DAL 1906 LA VOCE DEL CENTRO SPORTIVO ITALIANO

#15 settembre/2025
#15 settembre/2025
L’INTERVISTA
Milano Cortina 2026: l’eredità che resta
DOSSIER
Un’Olimpiade “diffusa” e promessa al futuro
NATI NEL CSI
Franco Nones: primo oro nel fondo azzurro
In occasione dei primi 80 di vita della nostra Associazione Stadium cambia veste grafica e conferma la ricchezza dei contenuti
Vittorio Bosio Presidente nazionale CSI
Salta subito all’occhio la nuova grafica di Stadium: lo spiega bene Alessio Franchina, nuovo direttore di Stadium e coordinatore dell’Area Comunicazione, Marketing e Innovazione Digitale della Presidenza nazionale, con l’articolo che apre questo numero speciale. Prima di inoltrarmi nella breve presentazione dei ricchi contenuti del nostro prestigioso periodico, sottolineo che questa edizione viene consegnata in occasione dell’80° anniversario di vita del Centro Sportivo Italiano. Un appuntamento particolarmente significativo che ci mette nelle condizioni di osservare con orgoglio la nostra storia. Soprattutto ci consegna un bilancio di tutto rispetto, in particolare per la coerenza dimostrata nell’aver conservato i valori originari. Abbiamo avuto molte occasioni per sottolineare questo aspetto che ci inorgoglisce e al contempo ci affida la responsabilità di continuare su questo sentiero, tanto fecondo
quanto arduo da percorrere, in certe fasi della storia italiana. Siamo nati per la formazione e l’educazione di ragazzi e giovani e abbiamo poi aperto il ventaglio dei nostri progetti a tutti gli ambiti in cui ci sia necessità di accoglienza, di valorizzazione dei meno dotati, di attenzione a non lasciare che nessuno venga escluso. Ci siamo riusciti? Certamente. Lo conferma uno sguardo sereno eppur severo su questi ottant’anni, alla luce della gratitudine nei confronti di tutti coloro – dirigenti, atleti, famiglie – che in questi anni ci hanno dato fiducia e ci hanno rafforzato nella convinzione che solo il messaggio del Vangelo possa essere assunto quale valore universale, sempre valido e potente, in grado di proteggere l’umanità, chiamata ad amarsi, senza distinzione di sesso, condizione sociale, origine, orientamento politico.
Molta parte di questo numero di Stadium è dedicata alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi. In questo scenario, il Centro Sportivo Italiano porta il suo contributo di sempre: lo sport di base, terreno fertile da cui nascono passioni, percorsi, atleti di oggi e, chissà, anche campioni di domani. Siamo nati, infatti, non per contendere ruoli o posizionamenti alle Federazioni, che hanno il compito di individuare i campioni e di accompagnarli ai risultati attesi.
Siamo parte di queste avventure, umane prima che sportive, perché sappiamo che l’esempio trascina i movimenti e quindi, quando ci sono campioni o squadre che fanno grande l’Italia, tutto lo sport ne guadagna. Ma a noi spetta il compito di curare la base, far
vivere questo concetto che forse qualcuno ritiene possa essere solo uno slogan. Invece il CSI, e la nostra storia lunga 80 anni lo dimostra, è in campo per diffondere uno sport che aggrega, che fa star bene, che funziona perfino come elemento di prevenzione sociale e sanitaria, ma sempre con la sensibilità dell’educatore attento allo sviluppo della personalità dei giovani. In questo ricco numero di Stadium leggiamo ampi approfondimenti e presentazione delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi, insieme ad alcune interviste per scoprirne il dietro le quinte.
Per la rubrica “Nati nel CSI” presentiamo la mitica figura di Franco Nones, medaglia d’oro olimpica sulla neve. Insieme con altri importanti articoli che lascio ai lettori il piacere di scoprire leggendo il trimestrale, segnalo il resoconto giornalistico della presenza, ormai tradizionale, del CSI al Meeting di Rimini, dove il padiglione del Centro Sportivo Italiano è stato meta di tantissimi visitatori, tra i quali molte autorità del mondo civile e sportivo (non ultimo il ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi).
Anche in questa occasione ho avuto modo di sottolineare quanto sia importante la collaborazione fra lo sport di vertice e lo sport di base: lo sport di base è il terreno che accoglie e fa sviluppare il seme, lo sport di vertice forma gli atleti per i massimi livelli competitivi.
Editore e Redazione
Stadium: nuovo volto, stessa voglia di raccontare lo sport 4
Sport in Comune
Cortina si prepara al 2026: tra ansie e grandi sogni 6
Dossier
Milano Cortina 2026, l’Olimpiade “diffusa” 8
L’intervista
Fondazione Milano Cortina: i Giochi che lasciano un segno oltre lo sport 18
Nati nel CSI
Franco Nones, in fondo ad un amore: lo sport e il CSI
Focus
per il Mondo è Fondazione
Attualità
Zoom
e fraternità giocano in squadra
“TuttInGioco”: un’estate in campo dalla stessa parte
Zoom
Il CSI al Meeting di Rimini: lo sport “mattone nuovo” del futuro
Centro Sportivo Italiano Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma www.centrosportivoitaliano.it comunicazione@csi-net.it
Periodicità
Trimestrale
Direttore responsabile
Alessio Franchina
Direttore editoriale
Vittorio Bosio
Redazione
Felice Alborghetti, Massimiliano Dilettuso, Giorgia Magni (caporedattrice), Laura Politi, Laura Sanvito
Foto
Archivio fotografico CSI, Meeting Rimini 2025, Fondazione Fratelli Tutti, Fondazione Milano Cortina 2026, Manaz Productions, Simone De Cillia. La foto di copertina è stata gentilmente concessa da Manaz Productions.
Segreteria di redazione
Laura Sanvito
Grafica
Roberto Mattiucci, Loretta Pizzinga
Hanno collaborato
Leonio Callioni, Carlo Coppi, Teresa Falco, Alessia Ferri, Manuel Garattini, Lorenzo Morano, Miranda Parrini, Francesco Pellitteri, Francesco Piccone, Gaetano Rizzo, Sergio Sartori, Gaia Tozzo, Roberta Trezza, Daniele Zaccardi, Adriano Zanchetta
Stadium è iscritto presso il Tribunale di Roma Sezione Stampa al n. 158/2021 del 5/10/2021
Stampato da Varigrafica Alto Lazio, Zona Ind.le Settevene - 01036 Nepi (VT) Italia - su carta Fedrigoni Arena White Smooth da 140 gr. biodegradabile e riciclabile
PER CONTATTARE LA REDAZIONE
Telefono 06 68404550
Email stadium@csi-net.it
Web www.stadiumcsi.it Parola
don Luca Meacci
Assistente Ecclesiastico nazionale CSI
Siamo all’inizio di una nuova stagione sportiva che si apre con un grande evento per la nostra Associazione: la celebrazione, il prossimo 4 ottobre, degli 80 anni della nostra vita associativa. Sarà una bellissima occasione per ricordare una storia che ha segnato e arricchito il nostro Paese e la Chiesa italiana. Possiamo guardare al nostro passato con orgoglio, consapevoli che l’impegno di tanti dirigenti, atleti e giudici ha contribuito a promuovere uno sport che ha messo al centro la persona, valorizzando così la bellezza dello sport. Ci portiamo dietro anche qualche ferita, ma proprio per questo siamo ancora più determinati a vigilare affinché l’attività sportiva non sfoci in eccessi e storture che inquinano lo sport e la nostra vita associativa. Sarà l’occasione per ringraziare Dio per questo tempo, dove abbiamo sperimentato che la generosità e l’impegno di molti, anche nella più piccola società sportiva, hanno
reso lo sport un luogo di incontro, socializzazione e festa. Ma lo sport promosso dal CSI è stato anche occasione di annuncio del Vangelo e di educazione alla vita cristiana, offrendo un tempo propizio per la crescita personale e spirituale di ogni atleta. Ringrazieremo tutti coloro che hanno contribuito a fare del CSI una grande Associazione, che ha visto appassionare allo sport intere generazioni di uomini e donne. Nella mia esperienza, ho potuto toccare con mano quanta generosità è stata spesa da dirigenti che, con passione, si sono donati per il bene dello sport e della nostra Associazione. Ho ammirato l’impegno e la passione che atleti, tecnici e volontari mettono nel vivere il gesto sportivo, trasformandolo in un’esperienza di vita. Quello che vivremo il 4 ottobre non sarà la fine di un percorso, non sarà la celebrazione del passato, ma l’occasione per rinnovare un impegno e una passione per lo sport. Celebrare un anniversario ci invita a guardare al passato non con nostalgia, ma con la consapevolezza della bontà del cammino fatto e delle radici solide su cui poggiamo. Allo stesso tempo, sarà l’occasione per gettare lo sguardo oltre, verso le nuove sfide e i nuovi traguardi. Il nostro compito non è biasimare questi tempi, ma rinnovare una dedizione e una vocazione, ripartendo dal carisma proprio del Centro Sportivo Italiano. Fare memoria non significa rimanere ancorati a un passato sterile, ma celebrare un memoriale. Facendo un’analogia con la celebrazione eucaristica: dove il memoriale dell’ultima cena ci rende presenti a quell’evento per goderne i frutti di grazia e di salvezza, così la celebrazione degli 80 anni del CSI sia
un memoriale. Torniamo alle nostre origini, a quella passione che spinse alcuni dirigenti dell’Azione Cattolica a impegnarsi nello sport per parlare di Dio e vivere lo sport come occasione di educazione e di evangelizzazione. Sentiamoci chiamati a fare memoria per tornare alle nostre radici, per attingere da esse linfa vitale per il tempo che si apre davanti a noi. Sia l’occasione per ridare speranza, perché un futuro migliore è possibile e solo chi ha una storia, un vissuto, ha un “memoriale” da celebrare. Nella giornata del 4 ottobre, vivremo vari momenti: la manifestazione ufficiale all’Auditorium, il pellegrinaggio giubilare alla Porta Santa e la celebrazione della Santa Messa nella Basilica di San Pietro. Ognuno di questi eventi è denso di significato. Come scrive il profeta Isaia al capitolo 54, 2-3: «Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio, allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti poiché ti allargherai a destra e a sinistra e la tua discendenza possederà le nazioni, popolerà le città un tempo deserte». Sia per il Centro Sportivo Italiano l’occasione per allargare il proprio cuore, per aumentare l’attività sportiva, per stringere nuove alleanze educative e per rafforzare i propri valori. Per aprirsi a includere uomini e donne che amano lo sport e in esso possono vivere esperienze di pace e incontro. È fondamentale rimotivare una presenza nelle nostre parrocchie e città, specialmente nelle periferie sociali e geografiche, dove è urgente portare lo sport per educare e socializzare.
Dai, CSI: c’è molto da fare!
Don Luca Meacci
Dal 1906 al futuro: Stadium rilancia con nuove firme e un patrimonio digitale per raccontare le storie di sport del nostro Paese
Ogni volta che si sfoglia il primo numero fresco di stampa di un periodico, si rinnova un rito antico: il gesto di aprire le pagine, di riconoscersi in uno stile, di attendere le storie che vi troveremo dentro.
Oggi questo rito si arricchisce di un’emozione in più: Stadium, house organ del CSI, si presenta con una nuova veste grafica e con un progetto di rilancio che guarda al futuro senza mai dimenticare il proprio passato.
Dal 1906 Stadium racconta lo sport italiano: dalle radici nella FASCI (Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane), ispirate ai valori di educazione
e libertà, alla nascita del CSI nel 1944 con la sua vocazione di pace. Ha attraversato il dopoguerra, accompagnato tutti i papi del ’900, seguito le Olimpiadi del ’48 e del ’60, il Grande Torino, le sfide di Coppi e Bartali, l’ascesa dello sport femminile, le Feste dello Sport, le battaglie sociali e giovanili degli anni ’90, fino alla più recente sfida del fare sport durante la pandemia di Covid-19. Oggi ritorna con la forza della memoria e lo sguardo rivolto al futuro.
La prima parola che voglio condividere è “grazie”. Grazie a chi ha reso possibile arrivare sin qui, e in particolare a Leonio Callioni, direttore responsabile che nel 2021 guidò con competenza una stagione decisiva per la rinascita di Stadium. A lui devo il testimone che oggi raccolgo con gratitudine, passione e senso di responsabilità, ringraziando la Presidenza Nazionale del CSI per la fiducia,
consapevole che Stadium non è solo un prodotto editoriale, ma un patrimonio comune di valori, storie, memorie e visioni. Il nostro lavoro non si ferma all’immagine: dalle pagine più pulite e moderne, dalla grafica più leggibile e accogliente, si sprigiona un progetto più grande. Stadium vuole tornare ad essere un luogo d’incontro e di racconto, un laboratorio di idee e di passioni, una casa che custodisce e rilancia le belle storie di sport che ogni giorno nascono sui campi, nelle palestre, negli oratori, nelle strade e nei cuori di chi crede nello sport come educazione, relazione e comunità, non solo nel mondo del CSI, ma in tutto il Paese. Dal prossimo numero inaugureremo nuove rubriche, pensate per dare voce a mondi diversi e complementari: storie di atleti e dirigenti, di inclusione e impegno sociale, approfondimenti
sui grandi temi dello sport e della società, spazi dedicati alle nuove generazioni che con entusiasmo abitano il presente e costruiscono il futuro. Stadium diventerà sempre più specchio fedele della vita associativa del CSI e osservatorio attento dei cambiamenti che attraversano il mondo sportivo, educativo e culturale. Realizzeremo questa sfida ampliando la redazione: nuove firme (a partire da questo numero), nuove sensibilità ed energie si uniranno al team che da anni cura con dedizione queste pagine. Sarà una squadra allargata e plurale, capace di intrecciare tradizione e innovazione, radici e prospettive, passione e professionalità. Un’altra grande opera che completeremo riguarda la digitalizzazione dell’intero patrimonio della rivista. Non si tratta solo di un progetto archivistico, ma di un atto di memoria e di responsabilità verso la storia dello sport italiano e del CSI. Rendere accessibili queste pagine a tutti, in forma digitale, significa aprire un ponte tra generazioni, custodire un’eredità e allo stesso tempo offrire strumenti per leggere meglio il presente e costruire il domani.
Stadium ha sempre dato forza alle voci che abitano le periferie: quelle che poco si vedono e si leggono altrove, ma che custodiscono
il cuore autentico dello sport educativo. Dal racconto degli oratori alle società sportive minori, da chi pratica in montagna a chi presidia i quartieri urbani, ogni storia è per noi un frammento di bellezza che merita di essere ascoltato.
Il rilancio di Stadium non è dunque un’operazione di facciata, ma un cammino condiviso. Ogni numero sarà un invito a sentirsi parte di una comunità viva, che attraverso lo sport impara a crescere, a includere, a sognare. Ogni articolo sarà una tessera di un mosaico più grande, dove ciò che conta non è solo la notizia, ma la capacità di scorgere in essa un senso, un valore, una speranza. Abbiamo davanti una strada entusiasmante: far sì che Stadium sia ancora e sempre più il periodico che racconta la bellezza dello sport italiano vissuto con passione e con fede, quello che unisce più che dividere, che educa più che intrattenere, che semina futuro più che inseguire mode. In questo spirito, Stadium sarà non solo memoria del passato e racconto del presente, ma anche palestra di futuro. Uno strumento al servizio del CSI, della Chiesa, dell’intero sistema sportivo e della società civile, capace di far emergere i talenti, le energie e le speranze di chi crede nello sport come missione educativa. Siamo convinti che, se sapremo
camminare insieme, ogni nuova pagina potrà diventare segno di speranza e di bellezza condivisa. A voi lettori il compito di sfogliarlo, di riconoscervi in esso e di farlo crescere insieme a noi. Perché Stadium non è solo l’house organ del CSI: è il magazine di chiunque creda nello sport come racconto della parte più bella dell’uomo.
La digitalizzazione dell’intero patrimonio della rivista è un atto di memoria e responsabilità: dal 1906
racconta
dello
Dalla nuova pista da bob al villaggio di Fiames, il sindaco Lorenzi svela come i Giochi possano diventare occasione di crescita per giovani, sport e turismo
POspitare i Giochi è un fatto eccezionale: ci sono timori comprensibili, ma anche grandi aspettative.
Ora la sfida è trasformare ogni opera in un’eredità concreta e sostenibile per il futuro
ochi mesi ci separano dall’inizio delle Olimpiadi e Paralimpiadi di Milano Cortina 2026. Per parlare delle aspettative, degli obiettivi e dell’eredità di un evento di tale portata, abbiamo incontrato Gianluca Lorenzi, sindaco di Cortina d’Ampezzo.
Sindaco Lorenzi, Cortina si prepara a un appuntamento che la metterà sotto i riflettori di tutto il mondo: le Olimpiadi invernali del 2026. Al di là dei preparativi e dei cantieri, come descriverebbe l’umore della città? Si percepisce già l’emozione, la trepidazione o anche un po’ di sana ansia?
Il villaggio olimpico di Fiames diventerà, dopo i Giochi, uno spazio per la comunità: studentati, orti urbani... Spesso i grandi eventi lasciano dietro di sé opere inutilizzate. Quanto è importante per Cortina che un’infrastruttura così simbolica non sia solo una “cattedrale nel deserto”, ma un’eredità viva e sostenibile per la città?
In questo momento il paese vive ancora con un po’ di preoccupazione ed è comprensibile: su alcuni aspetti legati alla gestione delle Olimpiadi, in particolare viabilità e parcheggi, non sono ancora arrivate tutte le risposte. Il timore è che durante l’evento possano esserci difficoltà negli spostamenti. Tuttavia, sono questioni che verranno presto chiarite grazie ai tavoli tecnici già avviati, che ci permetteranno di definire soluzioni concrete. L’obiettivo è chiaro: far vivere le Olimpiadi senza creare troppi disguidi alla comunità e agli ospiti. Una volta date queste certezze, il percepito cambierà, perché ospitare per la seconda volta i Giochi è un fatto eccezionale, che ha già rilanciato Cortina a livello internazionale e che alimenta grandi aspettative anche sul piano turistico.
Sin dalla candidatura, l’area individuata per il villaggio olimpico è stata pensata come uno spazio temporaneo: una zona che, terminato l’evento, sarebbe stata ripristinata perché non idonea a una nuova urbanizzazione. Cortina non può essere paragonata a Milano: il nostro territorio è estremamente fragile e interventi urbanistici di tale portata comporterebbero modifiche troppo invasive, che non vogliamo. Per dare risposte puntuali ai residenti e al settore imprenditoriale stiamo valutando un Piano di Assetto del Territorio che analizzi con precisione esigenze e potenzialità, pur nella consapevolezza che non sarà possibile soddisfare tutte le richieste. La visione deve essere più ampia e coinvolgere anche i Comuni vicini, che a loro volta possono considerare nuove urbanizzazioni. Queste potrebbero diventare un’opportunità non solo per il settore commerciale, ma anche per attrarre nuovi residenti, creare condizioni favorevoli alla nascita di nuove famiglie e dare una risposta concreta sia al calo demografico sia alla necessità di nuovi posti di lavoro.
Lei ha definito la nuova pista da bob un passo fondamentale. Al di là dell’impianto sportivo, questa scelta ha un forte valore simbolico. Che messaggio lancia Cortina al mondo, ma soprattutto ai suoi cittadini, sul modo in cui intende vivere i Giochi e il loro lascito?
La nuova pista da bob rappresenta innanzitutto un riconoscimento a Cortina per la sua cultura sportiva in questa disciplina. Gli sport del ghiaccio qui sono molto sentiti e praticati, e proprio per questo la pista trova un terreno fertile per avvicinare i nostri giovani non solo al bob ma anche a nuove discipline come skeleton e slittino. A Cortina abbiamo inoltre molti appassionati e professionalità che permetteranno alla struttura di generare nuove opportunità di lavoro.
Va poi sottolineato che l’impianto non avrà una valenza solo locale: sarà un punto di riferimento per l’Alto Adige, che esprime molti atleti di alto livello, e per nazioni vicine come Austria, Germania e Svizzera, autentiche potenze di questo sport. Lo Sliding Centre di Cortina sarà il più tecnologicamente avanzato al mondo, e questo ci dà la possibilità di pensarlo come una struttura viva, dedicata non soltanto alle competizioni ma anche ad allenamenti e a grandi eventi sportivi internazionali. Allo stesso tempo, la pista diventa un nuovo prodotto turistico di eccellenza: saranno disponibili il “taxi bob” e bob non professionali, studiati appositamente per l’offerta turistica, utilizzabili senza personale specializzato e quindi molto attrattivi per il settore. Già da ora stiamo lavorando alla programmazione di eventi e competizioni per i prossimi quattro anni: non ci faremo trovare impreparati e vogliamo che questa eredità diventi un’opportunità concreta per lo sport, per i giovani e per il futuro turistico di Cortina.
I Giochi sono una vetrina sportiva, ma anche un’enorme occasione di sviluppo. Oltre a impianti e strutture, quali sono le priorità infrastrutturali per Cortina? Come può la città assicurarsi che questi investimenti non siano un fuoco di paglia, ma una base solida per il futuro?
I Giochi rappresentano certamente una vetrina sportiva, ma anche un’occasione straordinaria di sviluppo per Cortina. Le priorità infrastrutturali non si limitano agli impianti sportivi: abbiamo colto ogni opportunità offerta dai fondi statali e regionali per migliorare la città nel suo complesso. Abbiamo riqualificato la viabilità, ristrutturato l’area della exstazione con 600 posti auto interrati e nuovi servizi, stiamo recuperando la piscina chiusa da 15 anni e il cinema, e abbiamo
realizzato un parcheggio interrato nel centro di Cortina. Oltre a questi interventi pubblici, anche il settore privato ha mostrato fiducia: molti alberghi abbandonati da anni sono stati acquistati da nuovi investitori, segno che grandi gruppi internazionali credono nelle potenzialità di Cortina. Questi investimenti non sono un “fuoco di paglia”: costituiscono una base solida per il futuro, creando un prodotto turistico di eccellenza che potrà sostenere e rilanciare il turismo dei prossimi 20-30 anni. Significano anche nuove opportunità per i nostri giovani e per chi vuole investire, rendendo Cortina sempre più attrattiva e competitiva.
I valori olimpici sono un inno al rispetto, all’inclusione e alla solidarietà. Come immagina che Milano Cortina 2026 possa accendere la passione nei giovani del territorio e diventare una molla per lo sport di base?
Come dico sempre, Cortina ha sempre avuto lo sport nel suo DNA, ma il vero valore aggiunto sarà rappresentato dalle Paralimpiadi. Esse ci hanno permesso di avviare un percorso concreto verso l’abbattimento delle barriere, che in montagna sono naturalmente più presenti. Il nostro obiettivo è essere una comunità aperta a tutti, dove anche le persone con disabilità possano sentirsi a proprio agio. Questo rappresenta un vero cambiamento di paradigma e un’evoluzione culturale. Certo, il 2026 non sarà l’anno zero, ma l’inizio di un percorso che porterà a risultati concreti nel tempo. Contemporaneamente potrà essere uno stimolo per altre località turistiche, che per restare competitive dovranno seguire il nostro esempio. In sostanza, stiamo dando il via a una “good practice” che nei prossimi anni darà i suoi frutti, accendendo la passione dei giovani e rafforzando lo sport di base sul territorio.
Una promessa ai giovani. Il riflesso di una società. Una prova per le comunità
di Giorgia Magni
Mancano meno di 130 giorni all’accensione del braciere olimpico che aprirà le Olimpiadi invernali di Milano Cortina, ma i territori che le ospiteranno hanno cominciato a cambiare volto molto prima. A Milano, Cortina, Bormio, Livigno, Val di Fiemme, Anterselva e Verona compaiono le prime installazioni per le strade, i primi addobbi, i manifesti sugli autobus. Nei bar si parla di piste, medaglie, strade chiuse per i cantieri; sui giornali locali spuntano inserti speciali e interviste a maestri di sci, pattinaggio, hockey o volontari pronti a dare una mano. Ognuno declina nella propria realtà le Olimpiadi e Paralimpiadi che verranno inaugurate, rispettivamente, il 6 febbraio allo Stadio Giuseppe Meazza di Milano e il 6 marzo all’Arena di Verona. Saranno settimane di emozione in quei luoghi dove il fermento si sente già nelle strade e nelle piazze, dove gli alberghi registrano il tutto esaurito per quelle settimane e le prenotazioni sono raddoppiate; dove le televisioni di mezzo mondo monteranno le loro postazioni, mentre le troupe giornalistiche cercheranno storie da raccontare. Vivremo giorni in cui le città non saranno più solo luoghi abitati, ma diventeranno crocevia globali, palcoscenici in cui si mescoleranno voci, racconti e aspettative da custodire come ricordo di un evento storico.
Ci piace partire dai territori per raccontare Milano Cortina 2026, che verrà ricordata come l’Olimpiade “diffusa”, la più geograficamente estesa della storia invernale,
con un mosaico di luoghi che unisce città e montagne in una sola narrazione; che abbraccia Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige per 22.000 km². Quanto sport di base vive ogni giorno in questa vastità di Comuni? Quante piccole società sportive? Quante ragazze e ragazzi muovono i primi passi nelle palestre, nei palazzetti, sui campetti, sulle piste delle città e dei piccoli paesi in quest’enorme area? Viene da chiederselo se si guarda ai Giochi con uno sguardo che va al di là delle settimane di gare e punta a capire cosa resterà quando la neve si sarà sciolta.
Non possiamo prescindere dai numeri importanti sul tavolo di questa XXV edizione delle Olimpiadi invernali, XIV per le Paralimpiadi. Saranno infatti più di 3.500 gli atleti provenienti da 93 Paesi; 195 le medaglie da assegnare tra le 16 discipline olimpiche e i sei sport paralimpici, con lo sci alpinismo che farà il suo debutto ufficiale. Oltre 200 gare da vivere con intensità nei mesi di febbraio e marzo. Com’è facile immaginare, dietro all’entusiasmo c’è una macchina organizzativa da costruire nei minimi dettagli, ed è qui che si attinge ancora ai territori.
Da quel bacino così vasto di Comuni, ma anche da altre aree del nostro Paese, sono arrivate 120.000 iscrizioni, di cui 85.000 valide. A confermare i numeri è Armando De Zordo, responsabile della selezione volontari di Fondazione Cortina, con un ruolo di responsabilità in particolare sui volontari assegnati allo sci alpino: «L’età dei volontari è varia.
Abbiamo candidati diciottenni come pure settantenni. Una grossa fascia è formata da neopensionati ancora molto in forma e attivi. Persone, anche queste, con grandissima voglia di dare aiuto ed entusiasmo – racconta De Zordo –. È tra questi che verranno selezionati i 18.000 volontari che seguiranno i Giochi. La sfida più complessa è quella di riuscire a incastrare e far combaciare le nostre esigenze con la disponibilità dei volontari, visto che dovranno collaborare per un minimo di nove giorni non consecutivi. Come altrettanto importante è far sì che i prescelti che arrivano da lontano riescano a trovare un alloggio in zona».
Ancora una volta i numeri sono cassa di risonanza di qualcosa che non si vede ma contiene il senso vero dell’esperienza: l’approccio al servizio, l’energia, l’entusiasmo e la voglia di portarsi a casa un momento di crescita, oltre all’emozione di far parte di un pezzetto di storia olimpica. Sebbene le richieste abbiano abbracciato trasversalmente ogni fascia di età, dalle ragazze e ragazzi sino ai pensionati, convinti appassionati con grande motivazione, un’attenzione ai giovani c’è stata sin dall’inizio: «Quando abbiamo iniziato il reclutamento, eravamo leggermente scettici sulla risposta dei giovani. Invece siamo stati felicemente smentiti perché la risposta territoriale è stata importante – prosegue De Zordo –. Lo scopo è sempre stato quello di stimolare e incuriosire i giovani, cercando di far capire che lo sport
Cortina 2026, l’Olimpiade “diffusa”
è vita, è salute, è crescita; che il volontariato è un modo di vivere e aiutare il prossimo. A fine Giochi vorremmo che si portassero a casa il legame con il territorio, nuove amicizie, ma soprattutto grande felicità, soddisfazione e un grandissimo sorriso».
Ed eccoci di nuovo qui: i giovani, lo sport, le comunità che di riflesso crescono con il passaggio delle Olimpiadi. Ciò che stiamo attendendo con fermento non è solo un grande movimento sportivo professionistico e mediatico che passa, si fa ammirare, fa parlare di sé, e poi se ne va con un nuovo appuntamento tra quattro anni. Le Olimpiadi non sono soltanto due settimane di gare. Sono una promessa, un riflesso e una prova. Una promessa fatta alle giovani e ai giovani che oggi cominciano ad allenarsi senza sapere ancora dove li porterà la loro strada; un riflesso della società che le organizza, con i suoi entusiasmi e le sue contraddizioni; una prova per le comunità sportive di base, quelle che ogni giorno tengono aperte palestre, palazzetti, impianti, spesso con mezzi ridotti e con volontari che sopperiscono a ciò che manca. Ecco chi si specchia davvero dentro i Giochi Olimpici ogni volta che si accende il braciere. È anche in questa concretezza fatta di fatiche che si costruisce il terreno affinché i valori olimpici, e quelli dello sport in generale, vengano seminati e coltivati.
L’Olympic Values Education Programme (OVEP), proposto dal Comitato Olimpico Internazionale, punta sull’educazione mirando a promuovere i valori olimpici di “eccellenza, rispetto e amicizia”. A questi vogliamo aggiungerne alcuni: il valore della costanza pur nella fatica, il valore dell’accoglienza in strutture sportive adeguate, il valore di chi si mette al servizio dello sport, il valore dei Giochi stessi che fanno germogliare la passione in luoghi che altrimenti rischierebbero di restare ai margini, in giovani che
farebbero fatica a trovarne una. Gli atleti che arriveranno sulle piste alpine o sul ghiaccio hanno tutti in comune un elemento: l’allenamento quotidiano che nessuno vede. Non c’è telecamera quando ogni giorno si ripete lo stesso gesto atletico cento volte. Non c’è medaglia quando si affrontano gli infortuni, quando si mettono in conto mesi di stop, quando la testa vacilla. Eppure è lì, nella parte invisibile del percorso, e non sotto i flash delle foto di rito, che nascono i veri valori olimpici. Non nel motto, ma nella continuità ostinata.
Le Olimpiadi e le Paralimpiadi funzionano come uno specchio, appunto; ci costringono a guardare il sistema sportivo italiano: le eccellenze, certo, ma anche le fragilità. Strutture spesso insufficienti, società che sopravvivono grazie al volontariato, atleti che devono scegliere se continuare o abbandonare per ragioni economiche. È proprio qui che la retorica si spegne e comincia la realtà. La perseveranza non è una parola da manifesto: è l’allenatore che dopo il lavoro dedica ore ai suoi ragazzi. È l’atleta che ritorna in pista dopo un infortunio e non sa se potrà mai tornare ai suoi livelli. È la società che resiste a chiusure e ristrettezze, continuando a proporre attività sportive ai bambini di un quartiere.
Ritorna il valore del servizio di chi si mette a disposizione: «Appena ho saputo che ci si poteva proporre come volontari, mi sono candidato – ha raccontato Pietro Palamini, giudice di gara per lo sci nel CSI Bergamo e selezionato tra gli 85.000 candidati –. Essendo appassionato di sport, soprattutto degli sport invernali, pensare di essere tra quelli che aiutano per rendere possibile un evento così importante mi ha subito emozionato ed entusiasmato. Se contiamo che le Olimpiadi si svolgono vicino a dove abito, ho colto la palla al balzo. È un’occasione per vedere
cosa succede dietro le quinte di eventi così importanti, me lo sono sempre chiesto, e questa volta posso scoprirlo di persona. Sarà bellissimo collaborare con persone che non conosco, formare una squadra con chi ha le mie stesse passioni. Essendo qualcosa che non capita tutti i giorni, è anche un modo per arricchire il mio bagaglio di avventure, un’altra storia da raccontare». Alessandro Fiabane il servizio lo conosce bene. Tesserato per il CSI di Belluno, ha un passato da sportivo tra pallamano, calcio e atletica, e ora collabora nei progetti dedicati allo sport nelle carceri. Anche lui è stato selezionato tra le migliaia di candidature arrivate, e parteciperà come volontario a Milano Cortina 2026. «Nel 1985 si svolsero a Belluno le Universiadi invernali e io seguii la manifestazione da giovane spettatore. Ricordo ancora l’entusiasmo della città e degli atleti arrivati da varie parti del mondo – racconta Alessandro, che sarà volontario anche per le Paralimpiadi nella zona di Cortina –. Questo ricordo e la possibilità di fare parte di un evento ancora più grande che avrà luogo anche nella mia provincia mi hanno portato a candidarmi appena è stato possibile. Essere parte attiva dei Giochi, respirare nuovamente lo spirito di partecipazione, cooperazione, rispetto reciproco, fratellanza, pace e inclusione sono stati la molla che ha fatto scattare la mia candidatura. Raccontare, un domani, a qualcuno questo spirito è la mia speranza».
Se c’è una ricaduta vera dei Giochi, è quella di accendere la curiosità. Un bambino che vede una gara di curling e decide di provare; una ragazza che si appassiona al biathlon perché scopre che esiste; giovani con disabilità che scoprono di poter diventare atleti perché ne vedono un’esperienza concreta alle Paralimpiadi, che danno dignità e visibilità a ogni disciplina. Milano Cortina 2026 non sarà un fuoco d’artificio: sarà un’onda lunga.
Servono un percorso e un confronto nel mondo sportivo e nella società, per comprendere che sguardo avere sul mondo della disabilità
I Giochi, con la loro potenza simbolica, hanno la capacità di accendere passioni, di allargare orizzonti, di rendere visibile ciò che normalmente resta nell’ombra. Ma non è solo il solito discorso di “sogni che si realizzano”, perché tra miliardi di persone che praticano sport sono pochissimi quelli che arrivano alle Olimpiadi o ai vertici del professionismo. È più qualcosa che ha a che fare con la vita, le emozioni, la pienezza che restituisce la pratica sportiva, il benessere che genera, le relazioni che crea, le novità che porta, le possibilità che instilla nelle comunità. È lì che si misura il lascito dei Giochi: nella capacità di appassionare, aprire nuove possibilità sportive, far crescere nuovi atleti, veder sorgere tante iniziative sportive autonome nelle piccole realtà.
Quest’ultimo aspetto è qualcosa che sta già accadendo grazie al progetto “Italia dei Giochi”, un programma connesso a Milano Cortina 2026 in collaborazione con CONI e CIP, che fa della sostenibilità e dell’inclusione sul territorio attraverso lo sport i suoi principi. È un altro tassello che costruisce quel percorso
di ricaduta del grande evento mondiale sulle comunità locali. La proposta sostiene gli eventi che gli enti pubblici, le società o le associazioni sportive organizzano sui territori italiani, ponendo l’accento sui due principi chiave. Il Centro Sportivo Italiano ha aderito di buon grado all’idea e ha registrato decine di eventi organizzati da CSI Morbegno, CSI Lecco, Comitato regionale CSI Lombardia, CSI Milano, e declinati all’interno di ciascuno attraverso momenti progettati dalle singole società sportive di quelle province.
Tra questi non sono mancati appuntamenti legati allo sport inclusivo e alla disabilità. Quando si apre questo tema, si va a toccare uno degli argomenti più dibattuti negli ultimi anni e che promette di tenere banco per il prossimo futuro: meglio puntare a uno sport inclusivo, dove giocano insieme atleti con e senza disabilità, oppure percorrere la strada dello sport dedicato unicamente a persone con disabilità? La risposta non esiste; se c’è, non trova d’accordo tutti nemmeno nel mondo paralimpico, ma chi sostiene le proprie istanze per l’una o l’altra soluzione ha
sempre ragionamenti con basi di grande senso e volontà di un protagonismo attivo delle atlete e degli atleti con una disabilità. Com’è logico pensare, la riflessione si apre automaticamente anche sui Giochi Olimpici: è eticamente, sportivamente e moralmente giusto mantenere separate Olimpiadi e Paralimpiadi in due eventi differenti? Un atleta con disabilità non potrebbe gareggiare all’interno delle Olimpiadi in una categoria differente? Così come vengono concepite, per ogni disciplina, le gare maschili e femminili sulla base delle diverse abilità fisiche strutturali, non potrebbe essere inserita una categoria terza per atlete e atleti con disabilità, visto che di abilità si discute?
Anche in questo caso non si può derubricare il dibattito con risposte apparentemente di buon senso, ma serve un percorso e un confronto profondo nel mondo sportivo, nello stesso mondo paralimpico che è portatore di istanze differenti, nella nostra società, più in generale, che deve comprendere davvero che sguardo avere sul mondo della disabilità, letta spesso come qualcosa da curare nonostante non si possa guarire. È così che chi ha una disabilità viene spesso considerato sempre “paziente” in cura costante, e per questo così a fatica associato all’atletismo. Su questa ultima tendenza possiamo invece avere tutti un’opinione comune, rifiutando questa lettura della disabilità con fermezza.
È bello e importante che il dibattito del nostro tempo, della nostra contemporaneità, sia fatto di riflessioni costanti sull’etica e la morale, sull’inclusione e la dignità delle donne e degli uomini con disabilità. Non possiamo che crescere in questo senso. Nella discussione sul tavolo c’è l’altro lato del ragionamento, quello di chi sostiene la divisione netta tra le due manifestazioni, considerandola un’opportunità di valorizzazione del movimento paralimpico e dei suoi atleti, su cui concentrarsi con la dovuta attenzione anche mediatica, affinché ognuno possa godere della propria ribalta, del proprio successo, essere protagonista sul proprio palcoscenico.
Ma c’è anche un aspetto più concreto e strutturale, logistico per di più, che costringe a un pensiero sull’opportunità di mantenere la divisione delle due competizioni. È la gestione delle diverse strutture, da adeguare contemporaneamente a Olimpiadi e Paralimpiadi affinché siano rese accessibili quando serve; l’ospitalità di un numero altissimo di atleti in contemporanea e quindi investimenti per strutture ricettive e ciò che ne consegue. Etica e pratica si uniscono in una riflessione che non trova una risposta comune nemmeno all’interno dello stesso mondo paralimpico, che però vede in alcuni suoi autorevoli atleti una ferma volontà di conservare le Paralimpiadi come evento dedicato al mondo dello sport e disabilità. Anche tra questi, però, è ricorrente un appunto: perché inserire a calendario le Paralimpiadi dopo le Olimpiadi? Non si rischia un percepito comune di minore importanza?
Resta, questo, un aperto confronto in un Movimento Paralimpico che nasce nel 1948 per opera di Sir Ludwig Guttmann, un dirigente sportivo tedesco poi naturalizzato britannico, che organizzò la prima competizione per veterani di guerra con lesioni al midollo spinale. Il seme fu gettato lì, quando la percezione culturale della disabilità era ben lontana da un percorso formativo e di sensibilizzazione sul tema. Nel 1960 si disputarono a Roma i primi Giochi per persone con disabilità sulla struttura delle Olimpiadi (nel 1976 la prima edizione dei Giochi invernali in Svezia). Nel 1984 il CIO utilizzò per la prima volta il termine Giochi Paralimpici. Solo nel 2001, però, CIO e IPC misero nero su bianco l’obbligo per le città candidate a ospitare le Olimpiadi di organizzare entrambi i Giochi, Olimpici e Paralimpici, e nello stesso periodo. Prima di allora le due competizioni non furono divise solo in eventi distinti, ma anche programmate in città e periodi diversi.
Non c’è condanna verso le scelte attuate in passato, perché ogni approccio e ogni decisione sono figli del proprio tempo storico. Ma, se oggi parliamo di sport inclusivo e di sport e disabilità, è perché lungo la strada ci sono state donne e uomini che hanno avuto il coraggio di guardare più in là della cultura dominante dell’epoca; persone che fin dall’inizio hanno sentito nello sport un valore profondo e non si sono lasciate ingabbiare dai tempi. È grazie al loro passo avanti che la pratica inclusiva è cresciuta sino ai sistemi strutturati odierni, moltiplicandosi dai campi amatoriali fino alle competizioni professionistiche. Per l’edizione 2026 dei Giochi, una scelta indicativa è quella di mettere a disposizione la quasi totalità dei biglietti – l’89% – per le gare paralimpiche a meno di 35 euro, con l’obiettivo di coinvolgere il maggior numero possibile di persone e far sì che lo sport diventi sempre più un potente strumento di cambiamento sociale.
Nel frattempo, è partito il countdown ufficiale per il primo appuntamento che inizierà a spargere emozioni olimpiche. Il 6 dicembre da Roma partirà la Fiaccola Olimpica, che raggiungerà lo Stadio San Siro a Milano il 6 febbraio, giorno dell’inaugurazione dei Giochi di Milano Cortina 2026. A proposito di territori da contagiare con lo spirito olimpico, il tragitto della torcia attraverserà 20 regioni e 110 province. Saranno 60 gli appuntamenti che celebreranno le tappe principali di un tragitto lungo 12.000 chilometri, percorsi da 10.001 tedofori durante i 63 giorni di viaggio lungo tutto lo Stivale, da Siracusa a Livigno. Il passaggio della Fiaccola è di per sé un grandissimo momento di aggregazione delle comunità attorno a un evento simbolico e unico, che per alcune città potrebbe restare storico e nella memoria. L’intento è proprio quello di iniziare a entrare nell’atmosfera olimpica, ad assaporarne la socialità, a pensare alle bandiere che sventolano, agli
Le Olimpiadi e le Paralimpiadi ci costringono a guardare il sistema sportivo italiano: le eccellenze, ma anche le fragilità
inni nazionali che commuovono, agli atleti sul podio e alle medaglie strette tra i denti; alle lacrime di gioia, alle esultanze liberatorie, alle grandi imprese possibili.
Tutto questo ci aspetterà nelle strutture disseminate in una mappa articolata. Milano ospiterà hockey, pattinaggio di figura e short track, oltre a poli temporanei per il pattinaggio di velocità. Cortina d’Ampezzo tornerà protagonista con le piste delle Tofane per la discesa femminile, lo Stadio del Ghiaccio per il curling e il nuovo Sliding Centre per bob, slittino e skeleton. In Valtellina, Bormio sarà teatro delle discese maschili e ospiterà anche lo sci alpinismo, nuovo arrivato del programma olimpico, mentre Livigno accoglierà freestyle e snowboard. Infine, la Val di Fiemme e Anterselva ospiteranno fondo, salto, combinata e biathlon. Quest’Olimpiade invernale “diffusa”, con sfide logistiche importanti, porta con sé la promessa di un lascito di infrastrutture e di memoria sportiva. Accettata la sfida, non resta che vincerla, e ne usciremo tutti con l’oro al collo.
EVENTI E GARE
4 febbraio Curling
5 febbraio Curling, hockey su ghiaccio, snowboard
6 febbraio
7 febbraio
8 febbraio
9 febbraio
10 febbraio
11 febbraio
12 febbraio
13 febbraio
14 febbraio
15 febbraio
16 febbraio
17 febbraio
Cerimonia di apertura, Milano – Stadio San Siro
Curling, hockey su ghiaccio, pattinaggio di figura
Gare che prevedono una medaglia
Curling, hockey su ghiaccio, pattinaggio di figura, sci acrobatico, slittino, pattinaggio di velocità, salto con gli sci, sci alpino, sci di fondo, snowboard
Curling, hockey su ghiaccio biathlon, pattinaggio di figura, pattinaggio di velocità, sci alpino, sci di fondo, slittino snowboard
Curling, hockey su ghiaccio. pattinaggio di figura, slittino pattinaggio di velocità, salto con gli sci, sci acrobatico, sci alpino, snowboard
Hockey su ghiaccio, pattinaggio di figura biathlon, curling, salto con gli sci, sci acrobatico, sci alpino, sci di fondo, short track, slittino
Curling, hockey su ghiaccio, snowboard, biathlon, combinata nordica, pattinaggio di figura, pattinaggio di velocità, sci acrobatico, sci alpino, slittino
Curling, hockey su ghiaccio, skeleton pattinaggio di velocità, sci acrobatico, sci alpino, sci di fondo, short track, slittino, snowboard
Curling, hockey su ghiaccio biathlon, pattinaggio di figura, pattinaggio di velocità, sci di fondo, skeleton, snowbaord
Curling, hockey su ghiaccio biathlon, pattinaggio di velocità, salto con gli sci, sci acrobatico, sci alpino, sci di fondo, short track, skeleton
Bob, curling, hockey su ghiaccio, pattinaggio di figura biathlon, pattinaggio di velocità, salto con gli sci, sci acrobatico, sci alpino, sci di fondo, skeleton, snowboard
Curling, hockey su ghiaccio, snowboard bob, pattinaggio di figura, salto con gli sci, sci acrobatico, sci alpino, short track
Curling, hockey su ghiaccio, pattinaggio di figura biathlon, bob, combinata nordica, pattinaggio di velocità, sci acrobatico, snowboard
18 febbraio Curling, hockey su ghiaccio, biathlon, sci alpino, sci di fondo, short track, snowboard
19 febbraio
20 febbraio
21 febbraio
22 febbraio
Curling, sci acrobatico, combinata nordica, hockey su ghiaccio, pattinaggio di figura, pattinaggio di velocità, sci alpinismo
Bob, hockey su ghiaccio biathlon, curling, pattinaggio di velocità, sci acrobatico, short track
Biathlon, bob, curling, hockey su ghiaccio, pattinaggio di velocità, sci acrobatico, sci alpinismo, sci di fondo
Bob, curling, hockey su ghiaccio, sci di fondo Cerimonia di chiusura, Verona – Arena di Verona
Paraolimpiadi
4 marzo Wheelchair curling
5 marzo Wheelchair curling
6 marzo Cerimonia di apertura, Verona – Arena di Verona Wheelchair curling
7 marzo
Para ice hockey, para snowboard, wheelchair curling, para alpine skiing, para biathlon
8 marzo Wheelchair curling para snowboard, para biathlon
9 marzo Para ice hockey, wheelchair curling para alpine skiing
10 marzo
Para ice hockey, wheelchair curling, para alpine skiing, para cross-country skiing
11 marzo Wheelchair curling, para cross-country skiing
12 marzo
Para ice hockey, wheelchair curling para alpine skiing
13 marzo Para ice hockey, wheelchair curling, para alpine skiing, para biathlon
14 marzo Para ice hockey para alpine skiing, para snowboard, wheelchair curling, para cross-country skiing
15 marzo Para ice hockey, para alpine skiing, para cross-country skiing Cerimonia di chiusura, Cortina – Stadio Olimpico del Ghiaccio
Milano Cortina 2026, l’Olimpiade “diffusa” I luoghi
Livigno. Bornio.
Cortina d’Ampezzo. Tesero. .Predazzo
.Verona Anterselva.
Eugenio Monti. Non serve molto altro per evocare la figura di un uomo che ha vissuto per sfidare il destino, come solo i veri giganti sanno fare. Lo chiamavano il Rosso Volante e non per caso. La chioma fiammeggiante e la velocità con cui affrontava le piste lo rendevano unico. Fu Gianni Brera a dargli quel nome, e Monti lo portava con orgoglio.
Negli anni Cinquanta, Monti era già un talento incredibile dello sci italiano. A soli 23 anni era il predestinato, il ragazzo d’oro che sfiorava la neve come fosse una cosa sola con la montagna. Ma la montagna è un avversario temibile. Durante un allenamento, Monti scivolò e il ginocchio cedette. I legamenti si ruppero e con loro il sogno di una carriera trionfale nello sci sembrava svanire. Ma Eugenio Monti non era uno che si arrendeva. Si fece operare, affrontò la riabilitazione e tornò a sciare. Poi un nuovo incidente, un’altra rottura. Stavolta sembrava davvero la fine. Ma Monti non sapeva cosa significasse arrendersi. La velocità, il vento sul viso, quel brivido unico erano troppo importanti per lui. Così decise di trovare un altro modo per volare: il bob. Nel 1956, alle Olimpiadi di Cortina, Monti vinse due medaglie d’argento. Due splendide medaglie, ma per lui non bastavano. Negli anni successivi conquistò l’oro nei campionati mondiali, nel bob a due e nel bob a quattro. E poi arrivò il 1964, le Olimpiadi di Innsbruck. Tutti aspettavano Eugenio Monti. Ogni volta che scendeva, sembrava una danza sul ghiaccio, una poesia che prendeva vita. È il 31 gennaio 1964. La pista è una lastra di ghiaccio che non perdona. Monti e Siorpaes sono pronti, sanno che la competizione sarà durissima. Ci sono gli italiani Zardini e Bonagura, ma soprattutto la coppia inglese Nash e Dixon. Durante la prima manche, accade qualcosa di inaspettato: l’asse del bob degli inglesi si rompe e non hanno il pezzo di ricambio. Il loro sogno sembra finito.
Ma Monti vede tutto e non esita. Fa quello che nessuno si aspetta: invia agli inglesi il bullone che a loro manca. Senza dire una parola, senza aspettarsi nulla in cambio. Grazie a quel pezzo Nash e Dixon riparano il bob e poi volano… dritti verso la medaglia d’oro.
Un gesto, quello di Monti, che non era solo sportività. Era grandezza. Monti sapeva bene che aiutare i suoi avversari poteva costargli la vittoria. Ma per lui non era una questione di podio. Era una questione di onore.
Arrivò terzo, una medaglia di bronzo che però brillava come un oro.
Alle critiche che seguirono Monti rispose: «Nash non ha vinto perché gli ho dato il bullone. Ha vinto perché è andato più veloce».
Quella sera, il Rosso Volante vinse qualcosa di più importante: la grandezza come uomo. A testimoniarlo la medaglia Pierre de Coubertin, istituita in quell’occasione e assegnata a lui per la prima volta, diventando nei decenni a venire il riconoscimento più raro per chi incarna i valori olimpici.
La storia di Monti attraversò il mondo. Il suo gesto toccò il cuore di tutti. Quando lasciò le competizioni, decise di restare nel mondo del bob come allenatore. I giovani atleti lo guardavano con ammirazione, come un mito vivente. Per Monti, allenare significava insegnare la vita: rispetto, coraggio, fare le cose nel modo giusto... da Uomo.
Fondazione Milano Cortina: i Giochi che lasciano un segno oltre lo sport
Inclusione, giovani, territori: Olimpiadi e Paralimpiadi saranno un’eredità viva che parla di futuro, valori e passione, molto oltre le gare invernali
Con un sipario ormai pronto ad aprirsi sui prossimi Giochi
Milano Cortina
2026 sarà l’occasione per raccontare al mondo l’energia vibrante del nostro Paese, la creatività che ci rende unici, il valore delle nostre radici e la bellezza delle nostre montagne e città
Olimpici e Paralimpici invernali, entriamo nel merito dell’organizzazione e della legacy di questa kermesse internazionale. Lo facciamo grazie a Fondazione Milano Cortina, nata proprio per gestire tutto quell’ecosistema che rende possibile un grande evento, dalle attività di promozione al coordinamento degli aspetti logistici, tramite l’intervista a Diana Bianchedi, Chief Strategy Planning Legacy Officer della Fondazione.
La Fondazione Milano Cortina 2026 è il cuore organizzativo dei prossimi Giochi. Se doveste spiegarlo in poche parole a chi non mastica di grandi eventi, qual è la vostra missione principale?
La Fondazione Milano Cortina 2026 rappresenta il motore organizzativo dei prossimi Giochi Olimpici e Paralimpici in Italia. La nostra mission è molto chiara: creare un modello innovativo dei Giochi ispirato dall’energia vibrante e dinamica dello spirito italiano che, attraverso lo sport, offrirà preziose opportunità alle giovani generazioni.
Un’Olimpiade e una Paralimpiade sembrano eventi lontanissimi dalla vita di tutti i giorni. Qual è il modo più semplice per dire alle persone: “questi Giochi vi riguardano da vicino”?
Io credo che moltissimi italiani sentano già i Giochi come qualcosa che li riguarda da vicino.
Milano Cortina 2026 sarà infatti l’occasione per raccontare al mondo l’energia vibrante del nostro Paese, la creatività che ci rende unici, il valore delle nostre radici e la bellezza delle nostre montagne e delle nostre città. In una sola frase, il nuovo spirito italiano. Sarà un momento in cui l’Italia intera potrà ritrovarsi, emozionarsi e sentirsi parte di qualcosa di grande. Non sarà solo un evento sportivo, ma un’esperienza che parlerà di noi, della nostra identità e del nostro futuro. E ognuno di noi – staff, volontari, partner e tutti i fan – ne sarà protagonista.
I Giochi passeranno, ma la Fondazione insiste molto sulla legacy. In concreto, cosa resterà di Milano Cortina 2026 nei territori, nello sport italiano e soprattutto nello sport di base, dopo la chiusura delle cerimonie?
La legacy dei Giochi si misura dopo, ma già oggi possiamo riconoscere segni concreti che rappresentano un importante precedente per il futuro. Questi Giochi Olimpici invernali saranno i più gender balanced di sempre, con il 47% di atlete donne in gara. Sarà anche la prima edizione pienamente in linea con l’Agenda Olimpica 2020+5: per la prima volta non sono i territori ospitanti a adattarsi ai Giochi, ma sono i Giochi stessi a modellarsi sui territori, valorizzando i luoghi che sono già eccellenze mondiali assolute negli sport invernali, come Anterselva con le gare di biathlon, la Val di Fiemme per il fondo e Cortina per lo sci alpino. Anche gli interventi in corso sull’accessibilità dimostrano l’impegno verso una legacy duratura.
Dai lavori per rendere più accessibili tutte le linee della metropolitana di Milano agli interventi in luoghi storici precedentemente non accessibili come l’Arena di Verona e lo Stadio Olimpico di Cortina: sono segni concreti dell’eredità che Milano Cortina 2026 lascerà. Anche se non è dipeso direttamente da noi, siamo orgogliosi del fatto che, durante il quadriennio che conduce l’Italia ai prossimi Giochi, sia stato riconosciuto il valore dello sport nella Costituzione. Infine, non dimentichiamo che i Giochi rappresentano un’opportunità unica per sviluppare competenze nei territori coinvolti, offrendo esperienze straordinarie a volontari, professionisti e comunità locali.
Gli impianti olimpici e paralimpici saranno sparsi tra Milano, Cortina, la Valtellina, la Val di Fiemme, Anterselva e l’Arena di Verona. Qual è stato, fino ad oggi, l’aspetto organizzativo più complesso da gestire in questa geografia così diffusa?
Abbiamo scelto di usare in gran parte sedi di gara già esistenti per proporre agli appassionati di sport invernali di tutto il mondo il meglio che l’Italia ha da offrire nelle 16 discipline olimpiche e nei 6 sport paralimpici dei Giochi di Milano Cortina 2026. La geografia così ampia dei Giochi è senza dubbio uno degli aspetti più affascinanti ma anche più sfidanti da gestire. È una sfida logistica importante, certo, ma anche un’opportunità straordinaria per raccontare un’Italia diversa, fatta di territori unici, paesaggi mozzafiato e comunità orgogliose di poter fare la propria parte.
Siamo fortunati ad avere al nostro fianco i Comuni,
le Province e le Regioni, senza i quali sarebbe impensabile la realizzazione di un progetto così grande. Sono stati scelti per la loro grandissima competenza e passione, sviluppata in anni di eventi internazionali. Il lavoro di squadra con tutti gli enti coinvolti è stato essenziale e continuerà ad esserlo fino al termine dei Giochi.
Il programma Team26 ha già raccolto oltre centomila candidature. Che tipo di esperienza vivranno questi giovani volontari e cosa vi aspettate che portino a casa, oltre alla maglia ricordo? Credo che questi numeri siano la testimonianza del legame profondo tra le persone e i valori che i Giochi Olimpici e Paralimpici rappresentano. Oltre 130.000 persone si sono offerte per dedicare il proprio tempo e la propria energia a Milano Cortina 2026, e di queste 18.000 vivranno davvero l’esperienza da volontari e volontarie. Prendere parte a questo progetto significa entrare a far parte di una grande famiglia, vivere un’esperienza unica fatta di emozioni, nuove competenze e condivisione. La loro generosità, il loro entusiasmo e il loro altruismo saranno l’impronta emotiva che questi Giochi lasceranno a tutti gli spettatori. La risposta avuta dai candidati volontari dimostra un potenziale di cittadinanza attiva nel nostro Paese, persone che vogliono donare il loro tempo per supportare un evento di portata mondiale. Questo è un potenziale incredibile per la crescita e il futuro del Paese. Le attività che i volontari e le volontarie saranno portati a svolgere sono molto varie, permettendo a ciascuno di vivere da vicino i Giochi Olimpici e Paralimpici e contribuendo concretamente alla loro riuscita. Sarà molto più di un semplice ruolo operativo, sarà l’occasione per vivere da protagonisti un momento storico. Che si tratti di accogliere un’atleta al suo arrivo, di assistere i visitatori o una delegazione internazionale o di sostenere l’organizzazione dietro le quinte, ogni loro gesto contribuirà a costruire la magia dei Giochi.
Le cerimonie di apertura e chiusura si terranno in luoghi iconici come San Siro e l’Arena di Verona. Quanto pesa l’emozione, oltre alla logistica, nell’organizzare momenti che rimarranno nella memoria collettiva?
Le cerimonie sono momenti di grande spettacolo e di profonda emozione, in cui l’Italia intera si racconta al mondo. A Milano Cortina 2026, lo faremo da luoghi simbolici come San Siro, l’Arena di Verona e lo Stadio Olimpico di Cortina — spazi che parlano della nostra cultura e della nostra storia, non solo sportiva. Per la prima volta, ci sarà una cerimonia d’apertura diffusa, con feste e momenti simbolici che abbracceranno i diversi territori olimpici e paralimpici, riflettendo la geografia unica di questi Giochi. In quel momento, l’Italia intera sarà sotto i riflettori del mondo e stiamo lavorando affinché ogni immagine, ogni suono, ogni emozione racconti ciò che siamo e ciò che sappiamo fare.
Fondazione
Ogni grande evento ha la sua sfida inaspettata. Ce n’è già stata una che vi ha costretto a cambiare rotta o a trovare una soluzione creativa?
Credo che una pandemia, due guerre e tutto ciò che ne è conseguito siano sfide sufficientemente importanti per qualsiasi organizzazione.
Chiaramente, quando si organizza un grande evento, è indispensabile una forte pianificazione, ma anche una grande capacità di potersi adattare a nuovi scenari. Com’è noto, ci sono stati dei cambiamenti nelle sedi di gara dello speed skating e dell’hockey 2, ma direi che con il supporto di tutti i nostri stakeholder siamo riusciti a restare fedeli allo spirito del progetto di candidatura. In quest’ultimo miglio abbiamo ancora delle sfide da affrontare, ma siamo determinati a lavorare per superarle nel migliore dei modi.
Con programmi educativi come Gen26 e I’mPOSSIBLE avete già coinvolto tante scuole, portando i ragazzi a conoscere meglio sia il mondo olimpico che quello paralimpico, con i loro valori comuni di inclusione, rispetto, sostenibilità, collaborazione.
Qual è la reazione più sorprendente che avete visto nei bambini o nei ragazzi incontrati? Abbiamo raggiunto circa due milioni di studentesse e studenti grazie alle iniziative organizzate in lungo e in largo in Italia, in sinergia con numerose associazioni, scuole e agenzie educative. La reazione più sorprendente è stata vedere come i bambini, anche i più piccoli, riescano a cogliere con naturalezza il significato profondo dell’inclusione. Con autenticità tutti hanno
espresso stupore non per le difficoltà degli atleti paralimpici, ma per la loro forza e determinazione. Alcuni hanno detto: «Anch’io voglio essere così forte». È in quei momenti che capisci quanto lo sport possa essere uno strumento educativo potentissimo, capace di parlare direttamente al cuore.
Il CSI lavora ogni giorno con società sportive, oratori e associazioni. Come immaginate che l’energia e i valori dei Giochi possano arrivare fino a quei campi e palestre dove lo sport non ha riflettori, ma cambia davvero la vita delle persone?
Immaginiamo un’eredità viva, che non si esaurisca con la cerimonia di chiusura. I Giochi devono essere un moltiplicatore di opportunità, anche nei luoghi più periferici, e soprattutto ben oltre il tempo dei Giochi stessi. Attraverso collaborazioni con realtà come il CSI, possiamo portare strumenti formativi, testimonianze, esperienze ed eventi locali che facciano sentire ogni campo da gioco parte di un progetto più grande, corale e inclusivo. L’energia dei Giochi non è solo nei grandi stadi, ma in ogni ragazzo che scopre il valore del rispetto, della squadra, della resilienza.
Se poteste lasciare ai ragazzi italiani un messaggio unico dai Giochi del 2026, quale sarebbe?
Chiaramente l’impegno per i giovani è scritto nero su bianco nella nostra mission, ma, diciamoci la verità, i veri protagonisti dei Giochi sono gli atleti e le atlete. Sono loro che con il loro impegno quotidiano ci insegnano quanto sia importante mettersi in gioco, superare i propri limiti e lavorare insieme per un obiettivo più grande. Questi Giochi vogliono essere un’occasione per far sentire i nostri giovani parte di una comunità che crede nell’inclusione, nella sostenibilità e nell’eccellenza. Vogliamo che trovino nei Giochi Olimpici e Paralimpici di Milano Cortina 2026 un’occasione per ispirarsi, per crescere e per costruire il proprio futuro, imparando ogni giorno dai valori che lo sport trasmette.
Assistendo dal vivo ai Giochi Olimpici e Paralimpici, ci si rende conto di dove si può arrivare con coraggio, determinazione ed energia. Per questo vogliamo incoraggiare i giovani – e non solo loro – a vivere in prima persona la magia che animerà le sedi di gara. L’89% dei biglietti in vendita per le Paralimpiadi ha un prezzo inferiore a 35 euro e sono ancora disponibili dei biglietti per assistere alle competizioni olimpiche: un’opportunità da non perdere.
Discutendo di sport, mostrando lo sport, abbiamo un’opportunità unica di parlare di buoni stili di vita, della possibilità di fare più movimento, a tutte le età, aiutando il nostro Paese ad essere più attivo, a ritrovare il benessere, fisico e mentale, attraverso il movimento.
Questi Giochi vogliono essere un’occasione per far sentire i nostri giovani parte di una comunità che crede nell’inclusione, nella sostenibilità e nell’eccellenza. Vogliamo che trovino nei Giochi Olimpici e Paralimpici di Milano Cortina 2026 un’occasione per ispirarsi, per crescere e per costruire il proprio futuro, imparando ogni giorno dai valori che lo sport trasmette
Alla vigilia di Milano Cortina, la storia del primo oro azzurro ai Giochi invernali: l’eroe della 30 km di sci nordico a Grenoble ’68
Franco Nones, 85 anni, trentino, è certamente il padre del movimento fondistico in Italia. Era il 7 febbraio 1968 quando l’allora 27enne della Val di Fiemme, primo italiano nella storia dello sci nordico, vinse la medaglia d’oro olimpica nella 30 km ai Giochi invernali di Grenoble, sbaragliando i giganti scandinavi. Se infatti oggi, guardando all’albo d’oro degli sport olimpici invernali, lo sci nordico è la disciplina che ha inciso di più in Italia per quantità di podi, ciò si deve soprattutto al contributo del giovane Franco, figlio del sindaco-contadino della piccola comunità montana di Castello di Fiemme, che sugli sci di legno aveva già inciso tanto CSI.
Caro Franco, sarebbe stato tutto più facile con il carbonio di oggi e i materiali attuali. Non trovi? Allora gli sci erano esclusivamente di legno. L’avvento della plastica iniziò nel ’72. Tutti noi li avevamo di legno, partivamo alla pari. Le grandi case produttrici di sci erano scandinave, e li facevano quasi tutti di betulla, un legno più leggero,
Ricordo la medaglia vinta
ai campionati italiani CSI di Cervinia nel 1960. Era la 10 km. Fu il biglietto da visita per entrare nelle Fiamme Gialle e nella Nazionale.
Forse il ricordo più bello, però, non sono le medaglie, ma i miei primi sci nuovi, quelli di legno, che mi portò il dirigente del CSI a Trento
Carlo Della Torre
con poca venatura. A quei tempi lo sci era fatto di 24 pezzi incollati insieme per ridurre il rischio che si torcesse. È come oggi il lamellare, con le lamelle incollate di legno. La punta e la coda erano rialzate per evitare l’attrito. Conservo molti sci di legno come reliquie, in negozio e in albergo, e anche qualcos’altro, come quella storica medaglia nella stube del salotto di casa...
Al fianco di Franco, nella sua Castello di Fiemme, ci sono sempre la sua amata moglie Inger e il fedele pastore del Lagorai Yuki. Insieme a tante foto di famiglia.
In molte fotografie sono con i miei sei nipoti, i figli dei miei figli. Sono tutti sportivi: corrono, nuotano, c’è pure chi gioca a calcio, ma comunque quel che conta è che fanno sport. Partecipano a gare popolari per divertimento, non a livello agonistico. Con un nonno olimpionico non poteva essere altrimenti [sorride NdR], ma il merito è dei genitori, anche loro molto sportivi.
A Grenoble sei stato il primo fondista della storia – né scandinavo né sovietico – a vincere un oro nella disciplina nordica, nonché il primo italiano a vincere una medaglia olimpica nella rassegna invernale. Lo ricordi come fosse ieri… Come dimenticarlo quel 7 febbraio 1968 ad Autrans; c’era neve fredda e farinosa, in una bella giornata di sole, proprio come piaceva a me. Ricordo che ero il primo delle teste di serie, e il tempo di vantaggio che avevo sul resto del gruppo degli avversari lo venivo a sapere sempre 5 km dopo. Quando transitai al decimo chilometro, le radio militari telegrafavano il tempo al controllo successivo e là mi dicevano: «Guarda che 5 km fa eri in testa». Gli inseguitori invece sapevano da subito il mio tempo. Ma io spingevo e basta… Al traguardo dei 30 sapevo che al 25° chilometro ero in testa con margine. Poi, via via che arrivavano gli altri, arrivò la consapevolezza che avevo vinto, con il pettorale 25. L’altro grande, Mäntyranta, aveva il 31, e il 52 Martinsen che arrivò secondo, a 50 secondi da me. Si partiva ogni 30 secondi, io praticamente scappavo come se fossi in fuga da loro…
A quanti altri Giochi Olimpici hai partecipato?
Tre in tutto. Innsbruck ’64, Grenoble ’68 e Sapporo ’72, in Giappone. In Austria ero il più giovane partecipante, arrivai decimo, feci una grande gara per quei tempi perché avevo battuto metà degli scandinavi presenti e i russi, e arrivai a meno di un minuto dall’oro. Nel ’66 ai Mondiali di Oslo vincemmo un bronzo in staffetta nella 30 km, togliendo il podio agli svedesi campioni del mondo. Non si era mai vista una medaglia sotto il Baltico.
E che ricordi hai delle tue prime vittorie giovanili?
Le prime furono quelle nei campionati italiani CSI, a Cervinia e a Bardonecchia, nello sci di fondo. Io da ragazzo facevo tutto per gioco, correvo e andavo forte anche in bicicletta. Tanto che in una gara in bicicletta da giovanotto in Campania, arrivai perfino prima dell’asso di fiori, Michele Dancelli, che poi
vinse la Milano-Sanremo e non solo. Ho vinto quasi tutte le gare di marce in montagna cui partecipavo: non ricordo l’anno, ma di sicuro erano i campionati italiani CSI a Monte Morello a Prato. Dopo tanti allenamenti, puntai sullo sci di fondo, direi quasi per un fatto climatico, visto che dalle mie parti – a causa degli inverni molto rigidi – si poteva andare in bici solo dopo Pasqua; e, quando ci si spostava a Rovereto o a Brescia per le gare, gli altri ciclisti erano sempre più pronti e preparati. Di neve invece ne avevamo per lunghi mesi dell’anno e mi piaceva poi tanto soffrire sugli anelli innevati e sugli sci stretti.
Dove nasce però tutto questo amore per la resistenza e la fatica?
Dalla famiglia: eravamo in 10, bisognava tutti fare la propria parte per tirare avanti con molta fatica. Avevo 8 fratelli, io ero il terzo: a 15 anni iniziai a lavorare in segheria, poi mi arruolai in Finanza vicino a Predazzo, poi incontrai Inger in Scandinavia, dove andavo, dal ’63 al ’72, ogni inverno per allenarmi e provare nuovi sci. La conobbi prima di vincere l’oro olimpico, lei faceva la hostess in un albergo svedese: era bellissima, bionda con gli occhi chiari. Ha cambiato la mia vita, come il CSI aveva fatto con lo sport. Ecco qua un altro CSI: Castello, Sci e Inger [sorride NdR]… C’è un po’ tutta la mia vita.
Piuttosto, del vero Centro Sportivo Italiano che ricordi hai?
Non c’era un oratorio vero e proprio come quelli di oggi, si andava ogni giorno in canonica, nella Chiesa parrocchiale di Castello di Fiemme. Tutte le società sportive del Trentino in quegli anni, dal ’50 al ’60, erano collegate al Centro Sportivo Italiano; a Trento c’era la sede centrale dove operava Carlo della Torre, con Cavagna. In ogni gara qui in Trentino c’era di mezzo il CSI; il CSI in Trentino è stato padre e madre, l’inizio dello sport per me come per tutti i trentini. Ricordo a Pozza di Fassa le gare del Trofeo Laurino, che vincevo io insieme a mio fratello Renzo. Da là è nato tutto. Erano tutte società affiliate al CSI Trento.
Ma qualche medaglia nel CSI la ricordi?
Come no: quella vinta ai campionati italiani di Cervinia nel 1960. Viaggio in treno, lungo, per l’occasione. Era la 10 km. Fu il biglietto da visita per entrare nelle Fiamme Gialle e nella Nazionale. Per parteciparvi occorreva prepararsi per tempo, quasi da un anno prima. Forse il ricordo più bello, però, non sono le medaglie, ma i miei primi sci nuovi, quelli di legno, che mi portò Carlo Della Torre, il dirigente più alto in grado del CSI a Trento. Ricordo la mia tuta cucita in casa; si prendeva la stoffa dei grembiuli e si facevano i pantaloni. Dopo quei successi entrai in Federazione. Comunque nel CSI ne ho vinte tante, ho i cassetti pieni di medaglie, cimeli e pettorali. A Cervinia vinsi anche la staffetta a tre con un ragazzo di San Pellegrino ed un altro
di Molina di Fiemme. Quella volta vinsi io, mentre mio fratello aveva vinto i Campanili Alpini. Con mio fratello gareggiavamo per l’US San Giorgio, che è il patrono di Castello. C’era la scritta sulla maglia; a quei tempi ogni piccolo Comune aveva un gruppo sportivo di riferimento: erano i tempi in cui si correvano i campionati valligiani.
Il tuo rapporto con la fede?
Il mio rapporto con la fede è nato in parrocchia, poi sono entrato nella “Comunità dei figli di Dio” con don Barsotti, di Firenze. Prima di Grenoble feci un voto: se non mi fosse successo niente durante la gara olimpica, sarei andato a piedi a Lourdes. Non solo arrivai sano al traguardo, ma addirittura vinsi, perciò il pellegrinaggio fu doveroso. Nel frattempo si era convertita anche mia moglie Inger. Nella comunità sentivamo il valore della fraternità che ci ha sostenuto dopo la morte di nostra figlia Caterina, a soli 25 anni.
Tra le foto in soggiorno anche quella con il Papa sciatore.
Certo. Era il sessantennio del Centro Sportivo Italiano. Papa Giovanni Paolo II aveva la testa sulle spalle; pur essendo agli ultimi mesi di vita, mi fece cenno con gli occhi che aveva accolto la mia richiesta di pregare per mia figlia affetta da una malattia rara. Pochi mesi dopo morirono entrambi.
Ma è vero che pregavi mentre ti allenavi?
Qualche volta; spesso anche in gara recitavo qualche Ave Maria. Ricordo con piacere le Messe in Scandinavia, dove avevamo il prete per noi italiani, anche se c’erano poi molti svizzeri, francesi, tedeschi.
Il CSI festeggia 80 anni. Quale augurio ti senti di fare all’Associazione da saggio e arzillo ultraottantenne?
L’augurio è di andare sempre avanti così. Penso che esistano poche organizzazioni così radicate e importanti. Finché un ragazzo fa sport, e non viene deviato da altre stupidaggini, è in gamba, perché riesce a far parte di un gruppo e crede nei valori del gruppo stesso. Passione, voglia di stare insieme agli altri e spirito di amicizia. Dico che il CSI deve esserci e continuare ad insistere sui valori della vita come ha sempre fatto. Nello sport c’è agonismo, ma non cattiveria. Questo è il punto fondamentale, che lo sport deve insegnare: la sana competizione. Se vinci va bene, ma non si deve mai deridere chi arriva dietro. Una vittoria sportiva è una vittoria amichevole, e poi aggiungo che non si deve mai barare in alcun modo.
Come vedi le prossime Olimpiadi italiane?
Le vedo bene e le vivrò dal vivo, da vicino. Come tradizione, nel mio albergo verrà a soggiornare la squadra norvegese, poiché siamo rimasti in ottimi rapporti con gli scandinavi. Hanno prenotato da gennaio; gli agonisti e la delegazione saranno alloggiati tutti nei miei hotel. A Predazzo ci sarà poi il salto in combinata: ad ottobre scorso hanno inaugurato i nuovi trampolini (da 80 e 120 metri) con la Coppa del Mondo. Poi andrò sul Lago di Tesero a vedere lo sci di fondo (10, 15, 30, 50 km), anche se a volte preferisco vedere le gare in TV per capire meglio i distacchi.
È fresco di stampa il libro Franco Nones. Il primo oro, Trentini Editore. Un libro tutto da leggere a cominciare dalla prefazione di un suo carissimo amico, Giovanni Malagò, membro CIO e presidente Fondazione Milano Cortina 2026. La statura del personaggio è ben rappresentata nelle parole dell’ex numero uno del CONI: «Il talento come fondamentale paradigma d’espressione, l’umiltà elevata a ineludibile assioma comportamentale, gli sci ai piedi un’estensione naturale, il suo modo di essere speciale, il mezzo per scalare il mondo. Franco Nones ha saputo imprimere la firma indelebile sulla storia dando voce alle capacità tecniche e alle virtù umane, appellandosi alla forza di una semplicità che è il suo linguaggio preferito. È stato un pioniere, ha scardinato le gerarchie dettate dalle superpotenze nordiche diventando il primo azzurro di sempre a vincere l’oro olimpico nello sci di fondo, antesignano di un movimento che ha saputo poi prendere forma e contenuto regalandoci indimenticabili emozioni a cinque cerchi… Un lascito importante e significativo che può permeare le nuove generazioni, facendo conoscere l’altro profilo di un fuoriclasse che ha guadagnato l’immortalità con le proprie gesta».
CSI per il Mondo è Fondazione
Nei campetti impolverati, lo sport sogna senza confini
di Giorgia Magni
«La nascita della Fondazione CSI per il Mondo rappresenta, dopo anni di impegno nelle periferie del mondo, un passo importante per tutto il Centro Sportivo Italiano. Con essa vogliamo contribuire a portare oltre i confini nazionali la forza educativa dello sport, come linguaggio universale di pace, fraternità e speranza»
Vittorio Bosio
Durante le Olimpiadi vediamo gareggiare atlete e atleti da tutto il mondo. Li osserviamo nelle gare al culmine di un lungo percorso, per alcuni iniziato in Paesi spesso segnati da conflitti e faticosa sopravvivenza. In questi contesti fragili lo sport diventa riscatto e prospettiva: da qui le giovani atlete e i giovani atleti iniziano a costruire il loro sogno. In queste periferie del mondo arriva il volontariato sportivo internazionale di CSI per il Mondo.
Nato nel 2011 con una missione ad Haiti sotto la Presidenza nazionale CSI di Massimo Achini, il progetto diventa Fondazione raccogliendo l’eredità di quattordici anni di missioni. «La Fondazione nasce tra meraviglia ed emozione –racconta Achini –. Mai avremmo pensato di arrivare qui. C’è anche un forte senso di responsabilità per l’inizio di una strada bella e faticosa con possibilità infinite da far crescere il più possibile». Le missioni hanno toccato quattro
dei cinque continenti, costruendo programmi sportivi di formazione per allenatori e animatori, settimane di sport ed eventi per i giovani. L’esperienza CSI è stata proposta come modello per costruire anche lì una quotidianità sportiva in grado di contrastare emarginazione, vita di strada e dispersione giovanile con un valore aggiunto: generare esperienze trasformative anche per i giovani volontari e per le società sportive gemellate con le comunità locali. Partecipare a una missione significa cambiare il proprio sguardo sulla vita, non a parole ma attraverso il servizio agli altri. Si torna con un seme di cambiamento dentro di sé, frutto di quello generato nelle piccole realtà. «Vogliamo portare lo sport dove non è mai arrivato – prosegue Achini – estendendo la tensione educativa che parte da casa nostra e che è bello arrivi alle periferie del mondo».
Negli anni CSI per il Mondo ha creato reti e progetti educativi in Camerun, Congo, Burundi, Madagascar, Haiti, Cile, Perù, Bangladesh, Kenya ma anche in Albania, Zambia e in molti altri contesti fragili. Non esperienze isolate ma continuità: «Puntare sulla formazione di allenatori e animatori locali – sottolinea Valentina, responsabile e coordinatrice del progetto sin dall’inizio – fa sì che le attività proseguano anche senza di noi, in autonomia. È questo il risultato più grande e racconta il senso di ciò che costruiamo».
Tra le esperienze emerge il Centro Sportivo Camerunense
I dati dei primi 14 anni:
103
1.837
guidato da Francis Kammogne, con progetti strutturati e attività educativamente ambiziose nelle carceri. «Dalla collaborazione con il Centro Orientamento Educativo e Francis – racconta Valentina – sono nati un corso di formazione sportiva per detenuti e le Olimpiadi interne alle carceri, diventate appuntamento fisso». CSI per il Mondo ha legato il proprio nome alle Olimpiadi con un’esperienza indimenticabile a Rio 2016, quando il presidente Malagò invitò i volontari ad animare le favelas della città durante i Giochi. Esperienze simili al modello olimpico sono state organizzate ad Haiti con la Giornata dello Sport, coinvolgendo 3.000 bambini delle aree più vulnerabili del Paese. «Sono luoghi dove sono a rischio i bisogni alimentari e sanitari di base – spiega Valentina –, eppure lo sport ha creato aggregazione e comunità». Nell’Amazzonia peruviana, a Santa Marta, si è poi vissuta una giornata di giochi che ha portato alla nascita della prima polisportiva ufficiale in un’area remota raggiungibile solo via fiume. Scalabriniani, Pontificio Istituto Missioni Estere, Educatori Senza Frontiere, Padri Saveriani, Associazione Papa Giovanni XXIII, Fidei Donum della Diocesi di Milano, COE, Suore Dorotee di Cemmo e Università Cattolica sono tutte realtà amiche che hanno chiesto l’aiuto di CSI per il Mondo diventando preziose collaborazioni. Ora è tempo di crescere nella cooperazione internazionale: «Con la Fondazione CSI per il Mondo si apre al dialogo con le istituzioni sovranazionali – spiega Achini –.
È un passaggio significativo che ci farà crescere e darà respiro con nuove opportunità di finanziamento. Siamo molto fiduciosi».
Anche l’Europa ha acceso l’attenzione. I volontari sono stati convocati dalla Commissione Cultura dell’Unione Europea e la UEFA si è mostrata interessata. Fu poi Papa Francesco, grande appassionato di sport e educazione, ad accogliere CSI per il Mondo con entusiasmo e approvazione. Raggiunto questo traguardo, si continua a sognare in grande, con la volontà di aprire alla partecipazione di volontari provenienti dalle Federazioni, ai campioni ed ex campioni e al mondo della disabilità. «Ero presente alla prima missione ad Haiti e all’ultima in Camerun – riferisce Valentina –. Sono cambiate molte cose, ma è sorprendente quanto siamo cresciuti e quanto potenziale abbiamo per operare nella cooperazione».
Il board della Fondazione si riunirà per la prima volta a metà ottobre per avviarne ufficialmente l’attività: il volontariato sportivo internazionale indossa ora un nuovo abito con cui raggiungerà le periferie del mondo, ma senza cambiare identità e incamminandosi con le solite scarpette abituate alla polvere rossa dei campetti sconnessi ma pieni di vita. Resteranno la stessa passione educativa e la convinzione che lo sport abbia la forza di completare, trasformare, riempire e dare speranza alla vita… Di tutti.
Sport e fraternità giocano in squadra
Al World Meeting on Human Fraternity la sinergia tra i volti del mondo sportivo per un obiettivo comune
di Laura Politi
“La vocazione significa avere per mestiere la propria passione”: questa la frase, attribuita a Stendhal, ricordata da Giuseppe Marotta, presidente di FC Internazionale Milano, nell’ambito dell’incontro che si è svolto il 12 settembre in una prestigiosa location romana.
Stiamo parlando del World Meeting on Human Fraternity, giunto alla terza edizione e promosso dalla Basilica di San Pietro, dalla Fondazione Fratelli tutti e dall’associazione Be Human.Si tratta di un evento che, partendo da un’analisi dell’attualità, ambisce ad entrare nel profondo delle dinamiche che muovono la contemporaneità per poterne estrapolare schermi, linee guida, direttive in grado di indirizzare il tavolo di discussione e di azione del futuro.
Proprio intorno a diversi tavoli di lavoro, 15 in tutto, si è mossa l’indagine su alcuni temi e argomenti cardine della nostra società. Tra questi, il Tavolo Sport, dal titolo “Una squadra, un mondo: lo sport per la fraternità”, ha raccolto esperienze e approfondimenti provenienti da differenti livelli del mondo sportivo, tanto variegato quanto bisognoso di sinergie e uniformità di intenti.
Perché siamo partiti dalle parole prese in prestito dal letterato francese? Non era la passione al centro della discussione; lo erano la fraternità, l’inclusione, l’accoglienza. Non è però la passione a muovere tante fila del mondo dello sport? Non sono forse anche le nostre passioni a definirci come persone, nel nostro essere e nel nostro agire, influenzando di conseguenza anche il nostro – piccolo, a volte impercettibile – impatto sulla società e in particolar modo su chi ci circonda? E allora possiamo arrogarci il diritto di partire da qui per sviscerare il confronto e gli obiettivi che hanno animato in un venerdì di settembre il tavolo dedicato allo sport di “Spazio Europa”, la location gestita dall’Ufficio in Italia del Parlamento europeo e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea, nel cuore di Roma.
A chiedersi “Cosa significa essere umani oggi?”, la domanda al centro degli incontri ospitati nella Capitale nella due-giorni del World Meeting on Human Fraternity, c’era anche il Centro Sportivo Italiano, nella figura del suo presidente Vittorio Bosio, a rappresentare tutta quella base di atleti, società, associazioni, dirigenti, volontari che offrono sostegno e sostanza allo sport.
Diversi i volti complementari seduti al tavolo, a dare voce alle facce di una stessa medaglia. Accanto al presidente del CSI, hanno preso posto lo sport professionistico, nella figura del presidente nerazzurro Marotta, lo
Interrogarsi
sul significato di
umanità
e fraternità oggi apre la strada a diverse chiavi di lettura, non tanto perché i due termini possano evocare interpretazioni dissimili, quanto perché possono essere applicati in innumerevoli contesti e a partire da una miccia diversa
sport che abbraccia la disabilità, nell’esperienza di Daniele Cassioli, campione paralimpico di sci nautico, e lo sport come avamposto di riscatto sociale, nelle parole di don Claudio Burgio, fondatore e presidente dell’associazione Kayrós e cappellano dell’Istituto penale minorile “Cesare Beccaria” di Milano.
Interrogarsi sul significato di umanità e fraternità oggi apre la strada a diverse chiavi di lettura, non tanto perché i due termini possano evocare interpretazioni dissimili, quanto perché possono essere applicati in innumerevoli contesti e a partire da una miccia diversa. Al tavolo di “Spazio Europa”, i rappresentanti presenti hanno deciso di entrare nel merito dei valori della fraternità applicati allo sport partendo da alcuni concetti chiave, quali inclusione, accoglienza e comunità, guidati dalle domande della moderatrice Eva Crosetta, che ha offerto ad ognuno la lente di ingrandimento adatta.
Negli altri quattordici tavoli – Amministratori Locali, Informazione, Salute, Intelligenza Artificiale, Bambini, Lavoro, Ambiente e Sostenibilità, Economia
e Finanza, Education, Terzo Settore, Imprese, Formazione Politica, Letteratura per la Fraternità, Trasformazione dei Sistemi Alimentari – svoltisi nella medesima giornata, il tema della fraternità è stato sviscerato in contesti diversi, con il comune obiettivo di contribuire in modo significativo al prossimo futuro della società contemporanea, creando dialoghi e connessioni in grado di mettere a confronto esigenze e necessità del settore pubblico e di quello privato, di associazioni locali e di realtà di respiro nazionale.
A tirare le fila e chiudere il sipario sul lavoro svolto nei diversi tavoli tematici è stata l’Assemblea dell’Umano, in cui leader di organizzazioni internazionali e premi Nobel per la pace si sono confrontati per tradurre in linee guida concrete e applicabili le riflessioni emerse nella giornata precedente. La discussione ha avuto luogo ancora una volta nella Capitale, ospitata nella sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio, ed è stata seguita dall’evento serale “Grace for the World” realizzato nella cornice di Piazza San Pietro, dove artisti nazionali e internazionali e uno
spettacolo coreografico di droni hanno salutato le oltre 80.000 persone presenti nell’abbraccio del piazzale romano.
Ma, riavvolgendo il nastro sul tavolo dedicato allo sport, abbiamo fatto riferimento ad alcune parole chiave che sono emerse per ricordare il ruolo e lo spazio che possono ricoprire la fraternità e l’umanità in questo settore. L’attenzione non poteva che indirizzarsi sull’importanza dell’accoglienza, che per il CSI ha da sempre il significato di mettere al centro la persona, non il campione, andando ad agire nelle periferie e ritrovandosi a suonare il campanello di quelle porte dietro le quali troppo spesso si trovano ragazzi e ragazze che non riescono a ritagliarsi un proprio spazio: «Accoglienza vuol dire accogliere tutti per quello che sono, non per quello che potrebbero diventare», ha ricordato il presidente Bosio.
Di uno sport che è in grado di curare e aiutare i giovani a ritrovare una via di bene si è fatto testimone don Claudio Burgio, sottolineando come l’attività sportiva possa essere al centro di una capacità di cambiamento e risocializzazione, aiutando tanti
ragazzi a tracciare un nuovo e diverso percorso all’interno di una strada sulla quale si sono trovati a camminare e che li ha portati ai margini. «Se hai fallito, non sei fallito»: così il cappellano del “Beccaria” evidenzia come lo sport possa aiutare tanti giovani a riprendere confidenza con il senso del fallimento, scoprendo nella sconfitta un’opportunità per costruire qualcosa di nuovo (è possibile approfondire l’esperienza e l’azione di don Claudio Burgio all’interno dell’intervista rilasciata a Stadium n.12/2024).
Anche Daniele Cassioli ha evidenziato come l’esperienza sportiva, legata al professionismo o al mondo amatoriale, sia in grado di offrire a giovani e adulti, con o senza disabilità, un bagaglio di competenze applicabili a numerosi e diversi ambiti della propria vita, anche al di fuori quindi del contesto sportivo: dalla gestione della sconfitta alla fiducia in sé stessi e alla capacità di agire in squadra.
Un forte accento è stato posto da Giuseppe Marotta – che ha ricordato come l’ambiente dell’oratorio sia per tanti giovani una prima palestra di vita, non solo dal punto di vista atletico ma anche umano (su Stadium n.7/2023 l’intervista per scoprire ii
legame del presidente nerazzurro con l’oratorio) – sul tema della responsabilità, una responsabilità che poggia anche sulle spalle dello sport professionistico che può e deve essere esempio, facendosi livellatore di disparità e agendo perché più persone possibili abbiano l’opportunità di sentirsi parte di una comunità. Fraternità e umanità trovano naturalmente terreno fertile nello sport, se innaffiate e libere di poter mettere radici. Crescono e si traducono in gesti concreti che parlano un linguaggio universale. Se sappiamo coltivarle e proteggerle, diventano un potente mezzo locomotore in grado di inspirare e generare cambiamenti nella vita quotidiana, nei rapporti che intratteniamo con il prossimo e la comunità. Di esempi ne abbiamo visti nei recenti Mondiali di atletica leggera svoltisi a Tokyo, di messaggi in grado di fare il giro del mondo. Volendo citarne solo uno, focalizziamo l’immagine della medaglia d’oro spagnola María Pérez, che ha atteso oltre il traguardo della 35 km di marcia la compagna, amica e rivale italiana Antonella Palmisano, per stringerla in un abbraccio tra nazioni che dà al trionfo della competizione un sapore che va oltre la pista e si condisce di quei valori di cui lo sport non è mera bandiera, diventandone specchio e megafono.
Fraternità e umanità trovano naturalmente terreno fertile nello sport, se innaffiate e libere di poter mettere radici.
Crescono e si traducono in gesti concreti che parlano un linguaggio universale
Il progetto per i centri estivi che unisce Fondazione Conad ETS e il Centro Sportivo Italiano, promuovendo inclusione e collaborazione
di Laura Politi
Tennis, calcio, palla avvelenata, nuoto, teatro: attività diverse ma che danno forma allo stesso progetto.
“TuttInGioco”, da tre anni a questa parte, ha regalato a migliaia di bambine, bambini, ragazze e ragazzi settimane estive di sport, attività e divertimento in giro per l’Italia. Chiedendo un prestito all’arte della retorica e alla figura della sineddoche, lo sport è però solamente una parte per il tutto, rappresentando una porzione di un’iniziativa che va ben oltre.
Questo progetto ha i nomi e i volti dei piccoli atleti e dei cittadini di domani che hanno toccato con mano il significato della collaborazione e del rispetto
È l’aspetto valoriale quello che ci preme sottolineare della collaborazione che dal 2023 lega il Centro Sportivo Italiano e Fondazione Conad ETS, in una sinergia il cui obiettivo primario è promuovere l’inclusione e far sì che essa sia sperimentata giorno dopo giorno dai giovani partecipanti. Questo progetto ha infatti dei nomi e dei volti, e sono quelli dei piccoli atleti e dei cittadini di domani che hanno toccato con mano il significato della collaborazione e del rispetto.
“TuttInGioco” ha anche dei numeri, che però non rendono davvero giustizia a chi lavora dietro le quinte nei centri estivi in tutta Italia, donando il proprio tempo, la propria esperienza e la propria passione, spesso non chiedendo nulla o quasi in cambio. Forse però è giusto partire proprio da alcuni dati, per provare a dare contezza dell’impatto raggiunto. Nell’estate del 2025, sono stati 34 i Comuni coinvolti nell’iniziativa, grazie all’indispensabile collaborazione sul territorio di 20 Comitati CSI. Da
Torino a Catanzaro, da Catania a Bologna, 9.000 partecipanti, dai 3 ai 17 anni, hanno preso parte al progetto “TuttInGioco” e al Torneo Nazionale estivo degli Oratori, la competizione che si svolge nei centri estivi aderenti all’iniziativa. Proprio i camp attivi durante la stagione calda sono infatti gli attori dell’iniziativa: a prendere parte al progetto sono stati i centri estivi organizzati da 51 oratori e società sportive del CSI, ognuno rispettando le proprie specificità e le necessità dei partecipanti. Dal nord al sud del Paese, infatti, ogni centro estivo ha portato avanti le proprie attività studiando modelli e format adatti alle età e capacità dei giovani atleti. Se è vero che ogni centro estivo ha ottenuto un punteggio sulla base delle attività e competizioni realizzate, questo non ha impedito una libertà di azione nell’organizzazione di giochi e tornei. Il progetto promuove infatti un format polisportivo, adattabile ad ogni territorio, con l’obiettivo di mettere al centro le persone e la crescita attraverso lo sport.
Il gioco e il movimento all’interno del progetto si fanno strumento per lavorare sulle competenze relazionali dei piccoli partecipanti, sulla loro autostima e sul rispetto delle regole e dell’altro, e poi sì, ma solo in secondo luogo, sul miglioramento delle loro capacità fisiche e tecniche. Il confronto con gli educatori, gli animatori, ma anche con i propri coetanei come base dello sviluppo della persona è il nucleo intorno al quale sono state costruite le diverse attività ludiche e motorie.
Il gioco e il movimento si fanno strumento per lavorare sulle competenze relazionali dei piccoli partecipanti, sulla loro autostima e sul rispetto delle regole e dell’altro, e, solo in secondo luogo, sul miglioramento delle loro capacità fisiche e tecniche
Anche quest’anno circa 2.000 bambini e ragazzi hanno potuto beneficiare dei 1.800 voucher erogati da Fondazione Conad ETS, accedendo gratuitamente o con riduzioni economiche ai centri estivi. Nell’ottica di promuovere l’inclusione, infatti, l’obiettivo è quello di allargare l’offerta sportiva estiva al numero più elevato possibile di famiglie, offrendo un servizio pensato per coinvolgere in modo particolare chi per difficoltà o ristrettezze economiche si troverebbe tagliato fuori.
Tennistavolo e calcio balilla all’Oratorio Santa Rita di Taranto, baseball ed esperienze educative con il supporto di vigili del fuoco e carabinieri con l’US Astra nella Parrocchia Santa Maria del Rosario di Parma, e poi laboratori per favorire l’integrazione tra sport, cultura e crescita personale nel camp organizzato dall’associazione “Prossimità alle istituzioni” di Pescara: questi sono solo alcuni esempi dell’estate “TuttInGioco” 2025; per esigenze di spazio ci risulta impossibile elencare la varietà delle esperienze offerte in tutta Italia, ma è giusto evidenziare l’impegno profuso in tutte le realtà perché lo sport assurgesse a strumento di crescita e socializzazione.
A chiudere l’estate del progetto –anche se numerosi camp hanno portato avanti le attività fino al mese di settembre, offrendo
un servizio di supporto a tante famiglie fino agli inizi della scuola – sono state, come nelle precedenti due edizioni, le cinque finali del Torneo Nazionale estivo degli Oratori, svoltesi nel mese di luglio e alle quali hanno preso parte oltre 200 bambine e bambini. I centri estivi vincitori hanno avuto infatti l’onore e l’onere di ospitare i cinque eventi conclusivi del progetto, per offrire ai piccoli partecipanti una giornata di festa e giochi che ha decretato in ognuno di essi i 20 vincitori. Ogni componente della squadra vincitrice ha ricevuto in dono una carta prepagata Fondazione Conad ETS, per un totale di 100 carte-spesa donate alle famiglie, a ribadire il sostegno del progetto anche da parte di Conad, presente alle finali con i soci delle sue Cooperative, che hanno festeggiato insieme ai piccoli atleti offrendo loro una merenda di fine progetto.
A Ravenna la festa è stata tutta per il CRE Leone, il primo vincitore della competizione estiva, conclusa nel verde della Rocca Brancaleone in un’ultima sfida di attività polisportive, che ha unito giochi di concentrazione, memoria e velocità. In attesa dei Giochi di Los Angeles 2028, la “regina degli sport” ha avuto un sapore olimpico a Robassomero nel Torinese, dove gli atleti dell’Oratorio Santa Caterina, dopo la sfilata iniziale seguita dall’inno di Mameli, si sono cimentati nelle
diverse stazioni dedicate allo sprint, al lancio del vortex, al salto in lungo e alla staffetta. Se per il CRE Leone registriamo un bis di vittorie dopo la finale conquistata nella prima edizione del progetto, i vincitori ravennati non sono gli unici ad alzare una seconda volta la coppa: a Lecco la festa sportiva lombarda ha incoronato nuovamente la Polisportiva Rovinata – Oratorio di Germanedo. Qui, nel rione Germanedo appunto, le sei squadre di atleti si sono sfidate in altrettante arene di gioco che hanno messo alla prova le loro capacità di passare da una disciplina all’altra, elemento caratterizzante del progetto: dal tiro a canestro al tiro a segno, per spostarsi al lancio del cerchio e ai palleggi con racchetta, e poi ancora il “palo traversa” e la “precision challenge”, misurando la propria abilità calcistica. Chiudono il cerchio delle finali del torneo Mesagne nel Brindisino e Ponte Pattoli, frazione del Comune di
Perugia. La vittoria della Virtus Mater Domini ha rallegrato la mattina della città pugliese, che nei campi della Parrocchia Santuario Mater Domini ha ospitato quattro diverse postazioni per testare rapidità, precisione ed equilibrio. Il giorno successivo, a non pochi chilometri di distanza, è risuonato ancora una volta l’inno di Mameli, che ha dato il via alle ultime sfide polisportive sui campi del Pattol Club. Qui sport e divertimento hanno trovato spazio nel triangolare di calcio a 5, sulle reti del campo di padel e di quello di beach volley, oltre che dentro e nei dintorni della piscina per i percorsi ludico-motori per i più piccoli. I protagonisti? Gli ultimi vincitori dell’estate, i giovani e giovanissimi atleti della CSI Grifo.
Volendo provare a tracciare un bilancio, pur sapendo – come già evidenziato – che i numeri possono a volte risultare uno strumento piuttosto sterile per trasmettere
i risultati conquistati sul campo, nelle sue tre edizioni “TuttInGioco” ha consentito di sostenere economicamente circa 6.000 famiglie: dietro questo numero ci sono focolari reali, genitori e figli che hanno avuto la possibilità di vivere un’estate in un clima –speriamo – più sereno e disteso. Ben 26.500 bambine e bambini, ragazze e ragazzi hanno fatto parte di un meccanismo più ampio, che ambisce a costruire un tessuto sociale più solido, dove le relazioni umane e il rispetto dell’altro non scendono mai al secondo posto. Educare attraverso lo sport e mettere le persone al centro non sono slogan vuoti, sono i mattoni di un percorso in costante costruzione: la strada da realizzare e percorrere è ancora lunga, ma la sinergia tra più attori è un passo fondamentale per renderne possibile la creazione, perché alcune sfide si affrontano meglio quando ci si mette “TuttInGioco” dalla stessa parte del campo.
Oltre 7.000 partecipanti all’Enel Sport Village e il convegno su Milano Cortina 2026 hanno ribadito il ruolo centrale del CSI nello sport educativo e di base
LMinistro Abodi: «Il CSI è l’emblema dello sport che parte nobilmente dal basso e guarda al vertice, senza dimenticare che molti atleti che oggi brillano hanno iniziato il loro percorso proprio in una società sportiva»
a 46a edizione del Meeting di Rimini, svoltasi dal 22 al 27 agosto 2025, ha rappresentato per il Centro Sportivo Italiano un’occasione preziosa per testimoniare, ancora una volta, il valore educativo e sociale dello sport. All’interno del Padiglione B5, nell’Enel Sport Village, il CSI ha dato vita a un autentico Villaggio dello Sport, offrendo a migliaia di visitatori la possibilità di sperimentare discipline diverse, di condividere momenti di gioco e di scoprire, attraverso l’esperienza diretta, la bellezza di uno sport inteso come incontro e occasione di crescita. Il tema generale del Meeting, “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”, ha trovato qui un’applicazione concreta: quei “mattoni” sono diventati il movimento, l’entusiasmo e la passione di bambini, ragazzi, adulti e famiglie che hanno popolato gli spazi del villaggio per sei intense giornate. I due padiglioni dedicati allo sport, per una superficie complessiva di quasi 13.000 mq, sono stati allestiti con cura per accogliere un programma ampio e inclusivo. Campi da calcetto, volley e pallacanestro hanno ospitato partite, allenamenti e tornei che hanno coinvolto formazioni giovanili e squadre composte da partecipanti di ogni età. Ampi spazi sono stati riservati ai giochi con la racchetta, dalle discipline tradizionali come il tennistavolo a proposte innovative capaci di incuriosire e divertire. Non sono mancati i giochi da tavolo, che hanno unito la dimensione ludica alla socializzazione, né le esibizioni che hanno offerto dimostrazioni
spettacolari di arti marziali e di ginnastica.
La presenza del CSI al Meeting non si è limitata all’organizzazione tecnica, ma ha assunto una valenza educativa e culturale. Ogni attività è stata pensata non solo come intrattenimento, ma soprattutto come strumento per trasmettere i valori che contraddistinguono l’Associazione: l’educazione attraverso lo sport, l’inclusione, il rispetto delle regole, il fair play e la promozione della persona. In questo senso, il Villaggio dello Sport si è configurato come un vero laboratorio di cittadinanza attiva, dove i più giovani hanno potuto sperimentare la bellezza della collaborazione e la lealtà del gioco. L’ampia partecipazione di famiglie, scolaresche e gruppi sportivi ha confermato l’importanza di un presidio educativo come quello proposto dal CSI all’interno di una manifestazione di rilevanza internazionale quale il Meeting di Rimini. In un tempo in cui lo sport rischia di essere ridotto a mero spettacolo o a semplice ricerca del risultato, l’esperienza dell’Enel Sport Village ha riaffermato con forza che esiste una via capace di restituire centralità alla persona e valore alla comunità. Con la sua presenza al Meeting, il CSI ha rinnovato il proprio impegno a costruire, insieme a chiunque voglia condividere questo cammino, “mattoni nuovi” per una società più giusta, solidale e inclusiva.
Ogni campo da gioco, ogni palestra, ogni arena può diventare un luogo in cui il deserto si trasforma in incontro: qui si impara a collaborare, a rispettare le
regole, a valorizzare le differenze. Lo sport mette al centro la persona nella sua interezza, educandola a superare i propri limiti e a riconoscere nell’altro non un avversario, ma un compagno di viaggio. In questo senso, lo sport diventa segno tangibile di speranza e risposta concreta al bisogno di appartenenza che caratterizza le nuove generazioni.
All’interno dei padiglioni sportivi il programma ha proposto un’ampia gamma di discipline, pensate per incontrare i gusti e le curiosità di ogni partecipante. Gli sport più conosciuti, come calcetto, pallavolo, basket e minibasket, hanno rappresentato il cuore pulsante delle attività: campi sempre animati da partite, tornei e momenti di gioco libero,
che hanno permesso a bambini, ragazzi e adulti di misurarsi con entusiasmo in contesti semplici ma educativi, dove il divertimento si è unito al rispetto delle regole e al lavoro di squadra. Accanto a queste discipline di grande richiamo, non sono mancate proposte che hanno incuriosito per la loro originalità e per la capacità di coinvolgere anche i meno esperti. La lotta olimpica e la pallamano hanno offerto dimostrazioni spettacolari, capaci di avvicinare nuovi appassionati e di trasmettere la bellezza della disciplina e della tecnica. Grande successo ha riscosso anche il tchoukball, sport che mette al centro collaborazione e inclusione, insieme al rapatennis e all’ultimate frisbee, che hanno conquistato i partecipanti per la loro dinamicità e per la possibilità di giocare in modo immediato e divertente. Non sono mancati, infine, i giochi da tavolo come scacchi e dama, capaci di unire generazioni diverse in un contesto di concentrazione e strategia. In questo mosaico di discipline, ogni partecipante ha trovato il proprio spazio, vivendo lo sport come un bene accessibile a tutti.
Il tema del Meeting di Rimini 2025, “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”, trova nello sport un terreno privilegiato di applicazione e testimonianza. I “deserti” evocati da T.S. Eliot non appartengono soltanto a luoghi geografici, ma descrivono anche le condizioni interiori e sociali della contemporaneità: solitudine, rassegnazione, indifferenza, perdita di fiducia. In questo scenario lo sport, inteso nella sua dimensione educativa e comunitaria, si presenta come uno dei “mattoni nuovi” capaci di rigenerare tessuti sociali e di restituire vitalità alle relazioni.
Il CSI interpreta questa missione con rinnovata responsabilità: proporre esperienze semplici ma significative, che mostrano come la passione per il gioco e l’energia del movimento possano aprire orizzonti nuovi.
Ogni attività, dal torneo di calcetto alla dimostrazione di arti marziali, diventa occasione per costruire “mattoni” di amicizia, fiducia, collaborazione e responsabilità. Così, in un contesto culturale che invita a riflettere sulle sfide del presente e sul futuro da edificare, lo sport proposto dal CSI si conferma uno strumento educativo insostituibile, capace di trasformare i deserti in luoghi di incontro e di generare comunità. Il quarto giorno del Meeting di Rimini ha avuto nello sport il suo fulcro, grazie al convegno dedicato alle Olimpiadi Invernali Milano Cortina 2026, che ha visto la partecipazione di alcune delle figure più autorevoli del panorama istituzionale e sportivo italiano. Sul palco si sono alternati Andrea Abodi, Ministro per lo Sport e i Giovani, Attilio Fontana, Presidente della Regione Lombardia, Luca
Santandrea, General Manager Olympic and Paralympic Games
Milano Cortina 2026, Andrea Varnier, Amministratore Delegato della Fondazione Milano Cortina 2026, e Vittorio Bosio, Presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano, con la moderazione di Mario Del Verme (CdO Sport). Un incontro che ha offerto al pubblico un’occasione privilegiata per riflettere sul significato profondo delle Olimpiadi, al di là della dimensione competitiva e spettacolare, e per coglierne la portata culturale, educativa e sociale.L’intervento del Ministro Andrea Abodi ha aperto il dibattito, sottolineando con parole dense di significato come il Meeting sia un luogo in cui «si percepisce uno stato d’animo predisposto alla speranza, perché è un luogo dove si abbandonano i pregiudizi». Lo sport, nella visione del Ministro,
non è solo competizione o ricerca del risultato, ma uno strumento capace di abbattere muri e divisioni, generando nuove forme di dialogo e di partecipazione. Il Presidente nazionale del CSI, Vittorio Bosio, ha voluto portare al centro del dibattito l’esperienza concreta del mondo sportivo di base, ricordando come, nella società attuale segnata da relazioni sempre più veloci e impersonali, i giovani abbiano un bisogno urgente di spazi dove poter condividere esperienze autentiche. «I ragazzi – ha affermato Bosio – hanno bisogno di luoghi dove possano costruire amicizie vere e vivere momenti che rendono la vita migliore». Un richiamo forte e chiaro, che ribadisce l’impegno del CSI a presidiare il territorio con un’offerta sportiva capace di formare persone prima ancora che atleti.
Lo sport mette
al centro la persona nella sua interezza, educandola a superare i propri limiti. Diventando segno tangibile di speranza e risposta concreta al bisogno di appartenenza
Le parole di Bosio hanno trovato immediato riscontro nelle dichiarazioni dello stesso Abodi, che ha voluto rivolgere un riconoscimento speciale all’organizzazione: «Il CSI è l’emblema dello sport che parte nobilmente dal basso e guarda al vertice, senza dimenticare che molti atleti che oggi brillano hanno iniziato il loro percorso proprio in una società sportiva». Con questa sottolineatura, il Ministro ha ribadito il ruolo insostituibile delle realtà sportive di base, come luoghi di formazione umana e sociale. Il convegno ha offerto anche uno sguardo sul futuro. Milano Cortina 2026, come ricordato dai relatori, non sarà soltanto un evento di rilevanza internazionale, ma una straordinaria occasione per l’Italia di valorizzare i territori coinvolti, di promuovere la partecipazione collettiva e di trasmettere un’immagine positiva del Paese. In particolare, il Viaggio della Fiamma Olimpica rappresenterà un momento
di grande coinvolgimento popolare, capace di accendere l’entusiasmo in ogni angolo d’Italia e di rilanciare il senso di appartenenza a una comunità unita dai valori dello sport. Al termine del convegno, Abodi e Bosio hanno voluto visitare insieme l’Enel Sport Village, all’interno del Meeting, dove hanno incontrato i tanti volontari del CSI impegnati nelle attività quotidiane. Nei volti dei giovani, dei bambini e delle famiglie presenti al Villaggio dello Sport, i due rappresentanti hanno potuto riconoscere quei “mattoni nuovi” evocati dal titolo del Meeting: segni concreti di speranza, costruiti attraverso la gratuità del volontariato, la passione per il gioco e la voglia di crescere insieme.
Il convegno su Milano Cortina 2026 ha dunque confermato come le Olimpiadi possano essere non soltanto un evento sportivo, ma un laboratorio di futuro, capace di incidere sulla cultura, sull’educazione e sul tessuto sociale del Paese. Le parole di Bosio e di Abodi hanno tracciato una prospettiva chiara: lo sport, se vissuto nella sua autenticità, non è un lusso né un semplice intrattenimento, ma un bene comune che appartiene a tutti e che, come tale, deve essere custodito, promosso e trasmesso alle nuove generazioni. Un ruolo determinante, come nelle passate edizioni, è stato svolto dai volontari del CSI, che hanno reso possibile ogni momento di vita e di attività all’interno dei padiglioni sportivi. Venticinque giovani e adulti, provenienti da diversi Comitati, hanno dedicato tempo, energie e competenze per garantire lo svolgimento ordinato e sereno delle attività, assumendosi la responsabilità sia degli aspetti tecnico-organizzativi sia degli allestimenti. La loro presenza discreta, ma instancabile, ha permesso di accogliere migliaia di bambini, ragazzi e famiglie, accompagnandoli nelle sfide dei tornei, nei momenti di gioco libero e nelle attività educative. Ogni sorriso e ogni incoraggiamento
donato ai partecipanti hanno testimoniato la forza di un volontariato che non si limita a “gestire” lo sport, ma che lo anima e lo trasforma in occasione di crescita. Nel contempo, per gli stessi volontari l’esperienza del Meeting si è configurata come una vera e propria scuola associativa sul campo: giorni intensi di condivisione, collaborazione e confronto, in cui imparare a lavorare insieme, a prendersi cura degli altri e a vivere lo sport come servizio. È questo intreccio tra gratuità e responsabilità che ha fatto sì che il Villaggio dello Sport diventasse un luogo capace di ospitare più di settemila partecipanti, mantenendo sempre un clima accogliente e sicuro. Alla conclusione della 46a edizione del Meeting di Rimini, è doveroso rivolgere un sentito ringraziamento non soltanto ai volontari, ma anche ai responsabili e ai tecnici che hanno contribuito con professionalità e passione alla buona riuscita dell’iniziativa. Dietro ogni campo allestito, ogni attività avviata e ogni esibizione proposta, c’è stato un lavoro corale e meticoloso che ha intrecciato competenze diverse con un unico obiettivo: rendere lo sport occasione di incontro, amicizia e crescita. L’entusiasmo e la gratitudine espressi dai visitatori sono il segno concreto di un impegno che non passa inosservato e che diventa patrimonio condiviso dell’intera Associazione. Ora lo sguardo si apre già al futuro: dal 21 al 27 agosto 2026 il Meeting tornerà con il tema “L’amor che move il sole e l’altre stelle”. Una citazione dantesca che invita ciascuno a interrogarsi sul motore profondo delle proprie azioni, a riscoprire l’amore come energia capace di orientare scelte e costruzioni. Sarà questa la sfida per il CSI e per chi crede nello sport come strumento educativo: testimoniare, anche il prossimo anno, come lo sport possa essere una manifestazione concreta di quell’amore che muove le persone e che unisce le comunità.
Come da consuetudine, è stata ancora una volta un grandissimo successo la Beach Volley Cup “Città di Melfi”, giunta alla IX edizione e conclusasi sabato 6 settembre. L’evento organizzato dal CSI di Melfi, con l’Olimpia Volley Melfi e la Pro Humanitate, sempre patrocinato dall’Amministrazione Comunale, per ben tre settimane ha visto sfidarsi circa 200 atleti divisi in 24 compagini e 3 gironi; un torneo misto 4 contro 4, dal doppio risvolto, in quanto l’evento da alcune edizioni sancisce trionfatori “distinti”: uno per la categoria Amatoriale e uno per la categoria Prof. Medaglie per tutti i partecipanti e coppe e medaglie per le prime quattro compagini di entrambe le categorie.
Come sempre stupenda la cornice di pubblico che ha gremito gli spalti dell’ex campo comunale, oggi piazzale del Municipio, dedicato al celebre regista e sceneggiatore melfitano Pasquale Festa Campanile.
Non solo sport, ma una vera festa della comunità, e tanto impegno sociale, in quanto il campo ogni mattina era a disposizione praticamente di tutti: giovani, bambini e realtà associative che si occupano di disabilità.
Domenica 14 settembre, il Ciclodromo del bellissimo borgo di Ponte Buggianese in provincia di Pistoia è stato il teatro della quinta ed ultima prova del Circuito Regionale CSI di Corsa su Strada valido ai fini della qualificazione al Campionato Nazionale CSI di Corsa su Strada, in programma domenica 19 ottobre a Lonigo (VI). L’evento regionale, patrocinato dall’Amministrazione Comunale di Ponte Buggianese e dal CSI, ha portato numerosi atleti al via per la prestigiosa gara su un circuito di 2 km da ripetere per 5 volte, organizzata dalla Montecatini Marathon di Schettino Antonietta in collaborazione con la Monsummano Marathon e che ha visto la presenza dei giudici di gara del CSI Toscana impegnati lungo il percorso. Il successivo appuntamento podistico
regionale della Toscana, sempre nella Val di Nievole, si è tenuto domenica 21 settembre all’Ippodromo Sesana di Montecatini, dove si è svolta l’ultima tappa del Trofeo NextGen CSI 2025, che ha visto le categorie Esordienti impegnate in una prova su terra battuta (pista ippica di trotto) sulle distanze di 200 metri.
PARMA
Porta San Michele vince il Palio di Parma 2025
Trionfo per Porta San Michele al Palio di Parma 2025. Sono stati infatti i giovani atleti dalla casacca gialla ad aggiudicarsi la 39a edizione della corsa a staffetta tra le cinque porte della città, che rappresenta il momento clou dell’evento di rievocazione storica. «Abbiamo vinto sia il Palio sia la gara di tiro con l’arco. Un anno perfetto», il commento a caldo del capitano Emilio Ippoliti. Il Palio di Parma è una manifestazione medievale le cui prime testimonianze risalgono al 1300. Dopo una lunga sosta il CSI lo ha riportato in auge e oggi si disputa ogni terzo weekend di settembre al Parco Ducale.
«Siamo lieti di organizzare questo evento, che considero un servizio prezioso per la città e per i cittadini che accorrono sempre numerosi», ha sottolineato il presidente del comitato di Parma, Claudio Bassi. Tantissime, infatti, le persone, provenienti anche da fuori città, che sabato 20 e domenica 21 settembre hanno raggiunto il parco per assistere agli spettacoli di musici, sbandieratori, combattimenti con le spade e molto altro.
Sabato il corteo storico di figuranti ha raggiunto la Cattedrale per la benedizione del Palio, mentre domenica ha sfilato per le vie del centro cittadino. Nel corso della due giorni sono sempre stati attivi i punti ristoro e il villaggio medievale.
Ritorna a furor di popolo Bergamo Brick City, il grande evento dedicato al mondo dei mattoncini LEGO®, in programma per sabato 11 e domenica 12 ottobre 2025 alla Cittadella dello Sport di Bergamo. Dopo il successo delle scorse edizioni, con migliaia di visitatori, centinaia di espositori e un ricco calendario di attività, ci prepariamo a vivere un nuovo weekend all’insegna di creatività, gioco e condivisione. Durante i giorni della manifestazione sarà allestito uno speciale spazio giochi, a ingresso gratuito e senza prenotazione. Partite, divertimento e sfide all’ultimo mattoncino, insieme a un gruppo di animatori sempre presente. Per tutti gli appassionati inoltre ci sarà il concorso “Creactive”: i partecipanti dovranno inventare e costruire una propria personale e originale creazione con i mattoncini LEGO®, secondo le indicazioni fornite nei regolamenti in base alle fasce d’età, e potranno vincere uno dei set LEGO® in palio. Obiettivo dell’iniziativa lo stesso di sempre: creare uno spazio di incontro e socializzazione incentrato sul gioco e sulla creatività, promuovendo e valorizzando la Cittadella dello Sport come punto di riferimento per eventi e manifestazioni che favoriscono l’aggregazione.
MANTOVA
Lippa e Schida: tornano in auge i “Giochi in Strada” a Viadana e a S. Martino
Sabato 6 settembre a San Martino dall’Argine, in occasione della storicissima Fiera della Madonnina, e a Viadana all’interno della Festa dello Sport, sono tornati in auge, grazie al CSI Mantova, i “Giochi in Strada”, divertenti quanto coinvolgenti sia per giovani che per adulti, che hanno offerto la possibilità di riscoprire il gusto del gioco condiviso, lasciando per qualche ora da parte smartphone ed altri schermi. Particolarmente apprezzati dai bambini sono stati i giochi giganti e il laboratorio degli aquiloni, dove ognuno ha potuto costruire e far volare la propria creazione, e le due grandi novità introdotte per l’edizione 2025: il tunnel dello sciancol (lippa) e il campo di schida, giochi antichi della tradizione mantovana che hanno divertito anche i più grandi, incuriositi dalle regole e le dinamiche di un tempo.
Dopo la finale provinciale della Sprint Champion 2025 sui 60 metri, che ha visto impegnati un centinaio di giovanissimi atleti domenica 7 settembre al Campo CONI di Trento, si sono via via andati a qualificare, nell’ordine, i quaranta più veloci, ossia i 5 bambini e le 5 bambine più veloci di ognuna delle 8 categorie (U8, U10, U12, U14, maschili e femminili). Saranno loro i protagonisti dell’Euregio Sprint Champion Finale, in programma a Trento in via Verdi nella mattinata del 4 ottobre, quando andranno a misurarsi, sempre sui 60 metri, con i pari età dell’Austria e del Sud Tirolo, ossia i qualificati, nell’ordine, dell’ASVÖ Tirol (Allgemeiner Sportverband Österreichs – Associazione Sportiva Generale dell’Austria) e del VSS (Verband der Sportvereine Südtirols –Associazione delle Società Sportive dell’Alto Adige). Verranno premiati i 5 più veloci per ogni categoria dalla presidente del CSI Trento, Gaia Tozzo.
Venerdì 29 agosto don Francesco Mortola ha celebrato la Santa Messa in suffragio di coloro che hanno perso la vita in mare. Al 71° tributo di fede, organizzato dal Centro Subacqueo Mediterraneo “Duilio Marcante”, hanno partecipato rappresentanti istituzionali ed aliquote dei sommozzatori di Vigili del Fuoco, Carabinieri, Guardia di Finanza, Marina Militare e Guardia Costiera che si alternano per la manutenzione della statua. Le storie del CSI e del Cristo degli Abissi si sono intersecate fin da subito quando nel 1952 l’imprenditore Giacomino Costa, allora presidente del CSI di Genova, fu coinvolto nella progettazione della statua. Tutto nacque da un’idea di Duilio Marcante, uno dei padri della didattica della subacquea civile italiana, che volle ricordare l’amico Danilo Gonzatti, scomparso durante un’immersione. Il 29 agosto 1954 fu collocata in mare a 17 metri di profondità e 350 metri dalla riva, nella baia di S. Fruttuoso a Capo Croce. Emozionante la processione dal boschetto nei pressi dell’Abbazia di S. Fruttuoso, la Messa sulla spiaggia e la deposizione di una corona d’alloro alla base della statua con il corteo di barche, sub e nuotatori alla luce dei lumini. Un evento cui partecipava spesso anche il compianto ex dirigente del CSI Genova Adriano Bianchi. Talvolta le condizioni del mare avverse hanno impedito il tributo nella baia ripiegando su Camogli. È accaduto anche il 29 agosto con un primo momento significativo nella sala consiliare del Comune, dove è stato siglato dai due sindaci il gemellaggio fra Camogli e Gressoney-La-Trinité. Ad unire le due località ci sono due statue: il Cristo degli Abissi ed il Cristo delle Vette, opera dello scultore Alfredo Bai, posta nel 1955 a 4.167 metri d’altezza, sulla cima del Balmenhorn, nel massiccio del Monte Rosa. Uno, quello in mare, con le braccia protese verso l’alto, l’altro, in montagna, con le braccia verso il basso: come se volessero idealmente incontrarsi.
Si avvia alla conclusione il 57° Trofeo Gortani di corsa in montagna del CSI Udine-Friuli Venezia Giulia, nove gare già disputate dai primi di giugno e per tutta l’estate e ottimamente organizzate dalle società sportive regionali: Chiusaforte (GS Alpini Udine), Muina di Ovaro (US Ovaro), Terzo di Tolmezzo, (Carniatletica), Paluzza (US Aldo Moro), Moggio Udinese (Atl. Moggese), Forni di Sopra (GS Stella Alpina), Ovaro (US Ovaro), Cleulis di Paluzza (Pol.
Timaucleulis), Fusine di Tarvisio (US Tosi). Nelle varie prove il primo posto tra le società è andato per cinque volte all’US Aldo Moro Paluzza, due volte alla Stella Alpina di Forni di Sopra e una volta ciascuna a Pol. Timaucleulis e Tosi Tarvisio. Rimane da disputare la 10a prova a Tarcetta di Pulfero (GS Alpini Pulfero) il 12 ottobre, per chiudere una stagione estiva molto positiva. Anche in questa edizione il Trofeo raggiungerà nelle sue 11 categorie in
gara il numero complessivo di circa 1.600 classificati, con una media di 160 partecipanti per gara. La classifica generale di società, a una prova dalla fine, vede ai primi 3 posti US Aldo Moro Paluzza, Stella Alpina di Forni di Sopra e Timaucleulis. L’US Aldo Moro primeggia anche nei trofei dedicati al settore femminile e agli AssolutiAmatori maschile; in quello dedicato al settore giovanile maschile in testa abbiamo l’Atl. Moggese.
Con l’avvio della stagione sportiva 2025-2026, torna puntuale l’appuntamento con l’Oratorio Cup, la storica proposta del CSI Roma per parrocchie, oratori e realtà religiose della diocesi. Giunta alla sua 22a edizione, la manifestazione si conferma come un’esperienza unica, capace di unire sport, educazione e comunità. Il format, curato dalla Commissione Attività Parrocchiale, prevede un percorso motorio e sportivo organizzato per fasce d’età, con attività calibrate allo sviluppo dei partecipanti. Le categorie sono undici: si parte dall’Under 8 misto (nati 2018/2019/2020) fino agli Amatori (1991 e precedenti). Punto di forza dell’Oratorio Cup è l’ampia proposta sportiva. Accanto ai tradizionali tornei di calcio a 5 per i ragazzi dai 6 ai 14 anni, il programma offre un torneo polisportivo con discipline come dodgeball, pallamano, basket, flag rugby, percorsi motori, calcio tennis e crossball challenge. L’obiettivo è educare al movimento in modo completo e divertente, permettendo ai più piccoli di sperimentare più sport. Grande attenzione è riservata alla partecipazione femminile: consentite fino a 2 atlete fuori quota per squadra. Elemento distintivo è la figura dell’educatore-arbitro, un componente della squadra ospitante che dirige le gare casalinghe. Questo ruolo sarà supportato da un percorso formativo specifico su regole e gestione del gioco secondo lo spirito CSI. In ogni incontro non mancherà il tradizionale “quarto tempo”, momento di convivialità tra squadre per vivere lo sport come occasione di incontro. Il percorso culminerà con una grande festa conclusiva: oltre 200 squadre, più di 2.600 atleti e 450 educatori saranno protagonisti in una giornata di sport, amicizia e condivisione che racchiude i valori autentici dell’Oratorio Cup.
Duecentocinquanta giovani da tutta la Sicilia, con una festa all’insegna dello sport e del gioco, hanno animato sabato 13 settembre il sagrato della Cattedrale di Palermo. Un vero e proprio villaggio dello sport organizzato in occasione della celebrazione degli “80 anni di sport e di impegno a servizio della comunità siciliana” del CSI Sicilia. L’evento si è inserito nell’ambito di Palermo Capitale del Volontariato. Da 80 anni, infatti, il CSI è una presenza viva e capillare in Sicilia: un’esperienza di sport educativo e popolare che coinvolge giovani, allenatori, arbitri, dirigenti, educatori e parroci, offrendo opportunità di crescita, incontro, ascolto e accoglienza. A ricevere i partecipanti dando avvio al Giubileo Regionale dello Sport è stato l’arcivescovo Corrado Lorefice. Dopo un momento di preghiera sulla tomba del Beato Pino Puglisi, i giovani hanno animato il sagrato della Cattedrale con gare e attività polisportive, calcio a 5, pallavolo, arrampicata sportiva e giochi popolari. In serata il pellegrinaggio al Santuario di Santa Rosalia a Montepellegrino, come segno di fede radicata nella città. Ad aprire i festeggiamenti venerdì 12 è stato il convegno regionale presso la Sala delle carrozze di Villa Niscemi, con gli interventi del sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, e di vari rappresentanti istituzionali. Domenica 14 settembre, la chiusura con il Consiglio Regionale dedicato alla pianificazione della nuova stagione sportiva, nel segno della continuità e dell’innovazione. Soddisfatto il presidente regionale del CSI siculo, Salvo Raffa, che ha dichiarato: «La mission anche in Sicilia è quella di continuare ad impegnarsi con e per i giovani nello sport e nel sociale».
ASTI
ROVIGO
Il CSI Rovigo con le più importanti società sportive del capoluogo per la promozione dell’attività rivolta alle persone con disabilità. Del gruppo fanno parte la Rugby Rovigo, Il Baseball, lo Skating Club, il Basket Rovigo, Il Basket integrato, Uguali Diversamente con calcio e nuoto in collaborazione con la Polisportiva che seguirà anche le animazioni estive ed invernali. L’obiettivo è semplice ma ambizioso: unire le forze, fare rete e offrire a ragazzi e ragazze opportunità varie ma complementari per vivere lo sport come esperienza di inclusione e comunità. Discipline differenti, tutte di natura integrata, che compongono un’offerta capace di valorizzare le specificità di ciascuno e costruire percorsi condivisi. Il 4 ottobre l’open day di RovigAbility al Pattinodromo delle Rose, per inaugurare questa tappa che vuole essere solo l’inizio di un nuovo percorso, che mira a porsi come riferimento permanente per conoscere e partecipare allo sport integrato sul territorio, con attività dedicate, momenti di incontro e occasioni di collaborazione tra associazioni, famiglie, istituzioni. Nella conferenza stampa, il presidente provinciale del CSI di Rovigo, Giovanni Cattozzi, ha ricordato come fra i prossimi obiettivi vi siano l’ingresso nel progetto delle bocce e del sitting volley.
Eletti i campioni provinciali di padel e le coppie qualificate per Terni
Domenica 28 settembre, presso il circolo Asti Padel, si sono svolte le finali provinciali della cat. Maschile Elite del campionato “Errebi Mobility” di padel a squadre del CSI di Asti. Le undici formazioni iscritte al campionato si sono incontrate inizialmente tra di loro in un girone di sola andata, terminato mercoledì 23 luglio. Senza sosta la settimana successiva ha avuto inizio il girone di ritorno disputato però in sole tre giornate, poiché diviso in tre fasce: Gold per le prime quattro classificate, Silver per le squadre classificate dal quinto all’ottavo posto, Bronze per le ultime tre in classifica. Riposo assoluto per tutto
il mese di agosto per riprendere con la seconda giornata martedì 2 settembre. Giovedì 11 settembre lo spareggio tra la quarta classificata Silver e la prima del Bronze per l’accesso all’ultimo posto disponibile ai quarti di finale dei playoff. Tutte le squadre ai quarti di finale, anche quelle perdenti, si sono incrociate nelle semifinali di martedì 23 e mercoledì 24 settembre, per poi ritrovarsi tutti appunto nella giornata finale del 28, quando è stata decretata la squadra campione astigiana che ha staccato il pass per le finali dei campionati nazionali di padel in programma a Terni dal 17 al 18 ottobre.
Nel weekend del 21 e 22 settembre il Parco delle Cascine a Firenze ha ospitato il Villaggio dello Sport del CSI, con spazi attrezzati dove è stato possibile provare numerose discipline e partecipare con le associazioni del territorio a dimostrazioni, attività e performance dal vivo. Per i più piccoli aperta un’area ludico-motoria per dare spazio al movimento ed allo sport in modo giocoso. L’evento è stato organizzato dal CSI Firenze in occasione della settimana europea dello sport BeActive: in contemporanea in tutti i Paesi si svolgono attività per incoraggiare la pratica sportiva. Fra le varie attività basket, frisbee, tiro con l’arco, pole ginnastica acrobatica, tennistavolo, danza, fitness, volley, tai chi, judo, karate, ballo swing, boogie, lindo hop, jazz e tamburello. L’evento fa parte del calendario “CSI in Tour, a ciascuno il suo sport - Memorial Paola Garvin 2025” che si snoda in 40 tappe in tutta la Toscana: da Lucca a Pisa, da Livorno a Massa e Marina di Carrara e poi Firenze, Volterra, Quarrata, Prato, Pistoia, Arezzo, Siena, Viareggio, Empoli, con il finale alla tappa regionale a Pisa. Oltre 30mila le persone che hanno partecipato agli eventi organizzati in questa edizione.
SALERNO
Stati Generali dello
Si è svolta il 19 settembre, ai campi comunali tennis “G. Dininno” di Salerno, la prima edizione degli Stati Generali dello Sport in Campania, promossa dal Centro Sportivo Italiano. Un momento di confronto tra istituzioni, università, scuola e fondazioni per costruire una visione condivisa sullo sviluppo dello sport e sul coinvolgimento dei giovani. Dopo l’introduzione della presidente del CSI Salerno Teresa Falco e i saluti del vicepresidente nazionale CSI Marco Calogiuri, sono intervenuti il rettore dell’Università di Salerno Virgilio D’Antonio, Enzo Marra della Scuola Regionale dello Sport e il presidente regionale CSI Enrico Pellino. Presente anche l’amministrazione comunale con il consigliere Pino D’Andrea. «Solo facendo squadra tra associazioni, istituzioni e mondo educativo possiamo affrontare le difficoltà e cogliere le opportunità del territorio» ha dichiarato Falco. Calogiuri ha evidenziato il radicamento del CSI, «che intercetta i bisogni delle famiglie e li traduce in iniziative concrete di sport e educazione».
In chiusura, il presidente della Fondazione Carisal Domenico Credendino ha richiamato la necessità di una visione comune per dare continuità allo sport come strumento di crescita sociale. La serata si è conclusa con le premiazioni delle squadre vincitrici dei campionati CSI 2024/2025 e un momento conviviale.
Venerdì 12 settembre si è concluso il centro estivo sportivo 2025 del CSI Altum Park, la struttura nell’immediato entroterra genovese, dal 2019 punto di riferimento per le discipline outdoor del CSI Genova. Numeri davvero straordinari nelle 14 settimane di apertura. Sia quelli degli iscritti, centinaia anche quest’ anno, sia e soprattutto per i 372 bambini e ragazzi di 19 fra associazioni, parrocchie ed oratori genovesi che hanno trascorso ad Altum una singola giornata: 1.500 bimbi nell’ultimo triennio. Parco avventura, mountain bike, escursioni nel bosco, percorsi fitness, tiro con l’arco, orienteering e laboratori educativi sono solo alcune delle discipline che hanno potuto praticare in un piacevole contesto naturale. Attività che ben difficilmente si potrebbero fare, tutte insieme, in altri luoghi della città nel corso di camp estivi organizzati anche da associazioni sportive.
Bambini e ragazzi, dai 4-5 anni fino ai 18, sono stati così seguiti dagli istruttori-educatori di Altum Park certificati CSI, in collaborazione con CONI Liguria, CAI Liguria, Federazione Italiana Escursionismo e FISO.
«In questi anni, con un autentico boom di partecipanti dopo la pandemia – dice Enrico Carmagnani, presidente del CSI Genova e fondatore di Altum Park – abbiamo accolto in questa struttura centinaia di giovani. Con un’attenzione particolare al sociale, alle persone con disabilità, ai progetti degli enti pubblici, alle case famiglia».
Ad Altum Park in questi anni sono infatti arrivati ragazzi anche da altre citta della Liguria e da fuori regione che, optando per una gita multisportiva di più giorni a Genova, hanno scelto San Desiderio come una tappa di questo percorso.
Domenica 31 agosto lo storico ed imperdibile appuntamento per il mondo del podismo verbanese è stata la 52a Sgamela’a d’Vigezz, tradizionale marcia non competitiva del CSI Verbania sulla distanza di 25 km, organizzata dall’Atletica Vigezzo. Record di presenze con 860 partenti in una giornata di fine estate graziata dal sole. Tre opzioni possibili per le distanze da correre per altrettante tipologie di sportivi, dagli atleti agonisti ai piccoli amici. Al percorso “classico” di 25 km, attraverso i sette Comuni della valle Vigezzo (Santa Maria Maggiore, Druogno, Toceno, Craveggia, Villette, Re e Malesco), si è infatti aggiunto da qualche anno anche quello più breve di 10 km, ed il minigiro di 3 km intorno alla pineta di Santa Maria Maggiore. Suggestivi gli scorci panoramici che si snodano su vari tipi di terreno, dall’asfalto delle piste ciclabili al ciottolato delle stradine nei borghi, dalla terra battuta dei sentieri fino all’erba verde nei prati. Nel minigiro di 3 km premiati i primi 5 atleti under 14. Bissano il successo dello scorso anno nella 10 km Giada Cappini e Stefano Pazzinetti, mentre sul gradino più alto della 25 km femminile, si è confermata Corinna Vanni e nella maschile Thomas Floriani.
Pillole di Storia
La manifestazione raccontata oltre 70 anni fa
di Leonio Callioni
Desiderosi di capire quale fosse lo sguardo del Centro Sportivo Italiano in vista delle prime Olimpiadi Invernali dopo la Seconda guerra mondiale, e quindi alla ripresa lenta e faticosa ma sostenuta dal desiderio di voltare pagina e di riscattare la nostra storia, siamo andati a leggere due articoli pubblicati su Stadium n. 1 del 1952, di cui proponiamo una brevissima sintesi. Il primo è firmato da Aldo Notario (proprio il futuro Presidente nazionale), con un incipit decisamente poetico: «Dalla Grecia quindi, madre millenaria dei giochi, la fiamma olimpica risalirà tutta l’Europa per andare ad ardere nelle terre del nord che quest’anno ospitano i giochi olimpici: Oslo quelli invernali alla fine di febbraio, Helsinki quelli rimanenti a fine luglio. Per la prima volta dopo la guerra anche i russi ed i giapponesi saranno presenti con le loro rappresentative atletiche e si potrà dire che al di fuori ed al di sopra delle contese politiche internazionali, il mondo si ritroverà unito, impegnato a contendersi cavallerescamente il lauro olimpico. A tal proposito è bene ricordare e rilevare come nel novembre scorso a Roma il Consiglio Atlantico, che ha propositi di pace, si sia riunito in una sede sportiva qual è il
Foro Italico ed a pochi mesi di distanza, uomini rappresentanti di nazioni per ora purtroppo ancora lontane da un’intesa politica si ritrovino per pacifiche gare sportive».
Un’interessante ricostruzione storica è affidata alla penna di Giuseppe Sabelli Fioretti, che scrive, su quello stesso numero di Stadium: «Permettetemi di usare una comparazione abbastanza pittoresca, quando affermo che i Giochi Invernali stanno al complesso d’Olympia, come… l’Oceania a tutto il resto del globo. Guardate: abbiamo un continente “antico” nel quale possiamo raffigurare le Olimpiadi di tempi lontani; un continente “nuovo”, che ci fornisce il parallelo per la restaurazione decoubertiniana o edizione moderna delle Olimpiadi; infine un continente “nuovissimo” ed ecco i Giochi Invernali.
Alla fine del secolo scorso, quando l’idea della rinascita dei Giochi germogliò nella mente del barone De Coubertin, gli sport della neve e del ghiaccio erano ancora in fasce o quasi. I paesi scandinavi ne detenevano il monopolio, di cui erano talmente gelosi che a lungo avversarono, (proprio loro che erano i maestri!) l’istituzione dei Giochi Invernali; e più tardi furono aspri nemici delle cosiddette “specialità alpine”. Cosicché – e questo è veramente il colpo, per una serie di sport nei quali Norvegia, Svezia e Finlandia dettano tuttora legge – i primi cinque Giochi Invernali furono tutti disputati lungi da quella che avrebbe dovuto essere la loro culla materna: il Paese di
Bore, il mitico Dio nordico, che presiede alla distribuzione delle nevi e dei ghiacci. Chamonix nel ’24, St. Moritz nel ’28, Lake Placid nel ’32, Garmisch-Partenkirchen nel ’36, ancora St. Moritz nel ’48 furono i teatri di disputa delle cinque edizioni sin qui svolte dei Giochi Invernali, prima che essi si recassero a prendere dimora, per lo spazio di una decade o poco più, nella terra… degli antenati».
Pagine di Sport
IL CONTROLLO DEL PALLONE I cattolici, i comunisti e il calcio in Italia (1943-anni Settanta)
Di Fabien Archambault
Ed. Le Monnier
Non è solo la storia di un pallone che rotola, ma di un Paese che cerca di ricostruirsi dopo la guerra. Il controllo del pallone racconta come, dal 1943 agli anni Settanta, il calcio sia stato molto più di un gioco: un laboratorio di educazione civica, socialità e appartenenza. Archambault studia documenti e archivi e ci mostra un’Italia fatta di oratori, campi sterrati e società di quartiere, dove allenatori, dirigenti e volontari creavano legami tra le persone. Mappe, documenti e storie locali raccontano come correre dietro al pallone diventa un modo per imparare le regole della vita in comune, organizzare il tempo, riconoscersi negli altri. Il libro mostra che il calcio, al di là di vittorie e sconfitte, ha creato modi di parlare, gesti e abitudini: un modo concreto di stare insieme. Qui il pallone non è un ricordo del passato, ma uno strumento vivo di cultura popolare, che dava voce a chi non ne aveva e univa persone di età diverse. La ricerca accurata e il racconto chiaro ci lasciano con una domanda: che cosa rimane, oggi, di quell’idea di sport come bene comune?
LO SPORT AL POTERE La cultura del movimento e il senso della politica
Di Mauro Berruto
Ed. ADD
Lo sport è sempre legato alla politica. È linguaggio universale, memoria collettiva, specchio di un Paese: capace di costruire comunità e valori, ma anche di farsi strumento di propaganda. Lo dimostra la sua storia: gli antichi Giochi Olimpici usati per unire le comunità, le medaglie e i boicottaggi usati come mezzo di persuasione, gli eventi mondiali trasformati in spettacoli di potere. In Lo sport al potere Mauro Berruto mette insieme passato e presente per spiegare come il mondo dello sport non sia mai neutrale, ma un luogo dove si formano identità, nascono conflitti e si difendono diritti. Con esempi vivi e una scrittura appassionata, il libro mostra il doppio volto dello sport: quello che unisce e quello che divide, lo sport che educa e quello usato per nascondere problemi politici. Non si limita però a criticare: Berruto propone un vero programma, dodici azioni per restituire allo sport la sua dignità culturale, educativa e politica. Un libro che ci ricorda che ogni campo, ogni pista, ogni palestra raccontano molto più che un gioco: raccontano il nostro modo di vivere insieme.
UN MONDO DI SPORT
Di Lawrence Alexander
Ed. Clichy
Lo sport conquista tutto il mondo: si gioca, si corre, si nuota e ci si sfida in ogni angolo del pianeta, da sempre! Un mondo di sport di Lawrence Alexander, arricchito dalle splendide illustrazioni di Violeta Noy e tradotto da Matteo Francini, accompagna i più piccoli in un’avventura straordinaria tra le discipline più incredibili della storia. Dal fascino degli antichi Giochi Olimpici fino agli sport più moderni ed estremi di oggi, passando per tradizioni sorprendenti, meno note ma affascinanti. Ogni pagina riserva una meraviglia: curiosità pazzesche, regole bizzarre, origini misteriose e storie incredibili che dimostrano come lo sport non sia solo gara, ma un linguaggio magico che unisce persone di tutto il mondo. Un libro che conquista i bambini ma affascina anche i grandi: tra disegni spettacolari, racconti divertenti e scoperte interessanti, è un viaggio che apre la mente, stimola la fantasia e invita a guardare lo sport con occhi nuovi, riscoprendo la gioia pura del movimento, del gioco, dello stare insieme. Non solo una competizione, ma una meravigliosa avventura umana.
Lassù tra le montagne col mazzolin di fiori. È la pura verità. Prendi un ragazzo di nome Samy, innamorato della cassiera Nadia sin dai tempi del biberon. Mettilo nella banlieue parigina tra un lavoretto bruciato e amici perditempo. Te lo vedresti in cima all’Everest senza alcuna preparazione? Ma è un film, dirai, una gradevolissima commedia romantica dove la fantasia sale al potere: “Ascensione” è infatti da vedere in autunno con patatine, plaid e belle speranze. Certo, Samy promette a Nadia: per te andrei sulla catena dell’Himalaya; e Nadia lo sfida a partire. Certo, trova uno sponsor sgangherato, parte, improvvisa, trova una guida tosta e pura e uno sherpa fedelissimo che lo aiutano in mille modi. Ma prima o poi si fermerà, Samy. E invece sale, sale, sale. Nel suo quartiere cominciano a parlare di lui, le notizie arrivano anche se a singhiozzo, una radio lo segue e ne promuove l’impresa. Ma prima o poi ti fermerai; ragazzo, l’ossigeno è rarefatto, tu hai polmoni franco-senegalesi e Nadia ha capito, al ritorno t’abbraccerà comunque. Ai lati dell’ascensione carcasse di detriti e resti umani; fermati, Samy! Parole che avrà sentito risuonare mille volte anche Nadir Dendoune. Chi era costui? Nadir è il film! Nel 2008 il giornalista franco-algerino sfida il mondo intero per dimostrare che gli abitanti del Dipartimento 93 di Parigi, Seine-Saint-Denis, hanno testa, cuore e capacità. E parte per l’Himalaya. Lassù tra le montagne: senza un mazzolin di fiori, ma con tanta rabbia per gli insulti sociali ricevuti per tutta la vita. E arriva dove a molti non riesce, Nadir, sulla cima da dove alcuni non tornano. Ha il pugno chiuso mezz’assiderato, ma un sorriso a mille gradi Fahrenheit. Scongelate le mani, scrive la propria storia: “Un perdente sul tetto del mondo”. Dalla biografia all’adattamento romanzato cinematografico il passo non è semplice, ma il taglio romantico nulla toglie all’emozione del racconto. Tra una bufera e l’altra, finiamo per essere un po’ Samy, un po’ Nadia, un po’ tutte le donne e gli uomini che il cinema racconta nel disagio quotidiano d’attraversare l’esistenza nella
periferia d’ogni luogo – su tutti “Les Misérables” di Ladj Ly, premio della Giuria a Cannes 2019. Qualcuno di loro resta ancorato alla terra, ai bisogni, alle miserie, altri tentano l’impresa, vanno in fuga solitaria con una bicicletta rubata e tanta fame addosso. Sembrano pazzi, visionari, sognatori. Gente che con scarpe inadatte ondeggia sul confine del burrone. È vero, molti di loro cadono, non tutti hanno la bella incoscienza di Samy, la rabbia lucida di Nadir e un grammo di buona sorte. Ma, se provi l’ascensione, di notte vedi il chiarore delle stelle. Se invece resti a quota zero, l’occhio non va oltre i palazzi, il fetore, la malinconia delle bellezze desiderate e perdute.
Regia di Ludovic Bernard con Ahmed Sylla, Alice Belaïdi, Kévin Razy, Nicolas Wanczycki, Waly Dia Genere Genere commedia romantica, sportivo Francia, 2017, durata 103 minuti
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