emigrato all’estero prima del 16 luglio 1920 (art. 18); —  se maggiorenne, è stato adottato da cittadino italiano e risiede legalmente nel territorio italiano da almeno cinque anni successivamente all’adozione [art. 9, comma 1, lett. b)];

—  se figlio maggiorenne di genitore naturalizzato italiano, residente legalmente in Italia da 5 anni successivi al giuramento del genitore (disposizioni ministeriali); —  quando abbia prestato servizio, anche all’estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato italiano [art. 9, comma 1, lett. c)]; —  se trattasi di cittadino di uno Stato dell’Unione Europea che risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio italiano [art. 9, comma 1, lett. d)]; —  se apolide residente legalmente da almeno cinque anni nel territorio italiano [art. 9 comma 1, lett. e)]; —  se rifugiato residente legalmente da almeno cinque anni in Italia (art. 16 comma 2); —  se risiede legalmente da almeno 10 anni nel territorio italiano [art. 9 comma 1, lett. f)]; —  se affiliato da un cittadino italiano prima dell’1° giugno 1983, data di entrata in vigore della legge 4 maggio 1983, n. 184, e che risieda legalmente nel territorio italiano per almeno sette anni dopo l’affiliazione (art. 21). Nella legge è prevista, inoltre, la possibilità che il conseguimento della cittadinanza italiana sia conseguenza di determinati comportamenti posti in essere dallo straniero che si concretino in servizi resi a favore dell’Italia giudicati «eminenti» e, quindi, di notevole rilevanza (art. 9, comma 2). L’art. 9 della legge n. 91 del 1992, più volte richiamato, afferma che la cittadinanza «può essere concessa», denotando il carattere di discrezionalità del provvedimento. I requisiti sopra elencati, che devono essere in possesso del richiedente, sono solo i presupposti che consentono all’istanza di naturalizzazione di poter essere avviata (Cons. St., IV^, n. 798 del 1999). La valutazione che viene posta in atto, nella fase istruttoria del procedimento verte su una scrupolosa valutazione e ponderazione degli interessi: un effettivo interesse pubblico ad accogliere un nuovo cittadino e l’attitudine di quest’ultimo ad assumere doveri ed oneri (Cons. St. n. 798 del 1999). Oltre alla sussistenza dei presupposti dettagliati dalla legge deve essere valutata l’«opportunità di tale concessione».

Competenza ad emettere il decreto e discrezionalità. È necessario ricordare come la Direttiva del Ministro dell’Interno del 7 marzo 2012 ha confermato che gli atti di concessione della cittadinanza italiana di cui all’art.

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Stato Civile Acquisto della cittadinanza italiana

9 della legge 91/1992 hanno la forma del decreto del Presidente della Repubblica in quanto espressione di funzione politico-amministrativa. La concessione, infatti, interviene a seguito di una valutazione discrezionale di opportunità che implica l’accertamento della sussistenza di un interesse pubblico al conferimento della cittadinanza italiana. La concessione interviene con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’Interno. Mentre, si ricorda, la competenza per l’accoglimento delle domande di acquisto della cittadinanza per matrimonio (o unione civile) o il diniego per la sussistenza dei motivi ostativi stabiliti alle lettere a) e b) art. 6 della legge 91/1992 è stata attribuita ai Prefetti del luogo di residenza dello straniero, mentre nelle province autonome di Trento e Bolzano e nella regione autonoma della Valle d’Aosta le relative funzioni sono svolte dai Commissariati del Governo nel Trentino-Alto Adige e dal Presidente della Regione in Valle d’Aosta.

È stata confermata la separazione tra compiti di direzione politica e di direzione amministrativa

In questo modo è stata confermata la separazione tra compiti di direzione politica e di direzione amministrativa.

Qualora l’interessato, cittadino straniero, risieda all’estero e la concessione della cittadinanza italiana intervenga con riferimento alle fattispecie che non prescrivono l’obbligo di residenza in Italia, e quindi nelle ipotesi di cui all’art. 9, comma 2, la cittadinanza italiana è concessa sempre con Decreto del Presidente della Repubblica, ma in questo caso tale provvedimento dev’essere preceduto da una deliberazione del Consiglio dei Ministri, che interviene a seguito di proposta del Ministro dell’Interno di concerto con il Ministro degli Affari Esteri.

Può essere posta alla base di un diniego di riconoscimento della cittadinanza l’inadeguata conoscenza della lingua italiana? Nei procedimenti di cui all’art. 9 comma 1 la legge attribuisce un ambito di discrezionalità in capo all’Amministrazione che può portare anche al diniego determinato oltre che dai motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, anche da mancanza del periodo di residenza legale, insufficienza dei redditi del nucleo familiare, presenza di precedenti penali, come pure insufficiente livello di integrazione e scarsa conoscenza della lingua italiana(2).

Giuramento e adempimenti dell’ufficiale di stato civile. Il decreto una volta firmato viene notificato all’interessato, il quale ha sei mesi di tempo per prestare giuramento, ai sensi dell’art. 10 della legge, presso il Comune di residenza. Il cittadino straniero diviene cittadino italiano il giorno successivo al giuramento stesso. Non è raro il caso in cui la persona che si presenta per prestare tale dichiarazione non conosca la lingua italiana. Di fronte all’incapacità del soggetto di rendere autonomamente una dichiarazione personalissima, si rende necessario nominare un interprete che lo possa coadiuvare (art. 13 del D.P.R. 396/2000). Colui che viene chiamato a svolgere la funzione di interprete deve prestare a sua volta giuramento di bene e fedelmente adempiere l’incarico ricevuto(3). A mezzo stampa abbiamo avuto conoscenza di situazioni in cui, a fronte dell’incapacità dello straniero di leggere e pronunciare in italiano le parole del giuramento, alcuni Sindaci hanno ritenuto di non dar corso al procedimento procrastinando la data di accoglimento della dichiarazione da parte dello straniero fintantochè questi sia stato in grado di pronunciare in lingua italiana le parole prescritte, dando conferma anche della comprensione del loro significato. Nel merito, il Ministro dell’Interno, durante la seduta della Camera dei Deputati svoltasi il 10 febbraio 2016, a seguito di interrogazione concernente la problematica in questione, ha affermato che l’atto concessorio (il de-

2) T.A.R. Lazio, Sentenza n. 750 del 21 gennaio 2014; T.A.R. Lazio, Sentenza del 20 marzo 2015, n. 4384; T.A.R. Lazio, Sentenza del 25 marzo 2015, n. 4539; T.A.R. Lazio, Sentenza del 26 febbraio - 26 marzo - 11 maggio 2015, n. 6618; T.A.R. Lazio, Sentenza del 12 marzo - 13 aprile 2015, n. 5362, T.A.R. Lazio, Sentenza del 2 agosto 2016, n. 8967, T.A.R. Lazio, Sez. I ter, 14 maggio 2018, n. 5370; Consiglio di Stato, Sentenza n. 2961 del 15 giugno 2015. 3)  La figura dell’interprete nella formazione di atti di stato civile quando le parti non conoscono la lingua italiana, Donato Be rloco, Focus del 9 marzo 2018.

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Stato Civile Acquisto della cittadinanza italiana

creto) è adottato come esito di una complessa attività istruttoria, che comprende, tra l’altro, la verifica dei requisiti reddituali e morali e della permanenza decennale dello straniero sul territorio nazionale. In questa fase, sebbene non sia espressamente previsto dalle norme vigenti, gli uffici competenti verificano anche il livello di integrazione dello straniero e il suo grado di conoscenza linguistica. Pertanto, «una volta concluso l’iter e adottato il decreto di concessione della cittadinanza da parte del Presidente della Repubblica, un’ulteriore verifica, volta ad asseverare quanto già accertato in sede istruttoria, non è tecnicamente, alla luce della norma, ammissibile, e sarebbe comunque estranea ai profili e ai princìpi procedimentali». Per questo motivo, ha sottolineato il Ministro, l’ordinamento non attribuisce all’ufficiale di stato civile e a nessun altro alcun potere di intervento per controllare, all’atto del giuramento, l’effettivo stato di conoscenza della lingua italiana ed esercitare al riguardo una qualsiasi forma di opposizione.

Conversione in legge n. 132 del 1° dicembre 2018 del decreto legge n. 11 del 4 ottobre 2018 - Modifica della legge 5 febbraio 1992, n. 91. Con il «Decreto Salvini», in tema di immigrazione e sicurezza, vengono previste alcune novità in merito alla cittadinanza, tra queste vi è l’introduzione, dopo l’art. 9 della legge, dell’art. 9.1, del seguente tenore: «1. La concessione della cittadinanza italiana ai sensi degli artt. 5 e 9 è subordinata al possesso, da parte dell’interessato, di un’adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER). A tal fine, i richiedenti, che non abbiano sottoscritto l’accordo di integrazione di cui all’art. 4-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, o che non siano titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all’art. 9 del medesimo testo unico, sono tenuti, all’atto di presentazione dell’istanza, ad attestare il possesso di un titolo di studio rilasciato da un istituto di istruzione pubblico o paritario riconosciuto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dal Ministero degli affari esteri e della

cooperazione internazionale o dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ovvero a produrre apposita certificazione rilasciata da un ente certificatore riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale o dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca» . Questa novella incide nel procedimento istruttorio di accertamento dei requisiti per l’ottenimento della cittadinanza italiana, mentre nulla cambia per gli adempimenti in capo all’ufficiale di stato civile, il quale sarà però agevolato in quanto per il futuro, si presume, avrà a che fare con cittadini che prestano giuramento con padronanza della lingua italiana.

Cosa prevede la conoscenza della lingua rispetto al livello B1? Chi è in possesso del livello B1 — secondo il Quadro Comune Europeo di Riferimento per Lingue (QCER) — «è in grado di comprendere i punti essenziali di messaggi chiari in lingua standard su argomenti familiari che affronta normalmente al lavoro, a scuola, nel tempo libero ecc. Se la cava in molte situazioni che si possono presentare viaggiando in una regione dove si parla la lingua in questione. Sa produrre testi semplici e coerenti su argomenti che gli siano familiari o siano di suo interesse. È in grado di descrivere esperienze e avvenimenti, sogni, speranze, ambizioni, di esporre brevemente ragioni e dare spiegazioni su opinioni e progetti». Oggi viene chiesta una adeguata e documentata padronanza della lingua italiana a prova di integrazione nel tessuto sociale non solo al cittadino residente in Italia, in possesso di uno dei requisiti di cui all’art. 9, ma anche al coniuge del cittadino italiano residente in Italia (da due anni, ridotti di metà se in presenza di figli della coppia) o residenti all’estero (da almeno tre anni, con medesima riduzione). In questa ultima ipotesi il requisito della conoscenza della lingua italiana assume un aspetto ancor più stringente e rilevante in quanto molto spesso si tratta di persone il cui radicamento ed integrazione nel tessuto sociale italiano è molto debole.

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Stato Civile Annotazione sull’atto di matrimonio della costituzione del fondo patrimoniale

Annotazione sull’atto di matrimonio della costituzione del fondo patrimoniale, adempimenti necessari e rilevanza nei confronti dei terzi Circolare del Ministero dell’Interno n. 12 del 16 luglio 2018. Giovanni Berloco

Avvocato in Altamura (BA)

1. Premessa. Il tema relativo all’annotabilità del «fondo patrimoniale» è sempre di viva attualità, in quanto collegato ad aspetti e risvolti che potrebbero coinvolgere la responsabilità patrimoniale dell’Ente pubblico e che, più delle altre cause, spingono spesso l’operatore a ricorrere a forme assicurative per coprire il rischio di un eventuale risarcimento di danno economico arrecato a terzi per il mancato o ritardato annotamento sull’atto di matrimonio.

1. Premessa l 2.  Definizione del fondo patrimoniale l 3.  Il tema dell’indagine l 4.  Trasmissione del fondo patrimoniale tramite PEC l 5.  Sentenza della Cassazione del 13 ottobre 2009, n. 21658 l 6.  Cassazione, Sez. III Civile n. 5889 del 24 marzo 2016 l 7.  Pubblicità l 8.  Annotazione in sanatoria l 9.  Consiglio agli operatori l 10.  Legittimazione passiva nel giudizio di risarcimento danni subiti dal privato per mancata annotazione del fondo patrimoniale.

Numerosi sono gli adempimenti posti a carico dell’ufficiale dello stato civile anche in riferimento all’utilizzo della formula ad hoc di annotazione. Sussiste, poi, il problema della «sanatoria», ossia della procedura per regolarizzare la mancata apposizione dell’annotazione.

2. Definizione del fondo patrimoniale. L’istituto del fondo patrimoniale è disciplinato dagli artt.

167 al 171 del c.c., alla cui lettura si rimanda. Il fondo, che può essere costituito da ciascuno o ambedue i coniugi, o da un terzo, anche per testamento, può avere ad oggetto beni immobili, mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.

I benefici che ne derivano dalla costituzione del fondo sono rappresentati dal fatto che i beni destinati a tale scopo non possono essere soggetti ad esecuzione forzata per debiti che il creditore sapeva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia (art. 170 c.c.). A riguardo delle intangibilità dei beni conferiti in fondo patrimoniale, va richiamato l’art. 2929-bis del c.c., inserito dall’art. 12 del D.L. n. 83 del 27 giugno 2015, convertito con legge 132 del 6 agosto 2015(1).

Il fondo patrimoniale è un atto di autonomia privata

1)  Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore di costituzione di vincolo di indisponibilità di un bene immobile, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorchè non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto.

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Stato Civile Annotazione sull’atto di matrimonio della costituzione del fondo patrimoniale

che crea sui beni un vincolo di destinazione realizzato attraverso particolari regole di amministrazione e di responsabilità. Quanto all’amministrazione del fondo, essa è regolata dalle norme della comunione legale (art. 168 c.c.). Il fondo patrimoniale non esclude la comunione legale, perchè esso non è un regime generale alternativo, ma limitato a determinati beni. L’istituto, quindi, è compatibile sia con il regime della comunione di beni e sia con quello della separazione dei beni. La costituzione può essere fatta anche durante il matrimonio. E se fatta dal terzo con atto inter vivos, essa costituzione si perfeziona con l’accettazione dei coniugi, non essendo altro che un contratto di donazione. Il fondo patrimoniale costituito senza il trasferimento della proprietà (c.d. fondo non traslativo) si ha quando un coniuge costituisce in fondo patrimoniale determinati beni immobili per far fronte ai bisogni della famiglia riservandosi espressamente la proprietà dei beni medesimi. Questo tipo di costituzione, a livello di prassi notarile, è molto condiviso per ragioni specificamente fiscali.

3. Il tema dell’indagine. Le questioni da esaminare riguardano: i) se l’atto di costituzione del fondo patrimoniale di cui all’art. 167 c.c. sia o meno una convenzione matrimoniale ai fini dell’applicabilità della disposizione dell’art. 162 c.c., comma 4, che prevede l’annotazione sull’atto di matrimonio; ii) se l’opponibilità ai terzi dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale — avente ad oggetto beni immobili — sia subordinata all’annotazione a margine dell’atto di matrimonio a prescindere dalla trascrizione nei Registri Immobiliari del medesimo atto imposta dall’art. 2647 c.c. Al tal fine si osserva quanto segue. a) La tesi che si sostiene si basa sul concetto che il fondo patrimoniale, anche quando sia costituito da un terzo, debba essere assoggettato allo stesso regime delle annotazioni sui registri di matrimonio allo stesso modo delle altre convenzioni, proprio perchè il fondo patrimoniale è da considerarsi una convenzione matrimoniale rientrante nel paradigma dell’art. 162 del c.c.Tale forma di pubblicità è da effettuarsi non soltanto quando il fondo stesso sia costituito dai beni conferiti dai coniugi stessi, ma anche quando sia costituito da beni assegnati dai terzi.

b) Le convenzioni matrimoniali sono definite atti di autonomia privata posti in essere tra gli sposi, anche con l’intervento di terze persone, per regolare il regime patrimoniale della famiglia, in modo diverso dal modello legale della comunione dei beni acquistati dai coniugi prima e dopo il matrimonio. È da ritenere, quindi, che rientrino tra le convenzioni matrimoniali tutti gli atti giuridici bilaterali o plurilaterali che incidano sull’assetto patrimoniale della famiglia. Ciascuna delle parti è portatrice di un proprio autonomo interesse, così che l’attività negoziale si perfeziona solo ove concorra l’accordo di tutti i partecipanti. c) Per poter sostenere che il fondo patrimoniale sia una convenzione matrimoniale alla stessa stregua della comunione convenzionale e della separazione dei beni e che, come tale, debba essere annotata sull’atto di matrimonio, occorre fare appello al concetto espresso dal legislatore all’art. 167 del c.c. secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale per atto inter vivos richiede l’accettazione dei coniugi: da un lato vi è chi trasferisce la proprietà di alcuni beni, dall’altro vi sono i coniugi, i quali accettano. d) Si avrà ugualmente una convenzione di fondo patrimoniale anche quando il coniuge o i coniugi si riservino la proprietà dei beni di propria spettanza, come previsto espressamente dall’art. 168, comma 1, del c.c. e) Di conseguenza, ai sensi dell’art. 162 del c.c., a garanzia della buona fede dei terzi, il fondo patrimoniale non sarebbe opponibile ai terzi medesimi qualora a margine dell’atto di matrimonio dei titolari del fondo medesimo non fossero riportati la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti. Attraverso i suddetti dati, i terzi possono infatti rintracciare l’atto, ottenerne copia e regolarsi di conseguenza. La mancata annotazione, comunque, non inficia la costituzione, ma la rende inopponibile ai terzi che vantano diritti sui beni oggetto di convenzione, tale che gli stessi non possano risentire alcun danno da quella omissione. Di qui la responsabilità del notaio a trasmettere nei tempi dovuti (30 giorni dalla data del matrimonio o dalla data dell’atto pubblico, come previsto dall’art. 34-bis delle disposizioni di attuazione del c.c.) la convenzione all’ufficiale dello stato civile e dell’ufficiale dello stato civile a provvedere urgentemente all’esecuzione della formalità. f) Poichè la costituzione del fondo patrimoniale ad opera del terzo comporta trasferimento della proprietà di beni immobili, essa deve essere trascritta presso la Conservatoria dei registri immobiliari a norma degli artt. 2643 e 2684 c.c. per gli effetti di cui all’art. 2644 c.c. e a norma dell’art. 2647 c.c.

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Stato Civile Annotazione sull’atto di matrimonio della costituzione del fondo patrimoniale

Con la trascrizione di cui all’art. 2643 si soddisfa la «pubblicità dell’acquisto» al fine di dirimere i conflitti tra più acquirenti dallo stesso autore. Con la trascrizione di cui all’art. 2647 si determina la c.d. «pubblicità del vincolo o pubblicità notizia». Con il sistema di pubblicità mediante annotazione di cui all’art. 162 — come è stato detto sopra — si garantisce la opponibilità del fondo ai terzi, opponibilità — ripetiamolo — che scaturisce non dalla trascrizione ex art. 2647 del c.c., ma dalla sola annotazione della convenzione sull’atto di matrimonio.

4. Trasmissione del fondo patrimoniale tramite PEC. Per quanto riguarda la forma di comunicazione e trasmissione dell’atto notarile di costituzione del fondo patrimoniale, va richiamata la normativa introdotta dall’art. 6, comma 1, lettere a) e c) del D.L. n. 5 del 9 febbraio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35. Le modalità di comunicazione e trasmissione di atti tra notai e Comuni sono state poi rese esecutive dal D.M. 12 febbraio 2014 del Ministro dell’Interno di concerto con il Ministro per la P.A. e la Semplificazione il cui art. 4 sancisce: «Le comunicazioni e le trasmissioni degli atti ai Comuni, anche ai fini delle annotazioni delle convenzioni matrimoniali, sono effettuate dai notai a mezzo di posta elettronica certificata. Gli atti trasmessi unitamente alla comunicazione sono firmati digitalmente per attestarne la conformità all’originale». Tale nuova procedura è stata ribadita dalla Circolare n. 11 del 20 marzo 2014 del Ministero dell’Interno.

5. Sentenza della Cassazione del 13 ottobre 2009, n. 21658. I principi dottrinali sopra esposti, nella sostanza, sono gli stessi che la sentenza delle SS.UU. della Cassazione n. 21658 del 13 ottobre 2009 evidenzia per sostenere l’annotabilità del fondo patrimoniale costituito da un coniuge. In particolare viene sostenuto che il fondo patrimoniale risulta sottoposto ad una doppia forma di pubblicità: annotazione nei registri dello stato civile (funzione dichiarativa) e trascrizione nei registri immobiliari (funzione di pubblicità notizia). Consegue da quanto precede — sostiene la Corte di Cassazione a SS.UU. — che l’annotazione di cui all’art. 162 c.c., comma 4 (norma speciale) è l’unica forma di pubblicità idonea ad assicurare l’opponibilità della con-

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venzione matrimoniale ai terzi, mentre la trascrizione di cui all’art. 2647 c.c. (norma generale) ha la funzione di mera pubblicità-notizia. L’opponibilità ai terzi dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale (avente ad oggetto beni immobili) è quindi subordinata all’annotazione a margine dell’atto di matrimonio a prescindere dalla trascrizione del medesimo atto imposta dall’art. 2647 c.c. In base al descritto quadro normativo, il terzo interessato deve non solo consultare i registri immobiliari (Agenzia del Territorio, Ufficio Pubblicità Immobiliare) al fine di verificare la situazione relativa ad un determinato bene immobile, ma anche verificare se il titolare sia coniugato e, in caso positivo, controllare se a margine dell’atto di matrimonio sia stata annotata una convenzione derogatoria. La costituzione del fondo patrimoniale di cui all’art. 167 del c.c. è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 c.c. circa le forme delle convenzioni medesime, ivi incluso il terzo comma che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili ai sensi dell’art. 2647 c.c. resta degradata a mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo. Ne consegue che in mancanza di annotazione del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio, il fondo medesimo non è opponibile ai creditori.

6. Cassazione, Sez. III Civile n. 5889 del 24 marzo 2016. Anche con più recente pronuncia il Supremo Collegio afferma che: «l’art. 2903 c.c., nello stabilire che l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto, deve essere interpretato nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell’atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da quel momento il diritto può essere fatto valere e l’inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo; e tale momento va valutato, in relazione alla costituzione del fondo patrimoniale, in quello nel quale avviene l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, che è il giorno nel quale l’atto diviene opponibile ai terzi». Quanto alla revocatoria del fondo patrimoniale, viene evidenziato, nel caso specifico, che l’atto in questione, benchè stipulato davanti al notaio in data 20 aprile 1999, era divenuto effettivamente opponibile ai terzi — fra i quali la Banca creditrice — soltanto con l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, avvenuta il successivo


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1 ottobre 2003. Poichè il credito dell’istituto di credito era sorto in data 22 settembre 2003 — momento in cui il Sig. Caio si era accollato i debiti della s.p.a. Alfa — la costituzione del fondo patrimoniale era da ritenersi successiva rispetto al sorgere del credito, in quanto solo con l’assunzione del debito suddetto l’atto era divenuto opponibile ai terzi. Nel caso specifico, il ritardo dell’annotazione era imputabile al notaio.

gurarsi alla stregua di una «convenzione») trova ulteriore conferma nella pronuncia della Suprema Corte di Cassazione del 17 gennaio 2007, n. 966, secondo cui «la costituzione del fondo patrimoniale prevista dall’art. 167 del c.c., che va compresa tra le convenzioni matrimoniali, comporta, invero, in presenza di figli minori, un limite di disponibilità di determinati beni,vincolati a soddisfare i bisogni della famiglia».

7. Pubblicità.

Pertanto, il fondo patrimoniale costituito per atto inter vivos anche dal terzo, in quanto riconducibile alla categoria delle convenzioni matrimoniali, deve essere annotato sull’atto di matrimonio, come all’inizio di questa indagine è stato sostenuto.

Alla luce di quanto sopra esposto, sussistono valide ragioni per sostenere che il fondo patrimoniale, vuoi quando sia stato costituito dai coniugi stessi che quando sia stato costituito dal terzo per atto inter vivos, si configuri come «convenzione» matrimoniale. Di conseguenza, ai sensi dell’art. 162 c.c., a garanzia della buona fede dei terzi, detto fondo patrimoniale non potrà essere opposto ai terzi medesimi qualora a margine dell’atto di matrimonio dei titolari del fondo medesimo (e non del matrimonio del costituente) non fossero riportati la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti.

Il fondo patrimoniale si configura come «convenzione» matrimoniale.

Anche le modifiche sono oggetto di annotazione. L’annotazione viene fatta a seguito di comunicazione da parte del notaio, entro 30 giorni dalla data del matrimonio (se trattasi di costituzione in contemplazione di un futuro matrimonio) o dalla data dell’atto pubblico (se trattasi di convenzione successiva al matrimonio), della copia dell’atto di costituzione. La formula da applicare, previo adattamento, è la n. 184 del formulario ufficiale approvato con D.M. del 5 aprile 2002. Il fatto che le forme di pubblicità delle convenzioni matrimoniali siano disciplinate dall’art. 162 c.c. nelle disposizioni generali del Capo VI, Sez. I del Titolo VI, libro primo del codice civile relativo al regime patrimoniale della famiglia e poi di seguito il codice tratta del fondo patrimoniale, della comunione legale, della comunione convenzionale, della separazione dei beni, dell’impresa familiare, sta ad indicare che la regola fondamentale della pubblicità delle convenzioni matrimoniali mediante annotazione sull’atto di matrimonio comprenda anche il fondo patrimoniale. La costruzione logico-giuridica in epigrafe esposta (ossia che il fondo patrimoniale per atto tra vivi sia da confi-

Giova citare, da ultimo, una recente pronuncia del Tribunale di Vicenza del 24 novembre 2016 secondo cui «la costituzione del fondo patrimoniale di cui all’art. 167 cod. civ. è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 cod. civ., circa le forme delle convenzioni matrimoniali, ivi inclusa quella del quarto comma, che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell’art. 2647 cod. civ., resta degradata a mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo».

8. Annotazione in sanatoria. Quanto all’ipotesi in cui dovesse risultare la mancata annotazione del fondo matrimoniale, soccorre la linea interpretativa assunta dal Massimario del Ministero dell’Interno (ed. 2012), secondo cui «nel caso in cui l’omessa indicazione della scelta operata dagli sposi in ordine al loro regime patrimoniale possa essere assimilata ad un errore commesso nella stesura della trascrizione, si ritiene ammissibile la correzione mediante un’apposita annotazione che renda conto dell’integrazione operata dall’ufficiale dello stato civile. È possibile, infatti, ricorrere all’istituto della correzione in ogni ipotesi di errore od omissione la cui rimozione, non conducen-

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do ad un mutamento dello status della persona cui l’atto si riferisce e non incidendo sul contenuto sostanziale dell’atto, ripristini la giusta corrispondenza tra atto e realtà. Ovviamente gli effetti sananti dell’annotazione “de qua” decorreranno dalla data della sua apposizione». In sostanza, tale regola si applica quando si verifichi un errore materiale di omissione, ossia non si sia annotata, per errore, la convenzione patrimoniale stipulata davanti al notaio. E gli errori materiali si correggono in virtù dell’art. 98, 1° comma, del D.P.R. 396/2000 sulla base di atti precedenti, procedendo, ora per allora, ad eseguire l’annotazione di separazione dei beni o di costituzione del fondo patrimoniale, ed apponendo la data in cui effettivamente viene eseguita la formalità. Però, nei confronti dei terzi, la convenzione matrimoniale esplicherà effetti non retroattivamente, ma dalla data della futura annotazione da farsi. Mentre tra le parti produce effetti dalla data del rogito.

9. Consiglio agli operatori. L’orientamento della giurisprudenza insegna che, se il fondo patrimoniale non sia annotato, esso non potrà essere opposto ai creditori che avranno, così, la possibilità di poter aggredire i beni facenti parte del fondo medesimo pur essendo avvenuta la trascrizione del fondo nei registri immobiliari. Pertanto, per non incorrere in responsabilità patrimoniale, è necessario che il notaio e l’ufficiale dello stato civile prestino la dovuta diligenza in tema, rispettivamente, di invio e di esecuzione materiale dell’annotazione delle convenzioni patrimoniali nel cui novero è compresa la costituzione del fondo patrimoniale.

10. Legittimazione passiva nel giudizio di risarcimento danni subiti dal privato per mancata annotazione del fondo patrimoniale. Quanto alla richiesta di risarcimento danni al Comune per mancata annotazione del fondo patrimoniale — con specifico riferimento alla legittimazione passiva — viene asserito dalla Cassazione nel decisum del 13 ottobre 2009, n. 21658 che: «Del pari è infondato il quarto motivo di ricorso — concernente la richiesta risarcitoria nei confronti del Comune di N. S. — ed al riguardo è sufficiente il richiamo al principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui nell’esercizio della funzione di tenuta dei registri dello stato civile, il sindaco, assumendo la veste di ufficiale di Governo, agisce quale organo dello

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Stato in posizione di dipendenza gerarchica anche rispetto agli organi statali centrali (Ministero della giustizia - “ora Ministero dell’Interno”) e locali di grado superiore (Procuratore della Repubblica “ora Prefettura”). Pertanto nelle controversie relative allo svolgimento di tale funzione (nella specie mancata annotazione nei registri dello stato civile della costituzione di un fondo patrimoniale) la legittimazione passiva appartiene non al Comune, ma allo Stato (in tali sensi, tra le tante, sentenze 25 marzo 2009, n. 7210; 14 febbraio 2000, n. 1599)». Quanto deciso, comunque, non deve far pensare che sarebbe esclusa la responsabilità dell’ufficiale dello stato civile. Nel caso specifico della causa è stata esclusa la richiesta risarcitoria per difetto di citazione: anzichè convenire in giudizio lo Stato, è stato, invece, citato il Comune. Ma ciò non è giustificazione idonea perchè l’ufficiale dello stato civile possa ritenersi esonerato da responsabilità, anche sotto forma di rivalsa. Quindi, la massima attenzione alle annotazioni di convenzioni matrimoniali da cui derivano ripercussioni patrimoniali. Nello stesso senso si registra la pronuncia della Corte di Appello di Bologna n. 2640 del 7 novembre 2017 che, obiter dictum, ribadisce che «nell’esercizio della funzione di tenuta dei registri dello stato civile (nella specie cittadinanza), il Sindaco assumendo la veste di ufficiale di Governo, agisce infatti quale organo dello Stato in posizione di dipendenza gerarchica anche rispetto agli Organi statali centrali e locali di grado superiore. Pertanto, nelle controversie relative allo svolgimento di tale funzione la legittimazione passiva appartiene non al Comune, ma allo Stato (Cass. 1599/2000)». Recentemente anche il Ministero dell’Interno — chiamato in causa a seguito di assunti ritardi da parte di taluni ufficiali dello stato civile nella annotazione, nei prescritti registri dell’avvenuta costituzione del fondo patrimoniale — con la Circolare n. 12 del 16 luglio 2018 ha rinnovato l’invito ai Prefetti di sensibilizzare i Sindaci sulla problematica in parola al fine di evitare l’instaurazione di contenziosi gravosi e potenzialmente forieri di danni, con possibili conseguenze anche sotto il profilo erariale. In ogni caso, a prescindere su chi (Stato o Comune) ricada la responsabilità per danni a terzi, il Ministero evidenzia che «l’omessa tempestiva annotazione da parte dell’ufficiale di stato civile, in particolar modo in presenza di esecuzione immobiliare in danno dei coniugi costituenti il fondo, non risulta nè emendabile nè redimibile». Giova ricordare che la responsabilità patrimoniale po-


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trà essere addebitata all’Ente pubblico solo nel caso in cui sia fornita adeguata prova del danno(2) e del nesso di causalità tra il danno patrimoniale subìto dal privato e l’azione omissiva o ritardata dell’ufficiale dello stato civile in ordine all’adempimento dell’annotazione della convenzione matrimoniale (ivi compreso il fondo patrimoniale) trasmessa dal notaio nei termini di 30 giorni di cui all’art. 34-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile.

Ne discende, come corollario, che nessuna azione risarcitoria potrà essere intentata allorquando sia stato il notaio ad inoltrare, oltre i termini suddetti, all’ufficio dello stato civile la comunicazione della convenzione patrimoniale, annotata poi senza indugio dall’ufficio nei registri di matrimonio. In questa fattispecie il ritardo non è imputabile all’ufficiale dello stato civile.

2)  Accertata la responsabilità dell’Amministrazione dello Stato, tuttavia, nessun risarcimento è stato riconosciuto all’attore. In tal senso il Tribunale di Lecce che, con pronuncia n. 3554 del 30 giugno 2015, infatti, ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova del danno subìto, non avendo l’attore dimostrato che le due procedure esecutive instaurate nei suoi confronti dopo la costituzione del fondo patrimoniale riguardassero debiti estranei ai bisogni della famiglia. Secondo i giudici leccesi, l’attore avrebbe dovuto dimostrare, mediante documentazione e/o testimonianze, che i crediti in forza dei quali i creditori avevano promosso le azioni esecutive, risultassero contratti per scopo estranei ai bisogni familiari. La sentenza in esame tocca un tema, quale è quello del fondo patrimoniale, che ha recentemente interessato il legislatore. Infatti, con D.L. n. 83 del 27 giugno 2015, convertito con legge n. 132 del 6 agosto 2015, sono state introdotte alcune modifiche al codice civile che consentono ai creditori di aggredire più facilmente i beni vincolati in fondo patrimoniale.

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Stato Civile Unioni civili: richiesta di costituzione

Unioni civili: richiesta di costituzione

(legge 76/2016; D.M. 27 febbraio 2017) Marina Caliaro

Istruttore Direttivo - Padova

I

l riconoscimento del diritto alla vita familiare per le coppie dello stesso sesso mediante costituzione di un vincolo ammesso e tutelato dal punto di vista giuridico è avvenuto grazie alla legge 20 maggio 2016, n. 76 con la quale è stato stabilito che l’unione civile tra persone dello stesso sesso è una specifica formazione sociale ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione. Le modalità e la regolamentazione del procedimento per la sua costituzione, dopo una prima fase «provvisoria», sono stati delineati con il decreto legislativo n. 5 del 19 gennaio 2017 e dettagliati in modo specifico con il decreto del Ministro Interno in data 27 febbraio 2017, contenente anche le formule per la redazione dei relativi atti e annotazioni, e con la Circolare del Ministero dell’Interno n. 3/2017. Come per il procedimento che caratterizza la fase preliminare del matrimonio per le coppie eterosessuali, in cui viene verificata la sussistenza dei requisiti fissati dalla legge e l’assenza di impedimenti giuridicamente rilevanti, anche per la costituzione dell’unione civile il legislatore ha previsto un’attività di verifica che ha inizio con la presentazione della richiesta da parte delle persone interessate e la redazione di un verbale a cura dell’ufficiale dello stato civile secondo le indicazioni di cui al modulo 6 bis introdotto con il decreto ministeriale citato. Si deve necessariamente provvedere ad accertare che sussistano i presupposti e le condizioni per l’unione civile delle persone richiedenti, in sostanza l’inesistenza delle cause impeditive enunciate nella legge 76/2016, e ciò deve avvenire prima che si giunga alla costituzione del vincolo.

Nell’ipotesi in cui l’ufficiale dello stato civile riscontri la presenza di impedimenti rilevanti dal punto di vista giuridico, non potrà esimersi dall’adottare un provvedimento di rifiuto, previo preavviso, rilasciando specifica attestazione con i motivi del rifiuto ex art. 7 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.

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Vi sono peraltro delle differenze rispetto al procedimento che caratterizza le pubblicazioni di matrimonio in quanto nel caso dell’unione civile non è stato inserito l’obbligo di affissione e quindi di pubblicità in merito alla volontà delle parti di unirsi civilmente. Inoltre, altro aspetto di differenziazione è quello per cui la richiesta e il conseguente verbale non devono necessariamente essere registrati presso il Comune di residenza dell’una o dell’altra parte della coppia. L’art. 70-bis del D.P.R. 396/2000, come modificato dal D.Lgs.vo 5/2017, prescrive che la richiesta possa essere presentata all’ufficiale di stato civile di un qualsiasi Comune dal che si deduce che la scelta è libera e lasciata agli interessati. Non dovendo poi procedere ad alcuna affissione, ne consegue che l’ufficiale dello stato civile scelto, se diverso da quello del Comune di residenza, dovrà provvedere a raccogliere la richiesta e le dichiarazioni relative, ad acquisire la documentazione per verificare che si possa dar corso al procedimento, senza che vi sia la necessità di avviare l’ulteriore fase di pubblicità coinvolgendo altri uffici di stato civile. Anche se le parti avessero residenza in due distinti Comuni, rivolgendo la loro richiesta all’uno piuttosto che all’altro, sarà interessato agli aspetti di verifica dei requisiti prescritti dalle norme l’ufficiale dello stato civile a cui hanno deciso di rivolgere la loro richiesta, senza l’ulteriore coinvolgimento dell’altro Comune presso il quale non si deve procedere all’affissione. Questa interpretazione consegue anche dal contenuto della Circolare del Ministero dell’Interno del 28 luglio 2016, n. 15 che ha dato comunicazione del parere del Consiglio di Stato numero 01695/2016, emesso in data 21 luglio 2016, dove sono presenti interessanti riflessioni anche relative alla fase propedeutica alla costituzione dell’unione civile. Le condizioni inderogabili per accogliere la richiesta sono che si tratti di due soggetti maggiorenni, con riferimento alla legge italiana, e che siano dello stesso sesso


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dal punto di vista giuridico: dovranno dichiarare nome e cognome, data e luogo di nascita, cittadinanza, luogo di residenza, l’insussistenza delle cause impeditive alla costituzione dell’unione di cui all’art. 1, comma 4, della legge 76/2016. Indicheranno altresì in quale Comune vorranno procedere alla costituzione dell’unione civile, che potrà essere lo stesso in cui hanno presentato la loro richiesta o un Comune altro ancora. La possibilità di una scelta libera vale anche nell’ipotesi che gli interessati siano cittadini italiani residenti all’estero ed iscritti all’A.I.R.E.: potranno rivolgersi al Consolato italiano all’estero oppure ad un Comune italiano. Le verifiche di esistenza delle condizioni saranno effettuate con scambio di informazioni e documentazione tra gli uffici interessati. La richiesta può essere presentata personalmente dalla coppia, oppure da persona terza che deve produrre la scrittura privata da cui risulterà l’incarico conferitole dalle parti: l’ufficiale dello stato civile avrà cura di allegare il documento al processo verbale. L’attività dell’ufficiale dello stato civile si sostanzia nella verifica in merito all’esattezza delle dichiarazioni contenute nella richiesta mediante acquisizione, diretta o tramite le parti, dei documenti che ritenga necessari e nella constatazione che non ci sono impedimenti a che la coppia possa unirsi civilmente. Gli impedimenti che la legge considera sono: la sussistenza di un vincolo matrimoniale o di un’unione civile tra persone dello stesso sesso riferita all’uno o all’altro richiedente, l’interdizione per infermità di mente, la sussistenza tra le parti dei rapporti di cui all’art. 87, I comma, del codice civile, la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l’altra parte. La sussistenza invece di alcuni vincoli quali quello tra lo zio e il nipote o la zia e la nipote (vincolo di parentela in linea collaterale di terzo grado), oppure tra i cognati o le cognate (affinità in linea collaterale di secondo grado), o ancora tra il suocero e il genero o la suocera e la nuora (affini di primo grado in linea retta a condizione che l’affinità derivi da matrimonio dichiarato nullo), sono considerati impedimenti derogabili per il cui superamento le parti devono produrre decreto emesso dall’Autorità giudiziaria con il quale viene autorizzata l’unione civile. Solo a seguito della consegna di questo provvedimento

l’ufficiale dello stato civile potrà procedere alla redazione del verbale di richiesta di costituzione dell’unione civile. Per quanto riguarda richieste avanzate da cittadini stranieri trova comunque applicazione l’art. 116 del codice civile per cui è prevista la consegna del cosiddetto nulla osta, che attesti la capacità dello straniero di costituire unione civile con persona dello stesso sesso secondo la legge dello Stato di appartenenza, ma con un’importante deroga. Qualora, infatti, la legge straniera non ammetta l’unione civile tra persone maggiorenni dello stesso sesso dovrà applicarsi la legge italiana: non rilevano pertanto gli impedimenti relativi al sesso delle parti, mentre l’assenza di nulla osta per motivazioni che si configurino come cause impeditive stabilite dalla legge italiana quali, ad esempio, l’esistenza di un vincolo di matrimonio o unione civile non sciolto, sarà considerato motivo di rifiuto alla costituzione in Italia dell’unione civile. Verificata l’inesistenza di impedimenti inderogabili o il superamento di quelli derogabili, l’ufficiale dello stato civile può procedere alla costituzione dell’unione civile secondo richiesta degli interessati e comunque in una data non superiore ai 180 giorni dalla comunicazione agli interessati che sono state concluse con esito favorevole le verifiche prescritte dalle norme. Se poi vi sia il desiderio che l’unione civile sia costituita in altro Comune rispetto a quello di redazione del verbale di richiesta, l’ufficiale dello stato civile, in modo analogo a quanto viene posto in essere nel procedimento delle pubblicazioni di matrimonio, procederà ad inoltrare per iscritto richiesta e delega alla costituzione, ad altro ufficiale dello stato civile indicato dalle parti che avranno dichiarato, sempre per iscritto, le ragioni di necessità o convenienza specifiche che le hanno indotte a tale scelta. Quando la costituzione dell’unione civile avvenga in Comune altro rispetto a quello di residenza delle parti, l’ufficiale dello stato civile che ha formato l’atto provvederà a trasmetterne copia integrale per la successiva trascrizione. Si ritiene che la trascrizione non debba avvenire invece nel Comune terzo che, ricevuta la richiesta dagli interessati, abbia poi provveduto, sempre per scelta delle parti, a richiedere la costituzione presso altro Comune ai sensi dell’art. 109 del codice civile.

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Stato Civile La cittadinanza in genere

La cittadinanza in genere: storia ed attualità Salvatore Restuccia

Già istruttore direttivo e responsabile delle aree amministrativa, tecnica e di vigilanza del Comune di Joppolo (VV)

L

a cittadinanza è la condizione del cittadino, come persona fisica, alla quale l’ordinamento di uno Stato riconosce la pienezza dei diritti civili e politici. Essa è insieme lo status di cittadino ed il rapporto giuridico tra il cittadino e lo Stato. Coloro che sono privi della cittadinanza di uno Stato sono detti stranieri, se hanno la cittadinanza di un altro Stato, o apolidi, se non hanno alcuna cittadinanza.

In atto l’Italia è un giovane Stato nato il 17 marzo 1861; ma la storia dell’italianità fonda le sue radici nel mondo romano. Ed è proprio dal mondo romano che nasce storicamente ogni valenza soggettiva ed oggettiva dello status civitatis. Tale valenza è da ricercare nella guerra sociale, meglio conosciuta come bellum italicum (guerra italica) o bellum marsicum (guerra marsica), svoltasi dal 91 all’88 a.Ch.Tale guerra è stata combattuta dai municipia (soci) contro la Roma che faceva due pesi e due misure: foedera aequa con i viciniori sabini e foedera iniqua con il resto dei soci. In primis si parlava di estendere foedera aequa anche agli altri soci della penisola, ma invano. Tale dicotomia era tollerata nella speranza di una raggiungibile uguaglianza fino a quando, nel 95 a.Ch., Lucio Licinio Crasso e Quinto Muzio Scevola proposero una legge che istituiva un tribunale giudicante per chi si fosse confuso con i cives romani senza esserlo. Tale legge (Licinia Mucia) provocò lo sconforto degli italici, che si resero conto di essere solo asserviti dai romani.

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Marco Livio Druso si schierò per la causa italica avanzando proposte di legge a favore dell’inclusione dei soci nei foedera aequa, ma la proposta non piacque nè ai senatori nè ai cavalieri ed in particolare al console Lucio Marcio Filippo, che dichiarò illegale la procedura seguita


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per le leggi di Druso, cosicchè queste non vennero nemmeno votate. Nel novembre del 91 a.C. seguaci estremisti di Marcio Filippo mandarono un sicario ad assassinare Druso. E questa fu la scintilla che fece scoppiare la guerra sociale: gli italici — esclusi gli Etruschi e gli Umbri — si ribellarono a Roma. Come ogni rivolta, dettata da mugugni e fermenti, fece vittime ed atrocità fra le parti, ma l’orgoglio portò i sofferenti ad organizzarsi e la paura suggerì ai profittatori a dare concessioni. Così: gli italici si costituirono in lega e coniarono anche le loro monete, con la scritta Italia (due di esse raffiguravano un toro che abbatteva la lupa romana); il console Lucio Giulio Cesare promulgò una legge (Iulia) per concedere la cittadinanza agli italici che non si erano ribellati e a quelli che avrebbero deposto le armi. Per dividere i rivoltosi nell’89 a.Ch. fu emanata un’altra legge (Papiria) che concesse il diritto di cittadinanza romana a tutti gli italici a sud del Po, i quali avrebbero però dovuto lasciare le armi entro 60 giorni. Il risultato fu subito raggiunto in parte: alcuni deposero le armi, mentre altri continuarono a resistere. Roma spese ancora due anni per sconfiggere le città in armi e grazie all’intervento di Silla e di Strabone.Tuttavia, lo scopo che gli Italici si erano proposti era stato raggiunto: essi a domanda potevano divenire a pieno titolo cittadini romani. Con la concessione della cittadinanza, l’Italia peninsulare divenne ager romanus. Gradualmente interessò la Calabria fino a giungere alle Alpi e, con Diocleziano, comprese anche le isole. L’Italia romana diventò pertanto un territorio vasto e contrassegnato da una notevole varietà etnica e sociale che, pur conservando forti peculiarità locali, subì sin dalla fine della Repubblica romana un processo di unificazione sotto un unico regime giuridico. Il territorio venne riorganizzato col sistema dei municipia e nelle comunità italiche venne avviato un grande processo di urbanizzazione che si sviluppò lungo tutto il I secolo a.C., poichè l’esercizio dei diritti civici richiedeva specifiche strutture urbane (foro, tempio della triade capitolina, luogo di riunione per il senato locale).Tuttavia la cittadinanza romana e il diritto a votare erano limitati, come sempre nel mondo antico, dall’obbligo della presenza fisica nel giorno di voto. E per la gente di città lontane, in particolare per le classi meno abbienti, non era certo facile recarsi a Roma per votare nelle assemblee popolari. Così i candidati cominciarono a pagare, in parte o in toto, le spese di viaggio per permettere ai loro sostenitori di partecipare al voto, con promessa, in caso di esito positivo, d’indubbio favoritismo. A beneficiare della cittadinanza furono soprattutto le «borghesie» italiche, che conquistarono anche la possibilità di accedere alle magistrature.

Dunque: suddito o cittadino? Nei tempi: i governanti pur comprendendo la differenza, hanno assimilato il suddito (come punto di partenza) al cittadino (come punto d’arrivo); i governati hanno sempre creduto nelle buone intenzioni dei governanti e, fino a quando non hanno verificato prove contrarie, hanno sempre accordato fiducia. Essere suddito implica situazioni giuridiche passive (doveri e soggezioni); essere cittadino significa essere titolare di diritti e altre situazioni giuridiche attive (seppur accompagnati da doveri e altre situazioni giuridiche passive). Quando lo Stato riconosce al suddito diritti civili e politici esso diventa un cittadino. Queste le regole generali. Ma può anche accadere che uno Stato imponga il proprio ius ad assoggettati alla sua sovranità ma privi dei diritti di cittadinanza: ciò è stato propinato alle popolazioni indigene dei possedimenti di tipo coloniale, anche se, in qualche caso, venivano loro attribuiti alcuni diritti seppur limitati rispetto a quelli riconosciuti ai cittadini veri e propri (la cosiddetta piccola cittadinanza). Anche nei Paesi occidentali, prima di ottenere la cittadinanza vera e propria, si transita attraverso situazioni intermedie, come il permesso di soggiorno di breve o lungo periodo, la carta di soggiorno che in Italia (come in buona parte d’Europa) è una sorta di permesso di soggiorno permanente, altrove chiamato appunto permesso di soggiorno permanente. Anche la mancata previsione di strumenti di tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione può determinare un declassamento del cittadino: ad esempio, nei casi di deliberato ritardo o di attribuzione di facoltà di valutazione agli uffici nel rilascio del passaporto o di recepimento della dichiarazione di residenza. Attualmente il termine suddito è ancora largamente utilizzato nel diritto internazionale dove la cittadinanza non ha lo stesso rilievo dei diritti interni. Viene, inoltre, usato polemicamente per sottolineare situazioni, per lo più di fatto, nelle quali il cittadino non dispone di adeguati diritti nei confronti dello Stato. Va pure osservato che nelle monarchie, anche costituzionali e parlamentari, è tradizione riferirsi ai cittadini come sudditi senza, per questo, implicare l’assenza di diritti civili e politici. Alla luce di quanto sopra sono diritti di cittadinanza: i diritti civili, cui corrispondono obblighi di non fare da parte dello Stato e, in generale, dei pubblici poteri e che rappresentano, quindi, una limitazione del loro potere; comprendono la libertà personale, di movimento, di as-

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sociazione, di riunione, di coscienza e di religione, l’uguaglianza di fronte alla legge, il diritto alla presunzione d’innocenza e altri diritti limitativi delle potestà punitive dello Stato, il diritto a non essere privati arbitrariamente della proprietà, il diritto alla cittadinanza stessa, ecc.; i diritti politici, relativi alla partecipazione dei cittadini al governo dello Stato, sia direttamente (attraverso istituti quali il referendum, la petizione, ecc.) sia indirettamente, eleggendo (elettorato passivo) i propri rappresentanti (elettorato attivo) e candidandosi alle relative elezioni; i diritti sociali, cui corrispondono obblighi di fare, di erogare prestazioni, da parte dello Stato e dei pubblici poteri; comprendono i diritti alla protezione sociale contro la malattia, la vecchiaia, la disoccupazione, ecc., il diritto alla salute, il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione e così via. Mentre i diritti civili e politici erano già presenti nelle costituzioni ottocentesche, i diritti sociali fanno il loro ingresso solo nel XX secolo con la realizzazione di quella particolare forma di stato nota come stato sociale. Lo Stato può riconoscere i suddetti diritti, in toto o in parte, anche a non cittadini, sulla scorta di impegni internazionali multilaterali (tipo appartenenza all’ONU o all’Unione Europea) o bilaterali (a seguito di trattati che prevedono un reciproco trattamento di favore per i cittadini di uno Stato da parte dell’altro) o anche di una scelta unilaterale (ad esempio, nell’ambito delle politiche d’integrazione degli immigrati presenti sul territorio nazionale). Tali fattori hanno fatto sì che negli Stati odierni i diritti civili siano ormai riconosciuti anche ai non cittadini, mentre i diritti sociali e politici sono ancora fortemente legati alla cittadinanza. Accanto ai diritti, la cittadinanza può comportare doveri, anche se gli attuali ordinamenti, come estendono diritti anche a non cittadini, impongono doveri a tutti coloro che sono presenti sul loro territorio, a prescindere dalla cittadinanza. Un dovere tradizionalmente associato alla cittadinanza, fin dai tempi più antichi, è quello della difesa dello Stato (servizio militare). E tutti gli ordinamenti vietano e puniscono severamente il servizio militare del cittadino in forze armate straniere. Un dovere dei cittadini è votare e/o, in molti ordinamenti, lo svolgimento delle funzioni di giudice laico (giudice popolare nella Corte d’assise italiana). Ogni ordinamento stabilisce le regole per l’acquisizione e la perdita della cittadinanza. In molti Stati i princìpi al riguardo sono stabiliti dalla Costituzione, in altri invece,

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tra i quali l’Italia, la disciplina è interamente demandata alla legge ordinaria. La cittadinanza si può acquisire per ius: sanguinis (diritto di sangue), per il fatto della nascita da un genitore (in molti paesi da padre e solo in posizione vicaria dalla madre; come nella vecchia legge italiana 555/1912) in possesso della cittadinanza; soli (diritto del suolo), per il fatto di essere nato sul territorio dello Stato; matrimoni (diritto del matrimonio), per il fatto di aver contratto matrimonio con un cittadino (in certi ordinamenti la cittadinanza può essere acquisita dalla moglie di un cittadino ma non dal marito di una cittadina); vi sono anche ordinamenti in cui il matrimonio non fa acquisire la cittadinanza ma è solo un presupposto per la naturalizzazione; e può essere concessa (naturalizzazione), a seguito di un provvedimento della pubblica autorità, subordinatamente alla sussistenza di determinate condizioni (esempio: la residenza per un lungo periodo di tempo sul territorio nazionale, l’assenza di precedenti penali, la rinuncia alla cittadinanza d’origine, ecc.) o per meriti particolari. In molti ordinamenti, come in Italia, a sottolinearne la solennità, il provvedimento di concessione della cittadinanza è adottato dal Capo dello Stato. La scelta fondamentale che si trovano a fare gli ordinamenti è quella tra ius sanguinis e ius soli, avendo gli altri due istituti una funzione puramente integrativa. Lo ius sanguinis (modello italiano o tedesco) presuppone una concezione oggettiva della cittadinanza, basata sul sangue, quando non anche sull’etnia e sulla lingua. Lo ius soli (o modello francese) presuppone, invece, una concezione soggettiva della cittadinanza, come plebiscito quotidiano. Attualmente la maggior parte degli stati europei adotta lo ius sanguinis, con la rilevante eccezione della Francia, dove vige lo ius soli fin dal 1515. L’adozione dell’una piuttosto che dell’altra opzione ha rilevanti conseguenze negli stati interessati da forti movimenti migratori. Infatti, lo ius soli determina l’allargamento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati sul territorio dello Stato: ciò spiega perchè sia stato adottato da Paesi (Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada, ecc.) con una forte immigrazione e, al contempo, un territorio in grado di ospitare una popolazione maggiore di quella residente.


Stato Civile La cittadinanza in genere

Al contrario, lo ius sanguinis tutela i diritti dei discendenti degli emigrati, ed è dunque spesso adottato dai Paesi interessati da una forte emigrazione, anche storica (Armenia, Irlanda, Italia, Israele), o da ridelimitazioni dei confini (Bulgaria, Croazia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Serbia, Turchia, Ucraina, Ungheria).

nati in uno stesso territorio e che hanno la stessa origine etnica, parlano la stessa lingua, condividono le stesse tradizioni, hanno la stessa medesima religione. Dunque, gli Stati-nazione ottocenteschi concedevano la cittadinanza solo a coloro che appartenevano, per nascita, alla nazione. Solo questi ultimi erano i cittadini.

Può accadere che una persona sia in possesso di bi- o pluri-polidia conservando la cittadinanza dello Stato di origine dei genitori, dove vige lo ius sanguinis, e nel contempo acquisendo quella dello Stato sul cui territorio è nata, dove invece vige lo ius soli. Queste situazioni di doppia o pluri cittadinanza possono causare inconvenienti (si pensi al caso di chi è obbligato a prestare servizio militare in negli Stati — 2 o più — di cui è cittadino), sicchè gli Stati tendono ad adottare norme per prevenirli, anche con trattati internazionali. Alcuni Stati, peraltro, non ammettono la doppia cittadinanza e stabiliscono che l’acquisizione della (nuova) cittadinanza presso uno Stato estero faccia automaticamente perdere quella originaria (è il caso del Giappone). In Italia, invece, con la legge n. 91/1992 «Il cittadino italiano che possiede, acquista o riacquista una cittadinanza straniera conserva quella italiana».

Nella visione ottocentesca, la nazione è molto più importante dei singoli individui che la compongono. Tuttavia gli Stati nazionali dell’Ottocento, pur riconoscendo l’uguaglianza dei loro cittadini, concedevano il suffragio, cioè la possibilità di votare alle elezioni, solo a una minoranza di individui. E solo pochi cittadini (i benestanti, gli alfabetizzati, coloro che pagavano le tasse, ecc.) potevano votare ed essere eletti. Ossia, la massa di cittadini ap-

La cittadinanza dell’Unione Europea è stata istituita nel Trattato di Maastricht del 1992

La perdita della cittadinanza può essere prevista a seguito di rinuncia, di acquisizione della cittadinanza di altro Stato o di privazione per atto della pubblica autorità in conseguenza di gravissime violazioni. La cittadinanza si può acquisire o perdere anche a seguito di trattati internazionali che trasferiscono una parte del territorio e la popolazione ivi residente da uno Stato all’altro. In alcuni ordinamenti, come in quello argentino, non è possibile la rinuncia o la perdita della cittadinanza. La cittadinanza è la condizione che accomuna chi appartiene al popolo di un certo Stato. I criteri di appartenenza ad uno Stato sono stabiliti dallo Stato stesso che, con le sue leggi o per Costituzione, definisce le modalità di godimento o acquisizione della cittadinanza. Nell’idea tradizionale di cittadinanza è l’autorità dello Stato che stabilisce i requisiti per possedere o acquisire la cittadinanza. Tale visione nacque nel corso dell’Ottocento. In quell’epoca gli Stati mettevano davanti a tutto l’ideale della «nazione». Essa è la comunità di coloro che sono

partenenti alla Nazione era esclusa dalla partecipazione alla vita politica. Per le società occidentali del secolo XX e XXI quella ottocentesca era una visione poco democratica e non più accettabile. La cittadinanza italiana si acquisisce per nascita se almeno uno dei genitori è cittadino italiano (ius sanguinis), senza il divieto di acquisire una doppia (ed anche pluri) cittadinanza. Si acquisisce anche con decreto del Presidente della Repubblica, presentando richiesta a una Prefettura: la concessione non è automatica, trattandosi di un provvedimento discrezionale. Ai fini della concessione, vengono favorevolmente valutate una lunga residenza stabile in Italia (almeno 10 anni), la dimostrazione di un reddito superiore al minimo di sussistenza, l’assenza di condanne penali, particolari circostanze di benemerenza (ad esempio il sostegno di associazioni benefiche o di volontariato), la stretta parentela con cittadini italiani. La cittadinanza italiana si può anche acquisire prestando onorevole servizio volontario nelle Forze Armate italiane. La cittadinanza dell’Unione europea è stata istituita dal Trattato di Maastricht del 1992. Con l’acquisizione della cittadinanza di un Paese facente parte dell’Unione europea si acquista, automaticamente, anche la cittadinanza europea che completa e non sostituisce la cittadinanza statale.

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Stato Civile minimassimario

Minimassimario Il cittadino delegato per la celebrazione del matrimonio può non essere residente nel Comune ove si celebrerà il matrimonio. Ai sensi del comma 3, ultimo periodo, art. 1 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 ai cittadini italiani che hanno i requisiti per l’elezione a consigliere comunale possono essere delegate dal sindaco le funzioni di ufficiale dello stato civile per la celebrazione del matrimonio. Pertanto, chiunque, cittadino italiano, diciottenne ed iscritto nelle liste elettorali di un qualsiasi Comune della Repubblica può essere delegato per le funzioni di stato civile con riguardo alla celebrazione dei matrimoni. È stato più volte chiesto se i soggetti delegabili debbano essere anagraficamente residenti presso il Comune ove il matrimonio deve essere celebrato. Tale specifica, con riguardo alla residenza dei potenziali delegati, non compare nella norma, nè è implicitamente desumibile dal complesso dell’ordinamento. Nel merito, il Ministero dell’Interno, al Cap. 2.2 del massimario per l’ufficiale dello stato civile, ed. 2012, così si esprime: «[...] con riguardo alla delega alla sola celebrazione del matrimonio il legislatore non ha previsto forme di collegamento territoriale tra il soggetto delegato e il Comune della celebrazione. Ben può, infatti, il sindaco delegare un cittadino residente in un Comune diverso da quello che amministra. Si nota, infatti, che il limite territoriale è normativamente previsto con riguardo alla delega delle funzioni di ufficiale di stato civile complessivamente intese (art. 1, comma 2, prima parte) e non a quella della sola celebrazione del matrimonio (art. 1, comma 2, seconda parte)».

L’ufficiale dello stato civile competente per le comunicazioni relative alle annotazioni conseguenti all’accordo di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile. Nell’ipotesi di accordo divorzile concluso davanti all’ufficiale dello stato civile, ci si è posti il problema della competenza all’invio delle comunicazioni per le annotazioni di cessazione o scioglimento del matrimonio sugli atti di nascita dei comparenti e per l’aggiornamento degli atti anagrafici in relazione ai Comuni di residenza degli stessi. La Form. n. 138-ter del decreto 5 aprile 2002, per l’annotazione del divorzio sull’atto di nascita degli sposi, non riporta, differentemente dalla Form. n. 138, la data di annotazione del divorzio apposta sull’atto di matrimonio. Per cui non si vede quale sia la necessità, contrariamente a quanto accade per la successione delle annotazioni da effettuarsi a seguito di sentenza emessa dal tribunale, di far «transitare» presso il Comune di iscrizione o trascrizione dell’atto di matrimonio conferendogli l’esclusiva competenza alla comunicazione dell’annotazione del divorzio sull’atto di nascita. In assenza di specifica previsione di legge, ed in considerazione del diverso tenore della Form. n. 138-ter, cosa osta dunque alla comunicazione diretta da parte dell’ufficiale dello stato civile di residenza degli sposi, e non anche di iscrizione o trascrizione dell’atto di matrimonio, ai Comuni di nascita per l’apposizione delle annotazioni di divorzio sugli atti di nascita, ed all’ufficiale d’anagrafe del Comune di residenza degli sposi per l’aggiornamento degli atti anagrafici? Nulla!

La portata applicativa dell’art. 6 del D.P.R. n. 396/2000 con riguardo alla celebrazione dei matrimoni. I rapporti di coniugio, parentali e di affinità che, ai sensi dell’art. 6 del regolamento dello stato civile, rendono «impossibile» l’intervento del celebrante, sono da considerarsi anche nell’ipotesi di matrimonio concordatario o acattolico? È su questa tematica che alle volte sorgono indecisioni. Nel momento della trascrizione di un matrimonio religioso, l’ufficiale dello stato civile si ritrova a riflettere intorno al verificato rapporto parentale o di affinità tra il celebrante e gli sposi (i dichiaranti). Nel merito è da sottolineare che il diritto canonico, al quale solo è soggetto il parroco di rito concordatario, non prevede motivi di incompatibilità che impediscano al celebrante di sposare un parente od un affine. L’ufficiale dello stato civile si ritroverà, dunque, nell’impossibilità di disquisire circa la regolarità

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Stato Civile minimassimario

dell’atto, tantomeno potrà, pertanto, rifiutarne la trascrizione, ovvero: le situazioni di incompatibilità non sono estensibili oltre l’ambito civile.

Il rilascio delle certificazioni di stato civile mediante acquisizione dei dati dagli atti anagrafici. Non vi sono dubbi (si spera!) sulla «praticabilità» del rilascio della certificazione dello stato civile, desumendone i dati e le notizie dagli atti anagrafici ai sensi dell’art. 108 del D.P.R. n. 396/2000. Breve ricognizione. I contenuti. Nei certificati: — sarà omessa l’indicazione della paternità e della maternità (art. 1, comma 1, punto 1, legge - n. 1064/1955); — deve essere indicato il luogo e la data di nascita degli interessati all’evento oggetto di certificazione (art. 3, legge n. 1064/1955); — devono essere indicati gli estremi degli atti cui si riferiscono gli eventi certificati (art. 108, 1 - 2 - comma 2, primo periodo, D.P.R. n. 396/2000); — nei certificati relativi agli atti di nascita (e di morte) il luogo e la data di nascita devono essere seguiti dal numero dell’atto di nascita risultante dal relativo registro (art. 1, D.P.R. n. 432/1957); i dati e le notizie certificabili riguardano gli eventi di nascita e di matrimonio. Il decesso è desumibile dall’atto di morte iscritto o trascritto dal Comune di ultima residenza del deceduto e, pertanto, non ricorre l’ipotesi della necessità alternativa di produrre certificati dagli atti anagrafici quando l’ufficiale dello stato civile può disporre di un vero e proprio atto di stato civile. Il comma 2, art. 108 del D.P.R. n. 396/2000 ammette il rilascio dei soli certificati e non anche degli estratti per riassunto, in quanto gli atti anagrafici non dispongono delle annotazioni marginali aggiuntive presenti sugli atti di stato civile. Trattandosi di certificazione di stato civile, il documento sarà esente dall’applicazione dell’imposta di bollo — ex art. 7 della legge n. 403/1990 — pure se formata da atti anagrafici. Competenza al rilascio. Trattandosi di certificazione di stato civile, il pubblico ufficiale abilitato al suo rilascio è l’ufficiale dello stato civile e non l’ufficiale d’anagrafe, quest’ultimo abilitato solo a certificare notizie anagrafiche. La competenza al rilascio di certificazioni è il Comune di residenza del soggetto interessato alla certificazione; non può considerarsi competente il Comune o i Comuni di precedente residenza dell’interessato, in quanto questi ultimi sono esclusi dall’aggiornamento delle posizioni, oltrechè anagrafiche, anche di stato civile dei non più residenti.

L’ufficio dello stato civile non comunica all’ufficio anagrafe i provvedimenti di interdizione, tutela, inabilitazione o amministrazione di sostegno. L’ufficiale dello stato civile ove è iscritto l’atto di nascita riceve notizia dal Tribunale dell’avvenuta apertura di tutela, inabilitazione o amministrazione di sostegno (ed eventuali successive comunicazioni chiusure o revoche). Questi provvederà all’annotazione sull’atto di nascita dei provvedimenti utilizzando le formule dalla n. 127 alla n. 131 del decreto ministeriale 5 aprile 2002, eventualmente dandone comunicazione al Comune ove l’atto di nascita risulta trascritto. Orbene, di tali annotazioni (ovvero di tali notizie) non deve essere data comunicazione dall’ufficio dello stato civile che ha provveduto all’apposizione delle medesime all’ufficio di anagrafe ove risulta essere residente l’interessato (che potrebbe essere diverso sia dal Comune ove è stato iscritto l’atto di nascita, sia dal Comune ove l’atto è stato trascritto). Non vi è, infatti, alcuna norma, di stato civile o anagrafica, che prevede tal tipo di partecipazione all’ufficio anagrafe, nè la disciplina anagrafica ed i moduli ufficiali Istat per il servizio anagrafico (tra l’altro ormai caduti in disuso in ragione dell’abbandono del cartaceo) prevedono le notizie relative l’interdizione, l’inabilitazione o l’amministrazione di sostegno quali informazioni che devono figurare negli atti anagrafici. Al contrario, l’art. 12 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228 prescrive: «Nessuna annotazione sugli atti anagrafici, in aggiunta a quelle previste dalla presente legge e dal regolamento, può essere disposta senza l’autorizzazione del Ministero dell’Interno d’intesa con l’Istituto centrale di statistica». (a cura di Gabriele Casoni)

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Quesiti

Selezione di quesiti e casi pratici pervenuti e risolti dalla Redazione

quesiti

L

a Rivista «Lo Stato Civile Italiano» fornisce ai suoi abbonati un Servizio Quesiti altamente specializzato, per una consulenza diretta e qualificata in materia di servizi demografici. Di seguito pubblichiamo una selezione di quesiti pervenuti alla Redazione. L’archivio di tutti i quesiti può essere consultato dal portale www.sepel.it Risponde ai quesiti, di norma entro 3 giorni lavorativi, un team composto dai seguenti esperti:

Donato Berloco, Gabriele Casoni, Martino Conforti, Antonia De Luca, Patrizia Dolcimele, Diego Giorio, Paolo Gros, Michele Ius, Enrico Maggiora, Maria Teresa Magosso, Alfonso Ermanno Matarazzo, Vincenzo Mercurio, Paolo Morozzo Della Rocca, Gianna Nencini, Giovanni Pizzo, Serena Rafanelli, Paolo Richter Mapelli Mozzi, Alessandra Schianchi, Maria Rita Serpilli, Valeria Tevere, Cosimo Damiano Zacà.

STATO CIVILE Procedimento di riconoscimento cittadinanza italiana iure sanguinis - Il cognome delle istanti sarà quello risultante dall’atto di nascita.

Domanda Mi è pervenuta la richiesta di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis da donna brasiliana jus soli. La predetta è coniugata con cittadino brasiliano di cui ha acquisito il cognome aggiungendolo al proprio. Non riesco a comprendere quale linea di condotta assumere per l’attribuzione del cognome al momento del riconoscimento della cittadinanza.

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Risposta Dobbiamo partire dal presupposto che il procedimento di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis non è diretto a conferire o attribuire la cittadinanza italiana ad uno straniero, ma soltanto a riconoscere un diritto preesistente cioè che una persona, ancorchè in possesso di altra cittadinanza per iure soli, sia anche cittadina italiana sin dalla nascita, come il proprio genitore e come il proprio nonno o bisnonno nato in Italia. Se questa premessa è vera, si deve anche ammettere che la normativa italiana va applicata alla cittadina italiana che è sempre stata tale in modo latente, forse anche non sapendo di esserlo, decidendo a fare valere il suo status di italianità ad un certo punto della sua vita. 1 - Ora, è vero che all’estero la prima signora dopo il matrimonio ha assunto il cognome del marito aggiungendolo al proprio, tanto che le è stato rilasciato il passaporto straniero con quel cognome e così sia stata iscritta in anagrafe da straniera. Però è pur vero che nel momento in cui ha contratto matrimonio la signora era anche cittadina italiana a sua insaputa forse. E se in effetti era cittadina italiana, nei di lei confronti si applica il principio racchiuso nella massima riportata ai paragrafi 15.1 e 15.3, secondo cui: a) «Nel caso in cui nell’atto di matrimonio celebrato all’estero e trascritto in Italia compaia l’annotazione relativa alla circostanza che il cittadino italiano ha cambiato cognome sulla base della legge del Paese dove si è sposato, poichè per l’Italia egli mantiene il suo cognome originario (a meno che non ne ottenga il cambiamento ai sensi dell’art. 84 e segg., ora modificato dal D.P.R. n. 54/2012, del D.P.R. 396/2000), tale atto va corretto ex art. 98, comma 2 del D.P.R. n. 396/2000 senza che sia necessario ricorrere a procedura di rettificazione (v. paragrafo 15.3). b) «Ove pervenga per la trascrizione un atto di matrimonio celebrato all’estero nel quale sia riportata la circostanza che il cittadino italiano ha conseguentemente cambiato cognome sulla base della legge del Paese dove si è sposato


Quesiti quesiti

(per solito, si tratterà della moglie che assume il cognome del marito sostituendolo al proprio), tale atto deve essere direttamente corretto ex art. 98, comma 2, del D.P.R. 396/ 2000)». La cittadina italiana dalla nascita, pertanto, verrà generalizzata con il cognome da nubile risultante dall’atto di nascita anche se composto da due elementi, dopo aver proceduto alla correzione dell’atto di matrimonio, e anche se la istanza sia stata fatta con il cognome da coniugata. Eventuale cambiamento di cognome avverrà con la procedura da avviare presso la Prefettura. 2 - Per il secondo caso, vale la stessa regola, nel senso che verrà generalizzata con il cognome risultante dall’atto di nascita anche se composto da quello paterno più quello materno secondo il diritto straniero dei Paesi Latini. In questo caso, per altro, la richiesta è stata fatta con il cognome da nubile, anche se in anagrafe la persona risultava con il cognome da coniugata come da passaporto. Annullamento del matrimonio - Rilascio estratti per riassunto e per copia integrale dell’atto di matrimonio e nascita.

Domanda Avendo proceduto ad apporre l’annotazione della sentenza di annullamento sull’atto di matrimonio, come da comunicazione della Corte di Appello, ai sensi dell’art. 69 comma 1 del D.P.R. 396/2000, si è posto il problema della certificabilità o meno dell’estratto di matrimonio. È possibile rilasciarlo? Come procedere inoltre nel caso di richiesta di copia conforme all’originale e di certificazione storica anagrafica?

Risposta L’atto di stato civile, una volta formato, potrà sempre dare forma ad una attività certificativa o comunque al rilascio di attestazioni di quanto avvenuto e conservato attuando la funzione tipica dell’Ufficio di stato civile come prevista dal codice civile art. 450 e seguenti. Per non rendere possibile tale condizione l’atto dovrebbe essere definitivamente cancellato con la procedura prevista dagli artt. 95 e 96 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 che prevede sia emessa sentenza di cancellazione dal Tribunale nel cui circondario si trova l’Ufficio di stato civile che ha registrato l’atto. La Formula n. 169, non pregiudica quindi il rilascio dell’estratto di matrimonio, sia per riassunto, sia per copia integrale, che potrà avvenire solo previa istanza dell’interessato o di colui che può dimostrare un interesse attuale e concreto nonostante occorra ricordare che, invece, nel caso di rilascio estratto di nascita, tale annotazione non andrà apposta (vedi nota in Formula n. 134). L’annullamento del matrimonio lo rende improduttivo di effetti «ex tunc», ovvero come se, dal punto di vista giuridi-

co, il matrimonio non fosse mai avvenuto. Di conseguenza le certificazioni storiche anagrafiche non devono riportare l’avvenuto matrimonio ed il suo annullamento: quelle due persone risulteranno di stato civile pari alla data precedente il matrimonio. Atto di nascita di bambina nata da coppia nigeriana coniugata - La minore viene indicata erroneamente come figlia nata fuori del matrimonio - Rettifica.

Domanda In novembre 2012 è stata denunciata la nascita della figlia da cittadina nigeriana (stato civile non certificato) con l’ausilio di interprete, come nata da uomo il cui nome non è dichiarato. Nel 2015 la signora produce all’anagrafe, il certificato di matrimonio, contratto dalla stessa con cittadino nigeriano in data antecedente la nascita della figlia (novembre 2011) in Nigeria. Alla bambina era stato dato il cognome della madre ed il nome proprio composto da DUE elementi (il secondo risulta essere il “cognome” del padre). Ora la madre d’accordo con il marito chiede che il cognome della bambina sia cambiato con quello del marito in quanto lui, consensualmente riconosce per propria la figlia. Quale soluzione per risolvere questa situazione, da tenere presente che è necessario l’ausilio dell’interprete.

Risposta La coppia nigeriana era unita in matrimonio già dal 2011. Quindi, quando nacque la loro figlia, questa doveva essere considerata — su dichiarazione della madre — come figlia nata nel matrimonio. Invece, la madre ebbe a dichiarare la figlia come concepita da uomo che non intendeva essere dichiarato, e, quindi, come figlia nata al di fuori del matrimonio (una volta si diceva «figlia naturale»). Poichè la divergenza tra quanto risulta nell’atto e la realtà giuridica attiene allo status della minore, con risvolti anche sul cognome, non è di competenza dell’ufficiale dello stato civile procedere mediante correzione, perchè non si tratta di errore materiale, ma è necessario che venga emesso un provvedimento di rettificazione con il quale si dia atto che la minore è da considerarsi figlia (una volta: legittima) nata nel matrimonio esistente tra la madre e il padre che non venne indicato nel momento della formazione dell’atto di nascita. Si ricorda che lo status di figlio è regolato dall’art. 33 della legge n. 218/1995, come integrato dall’art. 101 del D.Lgs. n. 154/2013. La rettificazione, di cui all’art. 95 del D.P.R. 395/2000, può essere attivata su istanza di parte oppure su iniziativa del P.M. — informato da codesto Ufficio della vicenda — sempre che il suddetto Organo ritenga opportuno procedere d’ufficio in tale circostanza.

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Quesiti quesiti

Manifestazione di volontà alla cremazione in testamento pubblico - L’istanza può essere presentata da chiunque.

Domanda Presso un notaio una signora revoca il precedente testamento e nel nuovo testamento pubblico nomina quali suoi eredi — in parti uguali — una ragazza «che ha allevato e considera come figlia...» e il nipote legittimo. Nel corpo dell’atto testamentario «dispone che le sue spoglie vengano cremate». Considerato che il nipote legittimo vive in Australia, quando sarà il momento, qual è la procedura da adottare ai fini della cremazione?

Risposta L’espressione della volontà alla cremazione manifestata nel corpo di un testamento pubblico rappresenta una delle modalità tipiche previste dall’art. 3, comma 1 legge 130/2001 affinchè taluno disponga delle proprie spoglie una volta che sarà deceduto. Pertanto, l’ufficiale dello stato civile del Comune di decesso potrà autorizzare la cremazione una volta che abbia acquisito copia o estratto del testamento della signora una volta che esso sarà stato pubblicato. La pubblicazione del testamento ad opera del notaio costituisce condizione di efficacia per il testamento e per le disposizioni in esso contenute. All’ufficiale dello stato civile dovrà essere esibita la copia del testamento — ovvero anche solo un estratto nella parte relativa alla manifestazione di volontà alla cremazione — munita del referto di pubblicazione del notaio. L’istanza di cremazione — alla quale la suddetta copia/estratto dovrà essere allegata — potrà essere avanzata da chiunque: dal notaio, da un familiare, dall’esecutore testamentario: questo non è importante poichè l’istanza serve solo a ‘veicolare’ la volontà già espressa dal defunto ed efficace una volta che il testamento sia stato pubblicato.

ANAGRAFE Iscrizione anagrafica del cittadino extracomunitario in caso di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno.

Domanda Oggetto: Rigetto rinnovo permesso di soggiorno e iscrizione anagrafica. Con la presente si chiede un autorevole parere in ordine alla seguente problematica. Dalla Questura - Ufficio Immigrazione è pervenuta comunicazione che a un cittadino albanese, attualmente iscritto in APR, è stato notificato il decreto di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno. Il medesimo, invitato a chiarire la regolarità del suo soggiorno, a seguito del rigetto da parte della Questura non ha proposto ricorso avverso la decisione della

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Questura, ma ha presentato richiesta per il rilascio ex novo del titolo di soggiorno per motivi diversi dal precedente. Nel caso in questione, si è in presenza pertanto di un cittadino straniero iscritto in APR senza regolare permesso di soggiorno che esibisce ricevuta di richiesta di un nuovo permesso di soggiorno (che salvo per lavoro subordinato o ricongiungimento familiare, alla luce delle circolari ministeriali n. 42/2006 e 16/2007 non darebbe comunque titolo all’iscrizione «anticipata» in APR). Alla luce di quanto disposto dagli artt. 7, comma 3, e 11, comma 1 lett. c), D.P.R. n. 223/1989 che prevederebbero la cancellazione dall’anagrafe solo trascorsi sei mesi dalla scadenza del permesso di soggiorno e della direttiva del Ministro dell’Interno del 5 agosto 2006 sui diritti dello straniero nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno, si chiede: 1. se sia possibile procedere alla cancellazione immediata dello straniero sulla base della comunicazione della Questura che ha rigettato (senza che il cittadino straniero proponesse ricorso avverso la decisione della Questura) il rinnovo permesso di soggiorno; 2. e nel caso fosse possibile la cancellazione immediata, preso atto che lo straniero ha esibito ricevuta di richiesta di nuovo permesso di soggiorno per coesione familiare se sia possibile mantenere l’iscrizione in anagrafe. A parere dello scrivente si ritiene che si possa procedere alla cancellazione immediata dall’anagrafe in ragione del fatto che il provvedimento di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno rende il cittadino privo di alcun titolo di soggiorno e, dunque, non più con diritto alla conservazione dell’iscrizione anagrafica. Inoltre, sempre a parere dello scrivente, se lo straniero esibisse ricevuta di richiesta di nuovo permesso di soggiorno per coesione familiare non sarebbe comunque possibile mantenerne l’iscrizione in anagrafe alla luce delle circolari ministeriali n. 42/2006 e 16/2007 che non disciplinano espressamente tale casistica, ma quelle per lavoro subordinato o ricongiungimento familiare.

Risposta Occorre premettere che le citate «circolari Amato» prevedono la possibilità di derogare al possesso del permesso di soggiorno in caso di prima iscrizione anagrafica con provenienza dall’estero. Da quanto esposto nel quesito si evince che il cittadino albanese è già iscritto in una anagrafe e, pertanto, non sono da prendere in considerazione. Fin tanto che il soggetto è iscritto ha diritto di conservare l’iscrizione anagrafica anche in caso di trasferimento di residenza da altro Comune o cambio di via; la mancanza di regolarità del soggiorno potrà essere accertata attraverso la procedura di cancellazione per mancata dichiarazione di dimora abituale. Ai sensi dell’art. 11 D.P.R. 223/1989 comma c) la cancellazione è possibile «... per effetto del mancato rinnovo della dichiarazione di cui all’art. 7, comma 3, trascorsi sei mesi dalla scadenza del permesso di soggiorno o della carta di soggiorno, previo av-


Quesiti quesiti

viso da parte dell’ufficio, con invito a provvedere nei successivi 30 giorni.» L’avviso a provvedere entro 30 giorni a rendere la dichiarazione e consegnare il nuovo permesso è propedeutico alla cancellazione stessa. In fase di accertamento della regolarità del soggiorno l’Ufficio potrà acquisire l’eventuale documentazione prodotta dall’interessato e quella della questura e accertare, attraverso la valutazione della documentazione agli atti, la mancanza della regolarità del soggiorno e provvedere alla cancellazione anagrafica. Solo tale accertamento consentirà la cancellazione perchè al solo rigetto del rilascio del permesso di soggiorno non è associata alcuna procedura di cancellazione prevista dalla norma a carico dell’ufficiale d’anagrafe. Resta da considerare quanto possa incidere nella valutazione dell’Ufficio una nuova richiesta del permesso di soggiorno con titolo diverso da quello rigettato. In tal caso si suggerisce di verificare se effettivamente è stata avanzata istanza e, in caso positivo, attendere l’ulteriore decisione della Questura prima di procedere alla cancellazione. Se è pur vero che c’è un primo rigetto è anche vero che la procedura appena evidenziata ha il carattere di sanzione basata sul presupposto di inerzia del soggetto a mantenere regolare il soggiorno che non appare appartenere al caso esposto.

trasferisce la residenza dall’estero deve (tra altre cose) comprovare all’atto della dichiarazione di trasferimento in Italia la propria identità mediante l’esibizione del passaporto o di altro documento equipollente rilasciato dalle sue autorità nazionali. Il resto sono chiacchiere senza fondamento. Per l’accesso agli atti anagrafici ed ai registri stato civile nulla è cambiato con riguardo al divieto di accesso diretto da parte di terzi (fatte salve le eccezioni previste dal regolamento anagrafico).

Domanda

Anche per il minore straniero nato in Italia da genitori non residenti va presentato il passaporto per la prima registrazione anagrafica.

È pervenuta, da parte di una associazione culturale, una richiesta di consultazione diretta, per motivi di studio e di ricerche storiche, dei registri di stato civile e delle schede anagrafiche. Può l’Ente autorizzare tale consultazione in virtù di quanto stabilito dal Regolamento Europeo 2016/679 (relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonchè alla libera circolazione di tali dati) applicato in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea dal 25 maggio 2018, ed in virtù di quanto disposto dal D.P.R. n. 396/2000 (Regolamento stato civile) e del D.P.R. n. 223/1989 (Regolamento anagrafico)? Gradirei delucidazioni in merito.

Domanda

Risposta

Il sig. X e la Sig.ra Y, tutti e due cittadini stranieri residenti all’estero, nell’agosto 2018 hanno avuto un figlio nato in un Comune italiano. In data 16 ottobre 2018 fanno richiesta di residenza presso il mio Comune, provenienti dall’estero (in quanto anche il neonato non è iscritto in alcuna anagrafe). I genitori sono muniti di passaporto e permesso di soggiorno mentre il neonato è solo iscritto sul permesso di soggiorno dei genitori e non ha alcun documento di identità. Io li ho invitati a richiedere il passaporto del bambino presso il Consolato competente, ma loro sostengono che devo iscrivere anche il minore con il solo permesso di soggiorno. Mi risulta che tutti i cittadini non italiani al momento della richiesta di residenza devono avere un documento d’identità del loro Paese di origine in corso di validità. Ci sono eccezioni per i neonati nati sul territorio?

Si ritiene che il GDPR non abbia in alcun modo modificato il regime di conoscibilità ed accesso ai documenti conservati presso l’ufficio anagrafe e di stato civile. In particolare, l’art. 37 del D.P.R. n. 223/1989 recita: «È vietato alle persone estranee all’ufficio di anagrafe l’accesso all’ufficio stesso e quindi la consultazione diretta degli atti anagrafici». La previsione di legge non pone neppure un limite temporale alla formazione degli atti anagrafici e, dunque, neanche le schede anagrafiche archiviate o storiche possono formare oggetto di consultazione diretta. Per quanto riguarda l’accesso ai registri di stato civile, del pari nulla è cambiato. Valgono in tal senso le istruzioni date dal Ministero dell’Interno con il Massimario per l’ufficiale dello stato civile - ed. 2012 - Par. 3.1.2.: «due testi normativi fondamentali in materia di stato civile e di protezione dei dati personali (D.P.R. 396/2000 e D.Lgs. 196/2003) convergono — come più volte ribadito dallo stesso Garante per la protezione dei dati personali — nel far ritenere che i registri e gli atti di stato civile sono soggetti, rispetto all’ordinaria documentazione amministrativa, a una specifica disciplina che permette a chi vi abbia interesse (salvi i divieti di legge) di accedere a notizie e informazioni ivi riportate anche in relazione agli atti di corrente uso, ma esclude in ogni caso la possibilità di libera consultazione diretta di questi non “filtrata” dall’intervento dell’ufficiale dello stato civile».

Risposta Il fatto che il figlio sia nato casualmente in Italia, dal momento che i genitori stranieri non vi erano residenti, non comporta che la sua identità sia documentabile dalle nostre autorità. Pertanto in sede di prima richiesta di registrazione anagrafica trova applicazione l’art. 14 (Documentazione per l’iscrizione di persone trasferitesi dall’estero) del regolamento anagrafico D.P.R. 223/1989, secondo il quale chi (chiunque: italiano, comunitario, straniero, maschio, femmina, maggiorenne, minore...)

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Anagrafe Cancellazione anagrafica dello straniero irregolare

Della cancellazione per mancato rinnovo della dichiarazione di dimora abituale o, meglio, della cancellazione anagrafica dello straniero irregolare: ma le parole non avevano un peso? Serena Rafanelli Vice Direttore

I

più noti e comuni movimenti anagrafici sono determinati da eventi naturali o dall’attività migratoria della popolazione: sono le nascite e le morti, le immigrazioni e le emigrazioni fra comuni che producono il maggior numero di procedimenti e di variazioni nell’anagrafe della popolazione residente. Il regolamento anagrafico, tuttavia, ha previsto anche forme ulteriori e diverse, riconducibili alla comune categoria delle cosiddette iscrizioni e cancellazioni per altri motivi, introdotte a più riprese nel corso del tempo allo scopo di garantire «la regolare tenuta del servizio anagrafico». Si è, infatti, inteso attribuire all’ufficiale di anagrafe un ulteriore strumento in modo che — una volta accertata la res facti — potesse agevolmente adempiere al compito di procedere alla registrazione di iscrizioni e cancellazioni anagrafiche «per le quali non è possibile individuare la provenienza o la destinazione dei soggetti interessati, in modo da garantire sempre l’allineamento fra registrazione anagrafica e situazione di fatto»(1).

Fra le cancellazioni per altro motivo si annoverano le ipotesi di morte presunta e di doppia iscrizione anagrafica, nonchè le cancellazioni per irreperibilità accertata e censuaria e le due forme di cancellazione anagrafica che operano esclusivamente per i cittadini dell’Unione Europea e per i cittadini stranieri. Dopo aver trattato del procedimento di cancellazione per irreperibilità(2), in questa sede ci occuperemo dell’ultima delle cause di cancellazione per altri motivi appena descritta, ovvero quella che — in gergo — gli operatori di anagrafe definiscono effettuata per mancato rinnovo della dichiarazione di dimora abituale. Si tratta di una tipologia di cancellazione sulla quale ancora oggi sussistono dubbi applicativi che meritano di essere sciolti, onde evitare improvvide ed inopportune cancellazioni anagrafiche del cittadino straniero dalle quali possono derivare numerose conseguenze nega-

1)  ISTAT, Metodi e Norme, n. 48/2013, pag. 56. 2)  Per la trattazione della cancellazione per irreperibilità, si rimanda all’articolo pubblicato nei numeri 7/8 e 10 dell’anno 2018 della «Rivista» a cura della scrivente.

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Anagrafe Cancellazione anagrafica dello straniero irregolare

tive, ben note a tutti, specialmente in termini di cittadinanza. Gli elementi di criticità sono, essenzialmente, due: da un lato, è necessario definirne in maniera precisa i confini e le differenze rispetto alle altre forme di cancellazione contemplate dal comma 3 dell’art. 11 R.A. e, dall’altro, è necessario comprenderne i presupposti normativi e gli obiettivi sostanziali per tratteggiarne il corretto iter applicativo. Iniziamo l’analisi dell’istituto partendo dal primo tema critico per cercare di determinare con esattezza cosa è, ma soprattutto, cosa non è, la cd. cancellazione per mancato rinnovo della dichiarazione della dimora abituale: ancora oggi, infatti, è frequente confondere questa forma di cancellazione con quella per irreperibilità. Sebbene esse siano trattate nel medesimo articolo di legge, si tratta di due istituti dotati di piena autonomia, ciascuno con presupposti giuridici ben distinti: mentre la cancellazione per irreperibilità accertata opera nei casi in cui un cittadino (italiano, straniero o comunitario) non è più reperibile sul territorio e tale irreperibilità è stata attestata mediante una pluralità di accertamenti opportunamente ripetuti ed intervallati nel tempo, risultando impossibile determinare il nuovo luogo di dimora abituale di quel soggetto, la cancellazione conseguente al mancato rinnovo della dichiarazione di dimora abituale opera in presenza di altri presupposti che vedremo in dettaglio infra, ma in maniera del tutto indipendente dalla verifica circa la presenza o meno dello straniero sul territorio. Anzi: gli accertamenti della P.M. in questo caso, non sono nè richiesti, nè dovuti, posto che la norma vuole sanzionare una diversa situazione che non ha alcuna attinenza con la verifica della persistenza della dimora abituale nel Comune. È, tuttavia, frequente che sussistano ancora dubbi sull’autonomia delle due tipologie di cancellazione: ciò è certamente dovuto alla infelice collocazione di entrambe le fattispecie all’interno dello stesso comma (il terzo) dell’art. 11 D.P.R. 223/1989 ed alla sibillina formulazione normativa che contraddistingue la causa di cancellazione in discorso che ne ha provocato le relative incertezze applicative. Vi è da dire, però, che in passato la distinzione di cui oggi si parla non era così chiara a causa di una diversa formu-

lazione normativa e, probabilmente, esiste ancora — nel passaparola degli operatori — il retaggio dell’originaria disciplina normativa. La cancellazione per mancanza della dichiarazione di rinnovo della dimora abituale non era espressamente ed autonomamente prevista nella primigenia formulazione del regolamento anagrafico che, all’art. 7, comma 3, si limitava a descrivere per gli stranieri, l’obbligo di esibire il permesso di soggiorno una volta rinnovato, ma senza prevedere una espressa causa di cancellazione in caso di violazione dello stesso. La norma prevedeva, infatti, che «gli stranieri iscritti in anagrafe hanno l’obbligo di rinnovare annualmente all’ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel Comune, corredata di permesso di soggiorno. L’ufficiale di anagrafe procederà comunque agli opportuni accertamenti ed adotterà i conseguenti richiesti provvedimenti dandone comunicazione al prefetto». L’art. 11 del regolamento — rubricato cancellazioni anagrafiche — nulla diceva in merito alla sanzione dell’eventuale violazione dell’obbligo: come si vede, la formulazione normativa era molto diversa da quella attuale, essendo priva di termini stringenti per adempiere all’obbligo di rinnovare la dichiarazione. Il legislatore non aveva tipizzato con precisione questa forma di cancellazione anagrafica dello straniero: a seguito della mancata dichiarazione, l’ufficiale di anagrafe doveva svolgere opportuni accertamenti, fra i quali — come ben descritto da Casoni (3) — si ricomprendeva sia la verifica della effettiva presenza sul territorio che della validità o meno del titolo di soggiorno e «in assenza di uno di questi due requisiti l’ufficiale di anagrafe era legittimato ad adottare un provvedimento di cancellazione o “per altri motivi” (laddove lo straniero fosse risultato sprovvisto del titolo di soggiorno) o per irreperibilità o per emigrazione (allorquando le verifiche effettuate avessero dato i corrispondenti riscontri)». È, quindi, probabile, che nel periodo di vigenza della norma fosse molto difficile distinguere i due istituti: l’assenza di una disciplina e di una denominazione specifica, il richiamo e la discrezionalità affidata all’ufficiale di anagrafe di svolgere i necessari accertamenti, anche relativamente alla presenza sul territorio, e la comunicazione di entrambi i tipi di cancellazione al Prefetto ha indubbiamente confuso gli operatori. I vari interventi normativi che si sono succeduti nel tem-

3) G. Casoni , Le cancellazioni dall’anagrafe della popolazione residente per decesso e ed in taluni casi particolari, tra disciplina anagrafica e ordinamento dello stato civile, in «Lo Stato Civile Italiano», n. 7/2014, pag. 30.

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Anagrafe Cancellazione anagrafica dello straniero irregolare

po hanno prodotto il risultato di descrivere e disciplinare una forma di cancellazione completamente diversa e peculiare. La prima riformulazione dell’istituto è avvenuta ad opera dell’art. 15 D.P.R. 394/1999 che ha modificato sia l’art. 7 che l’art. 11 del regolamento anagrafico, introducendo, da un lato, il termine di 60 giorni dal rinnovo del titolo di soggiorno per formalizzare all’anagrafe la dichiarazione di dimora abituale, corredata dall’esibizione dallo stesso e, dall’altro, stabilendo espressamente che i cittadini stranieri che violavano tale obbligo sarebbero stati cancellati dalle anagrafi proprio per effetto del mancato rinnovo della dichiarazione di cui all’art. 7, comma 3, trascorso un anno

Lo straniero non più regolarmente soggiornante sarebbe tenuto ad abbandonare il Paese dalla scadenza del permesso di soggiorno o della carta di soggiorno, previo avviso da parte dell’ufficio, con invito a provvedere nei successivi 30 giorni. Il termine annuale è stato, poi, abbreviato in 6 mesi ad opera del D.L. 94/2009, pertanto la causa di cancellazione opera decorso un semestre dalla scadenza del titolo. Il merito dell’attuale formulazione normativa è quello di avere con chiarezza stabilito i confini esterni della fattispecie: leggendola appare chiaro che questo istituto non ha più niente in comune con le cancellazioni per irreperibilità accertata, essendo venuto meno qualsiasi riferimento allo svolgimento di accertamenti sul territorio, mentre la comunicazione al Prefetto (che accomunava le due fattispecie) è stata sostituita da quella al Questore, organo deputato al rilascio dei titoli di soggiorno. Tuttavia, il legislatore non ha conseguito altrettanta chiarezza per quanto riguarda i presupposti di operatività della norma: sin da subito (ed ancora oggi, talvolta e purtroppo) sussistono dubbi su quale sia l’obiettivo che la norma vuole raggiungere, quali siano gli elementi che ne giustificano l’applicazione e — di conseguenza — che tipo di istruttoria debba essere svolta. Come detto, la cancellazione è conosciuta dagli operatori come quella fattispecie motivata dal mancato rinnovo della dichiarazione di dimora abituale: un primo orientamento, affermatosi nell’imminenza dell’entrata in

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vigore del D.P.R. 394/1999, sosteneva che lo scopo del combinato disposto degli artt. 7 e 11 R.A. fosse quello di sanzionare con la cancellazione anagrafica lo straniero che non avesse adempiuto all’obbligo di rendere la dichiarazione di dimora abituale entro 60 giorni dal rinnovo del permesso o della carta di soggiorno, purchè fosse stato preventivamente e formalmente diffidato dall’ufficio ad adempiere entro i successivi 30 giorni. Il tenore letterale della norma consentiva e giustificava senza dubbio questa interpretazione che — conseguentemente — ha determinato, a suo tempo, l’adozione di provvedimenti che disponevano la cancellazione anagrafica dello straniero che, formalmente messo in mora ad adempiere, non avesse tempestivamente adempiuto all’obbligo di dichiarazione. La correttezza di questo modus operandi è stata messa in discussione qualche hanno dopo, quando l’art. 18 del D.P.R. 334/2004 ha modificato l’art. 7, comma 3, D.P.R. 223/1989: si è introdotta una clausola che — precisando che gli stranieri destinatari dell’obbligo di rinnovare all’ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora abituale non decadono dall’iscrizione nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno — ha completamente stravolto la ricostruzione dell’istituto. La Circolare n. 12/2005 del Ministero dell’Interno, che intervenne per chiarire il significato e, di conseguenza, i profili applicativi della norma, precisò che «la fattispecie in parola prevede dunque il concorso di due elementi. Il primo costituito dall’omessa dichiarazione e il secondo rappresentato dal decorso dell’anno [ora sei mesi] dalla scadenza del permesso di soggiorno e dal conseguente atto di diffida.» Fin qui, apparentemente, niente di nuovo sotto il sole: anzi, questa indicazione non sembrava che confermare quanto sostenuto dalla dottrina in termini di cancellazione in caso di mera violazione dell’obbligo. Sennonchè la Circolare continuava precisando — in maniera non chiarissima, a dire il vero — che «dalla lettura coordinata dell’art. 7, nella sua nuova formulazione, e dell’art. 11 del medesimo D.P.R. 223/1989, si desume che termine di un anno [ora sei mesi] vada riferito all’ipotesi di omessa attivazione delle procedure di rinnovo del titolo di soggiorno, mirando, tale ultima disposizione, alla definizione delle posizioni anagrafiche dei cittadini stranieri che non abbiano presentato tale richiesta (ad esempio, per mancanza dei requisiti) e non di quelli, invece, che abbiano prodotto regolare domanda».


Anagrafe Cancellazione anagrafica dello straniero irregolare

Ebbene, la Circolare iniziò a seminare il dubbio che il mancato rinnovo della dichiarazione di dimora abituale nascondesse — dietro la definizione — qualcosa di diverso da quello che fino ad allora era stato considerato e che non fosse più sufficiente l’omissione della dichiarazione per dare seguito alla cancellazione anagrafica: seppur si richiamano i due elementi (mancata dichiarazione e decorso del termine previa diffida) si va ben oltre. Il Ministero precisa che la fattispecie di cancellazione disegnata dagli artt. 7 e 11 R.A. trova applicazione soltanto nei confronti di coloro che non hanno posto in essere il procedimento di rinnovo del titolo e, pertanto, non sono in grado di presentarne uno valido successivamente alla scadenza del precedente. Si deve riconoscere che il Ministero non ha brillato per chiarezza: solo a fatica, e solo previo ampio sforzo interpretativo, si capisce che la causa di cancellazione in discorso operi solo per coloro che non hanno posto in essere il procedimento di rinnovo del permesso e non nei confronti di tutti coloro che — con il permesso nuovo in mano — non lo esibiscano tempestivamente all’anagrafe nei tempi di legge, rinnovando la dichiarazione di dimora abituale. Peraltro, manca qualsiasi indicazione sul nuovo modus operandi da seguire, che sarebbe stata se non doverosa, certamente opportuna e necessaria. In ogni caso, nel tempo, la dottrina si è trovata concorde nel considerare che il legislatore — con la modifica del 2004 contenente la clausola di cui si è detto — abbia voluto colpire con la sanzione della cancellazione anagrafica solo coloro che non si siano attivati per rinnovare i documenti di soggiorno e non anche coloro che, pur avendovi provveduto, abbiano (solo) contravvenuto all’obbligo di esibizione dello stesso e della dichiarazione. Avallare ancora l’applicazione di quest’ultima interpretazione rischierebbe, peraltro, di minare ancor più in profondità il principio della regolare tenuta dell’anagrafe: non possiamo dimenticare che si tratta di una forma di cancellazione anagrafica che — come tutte quelle per altri motivi — deve realizzare l’obiettivo, richiamato da ISTAT nella propria Circolare n. 48/2010, di realizzare l’allineamento delle registrazioni con lo stato di fatto. È sotto gli occhi di tutti che si tratta di un tipo di cancellazione ben diversa da quelle per morte o emigrazione o irreperibilità, in cui alla eliminazione dalla anagrafe corrisponde una ‘assenza’ dal territorio: come detto, la

cancellazione per mancato rinnovo della dichiarazione di dimora abituale determina l’eliminazione dai registri anagrafici del cittadino straniero, ma questi ben potrà essere ancora presente sul territorio, dato che non è richiesto che si debba verificare la dimora abituale o meno nel Comune. Ma è anche vero che la tesi per cui la cancellazione interviene solo nei confronti di stranieri non più regolarmente soggiornanti, permette, almeno in senso lato, il rispetto del principio di effettività: in effetti, lo straniero non più regolarmente soggiornante sarebbe tenuto ad abbandonare il Paese e, quindi, la cancellazione andrebbe ad operare, in un certo senso, in modo preventivo rispetto alla situazione di fatto, al fine di evitare una persistente iscrizione anagrafica da parte dei soggetti non legittimati. La cancellazione dello straniero in possesso del titolo di soggiorno come conseguenza della mera mancata esibizione dello stesso appare — alla luce della riforma del 2004 — non più sostenibile, configurandosi come sanzione eccessiva rispetto alla violazione normativa posta in essere e, in ultima (ma non meno importante) analisi, violerebbe del tutto i principi fondanti dell’ordinamento anagrafico, non essendo in alcun modo riconducibile al rispetto, seppur lato, del principio di effettività. Considerato che la mancata rinnovazione della dichiarazione di dimora abituale costituisce una violazione di un preciso obbligo di rendere quella che possiamo ritenere una dichiarazione anagrafica, anche se in senso ampio, la sanzione applicabile potrebbe essere, in via generale (non oltre) quella dell’ammenda prevista in via generale dall’art. 56 D.P.R. 223/1989 per sanzionare le contravvenzioni alla legge ed regolamento anagrafico(4). Molto probabilmente, se le cose fossero state chiamate sin da subito con il proprio nome e — magari — fossero anche state definite in maniera chiara e netta, sarebbe stato più facile dare loro corretta, completa ed uniforme applicazione sul territorio nazionale: non vi è dubbio che l’art. 11, comma 1, lett. c), secondo periodo, D.P.R. 223/1989 descriva una ipotesi di cancellazione anagrafica che si attiva in caso di mancato rinnovo del titolo di soggiorno e non della dichiarazione di dimora abituale, perchè questo è l’elemento discriminante e determinante la possibilità di ricorrere ed attivare questa causa di cancellazione. Ormai la dottrina è concorde nel ritenere che l’istituto in discorso sia esperibile solo ove vi sia la prova che

4)  In tale senso, appare Morozzo de lla Rocca, in La cancellazione per mancato rinnovo della dichiarazione di dimora abituale: per un uso cauto di un norma incauta, in «Lo Stato Civile Italiano», n. 6/2011, pag. 29.

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Anagrafe Cancellazione anagrafica dello straniero irregolare

lo straniero non è più regolarmente soggiornante: ne consegue che l’istruttoria relativa all’adozione del relativo provvedimento deve essere mirata non solo e non tanto ad evidenziare l’eventuale inadempimento dell’obbligo di rinnovare la dichiarazione di dimora abitale, ma anche, e soprattutto, a verificare la condizione di regolarità o irregolarità del soggiorno dello straniero. Ecco, dunque, che si pone all’attenzione dell’operatore il quesito su quali siano i passi da seguire al fine di garantire una corretta istruttoria, rispettosa sia dei presupposti anagrafici che dei principi procedimentali dei cui alla legge 241/1990 e s.m.i. : alla luce di quanto detto supra, l’elemento centrale del procedimento non potrà che avere ad oggetto la verifica della regolarità del soggiorno. Mancando indicazioni ministeriali, possiamo delineare alcuni spunti operativi. In primo luogo, l’ufficiale di anagrafe — una volta verificata la presenza nella propria banca dati di stranieri con il titolo di soggiorno scaduto da oltre sei mesi — dovrà provvedere alla formale diffida dei suddetti a presentarsi per rinnovare la dichiarazione di dimora abituale esibendo il nuovo permesso. È consigliabile confezionare l’atto di diffida inserendovi contestualmente la comunicazione di avvio del procedimento di eventuale cancellazione ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. c), secondo periodo R.A., ai sensi dell’art. 7, legge 241/1990 e s.m.i., precisando che — laddove l’interessato non sia in grado di dimostrare l’avvenuto rinnovo del titolo di soggiorno entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della missiva, ovvero l’avvenuta attivazione del procedimento per il rinnovo dello stesso, rischia la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente. Nel caso il soggetto sia (fortunatamente) già in possesso del nuovo titolo, lo esibirà all’ufficiale di anagrafe. Così come potrà esibire la ricevuta del rinnovo, sufficiente a sospendere il procedimento in attesa delle determinazioni della Questura. Molti, tuttavia, per esperienza, non risponderanno, magari perchè assenti o

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perchè, ancora in attesa del nuovo titolo, attendono di averlo per esibirlo. L’istruttoria dell’ufficiale di anagrafe non potrà in alcuno modo sfociare in una cancellazione se non vi siano notizie certe, acquisite al fascicolo, circa l’esito — positivo o negativo — della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero. Ciò comporta la necessità di un confronto costante con la Questura di riferimento che, unica, potrà confermare l’esito delle istanze presentate dai cittadini stranieri e, soprattutto, colmare le lacune di conoscenza derivanti da mancate risposte degli interessati circa lo stato e l’esito di trattazione del procedimento. Laddove la Questura comunichi che lo straniero è regolarmente soggiornante — e fintanto che l’iter procedimentale è ancora in corso — l’ufficiale di anagrafe non potrà procedere alla cancellazione anagrafica. Al contrario, laddove la Questura comunichi un provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovo del titolo di soggiorno, l’ufficiale di anagrafe potrà intraprendere la strada della cancellazione: preme sottolineare, peraltro, che l’invio della comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 legge 241/1990 permette allo straniero di far valere eventuali ricorsi in via giurisdizionale contro il provvedimento negativo del Questore, nelle more della cui definizione si ritiene che lo straniero non possa essere cancellato. Solo una volta che sia stata accertata la definitiva condizione di irregolarità del soggiorno dello straniero, decorsi i termini assegnati per l’esibizione di memorie e documenti atte a far emergere eventuali ricorsi, l’ufficiale di anagrafe potrà adottare il provvedimento di cancellazione anagrafica per altri motivi, compilando il relativo APR4. Preme sottolineare che questo provvedimento deve essere notificato all’interessato nelle forme di cui agli artt. 137 c.p.c. e seguenti, posto che è del tutto presumibile che il suddetto possa essere ancora nel territorio comunale.


Anagrafe La residenza anagrafica delle persone private della libertà personale

Una buona notizia in materia di residenza anagrafica delle persone private della libertà personale Paolo Morozzo della Rocca

Ordinario di diritto privato nell’Università degli studi di Urbino

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urtroppo le novità di questi tempi, ed in particolare in questa materia, di solito non vanno a consolidare il diritto alla residenza anagrafica ma piuttosto a limitarlo, se non a negarlo. Costituisce dunque un fatto raro quanto accaduto in occasione dell’approvazione del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 123 (Riforma dell’ordinamento penitenziario, in attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 23 giugno 2017, n. 103). Nel suo insieme la nuova disciplina costituisce un «piccolo resto» di ciò che la commissione ministeriale per la riforma dell’ordinamento penitenziario aveva elaborato e che la nuova maggioranza di Governo ha invece in gran parte cancellato. Presumibilmente, il tema della vita detentiva, delle sue regole e delle sue finalità trascende gli interessi dei lettori di questa Rivista e pertanto non vi ci soffermeremo se non per un aspetto che è relativo all’opportunità di favorire un graduale reinserimento e alla possibilità di fornire prestazioni di assistenza sociale alla persona privata della libertà ed ai suoi familiari, dato che per realizzare questi due obiettivi i servizi sociali sono individuati sulla base della residenza attuale del detenuto o dell’internato. La disciplina della residenza anagrafica del detenuto, come è noto, è in parte desumibile dalle regole generali ed in altra parte contenuta all’art.10-bis del regolamento anagrafico (come modificato dal D.P.R. 17 luglio 2015, n. 126). Questa norma individua alcune posizioni che di

per se stesse non comportano mutazione anagrafica per trasferimento di residenza, nè d’ufficio nè a richiesta dell’interessato, tra le quali di nostro particolare interesse sono i ricoverati in istituti di cura, di qualsiasi natura, ed i detenuti ancora in attesa di giudizio, riguardo ai quali la norma non prevede una soglia temporale di durata del regime di detenzione, nel presupposto (purtroppo talvolta tradito) della brevità della custodia cautelare del detenuto. Quest’ultimo, in teoria, sarebbe assoggettato all’art. 10bis solo se già anagraficamente residente, al momento dell’arresto, ad un indirizzo. Tuttavia — a causa della difficoltà per gli operatori di collocare e leggere le norme secondo la logica della disciplina nella quale sono contenute — avviene piuttosto spesso di sentir dire che il tal detenuto, privo di residenza anagrafica, non la può stabilire nel luogo della sua reclusione perchè ancora in attesa di giudizio, privandolo così di un suo diritto fondamentale anche in ragione dell’impossibilità di iscriversi ex novo presso un Comune di residenza diverso da quello dove attualmente si trova in condizione di privazione della libertà. D’altronde, anche se egli dall’istituto dove si trova ristretto riuscisse ad ottenere altrove una nuova iscrizione anagrafica v’è da chiedersi quanto questa potrebbe essergli utile nel tempo in cui rimarrà privato della sua libertà in tutt’altro territorio, magari lontanissimo dal Comune di nuova residenza. Pure è noto che l’ordinamento penitenziario si occupa, oltre che dei detenuti (in via cautelare oppure in esecu-

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Anagrafe La residenza anagrafica delle persone private della libertà personale

zione pena perchè già condannati) anche dei cosiddetti internati, i quali potrebbero essi pure trovarsi in una situazione di trattenimento (nonchè di cura) in esecuzione di una decisione giudiziaria di applicazione della misura di sicurezza, oppure essere stati posti sotto custodia in via ancora solo cautelare. Ed è del tutto ragionevole considerare la loro posizione assimilandola ai fini anagrafici a quella dei detenuti anzichè a quella delle persone ricoverate per motivi di cura. La breve ricognizione ora operata ci è utile per capire il significato e dunque l’utilità della novità legislativa introdotta dall’art. 11, lett. r), n. 2 del decreto legislativo n. 123 (in vigore a partire dal 10 novembre 2018) che a sua volta modifica l’art. 45 della legge 26 luglio 1975, n. 354, aggiungendovi un quarto comma che così dispone «(...) il detenuto o l’internato privo di residenza anagrafica è iscritto, su segnalazione del direttore, nei registri della popolazione residente del Comune dove è ubicata la struttura. Al condannato è richiesto di optare tra il mantenimento della precedente residenza anagrafica e quella presso la struttura ove è detenuto o internato. L’opzione può essere in ogni tempo modificata»(1). Nella relazione illustrativa allo schema del decreto legislativo sottoposto al parere del Parlamento si legge a questo riguardo: «È aggiunto un comma finale(2), che (...) interviene per assicurare una più sicura attuazione

degli adempimenti anagrafici all’interno degli istituti penitenziari, dato che il presupposto necessario di tutte le prestazioni sociali a competenza territoriale e di alcune importanti prestazioni socio-sanitarie erogabili alle persone detenute è costituito dal requisito di residenza dichiarata. Il nuovo comma stabilisce le opportune modalità di adempimento del diritto-dovere di dichiarare la residenza riguardo allo specifico ambiente detentivo, all’interno del quale il direttore si configura come responsabile della convivenza anagrafica a tutti gli effetti di legge». Accingendoci ad una prima lettura di questa nuova disposizione dobbiamo osservare che, in effetti, essa non modifica ma chiarisce quanto già disposto dalla disciplina anagrafica, limitandosi a meglio descrivere sia la posizione dei soggetti privati della libertà personale, sia i doveri incombenti sul direttore dell’istituto dove essi si trovano ristretti. Un primo pregio della nuova disposizione è sicuramente quello di avere definitivamente sgombrato il campo da possibili dubbi riguardo alla possibilità di iscrivere all’indirizzo anagrafico della struttura dove son ristretti le persone destinatarie di una misura di sicurezza, cosa questa di cui alcuni dubitavano, con riferimento ai primi due anni di trattenimento nella struttura, riconducendo le r.e.m.s. alla figura della casa di cura di cui all’art. 10-bis,

1)  Si riporta per intero il nuovo testo dell’art. 45: «Il trattamento dei detenuti e degli internati è integrato da un’azione di assistenza alle loro famiglie. Tale azione è rivolta anche a conservare e migliorare le relazioni dei soggetti con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolarne il reinserimento sociale. È utilizzata, all’uopo, la collaborazione degli enti pubblici e privati qualificati nell’assistenza sociale. Ai fini della realizzazione degli obiettivi indicati dall’art. 3, commi 2 e 3, della legge 8 novembre 2000, n. 328, il detenuto o l’internato privo di residenza anagrafica è iscritto, su segnalazione del direttore, nei registri della popolazione residente del Comune dove è ubicata la struttura. Al condannato è richiesto di optare tra il mantenimento della precedente residenza anagrafica e quella presso la struttura ove è detenuto o internato. L’opzione può essere in ogni tempo modificata». 2)  La quale in realtà nella sua originaria formulazione era stata così redatta suddividendola in due commi: «Comma 4: Ai fini della migliore attuazione delle azioni di cui ai commi 2, 2-bis e 3, il detenuto o l’internato che sia privo di residenza anagrafica è iscritto su segnalazione del direttore nei registri della popolazione residente del Comune dove è ubicata la struttura. Al detenuto od internato non più in attesa del giudizio viene in ogni caso richiesto di optare tra il mantenimento della residenza anagrafica già posseduta e quella presso la struttura ove è detenuto o internato, salvo il diritto di seguire le variazioni anagrafiche dei propri congiunti se consenzienti. Detta opzione non è comunque vincolante per il restante periodo di detenzione. Comma 5: Il direttore della struttura entro 30 giorni dal trasferimento o dalla liberazione del detenuto ivi residente ne dà comunicazione agli uffici anagrafici competenti. Questi ultimi, nel caso in cui l’allontanamento del soggetto sia avvenuto per fine pena o termine della misura di sicurezza dell’internamento provvedono alla cancellazione della posizione anagrafica del soggetto che, nei successivi dodici mesi dall’uscita dalla struttura, non abbia reso nei modi di legge dichiarazione anagrafica di variazione dell’indirizzo di residenza». Il proponente osservava al riguardo che nel caso in cui un soggetto venga trasferito in altro istituto o struttura la variazione anagrafica avverrà per immigrazione nel Comune dove è stato trasferito il detenuto, senza che sia necessario farne espressa previsione normativa. Quanto ai dodici mesi previsti per la cancellazione a dimissioni avvenute egli osservava che dodici mesi corrispondono al periodo fissato dalle prassi anagrafiche (come da indicazioni Istat e Ministero dell’Interno) per avviare e completare il procedimento di cancellazione anagrafica. Ma se si vuole rendere più veloce la cancellazione dell’ex detenuto dal Comune dell’istituto di pena si può espressamente prevedere un tempo minore facendo dunque eccezione alle regole generali (ad esempio: 4 oppure 6 mesi). Tali proposte non sono state però considerate perchè, a prescindere dal merito, esse fuoriuscivano dalla delega legislativa, andando a modificare la normativa anagrafica in materia di cancellazione.

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Anagrafe La residenza anagrafica delle persone private della libertà personale

lett. b) del regolamento anagrafico. Tale tesi ora non sarà più in alcun modo sostenibile riguardo a tutti gli internati. Il secondo pregio è quello di sancire in modo netto che il detenuto o l’internato che siano privi di residenza anagrafica devono comunque essere iscritti all’indirizzo della loro attuale ed effettiva dimora che è costituita dall’istituto dove si trovano ristretti, non importa se in via cautelare od a seguito della decisione di condanna detentiva o di comminazione della misura di sicurezza. Si tratta qui di assicurare il rispetto di un diritto/dovere che non ammette volontà contraria nemmeno da parte del diretto interessato. Viceversa, ai ristretti in misura cautelare che abbiano già una diversa residenza, non potrà essere consentito il cambio presso l’indirizzo dell’istituto perchè ciò è impedito dall’art. 10bis del regolamento anagrafico.

minazione di una misura di sicurezza l’opzione relativa all’eventuale mutamento dell’indirizzo di residenza, risultando dunque in colpa di omissione se non agiscano in tal senso. Infine la nuova disposizione, riferendosi espressamente a tutti i detenuti ed a tutte le persone ristrette, non consente di differenziare le singole posizioni sulla base della cittadinanza di appartenenza e nemmeno sulla base

I direttori degli istituti di detenzione o di internamento hanno anche doveri in materia anagrafica

Il terzo pregio potrebbe sembrare meno evidente all’ufficiale di anagrafe ma non è meno reale: i direttori degli istituti di detenzione o di internamento non solo vengono riconosciuti quali responsabili della convivenza anagrafica da essi diretta, ma la norma ribadisce i loro doveri in materia anagrafica dettagliandone alcuni importanti aspetti all’interno della disciplina che essi conoscono meglio e dalla cui violazione maggiormente devono guardarsi, che è quella contenuta nell’ordinamento penitenziario. In particolare essi hanno il dovere di accertarsi che ogni persona sotto la loro custodia abbia la residenza anagrafica e nel caso non l’abbia devono richiederla. Essi devono inoltre sottoporre a ciascuna delle persone detenute in forza di una decisione di condanna o di com-

della posizione amministrativa di soggiorno al momento dell’arresto, dovendosi ritenere che chi è collocato a forza in una struttura ubicata sul territorio nazionale è anche autorizzato a rimanervi almeno per tutta la durata della detenzione. Troppo, forse, sarebbe stato pretendere dal legislatore (e dunque in questo caso da un ufficio legislativo del Governo) che precisasse con formula di dettaglio che «il documento di autorizzazione al soggiorno, ove mancante, è supplito dall’ordine di esecuzione della pena o della misura di sicurezza per lo svolgimento di tutti gli adempimenti connessi alla vita detentiva». Tale norma, del resto, sarebbe potuta apparire superflua a fronte del chiaro intendimento che in tal senso il legislatore ha sempre mostrato e che ora il nuovo ordinamento penitenziario viene con maggiore evidenza a confermare.

Errata corrige

C

ontrariamente a quanto da me ritenuto nel mio contributo in formato cartaceo apparso sul numero 12 della Rivista, dal titolo «Alcune considerazioni sulla nuova disciplina della residenza anagrafica riguardo ai richiedenti asilo (e ai protetti internazionali)» — già modificato nel formato elettronico —, la lettera dell’art. 13, D.L. 113/2018 (cosiddetto Decreto Salvini), impedendo per il futuro le iscrizioni anagrafiche dei richiedenti asilo, sembra però consentire il mantenimento delle iscrizioni anagrafiche già avvenute sino alla eventuale perdita del permesso di soggiorno per richiesta di asilo. Tali posizioni anagrafiche non dovrebbero dunque decadere nemmeno in caso di mutazione e dovrebbero essere salvaguardate nel periodo di rinnovo del permesso di soggiorno per richiesta di asilo. In tal senso, sia pure implicitamente, sembra esprimersi la stessa circolare a firma del Capo Gabinetto del Ministro dell’Interno, del 18 dicembre 2018, ove, alla pagina 6, ci si limita ad osservare che i richiedenti asilo «non saranno più iscritti».

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Procedimenti di anagrafe e stato civile SCHEDE PRATICHE: il nuovo servizio per gli abbonati con Canone B «Presto e bene non stan bene insieme», diceva un antico proverbio, frutto della saggezza popolare che consigliava di non affannarsi per portare a termine una cosa, privandosi del tempo e dell'attenzione necessaria per concluderla correttamente. Purtroppo, oggi, questo adagio non trova più spazio nella realtà lavorativa quotidiana di molti — specialmente se addetti ai Servizi Demografici — richiesti di conciliare le due esigenze antitetiche di celerità, da un lato, e competenza ed efficienza dall’altro. In un settore caratterizzato da un continuo incremento delle competenze e dei procedimenti da gestire e al tempo stesso richiesto di possedere elevati gradi di specializzazione e professionalità come quello dei Demografici, la sintesi non è affatto facile, specialmente se il tempo ed i mezzi per una adeguata preparazione professionale scarseggiano. Per supportare gli ufficiali di anagrafe e di stato civile nello svolgimento dei propri delicati compiti, la Casa Editrice Sepel ha pensato ad un nuovo strumento di lavoro che permetta di realizzare l’ambito obiettivo di riuscire a fornire risposte corrette ed esaustive in maniera pressochè immediata al cittadino: gli esperti della Rivista “Lo Stato Civile Italiano” hanno elaborato una serie di Schede Pratiche che descrivono e sintetizzano l’iter da seguire per tutti i procedimenti di anagrafe e di stato civile. Le Schede permettono di avere una rapida panoramica degli adempimenti da porre in essere in ordine ai procedimenti di competenza: ciascuno di essi è stato analizzato e sintetizzato in una serie di step progressivi che permettono di avere una chiara cognizione dell’iter da seguire, della documentazione da acquisire e degli adempimenti da realizzare in successione. Non manca, infine, in ciascuna scheda, il riferimento alle norme di legge ed agli interventi ministeriali riferiti all’argomento, che costituiscono l’imprescindibile giustificazione dell'attività dell’operatore, nonchè lo spunto per un eventuale successivo approfondimento. Le Schede Pratiche sono destinate a tutti gli operatori dei Servizi Demografici: in particolare, per coloro che sono stati investiti da poco delle funzioni, le Schede rappresentano la bussola per orientarsi nel mare degli adempimenti ed istruire i procedimenti in maniera corretta, potendo integrare o sostituire quella fase di necessario affiancamento fra colleghi che sempre meno si realizza all’interno degli uffici. Per coloro che hanno una maggiore esperienza, le Schede — grazie alla loro struttura estremamente schematica — diventano un supporto imprescindibile per verificare la correttezza ed eventualmente migliorare gli step procedimentali già posti in essere. Le Schede sono uno strumento pratico e semplice da usare, senza abdicare alla necessaria esigenza di garantire un elevato grado di qualità agli operatori dei servizi: un tassello nuovo e complementare agli altri strumenti di formazione offerti dalla Rivista, dei quali possiede le medesime caratteristiche di approfondimento e completezza.

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SCHEDE ANAGRAFE A cura di Serena Rafanelli 1. Deleghe 2. Iscrizione APR per nascita 3. Iscrizione APR per immigrazione dall’estero: cittadino extraue 4. Iscrizione APR per immigrazione dall’estero: cittadino UE lavoratore 5. Iscrizione APR per immigrazione dall’estero: cittadino UE non lavoratore 6. Iscrizione APR per immigrazione dall’estero: cittadino UE familiare di cittadino UE/italiano 7. Iscrizione APR per immigrazione da altro comune 8. Iscrizione APR per altri motivi 9. Iscrizione APR per immigrazione dall’estero: cittadino extraUE per riconoscimento cittadinanza italiana 10. Cambio di indirizzo nel Comune 11. Cancellazione APR per morte 12. Cancellazione APR per trasferimento in altro comune 13. Cancellazione APR per emigrazione all’estero: cittadino UE e cittadino extraUE 14. Cancellazione APR per emigrazione all’estero: cittadino italiano 15. Cancellazione APR per irreperibilità accertata; 16. Cancellazione APR per altri motivi: mancato rinnovo dichiarazione dimora abituale_ cittadino extraUe 17. Cancellazione APR per altri motivi: provvedimento di allontanamento_ cittadino Ue, 18. Iscrizione AIRE per nascita 19. Iscrizione AIRE per espatrio 20. Iscrizione AIRE per acquisto cittadinanza italiana 21. Iscrizione AIRE per esistenza giudizialmente accertata 22. Iscrizione AIRE per ricomparsa da irreperibilità 23. Iscrizione AIRE per trasferimento da altra AIRE 24. Cancellazione AIRE per morte 25. Cancellazione AIRE per trasferimento in altra AIRE 26. Cancellazione AIRE per irreperibilità presunta 27. Cancellazione AIRE per rimpatrio: stesso Comune di iscrizione AIRE 28. Cancellazione AIRE per rimpatrio: altro Comune di iscrizione AIRE 29. Cancellazione AIRE per perdita della cittadinanza italiana 30. Iscrizione e cancellazione dallo schedario della popolazione temporanea 31. Procedimento di verifica della dimora abituale 32. Rilascio attestazione iscrizione anagrafica cittadino UE 33. Rilascio attestato di soggiorno permanente cittadino UE 34. Registrazione della convivenza di fatto 35. Registrazione del contratto di convivenza 36. Rilascio certificazioni ed elenchi anagrafici

SCHEDE STATO CIVILE A cura di Maria Teresa Magosso 1. Nascite iscrizioni 2. Nascite trascrizioni 3. Nascite in APR 4. Nascite in AIRE 5. Riconoscimento fuori dal matrimonio 6. Filiazione non riconosciuta 7. Tutela dell’incapace 8. Modifiche status figlio 9. Rettifica sesso 10. Adozioni 11. Traduzione atti dall’estero 12. Legalizzazione atti dall’estero 13. Imposta di bollo per trascizioni 14. Incompatibilità funzioni 15. Correzioni e rettifiche 16. Attribuzione del nome 17. Attribuzione del cognome 18. Cambiamento del prenome 19. Cambiamento del cognome 20. Cognome dell’adottato 21. Pubblicazioni: adempimenti 22. Nulla osta al matrimonio 23. Luoghi di matrimonio 24. ATTI DI MATRIMONIO 25. Matrimoni regolati da intese 26. Matrimoni culti ammessi 27. Scelta patrimoniale in Italia e all’estero 28. Riconciliazione 29. Separazione e scioglimento del matrimonio 30. Negoziazione assistita art. 12 dl 132/2014 31. Accordo ufficiale stato civile art. 6 dl 132/2014 32. Acquisto cittadinanza italiana del minore 33. Acquisto cittadinanza italiana del maggiorenne 34. Perdita della cittadinanza italiana 35. Rinuncia della cittadinanza italiana 36. Riacquisto della cittadinanza italiana 37. Riconoscimento della cittadinanza italiana 38. Cittadinanza della donna coniugata 39. Richiesta di costituzione di unione civile 40. Atti di costituzione di unione civile 41. Scioglimento dell’unione civile 42. Atti di morte 43. Deposito dat

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Anagrafe minimassimario

Minimassimario Le sottoscrizioni elettorali sono valide anche se manca la data. Il Consiglio di Stato ha chiarito che in materia di autenticazioni delle firme nelle competizioni elettorali, la mancanza della data non ne comporta l’invalidità. Ciò perchè in tale materia vigono regole speciali rispetto a quelle ‘ordinarie’ sulle autenticazioni, desumibili per queste ultime dall’art. 2703 del codice civile e dall’art. 72 della legge notarile del 1913. Laddove peraltro l’art. 72 prevede l’apposizione della data e del luogo nell’autenticazione, mentre la disposizione generale dell’art. 2703, comma secondo, non prevede espressamente la data dell’autenticazione tra i requisiti formali richiesti a pena di nullità dell’autenticazione stessa, limitandosi a definirla quale «attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza» e a richiedere, previamente, l’identificazione della persona che sottoscrive. E l’art. 1, comma 1, lett. i), del D.P.R. 445/2000, nel dare la definizione della «autenticazione di sottoscrizione», si riferisce alla «attestazione, da parte di un pubblico ufficiale, che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, previo accertamento dell’identità della persona che sottoscrive», senza richiamare la data ed il luogo. La circostanza che, di solito, l’autenticazione segua immediatamente la sottoscrizione non implica che la contestualità temporale sia un elemento essenziale dell’autenticazione, sicchè la mancanza della contestualità non ne comporta l’inesistenza. Per le autenticazioni nelle competizioni elettorali è da considerarsi preferibile l’applicazione dell’art. 21, comma 1, del D.P.R. 445/2000 e non già del comma 2. D’altra parte, pur se si dovesse ritenere applicabile il comma 2 (che richiede l’indicazione della data e del luogo di autenticazione) non per questo la mancanza della data, nell’autenticazione, comporta l’invalidità ipso iure della stessa autenticazione. [Consiglio di Stato, sentenza n. 1987 del 16 maggio 2016]

La carta di identità al cittadino AIRE Il sindaco è tenuto a rilasciare la carta di identità alle persone aventi nel Comune la loro residenza o la loro dimora [art. 3 del TULPS, R.D. 773/1931, modificato dall’art. 10, comma 5, lett. a), D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito in legge n. 106/2011]. La legge finanziaria del 2006 ha stabilito che dal 1° giugno 2007 gli uffici consolari sono autorizzati a rilasciare e a rinnovare la carta d’identità a favore dei cittadini italiani residenti all’estero ed iscritti al registro dell’AIRE. Ne è seguita la circolare del Ministero dell’Interno n. 34/2007 che ha illustrato le modalità necessarie per questo rilascio (o rinnovo). Altre norme in materia non risultano; il cittadino iscritto all’AIRE e di ‘passaggio’ in Italia potrà chiedere il rilascio della carta di identità sia al Comune di residenza (iscrizione AIRE) che al Comune in cui sia in quel momento dimorante — ferma restando la necessità della conferma dati e richiesta/rilascio del nulla-osta da parte del Comune di iscrizione. (a cura di Giovanni Pizzo Già Dirigente dei Servizi Demografici del Comune di Piove di Sacco - PD)

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Atti Ufficiali normativa l prassi l giurisprudenza

a cura di: Donato Berloco e Gabriele Casoni

Rassegna normativa Legge 1 dicembre 2018, n. 132. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonchè misure per la funzionalità del Ministero dell’Interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Delega al Governo in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate. (G.U. Serie Generale n. 281 del 3 dicembre 2018) Note: Entrata in vigore del provvedimento: 4 dicembre 2018 Testo coordinato del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113. Testo del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 231 del 4 ottobre 2018), coordinato con la legge di conversione 1º dicembre 2018, n. 132 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonchè misure per la funzionalità del Ministero dell’Interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.». (G.U. Serie Generale n. 281 del 3 dicembre 2018)

Istituto Nazionale di Statistica. Comunicato. Indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relativi al mese di ottobre 2018, che si pubblicano ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), ed ai sensi dell’art. 54, della legge del 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica). (G.U. Serie Generale n. 281 del 3 dicembre 2018) Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 24 ottobre 2018. Autorizzazione ad assumere, a tempo indeterminato, unità di personale in favore della Guardia di finanza, della Polizia di Stato, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, della Polizia penitenziaria e dell’Arma dei carabinieri. (G.U. Serie Generale n. 282 del 4 dicembre 2018) Decreto-Legge 14 dicembre 2018, n. 135 Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione. (G.U. Serie Generale n. 290 del 14 dicembre 2018) Note: Entrata in vigore del provvedimento: 15 dicembre 2018 Ministero dell’Interno. Decreto 7 dicembre 2018. Differimento del termine per la deliberazione del bilancio di

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Atti Ufficiali normativa l prassi l giurisprudenza

previsione 2019/2021 degli enti locali dal 31 dicembre 2018 al 28 febbraio 2019. (G.U. Serie Generale n. 292 del 17 dicembre 2018)

sensi del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, al di fuori dei casi di cui all’art. 211 del decreto stesso. (Delibera n. 1102). (G.U. Serie Generale n. 295 del 20 dicembre 2018)

Legge 17 dicembre 2018, n. 136. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, recante disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria.

Autorità Nazionale Anticorruzione. Delibera 21 novembre 2018.

(G.U. Serie Generale n. 293 del 18 dicembre 2018)

Approvazione definitiva dell’Aggiornamento 2018 al Piano Nazionale Anticorruzione. (Delibera n. 1074).

Note: Entrata in vigore del provvedimento: 19 dicembre 2018

(G.U. Serie Generale n. 296 del 21 dicembre 2018 - Suppl. Ordinario n. 58).

Testo coordinato del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119.

Autorità Nazionale Anticorruzione. Delibera 24 ottobre 2018.

Testo del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 247 del 23 ottobre 2018), coordinato con la legge di conversione 17 dicembre 2018, n. 136 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale - alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria.».

Regolamento disciplinante i procedimenti relativi all’accesso civico, all’accesso civico generalizzato ai dati e ai documenti detenuti dall’ANAC e all’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi della legge n. 241/1990. (Delibera n. 1019). (G.U. Serie Generale n. 297 del 22 dicembre 2018)

(G.U. Serie Generale n. 293 del 18 dicembre 2018) Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 novembre 2018.

Autorità Nazionale Anticorruzione. Delibera 21 novembre 2018. Regolamento per l’esercizio della funzione consultiva svolta dall’Autorità nazionale anticorruzione ai sensi della legge 6 novembre 2012, n. 190 e dei relativi decreti attuativi e ai

Autorizzazione ad avviare procedure di reclutamento e ad assumere unità di personale, in favore di varie amministrazioni. (G.U. Serie Generale n. 298 del 24 dicembre 2018)

Prassi Circolare del Ministero dell’Interno - Gabinetto del Ministro del 18 dicembre 2018, prot. n. 83774 ad oggetto: Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonchè misure per la funzionalità del Ministero dell’Interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata», convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132. Nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 281 del 3 dicembre u.s. è stata pubblicata la legge 1° dicembre 2018, n. 132, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante «Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonchè misure per la funzionalità del Ministero dell’Interno e

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l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata». Il provvedimento consta di 74 articoli e si suddivide in quattro Titoli. Il Titolo I reca disposizioni in materia di rilascio di speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario nonchè in materia di protezione internazionale e di immigrazione, finalizzate ad una più efficiente ed efficace gestione del fenomeno migratorio, nonchè ad introdurre mezzi di contrasto del rischio di un ricorso strumentale agli istituti di tutela previsti. Il Titolo II contiene norme finalizzate a rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla sicurezza urbana, alla minaccia del terrorismo e al contrasto delle infiltrazioni criminali negli appalti pubblici e negli enti locali. Presupposto per il migliore utilizzo degli strumenti introdotti, è la massima circolarità delle informa-


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zioni tra i diversi interlocutori istituzionali, obiettivo tenacemente perseguito dal legislatore della riforma e ripetutamente sottolineato nel testo del provvedimento. Il Titolo III prevede, nel Capo I, interventi per la funzionalità del Ministero dell’Interno, con riferimento sia al complessivo disegno di riorganizzazione dell’Amministrazione civile che a specifiche norme concernenti il personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco; nel Capo II, misure volte a rafforzare l’organizzazione e l’operatività dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati, così da potenziare le attività di contrasto alle organizzazioni criminali. Da ultimo, nel Titolo IV sono inserite le norme finanziarie e finali. Nell’illustrare, di seguito, le principali disposizioni d’insieme, si fa presente che i Dipartimenti interessati provvederanno ad emanare le istruzioni di carattere operativo e applicativo sugli argomenti di specifica competenza, secondo una tempistica che terrà conto della necessità di assicurare immediato impulso a quelle attività che, già nel breve periodo, appaiono in grado di produrre effetti concreti, sia in chiave di protezione internazionale e immigrazione, che di prevenzione e contrasto dei fenomeni criminali nonchè di complessivo rafforzamento dell’azione dello Stato e delle Autonomie locali sul territorio. ***** Riguardo al tema immigrazione — sempre più centrale nelle politiche nazionali, in relazione all’esposizione del nostro Paese, per la sua collocazione geografica, ai movimenti di persone verso l’Europa — è stato introdotto un insieme organico di norme che concorre alla strutturazione di una nuova linea operativa di governo del fenomeno in questione, che ha già portato all’attivazione di dinamiche positive sul piano della gestione. L’assunzione di un ruolo proattivo da parte del nostro Paese, attraverso iniziative sui diversi, ma interconnessi, piani internazionale, europeo e nazionale, unitamente a un più incisivo controllo della frontiera marittima, ha infatti già consentito, nell’immediato, una decisa contrazione degli arrivi irregolari sulle coste italiane (oltre l’80% in meno rispetto all’anno scorso). Si è inteso, innanzi tutto, disinnescare l’equazione automatica tra salvataggio in mare degli immigrati e il loro sbarco e ingresso nel nostro Paese, rilanciando con forza nelle sedi europee il correlato tema della ripartizione tra Stati membri a seguito di operazioni di ricerca e soccorso in mare, in base al principio di solidarietà stabilito dagli stessi Trattati europei (art. 80, Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea). Non meno significative le iniziative, tuttora in corso, in ambito internazionale, per valorizzare il potenziale apporto dei Paesi di origine e di transito dei flussi stessi, anche investen-

do nella cosiddetta capacity building di partner strategici, tra cui i predetti Paesi. In parallelo, è stata anticipata — con direttive del 4 e del 23 luglio 2018, rispettivamente, in materia di protezione umanitaria e di accoglienza di richiedenti asilo nonchè con direttive del 20 novembre e del 12 dicembre 2018 riguardanti il nuovo schema di capitolato di appalto per centri di prima accoglienza, centri di permanenza per il rimpatrio, hotspot — l’implementazione di nuove linee di indirizzo, poi recepite nella normativa in esame, che ne rappresenta il coerente sviluppo. Quest’ultima, unitamente alla revisione in corso dei meccanismi di intervento in mare per contrastare i trafficanti di esseri umani, concorre all’obiettivo di riportare, nel medio periodo, l’intero sistema nazionale a una gestione ordinata e sostenibile, basata su canali legali di ingresso e sul rimpatrio degli immigrati in condizioni di soggiorno irregolare, esposti al rischio di marginalità sociale e di coinvolgimento in attività illegali. In una visione di prospettiva, il «sistema asilo» italiano, come ridisegnato, intende connotarsi da tempi celeri nell’esame delle relative istanze nonchè da un’effettiva tutela delle persone che necessitano di protezione internazionale, in favore delle quali vengono riorientate le risorse a disposizione per finalità di integrazione per corrispondere a una ragionevole aspettativa di un soggiorno a lungo termine nel nostro Paese. Nell’ottica di un imprescindibile superamento di un «diritto di permanenza indistinto» (Corte dei Conti, deliberazione n. 3/2018) determinatosi de facto, sono stati introdotti meccanismi di semplificazione procedurale, nel rispetto della persona e in conformità alle normative europee, per casi predeterminati di istanze evidentemente finalizzate al prolungamento di un soggiorno del quale non si avrebbe titolo. Come noto, la «protezione umanitaria» è stata originariamente concepita quale misura residuale del sistema nazionale di protezione, rivolta a persone in condizioni di vulnerabilità ed esposte nel proprio Paese a violazione di diritti fondamentali, cui non poteva essere riconosciuto uno status «ordinario». Nel tempo, la stessa era tuttavia divenuta una figura dai contorni indistinti, oggetto di applicazione disarmonica sul territorio, sviando di fatto dall’originaria funzione. Il ricorso strumentale ad istituti sorti per assicurare tutela alle persone con effettive necessità di protezione ha peraltro comportato una proliferazione di istanze già in origine visibilmente non meritevoli di accoglimento, con intasamento dell’ordinaria attività delle Commissioni territoriali preposte all’esame delle stesse e un irragionevole prolungamento del soggiorno in Italia di persone in attesa di una definizione della propria posizione, con conseguenti oneri sul sistema di accoglienza. Rileva al riguardo che, su circa 40.000 tutele umanitarie riconosciute dalle Commis-

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sioni territoriali negli ultimi tre anni, poco più di 3.200 sono state le conversioni in permesso di lavoro e circa 250 in ricongiungimenti familiari. La «protezione umanitaria» non si è rivelata pertanto un adeguato strumento di integrazione, determinando, peraltro, l’incremento degli oneri per rimpatriare chi non ha convertito il relativo permesso in altro titolo di soggiorno regolare e, soprattutto, l’effetto originariamente non previsto di moltiplicazione dei casi di reale marginalità sociale, riguardanti persone che, al termine di un percorso destinato a rimanere senza sbocchi, hanno prolungato la permanenza sul territorio nazionale, in condizioni di assoluta fragilità e povertà, spesso foriere di attrazione in circuiti criminali. Il provvedimento interviene, pertanto, nei sensi sopra indicati, su diversi atti di normazione primaria: il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (D.Lgs. 25/07/1998, n. 286); i provvedimenti attuativi delle direttive europee in materia di attribuzione di uno status di protezione e procedure comuni per il riconoscimento e la revoca dello stesso (D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142; D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25; D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251); le disposizioni concernenti il sistema SPRAR (D.L. n. 416/1989, convertito con legge n. 39/1990). L’istituto della «protezione umanitaria» — peraltro non riconducibile direttamente a obblighi europei — è stato razionalizzato (art. 1), enucleando le seguenti tipologie (tra cui alcune già previste, e ridefinite, altre desunte dalla prassi delle Commissioni Territoriali) di permessi di soggiorno «speciali» per esigenze di carattere umanitario, aventi durata limitata e in taluni casi convertibili ove l’interessato si sia effettivamente integrato: —  cure mediche (art. 19, comma 2, lett. d-bis del D.Lgs. n. 286/1998 – Testo Unico in materia di Immigrazione); —  protezione per «casi speciali» connessi a: motivi di protezione sociale ossia le vittime di violenza o di grave sfruttamento (art. 18 TUI); per le vittime di violenza domestica (art. 18-bis TUI); situazioni di contingente ed eccezionale calamità (art. 20-bisTUI); particolare sfruttamento del lavoratore straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel relativo procedimento penale (art. 22, comma 12-quater TUI); atti di particolare valore civile (art. 42-bis TUI); —  protezione speciale, connessa alla impossibilità di sottoporre lo straniero a espulsione o respingimento (art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 25/2008 in materia di procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di protezione internazionale), in attuazione del cosiddetto principio del non-refoulement (art. 19, commi 1 e 1.1, TUI). Con l’obiettivo di ridurre il numero di pratiche pendenti, il provvedimento ha stabilito (art. 9) la possibilità di ampliare, in via temporanea, la rete delle sezioni delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale, fino a un massimo di dieci.

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L’effetto atteso di tale misura — ossia ricondurre, in linea generale, nei tempi stabiliti dalla normativa vigente (articolo 27 del D.Lgs. n. 25/2008) l’esame delle nuove istanze di protezione internazionale — è rafforzato dall’insieme delle disposizioni introdotte per disincentivare la proposizione di domande pretestuose o strumentali, consentendo alle competenti Commissioni territoriali di esaminare le situazioni che, effettivamente, meritano un approfondimento. In tal senso, le procedure accelerate — previste anche in frontiera ovvero nelle «zone di transito» (con possibilità di istituire fino a ulteriori 5 sezioni delle predette Commissioni) — hanno l’obiettivo di ridurre i termini dei procedimenti, tra l’altro, in caso di «domanda manifestamente infondata» (art. 7-bis) e di domande presentate, dopo che l’interessato è stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento (art. 9, che ha modificato l’art. 28-bis del D.Lgs. n. 25/2008). Del pari, sono state individuate, quali cause di inammissibilità, la proposizione di domanda identica sulla quale è stato già espresso un diniego nonchè la domanda reiterata, presentata nella fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento, al solo scopo di ritardarne o impedirne l’esecuzione (art. 9). In tale contesto, assume altresì rilevanza l’utilizzo di uno «strumento di semplificazione» previsto dalla normativa europea (direttiva 2013/32/UE), ossia la lista dei «Paesi di origine sicuri», da adottarsi con decreto del Ministro degli Affari Esteri, di concerto con i Ministri dell’Interno e della Giustizia, anche in base alle informazioni fornite dalla Commissione Nazionale per il diritto di Asilo, la cui attività istruttoria è già stata avviata (art. 7-bis). Al concetto di Paese di origine sicuro — la cui lista dovrà essere periodicamente aggiornata — viene infatti collegata una presunzione iuris tantum di manifesta infondatezza dell’istanza, cui sono connessi l’esame prioritario e una procedura accelerata, con inversione dell’onere della prova a carico del richiedente in ordine alle condizioni di «non sicurezza» del Paese stesso in relazione alla propria situazione particolare. Tale previsione normativa affronta l’anomalia riscontrata con riguardo alla presentazione di istanze di protezione internazionale da parte di soggetti provenienti da Paesi che partecipano ad organismi internazionali, nei quali è presente un ordinamento giuridico democratico, in cui è assicurato il rispetto dei diritti fondamentali e con i quali si intrattengono proficui rapporti di collaborazione e cooperazione, istanze che, in base all’ordinamento previgente, dovevano essere comunque istruite, con modalità, procedure e tempi del tutto eguali a quelle proposte da persone che fuggono da oggettive condizioni di persecuzione ovvero da situazioni di pericolo connesse a un possibile grave danno alla persona.


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Finalità diversa ha, invece, il meccanismo di esame immediato stabilito (art. 10) nel caso in cui il richiedente protezione internazionale sia sottoposto a procedimento penale per uno dei reati riconosciuti di particolare gravità nell’ordinamento ed è considerato pericoloso per la sicurezza dei cittadini. Coerentemente, la nuova cornice delineata muove dall’esigenza di segnare una netta differenziazione tra gli investimenti in termini di accoglienza e integrazione da destinare a coloro che hanno titolo definitivo a permanere sul territorio nazionale rispetto ai servizi di prima accoglienza e assistenza, da erogare a coloro che sono in temporanea attesa della definizione della loro posizione giuridica. Pertanto, il sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) assume la nuova connotazione di Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI), nel quale vengono assicurate le iniziative di orientamento e quei servizi «integrati» che agevolano l’inclusione sociale e il superamento della fase di assistenza, per conseguire una effettiva autonomia personale. Per le stesse finalità di integrazione sociale, coloro che hanno ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale potranno essere coinvolti nello svolgimento di attività di utilità sociale (art. 12). Di conseguenza, ai richiedenti asilo — che, peraltro, non saranno più iscritti nell’anagrafe dei residenti (art. 13) — vengono dedicate le strutture di prima accoglienza (CARA e CAS), all’interno delle quali permangono, come nel passato, fino alla definizione del loro status. Con disciplina transitoria, è previsto (art. 12, commi 5 e 6) che i richiedenti asilo e i titolari di permesso umanitario rilasciato ai sensi della precedente normativa, già presenti nel sistema SPRAR alla data del 5 ottobre u.s. (di entrata in vigore del decreto stesso), rimangano in accoglienza fino alla scadenza del progetto in corso. Inoltre, i minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo rimangono, al compimento della maggiore età, nel Sistema di Protezione fino alla definizione della domanda di protezione internazionale (art. 12, comma 5-bis). Dal quadro sopra delineato, si desume l’assoluta invarianza delle condizioni tracciate dalle precedenti direttive ministeriali in materia di prima accoglienza nonchè l’esigenza, come per il passato, di verifiche giornaliere in ordine alla presenza degli immigrati in accoglienza e alle connesse uscite (a titolo esemplificativo, si richiamano le direttive n. 3710 del 4 marzo 2014, n. 1763 del 19 febbraio 2015, n. 2521 del 22 marzo 2016, n. 146 del 14 luglio 2017, n. 16250 del 23 novembre 2017 e n. 4568 del 4 aprile 2018) — considerate «elemento essenziale ai fini della rendicontazione della spesa» — e, in maniera periodica, in ordine alla sussistenza delle condizioni previste per la permanenza all’interno del sistema di accoglienza, anche riferite allo status (n. 2521 del 22 marzo 2016). Tali verifiche debbono rimanere improntate ai principi di monitoraggio della re-

golarità amministrativo-contabile delle presenze nei centri. Le SS.LL. avranno cura di rendere partecipi i Sindaci dei territori interessati dalle presenze nei centri affinchè possano disporre degli occorrenti elementi di rassicurazione circa l’assoluta, sostanziale invarianza delle regole di accoglienza delle persone già ospiti in tali strutture, per le motivazioni sopra esposte, con ciò contribuendo a dissipare l’immotivata diffusione di preoccupazioni circa gli effetti che la nuova normativa produrrebbe in termini di incremento della «marginalità sociale». Del resto, a riprova di tale assunto, possono citarsi i dati relativi alle fuoriuscite dai centri dall’inizio dell’anno, a normativa previgente, che testimoniano un trend fisiologico di riduzione dei numeri nel sistema di accoglienza nazionale. Dall’inizio dell’anno al 4 dicembre (in cui risultavano presenti, rispettivamente, 183.732 persone e 141.175 persone), data di entrata in vigore del provvedimento in oggetto, quasi 43.000 persone sono fuoriuscite dal sistema di accoglienza, con un andamento medio costante nei mesi, che ha registrato nello scorso mese di aprile il picco massimo di decremento di presenze in accoglienza pari a 5.560 persone, a fronte di nuovi arrivi sempre nello stesso mese, di oltre 3.000 immigrati via mare. Al fine di incentivare una governance quanto più possibile condivisa nell’ambito della distribuzione territoriale dei richiedenti asilo, valorizzando nel contempo un principio autonomistico nella gestione dell’accoglienza, è stata prevista l’acquisizione di un parere, di carattere preventivo, da parte dell’Ente locale, in caso di attivazione di nuove strutture da parte delle SS.LL., che presuppone lo sviluppo di apposite interlocuzioni tra i diversi soggetti interessati. Il nuovo Sistema di Protezione è, invece, esteso anche ai titolari dei permessi per cure mediche e di protezione per «casi speciali», qualora non accedano a sistemi di protezione specificamente dedicati Nulla è modificato relativamente ai minori stranieri non accompagnati che — in continuità con il passato — accedono al citato Sistema di protezione a prescindere dall’eventuale proposizione dell’istanza di protezione internazionale. In buona sostanza, le modifiche introdotte rappresentano il coerente corollario della rimodulazione del sistema di accoglienza con cui, attraverso la contrazione dei tempi di esame delle domande, si riducono altresì i tempi di permanenza nelle strutture di prima accoglienza che, considerato il significativo trend in decrescita dei flussi, si stanno peraltro progressivamente decongestionando. Del resto, la stessa Corte dei Conti, nella relazione trasmessa al Parlamento (deliberazione n. 3/2018) aveva già prospettato l’esigenza di evitare «un’accoglienza di molti mesi (se non anni) durante i quali i migranti, non avendone titolo, vengono di fatto inseriti anche nei cd. percorsi di formazione professionale finalizzati all’integrazione, con oneri finanziari gravosi a carico del bilancio dello Stato».

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Il sistema nazionale di accoglienza continua a basarsi sul principio del coordinamento a livello nazionale e regionale. Al riguardo, si invitano i Signori Prefetti dei capoluoghi di regione a voler assumere le iniziative ritenute del caso per una coordinata attuazione delle nuove disposizioni in materia di accoglienza, mantenendo un costante flusso informativo con le articolazioni centrali di questa Amministrazione. Si fa presente al riguardo che, come stabilito dal provvedimento in esame, con successivo decreto, previo parere della Conferenza unificata, saranno fissati i criteri e le modalità per la presentazione, da parte degli enti locali, delle domande di contributo per la realizzazione e la prosecuzione dei progetti di accoglienza. Si richiama altresì l’attenzione delle SS.LL. sui nuovi obblighi di trasparenza posti in capo alle cooperative sociali che svolgono attività in favore di stranieri (art. 12-ter), che sono tenute a pubblicare trimestralmente sui propri siti o portali digitali l’elenco dei soggetti a cui vengono corrisposte somme per lo svolgimento di servizi finalizzati ad attività di integrazione, assistenza e protezione sociale. Disposizioni di «chiusura» nella gestione dei flussi migratori riguardano necessariamente il tema del rimpatrio di coloro che non possono permanere in territorio nazionale, obiettivo per il quale è stato necessario rafforzare gli istituti che ne possano assicurare una maggiore effettività. A tale ultimo scopo, è stato prolungato il tempo di trattenimento nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (fino a 180 giorni) disciplinando altresì le modalità per il possibile utilizzo di strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica Sicurezza, anche presso gli uffici di frontiera. Presso i CPR potranno peraltro transitare i richiedenti asilo, per i quali non è stato possibile determinare l’identità e la cittadinanza, a seguito del precedente trattenimento presso i cosiddetti hotspot, fino a un massimo di trenta giorni (art. 3 del provvedimento). La particolare attenzione riservata con la legge 13 aprile 2017, n. 46 al tema dell’allontanamento di chi non ha titolo per permanere in territorio nazionale è alla base delle iniziative avviate per l’ampliamento in corso della rete dei CPR. Proprio per l’attivazione di nuove strutture, è stato autorizzato — per un periodo non superiore a tre anni dalla data di entrata in vigore del provvedimento — il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, ferma restando l’esigenza di rivolgere l’invito ad almeno cinque operatori economici (art. 2 comma 2). La disposizione in esame, unitamente al nuovo schema di capitolato di appalto trasmesso alle SS.LL. con separata nota, rappresentano utili strumenti di supporto per le SS.LL., agevolando nel contempo la messa in campo di una più efficace politica di rimpatrio. ***** Con riguardo alla sicurezza pubblica, la normativa inter-

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viene in modo significativo su importanti ambiti materiali che vanno dalla prevenzione e contrasto del terrorismo al rafforzamento degli strumenti a disposizione delle Autorità provinciali di pubblica sicurezza e delle Forze di polizia nella lotta alla criminalità organizzata, dall’introduzione di nuove figure di reato che incidono sulla vivibilità delle nostre città ai temi, sempre più attuali, delle politiche per la sicurezza urbana; e lo fa con un complesso di disposizioni, in alcuni casi complementari o in stretto collegamento tra loro, connotate dal chiaro intento, una volta a regime, di elevare la cornice di sicurezza nei territori. Si tratta di disposizioni che ribadiscono il ruolo centrale del Prefetto nelle politiche di governo della sicurezza pubblica a livello provinciale, che riconoscono un ruolo di sempre maggiore rilievo ai Sindaci sui temi della sicurezza urbana, che potenziano gli strumenti a disposizione della Polizia locale anche in relazione all’ampliamento dei contesti nei quali essa è chiamata ad intervenire. Le predette norme hanno, tra l’altro, il pregio di definire, in termini sempre più cooperativi, il sistema di rapporti tra l’Amministrazione statale e le Amministrazioni locali e tra le Forze di polizia e la Polizia locale, anche e soprattutto attraverso il rafforzamento dello scambio informativo e della collaborazione operativa. Le cennate disposizioni, in alcuni ambiti d’intervento, sono accompagnate da specifiche previsioni preordinate, attraverso l’istituzione di nuovi Fondi o l’alimentazione di quelli esistenti, al trasferimento di risorse, in specie a favore dei Comuni — che potranno cominciare a beneficiarne, in alcuni casi, sin dall’anno in corso — ovvero al rafforzamento delle capacità assunzionali del personale della Polizia locale. Nel quadro delle strategie messe in campo dal Governo per contrastare le grandi organizzazioni mafiose, assumono notevole importanza le disposizioni volte a potenziare l’azione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. A poco più di un anno dall’entrata in vigore della più recente riforma del codice antimafia (legge 17 ottobre 2017, n. 161), il provvedimento in oggetto rafforza l’autonomia finanziaria dell’Agenzia e ne rivisita gli assetti organizzativi, introduce meccanismi di semplificazione nella gestione e destinazione dei beni e dà impulso all’implementazione della dotazione organica, prevedendo, per la prima volta dalla sua istituzione, la possibilità di assumere personale e acquisire nuove professionalità dall’esterno e non solo attraverso procedure di mobilità (art. 37). Nel sottolineare che diverse misure introdotte richiedono, per il pieno dispiegamento della loro efficacia, l’adozione di atti amministrativi discendenti, nella forma di decreti o di direttive e linee guida, si rappresenta che, già nei prossimi giorni, saranno impartite specifiche indicazioni in tema di prevenzione delle occupazioni abusive degli immobili mentre è in corso l’adozione del decreto interministeriale di


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ripartizione delle risorse del nuovo Fondo per le politiche di attuazione della sicurezza urbana. Tanto premesso, nel fornire di seguito un quadro ricognitivo delle principali disposizioni recate dal provvedimento, si richiama l’attenzione su alcuni contenuti dai tratti fortemente innovativi, ai quali vengono dedicati specifici approfondimenti. Come è noto, il decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017, n. 48, affida ai Sindaci ed alle Autorità di pubblica sicurezza strumenti operativi, indicati nel Capo II dello stesso decreto, volti a prevenire e contrastare l’insorgenza di condotte di diversa natura che — pur non costituendo violazioni di legge — sono comunque di ostacolo alla piena mobilità e fruibilità di specifiche aree pubbliche. Il riferimento è all’ordine di allontanamento e al divieto di accesso (c.d. daspo urbano). I predetti istituti potranno ora trovare applicazione anche presso i presidi sanitari e le aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati e pubblici spettacoli. Inoltre, è aumentata la durata del provvedimento a carico dell’interessato quando ricorrono circostanze ritenute di particolare disvalore e sono introdotte sanzioni penali in caso di inottemperanza al divieto. In chiave di prevenzione dei reati e di possibili turbative dell’ordine pubblico, l’ambito applicativo del divieto di accesso viene esteso anche agli esercizi pubblici e ai locali di pubblico trattenimento, nonchè alle loro immediate vicinanze, limitatamente alle persone che siano state condannate negli ultimi tre anni per reati commessi in occasione di gravi disordini avvenuti negli stessi locali, ovvero per reati contro la persona e il patrimonio o in materia di stupefacenti. Per prevenire situazioni d’illegalità o di pericolo per l’ordine e la sicurezza all’interno o nelle immediate vicinanze degli esercizi pubblici, viene introdotta la possibilità di sottoscrivere, tra il Prefetto e le organizzazioni maggiormente rappresentative del settore, specifici accordi, sulla base di linee guida nazionali di prossima approvazione. L’adesione ed il puntuale rispetto dell’accordo saranno valutati dal Questore anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti di competenza, ai sensi dell’art. 100 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con Regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (sospensione o revoca della licenza). Risponde allo stesso fine e, più in generale, all’esigenza di assicurare migliori condizioni di vivibilità per i cittadini residenti nei luoghi di maggiore aggregazione, la disposizione che amplia il potere di ordinanza demandato al Sindaco in qualità di rappresentante della comunità locale, ai sensi dell’art. 50 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. In proposito, vengono forniti nuovi strumenti ai Sindaci, consentendo loro, con proprie ordinanze, di limitare l’orario di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche

e superalcoliche in tutte le aree interessate da fenomeni di aggregazione notturna, nonchè di limitare l’orario di vendita degli esercizi del settore alimentare o misto, e delle attività artigianali di produzione e vendita di prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato e di erogazione di alimenti e bevande attraverso distributori automatici. L’eventuale inosservanza dei provvedimenti sindacali può comportare anche la sospensione dell’attività commerciale. Nel catalogo delle misure volte ad accrescere la sicurezza urbana, si collocano anche l’introduzione nel codice penale del reato di esercizio molesto dell’accattonaggio e la nuova disciplina dell’esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore o guardiamacchine. Infine, novellando l’articolo 1 del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, viene sanzionato come reato, oltre al già previsto blocco di strada ferrata, il blocco stradale, fatta eccezione per quello su una strada ordinaria attuato mediante ostruzione con il proprio corpo, fattispecie che era stata depenalizzata dal decreto legislativo n. 507 del 1999. I predetti reati vanno ad integrare il catalogo di quelli per i quali, in presenza di condanna definitiva, consegue la mancata concessione allo straniero del visto d’ingresso in Italia. ***** Nel contesto del provvedimento, costituisce una novità di assoluto rilievo la disciplina in materia di occupazioni arbitrarie di immobili, che reca un articolato insieme di misure finalizzate a prevenire e contrastare il fenomeno, riconosciuto come fonte di gravi tensioni sociali e di situazioni di illegalità, specie nelle grandi città. Tra gli interventi di contrasto, si segnalano l’inasprimento delle pene fissate nei confronti di promotori od organizzatori dell’invasione, nonchè la possibilità di disporre intercettazioni a loro carico. Ulteriore, significativa novella ha riguardato l’art. 11, del decreto-legge n. 14 del 2017, che è stato sensibilmente modificato quanto alle competenze del Prefetto, sia nello scongiurare nuove occupazioni che nel procedere all’esecuzione delle ordinanze di rilascio emesse dall’Autorità giudiziaria. Per quanto riguarda l’attività di prevenzione, svolta dalle SS.LL. nelle vesti di autorità provinciali di pubblica sicurezza, saranno a breve diramate apposite istruzioni. In tema di sgomberi, l’art. 11, nella nuova formulazione, definisce puntualmente l’iter procedimentale che deve essere seguito dal Prefetto quando gli viene richiesto l’intervento della forza pubblica per l’esecuzione di un provvedimento di rilascio di immobili occupati arbitrariamente da cui possa derivare pericolo di turbative per l’ordine e la sicurezza. In primo luogo, è stabilita la regola per la quale il Prefetto provvede immediatamente all’esecuzione dello sgombero, dandone comunicazione all’Autorità giudiziaria. Solo qualora non ve ne siano le condizioni, a causa della complessità dell’intervento determinata dalla presenza di

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soggetti in situazione di fragilità, deve essere istituita una cabina di regia — con il coinvolgimento, e la conseguente responsabilizzazione, delle altre Istituzioni interessate — i cui compiti sono circoscritti nel tempo e nei contenuti. Quanto a questi ultimi, si ritiene di sottolineare che le misure da individuare sono esclusivamente quelle «emergenziali» e possono riguardare unicamente le persone cosiddette «vulnerabili» e comprovatamente impossibilitate a reperire soluzioni alloggiative alternative. All’esito dei lavori della cabina di regia, che devono concludersi entro 90 giorni, il Prefetto informa l’Autorità giudiziaria, indicando la data di esecuzione del provvedimento di rilascio o le ragioni che rendono necessario un differimento; quest’ultimo, peraltro, in nessun caso, può avere durata superiore a un anno. A tale proposito, giova ricordare che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’occupazione abusiva di un compendio immobiliare non lede i soli interessi della parte proprietaria ma anche quello dei consociati ad una convivenza ordinata e pacifica e assume un’inequivoca valenza eversiva. La stessa Magistratura ha puntualizzato con estrema chiarezza e assoluto rigore che l’occupazione non può essere giustificata da veri o presunti «stati di bisogno» del reo e che le politiche di «welfare» per garantire il diritto aduna casa non devono compiersi a spese dei privati cittadini, sacrificando la tutela della proprietà. Di tale indirizzo si è già dato conto nella circolare dello scorso 1° settembre, con la quale sono state diramate precise indicazioni operative in ordine all’attuazione degli sgomberi. Si tratta di prescrizioni che si ritengono non solo compatibili ma, anzi, avvalorate dal dato normativo, in quanto volte ad assicurare la massima tempestività dell’iter istruttorio preordinato all’esecuzione dello sgombero, nella consapevolezza che il consolidamento di situazioni d’illegalità può recare un grave pregiudizio ad alcuni dei principali valori di riferimento del nostro ordinamento. Ciò posto, le ragioni di un eventuale differimento, che — si ribadisce — non può comunque superare l’anno, dovranno essere adeguatamente approfondite in seno alla cabina di regia, alla luce delle istruzioni rese con la cennata circolare, e opportunamente documentate, così da consentire all’Autorità giudiziaria di acquisire un quadro chiaro e completo della situazione per le definitive determinazioni di competenza. Da ultimo, la norma riconosce il diritto del proprietario alla liquidazione di un indennizzo, ulteriormente discostandosi dalla disciplina previgente che, nell’ipotesi di annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento di determinazione delle modalità esecutive dello sgombero da parte del Prefetto, ammetteva soltanto il risarcimento in forma specifica, vale a dire la cessazione dell’occupazione abusiva dell’immobile. Tale indennità, per la cui corresponsione è stato istituito un apposito Fondo, deve essere corrisposta per il tempo

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che decorre dalla scadenza dei 90 giorni sino all’esecuzione dello sgombero. Accanto alla regolamentazione a regime della procedura di rilascio degli immobili occupati, ne viene prevista una a carattere eccezionale per l’ipotesi in cui siano state emesse una pluralità di ordinanze di sgombero che impongono una pianificazione degli interventi e la fissazione di un ordine delle priorità. Si tratta di una programmazione che fa, comunque, salvi i termini stabiliti in via ordinaria e che sarà, comunque, improntata a privilegiare occupazioni sanzionate con sequestri giudiziari e quelle che, in qualche modo coinvolgono, per il ruolo organizzativo e attuativo, elementi della criminalità organizzata. Anche in questo caso, inoltre, è previsto che al proprietario sia riconosciuto in via amministrativa un indennizzo e, comunque, la possibilità di impugnare le determinazioni del Prefetto. Per quanto riguarda, infine, la liquidazione dell’indennizzo correlato al mancato godimento del bene, secondo criteri equitativi che devono tenere conto di alcune condizioni stabilite dalla norma, si rappresenta che con successive disposizioni saranno fornite alle SS.LL. tutte le indicazioni occorrenti. ***** Per contribuire al finanziamento delle iniziative dei Comuni in materia di sicurezza urbana, è stato istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’Interno, un apposito Fondo, con una dotazione iniziale di 2 milioni di euro per il 2018 e di 5 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020. Grazie alle risorse del Fondo — che sono state ulteriormente incrementate, per il triennio 2019/2021 di 55 milioni di euro con il disegno di legge di bilancio per il 2019, già approvato da un ramo del Parlamento — sarà possibile procedere anche all’assunzione a tempo determinato di personale della polizia locale, in deroga ai relativi limiti di spesa. La ripartizione e la destinazione delle risorse verranno disciplinate nel dettaglio con decreto ministeriale che, come già detto, è in via di adozione. Sempre in tema di risorse, si segnala che sono state incrementate quelle che possono essere destinate alla realizzazione di impianti di videosorveglianza, ai sensi dell’art. 5, del decreto-legge n. 14 del 2017. Gli ulteriori fondi previsti — pari a 10 milioni per il 2019, 17 per il 2020, 27 per il 2021 e 36 per il 2022 — consentiranno lo scorrimento della graduatoria delle domande di accesso ai contributi presentate in base al decreto attuativo del cennato art. 5 ed il conseguente finanziamento di centinaia di progetti in tutta Italia che, altrimenti, non avrebbero potuto beneficiare di alcun sussidio. ***** In funzione del potenziamento del circuito informativo tra


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soggetti istituzionali e della condivisione del patrimonio di dati e informazioni di rilievo per la sicurezza urbana, è stata ampliata la possibilità di accesso del personale della polizia municipale ai dati presenti nella banca dati interforze CED di questo Ministero. La norma riguarda i Comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti e si applica al personale che assolve compiti di polizia stradale ed in possesso della qualifica di agente di pubblica sicurezza quando procede al controllo ed all’identificazione delle persone al fine di verificare l’esistenza di eventuali provvedimenti di ricerca o di rintraccio nei loro confronti. Nel corso del prossimo anno, tali disposizioni si applicheranno, «progressivamente», agli altri comuni capoluogo di provincia, e potranno essere ulteriormente estese sulla base di parametri determinati con un decreto ministeriale, previo accordo in Conferenza Stato-città e autonomie locali. Sempre nell’ottica di implementare le possibilità operative della Polizia locale, viene consentita la sperimentazione di armi comuni ad impulsi elettrici ai Comuni capoluogo di provincia o con popolazione superiore ai 100.000 abitanti, o che rientrino nei parametri «connessi alle caratteristiche socioeconomiche, alla classe demografica, all’afflusso turistico e agli indici di delittuosità», definiti con decreto ministeriale, previo accordo in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Fermo restando che il personale eventualmente individuato deve essere munito della qualifica di agente di pubblica sicurezza, l’attivazione di tale facoltà e la disciplina della sperimentazione è demandata ad apposito regolamento comunale, adottato nel rispetto di linee generali in materia di formazione, così da assicurare una disciplina tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale. Da ultimo, al fine di rafforzare le attività connesse al controllo del territorio e di potenziare gli interventi in materia di sicurezza urbana, riveste un particolare rilievo il riconoscimento ai Comuni che hanno rispettato gli obiettivi dei vincoli di finanza pubblica nel triennio 2016-2018, della facoltà di assumere personale della polizia municipale nel prossimo anno. La nuova disposizione, prevedendo la possibilità di incrementare la spesa per le assunzioni di tale personale in misura percentuale superiore al 100% ordinariamente prevista per l’anno 2019, consente di fatto il sostanziale recupero del turn over relativo alle pregresse annualità, purchè l’impegno finanziario complessivo sia nei limiti della corrispondente spesa di personale di polizia municipale sostenuta nell’anno 2016. È il caso di evidenziare che la disposizione in esame assicura la sostenibilità di tale spesa, la quale, trattandosi di assunzioni di personale a tempo indeterminato, assume natura strutturale e permanente nel tempo, prevedendo la possibilità di incremento del turn over per i Comuni virtuosi strutturalmente. ***** Come si è avuto modo di anticipare, uno degli elementi

cardine della strategia di prevenzione dei fenomeni criminali che il decreto ha voluto implementare è il potenziamento dei sistemi informativi e l’introduzione di modalità che consentono una sempre più efficace circolarità dei dati relativi a fatti o situazioni rilevanti tra Forze di polizia e CED, ovvero la banca dati che fornisce il supporto informatico per l’attività operativa e investigativa delle componenti istituzionali. Tenuto conto, pertanto, che le modalità degli attacchi terroristici realizzati in altri Paesi hanno evidenziato come una delle tattiche utilizzate consiste nell’impiego di veicoli per colpire indiscriminatamente le persone presenti in luoghi affollati, è stato introdotto l’obbligo per gli esercenti le attività di autonoleggio senza conducente di comunicare i dati identificativi dei clienti, contestualmente alla stipula del contratto e comunque con congruo anticipo rispetto al momento della consegna del veicolo. Tali dati saranno, quindi, oggetto di raffronto da parte del CED con le informazioni già detenute per finalità antiterrorismo, in vista di eventuali, successivi controlli delle Forze di polizia. Con decreto ministeriale, previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, saranno definite le modalità tecniche di trasmissione e conservazione dei dati. Ulteriore misura di prevenzione del rischio terrorismo introdotta consiste nel ricomprendere i soggetti ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale nel novero dei possibili destinatari del divieto di accesso alle manifestazioni sportive (cd. daspo), in quanto considerate obiettivi sensibili per potenziali attacchi. ***** Si è già detto che il provvedimento in esame contiene anche disposizioni in materia di prevenzione e contrasto alla criminalità mafiosa. Al riguardo, si richiama innanzitutto la norma che estende gli effetti dei divieti e delle decadenze conseguenti all’applicazione delle misure di prevenzione anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorchè non definitiva, confermata in grado di appello per i reati di truffa ai danni dello Stato o altro ente pubblico [art. 640, comma 2, numero 1), c.p.] e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.). Come è stato messo in evidenza dalla relazione illustrativa, tale previsione è volta a colmare una lacuna nella disciplina previgente, che non contemplava i reati di truffa ai danni dello Stato tra quelli rilevanti al fine del diniego del rilascio della documentazione antimafia nonostante nella prassi costituiscano le attività delittuose poste in essere più frequentemente per ottenere il controllo illecito degli appalti. È stata, inoltre, prorogata fino al 31 dicembre 2019, la deroga agli artt. 83, comma 3-bis, e 91, comma 1-bis, del codice antimafia, in materia di rilascio della documentazione antimafia, limitatamente ai terreni agricoli che usufruiscono di fondi europei per importi non superiori a 25.000 euro. Per contenere la capacità espansiva delle associazioni ma-

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fiose nel delicato snodo degli appalti pubblici, sono state inasprite le sanzioni nei confronti degli appaltatori che ricorrano illecitamente a meccanismi di subappalto. Inoltre, è stato, ancora una volta, potenziato lo scambio informativo, prescrivendo che il committente o il responsabile debba comunicare l’inizio dell’attività del cantiere, oltre che all’Azienda unità sanitaria locale e alla Direzione provinciale del lavoro, anche al Prefetto territorialmente competente. Analizzando più nel dettaglio quest’ultima previsione, si segnala che, nonostante la norma novelli l’art. 99, comma 1, del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, essa va posta in relazione con le previsioni di cui all’art. 93 del D. Lgs. n. 159 del 2011, che disciplina i poteri di accesso e di accertamento del Prefetto nell’espletamento delle funzioni volte a prevenire infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti. In proposito, appare opportuno, già in questa sede, svolgere alcune considerazioni, anche alla luce dei quesiti pervenuti sull’attuazione della disposizione. Come è noto, l’art. 93 sopra citato prevede, con specifico riferimento al settore degli appalti di lavori pubblici, che il Prefetto può disporre accessi ed accertamenti nei cantieri, non necessariamente a seguito di una richiesta di documentazione antimafia, finalizzati ad accertare eventuali elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa. Gli esiti dell’accesso confluiscono in una relazione sulla base della quale il Prefetto, ove ne ricorrano i presupposti, emette un’informazione interdittiva. Ciò posto, risulta di tutta evidenza come, grazie all’intervento normativo, si realizzi una maggiore circolarità delle informazioni, ponendo le basi per una più capillare cognizione, da parte delle autorità preposte ai controlli antimafia, dell’esistenza di cantieri relativi a opere pubbliche. Per quanto riguarda poi, l’ambito operativo della disposizione, è appena il caso di ricordare che l’obbligo di notifica si applica ai soli cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, ai cantieri che ricadono nella precedente categoria per effetto di varianti sopravvenute in corso d’opera, nonchè ai cantieri con un’unica impresa la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a duecento uomini-giorno. Così chiarita la finalità della disposizione e circoscritta la casistica delle comunicazioni in argomento, le SS.LL. vorranno, innanzitutto, valutare l’opportunità di promuovere in sede locale, anche attraverso lo strumento della Conferenza provinciale permanente, una approfondita conoscenza della novella normativa, che serva a garantirne la corretta applicazione, scongiurando aggravi procedimentali e l’acquisizione di informazioni superflue in grado di congestionare gli uffici. Inoltre, per ottimizzare il funzionamento della rete di prevenzione antimafia, si ritiene che la sistematizzazione delle comunicazioni acquisite e l’individuazione di criteri anche speditivi di distribuzione delle comunicazioni tra le Forze di polizia debbano essere condivise in sede di riunione tecnica di coordinamento. Eventuali evidenze di quest’attività di monitoraggio dovreb-

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bero, quindi, essere sottoposte al gruppo interforze, per l’eventuale attivazione dei poteri di competenza delle SS.LL. ex art. 93 del codice antimafia sopracitato. ***** È già stata ampiamente sottolineata l’importanza che, ai fini del perseguimento di obiettivi di massima efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa rivolta alla sottrazione dei patrimoni illeciti alle organizzazioni criminali, rivestono le disposizioni relative all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati. Si tratta di un pacchetto di norme in grado di incidere in tutti i settori di riferimento dell’attività dell’organismo, valorizzandone autonomia e capacità d’azione. Tra di esse, si richiama la previsione introdotta con riguardo alla vendita dei beni confiscati. Il provvedimento, infatti, ampliando la platea dei possibili acquirenti, ha previsto la possibilità di aggiudicazione al migliore offerente, bilanciandola, tuttavia, con rigorose preclusioni e conseguenti controlli, allo scopo di assicurare che, all’esito dell’asta, il bene non torni nella disponibilità della criminalità organizzata. Lo strumento, a tal fine indicato, consiste nel rilascio dell’informazione antimafia, per il quale si richiamano le consuete procedure. Da ultimo, sempre in tema di Agenzia, si segnala che, per effetto della riforma, è stata resa facoltativa e demandata a una scelta discrezionale del Prefetto l’istituzione del tavolo provinciale permanente sulle aziende sequestrate e confiscate, al fine di favorire il coordinamento tra le istituzioni, le associazioni, le organizzazioni sindacali e le associazioni dei datori di lavoro più rappresentative a livello nazionale. Ne discende che, ove tali organismi siano già stati istituiti, le SS.LL. dovranno analogamente valutare l’opportunità di una loro conferma. ***** Particolarmente significative e in grado di incidere su ambiti di rilievo nella materia della circolazione stradale sono le disposizioni riguardanti il sequestro e la confisca di veicoli a motore nonchè la circolazione dei veicoli immatricolati all’estero. La prima delle norme in questione, le cui modalità applicative costituiranno oggetto di successive istruzioni da parte degli uffici competenti, consentirà, tra l’altro, di semplificare le procedure di affidamento dei veicoli, che ora sono sempre affidati in custodia al proprietario o al conducente, anche quando si tratta di ciclomotori o motocicli, di contenere i costi per l’erario legati al pagamento delle spese di custodia, e di ridurre, attraverso la sistematica rottamazione dei veicoli, le conseguenze ambientali derivanti dai lunghi periodi di permanenza degli stessi all’interno delle depositerie. Altrettanto importante, per l’efficacia dell’azione di prevenzione e contrasto dei reati predatori e della attività criminali, soprattutto in alcune realtà territoriali, è


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la previsione della confisca obbligatoria in tutti i casi in cui i veicoli siano utilizzati per commettere un reato diverso da quelli previsti dal codice della strada, anche nell’ipotesi in cui il conducente sia minorenne. Infine, si segnala che, nell’ottica di prevenire o, quanto meno, circoscrivere gli effetti sulla salute umana, l’ambiente e i beni degli incidenti che potrebbero verificarsi all’interno di impianti di stoccaggio e lavorazione dei rifiuti, la novella dispone l’obbligo per i gestori di predisporre un piano di emergenza interna ed assegna ai Prefetti la redazione, sperimentazione e aggiornamento periodico del piano di emergenza esterna, incaricandoli, altresì, di coordinarne l’attuazione. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, saranno definite le linee guida per la redazione del piano di emergenza esterna e la definizione delle modalità di informazione alla popolazione. ***** Nel quadro delle misure finalizzate a rendere più incisiva l’azione di prevenzione e di contrasto della criminalità organizzata, si collocano anche alcuni significativi interventi in materia di enti locali. Innanzitutto viene previsto, modificando l’art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, un procedimento che consente al Prefetto di adottare interventi straordinari qualora, all’esito dell’attività delle commissioni prefettizie di accesso antimafia, pur non sussistendo i presupposti per lo scioglimento ovvero per l’adozione di provvedimenti nei confronti dei dipendenti, vengano riscontrate in uno o più settori amministrativi anomalie gestionali che possono comprometterne il regolare funzionamento. In tale circostanza, il Prefetto, al fine di ripristinare una situazione di legalità amministrativa, potrà indicare all’Amministrazione locale gli specifici atti da assumere, stabilendo un congruo termine decorso il quale, previa assegnazione

di un ulteriore termine non superiore a venti giorni, potrà nominare un commissario ad acta per l’adozione degli stessi (art. 28, comma 1). È stato, altresì, disposto un rafforzamento delle misure preventive nei confronti degli amministratori degli enti sciolti per mafia, nei cui confronti sia stata dichiarata, con provvedimento definitivo, l’incandidabilità (art. 28, comma 1-bis). In tal caso, infatti, gli stessi non potranno candidarsi per due mandati (anzichè uno) successivi allo scioglimento per tutte le elezioni amministrative e politiche (Camera dei deputati e Senato della Repubblica, Parlamento europeo, elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali). Inoltre, in considerazione del crescente numero di enti locali sciolti per infiltrazione mafiosa, viene previsto un incremento della provvista finanziaria del Fondo che sostiene l’attività di supporto alla gestione straordinaria (art. 29). Da ultimo, nell’ambito delle novità ordinamentali riguardanti questo Ministero, viene stabilita l’istituzione di un Nucleo composto da personale appartenente alla carriera prefettizia, altamente specializzato nelle gestioni commissariali. Il predetto Nucleo consentirà di porre a sistema il prezioso patrimonio di esperienze finora acquisito dai funzionari prefettizi nelle complesse e articolate attività di gestione commissariale presso gli enti sciolti per infiltrazioni mafiose (art. 32-bis). ***** Si confida nella consueta collaborazione delle SS.LL. ai fini di una coordinata attuazione del provvedimento in oggetto, assicurando che successivi chiarimenti potranno essere ulteriormente diramati in esito alle interlocuzioni dirette con le SS.LL. e, in ogni caso, con successive direttive tecnico-operative che, come sopra anticipato, verranno diramate dai Dipartimenti interessati. IL CAPO DI GABINETTO Piantedosi

Giurisprudenza STATO CIVILE T.A.R. Lazio Roma Sez. I-ter, 26 novembre 2018, n. 11410 (Omissis) c. U.T.G. - Prefettura di Rieti e altri. La richiesta del cambiamento di cognome, in ipotesi di soggetto minorenne, deve necessariamente provenire dai soggetti che ne hanno la rappresentanza legale, quindi, nel caso di specie dagli esercenti la potestà genitoriale. Nel caso in cui vi sia accordo tra i medesimi trovano senza dubbio applicazione i principi sopra affermati da ultimo dai giudici costituzionali nella decisione n. 286/2016, di modo che deve

senza dubbio essere riconosciuta la possibilità di trasmettere ai figli, e quindi, di aggiungere al cognome paterno, anche il cognome materno. In caso di disaccordo, all’opposto, tali principi non sono immediatamente applicabili. Si deve avere riguardo, a tale proposito, alla norma dell’art. 320 c.c. sulla rappresentanza e amministrazione dei beni dei figli, secondo cui i genitori esercitano «congiuntamente» (salvo l’ipotesi, che non ricorre nel caso de quo, dell’esercizio in via esclusiva della potestà genitoriale) i poteri di rappresentanza dei figli «in tutti gli atti civili». La richiesta di modifica del cognome del figlio minore, integrando un «atto civile», può essere presentata, allora, dai genitori solo nell’esercizio della rap-

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presentanza legale che trova la sua fonte e disciplina nell’art. 320 c.c., di guisa che deve ritenersi a tal fine imprescindibile il consenso di entrambi i genitori, fatto salvo solo il caso — che qui non ricorre — in cui uno di essi sia stato privato della potestà genitoriale. In caso di disaccordo, stabilisce, in ultima analisi, l’art. 320, comma 2, c.c., si applicano allora le disposizioni dell’art. 316 c.c., che per il caso di contrasto su questioni di particolare importanza prevede la possibilità, per ciascuno dei genitori, di ricorrere senza formalità al giudice civile. Alcuna censura, pertanto, può essere mossa avverso il gravato provvedimento di diniego, sia sotto il profilo dello sviamento del potere che dell’illogicità ed erroneità della motivazione, sollevate con il primo ed il secondo motivo di ricorso, in quanto in presenza di disaccordo tra i coniugi nell’esercizio dei poteri rappresentanza del minore per il compimento di atti civili, quali, in specie, il cambiamento del cognome, non è il Prefetto l’autorità competente ad adottare le determinazioni ritenute più idonee a curare l’interesse del figlio, bensì, come detto, l’autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 320 e 316 c.c. (Rigetta il ricorso). Lo stesso T.A.R. richiama la pronuncia del Consiglio di Stato n. 2320 del 26 aprile 2006, secondo cui «il diniego ministeriale di autorizzazione al mutamento di nome, ai sensi degli artt. 153 e seguenti del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, costituisce provvedimento eminentemente discrezionale, in cui la salvaguardia dell’interesse pubblico alla tendenziale stabilità del nome, connesso ai profili pubblicistici dello stesso come mezzo di identificazione dell’individuo nella comunità sociale, può venire contemperata con gli interessi di coloro che quel nome intendano mutare o modificare nonchè di coloro che a quel mutamento intendano opporsi. Dalla natura discrezionale dell’impugnato provvedimento di diniego discende — come logico corollario — che il sindacato giurisdizionale dello stesso può essere condotto, quanto al vizio intrinseco dello sviamento, sotto il limitato profilo della manifesta irragionevolezza delle argomentazioni amministrative o del difetto di motivazione». Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

Cass. civ. Sez. II Sent., 6 novembre 2018, n. 28277 (rv. 651182-01) Il procedimento camerale di rettificazione degli atti dello stato civile si conclude con una sentenza contro la quale sono esperibili gli ordinari mezzi di impugnazione ad opera esclusivamente della parte soccombente e non anche, pertanto, di terzi rimasti estranei al relativo giudizio, i cui diritti non sono pregiudicati dalla sentenza stessa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto ammissibile la richiesta della figlia naturale del «de cuius», avanzata in una controversia fondata sulla «petitio hereditatis» relativamente ad un bene ereditario, che fosse dichiarata ad essa inopponibile, perchè incidente sui suoi diritti

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successori, la sentenza di rettificazione dell’atto di morte del padre — in ordine alla data del decesso — resa in un giudizio al quale non aveva partecipato). (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO MILANO, 30 dicembre 2013) Fonte: CED Cassazione, 2018

Corte cost., 22 novembre 2018, n. 212 Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, lett. c), n. 2), e 8 del D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, recante «Adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonchè modificazioni ed integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’art. 1, comma 28, lett. a) e c), della legge 20 maggio 2016, n. 76», in riferimento all’art. 22 Cost., non essendo stata fornita alcuna argomentazione a sostegno del denunciato contrasto tra le disposizioni censurate e il parametro evocato, in violazione del principio secondo cui non basta l’indicazione delle norme da raffrontare per valutare la compatibilità dell’una rispetto al contenuto precettivo dell’altra, ma è necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi adoperati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

Corte cost., 22 novembre 2018, n. 212 Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, lett. c), n. 2), del D.Lgs. n. 5 del 2017, in riferimento agli artt. 2, 3, 11, 76 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e agli artt. 1 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. Ed infatti, la natura paritaria e flessibile della disciplina del cognome comune da utilizzare durante l’unione civile e la facoltà di stabilirne la collocazione accanto a quello originario — anche in mancanza di modifiche della scheda anagrafica — costituiscono garanzia adeguata dell’identità della coppia unita civilmente e della sua visibilità nella sfera delle relazioni sociali in cui essa si trova ad esistere. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

CITTADINANZA T.A.R. Lazio Roma Sez. I-ter, 20 novembre 2018, n. 11249 Omissis c. Ministero dell’Interno La dicitura di cui all’art. 9 della legge n. 91/1992 e cioè che lo


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straniero debba risiedere legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, sta ad indicare che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018 T.A.R. Lazio Roma Sez. I-ter, 20 novembre 2018, n. 11251 Omissis c. Ministero dell’Interno In materia di concessione della cittadinanza italiana, la sussistenza di un dato livello minimo reddituale costituisce un requisito che deve essere mantenuto in misura costante nel tempo; infatti, così come è necessario chiedere che l’aspirante cittadino disponga di un determinato reddito, è altresì ragionevole chiedere che tale condizione si prospetti come duratura consentendo al richiedente di mantenere adeguatamente e continuativamente sè e la famiglia senza gravare in negativo sulla comunità nazionale. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, 26 settembre 2018, n. 5610 N.H. c. Ministero dell’Interno La pubblica amministrazione chiamata a valutare la concedibilità di un permesso di soggiorno ad un cittadino extracomunitario che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, deve motivare l’eventuale diniego precisando i criteri di ponderazione tra vari elementi, pur in presenza di reati ostativi o di altre cause automaticamente preclusive alla detta concedibilità. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

T.A.R. Liguria Genova Sez. II, 25 settembre 2018, n. 743 R.I.M.C. c. Ministero dell’Interno

te di uno straniero, non è espressamente considerata come condizione per il rilascio del titolo di soggiorno. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, 26 settembre 2018, n. 282 J.M. c. Ministero dell’Interno - Questura di Bolzano Lo straniero che voglia chiedere il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, dimostrando la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, deve produrre tutta la documentazione che consenta all’Amministrazione di effettuare una valutazione sul suo effettivo inserimento lavorativo ed anche una prognosi sulla futura capacità reddituale del richiedente. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018 Cons. Stato Sez. III, 21 settembre 2018, n. 5487 I.M.K. c. Ministero dell’Interno e Questura di Savona In materia di rilascio - rinnovo del permesso di soggiorno la verifica della disponibilità, da parte dello straniero, di mezzi di sussistenza sufficienti è effettuata tenendo come parametro di riferimento l’importo dell’assegno sociale. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

Cons. Stato Sez. III, 20 settembre 2018, n. 5476 H.M.E.M. c. Ministero dell’Interno Per quanto riguarda il possesso del requisito del reddito minimo per il sostentamento, la valutazione della Pubblica Amministrazione, ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, più che limitarsi ad una mera ricognizione della sussistenza di redditi adeguati nei periodi pregressi, deve consistere soprattutto in un giudizio prognostico, che tenga conto anche delle occasioni lavorative favorevoli sopravvenute nelle more dell’adozione del rigetto e, quindi, consenta una adeguata valutazione delle prospettive di integrazione del lavoratore straniero nel tessuto socio economico dell’area in cui risiede.

È motivo ostativo al rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno il fatto che lo straniero abbia commesso un reato inerente agli stupefacenti.

Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

POLIZIA MORTUARIA

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, 25 settembre 2018, n. 905 L.C. c. Ministero dell’Interno e Questura di Mantova La comunicazione del trasferimento della residenza da par-

Cass. civ. Sez. Unite Ord., 30 marzo 2018, n. 8035 (rv. 647910-01) Qualora un Comune si avvalga dell’opera di un privato in relazione all’illuminazione votiva di un cimitero municipale, il relativo rapporto concreta una concessione di pubblico

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servizio, con conseguente devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di tutte le controversie concernenti il rapporto concessorio, la sua cessazione, nonchè eventuali richieste di risarcimento ad esso collegate, qualora esse pongano in discussione aspetti implicanti l’esercizio di potestà pubbliche o, comunque, ad esse riconducibili. (Nella specie, la S.C. ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda con cui il privato chiedeva accertarsi l’avvenuto rinnovo tacito della concessione per inidoneità della comunicazione del sindaco, nonchè su quelle afferenti il pagamento di un indennizzo a seguito della successiva intervenuta risoluzione anticipata dal contratto, ovvero, in subordine, in caso di ritenuta tempestività della disdetta, di quelle risarcitorie conseguenti, anche, alla mancata rivalutazione dei canoni, in quanto aventi tutte quale presupposto la verifica dell’esercizio di poteri discrezionali della P.A.). (Regola giurisdizione) Fonte: CED Cassazione, 2018

Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 14 novembre 2018, n. 342/17 Memoria S.r.l. e altri c. Comune di Padova e altri L’art. 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale che vieta, anche contro l’espressa volontà del defunto, all’affidatario di un’urna cineraria di demandarne a terzi la conservazione, che lo obbliga a conservarla presso la propria abitazione, salvo affidarla ad un cimitero comunale e, inoltre, che proibisce ogni attività esercitata con finalità lucrative avente ad oggetto, anche non esclusivo, la conservazione di urne cinerarie a qualsiasi titolo e per qualsiasi durata temporale.

Cons. Stato Sez. V, 12 marzo 2018, n. 1554 V.C. c. Comune di Montepulciano e altri In tema di concessione cimiteriale, il rapporto concessorio deve rispettare tutte le norme di legge e di regolamento emanate per la disciplina dei suoi specifici aspetti, osservando che, in particolare, lo «ius sepulchri» attiene ad una fase di utilizzo del bene che segue lo sfruttamento del suolo mediante edificazione della cappella e che soggiace all’applicazione del regolamento di polizia mortuaria. Questa disciplina si colloca ad un livello ancora più elevato di quello che contraddistingue l’interesse del concedente e soddisfa superiori interessi pubblici di ordine igienico-sanitario, oltre che edilizio e di ordine pubblico. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

MATRIMONI SEPARAZIONI E DIVORZI Cass. civ. Sez. I, 8 ottobre 2018, n. 24729 Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione c. P.L. e altri La convivenza triennale «come coniugi», quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima, è oggetto di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, nè opponibile dal coniuge, per la prima volta, nel giudizio di legittimità. Fonte: Quotidiano Giuridico, 2018

Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018 Cass. civ. Sez. VI - 1 Ord., 5 marzo /2018, n. 5088 (rv. 648569-01) Cons. Stato Sez. VI, 2 luglio 2018, n. 4018 Comune di Firenze c. M.M. S.r.l. e altri La zona di rispetto cimiteriale assolve a molteplici funzioni quali quelle di assicurare le condizioni di igiene e salubrità, di garantire a tranquillità e il decoro dei luoghi di sepoltura e di consentire futuri ampliamenti dei cimiteri. I cimiteri devono essere collocati a distanza di almeno 200 mt. dal centro abitato ed è vietato costruire nuovi edifici entro il raggio di 200 mt. dal perimetro dell’impianto cimiteriale. Il vincolo cimiteriale si impone alla pianificazione comunale anche modificandola ex lege, qualora non sia stato espressamente recepito nello strumento urbanistico: in ragione della sua natura assoluta esso opera come limite legale, anche nei confronti delle eventuali diverse e contrastanti previsioni degli strumenti urbanistici. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

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La cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonchè, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell’avente diritto. (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO BARI, 8 novembre 2016). Fonte: CED Cassazione, 2018

PERSONALE Cons. Stato Sez. V, 3 ottobre 2018, n. 5696 Il C.S.M., nel conferimento degli incarichi direttivi e semi-direttivi, esercita una discrezionalità che è sindacabile, in sede


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di legittimità, solo se inficiata per irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione. Resta preclusa al sindacato giurisdizionale la valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto dell’organo di governo autonomo. La legge assegna al CSM un margine di apprezzamento particolarmente ampio e il sindacato del giudice amministrativo deve restare parametrico della valutazione degli elementi di fatto compiuta dalla pubblica amministrazione, senza evidenziare una diretta «non condivisibilità» della valutazione stessa. (conferma T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, n. 1074/2018)

T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 24 settembre 2018, n. 1804 D.P. C. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e altri

Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

Cass. pen. Sez. V, 21 dicembre 2017, n. 1929

T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 17 settembre 2018, n. 1777 Omissis c. Ministero della Giustizia e altri

L’art. 323 c.p. ha introdotto nell’ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di astensione per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi, con la conseguenza che l’inosservanza del dovere di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto integra il reato anche se manchi, per il procedimento ove l’agente è chiamato ad operare, una specifica disciplina dell’astensione, o ve ne sia una che riguardi un numero più ridotto di ipotesi o che sia priva di carattere cogente. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

DOCUMENTAZIONE AMMINISTRATIVA

In materia di diritto di accesso agli atti amministrativi non è possibile l’ostensione degli stessi laddove i provvedimenti oggetto della domanda di accesso coincidano con le notitiae criminis poste in essere dagli organi dell’amministrazione nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria ad essi attribuite specificamente dall’ordinamento.

Lo strumento dell’accesso agli atti amministrativi, postulando a norma dell’art. 22, comma 1, lett. b) della legge 241/1990, un interesse concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso, non è dato in funzione della tutela di un interesse generico e diffuso alla conoscenza degli atti amministrativi, vale a dire a un controllo generalizzato da parte di chiunque sull’attività dell’amministrazione, ma alla salvaguardia di singole posizioni differenziate e qualificate, e correlate a specifiche situazioni rilevanti per la legge, che vanno dimostrate dal richiedente che intende tutelarle.

Cons. Stato Sez. V, 15 gennaio 2018, n. 176 Ministero dell’Economia e delle Finanze c. Comune di Induno Olona

Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

Sono ammissibili i ricorsi avverso le violazioni del termine di approvazione dei regolamenti ed atti comunali, laddove la violazione di termine di cui alla normativa di riferimento incide solo sul regime di efficacia temporale, nel senso che il rispetto del termine di approvazione è condizione per applicare le nuove tariffe o le nuove aliquote retroattivamente.

Cons. Stato Sez. VI, 6 settembre 2018, n. 5257

Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

F. s.p.a. c. Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e altri Il diritto di accesso ai documenti amministrativi non ha limitazioni se non quelle espressamente previste con legge o da norme evincibili da ordinamenti di settore, come ad esempio accade per le informazioni commerciali ed industriali definite dall’art. 98, comma 1 del D.Lgs. n. 30/2005. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, 19 giugno 2018, n. 880 M.F. c. Comune di Viareggio e altri È legittima la mancata comunicazione di avvio del procedimento sono state rappresentate in tema di assegnazione di alloggi laddove la necessità di definire celermente il procedimento finalizzata a non ampliare temporalmente l’affidamento dei soggetti utilmente collocati in graduatoria, esigenze di impedire l’assegnazione di alloggi a soggetti senza presupposti. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

Cons. Stato Sez. III, 13 settembre 2018, n. 5377 Questura Firenze e Ministero dell’Interno c. C.I. In materia di accesso agli atti amministrativi, ferme restando le preclusioni di cui all’art. 24, comma 6, lett. c) della Legge n. 241/1990, al richiedente deve comunque essere garantito l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

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ELETTORALE T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, 21 novembre 2018, n. 1064 I.C.M. c. Comune di Villafranca di Verona In materia elettorale, nell’ambito della controversia avente ad oggetto l’annullamento del verbale di proclamazione degli eletti, previo riconteggio delle schede, il principio di specificazione dei motivi richiede, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che nello stesso vengano indicati, la natura dei vizi denunziati, il numero delle schede contestate e le sezioni di riferimento. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018 T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, 10 settembre 2018, n. 269 Omissis- Omissis- c. Provincia Autonoma di Bolzano Ufficio Elettorale Centrale per le Elezioni del Consiglio Provinciale e altri Le modalità di autenticazione da applicarsi alla materia elettorale sono quelle di cui al combinato disposto dell’art. 21, comma 1, e 38, comma 4 del D.P.R. n. 445/2000, che non richiede, quale elemento formale essenziale per la validità dell’autenticazione, l’indicazione delle modalità d’identificazione. Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018 Cons. Stato Sez. III, 29 agosto 2018, n. 5083 N.C. c. R.D.P. e altri Affinchè sia applicabile l’art 64, comma 2, n. 2, del D.P.R. n. 570/1960, che commina la nullità per i voti che «presentano scritture o segni tali da far ritenere in modo inoppugnabile che l’elettore abbia voluto far riconoscere il proprio voto», deve trattarsi di segni oggettivamente ed ontologicamente estranei al contenuto della scheda ed alla manifestazione di volontà dell’elettore. (Conferma T.A.R. Molise, Sez. III, n. 112/2017) Fonte: Leggi d’Italia PA - Massima Redazionale, 2018

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Cass. civ. Sez. I Ord., 22 agosto 2018, n. 20952 (rv. 650227-01) La sanzione accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici conseguente ad una condanna penale — dalla quale deriva la cancellazione del condannato dalle liste elettorali, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e), D.P.R. n. 223 del 1967 — non si estingue a seguito dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, poichè, ai sensi della previsione speciale di cui all’art. 47, comma 12, della legge n. 354 del 1975, come inequivocabilmente riformulata per effetto della pronuncia della Corte costituzionale n. 410 del 1994, il giudice di sorveglianza pronuncia ordinanza dichiarativa dell’estinzione della «pena detentiva e di ogni altro effetto penale», espressione che, diversamente da quella precedente, che si riferiva «alla pena e ad ogni altro effetto penale», non può interpretarsi come ricomprendente le pene accessorie. (Rigetta, CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. DI TARANTO, 18 aprile 2017) Fonte: CED Cassazione, 2018

ADOZIONE Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 2018, n. 6963 Z.P. c. Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Torino In tema di adozioni, l’adottato ha diritto, nei casi di cui all’art. 28, comma 5 della legge 4 maggio 1983, n. 184, di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti, non solo l’identità dei propri genitori biologici, ma anche quella delle sorelle e fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto. Fonte: Nuova Giur. Civ., 2018, 9, 1223 nota di LONG, in Leggi d’Italia PA, 2018


Elettorale L’elettore tra storia ed attualità

L’elettore tra storia ed attualità Vincenzo Mercurio Esptero - Foggia

L

a Costituzione della Repubblica Italiana con il primo comma dell’art. 48 stabilisce chi è elettore con le seguenti parole: «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età».

a) Una breve sintesi storica 1 a.1) Le varie leggi di modifica 1 a.2) Le varie leggi di distruzione dei liberi ordinamenti 1 a.3) Le varie leggi dopo il periodo fascista 1 b) Il concetto di elettore

Facendo una piccola ricerca storica, si può notare come il concetto di elettore non sempre sia stato, in qualche modo, identico per tutti i cittadini. Per poter giungere alla definizione usata dai nostri padri costituenti, il concetto di elettore ha dovuto subire diverse modifiche, partendo da una visione restrittiva e, mi sia consentita la parola, maschilista, ad una visione ampia nella quale sono comprese tutte le persone, sia maschi che donne e senza alcuna restrizione se non quelle previste oggi dall’ultimo comma del citato art. 48, sempre della Costituzione, che appresso si riporta: «Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge».

a)  Una breve sintesi storica. Il sorgere, lo svilupparsi o la scomparsa delle garanzie in materia elettorale e dei relativi ordinamenti sono alla base del fiorire o dell’estinguersi delle civili libertà. Giuseppe Zanardelli nella relazione di presentazione alla Camera del disegno di legge avente per titolo «Riforma della legge elettorale politica», a firma del Ministro Depretis, affermava: «Alle riforme elettorali, effettuate, contese, negate, si annette

la memoria delle grandi commozioni popolari, dei più gravi conflitti politici, delle benefiche trasformazioni come delle rivoluzioni violente...». Alla fine del secolo XVIII, quando dopo le vittorie napoleoniche si costituirono tante piccole repubbliche con ordinamento democratico ispirato alla Costituzione repubblicana francese, sorsero i primi moderni ordinamenti elettorali italiani.

La prima origine degli ordinamenti elettorali del Regno d’Italia va ricercata nello Statuto Albertino, promulgato il 4 marzo 1848, e nella legge elettorale che ne seguì appena tredici giorni dopo. Detto ordinamento statutario era imperniato: a) sul potere legislativo composto di un Senato vitalizio di nomina regia, i cui membri dovevano avere almeno l’età di 40 anni, salvo nel caso dei Principi della famiglia reale che facevano parte di diritto del Senato a 21 anni e avevano diritto di voto a 25 anni; b) su una Camera elettiva composta di deputati scelti da collegi elettorali; requisiti per esser eletti erano i 30 anni, la qualità di suddito del Re ed il godimento dei diritti civili e politici. Il fondamento dell’elettorato attivo era principalmente il censo. I requisiti richiesti per poter essere elettore e, quindi, far parte dell’elettorato attivo erano: 1) godimento dei diritti civili e politici nei Regi Stati o per nascita o per origine o per acquisto; 2) 25 anni di età; 3) il saper leggere e scrivere; 4) pagare un’imposta annua di almeno 40 lire che, per talune Province, era ridotta a 20.

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Erano previste anche esenzioni parziali o totali relativamente al possesso del requisito del censo.

c.5)  si adottò lo scrutinio di lista in luogo di quello nominale.

La legislazione in materia elettorale venne spesse volte modificata e ampliata.

D)  La legge 11 luglio 1894, n. 286, modificò a sua volta questo testo unico. Una modifica rilevante riguardava l’unificazione del metodo di revisione delle liste elettorali politiche e delle amministrative, la cui compilazione affidata in primo grado al consiglio comunale ed in secondo alla giunta provinciale amministrativa, e fu abolita la commissione degli appelli elettorali per le liste politiche.

a.1) Le varie leggi di modifica. A)  la legge n. 3778/1859 stabilì: a.1) il domicilio politico doveva essere identico a quello civile; a.2) le liste elettorali dovevano essere compilate dalla giunta comunale; a.3) le iscrizioni dovevano essere effettuate su domanda del cittadino o d’ufficio; a.4) le liste erano permanenti, ma sottoposte a revisione annuale. Con l’Unificazione dell’Italia, la legge elettorale piemontese si estese a tutto il territorio nazionale, però fu oggetto di attenzione e di modifiche. Come capita anche oggi, però, spesse volte furono proposte modifiche, che non furono mai attuate. Il Crispi voleva estendere l’elettorato attivo a tutti i cittadini che avessero compiuto il 21° anno di età, mentre l’elettorato passivo a quelli che avessero compiuto il 25° anno di età. La Camera si mostrò poco propensa a questa modifica, ma cercò di agevolare l’acquisto del censo e di ampliare sempre più le categorie degli elettori per titolo di capacità indipendentemente dal censo. B)  La legge n. 2865/1866 concesse il diritto di voto ai cittadini (maschi) che avessero subito aumento di imposta per effetto di provvedimenti finanziari. C)  Il Testo Unico del 24 settembre 1882, n. 999, apportò le seguenti modifiche: c.1)  abbassò il limite di età per l’elettorato attivo da 25 anni a 21 anni; c.2)  abbandonò quasi totalmente il requisito del censo, come titolo principale, dato che la misura richiesta del censo fu notevolmente ridotta e vennero introdotte numerose categorie relativamente alla capacità elettorale; c.3)  fu ammesso il criterio della capacità, indipendentemente da qualsiasi requisito di natura economica; c.4)  talune categorie di cittadini furono dispensate dalla prova dell’alfabetismo;

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I concetti dominanti di questa legge furono: d.1)  uniformità di giurisdizioni, di procedimenti e di termini nella compilazione ed approvazione delle due liste; d.2)  creazione di due collegi ai quali erano affidate la formazione e l’approvazione delle due liste con istanza alla Corte d’Appello e, in via di ricorso, alla Corte di Cassazione; d.3)  assistenza di un rappresentante del pubblico ministero alle adunanze della commissione provinciale cui era affidato l’incarico di approvare le liste, ed obbligo del prefetto di riferire al procuratore del Re le infrazioni alla legge. E)  Il 25 marzo 1895, con i poteri conferiti all’esecutivo, fu emanato, il testo unico n. 83, con il quale, oltre alle modificazioni apportate con la precedente legge, furono introdotte norme circa le incompatibilità parlamentari e le disposizioni varie di incompatibilità d’ordine amministrativo sparse in altre leggi. F)  La legge 30 giugno 1912, n. 665, ammise all’elettorato attivo tutti i cittadini maschi che avevano compiuto il 30° anno di età. Dei cittadini aventi dai 21 ai 30 anni di età ottennero l’elettorato gli analfabeti che in possesso di determinati titoli di capacità o di censo, nonchè coloro che avessero prestato servizio militare per un determinato periodo. Venne, inoltre, sancito l’obbligo della iscrizione di ufficio nelle liste elettorali. G)  Il R.D. 30 giugno 1912, n. 666, approvò un nuovo testo unico, il quale ulteriormente fu modificato in merito: g.1)  al contrassegno, g.2)  ai poteri del presidente di seggio, g.3)  ai termini per la formazione e pubblicazione delle liste, g.4)  ai casi di nullità dei voti. H)  Il R.D. 26 giugno 1913, n. 821 approvò un nuovo testo unico. Detto T.U. oltre ad incorporare le anzidette riforme, stabiliva una nuova causa di indegnità elettorale quale l’alcolismo, per poterla combattere.


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I)  La legge 15 agosto 1919, n. 1401, cui seguì il testo unico, approvato con R.D. 2 settembre 1919, n. 1495, apportava un’ulteriore riforma elettorale. Con detta legge del 1919: i.1)  fu estesa l’ammissione al voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto il 21° anno di età e ad un’età inferiore, purchè avessero prestato servizio militare in reparti mobilitati dell’esercito e della marina; i.2)  fu adottato il sistema proporzionale con il metodo D’HONDT e con il voto aggiunto. In pratica, l’elettore, oltre a votare la lista, esprimeva la preferenza per candidati della lista prescelta e, con il voto aggiunto, anche per candidati appartenenti ad altre liste, nel caso che la lista prescelta fosse incompleta.

a.2)  Le varie leggi di distruzione dei liberi ordinamenti. Con la legge 18 novembre 1923, n. 2444, poi confluita nel testo unico, R.D. 13 dicembre 1923, n. 2904, si iniziò la distruzione dei liberi ordinamenti.

a)  liste elettorali permanenti, valide per qualsiasi consultazione popolare; b)  periodica revisione ed aggiornamento delle liste, con revisioni annuali ed aggiornamenti periodici (revisione dinamica); c)  abbreviazione dei termini del complesso ciclo delle operazioni relative alla revisione annuale. L’Assemblea Costituente approvava la legge per l’elezione della Camera dei Deputati 20 gennaio 1948, n. 6, poi coordinata nel testo unico, D.P.R. 5 febbraio 1948, n. 26. Con la legge 23 dicembre 1947, n. 1453, fu prevista l’inibizione, per un quinquennio, del voto ai capi responsabili del regime fascista. L’Assemblea Costituente discusse molto il problema

Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età

Con la legge 17 maggio 1928, n. 1019, si sostituiva, alla sovranità popolare ed al suffragio universale, l’organizzazione corporativa fascista. Con la legge 19 gennaio 1938, n. 129, la Camera dei Deputati veniva soppressa e ad essa si sostituiva la Camera dei fasci e delle corporazioni, assemblea poi soppressa con il R.D.L. 1° agosto 1943, n. 705.

a.3) Le varie leggi dopo il periodo fascista. Richiamando in vigore il testo unico del 1919 con il D. Lgs.lgt. 28 settembre 1944, n. 247, venne ordinata la ricompilazione ex novo delle liste elettorali ed, inoltre, con il D.Lgs.lgt. 1° febbraio 1945, n. 23, fu esteso il suffragio universale anche alle donne maggiorenni. Con il D.Lgs. lgt. 7 gennaio 1946, n. 1, fu sancita la ricostituzione delle amministrazioni comunali su base elettiva, superando la distinzione tra elettorato per le politiche ed elettorato per le comunali, cui appartenevano coloro che erano dotati di censo. Con la legge 7 ottobre 1947, n. 1058, venne disciplinata la materia relativa all’elettorato attivo ed alla tenuta e revisione delle liste elettorali, stabilendo:

della formazione della seconda Camera e con la legge 6 febbraio 1948, n. 29, avente per titolo «Norme per l’elezione del Senato della Repubblica», fu adottato un sistema misto basato sul principio che, nei singoli collegi uninominali, si aveva la proclamazione del candidato solo se otteneva il 65% dei suffragi ed, in mancanza di tale quorum, i seggi rimasti non assegnati venivano ripartiti, in ogni Regione, tra i gruppi di candidati secondo il metodo proporzionale «D’HONDT».

b)  Il concetto di elettore. Definire l’elettore non è semplice. Non sempre i requisiti previsti dalla normativa sono univoci. Infatti, per alcuni tipi di elezione, per poter essere identificati come elettori, vi sono altri requisiti oltre quelli fondamentali previsti dalla normativa vigente. In via generale, può essere definito elettore colui che: a) è cittadino italiano; b) ha compiuto la maggiore età; c) non è incorso in alcune delle cause ostative previste dall’art. 2 testo unico, D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, avente come oggetto: «Norme per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione

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delle liste elettorali», così come successivamente modificato e integrato.

liste elettorali, che non sono elettori, perchè non (ancora) in possesso del requisito della maggiore età.

Requisiti questi previsti dal richiamato T.U. n. 223/1967 che così recita: «Sono elettori tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età e non si trovino in alcuna delle condizioni previste dagli artt. 2 e 3».

Oppure può verificarsi il caso di un cittadino iscritto, in possesso della maggiore età, che, pur essendo incorso in una delle cause ostative o aver perso la cittadinanza, non sia ancora stato cancellato dalle liste.

È stata usata la parola «generale» nella definizione di elettore, perchè in alcuni tipi di elezione, il concetto di elettore viene esteso, per esempio, a chi è in possesso di una cittadinanza dell’Unione Europea o dopo un prescritto periodo di residenza in una determinata Provincia o Regione. Si ribadisce che questo avviene solo in qualche tipo di elezione. Tutti gli elettori, visti nel loro insieme, formano il «corpo elettorale». Questo viene gestito territorialmente, cioè nell’ambito di un Comune, mediante alcuni strumenti operativi che sono:

La differenziazione tra elettorato attivo ed elettorato passivo può essere così semplificata. Si intende per elettorato attivo tutto quel corpo elettorale che in possesso dei prescritti requisiti viene chiamato ad esprimere il proprio voto in una determinata consultazione elettorale.

3) le liste elettorali.

L’elettorato attivo, quindi, consiste nella qualificazione di quanti, avendone i requisiti, abbiano titolo ad esprimere il voto. La relativa disciplina è, oggi, regolata dal testo unico (D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223 e succ. modif.). In esso sono, per così dire, confluite le disposizioni emanate per gestire il corpo elettorale e le relative liste elettorali.

La gestione del corpo elettorale presuppone l’iscrizione nelle liste elettorali. Quindi, a fianco del concetto di elettore occorre definire anche il concetto di iscritto (nelle liste elettorali).

L’essere elettore, inoltre, è un diritto soggettivo che si estrinseca mediante l’iscrizione in una lista elettorale, ma la cui mancanza, però, non lo priva di questo diritto che può essere fatto valere in qualsiasi momento.

L’iscritto, oltre ad avere le peculiarità di coloro che sono considerati elettori, deve possedere un altro requisito: la residenza, intesa come iscrizione nel registro della popolazione residente (meglio conosciuto come APR) o l’iscrizione nell’anagrafe dei cittadini italiani residenti all’estero (in acronimo: AIRE), in attesa che entri a pieno regime l’A.N.P.R.

Per elettorato passivo si intende quel corpo elettorale formato da tutti quei cittadini che, oltre ad essere in possesso di tutti i requisiti per essere elettori, possiedono anche tutti i requisiti previsti per essere eletti. Non rientrano in alcuna delle cause di ineleggibilità, incompatibilità ed essenzialmente in una delle cause di incandidabilità.

Occorre inoltre soffermarsi, anche se brevemente, sulla differenziazione che può esistere tra l’iscritto e l’elettore. Alcune volte, infatti, questi due concetti non coincidono.

Logicamente, anche se sinteticamente, si rende necessario ed opportuno esaminare ed approfondire i requisiti che bisogna possedere per essere definiti elettori.

1) lo schedario; 2) i fascicoli personali;

Per comprendere meglio la differenza tra il concetto di iscritto e quello di elettore, si evidenzia che la normativa in materia elettorale preveda l’iscrizione, anticipata di un semestre, nelle liste elettorali dei cittadini che «... compiranno il diciottesimo anno di età nel semestre successivo». In questo caso, quindi, avremo dei cittadini iscritti nelle

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In questo caso avremo un iscritto, che non può essere considerato elettore, perchè non è in possesso di qualche requisito previsto per essere elettore.

L’art. 1 del testo unico n. 223/1967 così recita: «Sono elettori tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età e non si trovino in alcuna delle condizioni previste dall’art. 2». 1)  Il primo requisito per essere elettori è il possesso della cittadinanza italiana. La legge 5 febbraio 1992, n. 91, avente ad oggetto «Nuo-


Elettorale L’elettore tra storia ed attualità

ve norme sulla cittadinanza», come successivamente modificata ed integrata, ha stabilito chi è cittadino italiano e le modalità di acquisto o riacquisto della cittadinanza italiana. 2)  Altro requisito è aver compiuto il diciottesimo anno di età. Precedentemente la maggiore età era fissata al compimento del ventunesimo anno di età. Con la legge 8 marzo 1975, n. 39, avente come oggetto «Attribuzione della maggiore età ai cittadini che hanno compiuto il diciottesimo anno e modificazione di altre norme relative alla capacità di agire e al diritto di elettorato», è stato stabilito, con la sostituzione dell’art. 2 del codice civile, che la maggiore età fosse fissata al compimento del diciottesimo anno di età. 3)  Ultimo requisito è il non trovarsi in alcuna delle condizioni previste dall’art. 2. Dette condizioni ostative sono: a) (la lettera a) prevedeva come causa ostativa il «fallimento». Detto motivo è stato abrogato dall’art. 152 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in vigore dal 16 luglio 2006); b) essere sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione di cui, attualmente, al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159; c) essere sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza detentiva o alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più Comuni o in una o più Province, a norma dell’art. 215 del codice penale, finchè durano gli effetti dei provvedimenti stessi (cfr.: D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159); d) essere condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici; e)  essere sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata. Le misure di prevenzione oggi previste dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sono: a) la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Alla

sorveglianza speciale può essere aggiunto, ove le circostanze del caso lo richiedano: a.1) il divieto di soggiorno in uno o più Comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale o in una o più Province; a.2) il divieto di soggiorno o in una o più Province; b) l’obbligo di soggiorno nel Comune di residenza o di dimora abituale, solo nel caso in cui le altre misure di prevenzione non sono ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica; c) il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente da minori. Le misure di sicurezza detentive di cui all’art. 215 del codice penale, sono: 1) l’assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro; 2) il ricovero in una casa di cura e di custodia; 3) il ricovero in un manicomio giudiziario (per l’abolizione degli OPG e la loro sostituzione con le REMS, consultare il D.L. 31 marzo 2014, n. 52, convertito con modificazioni dalla legge 30 maggio 2014, n. 81); 4) il ricovero in un riformatorio giudiziario. Tra le misure di sicurezza non detentive, previste dall’art. 215 del codice penale, solo la libertà vigilata è ammessa quale causa ostativa alla capacità elettorale. È necessario evidenziare che non bisogna confondere l’interdizione dai pubblici uffici con l’essere dichiarato interdetto (meno ancora inabilitato), dato che l’interdizione giudiziale riguarda, per così dire, la sfera psichica dell’individuo o — meglio — la capacità di agire, comportante la nomina di un tutore o di un curatore ed è nettamente differente dalla interdizione dai pubblici uffici, che costituisce pena accessoria ed è collegata alla pena principale che irroga una misura cautelare restrittiva. Gli interdetti sono stati dichiarati elettori (o, più esattamente, vi è stata la cessazione di questa, precedente, causa ostativa) con l’art. 11 della legge 13 maggio 1978, n. 180, avente per oggetto «Accertamenti e trattamenti sanitari e volontari e obbligatori», che ha abrogato il numero 1 del primo comma dell’art. 2 del testo unico n. 223/1967, allora vigente.

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Elettorale Esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali

Esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali e reiscrizione nelle liste elettorali: la nuova pronuncia della Cassazione Martino Conforti

Responsabile Servizi Demografici - Urp del Comune di Viadana (MN)

Q

uando un elettore viene condannato a una pena che importa l’interdizione (perpetua o temporanea) dai pubblici uffici, incorre nella perdita della capacità elettorale, come previsto dall’art. 2 del D.P.R. 223/1967(1). In questo intervento verranno esaminati quali sono gli effetti dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, nel caso in cui il condannato sia sottoposto a tale misura alternativa. Le norme che regolano la materia sono state (e sono tuttora) oggetto di interpretazioni contrastanti: lo stesso Ministero dell’Interno, a questo proposito, ha auspicato un consolidamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione e dei Giudici di Sorveglianza. Recentemente, però, è intervenuta la Corte di Cassazio-

ne con una nuova pronuncia (ordinanza n. 20952/2018 del 22 agosto 2018) nella quale fornisce un punto di vista preciso sul tema in oggetto. Per cercare di inquadrare la questione è necessario partire da una breve illustrazione dei concetti di base per poter comprendere a pieno l’argomento. In particolare l’affidamento in prova al servizio sociale è una misura alternativa alla detenzione prevista dall’ordinamento penitenziario italiano. In pratica, viene consentito al condannato di espiare la pena detentiva inflitta (o comunque quella residua) in regime di libertà assistita e controllata. L’applicazione dell’affidamento, da un lato, fa venir meno ogni rapporto del condannato con l’istituzione carce-

1)  Art. 2 del D.P.R. 223/1967: «1. Non sono elettori: a)  ((lettera abrogata dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5)); b)  coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione di cui all’art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come da ultimo modificato dall’art. 4 della legge 3 agosto 1988, n. 327, finchè durano gli effetti dei provvedimenti stessi; c)  coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza detentive o alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, a norma dell’art. 215 del codice penale, finchè durano gli effetti dei provvedimenti stessi; d)  i condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici; e)  coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata. 2. Le sentenze penali producono la perdita del diritto elettorale solo quando sono passate in giudicato. La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini della privazione del diritto di elettorato.»

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Elettorale Esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali

raria e dall’altro comporta l’instaurarsi di una relazione di tipo collaborativo con l’ufficio di esecuzione penale esterna.

stero dell’Interno, a seguito di numerosi quesiti ad essa pervenuti, ha interessato il Consiglio di Stato sulla questione specifica.

Viene elaborato un programma di trattamento individuale, che declina le attività che il reo dovrà svolgere, gli obblighi e gli impegni cui deve attenersi ed i controlli cui sarà sottoposto. L’esito positivo del periodo di prova, la cui durata coincide con quella della pena da scontare, estingue la pena ed «ogni altro effetto penale»; viene concesso dal Tribunale di Sorveglianza.

Il Consiglio di Stato, I Sezione, si è espresso con parere del 17 ottobre 2007, n. 2912 in questo senso: «Si condivide, pertanto, l’assunto del Ministero della Giustizia, secondo il quale il richiamo alla sola pena detentiva ed alla pena pecuniaria qualora ricorrano le condizioni indicate nella seconda parte del novellato comma 12 dell’art. 47 in esame, non sembra interpretabile “se non nel senso di una consapevole quanto inequivoca esclusione, dall’effetto estintivo, delle pene accessorie”».

Tornando al tema principale: il condannato a una pena che importa la interdizione dai pubblici uffici incorre nella perdita della capacità elettorale. Nel caso lo stesso acceda alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, quali sono gli effetti di un eventuale esito positivo?

Pertanto, secondo il Consiglio di Stato, le pene accessorie non si estinguono, come accade invece alla pena principale, a seguito dell’esito positivo del periodo di affidamento in prova al servizio sociale.

Ai fini del computo del periodo di incapacità, il regime di affidamento in prova al servizio sociale equivale alla detenzione.

In seguito, è stata emanata dal Ministero dell’Interno - Direzione Centrale dei Servizi Elettorali — la circolare n. 12/2009 avente ad oggetto: Perdita del diritto di elettorato attivo a seguito irrogazione pena accessoria della interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici. Esito positivo del periodo di affidamento in prova al servizio sociale. Non estinzione delle pene accessorie.

In generale, l’orientamento maggioritario prevede che l’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale non estingua le pene accessorie, in particolare l’interdizione dai pubblici uffici. Su questo punto è necessario fare un piccolo approfondimento, in quanto in passato le norme che regolano la materia sono state oggetto di interpretazioni contrastanti. La lettera della norma, l’art. 47, comma 12, dell’ordinamento penitenziario (legge 354/1975), dice: «l’esito positivo del periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale», senza specificare altro. Come detto sono seguite interpretazioni difformi in ambito dottrinale e giurisprudenziale tra Corte di Cassazione penale da una parte e T.A.R. - Consiglio di Stato dall’altra. La questione giuridica che si è posta è se l’esito positivo del periodo di affidamento in prova al servizio sociale determini non solo l’estinzione della pena detentiva, ma anche delle pene accessorie e, per questo, legittimi, come conseguenza, la iscrizione o la reiscrizione nelle liste elettorali del soggetto già condannato. Alcuni giudici ed interpreti propendevano per l’effetto estintivo anche della pena accessoria (e pertanto la conseguente riacquisizione del diritto elettorale), altri invece per l’ipotesi opposta. Facendo un breve excursus storico della vicenda è possibile notare quanto segue. La Direzione Centrale dei Servizi Elettorali del Mini-

Il condannato a una pena che importa la interdizione dai pubblici uffici incorre nella perdita della capacità elettorale

La stessa ha chiarito quanto interessa agli operatori del servizio elettorale ovvero che, a seguito del parere sopra citato del Consiglio di Stato: «Ne discende che l’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, poichè non estingue le pene accessorie, non legittima la iscrizione o reiscrizione nelle liste elettorali del soggetto alla cui condanna in sede penale acceda la misura dell’interdizione dai pubblici uffici.» Il Ministero dell’Interno ha registrato, inoltre, a sostegno di questa tesi, anche il sopraggiunto intervento della Corte di Cassazione: «All’esito, infine, di un contenzioso instaurato avverso un provvedimento di cancellazione dalle liste elettorali, sulla problematica in esame si è pronunciata ora, con uniformità di valutazioni, anche la Corte di Cassazione - Prima Sezione civile, con sentenza n. 25896 del 26 settembre - 28 ottobre 2008. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso presentato in grado

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Elettorale Esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali

di appello, ha argomentato, tra l’altro, che la privazione dei diritti di elettorato attivo e passivo «non essendo che un particolare modo di essere della pena interdittiva, ne condivide, salvo disposizioni espresse, la natura e la disciplina, svolgendo nel sistema, non diversamente da ogni altra pena accessoria, un ruolo complementare rispetto alla pena principale, poichè, al pari di questa, esprime la reazione dell’ordinamento al fatto penalmente illecito … »; ha conseguentemente ribadito il principio che la perdita del diritto di elettorato prevista dall’art. 2 del D.P.R. 223/1967 costituisce pena accessoria, in quanto contenuto proprio dell’interdizione dai pubblici uffici, della quale «segue direttamente e inscindibilmente la sorte» (contrariamente a quanto avviene per gli effetti penali della condanna), venendo meno soltanto per effetto delle cause che fanno venir meno l’interdizione stessa, «fra le quali non è compreso l’esito positivo dell’affidamento al servizio sociale». La Corte di Cassazione ha, pertanto, concluso che «la perdita dell’elettorato attivo di cui all’art. 2 D.P.R. 223/1967, quale parte integrante dell’interdizione dai pubblici uffici, costituisce una pena accessoria e come tale resta insensibile all’esito positivo dell’affidamento in questione». La Suprema Corte, inoltre, nell’assumere come irrilevante la circostanza dedotta dal ricorrente secondo cui egli sarebbe stato dapprima reiscritto nelle liste elettorali e poi nuovamente cancellato, ha riaffermato l’ulteriore principio che la iscrizione in tali liste o la cancellazione da esse non hanno comunque «natura costitutiva della qualità di elettore». Nel 2014 però la Corte di Cassazione cambia nuovamente le carte in tavola. La sentenza 18 dicembre 2014, n. 52551, Cassazione penale, Sez. I, relativa ad una fattispecie in tema di inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e di incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, non tratta specificamente il tema dell’interdizione dai pubblici uffici. Indubbiamente, però, tale sentenza parte dal presupposto dell’estinzione delle pene accessorie a seguito di esito positivo all’affidamento ai servizi sociali, contrariamente all’impostazione che si era consolidata in precedenza. Dice testualmente la sentenza: «Poichè l’art. 20 c.p., definisce testualmente le pene accessorie come effetti penali della condanna, che conseguono di diritto alla stessa (così che la statuizione giudiziale che le applica ha natura eminentemente dichiarativa), deve concludersi che le pene stesse rientrano tra gli effetti automaticamente estinti, in for-

za del disposto dell’art. 47 ord. pen., comma 12, dall’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale: non residuando, pertanto, spazi valutativi che richiedano l’intervento del giudice di merito, la declaratoria di estinzione delle pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa...». Richiamando una precedente pronuncia della Corte di Cassazione (sentenza n. 5859 del 27 ottobre 2011) e facendo riferimento all’art. 20 c.p.(2), la sentenza in questione prevede l’estinzione, oltre della pena principale, anche delle pene accessorie a seguito di esito positivo all’affidamento ai servizi sociali. Nonostante questa pronuncia, l’orientamento maggioritario è rimasto sulla linea precedente, ovvero che l’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale non estingue le pene accessorie, in particolare l’interdizione dai pubblici uffici. D’altro canto, anche il Consiglio di Stato ed il Ministero dell’Interno non hanno cambiato orientamento in riferimento alla questione specifica. Nel frattempo, come detto all’inizio, è intervenuta una nuova pronuncia della Corte di Cassazione sul tema. Comunque, già in precedenza, considerato che permanevano interpretazioni difformi in ambito dottrinale e giurisprudenziale, anche sulla base delle risposte date ad alcuni quesiti da parte del Ministero dell’Interno, il suggerimento che era stato fornito agli ufficiali elettorali poteva essere così riassunto: prima di provvedere in automatico alla reiscrizione nelle liste elettorali, attendere un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che, sposando il nuovo indirizzo della Corte di Cassazione, specificasse l’estinzione anche in relazione alla pena accessoria dell’interdizione perpetua (o temporanea) dai pubblici uffici. Di recente è intervenuta la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20952/2018, pubblicata il 22 agosto 2018. La questione riguardava il ricorso di un cittadino al quale era stata applicata la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici ed in conseguenza di questo era stato cancellato dalle liste elettorali. La Cassazione a proposito chiarisce due punti. In primo luogo, il pieno rispetto dell’art. 2, lett. d), D.P.R.

2)  Art. 20 c.p.: «Le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna; quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa.»

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Elettorale Esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali

223/1967 (quello che prevede la cancellazione dalle liste elettorali dei condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici) in riferimento alla Convenzione Edu (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950) ed alla concreta applicazione dei principi in essa contenuti, essendo questo uno dei motivi del ricorso eccepiti dal condannato. La perdita del diritto di voto (connessa alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici) non è un provvedimento automatico ed indiscriminato, ma si basa su valutazioni che debbono riguardare la gravità del reato e che, a seconda della stessa, determinano le conseguenze di volta in volta indicate dalla legge. Pertanto, non può essere eccepita nessuna violazione neppure a livello costituzionale. In secondo luogo, la Corte di Cassazione si è concentrata sulla natura (di effetto penale ovvero di pena accessoria) della perdita del diritto di voto, analizzando l’interpretazione giurisprudenziale ed il contrasto che è stato evidenziato: secondo un orientamento (maggioritario) la perdita dell’elettorato costituisce non un effetto penale della condanna, ma una pena accessoria, «in quanto particolare modo di essere della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, di cui segue direttamente ed inscindibilmente la sorte». Pertanto, viene meno solo per effetto delle cause che estinguono la pena interdittiva (fra le quali non è compreso l’esito positivo dell’affidamento al servizio sociale che estingue soltanto la pena detentiva ed ogni altro effetto penale e non le pene accessorie). La Corte prosegue notando che: secondo un recente indirizzo l’esito positivo dell’affidamento in prova determina l’automatica estinzione delle pene accessorie,

posto che queste sono definite effetti penali della condanna dall’art. 20 c.p. (si riferisce alla sentenza n. 52551 del 2014 sopra citata). La stessa Corte chiarisce, però, testualmente che: «Tale decisione non risulta aver avuto seguito, non rinvenendosi successive conformi, a quanto consta, neppure tra le non massimate, e non può essere condivisa.» Inoltre, chiarisce che l’attuale formulazione dell’art. 47, c. 12, ord. pen.(3), pare inequivocabile nel prevedere che l’esito positivo della prova estingue la sola pena detentiva (nemmeno quella pecuniaria, salvo non ricorra l’ipotesi di disagio economico, nè soprattutto quelle accessorie). L’aggiunta della locuzione «detentiva», assente nel testo precedente dell’ordinamento penitenziario, rende chiara la ratio dell’intervento legislativo. La norma del testo attuale era infatti stata riformulata in questo senso dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49. Vista la speciale previsione dell’art. 47 ord. pen., non rileva quanto dispone l’art. 20 c.p.; nell’ordinamento penitenziario non esistono eventuali clausole di salvezza che consentano di intendere estinte le pene accessorie nell’ipotesi di esito favorevole dell’affidamento in prova. La Corte di Cassazione, sulla base di questi presupposti, ha rigettato il ricorso. Pertanto, in conclusione, alla luce anche di questa pronuncia, l’indicazione per gli operatori è quella di non provvedere in automatico alla reiscrizione nelle liste elettorali a seguito di esito positivo del periodo di prova.

3)  Art. 47, comma 12, legge 26 luglio 1975, n. 354: «L’esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale. Il tribunale di sorveglianza, qualora l’interessato si trovi in disagiate condizioni economiche, può dichiarare estinta anche la pena pecuniaria che non sia stata già riscossa.»

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Elettorale Elezioni europee 2019

Un antipasto delle elezioni europee 2019 Cosimo Damiano Zacà

Capo Settore Servizi Demografici, Comune di Nardò (LE)

L

e prossime elezioni del Parlamento Europeo si terranno nei 27 Stati membri dell’Unione europea (per la prima volta non parteciperà il Regno Unito per l’uscita dall’U.E. dopo la Brexit) fra il 23 e il 26 maggio 2019, con calendario variabile a seconda dei diversi Paesi.

Scheda di sintesi: Circoscrizioni 1 Chi può votare? Come si vota 1 Modalità di presentazione delle candidature 1 Criteri di eleggibilità

In Italia si voterà, quasi certamente, domenica 26 maggio dalle ore 7 alle ore 23,00, come stabilito dalla legge di stabilità 2014 (art. 1, comma 399, legge 27 dicembre 2013, n. 147). Lo spoglio dei voti, per tutti i Paesi, inizierà alle ore 23.00 del 26 maggio, in modo tale da rendere simultanea la procedura dello scrutinio in tutta l’Unione. Sarà la nona volta che i cittadini dell’UE si recheranno alle urne per eleggere i rappresentanti del Parlamento europeo; le prime elezioni a suffragio universale si sono tenute nel lontano 1979, oltre venti anni dopo la nascita della Comunità Economica Europea. Sino a quel momento l’istituzione «Parlamento» funzionò quale periodica occasione di incontro tra parlamentari nazionali.

Gli Stati membri possono prevedere la possibilità di voto anticipato, per corrispondenza, elettronico e via internet. In tal caso, devono adottare misure adeguate a garantire, in particolare, l’affidabilità dei risultati, la segretezza del voto e la protezione dei dati personali.

Ad oggi i parlamentari europei sono 751. Il 7 febbraio 2018 il Parlamento Europeo ha votato a favore di una riduzione del numero dei suoi seggi, che passerebbe dagli attuali 751 a 705 dopo l’uscita del Regno Unito dall’U.E. (marzo 2019). La decisione del Consiglio Europeo (2018/937) prevede di redistribuire i 73 seggi spettanti attualmente al Regno Unito, nel modo seguente: 27 agli altri Paesi e 46 da assegnare alle future adesioni. In base alle suddette decisioni, alcuni Paesi acquisiranno da 1 a 5 seggi in più; all’Italia spetterebbero 76 eurodeputati, 3 in più rispetto a quelli attuali. Questo il prospetto dei seggi:

Saranno chiamati alle consultazioni elettorali circa 400 milioni di persone. In 4 Stati (Belgio, Cipro, Grecia, Lussemburgo) è obbligatorio recarsi alle urne, mentre in tutti gli altri è facoltativo. In Italia votare, come recita la Costituzione (Parte prima, Diritti e doveri dei cittadini - Titolo IV, Art. 48) è considerato un «dovere civico».

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[Austria - 19 (+1), Belgio - 21 (/), Bulgaria - 17 (/), Cipro - 6 (/), Croazia - 12 (+1), Danimarca - 14 (+1), Estonia - 7 (+1), Finlandia - 14 (+1), Francia - 79 (+5), Germania - 96 (/), Grecia - 21 (+1), Irlanda - 13 (+2), Italia - 76 (+3), Lettonia - 8 (/), Lituania - 11 (/), Lussemburgo - 6 (/), Malta - 6 (/), Paesi Bassi - 29 (+3), Polonia - 52 (+1), Portogallo - 21 (/), Repubblica Ceca - 21 (/), Romania - 33 (+1), Slovacchia - 14 (+1), Slovenia - 8 (/), Spagna - 59 (+5), Svezia - 21 (+1), Ungheria - 21 (/)]


Elettorale Elezioni europee 2019

Il numero dei deputati di uno Stato membro è calcolato in base alla sua popolazione; tuttavia si va da un minimo di 6 (Cipro, Estonia, Lussemburgo e Malta) a un massimo di 96 deputati (Germania) per ciascun Paese. Le procedure per eleggere il Parlamento Europeo sono regolate sia dalla legislazione europea, che definisce norme comuni per tutti gli Stati membri, sia da specifiche disposizioni nazionali, che variano da uno Stato membro all’altro. Le norme comuni stabiliscono il principio di rappresentanza proporzionale e talune incompatibilità con il mandato di deputato al Parlamento europeo. Il diritto nazionale, invece, disciplina molti altri aspetti rilevanti, quali il sistema elettorale (si tratta di un sistema polimorfo, visti i diversi sistemi di voto) o il numero delle circoscrizioni. La disciplina del sistema elettorale delle elezioni europee, nel nostro Paese, è contenuto nella legge 24 gennaio 1979, n. 18 integrata e modificata nel tempo da diversi atti normativi. Oggi come non mai queste elezioni rivestono una particolare importanza sia per la situazione politica nazionale, che per quella internazionale; certamente diverse e più complesse rispetto al passato. Saranno i risultati elettorali ad influenzare, tra l’altro, l’elezione del Presidente della Commissione Europea.

Ciò riveste particolare importanza in quanto è il Parlamento europeo che legifera su materie (agricoltura e pesca, sviluppo regionale, protezione dei consumatori e sicurezza alimentare, trasporti, ambiente ed energia, salute, cultura, istruzione e formazione, commercio, concorrenza, ricerca e innovazione) che interessano la vita di noi cittadini. Vediamo di seguito una scheda di sintesi su alcuni aspetti di questo tipo di elezione:

Circoscrizioni. Il nostro Paese è diviso in cinque circoscrizioni di dimensione sovraregionale, alle quali sono assegnati seggi in proporzione alla popolazione. La ripartizione dei seggi si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica per il numero dei rappresentanti spettante all’Italia nel Parlamento europeo e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, risultante dall’ultimo censimento generale sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti (art. 2, comma 4, legge n.18/1979). Le cinque circoscrizioni sono: —  Nord-Est (Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli ed

In Italia si voterà domenica 26 maggio 2019 dalle ore 7,00 alle ore 23,00

Il trattato di Lisbona del 2009 impone, infatti, ai governi dell’UE, riuniti in sede di Consiglio europeo, di tener conto dei risultati delle elezioni europee al momento della proposta del nuovo presidente della Commissione, che dovrà poi essere votato ed eletto dal Parlamento europeo (principio attuato per la prima volta nelle elezioni europee del 2014).

Nella sua decisione del 7 febbraio 2018 sulla revisione dell’accordo quadro sulle relazioni tra il Parlamento europeo e la Commissione europea, il Parlamento ha avvertito di essere pronto a respingere qualsiasi candidato, nella procedura d’investitura del Presidente della Commissione, che non sia stato nominato «candidato principale» (Spitzenkandidat) di un partito politico europeo in vista delle elezioni europee del 2019.

Emilia Romagna); —  Nord-Ovest (Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta). —  Centro (Toscana, Marche, Lazio e Umbria); —  Meridione (Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise e Abruzzo); —  Isole (Sicilia e Sardegna).

Chi può votare? Possono votare tutti i cittadini italiani maggiorenni iscritti nelle liste elettorali, nonchè i cittadini degli altri

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Elettorale Elezioni europee 2019

Stati membri dell’U.E. che, a seguito di formale richiesta su apposito modulo, almeno entro tre mesi dalla votazione, abbiano ottenuto l’iscrizione nella lista elettorale aggiunta del Comune italiano di residenza. Ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino, infatti, ha il diritto di voto nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato (art. 22 del TFUE). In tutti gli Stati membri l’età prevista per esercitare il diritto di voto è 18 anni, tranne in Austria, dove è 16 anni, e in Grecia, dove ne bastano 17. Gli elettori italiani residenti all’estero (A.I.R.E.) in un Paese dell’Unione Europea possono partecipare alle elezioni del Parlamento Europeo con le seguenti modalità alternative: 1) optando di votare in Italia per i candidati della circoscrizione di cui fa parte il Comune di iscrizione nelle liste elettorali; 2) votando per i rappresentanti dello Stato dove sono residenti nelle sezioni elettorali appositamente istituite dalle Autorità straniere; 3) votando per i candidati italiani nelle sezioni elettorali appositamente istituite presso i Consolati nel territorio dei Paesi di residenza. I cittadini italiani residenti all’estero al di fuori dei Paesi dell’Unione Europea potranno votare solo rientrando in Italia e recandosi ai seggi istituiti dai Comuni nelle cui liste elettorali risultano iscritti. A tale fine, agli elettori è spedita a cura dei Comuni di iscrizione elettorale una cartolina-avviso recante l’indicazione della data della votazione, la sezione di appartenenza, l’orario di apertura e chiusura dei seggi elettorali, le modalità di ritiro della tessera elettorale, qualora l’elettore ne sia sprovvisto ecc. Tali elettori presentando la cartolina avviso hanno diritto di usufruire delle facilitazioni di viaggio sul territorio nazionale per recarsi a votare nel Comune di iscrizione elettorale. Gli elettori temporaneamente all’estero per motivi di studio, lavoro o altro e loro familiari, non iscritti nell’elenco dei residenti negli altri Paesi membri dell’U.E., possono votare presentando, entro i termini di legge, apposita domanda di poter esercitare il voto all’estero, al Sindaco del Comune italiano nelle cui liste elettorali sono iscritti.

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Come si vota. La legge elettorale è ispirata a un modello di proporzionalismo puro nel quale è possibile esprimere fino a tre preferenze. Con legge 20 febbraio 2009, n. 10, il Parlamento italiano ha introdotto una soglia di sbarramento del 4%. Diverse le soglie di sbarramento degli altri Paesi che vanno dall’1,8% di Cipro al 5% di Francia, Repubblica Ceca, Croazia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia. Ogni elettore può indicare sulla scheda (unica) fino a tre candidati della lista prescelta. Nell’aprile 2014, come già detto, la normativa riguardante i voti di preferenza è stata modificata per rafforzare la rappresentanza di genere: la terza preferenza è automaticamente annullata qualora l’elettore indichi tre candidati dello stesso sesso. In pratica le preferenze devono obbligatoriamente riguardare due donne e un uomo o due uomini e una donna, pena l’annullamento della terza preferenza.

Modalità di presentazione delle candidature. In alcuni Stati membri (Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Grecia, Paesi Bassi e Svezia) la presentazione delle candidature è riservata ai partiti e alle organizzazioni politiche. In tutti gli altri Stati membri, compresa l’Italia, per la presentazione delle candidature, occorre raccogliere un certo numero di firme, salvo le eccezioni relative all’esenzione dalla raccolta. La legge 22 aprile 2014, n. 65 prevede che le liste siano presentate tra il 40° ed il 39° giorno antecedente la data delle elezioni. Esse vanno accompagnate da un numero tra 30.000 e 35.000 sottoscrizioni, di cui almeno il 10% raccolte in ognuna delle 5 circoscrizioni. A questa regola generale, che serve a limitare la proliferazione di liste prive di valore elettorale, ci sono tuttavia delle eccezioni. Sono, infatti, esentati dalla raccolta delle firme i partiti politici e le forze politiche presenti in Parlamento o che abbiano eletto almeno un parlamentare in una delle due Camere o che abbiano eletto nelle precedenti elezioni europee un rappresentante con proprio simbolo o all’interno di un simbolo composito.


Elettorale Elezioni europee 2019

Criteri di eleggibilità. Il requisito minimo per essere eletti nel Parlamento Europeo, in termini di età, in Italia, è quello dei 25 anni compiuti entro il giorno delle elezioni. Nella maggior parte degli Stati l’età per candidarsi è di 18 anni, fanno eccezione il Belgio, la Bulgaria, Cipro, la Repubblica Ceca, l’Estonia, l’Irlanda, la Lettonia, la Lituania, la Polonia e la Slovacchia (21 anni), la Romania (23), l’Italia e la Grecia (25). Il diritto di eleggibilità alle elezioni del Parlamento Europeo in qualsiasi Stato membro di residenza scaturisce anche dall’applicazione del principio di non discriminazione tra i cittadini di uno Stato e quelli di altri Stati

membri, nonchè dal diritto di libera circolazione e di soggiorno nel territorio dell’U.E. Sono, pertanto, eleggibili anche i cittadini degli altri Stati dell’Unione che siano in possesso dei requisiti di eleggibilità previsti dalle leggi italiane e che non siano decaduti da tale diritto nel loro Stato di origine (art. 3 della direttiva 93/109/CE del Consiglio). A prescindere dal requisito della cittadinanza di uno Stato membro, comune a tutti gli altri Stati, le condizioni di eleggibilità variano da un Paese all’altro. Un candidato può presentarsi in più circoscrizioni; nessun candidato, però, può presentarsi in più di uno Stato membro nel corso delle stesse elezioni (art. 4 della direttiva 93/109/CE del Consiglio).

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Focus di Diritto focus di diritto internazionale ed europeo

a cura di:

Valeria Tevere Dottore di ricerca in diritto internazionale

Il caso Berlusconi c. Italia: osservazioni sulla decisione della Corte di Strasburgo in tema di decadenza di senatore

L

o scorso ventisette novembre è stata depositata la motivazione della decisione della Corte EDU n. 58428/13 sul caso Berlusconi v. Italia, in merito alla decadenza dalla carica di senatore di Silvio Berlusconi, a seguito della sentenza di condanna, passata in giudicato, per il reato di frode fiscale, nel caso Mediaset. È nota a tutti i lettori la vicenda processuale nazionale alla base ma valga evidenziare i profili di diritto europeo ad essa correlati.

Coloro che hanno riportato condanne superiori a due anni di reclusione non possono essere candidati alla carica di deputati o senatori

L’ex Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, nel 2013, aveva depositato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, ravvisando una violazione da parte dello Stato italiano degli artt. 7 e 13 CEDU e dell’art. 3, Protocollo addizione n. 1 CEDU sul diritto di voto.

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Infatti, a seguito della legge n.190/2012, in materia di anticorruzione, e del decreto attuativo n. 235/2012 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna), al ricorrente era stata preclusa la carica di senatore.

Ai sensi dell’art. 1 del decreto attuativo menzionato non possono, infatti, essere candidati nè ricoprire la carica di deputato e di senatore coloro che hanno riportato condanne definitive delle pene superiori a due anni di reclusione per delitti, tentati o consumati, non colposi. Conseguentemente anche la Giunta per le elezioni del Senato prese atto degli effetti di legge della sentenza di condanna e dichiarò Berlusconi decaduto dalla carica. Pertanto, nel ricorso alla Corte europea, in primis, si ri-


Focus di Diritto Il caso Berlusconi

scontrava una violazione del principio di legalità penale, essendo stata applicata una legge penale sfavorevole retroattiva — la decadenza dalla carica elettiva è considerata una sanzione accessoria penale — e si riteneva, altresì, violato anche l’art. 13 CEDU perchè nell’ordinamento nazionale non erano garantiti dei rimedi procedurali effettivi per far valere il diritto del ricorrente.

gio 2018, privasse di rilievo un’eventuale decisione della Corte di Strasburgo.

Si riteneva, inoltre, violato il protocollo addizionale n.1 CEDU sul diritto di voto, in riferimento al diritto di elettorato passivo del ricorrente. Infatti, la legge Severino avrebbe introdotto delle misure sproporzionate e limitative dello stesso.

I giudici europei, richiamando anche alcuni precedenti in materia (cfr. Grande camera, Konstantin Markin c. Russia n. 30078/06; Grande Camera, Khan c.Germany n. 38030/12), nel caso concreto, a maggioranza, hanno ritenuto di non proseguire il giudizio, perchè a seguito della intervenuta riabilitazione del ricorrente, non rilevavano più «special circumstances relating to respect for human rights».

Nella vicenda de qua la Camera aveva deferito la questione alla Grande Camera, ai sensi dell’art. 30 CEDU, per la sua particolare rilevanza, ed i giudici europei avevano anche chiesto il parere consultivo della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa, un organo di esperti in materia di diritto costituzionale, che si è espresso il 9 ottobre 2017 con l’opinion n. 898/ 2017. Tuttavia, nelle more del processo pendente, il ricorrente Berlusconi ha depositato un atto di rinuncia alla decisione ritenendo che la riabilitazione ottenuta l’11 mag-

Tutto ciò premesso, la CorteEDU, nella seduta del 30 agosto 2018, ha preso atto della rinuncia e verificatane la sua validità, ha estinto la causa, rimuovendola dal ruolo.

Occorre invero evidenziare che, ai sensi dell’art. 37 CEDU, che disciplina la cancellazione di un ricorso dal ruolo, la Corte ben avrebbe potuto, anche in caso di rinuncia, decidere sulla causa qualora il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai Protocolli lo avessero imposto, ma ciò non si è verificato nel caso di specie. Si è conclusa, dunque, una vicenda processuale complessa e nota dai mass media, con «un semplice battito di ciglia».

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Pubblica Amministrazione Efficacia della contrattazione collettiva

Efficacia della contrattazione collettiva e rappresentanza sindacale Alfonso Eramanno Matarazzo Avvocato in Genova

La rappresentatività sindacale. Il 25 gennaio 2018 l’Ispettorato Nazionale del lavoro aveva emanato la Circolare n. 3, a mezzo della quale erano state annunciate sanzioni a carico delle imprese che non applicavano i contratti collettivi di lavoro sottoscritti dalle organizzazioni sindacali «comparativamente più rappresentative».

La rappresentatività sindacale l Il diritto sindacale, tra legge e autonomia collettiva l La tutela disposta dall’introduzione del salario minimo legale l Il compenso orario minimo

Dal prefato assunto si possono trarre alcune importanti considerazioni, non solo dal punto di vista del diritto del lavoro stricto sensu, ma anche dal punto di vista della politica sociale: tematiche quali l’efficacia del Ccnl, la rappresentatività sindacale e il contrasto al dumping sociale riguardano il punto di vista del vivere quotidiano.

Riguardo la rappresentatività sindacale, è bene chiarire che non esiste una definizione legislativa di «sindacato comparativamente più rappresentativo». Tale nozione era nata intorno alla metà degli anni ’90, ma non aveva trovato alcun seguito normativo. Ne consegue che, a seconda degli effetti attribuiti alla fattispecie del sindacato comparativamente più rappresentativo, la nozione può essere utilizzata per selezionare determinati soggetti sindacali, attraverso l’attribuzione della legittimazione negoziale esclusiva, ovvero, in alternativa, per consentire di scegliere quale sia applicabile fra due o più contratti collettivi già conclusi, che

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vengano ad insistere sullo stesso ambito territoriale o categoriale. Siamo, però, al limite dell’artificio giuridico. L’espressione «sindacati comparativamente maggiormente rappresentativi» ha assunto, pertanto, un significato alquanto eterogeneo, foriero di parecchie riserve e censure sotto il profilo sostanziale. Riserve e censure ancor più accentuate se poste a confronto con l’art. 39 Cost., quale principio cardine del principio della libertà sindacale.

Il diritto sindacale, tra legge e autonomia collettiva. Gli interventi legislativi non hanno, purtroppo, contribuito a fugare i dubbi, visti i continui richiami ai contratti stipulati da «sindacati maggiormente rappresentativi». Le dinamiche dell’autonomia collettiva hanno acuito il problema se si considera come punto di arrivo il Testo unico 10 gennaio 2014 e, a seguire, il cosiddetto «Patto per la fabbrica» del 28 febbraio 2018, siglato tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil. L’accordo da ultimo citato è, peraltro, stato oggetto di non poche critiche, visti i limiti evidenziati. Si tratterebbe di attuare il passaggio da una rappresenta-


Pubblica Amministrazione Efficacia della contrattazione collettiva

tività presunta ad una verificata, applicando il principio di maggioranza mediante una procedura comparativa. Problema, invero, di assai difficile soluzione, laddove si osservi che la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha evidenziato come dalla Costituzione non sia in alcun modo ricavabile una riserva di legge o di contrattazione a favore dei sindacati, escludendo che il legislatore possa inibire la libertà delle scelte sindacali, ivi comprese quelle di autonomia collettiva. Ad ogni buon conto, va evidenziato che se l’autonomia collettiva non è preservata da limiti legali, la legge incontra a propria volta limiti nei principi della libertà sindacale e dell’autonomia collettiva professionale ex art. 39 Cost. Infatti, il criterio selettivo di comparazione tra le organizzazioni sindacali pone evidenti questioni di costituzionalità, in ordine al principio della libertà sindacale di cui all’art. 39 C. Cost. Ragione per cui, oggi, molti giuristi auspicano un intervento legislativo per imporre una legge sulla rappresentanza sindacale, come peraltro indicato nell’art. 39, comma 1, Cost. Una seconda corrente di pensiero obietta che se si eliminasse la locuzione «sindacato comparativamente più rappresentativo» si inibirebbe o, quanto meno, si limiterebbe il fenomeno del dumping sociale, generato dai contratti «pirata» (basti pensare che oltre il 12% dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali, creando così i working poors, i poveri malgrado il lavoro), oltre ad aversi una sorta di autoselezione in termini di rappresentatività e contratti collettivi da applicare da parte di alcuni soggetti collettivi. L’ordinamento del lavoro deve evolversi verso un sistema di protezione più leggero ma universale, tale da ricomprendere la subordinazione quanto il nuovo lavoro autonomo economicamente dipendente, quale quello dei riders.

La tutela disposta dall’introduzione del salario minimo legale.

pre l’ipotesi di un salario minimo legale europeo, sebbene nei Paesi in cui vige la soglia del salario minimo garantito sono state debellate le condizioni strutturali di sottosalario, che sottraggono molti lavoratori alla copertura della contrattazione collettiva. Il prof. Tiziano Treu, esperto giuslavorista e già Ministro del Lavoro all’epoca del governo Dini, ha sempre ritenuto che l’intervento legislativo debba essere considerato strumento sussidiario alla contrattazione collettiva e debba operare in caso di particolare debolezza della contrattazione, poichè «soltanto ragioni di concreta politica legislativa potranno consigliare o meno il legislatore a provvedere senza attendere il mancato appuntamento della contrattazione collettiva». Il salario minimo garantito assume invece caratteristiche di intercategorialità a livello nazionale e di consenso delle parti sociali in regime di pluralismo a seguito della fine del monopolio rappresentativo, fondato sull’ordinamento sindacale e la crisi del modello di relazioni socio-istituzionale di tipo neocorporativo, con la rapida diffusione di contratti collettivi stipulati da associazioni datoriali e sindacati dei lavoratori diversi dalle organizzazioni storiche, in regime di reciproco riconoscimento. Un nuovo pluralismo sindacale e contrattuale lontano dai contratti pirata, oltrechè una concorrenza contrattuale volta a spingere le imprese a scegliere l’accordo collettivo più conveniente. L’ipotesi del salario minimo intercategoriale valorizzerebbe la funzione storica dell’autonomia collettiva e quella della giurisprudenza in merito all’art. 36 Cost.

L’ordinamento del lavoro deve evolversi verso un sistema di protezione più leggero ma universale

Riguardo il quantum, il salario minimo garantito, avendo connotato meramente protettivo, non dovrebbe essere distane dalle retribuzioni base dei Ccnl. Nello specifico, potrebbe essere individuato tra il 50/60% dei salari medi scaturenti dalla contrattazione collettiva per non interferire con essa.

Una soluzione adeguata, a livello di normativa comunitaria, volta a fornire una tutela retributiva e previdenziale di base per un mondo del lavoro in continua evoluzione, è rappresentata dalla previsione di una legge sul salario minimo garantito, che includa soglie minime di intervento previdenziale e di welfare.

Il compenso orario minimo.

La normativa comunitaria ha, per vero, escluso da sem-

In Italia si discute di salario minimo legale in una pro-

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Pubblica Amministrazione Efficacia della contrattazione collettiva

spettiva più ampia, relativamente a forme ibride di lavoro autonomo, con la previsione di soglie minime di intervento previdenziale e di welfare, da estendersi anche a quelle figure di lavoratori che non rientrano nella previsione dell’art. 2094 c.c. e dalla nozione di subordinazione da esso scaturente, ma che subiscono gravi fenomeni di sfruttamento proprio come i cosiddetti riders. Sul punto, la linea di teoria giuslavoristica indicata è quella del superamento della dicotomia tra subordinazione e autonomia, con la creazione di un sistema di diritti, di tutele e di garanzie sociali anche di quelle tipologie di lavoro che si ritengono «fuori dal mercato, del fine di lucro e quindi globalmente fuori dal diritto del lavoro». Gli assunti di cui sopra portano, indubbiamente, ad una riconsiderazione del concetto di subordinazione, vista come species di un lavoro inteso nella sua accezione generale, come base comune del pluralismo delle forme contrattuali con cui il lavoro è integrato nelle attività altrui. In tale diversa prospettiva del rapporto tra subordinazione e autonomia si potrebbe configurare un «compenso orario minimo» a carattere universale, con cui apprestare una rete di protezione economica minimale per tutte quelle prestazioni connotate da una debolezza so-

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cio economica e, sia perchè estranee alla disciplina della subordinazione, sia per l’abrogazione della disciplina del lavoro a progetto con i suoi riferimenti all’adeguatezza del corrispettivo, sarebbero sottratte a qualunque forma di tutela. L’istituto potrebbe svolgere una funzione importante per i cosiddetti «lavoratori vulnerabili», comprimendo l’area dei working poors, finalisticamente volto a promuovere un processo di inclusione sociale, con una interpretazione evolutiva e dinamica del concetto di subordinazione, tale da includere la regolamentazione della subordinazione a campi contigui, tenuto conto dell’evoluzione del mondo del lavoro. L’istituto del compenso minimo legale, peraltro, avrebbe come antecedente storico quell’equo compenso già previsto per alcune ipotesi di lavoro autonomo e ribadisce l’esistenza di un diritto alla giusta retribuzione, previsto all’art. 36 Cost., oltrechè alla tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, rubricato all’art. 35 Cost. Si verte, quindi, in tema di diritto costituzionale della persona.


Sportello Inverso Il Comune di Torino cerca informatici

a cura di:

Diego Giorio Responsabile Servizi Demografici ed Elettorali del Comune di Villanova Canavese (TO)

Il Comune di Torino cerca informatici

U

n concorso comporta di solito un grosso sforzo. Soprattutto i piccoli Comuni incontrano difficoltà logistiche ed organizzative: per un solo posto disponibile si presentano decine o centinaia di candidati, per cui non è facile trovare sufficienti commissari per gestire la preselezione, reperire un locale abbastanza grande da contenerli tutti — anche se non tutti gli iscritti si presentano realmente — dedicare il tempo per la correzione e per gestire le prove successive, che, oltretutto, possono includere domande e test di lingua e di informatica, con conseguente necessità di inserire nella commissione esperti adeguati, sostenendone i relativi costi. Può essere difficile per tutti, dato che un grande Ente avrà forse più domande, ma, proporzionalmente, una grande metropoli come Torino sarà più preparata all’impatto. Il problema, però, stavolta non è neppure sorto: ad un concorso per due posti di lavoro si sono presentati zero candidati, a fronte di zero domande. Un clamoroso buco nell’acqua! Com’è possibile che, in un’epoca di disoccupazione generalizzata, ed in particolare di disoccupazione giovanile,

nessuno abbia avuto interesse per un posto nell’Ente Pubblico? Forse un errore nella comunicazione, un’insufficiente diffusione della notizia, per cui nessuno si è accorto dell’opportunità? Oppure una pigrizia diffusa, per cui si è ritenuto più comodo stare a casa con la mamma piuttosto che guadagnarsi la propria indipendenza? Niente di tutto questo. Il problema è da individuarsi nel profilo richiesto, a fronte di quanto offerto: un posto per un anno, con uno stipendio lordo di 25.000 euro, per sviluppare algoritmi informatici di analisi dei dati, al fine di mettere l’amministrazione in grado di verificare se i risultati ottenuti sono in linea con i propositi iniziali. Due ingegneri informatici avrebbero dovuto sviluppare software e metodi per analizzare numeri, proiezioni, tabelle e generare risposte, grafici, tendenze che aiutino i politici a realizzare il programma. Un obiettivo ambizioso ed un lavoro tutto sommato interessante. Peccato però che i brillanti ingegneri informatici, come scrive il corsista de La Stampa(1), per l’80% abbiano in tasca la lettera d’assunzione già mentre scrivono la tesi, mentre il restante 20% troverà lavoro

1)  https://www.lastampa.it/2018/11/27/cronaca/divario-digitale-luN9c0pT1AdAXvHjOhQZeI/pagina.html 27 novembre 2018)

(visitata

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Sportello Inverso Il Comune di Torino cerca informatici

nei mesi immediatamente seguenti. E non parliamo di impieghi precari, a termine, o di lavoro gratis per sei mesi stage di formazione e via discorrendo, bensì di lavori qualificati, ben retribuiti fin dall’inizio e con ampie prospettive di crescita, per cui i 25.000 euro proposti possono anche arrivare in un mese, anzichè in un anno. Chi sa gestire i numeri, scavare nei big data, elaborare algoritmi tali da trasformare aride cifre in indicatori e informazioni preziose oggi è ricercato tanto quanto i dati stessi, per cui i giganti del WEB se li contendono a colpi di benefit e di pacchetti azionari, tanto che lo stipendio base è persino una questione secondaria rispetto al trattamento complessivo. Senza contare lo stimolo intellettuale di lavorare per Aziende che fanno la differenza, in ambienti stimolanti, che possono mettere a disposizione laboratori e attrezzature che un Comune, per quanto grande, neppure si sogna. Però il problema dovrà comunque porsi: fin quando la PA non potrà competere col privato, non solo in termini di salario, non si potrà neppure fare quel salto di qualità digitale che tutti i Governi, di qualunque colore, invocano, promettono, impostano, ma che finisce sempre con lo sbattere contro il muro dei faldoni, del fax, del «si è sempre fatto così». Non ha sbagliato la Città di Torino

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ad impegnarsi in questa iniziativa, anzi, speriamo che ci riprovi e che qualcuno bravo e interessato si presenti. Non ha sbagliato chi ha voluto affidarsi ai numeri per gestire la cosa pubblica secondo il moderno pensiero scientifico. Ha sbagliato chi non ha messo il Comune in condizione di competere ad armi pari nell’assunzione dei migliori cervelli. In attesa che le cose cambino e che l’Intelligenza Artificiale possa far arrivare sui tavoli degli amministratori un flusso continuo di informazioni e di soluzioni, posso comunque suggerire un rimedio provvisorio: fare due passi per le strade, prendere un mezzo pubblico, girare in un parco cittadino, magari quando fa buio, senza scorta. Anche senza algoritmi sofisticati si potrebbe avere la percezione di quanto il traffico sia regolare e disciplinato, di quanto i portici siano sicuri per i pedoni e non invasi da ciclisti, di quanti paghino il biglietto del tram, di quanto sia regolare la sosta, di quanto le panchine siano dedicate alla lettura ed alla socialità e non luogo di spaccio… Dopo aver risolto questi problemi macroscopici, ci si potrà occupare, attraverso gli algoritmi, degli infinitesimi di secondo livello, per dirlo in termini matematici.



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