Stadium n. 9/2024

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DONNA

COMPLETARE SILVIA SALIS VICEPRESIDENTE CONI DONNA, SPORT E GENDER EQUALITY ASSEMBLEA NAZIONALE GIGI RIVA, AZZURRO INFINITO SABRINA CHIAPPA Attualità
E SPORT UN PERCORSO DA

La forza delle donne nella storia dello sport

La bellezza di Stadium è la sua ricchezza di notizie, approfondimenti, analisi, tanto che ogni volta mi mette in imbarazzo. Perché? Perché non è facile scegliere quali argomenti mettere in particolare rilievo in questa breve sintesi che è l’editoriale.

Cerco di fare il mio dovere e punto la luce su alcuni aspetti di richiamo. Salta subito all’occhio che protagoniste assolute di questo numero sono le donne. Alle donne, di ogni età e di ogni disciplina o attività professionale, è infatti dedicato il percorso fondamentale di questo numero. Siamo a marzo e abbiamo voluto tentare di rendere un po’ di giustizia a tutte le donne che da troppo tempo, addirittura dalla notte dei secoli, accompagnano e realizzano la storia dell’umanità rivestendo sempre il ruolo più eticamente elevato ma, purtroppo, da sempre e ancora oggi in tanta parte del mondo, socialmente e culturalmente ai margini.

La Redazione di Stadium si è posta questo problema e, pur nel suo infinitamente piccolo, ha voluto dare un segno di ribellione in un mondo ancora troppo maschile. Lo abbiamo fatto nel modo più genuino ed

efficace: raccontando, nella normalità come nelle eccellenze, il ruolo determinante delle donne. È solo il primo piccolo passo, ma almeno lo abbiamo fatto.

Non posso evitare di richiamare l’attenzione dei lettori, e in particolare delle strutture dell’Associazione, su un altro tema particolarmente importante che riguarda l’esito dell’Assemblea nazionale di metà mandato. Vale sempre la pena di precisare, a scanso di equivoci, che l’abbiamo potuta organizzare ben oltre il tempo della metà del mandato, a causa delle circostanze che tutti conoscono e che hanno drammaticamente segnato questi anni: dalla pandemia al dopo-pandemia e poi, come se non bastasse, sono emerse le tante difficoltà imposte da leggi sullo sport che avevamo aspettato con ansia per tanti anni e che, quando sono state approvate, hanno dimostrato tutta la loro assurda inapplicabilità, perché pericolose e certamente dannose. Per fortuna qualcosa è cambiato e qualcosa sta ancora cambiando. Abbiamo resistito a tutto, anzi ci siamo ulteriormente rafforzati, e i numeri delle adesioni, delle partecipazioni ai diversi tornei, ad ogni livello, così come la forza propulsiva

della proposta sportiva, sono continuamente cresciuti. Segno che in Italia c’è, fortunatamente, una voglia incontenibile di fare sport, e di fare quello sport che unisce, che aggrega, che permette agli adulti di essere esempi educativi e formativi per i più giovani.

Noi siamo esattamente lì. Da ottant’anni. Lo facciamo con l’entusiasmo dei neofiti, perché i nostri valori erano allora (e sono ancor più adesso) i valori irrinunciabili di una società giusta, coesa, capace di vivere in pace, di amarsi e di essere sinceramente solidale. Adesso è però il tempo della responsabilità. Siamo in democrazia e ogni quattro anni siamo chiamati a farci avanti per accettare il carico del lavoro da svolgere. Lo possiamo fare in molti modi, ma è chiaro che siamo soprattutto chiamati a offrire un servizio affinché sia data continuità alla proposta sportiva del Centro Sportivo Italiano. Abbiamo bisogno di gente di esperienza e di gente giovane che si metta in gioco, che rinnovi e rafforzi il meraviglioso tessuto della nostra Associazione.

Ci vuole capacità di fare sacrifici. E tra noi ce n’è tanta. Ci vuole coraggio. E tra noi ce n’è altrettanto.

Stadium 1 PAROLA DI PRESIDENTE

Stadium

I CONTENUTI & LA SQUADRA

Parola di Presidente p. 1

Politica Martina Riva, Assessore allo Sport di Milano p. 3

Focus Un’Assemblea nazionale all’insegna del servizio p. 6

L’intervista

Silvia Salis p. 11

Polizze&Sport

Proteggi i tuoi eventi p. 15

Dossier Donna e sport, un percorso da completare p. 16

Dossier «Dalle pari opportunità alle pari probabilità» p. 20

Dossier Donne, sport e gender equality p. 23

Storie

Caitlin Clark p. 26

Storie

Marie Louise Bagehorn p. 28

Nati nel CSI

Sabrina Chiappa p. 30

Attualità

Gigi Riva, azzurro infinito p. 34

Prevenzione

Odontoiatria e Sport p. 36

Pillole di storia p. 38

CineSport p. 39

#VitaCSI p. 40

In Libreria p. 48

EDITORE E REDAZIONE

Centro Sportivo Italiano Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma www.centrosportivoitaliano.it - comunicazione@csi-net.it

Mail di redazione: stadium@csi-net.it

PERIODICITÀ

Trimestrale

DIRETTORE RESPONSABILE

Leonio Callioni

DIRETTORE EDITORIALE

Vittorio Bosio

REDAZIONE

Felice Alborghetti, Francesca Boldreghini, Daniela Colella, Massimiliano Dilettuso, Alessio Franchina, Laura Politi, Laura Sanvito, Daniele Zaccardi

FOTO

Archivio fotografico CSI, Daniele La Monaca, CONI, Comune di Milano

SEGRETERIA DI REDAZIONE

Laura Sanvito

GRAFICA

Gianluca Capponi, Loretta Pizzinga

HANNO COLLABORATO

Alessio Molinari Bucarelli, Massimo Montanari, Fabio Setta, Agnese Vescovo, Michela Salatino, Daniele Morini, Antonio Anzivino, Daniela Mazzone, Francesco Piccone, Michele Lepori, Marco Calogiuri, Giacomo Mattioli, Giorgia Magni, Riccardo Buffetti, Maddalena Gaita, Miranda Parrini

Stadium è iscritto presso il Tribunale di Roma - Sezione Stampa al n. 158/2021 del 5/10/2021

Stampato da Varigrafica Alto Lazio, Zona Ind.le Settevene - 01036 Nepi (VT) Italia - su carta Fedrigoni Arena White Smooth da 140 gr. biodegradabile e riciclabile

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Dal gioco in oratorio ai grandi eventi: l’impegno dell’Assessore allo Sport a Milano

Martina Riva: una vita tra passione e progetti sportivi

UN VIAGGIO NELL’UNIVERSO SPORTIVO DELL’ASSESSORE, TRA IMPEGNO PERSONALE E VISIONE PER IL FUTURO DELLO SPORT MILANESE

Atu per tu con Martina Riva, Assessore allo Sport a Milano. Dalla sua passione giovanile per diverse discipline alla guida di importanti progetti volti a incentivare lo sport tra i giovani e a promuoverne l’accessibilità. La sua idea di sport come veicolo di inclusione e sviluppo e l’ambizione di vederlo accessibile a tutti.

Da dove nasce la sua passione per il mondo sportivo?

Ho iniziato a praticare nuoto da piccola, poi ho avuto due parentesi tra la pallavolo e la ginnastica artistica, entrambi sport a cui devo molto. Con la scuola partecipavo a tutte le gare di atletica possibili e immaginabili: la mia distanza preferita era quella dei 1.000 metri. Come tutti i giovanissimi, avevo una predilezione per i tornei di pallamano e palla prigioniera... Credo di aver perso anche qualche amicizia, dopo essere stata eliminata in qualche torneo! Battute a parte, credo di poter dire di essere appassionata di sport da sempre.

Quali sono i principali progetti sportivi che è riuscita a promuovere durante il suo assessorato e di cui è particolarmente fiera?

Sono felice di come stiamo

promuovendo lo sport tra i giovani, cercando occasioni in cui ragazzi e ragazze possano sperimentare nuove discipline e mettersi alla prova. Penso ad esempio a “Expo per lo Sport”, che permette ai bambini di cimentarsi in oltre 30 diversi sport gratuitamente; penso ai campus estivi di Milanosport molto apprezzati dai bambini e dalle famiglie, e ai tanti eventi sportivi che abbiamo ospitato e ospiteremo all’Arco della Pace e nelle piazze della città, proprio nell’ottica di rendere lo sport accessibile e farlo conoscere a tutti e tutte. Nel nostro orizzonte abbiamo i Giochi Olimpici e Paralimpici invernali

Milano Cortina 2026 ed è un piacere vedere crescere questo progetto in prima persona. La strada verso l’appuntamento olimpico è costellata di grandi eventi: alcuni li abbiamo già ospitati con onore e merito – penso al successo dei Mondiali di Scherma 2023, degli Europei di Salto Ostacoli, Milano Premier Padel P1 – e altri li ospiteremo nei prossimi mesi e anni – Mondiali di Kendo 2024 e Mondiali di Canottaggio 2025. Del cammino percorso fino a qui, una cosa mi rende veramente fiera: vedere crescere lo sport al femminile della nostra città, dal Sanga Basket tornato in Serie A1 dopo 31 anni dall’arrivo a Milano, all’Allianz Cloud, di Vero Volley, all’Inter femminile che da novembre 2023 gioca all’Arena Civica.

Quanto è importante promuovere lo sport e, soprattutto, farlo tra i più giovani?

Lo sport è condivisione di valori e di tempo, è occasione di incontro e confronto, è impegno, fatica e passione, è la gioia di raggiungere un traguardo sperato e la consapevolezza dei propri limiti. Educare i giovani a comportamenti e abitudini di vita sani e attivi è fondamentale per il loro bene e per la società. I dati che riguardano l’abbandono sportivo sono

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di Massimiliano Dilettuso
Sport in Comune

Martina Riva: una vita tra passione e progetti sportivi

preoccupanti: l’Italia è al primo posto tra i Paesi OCSE per sedentarietà tra i bambini e – è bene ricordarlo –durante la pandemia circa il 25-35% dei ragazzi ha smesso di praticare sport. Questo è un problema grave, perché l’abbandono dello sport comporta spesso l’acuirsi di problemi di salute e di difficoltà emotive, psicologiche, relazionali e sociali che hanno ricadute importanti sulla vita personale e comunitaria di tanti giovani.

Quali sono le peculiarità dell’associazionismo sportivo a Milano? Quali gli aspetti su cui, secondo lei, è necessario puntare per uno sviluppo maggiore?

Il tessuto sportivo milanese è per lo più composto da piccole realtà associative dilettantistiche senza fine di lucro, tendenzialmente strutturate in ASD e SSD e composte sostanzialmente da personale volontario.

Si tratta di realtà che, oltre a rappresentare una validissima forma di presidio anche in zone non semplici della città, hanno lo straordinario merito di valorizzare al massimo la funzione sociale dello sport, garantendo la più ampia accessibilità alla pratica sportiva ed una particolare attenzione alle fasce più deboli della popolazione. Di contro, realtà di questo tipo hanno spesso, purtroppo, un approccio poco imprenditoriale alla gestione degli impianti sportivi che vengono loro affidati, e questo comporta talvolta l’emersione di problematiche legate alla sostenibilità economica, nel lungo periodo, del servizio fornito. Specialmente in un contesto normativo che impone alle amministrazioni di utilizzare l’articolata e complessa procedura della gara europea di concessione di servizi, per l’affidamento degli impianti, sarebbe forse opportuno incentivare maggiori accorpamenti tra associazioni.

Unendo le forze e facendo “fronte comune”, queste realtà riuscirebbero, probabilmente, a dotarsi di una più solida capacità gestionale e sarebbero anche in grado di affrontare più efficacemente eventuali competitor maggiormente strutturati, ma meno attenti al sociale.

Qual è il suo rapporto con il Centro Sportivo Italiano? Ha dei ricordi particolari?

I primi ricordi del CSI risalgono alla mia infanzia. Da bambina giocavo a

pallavolo nell’Aspis; mio fratello con la stessa società sportiva giocava a calcio. Ora ovviamente il rapporto è differente. Con il Centro Sportivo Italiano c’è una grande collaborazione. Il CSI è il mondo dell’inclusione, dei sogni dei bambini e degli allenatori che li vedono crescere, è il mondo dove ciò che conta davvero è partecipare, è il mondo in cui si è liberi di divertirsi, perché non importa se si

è dei campioni o no. È il mondo dove si alza sempre l’asticella, e devo dire che ogni giorno ringrazio questo lavoro per avermi messo in contatto con Massimo Achini (Presidente CSI Milano, N.d.R.) e con tutto il CSI che gravita intorno a Milano.

Cosa ne pensa dello sport promosso negli oratori?

Nel 2024 è ancora possibile pensare ad un’offerta sportiva che nasca all’interno delle parrocchie?

Sì, anzi è una fortuna che nel 2024 si possa ancora contare sulla forza di oratori e Terzo Settore per dare questa opportunità ai ragazzi.

Da una parte lo sport in parrocchia risponde all’esigenza primaria che i giovani hanno di muoversi, di giocare, di stare insieme e dall’altra risponde alla necessità di contenere i costi, perché le famiglie non sempre sono nella condizione di sostenere la spesa di un corso di calcio, pallavolo o altro sport. Essere davvero accessibile è il quid in più dello sport in oratorio, il suo valore aggiunto.

Chi è il suo idolo nel mondo sportivo? A chi si è sempre ispirata e perché?

Avendo sempre nuotato, il mio riferimento è stato per diverso tempo Federica Pellegrini, che da adolescente ha iniziato a vincere titoli olimpici. Oggi, da Assessore allo Sport, non posso fare a meno di notare quei campioni che dedicano volentieri il proprio tempo ai progetti del Comune e del Terzo Settore in generale.

Fanno la differenza Pippo Ricci con l’Associazione Amani Education, Bruno Cerella e Tommaso Marino con Slumdunk, Javier Zanetti che con Inter porta avanti progetti con i ragazzi dell’istituto penale “Beccaria” e con Comunità Nuova nell’ambito di SportZone, e con loro molti altri.

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DI SCONTO PER I TESSERATI DEL CSI
Dal 26 al 28 gennaio si è svolta a Roma l’Assemblea nazionale di metà mandato del CSI “Oltre il tempo presente”, che ha riunito più di 220 dirigenti di 90 Comitati accreditati

Un’Assemblea nazionale all’insegna del servizio

IL PRESIDENTE VITTORIO BOSIO: «ABBIAMO DA 80 ANNI UN RUOLO FONDAMENTALE»

Dobbiamo essere grati a coloro che, guidati dal Presidente dell’Azione Cattolica, prof. Luigi Gedda, nel 1944, su esplicito mandato di Papa

Pio XII, coltivarono l’idea dello sport cristianamente ispirato

di Alessio Franchina

Èrisultata particolarmente ricca di approfondimenti e di stimoli l’Assemblea nazionale del Centro Sportivo Italiano che si è tenuta a Roma tra venerdì 26 e domenica 28 gennaio 2024.

Definita correttamente “di metà mandato” come previsto dallo Statuto, è stata effettuata in realtà un po’ oltre la metà a causa delle tante difficoltà che il CSI, come d’altra parte tutte le Associazioni similari, ha dovuto affrontare dall’esplosione della pandemia in poi.

compleanno del CSI.

Prendendo la parola dopo il via ai lavori dato da Michele Marchetti, Coordinatore Area Segreteria Generale e Welfare, il Presidente Bosio ha comunicato di non avere, volutamente, nel suo stile, preparato delle slide, per affidarsi invece alle «parole espresse con il cuore».

Per questo l’Assemblea, svoltasi finalmente “in presenza” e riservata ai dirigenti dell’Associazione, come ha precisato il Presidente nazionale Vittorio Bosio nella sua introduzione dei lavori, è risultata particolarmente importante e degna dell’avvio dell’80°

Ritornando alla fondazione del CSI, Bosio, dopo aver ricordato che il 5 gennaio si depose il seme dell’idea della rinascita di un’Associazione che proponesse sport educativo e formativo, con particolare attenzione ai giovani e alle persone fragili, nell’alveo della missione cristiana nella comunità italiana, ha affermato: «Dobbiamo essere grati a coloro che, guidati dal Presidente dell’Azione Cattolica, prof. Luigi Gedda, nel

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Se c’è una sincera disponibilità a servire i nostri ideali, allora tutto il resto viene di conseguenza “

1944, su esplicito mandato di Papa Pio XII, coltivarono l’idea dello sport cristianamente ispirato. Noi siamo chiamati ad essere degni di quei grandi dirigenti, che si sono poi succeduti nel corso degli anni e che hanno contribuito a fare del CSI la realtà che è oggi. Come allora e come sempre, dobbiamo pensare e amare i giovani per i quali proponiamo l’attività sportiva. Senza questo sincero sentimento di amore per la storia e la formazione dei giovani, non andremmo da nessuna parte. Nel corso dell’anno avremo modo di celebrare con diverse manifestazioni il nostro 80° compleanno, ma non dimentichiamo che ci dobbiamo preparare anche al Giubileo degli sportivi dell’anno prossimo». Ritornando su una sua proposta più volte avanzata, Bosio ha ricordato che sarebbe bello che, in

occasione dell’arrivo a Roma di tanti dirigenti dell’Associazione, qualcuno dedicasse un po’ di tempo per passare nella sede nazionale, per un contatto diretto con il luogo dove si vivono le responsabilità di esprimere i percorsi associativi.

Ha poi aggiunto, riferendosi alla scelta di svolgere l’Assemblea a Roma: «In molti mi hanno chiesto di non abbandonare l’idea di vederci ad Assisi. E in effetti torneremo ad Assisi, magari con qualche aggiustamento nelle procedure di svolgimento e di organizzazione del Meeting umbro, perché abbiamo la responsabilità di valutare sempre con prudenza modalità, tempi e costi».

La relazione introduttiva del Presidente Bosio, che – come sua abitudine – ha parlato rivolgendosi direttamente ai presenti, senza limitarsi a leggere documenti già

preparati, si è poi soffermata sul tema della Riforma dello Sport: «Una Riforma che avevamo chiesto anni fa e che ci eravamo illusi sarebbe stata migliorativa della situazione della gestione dello sport in Italia. Pensavamo che sarebbero state create le condizioni per fare finalmente la nostra attività in maniera serena, sostenibile da tutti: dalle realtà più grandi fino a quelle più piccole e periferiche. Quello che è stato deciso a livello di leggi, invece, è esattamente l’opposto: complicazioni, norme inapplicabili, rischio di spingere all’abbandono tutti quei dirigenti che non possono metterle in pratica. Posso assicurare di aver fatto e di voler fare tutto il possibile per evitare il peggio, anche se non posso essere troppo ottimista».

Un approfondimento particolare Bosio lo ha poi dedicato al resoconto economico delle risorse affidate al territorio, su tutti i livelli associativi, e predisposto per l’Assemblea. «Si tratta di un resoconto che deve essere letto come un doveroso “rendere conto”, perché è giusto che tutti possano valutare, sul concreto, quanto fatto, quanto avuto e quanto dato. Come si vede, abbiamo messo in campo tutte le risorse di cui disponevamo, senza risparmiarci. La creazione di Sport e Salute ha portato a dei cambiamenti radicali, che, anche questa volta, speravamo migliorativi e che invece ci hanno messo in difficoltà. Siamo diventati, più che mai, dei semplici passacarte, ma tenendoci al contempo la responsabilità generale della vita associativa. Così possiamo dire di aver retto pur avendo perso almeno il 25% delle risorse solitamente disponibili, mentre, di contro, le difficoltà e le richieste di aiuto sono aumentate. Ricordo che durante la pandemia ci siamo trovati impegnati ad aiutare perfino i Comitati più grandi e storicamente più solidi. Eppure non abbiamo mai smesso di ascoltare tutti e questo fatto è

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Focus
Un’Assemblea nazionale all’insegna del servizio

innegabile».

Successivamente il Presidente si è soffermato sulla necessità di modificare al più presto lo Statuto. «La formulazione attuale, particolarmente penalizzante per il numero importante (e determinante) di dirigenti che verrebbero messi fuori da ogni ruolo, è stata inserita da non molto nello Statuto CSI per obbligo, perché prevista da una Legge dello Stato. Poi lo Stato questa norma l’ha ritirata e possiamo tirare un sospiro di sollievo, perché sarebbe stata davvero catastrofica. Questo succede quando si scrivono norme spinti dall’ideologia invece che con la capacità di prevedere gli effetti concreti che quelle leggi possono poi avere sulla vita delle associazioni. Adesso – ha proseguito – dobbiamo prepararci al rinnovo dei quadri direttivi. Al di là della problematica del numero di mandati

possibili, bisogna avere la lucidità di guardare al senso dell’essere dirigenti CSI. Se c’è una sincera disponibilità a servire i nostri ideali, allora tutto il resto viene di conseguenza. Ma è importante che ci si guardi dentro e ci si chieda, sinceramente, se abbiamo voglia di fare attività con il CSI perché amiamo l’Associazione e perché vogliamo bene ai ragazzi, ai giovani e agli adulti ai quali ci rivolgiamo. Senza questi sentimenti non siamo Centro Sportivo Italiano. Impegniamoci quindi a fare davvero e con continuità l’attività sportiva: dai tornei più piccoli fino alle manifestazioni nazionali, lungo un unico percorso che ci tiene uniti». Un approfondimento particolare Vittorio Bosio lo ha dedicato al rapporto con la Chiesa Cattolica: «Siamo ancora, purtroppo, senza Assistente Ecclesiastico, perché il successore dell’amico don Alessio Albertini, che tanto tempo ha condiviso con noi, non è ancora stato scelto. Ho chiesto, con il rispetto dovuto all’istituzione Chiesa, che deve affrontare problemi enormi tutti i giorni, che questa nomina avvenga il più presto possibile, perché l’attesa si sta facendo troppo lunga. Ho parlato di questo personalmente con il Presidente della CEI, card. Zuppi, che mi ha usato la cortesia di telefonarmi per rassicurarmi che una riflessione

“Nel corso dell’anno avremo modo di celebrare il nostro
80° compleanno, ma non dimentichiamo che ci dobbiamo preparare anche al Giubileo degli sportivi dell’anno prossimo

importante è in corso. Il cardinale ha colto l’occasione per chiedermi di portare a tutti voi e all’Associazione intera i saluti suoi, del Santo Padre e della Conferenza Episcopale Italiana. Aspettiamo, pertanto, con fiducia che la nomina avvenga il prima possibile». Questi e tanti altri, qui difficilmente riassumibili, i temi toccati nell’ampia relazione di Bosio. Che poi ha concluso con un messaggio molto chiaro: «Mi si chiede, da più parti, cosa intendo fare dopo, al termine di questo mandato. Cosa intendo fare io ve lo dirò domenica», ma esprimendosi con una modalità che faceva pensare ad una riflessione in corso sull’ipotesi di una rinnovata disponibilità a proseguire, nel caso in cui l’Associazione glielo avesse chiesto.

E così è stato. La domenica, prendendo anche atto di un documento con il quale espressamente gli si chiedeva la disponibilità a rimanere in campo per continuare il lavoro in atto, Vittorio Bosio ha sintetizzato: «Io ci sono. E, se potrò continuare a servire il CSI, ci sarò anche per il futuro», provocando una standing ovation con tutti i dirigenti dell’auditorium in piedi ad applaudirlo. Un segnale inequivocabile di stima e, al contempo, di grande e sincero affetto.

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Mozioni approvate dall’Assemblea nazionale

Mozione n. 1

Oltre il tempo presente

Si chiede al Consiglio nazionale di tenere conto delle esigenze emerse, con particolare attenzione agli investimenti di sviluppo indicati, tra cui:

la promozione di una campagna per oratori e parrocchie che possa rilanciare il ruolo del Centro Sportivo Italiano nel servire alle giovani generazioni; la valorizzazione di una concreta condivisione delle buone pratiche fra le realtà associative; l’elaborazione di una proposta sportivo-aggregativa a favore delle grandi età; la definizione di una proposta sportivo-educativa indirizzata ai preadolescenti che possa essere valida in ambito scolastico e non solo; la proposta di scambi tra dirigenti con il desiderio di alimentare e diffondere la passione associativa e, nello stesso tempo, condividere i saperi e le professionalità utili per lo sviluppo, la crescita e l’evoluzione del Centro Sportivo Italiano; il consolidamento delle proposte sportivo-educative dell’Associazione, affinché siano davvero per tutti e tutte e per ogni fascia di età; il rilancio di una proposta organica di riorganizzazione delle strutture territoriali del Centro Sportivo Italiano, con adeguata vicinanza della Presidenza nazionale ai Comitati; la crescita delle relazioni istituzionali a tutti i livelli e con le altre associazioni e agenzie educative.

Mozione n. 2

Tavolo dei Comitati territoriali

La Riforma dello Sport e la modifica del sistema sportivo italiano rappresentano una costante di confronto associativo che impegna risorse e professionalità a vari livelli. Si è deciso quindi di stabilire un dialogo e di prevedere la convocazione con frequenza trimestrale, o quando necessario, di un tavolo dei Comitati territoriali, riuniti per consistenza e omogeneità numerica, così da poter trattare i temi necessari per la crescita e la condivisione del percorso associativo.

Mozione n. 3

Valorizzazione del volontariato sportivo internazionale

Considerata l’importanza che il CSI attribuisce ad un’attività formativa che vada anche al di fuori dell’ambito associativo, si è deciso di valorizzare e diffondere l’esperienza di “CSI per il Mondo” affinché diventi patrimonio di tutta l’Associazione, attraverso la testimonianza, agli appuntamenti nazionali, di persone che hanno vissuto l’esperienza di una missione di volontariato sportivo internazionale. Verranno messe in campo tutte le azioni necessarie per dare una configurazione giuridica (come soggetto di cooperazione internazionale) a “CSI per il Mondo”, dandogli dignità istituzionale e permettendogli di accedere a tutte le opportunità nell’ambito della cooperazione.

Parla

la Vicepresidente vicario

del

CONI.

Dai successi come atleta agli auspici sulla parità di genere

Silvia Salis

VORREI CHE LE DONNE CREDESSERO NELLE PROPRIE POSSIBILITÀ E CAPACITÀ E CHE PENSASSERO: «SE CE L’HA FATTA LEI, CE LA POSSO FARE ANCH’IO»

Dal Consiglio Federale della FIDAL alla vicepresidenza vicaria del CONI nel 2021, Silvia Salis, ex campionessa nel lancio del martello, ha dimostrato un impegno costante per lo sviluppo dello sport in Italia. Autrice di “La bambina più forte del mondo”, la sua storia è un esempio di conversione delle passioni in nuove sfide professionali.

In questa intervista, la sua carriera e il suo impegno per il ruolo delle donne nello sport e nelle posizioni di leadership.

Crescendo in un ambiente sportivo, grazie all’attività del tuo papà, la tua carriera sportiva ha avuto inizio quando eri molto piccola, a 8 anni, con l’atletica leggera. In particolare con il salto in lungo. Ma abbiamo scoperto che a 13 anni, col tuo primo tecnico, la tua passione è cambiata. Potresti condividere con noi come hai scoperto intanto il tuo amore per il lancio del martello, e poi quali sono stati i momenti chiave che hanno segnato la tua evoluzione da giovane

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promessa a campionessa italiana?

Ho conosciuto il mio allenatore, che poi lo è stato per 15 anni, Valter Superina, e lui mi ha orientato verso questo sport. Inizialmente, nel giro di pochi mesi, ho vinto il primo titolo cadette, e da lì sono entrata in questo mondo. Ovviamente quando vinci, giri, viaggi, inizi ad andare in nazionale, tutto viene da sé. L’evento che ha cambiato tutto è stato il mio ingresso in Forestale, quindi in un gruppo sportivo, e questo ha fatto la differenza. C’è stata una diversa consapevolezza e diversi obiettivi. Quello è lo snodo principale.

A che età è avvenuto l’ingresso nella Forestale?

A 19 anni. Prima di quel momento ero al CUS Genova.

Durante la tua luminosa carriera atletica, hai conquistato dieci titoli italiani nel lancio del martello, diventando una delle figure più celebrate in questa disciplina in Italia. Tra queste vittorie, quale consideri la più significativa o quella che ha segnato una svolta nella tua carriera, e come ha influenzato il tuo percorso sportivo e personale successivo?

Il momento sportivo più significativo è stato quando in Corea del Sud ho partecipato alla finale dei Campionati del Mondo, nel 2011.

Disputare una finale mondiale è un’esperienza di altissimo livello atletico ed è sicuramente una cosa che non dimentichi. Poi sicuramente anche vincere i Giochi del Mediterraneo nel 2009, a Pescara, è stata un’esperienza straordinaria, soprattutto perché era in Italia. Giocare in casa è sempre più emozionante.

E oltre al tuo allenatore, con il quale si sarà sicuramente

“Nello sport praticato ad alto livello ormai c’è una suddivisione pari tra uomini e donne. Nello sport amatoriale, invece, sono ancora poche le donne che praticano lo sport e sono numeri che crollano quando si parla di allenatrici

creato un legame molto particolare visto che ti ha allenata per 15 anni... Sì, un legame di grande affetto

…. ci sono stati modelli o mentori che hanno avuto un impatto significativo sul tuo percorso sportivo e professionale?

Sicuramente l’allenatore della Nazionale, Gino Brichese, e tutti i miei compagni della Nazionale con i quali mi sono allenata sono stati fondamentali perché siamo cresciuti insieme, ed essenziale è stato anche andare in raduno con la Nazionale e allenarmi con quelli più grandi di me.

Come è successo che la tua carriera da martellista si è trasformata nel tuo ruolo attuale nel CONI? Quali sono state le motivazioni o le sfide principali di questo cambiamento?

Io ho una passione per lo sport sconfinata, e sono nata e cresciuta in un campo di atletica. Questa fusione tra la mia passione e le mie radici non poteva che fare di me un’atleta. Oltre a questo, ho sempre avuto una grande passione per tutto ciò che riguarda la politica, sono laureata in Scienze Politiche, sono abbonata a quasi tutti i quotidiani, sono appassionata di storie, delle

grandi storie della politica, di film che parlano di storia politica. Insomma, le due cose sono state abbastanza fondamentali per suscitare il mio interesse verso il percorso della politica sportiva, che alla fine è un percorso ancora molto maschile.

Come vedi l’evoluzione della partecipazione femminile nello sport italiano negli ultimi anni, anche alla luce delle prossime Olimpiadi?

Nello sport praticato ad alto livello ormai c’è una suddivisione pari tra uomini e donne. In quello amatoriale, invece, sono ancora poche le donne che lo praticano e sono numeri che crollano quando si parla di allenatrici. Tra i dirigenti, poi, le donne quasi scompaiono. Questo aspetto è legato principalmente alla disponibilità del tempo libero che hanno le donne rispetto agli uomini. Il concetto è che i dirigenti sportivi e gli allenatori uomini in molti casi svolgono questa attività come attività secondaria e quindi nel tempo libero che hanno dal loro lavoro principale. Le donne sono spesso obbligate a dedicare il loro tempo libero alla famiglia, ai cari, agli anziani, a risolvere tutta una serie di questioni che da sempre sono sulle loro spalle, quindi, finché non cambierà il paradigma per cui le donne non

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Silvia Salis

possono disporre del proprio tempo libero, sarà sempre difficile trovare numeri pari a livello dirigenziale. Il lavoro che stiamo facendo è quello di sensibilizzare le giovani donne a vedersi nel mondo sportivo non solo come atlete ma anche in altri ruoli.

Quindi come, secondo te, si possono superare le principali sfide, quelle che hai elencato, che affrontano le donne per raggiungere anche posizioni di leadership nel mondo dello sport?

Sensibilizzando le nuove generazioni, perché è lì che ci può essere il vero cambiamento, ma anche modificando le cose dal vertice. Ad esempio, il CONI e tutte le Federazioni hanno recepito la norma sulla parità di genere del CIO: sull’avere, al loro interno, la rappresentanza di genere di almeno un terzo. Questo già ha cambiato molto le cose, e, anche se è stato un obbligo, ciò conferma che le cose si cambiano prima dall’alto e poi anche sul territorio. Dai vertici per poi ispirare un cambiamento nella base.

E che suggerimento daresti a giovani atleti e atlete, magari pensando alla Silvia 13enne, che aspirano a raggiungere un successo nello sport in qualunque disciplina?

Di impegnarsi molto, costantemente, e non trascurare gli anni giovanili, perché poi sono quelli che incidono sulla carriera di alto livello, quindi di fare tutto con attenzione e di curare ogni cosa.

Tu sei diventata da poco mamma e chiaramente essere genitore aggiunge una dimensione completamente nuova alla vita di qualcuno. La maternità rappresenta probabilmente ancora una sfida per superare certi pregiudizi sul

lavoro, ma anche in particolare nello sport. Che consiglio daresti a delle atlete che desiderano comunque diventare mamme, ma senza rinunciare alla passione per lo sport?

Beh, innanzitutto pretendere che i compiti di famiglia vengano suddivisi col partner e che il peso della maternità, il peso della nascita di un nuovo bambino, non sia solo sulle spalle della madre.

Pretendere, nonostante si abbiano dei figli piccoli, che ci sia appunto uno scambio di responsabilità che lasci comunque del tempo libero alle donne.

E rispetto a questo, rispetto appunto ai bambini, ad un figlio, quali sono i valori che da grandissima sportiva cercherai

di trasmettere a tuo figlio?

L’impegno e la determinazione nel raggiungere un obiettivo, la consapevolezza che gli obiettivi della vita si raggiungono con fatica; e poi il rispetto delle regole e degli altri.

Hai scritto il libro “La bambina più forte del mondo”. Quanto c’è di te in Stella, la protagonista del libro? Nella sua vivacità incontenibile, o “iperattività” come la chiamerebbero oggi?

Sicuramente mi avrebbero definita così da piccola: iperattiva. C’è quasi tutto di me in Stella: a parte il nome e poche altre cose che ho scritto nel libro perché erano funzionali al racconto, poi è la storia della mia vita.

C’è una frase in particolare

Stadium 13 L’intervista

che ci ha colpito del libro, un pensiero dei genitori della protagonista: «…la nostra bambina è… particolare, ha bisogno di un posto dove vivere libera. […] In quella diversità loro intravedevano doti e possibilità, non difetti o mancanze». Queste parole ci riportano a quelle pronunciate dal giovane talento del tennis Jannik Sinner: «Vorrei che tutti avessero dei genitori come quelli che ho avuto io: mi hanno permesso di scegliere quello che volevo, anche da giovane. Non mi hanno mai messo sotto pressione. Auguro a tutti i bambini di avere la libertà che ho avuto io». Credo che queste frasi racchiudano una riflessione importantissima sul ruolo di genitori di giovani sportivi, ma anche non sportivi. Cosa ne pensi?

Un genitore, prima di tutto, deve imparare a conoscere i propri figli. Ma conoscere davvero, non cercare di vedere in loro quello che vogliono vedere. Conoscere profondamente e capire quali sono le aspirazioni del figlio, qualunque esse siano. Cercare poi di assecondarle nella possibilità di ogni famiglia. Sempre facendo capire loro che gli obiettivi si raggiungono con impegno e serietà, ma comunque rispettando le inclinazioni del figlio, rispettandone i tempi e i gusti. Per cui un genitore non deve aspettarsi delle cose dal figlio, deve guidarlo nella vita, ma guidarlo un passo di lato, e a volte un passo indietro, per lasciargli fare le sue esperienze.

Non è facile, perché da genitore vorresti fare di tutto, anche per proteggere i tuoi figli, però è un lavoro che va fatto.

Stella sceglie uno sport considerato “da maschi”: qual è il tuo pensiero sulla parità di

genere in particolare nel mondo sportivo?

C’è da fare ancora moltissima strada, sia per quanto riguarda l’idea di associare lo sport ad un ambiente che sia femminile oppure maschile, sia nel modo in cui sui giornali e in televisione si parla delle atlete. Ci sono quindi tanti temi su cui lavorare e che devono essere sviluppati di pari passo con la società, anche ad esempio in merito a ciò che dicevamo prima riguardo al numero di dirigenti e di allenatrici, che è molto basso.

Quali sono i tuoi obiettivi futuri nel CONI?

Il nostro grande obiettivo ora sono le Olimpiadi di Parigi. Ho partecipato a diverse edizioni delle Olimpiadi, sia come atleta che come dirigente e in altri ruoli, e ogni volta è stata un’occasione per imparare una miriade di nozioni, comprendere i meccanismi e approfondire la conoscenza di questo mondo. Possiamo dire che l’obiettivo

principale di quest’anno è proprio questo.

Oltre ai tuoi obiettivi

professionali, ci sono passioni o progetti particolari che pensi di realizzare nei prossimi anni?

Sto seguendo un progetto molto importante che in qualche modo riguarda il mio libro, ma ancora non si è concluso l’iter. Poi la mia passione è sempre stata viaggiare, con la mia famiglia e con mio marito, e quando riusciamo a farlo, ci fa sempre stare bene.

L’ultima domanda è: come pensi che il tuo impegno nello sport possa ispirare le future generazioni, in particolare le giovani donne, che desiderano intraprendere la carriera nello sport o in altri ambiti tradizionalmente dominati dagli uomini?

Io voglio che vedano che è possibile farlo. Voglio che pensino: «Se ce l’ha fatta lei, ce la posso fare anch’io».

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Silvia Salis

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Polizze&Sport

IL PERCORSO

DELLA DONNA SPORTIVA È STATO LUNGO, LENTO, DALLA TRAIETTORIA

NON SEMPRE PIANA

Donna e sport, un percorso da completare

di Angela Teja, Società Italiana di Storia dello Sport (SISS)

Lo sport è parte del complesso di fattori che hanno portato la donna a diventare una cittadina libera, con una propria autonomia personale. Assieme al progredire dell’istruzione, al suo accesso al lavoro extramura domestiche, all’avanzare delle misure a salvaguardia della sua salute, troviamo anche lo sport, evento che però raramente è stato evidenziato. La donna spesso compare nei racconti storici in quanto moglie, madre o figlia di qualcuno. Le vicende femminili compaiono spesso negli archivi come un «rumore di fondo». La donna appare infatti in trasparenza, spesso sullo sfondo delle vicende storiche, cosa ancor più visibile in un ambito, come quello sportivo, fortemente connotato al maschile sin dalle sue origini.

Un percorso a tappe

È stata la Grande guerra a fare da spartiacque nel processo di crescita e di evoluzione delle donne verso il loro ufficiale riconoscimento, essendo state in gran parte e in quel momento chiamate a occupare posti di responsabilità in assenza degli uomini. La guerra ha inoltre rinforzato l’idea che esse fossero le depositarie dei valori familiari, quindi del futuro della nazione, e che avessero acquistato una maggiore importanza a livello sociale, mettendo in mostra capacità operative fino ad allora sconosciute. Tuttavia possiamo dire che le donne, pur non essendo ancora “sportive”

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nel senso proprio del termine, e cioè “agoniste”, partecipanti a competizioni per il conseguimento di record e risultati, hanno frequentato i luoghi della ginnastica sin dai primi decenni dell’Unità d’Italia. Così dalle cronache precedenti la Grande guerra, specialmente da quelle dei giornali sportivi, ma anche da quanto riportato sui giornali femminili che avevano iniziato ad uscire proprio in quell’epoca, risaltò che, se la donna avesse voluto impegnarsi in un’impresa sportiva propriamente detta, ciò avveniva o perché altri glielo avevano offerto a fin di guadagno, o per fare pubblicità a un prodotto (ad esempio biciclette, automobili, manufatti di sartoria), o ancora per introdurre le gare maschili, che erano quelle maggiormente seguite dal pubblico. Infatti la donna che si esibiva in pubblico, che aveva il coraggio di farlo indossando magari un abbigliamento succinto, non avrebbe potuto assecondare l’immagine all’epoca preferita per lei, quella di “angelo del focolare”. Piuttosto veniva considerata una donna pubblica, talvolta un fenomeno da baraccone che, in quanto tale, solleticava la curiosità e l’accorrere del pubblico (prevalentemente maschile), pronto ad assistere a quello spettacolo. È evidente come ciò abbia pregiudicato la corretta interpretazione del fenomeno sportivo delle donne, visto dunque alle sue origini come spettacolo “fantasioso”, piuttosto che una gara sportiva con le valenze più nobili. Sono stati i moderni Giochi olimpici a determinare una svolta nella storia dello sport, alla quale non si è sottratta quella dello sport femminile.

L’ostacolo del barone

Il barone Pierre de Coubertin, e in quell’epoca non solo lui, sosteneva che lo sport femminile non servisse né interessasse, e che fosse per

giunta uno spettacolo brutto da vedersi. Coubertin ha sempre respinto l’idea che la donna potesse esibirsi perché, secondo il suo pensiero, ciò nascondeva il pericolo del pubblico ludibrio.

La presenza femminile aumentava questo pericolo e perciò egli la combattè, causando così un ritardo nell’ammissione ufficiale delle donne ai Giochi.

Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, la gran parte dei “cimenti” femminili, come venivano talvolta chiamate queste gare, era ascrivibile più al mondo dello spettacolo che a quello sportivo. Ciò è particolarmente evidente se consideriamo il ciclismo, una specialità molto diffusa in Italia. La ciclista più famosa di quest’epoca pionieristica è Maria Forzani. La Forzani è stata uno dei pochi casi di donne del popolo che si dedicarono a gare ciclistiche su strada, mentre molte delle cicliste che risultano citate nelle cronache dell’epoca si esibivano in spazi ben definiti per il cui ingresso si pagava un biglietto, erano cioè per la maggior parte cicliste retribuite per le loro esibizioni. Spesso erano donne di spettacolo, attrici, cantanti, soprani etc.

Tuttavia il ciclismo praticato da donne risulta importante per un altro motivo; quello dell’abbigliamento femminile, che proprio in occasione dell’utilizzo della bicicletta si è rinnovato

diventando anche “sportivo”. Alle donne cicliste infatti, per prime, si è concesso di vestirsi diversamente dall’usuale.

La bicicletta, quindi, è stata la grande protagonista dell’emancipazione della donna come ben racconta il documentato libro di Antonella Stelitano al riguardo, Donne e bicicletta. Una finestra sulla storia del ciclismo femminile in Italia (Ediciclo 2021).

Vorrei fare anche un cenno ad Alfonsina Strada, non solo perché è la ciclista più conosciuta e citata nei testi di storia dello sport, ma anche perché il 2024 celebra il centenario della prima e unica partecipazione di una donna al Giro d’Italia, Alfonsina appunto.

La “regina della pedivella” fu però annunciata sulla “Gazzetta dello Sport” come “Alfonsin”, e non si sa se per un refuso o per la precisa volontà di non “danneggiare” il giro con una presenza femminile.

L’abbigliamento diventa “sportivo”

Attraverso lo sport, la donna si avvicinò gradualmente ad attività più nuove e divertenti, i cosiddetti “sport inglesi”, e dovette necessariamente indossare abiti più comodi. Mutare il vestiario significò, per lei, scegliere un modo diverso di mostrarsi in pubblico. Il suo corpo fu “ridisegnato” e si sentì libera di muoversi. Le donne sportive furono così le prime a indossare i pantaloni e la biancheria intima, un tempo indossata solo dalle donne del ceto più agiato. Rimasero ancora a lungo delle resistenze a portare la calzamaglia o i pantaloni corti, perché questi, in Italia, simboleggiavano una vita fuori dai canoni tradizionali. Ma il senso di libertà che la donna riacquistò con l’abbigliamento sportivo era destinato ad andare ben al di là della semplice scelta di un vestiario più comodo. Anche in questo caso dopo la

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Dossier

Donne e sport, un percorso da completare

Grande guerra, lo sport assecondò l’esigenza di unire negli abiti femminili l’eleganza con la praticità, vivacizzando anche il mondo della cultura di quegli anni suscitando pareri diversi, per cui il cambio di vestiario fu di per sé stesso una rivoluzione. Si delineò una donna nuova per il nuovo secolo. Ciò avvenne con un passaggio di rottura durante il quale la donna italiana si scontrò inevitabilmente con l’opinione pubblica che desiderava vedere la donna ancora in maniera tradizionale. Nonostante queste difficoltà, la donna italiana riuscì ugualmente a inserirsi nel movimento europeo di emancipazione femminile, e prima di conquistare lo sport affrontò lo step dell’educazione fisica scolastica.

La tappa della scuola

La donna, infatti, si avvicinò alla ginnastica educativa frequentando la scuola, anche se questa era riservata alle donne più abbienti, aristocratiche o borghesi. Praticata la ginnastica a scuola, le donne dei ceti elevati impararono poi a occupare il loro tempo libero con attività di svago, accanto agli uomini. Tra queste attività spiccavano la caccia alla volpe, quindi l’equitazione, l’escursionismo anche in montagna, l’automobilismo. Le donne che nel 1900 frequentavano le scuole superiori in Italia erano un migliaio

e ancor meno quelle universitarie, poco più di 200, per cui il livello scolastico più frequentato - e nel quale ci si poteva avvicinare alla ginnastica educativa - era quello elementare. “Madre sana fa figli sani”, era il leit motif degli interventi di pedagogisti e medici nei vari congressi di ginnastica che si susseguirono ai primi del nuovo secolo.

“Giocare come uomini comportandosi come signore” A ben vedere le prime competizioni femminili non erano praticate con spirito “sportivo”.

Partendo dalla domanda “La donna ama lo sport?”, riportiamo una breve citazione dell’articolo a firma B. Sereni da “Lo sport illustrato”

del 1913: «La donna italiana […] ha scelto fra tutti gli sports, quelli che meglio gli si confacevano pel suo temperamento, dal tennis allo skatting, dall’ippica al pattinaggio. Ma fa lo sport senza caccia di record, senza mania di tempi d’abbassare, di secondi da distruggere … Ama lo sport come un bell’abito da passeggio, con distinzione... […] noi donne italiane amiamo quegli sports che non togliendo nulla alla nostra femminilità, ci donano qualche fascino un po’ rude e qualche civetteria novella».

“Giocare come uomini

comportandosi come signore”, questo potrebbe essere stato il motto dello sport femminile nascente in Italia. La Belle Époque “sportiva” per la donna risultò dunque realizzata con rari “cimenti” eseguiti di contorno a gare maschili, oppure per la tenacia di alcune, ad esempio le schermitrici, appartenenti prevalentemente a famiglie nobili, che si addestravano nelle sale di scherma. L’avvento ufficiale dello sport per le donne coincide con la loro presenza stabile ai Giochi olimpici. Dalle 22 donne che, sfidando l’avversione di Coubertin, avevano preso parte ai Giochi di Parigi del 1900, nel 1912 a Stoccolma le partecipanti diventarono 48, alcune ammesse ufficialmente alle gare di nuoto, mentre le presenti ad Amsterdam nel 1928 furono 277, dopo l’inserimento nel programma dei Giochi della ginnastica e dell’atletica femminili. Avvicinandoci ai nostri giorni, a Roma ’60 le concorrenti erano ancora nel numero piuttosto contenuto di 611, mentre l’attualità si mostra decisamente più rosea: nel 2021 a Tokyo le donne sono arrivate a essere il 49% di 11.483 partecipanti, come si vede un bel salto.

Cattolici e socialisti di fronte alle donne sportive La Chiesa cattolica, i cui movimenti avevano incoraggiato lo sport quasi

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al suo nascere, riconoscendo in esso un aiuto alla formazione religiosa dei giovani, tuttavia non accolse subito di buon grado lo sport femminile. Il motivo del suo rifiuto è facilmente intuibile: la donna non poteva esporsi al pubblico esibendosi in maniera inconsueta e soprattutto indossando un abbigliamento succinto. Anche la promiscuità sui campi sportivi non era ben vista. Se proprio un’educazione fisica andava fatta, sostenevano i rappresentanti della FASCI, la Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane, almeno che la donna si limitasse a impegnarsi nel chiuso delle palestre o all’interno della propria casa. Si pensava infatti che lo sport rischiasse di distrarla dai suoi impegni familiari. Questo è stato un problema che è ritornato ciclicamente nei rapporti tra Chiesa e mondo sportivo femminile, anche se già nel 1908 papa Pio X assistette al primo Concorso delle società ginnastiche cattoliche europee al quale parteciparono anche delle ragazze. I cattolici pertanto, prima dei socialisti, accettarono la pratica della ginnastica e dello sport nei loro metodi educativi, anche se l’atteggiamento del Vaticano nei confronti della donna sportiva rimase talvolta contraddittorio, specialmente in Italia dove più forte

era la tradizione conservatrice. Sul versante opposto, i socialisti in un primo momento non furono propensi al movimento sportivo in genere, di conseguenza anche a quello delle donne, perché questo per molti anni aveva conservato caratteristiche spiccatamente borghesi ed era quindi considerato una degenerazione del costume, uno strumento per allontanare i giovani dalla politica, e anche le donne ne risentirono. Le città di Roma e Milano furono quelle che offrirono più occasioni agonistiche alle prime donne sportive italiane. Avviato il processo di sportivizzazione delle donne, finalmente innescata la scintilla dello sport propriamente detto, il cammino delle sportive italiane è stato inarrestabile.

La tenacia delle donne

Il periodo tra le due guerre è ricordato per il risveglio dello sport femminile, nonostante per il fascismo fosse difficile scindere l’immagine femminile da quello “della madre e della sposa esemplare”, come si usava definire la donna. I primi nomi di campionesse scaturirono prevalentemente nelle cronache del periodo fascista, segnando il campo atletico con figure come Ondina Valla, Claudia Testoni e Gabre Gabric. Celina Seghi per lo sci, Lucia Valerio nel tennis, via via le cronache si riempirono di

tanti nomi di sportive, pur tra le mille remore che quel periodo ha posto alla diffusione dello sport per le donne. Questi successi, però, non cancellano i pregiudizi che hanno continuato ad ostacolare lo sport femminile. Difficoltà e stereotipie continuarono a porsi per le sportive anche nel periodo del dopoguerra. Ai Giochi di Roma del 1960, nel Villaggio Olimpico, il settore femminile fu rigorosamente separato, con recinti e cancelli, da quello maschile. Tuttavia, questi Giochi hanno costituito il risveglio dello sport, simboleggiando la ricostruzione post guerra dell’Italia anche per le donne. La partecipazione femminile allo sport è cresciuta nel tempo, i nomi delle numerose campionesse di oggi sono noti, eppure la pratica sportiva delle donne continua a non avere un passo spedito.

Il percorso presenta ancora delle asperità, perché lo sport è l’ambito in cui si manifestano innegabili le differenze tra i due sessi, e sono ancora molti i pregiudizi culturali da abbattere per rendere uguale l’offerta di sport e dei suoi servizi a uomini e donne. Katia Serra, giornalista già calciatrice, sostiene la necessità di adattare i regolamenti sportivi alle specificità femminili per valorizzare lo sport femminile, suggerendo che la parità passi anche attraverso queste modifiche. Così ci sono difficoltà nel riconoscere il professionismo per le donne, compresa la tutela della maternità. Esistono poi gravi carenze a livello apicale. Le donne sono ancora poche nella dirigenza, nonostante le indicazioni del CIO. La corsa per colmare il divario è ancora in atto, compresa quella per risolvere il gap gender riscontrabile per gli stipendi e per i premi alle donne. La loro tenacia, tuttavia, fa intravedere nei nostri nuovi tempi di grandi cambiamenti un possibile ed auspicabile giro di boa anche per il settore sportivo femminile.

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Dossier

Il percorso di emancipazione femminile nel mondo sportivo, attraverso le immagini, la partecipazione, il linguaggio e i diritti di atlete, regine e “signorine”

«Dalle pari opportunità alle pari probabilità»

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UN’ANALISI ATTENTA DELLA STORIA DELLO SPORT AL FEMMINILE FRA “QUOTE ROSA” E DISPARITÀ

Se c’è un’attività che più di altre ha contribuito al processo di emancipazione della donna, questa è certamente lo sport. Attività per secoli declinata prettamente al maschile, legata a concetti di forza, di lotta, di addestramento militare, sul finire dell’Ottocento registra la richiesta di partecipazione di fasce sempre più ampie della popolazione e, da subito, si pone un problema: le donne possono fare sport?

Passi che si cimentino nobildonne ed esponenti dell’alta borghesia, per le quali lo sport è il nuovo loisir, che esprime aderenza alle mode europee, quasi uno status symbol che apre a una nuova visibilità, fuori dal contesto perimetrale di casa.

Ma quando a chiedere di fare sport sono le donne del popolo, le cose cambiano, perché se da un lato le protagoniste ne intercettano il potenziale che ne favorisce l’empowerment, dall’altro la società ne comprende subito i pericoli: lo sport rischia di cambiare l’immagine della donna sovvertendo l’ordine sociale costituito.

Non si spiegherebbero altrimenti le innumerevoli e fantasiose obiezioni che vengono da subito sollevate. La prima è che lo sport nuoccia gravemente al delicato fisico femminile, che non può sopportare attività ad alta componente atletica. Peccato che le stesse obiezioni non furono mai mosse nei confronti di quelle donne, talvolta poco più che bambine, che lavoravano anche per 12 ore in fabbrica, in filanda, sui campi. Lì, d’altronde, si restava sotto il vigile controllo maschile.

Oggi, guardando alla maggior parte dei Paesi, compreso il nostro, possiamo dire che le donne hanno conquistato il diritto di praticare qualsiasi sport, come previsto dalla Carta Internazionale dello Sport e dell’Educazione fisica dell’UNESCO che per prima sancì questo diritto

Nessun pericolo. Lo sport, invece, permetteva a queste strane donne di uscire di casa, di incontrare altra gente, di mettere in mostra forza, coraggio, autonomia e altre capacità. Pensiamo solo al potere straordinario che ebbe l’immagine di una donna in bicicletta: una donna in grado di governare un mezzo meccanico, di muoversi liberamente, di indossare dei pantaloni.

E se le obiezioni mediche non bastavano, ecco che il mondo maschile è subito coeso nell’intercettare altri pericoli legati alla morale: una donna che vuole fare sport non è altro che un fascio di nervi che deve sfogare i suoi istinti, o una donna che apprezza troppo la promiscuità di ambienti che sono ancora prettamente maschili, o che vuole mettersi in mostra con un abbigliamento che più che razionale viene considerato sconcio.

D’altronde lo stesso Pierre de Coubertin fu sempre contrario ad aprire alle donne i Giochi Olimpici. Riferendosi allo sport diceva: «Questo scompiglio non è fatto per le donne, Esso non giova mai loro. Se esse vogliono affrontarlo, che avvenga nel loro privato». In casa, in giardino. Ma non fuori. In pubblico, infatti, una donna sportiva resta oggetto di scandalo, per l’abbigliamento certo, ma anche per quella mascolinità che si associa al gesto atletico e che avrebbe fatto perdere grazia e femminilità. Così la pensa anche il giornalista del “Corriere della Sera” che in un articolo del 31 gennaio 1896, riferendosi alle donne sportive, le identifica come «Il terzo sesso»: non sono certo uomini, ma perdendo grazia e femminilità, cessano anche di essere donne.

E, se perdono femminilità e grazia,

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«Dalle pari opportunità alle pari probabilità»

vedono scendere inevitabilmente le possibilità di sposarsi, metter su famiglia e fare figli. Ovvero un fallimento completo della loro vita, che è ancora legata alla funzione di moglie e madre.

Ecco perché il diritto allo sport è stato un diritto difficile da conquistare per le donne. Ed ecco perché la presenza delle donne nello sport si presta ad essere un misuratore della condizione femminile della donna nei rispettivi Paesi: dove alle donne non è permesso fare sport o si incontrano limitazioni per accedere sia allo sport praticato sia ad altri ambiti di realizzazione professionale ad esso collegati, state pur certi che lì, in quegli stessi Paesi, le donne incontrano ostacoli anche per affermarsi in altri contesti della vita sociale.

È difficile trovare un misuratore comune per analizzare l’evoluzione della presenza femminile nello sport nell’ultimo secolo. L’unico che abbiamo a disposizione è fornito dai numeri sulla partecipazione femminile ai Giochi Olimpici, che di fatto è una fonte di dati di valore internazionale. Scopriamo così che nazioni che non hanno incluso le donne nelle proprie rappresentative olimpiche sono quelle che presentavano condizioni sfavorevoli per le donne non solo nello sport ma anche nella vita sociale.

Fa sorridere quindi sapere che, ai Giochi Olimpici di Helsinki del 1952, su 69 Paesi partecipanti erano 27 quelli che non comprendevano donne nella loro delegazione, ma che «l’Olanda, paese governato da una lunga serie di regine, diede il più alto apporto femminile, tanto come cifre di partecipazione che come ripartizione di punti conquistati in gara».

Se una donna può governare un Paese, può dunque anche fare sport e questo la dice lunga sul legame tra sport, donne e società.

Oggi, guardando alla maggior parte dei Paesi, compreso il nostro, possiamo dire che le donne (tutte le donne: bambine, ragazze, adulte e con disabilità) hanno conquistato il diritto di praticare qualsiasi sport, come previsto dalla Carta Internazionale dello Sport e dell’Educazione fisica dell’UNESCO che per prima sancì questo diritto. Ma alcune disparità resistono ancora. Le ritroviamo, in Italia, riferite alla governance sportiva, dove le donne restano ancora meno presenti degli uomini. Le percentuali di presenza sono esattamente quelle previste dalle norme che tutelano le cosiddette “quote rosa”: 30% o poco più. Una conseguenza legata sia a una tradizione al maschile in fatto di leadership, sia alla difficoltà oggettiva che ancora molte donne incontrano nel conciliare i tempi della loro vita (lavoro/famiglia) con quelli necessari per acquisire quel capitale di fiducia che consente loro di essere votate per ricoprire ruoli di dirigente. Altra differenza riguarda il trattamento economico, i contratti e le sponsorizzazioni.

Le donne, salvo rare eccezioni, guadagnano meno degli uomini, anche quando praticano lo stesso sport o conseguono gli stessi risultati. Anche qui sono stati fatti molti passi avanti, equiparando ad

esempio i premi per competizioni importanti. Ma dietro la punta dell’iceberg le differenze resistono e rendono più difficile per una donna vivere di solo sport rispetto ad un uomo.

Un’ultima cosa, che fortunatamente va scemando, è il linguaggio con cui si descrivono le sportive. Veniamo da decenni di descrizioni che hanno indugiato più su aspetti fisici (in negativo o positivo) che sulla prestazione tecnica. Ci sono state campionesse descritte (ARPINO G., “Lo spirito dello sport” in Sport, etiche, culture, Volume I, Diritti Umani, Società Olimpismo, Ed. A. Daino per Panathlon International, 2003/4, pag. 16.) come «la mammina della Val Badia» (Maria Canins), o donne ingegneri di Formula 1 che sono indicate come «mamma ai box».

L’indugiare sulle caratteristiche fisiche, sottolineandole nel bene e nel male, sembra sia un obbligo a cui l’immagine della donna ancora oggi non può sottrarsi e che troppo spesso viene fatta notare.

Se guardiamo il fenomeno nel suo complesso, ritroviamo, insomma, in ambito sportivo le stesse differenze che possiamo rilevare in altri ambiti della vita sociale, dove le donne patiscono ancora trattamenti economici diversi, commenti fuori luogo sul loro fisico e maggiori difficoltà ad accedere a ruoli di governance.

Rubando una citazione a Silvia Salis, anche se esistono pari opportunità, di fatto non ci sono ancora le pari probabilità che ciò avvenga. Tutto ciò per dire che guardare alla storia dello sport femminile significa molto più che prestare attenzione a ciò che le atlete fanno e ai risultati, peraltro importanti, che hanno fin qui collezionato.

Significa dotarsi di un passepartout per analizzare, sotto una lente differente, la storia del nostro Paese.

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Quali sfide per arrivare all’uguaglianza di genere

LA LEADERSHIP E IL PROCESSO

DECISIONALE SONO

TRA LE PRINCIPALI

SFIDE CHE LO SPORT

DEVE AFFRONTARE IN TERMINI DI

UGUAGLIANZA DI GENERE

Donne, sport e gender equality: a che punto siamo?

Il principio di gender equality è condiviso da molti e citato spesso nei documenti istituzionali, ma nella pratica trova raramente riscontro.

In Italia su 44 Federazioni Sportive c’è solo una donna ai vertici, Antonella Granata, prima storica Presidente di una Federazione

Sportiva Nazionale, quella dello Squash. Di recente sono salite da 4 a 13 le Vicepresidenti di Federazione; tuttavia il numero di donne con effettivo potere decisionale resta ancora molto basso. Ed anche in Europa la situazione resta critica con una sola donna Presidente (Hockey)

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Donne, sport e gender equality: a che punto siamo?

contro 27 uomini. Il CIO si sta impegnando sul tema, dichiarando di porsi l’obiettivo della parità di genere agli imminenti Giochi Olimpici di Parigi, dopo aver mosso i primi passi in questa direzione già a Tokyo 2020, dove si è raggiunto il 49% delle donne atlete. Per quanto attiene allo sport praticato, nonostante una crescita particolarmente significativa negli ultimi dieci anni, oggi rimane costante il gender gap: se si fa riferimento alla fascia di età 15-17 anni, la quota delle ragazze che fa attività fisica è pari al 44,6% contro il 58,4% della componente maschile. Lo sport che fa da apripista alle donne, avendo registrato un forte aumento di visibilità in Italia, soprattutto dopo il Mondiale del 2019, è il calcio, trasmesso per la prima volta in prima serata su Rai1.

Parimenti, indiscusse protagoniste del panorama sportivo femminile italiano sono le atlete degli sport invernali, che, grazie al loro talento, sono seguite da un pubblico sempre più vasto.

Tuttavia la parità dei sessi in ambito sportivo è ancora molto lontana. Basti pensare

“ La parità dei sessi in ambito sportivo è ancora molto lontana.

Basti pensare al gender pay gap, ovvero la differenza nella retribuzione corrisposta alle atlete donne, notevolmente inferiore rispetto ai colleghi uomini

al gender pay gap, ovvero la differenza nella retribuzione corrisposta alle atlete donne, notevolmente inferiore rispetto ai colleghi uomini. Numerosi sono i fattori che contribuiscono a questo gap. Il primo sicuramente è culturale: c’è ancora l’idea sessista e retrograda che alcuni sport, come per esempio il calcio, non siano sport per donne, e gran parte della responsabilità è anche dei media. Ancora oggi giornali, televisioni e siti focalizzano la loro attenzione sulla bellezza e le caratteristiche estetiche delle atlete, dando poca visibilità ai loro risultati ed alle loro performance.

Tutele giuridiche

In Italia l’attività sportiva è regolamentata dallo Stato e dalle Regioni in ossequio al dettato dell’art. 117, comma 3 della Costituzione, che demanda alle Regioni la «rimozione di ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e la promozione della parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive».

Il dettato costituzionale tuttavia, nell’art. 117 Cost., fa menzione dell’ordinamento sportivo come materia di legislazione concorrente e, pertanto, non si occupa dell’attività sportiva

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in sé considerata, tant’è che, nella pratica, lo Stato e le Regioni ne affidano la gestione alle Federazioni ed agli Enti.

Ci si auspica che la situazione inizi ad evolversi con l’introduzione del nuovo comma inserito nell’art. 33 della Carta Costituzionale, con il quale lo sport entra a far parte dei valori costituzionalmente tutelati. Infatti, nell’ambito della tutela della cultura e dell’istruzione, come delineato dall’art. 33 Cost., è prevista l’introduzione del riconoscimento del valore educativo e sociale dello sport unitamente alla sua importanza sotto il profilo del benessere psicofisico.

L’attività sportiva rappresenta un momento di aggregazione, di socializzazione ma anche di integrazione, avendo la capacità di creare vicinanza tra le popolazioni e di divenire uno strumento di lotta contro i comportamenti xenofobi e razzisti.

L’introduzione del diritto di accesso allo sport nella Costituzione comporta, o comunque dovrebbe comportare, un conseguente impegno da parte dello Stato, che deve assumere iniziative idonee e conseguenti.

Pertanto, onde evitare che quanto costituzionalmente garantito resti lettera morta, oggi sembra più che mai necessario un intervento da parte delle istituzioni nazionali e di quelle sovranazionali, se si considera la pratica sportiva come strumento di tutela e di sviluppo della salute e della formazione personale e sociale dei giovani sportivi, che sono, prima ancora che atleti in erba, dei cittadini in crescita.

È fondamentale, infatti, che le istituzioni intervengano al fine di eliminare, dalle singole discipline sportive, le discriminazioni che spesso vengono veicolate ai giovani praticanti fin da piccoli e che finiscono per condizionare le loro idee e la loro educazione relativamente a identità di genere e orientamento sessuale.

In conclusione, il gender gap oggi nello sport esiste più che mai. Davanti c’è una lunga strada da percorrere, che dovrà portare, in primis, all’eliminazione delle norme e regolamenti che ostacolano la carriera sportiva delle donne, e dovrà essere compito degli Stati insistere, attraverso una normativa adeguata, affinché le organizzazioni sportive migliorino l’equilibrio di genere nei consigli e nei comitati esecutivi, nonché nella gestione e negli staff tecnici.

Agire per la parità: il cammino del CSI

L’articolo 16 del d.lgs. 39/2021 promuove un più elevato livello di sensibilità e impegno ai fini della valorizzazione della parità di genere tra uomo e donna nel contesto di lavoro e della tutela dei minori, nonché del contrasto a ogni forma di violenza di genere o per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale e, in genere, a ogni forma di discriminazione.

Le associazioni sportive dovranno, quindi, dotarsi di modelli organizzativi ispirati a codici di condotta e policy a contrasto di ogni forma di discriminazione e violenza di genere. Per questo, il Centro Sportivo Italiano ha istituito un gruppo di lavoro per la promozione delle pari opportunità in seno al Consiglio nazionale, il quale supervisionerà un percorso a tappe che coinvolgerà tutta l’Associazione.

1. Risk assessment: sarà inviato un questionario on line anonimo a tutte le realtà associative per una prima valutazione delle politiche di genere all’interno del CSI.

2. Self assessment: il gruppo di lavoro rielaborerà, con l’ausilio di esperti interni ed esterni, i dati raccolti e definirà le priorità per l’elaborazione dei codici di condotta e dei documenti di policy da adottarsi e da adattarsi da parte delle realtà territoriali

3. Predisposizione dei documenti: insieme agli esperti coinvolti, il CSI provvederà alla redazione dei documenti destinati ai Comitati regionali e provinciali, alle associazioni sportive, alle componenti associative.

4. Disseminazione: sarà avviata un’azione di promozione e diffusione affinché i processi di adozione e di adattamento raggiungano tutti i soggetti associativi interessati.

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Dossier

Non è la Steph Curry del basket femminile, è...

Caitlin Clark

ed è la più forte di sempre

Donne, uomini, giovani, anziani: Caitlin Clark piace a tutte e tutti ed è circondata da quell’aura di miracolo sportivo che piace da impazzire agli americani

Tutto esaurito con 56.000 paganti nello stadio di football dell’Iowa University. Non è un concerto di Taylor Swift, ma una “banale” amichevole di basket, e no, non è l’NBA e nemmeno la WNBA, ma una partitella di inizio stagione della NCAA, campionato universitario di basketball femminile.

La ragione di questi numeri folli ha un nome e un cognome: Caitlin Clark. Ventidue anni, 185 centimetri, guardia delle Iowa Hawkeyes, Caitlin Clark è nata a Des Moines capitale dell’Iowa, Stato famoso più che altro per i Caucus delle elezioni presidenziali e per aver dato i natali a Bill Bryson, ironico e acuto scrittore

di viaggi. Sua madre, la signora Anne Nizzi, è figlia di migranti siciliani tra i milioni che partirono per cercare fortuna oltreoceano, e anche per questo all’Italia romantica piace raccontare la storia della cestista che sta riscrivendo completamente la storia del basket femminile americano, e forse mondiale. Con 3.569 punti realizzati, l’atleta fenomeno nazionalpopolare americano del momento è diventata la più grande realizzatrice di sempre del basket universitario femminile, superando i 3.527 punti della ex atleta di Washington Kelsey Plum, e mettendo nel mirino i 3.667 punti dell’omologo maschile “Pistol” Pete

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Maravich, che detiene il record assoluto del college basket. Uno spettacolo da vedere per tutti gli appassionati della palla a spicchi, che di sicuro balzeranno sulla poltrona nell’assistere agli incredibili tiri “from downtown”, dagli 8 metri altezza logo, con i quali la Clark delizia gli spettatori sugli spalti. Anche il record è maturato con un tiro da centro campo, una tripla dal palleggio in transizione che è valsa tre dei 49 punti (massimo in carriera) messi a referto contro le Michigan Wolverines. La partita è stata trasmessa sulla tv nazionale, registrando il triplo degli spettatori da casa rispetto a quelli totalizzati dalle tre partite NBA della stessa serata messi assieme. La finale di campionato del 2022/2023 era stata vista in tv da 2 milioni e mezzo di spettatori, record di tutti i tempi per la NCAA. Un fenomeno globale che sta facendo registrare le stesse scene di devozione ad ogni partita, persino quelle in trasferta, con code chilometriche fuori dai botteghini sin dalla mattina e tifosi in delirio che accorrono riempiendo in media 12.000 posti a match. Donne, uomini, giovani, anziani: Caitlin Clark piace a tutte e tutti ed è circondata da quell’aura di miracolo sportivo che piace da impazzire agli americani, soprattutto quando l’atleta ha il volto rassicurante di una giovane ragazza della white middle class, istruita, sfrontata ma mai arrogante, dalla battuta facile e a volte provocatoria ma sempre intelligente. Lo scorso anno la talentuosa cestista di Des Moines ha portato le Hawkeyes alla finale nazionale del campionato e quest’anno viaggia con le sue compagne al secondo posto della regular season. Con 32.3 punti di media a serata, 8.3 assist e 7.1 rimbalzi, tirando col 66% in area, il 40% dall’arco e facendo registrare sin qui 15 triple doppie, la Clark pare proprio indirizzata a condurre la sua

squadra fino alla fine e poi lasciarla in gloria. Per il prossimo anno, infatti, il percorso sembra già segnato e non sembrano esserci dubbi su quale sarà il nome numero 1 delle scelte ai prossimi Draft.

Tra le migliaia di cittadini dell’Iowa che macinano chilometri per andare a vederla giocare, c’è chi la paragona a Steph Curry, chi proprio a “Pistol”

Pete Maravich, ma perché continuare a cercare un termine di paragone nella pallacanestro maschile? Ci piace pensare che questo fenomeno del basket femminile americano possa anche non averne di paragoni, che possa tracciarsi la strada senza avere termini di confronto al maschile (come se questo servisse a rafforzarne le qualità o a chiarirne

il concetto). Caitlin Clark è forte, è la più forte, e tra qualche partita è lecito pensare che polverizzerà anche il record, tutto maschile, di punti mai realizzati nella storia del basketball college. Merita di entrare nella massima serie femminile, la WNBA, senza etichette se non quelle entusiastiche che le hanno appiccicato alcune allenatrici avversarie quando l’hanno affrontata: Goat! (Greatest Of All Time – la più grande di tutti i tempi) o Genius at work (un genio al lavoro). Per ora è Caitlin, è la più forte cestista in attività sulla Terra e in un’impresa è già riuscita: ha tolto attenzione al campionato di basket maschile per eccellenza, anche ad una partita di sua maestà “King” Le Bron James.

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Storie

Una donna allenatrice di calcio in Serie A... in Germania

Marie Louise Bagehorn

“Se il calcio femminile in Germania ha una tradizione ben più riconosciuta che in Italia, una donna che allena gli uomini resta comunque una notizia da prima pagina

Marie Louise Bagehorn ha 32 anni, è nata in Germania e ha sempre avuto le idee chiare sulla sua vita: fare la calciatrice e poi diventare allenatrice. Con l’Under 17 ha vinto un Campionato europeo, con l’Under 20 ha vinto un Mondiale e a 20 anni si laureava per la terza volta campionessa di Germania nella massima categoria di calcio femminile con il FFC Turbine

Potsdam. A 21 anni era già a metà del suo sogno. Non male per una giovane donna che vuole farsi strada nel mondo del calcio. Abbandonati i campi, la centrocampista tedesca si è dedicata allo studio per diventare allenatrice, e a novembre 2023 è entrata nella storia dopo essere stata inserita nello staff della prima squadra maschile dell’Union Berlin, in Bundesliga, come viceallenatrice

dell’allora coach Marco Grote, subentrato all’esonerato Urs Fischer. I titoli dei giornali erano tutti per lei, prima donna in Europa a ricoprire questa carica in un club di calcio maschile di vertice – perché, anche se il calcio femminile in Germania ha una tradizione ben più riconosciuta che in Italia, una donna che allena gli uomini resta comunque una notizia da prima pagina. Ma non è finita qui. L’Union Berlin ha cambiato nuovamente allenatore affidandosi all’esperto Nenad Bjelica, ma nello staff ha confermato il ruolo di vice della Bagehorn. Il coach croato a gennaio ha rimediato un’espulsione durante una gara di campionato, così Marie Louise (che è più nota con il cognome di Eta, preso dal marito) è scesa in campo come prima allenatrice nel match di Bundesliga tra l’Union Berlin e il Darmstadt 98. Il goal di Benedict Hollerbach al 62’ ha consegnato la partita, e la Bagerhorn, direttamente ai manuali di storia del calcio. Marie Louise è diventata la prima donna in Europa ad allenare come head coach una squadra di calcio maschile di una massima categoria e a vincere una partita. Applausi, cala il sipario, emozione del pubblico: il sogno è realizzato.

In realtà no, perché l’allenatrice si augura di continuare la sua carriera a lungo e di poter diventare primo allenatore; ma di sicuro non passa inosservato questo traguardo, soprattutto in un’Italia dove il calcio femminile è emerso solo quando la Nazionale maschile ha fallito la qualificazione ai Mondiali. Certo, oggi il cognome di qualche calciatrice inizia a farsi conoscere; addirittura la Mattel Italia ha messo in vendita una Barbie con le fattezze di Sara Gama, ex capitana della Nazionale, e da un anno il Consiglio Federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio ha modificato all’unanimità le normative rendendo

Nella sua storia si può leggere certamente un sogno grande mai abbandonato, ma soprattutto, la lungimiranza di un Paese aperto ad opportunità sportive di alto livello al femminile in qualsiasi disciplina e a qualsiasi livello di carriera

la Serie A femminile un campionato professionistico. Pionieri in questo senso sono stati gli Stati Uniti, professionalizzando l’attività di calcio femminile nel 2001; a seguire sono arrivate diverse squadre africane, poi l’Australia, l’Inghilterra e la maggior parte delle Nazionali europee. Lanciando uno sguardo al mondo delle allenatrici, invece, qualcuno ricorderà l’esperienza di Carolina Morace alla Viterbese in C1, prima donna ad allenare una squadra professionistica maschile. Peccato che questo esempio sia da citare quanto da dimenticare subito, non tanto per i risultati ottenuti in panchina da quella che è stata la più forte calciatrice della recente storia del calcio femminile, quanto per come fu ingaggiata dall’allora

Presidente Gaucci e poi di fatto costretta a dimettersi dopo sole due giornate dall’inizio del campionato. Di sicuro la sua squadra si guadagnò gli onori delle cronache per tutta l’estate, garantendosi interesse, luci della ribalta e aperture dei telegiornali sportivi. Finito il momento di gloria, però, rimase solo la triste verità di una scelta di facciata per nulla supportata dalla stima e dalla fiducia nei confronti della Morace, che lo capì in fretta e se ne andò. Ma torniamo al sogno di Marie Louise Bagehorn-Eta: fare la calciatrice e poi l’allenatrice, con tutto il corollario di grandi trionfi da atleta e luci della ribalta sulle panchine della massima serie di calcio maschile tedesca. Ci è riuscita. Qualcuno leggerà in questa storia il monito a credere sempre nei propri sogni, a non mollare mai, a sognare forte sino alla fine con dedizione… Vero, indubbiamente. Senza troppe illusioni, però, ci si può leggere certamente un sogno grande mai abbandonato, ma anche, e soprattutto, la lungimiranza di un Paese aperto ad opportunità sportive di alto livello al femminile in qualsiasi disciplina e a qualsiasi livello di carriera, l’apertura intellettualmente onesta di una dirigenza che ha valutato curricula e meriti, e l’intelligenza di uno staff e di un gruppo di atleti che non si sono posti questioni di genere ma solo questioni tecnico-tattiche nell’affidarsi ad una giovane donna come vicemister e possibile guida di un team di calcio di Bundesliga. Per la cronaca: sino all’arrivo del nuovo staff con la vice Marie Louise Bagehorn-Eta, l’Union Berlin non aveva mai vinto un match e si trovava all’ultimo posto. Da lì in poi è iniziata la risalita e, mentre scriviamo, l’Union Berlin è abbondantemente fuori dalla zona retrocessione.

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Storie

Con Sabrina Chiappa, atleta paralimpica con sindrome di Down che ha impreziosito la storia del nuoto italiano

Oltre i record: Sabrina Chiappa e l’arte del possibile

TRA MEDAGLIE INTERNAZIONALI E RECORD NAZIONALI, IN UN’INTERVISTA DOPPIA

CON MAMMA CRISTINA, SABRINA SI RACCONTA, MOSTRANDOCI COME LA PASSIONE E IL CORAGGIO POSSANO RIDEFINIRE I CONFINI DELL’IMMAGINABILE

Iniziamo la nostra chiacchierata chiedendo a mamma Cristina di introdurci nell’avventura in acqua di Sabrina…

La mamma: La passione di Sabrina nasce da subito, dal primo bagnetto a pochi giorni dalla nascita. Ho notato presto che in acqua si rilassava ed era felice e a tre mesi ho iniziato a portarla in piscina. Da allora non è più uscita. All’età di tre anni ho iscritto Sabrina ai corsi di nuoto. Devo dire che non stava andando molto bene; l’istruttore non credeva molto in lei e le lasciava fare quello che voleva. Poi un giorno è arrivato un nuovo istruttore, Alessandro Brembilla, fratello del campione di nuoto di Chignolo, che prende Sabrina, la mette in acqua alta e mi dice: «Se posso, vorrei tenere io Sabrina perché secondo me è molto brava». Da quel giorno è cambiato tutto: Sabrina ha iniziato

a migliorare molto, tanto che sono incominciate le prime gare con i ragazzi normodotati nel circuito del CSI. A 10 anni, nel 2010, sono andata con Sabrina in un centro medico per fare la visita medica sportiva che le permettesse di poter gareggiare, per il CSI, con i ragazzi normodotati. Il medico di quel centro non l’ha nemmeno voluta vedere. Non ci ha nemmeno fatto entrare

nello studio, perché diceva che Sabrina non poteva gareggiare con i normodotati e mi consigliava di portarla al Centro PHB Onlus, un’ASD che promuove e sviluppa la pratica sportiva per persone con disabilità.

Io non ho voluto arrendermi e l’ho portata in un altro centro, dove ho trovato un medico fantastico che le ha fatto una bellissima visita medica rilasciandole il certificato che le avrebbe permesso di gareggiare con i normodotati. Nel frattempo, l’ho iscritta comunque alla PHB ed ha iniziato così anche a gareggiare con ragazzi con la sua stessa disabilità e abbiamo scoperto il suo grande talento e le sue potenzialità. Nel 2011 ha fatto i suoi primi campionati italiani e ha vinto. Poi ha iniziato a conseguire dei record mondiali Juniores, ma era troppo piccola per omologarli (per omologare un record bisogna aver

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di Laura Sanvito e Leonio Callioni

Chi é Sabrina Chiappa

Sabrina Chiappa è nata a Carvico, in provincia di Bergamo, da mamma Cristina e papà Giancarlo, il 04/02/2000 ed è sorella maggiore di Elisa e Luca. I suoi ultimissimi successi sono:

nel 2023 è stata convocata per la prima volta ai Virtus Global Games, Mondiali paralimpici, unica ragazza down convocata per questa importante manifestazione. Si sono svolti a Vichy in Francia, dal 5 al 9 giugno. Ha partecipato a sette gare individuali, raggiungendo i seguenti risultati:

- argento nei 200 dorso con rispettivo record italiano ed europeo senior

- argento nei 200 rana con record italiano ed europeo assoluto

compiuto 13 anni) e ha dovuto aspettare il 2013. Poi nel 2014 l’hanno chiamata in Nazionale. E da lì è iniziato tutto.

Che cosa è iniziato, Sabrina? È iniziato che ho fatto i primi Mondiali in Messico, ho vinto due argenti nei singoli e due ori nelle staffette. E lì la mamma è svenuta per l’emozione… (Sabrina ride).

La mamma: Sì è vero, era piccola, 4 anni… E vederla arrivare seconda ai Mondiali è stata un’emozione molto forte.

E tu invece, Sabrina, che emozioni hai provato? Come ti sei sentita dopo queste vittorie? È stato tutto molto bello.

I Mondiali in Messico sono stati la tua prima esperienza da sola senza la mamma e il papà? Avevo già fatto i collegiali, ma con Elisa, mia sorella. Questa è stata la mia prima esperienza tutta da sola. E comunque mi sentivo tranquilla.

Eri concentrata sulle gare?

La concentrazione per me è una

- argento nei 200 misti

- argento nei 50 dorso con record italiano

- bronzo nei 100 rana

- quarto posto nei 50 rana e nei 100 dorso

Dal 16 al 18 giugno ha partecipato ai Campionati assoluti a Terni, conquistando il titolo italiano nei 100 rana, 200 misti e nei 100 dorso con record italiano.

Dal 10 al 12 novembre ha partecipato ai Campionati italiani di categoria, conquistando il titolo italiano nei 200 dorso, 100 rana e nei 100 misti.

Nei prossimi giorni partirà per i Trisome Games in Turchia.

cosa molto difficile. Se sento la musica, per esempio, faccio fatica a restare concentrata sulla gara. Penso alla musica, mi viene da ballare…

La mamma: La mancanza di concentrazione è una delle fatiche più grandi per Sabrina. A volte la porto agli allenamenti e l’allenatore si arrabbia, perché lei non vuole concentrarsi e si allena male… E così torna a casa senza allenarsi. Pensa ai risultati che avrebbe la testona se riuscisse a concentrarsi (ride guardando Sabrina).

Hai iniziato ad entrare in acqua da piccolissima, i tuoi genitori ti

hanno portata in piscina molto presto. Ma qual è il tuo primo ricordo della piscina?

Il mio primo ricordo è di me sott’acqua. Mi piace molto stare sott’acqua. Mi piacerebbe molto anche fare immersione, ma diventerebbe troppo impegnativo con già 5 allenamenti alla settimana più la gara. Facevo anche ginnastica artistica prima.

Quindi non ti piace solo il nuoto?

No. Avevo iniziato a fare anche nuoto sincronizzato ed ero molto brava… A me gli sport piacciono tutti, ma non li posso fare tutti! Ho una gara quasi tutte le settimane… Ne ho fatta una anche ieri!

E com’è andata?

Purtroppo, male… Era una gara con la FIN, gareggiavo con i normodotati della mia età.

Quindi non gareggi solamente con i ragazzi con sindrome di Down?

No, per avere la possibilità di fare più gare io gareggio anche con i ragazzi normodotati. Però con loro per me è più difficile…

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Nati nel CSI

Sabrina Chiappa e l’arte del possibile

La mamma: Sabrina ha grandi potenzialità ed è molto forte quando gareggia con i suoi pari. Però è logico che, proprio per la sindrome di Down, Sabrina strutturalmente è, e sarà sempre, ipotonica, quindi fisicamente c’è una grande disparità con i coetanei normodotati.

E come la vivi questa fatica?

Questa differenza?

Quando gareggio con i normodotati purtroppo parto già un po’ demotivata e quindi sono anche meno concentrata, anche se so che devo superare questa cosa e che devo sempre mettercela tutta per recuperare… È che invece mi demoralizzo e faccio brutte gare…

Comunque, hai raggiunto dei gran bei risultati, Sabrina… E cosa succede tra due settimane? Tra due settimane Turchia! Vado in Turchia a fare le Paralimpiadi.

La mamma: Non sono le

Paralimpiadi vere e proprie. Si tratta dei Trisome Games, le Paralimpiadi riservate ai ragazzi con sindrome di Down. Le hanno fatte la prima volta in Italia e ora le fanno in Turchia. Siamo quasi in partenza…

C’è stata una gara che ti ricordi con più emozione rispetto alle altre?

Sicuramente i Mondiali in Messico.

Senti molto l’agitazione e la tensione prima delle gare? No, io entro in acqua sempre molto tranquilla. Non mi preoccupo se vinco o non vinco… Io vado. E poi sono sempre felice.

La mamma: È vero. Lei entra in acqua e va. Ed è vero anche che è sempre felice. C’è stata solo una gara in cui è rimasta male e ha pianto… Vero, Sabrina? Racconta tu…

È stato a Fabriano. Alla partenza, per cercare di concentrarmi, tifavo per la

Io mi alleno a Cremona tre giorni alla settimana; ora faccio un giorno in più a Chignolo, il martedì sera, perché sono sotto i Mondiali e devo fare un allenamento specifico con mia mamma. Ma non mi pesa… Per me è il mio lavoro

mia compagna in acqua che nuotava a stile. Quando è toccato a me, sono partita ma nuotando a stile come la mia compagna; invece, dovevo nuotare a rana… A metà vasca mi sono fermata e ho pianto. Poi sono ripartita e ho vinto comunque, ma già sapevo di essere stata squalificata.

La mamma: Questo succede sempre per la sua fatica a restare concentrata.

In Canada invece, nel 2018, ha fatto dei Mondiali bellissimi. È riuscita a rimanere concentrata e… Chi hai battuto, Sabrina?

Sono riuscita a battere la Mitchell, un’atleta australiana insuperabile, e ho vinto un sacco di medaglie. In Francia invece nei 100 dorso sono arrivata quarta, perché mi sono dimenticata di contare le bandierine per fare la virata e ho sbattuto contro il bordo.

La mamma: E anche la gara a rana, che è il suo stile visto che è

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una ranista, l’ha buttata via sempre perché era poco concentrata.

Quando è uscita dall’acqua, l’allenatore l’ha “ribaltata” e nella gara dopo, che non era nemmeno il suo stile, ha vinto l’argento.

Quindi la tua specialità è la rana?

Ora sono più dorsista. Ho fatto anche il record europeo. Anche se all’inizio dorso non mi piaceva. Attilio, uno dei miei primi allenatori, mi diceva che a dorso ero “una forza della natura”. Poco tempo fa ho fatto anche il record italiano, anche se ho sbagliato la partenza e due virate…

La mamma: Lo stile che odia proprio, ma che è quello che serve di più perché è alla base di tutti gli stili, è stile libero. Una volta l’allenatore non l’ha nemmeno fatta allenare, perché non si impegnava abbastanza nello stile libero.

Vai sempre volentieri agli allenamenti?

Sì, vado sempre volentieri. È impegnativo, ma è anche un divertimento.

La mamma: Certo! Solo che a volte mi fa fare i chilometri per arrivare agli allenamenti e poi invece di impegnarsi nuota come se stesse facendo una passeggiata! (Sabrina ride)

C’è un atleta che è un po’ il tuo mito? A cui vorresti somigliare?

Si, è Nicolò Martinenghi, un campione di rana… gli scrivo anche su Instagram. Poi mi piacciono Koopmeiners dell’Atalanta e Thuram dell’Inter.

Se tu potessi avere un superpotere da usare in acqua, quale vorresti?

Il superpotere dell’adrenalina. Vorrei il superpotere di far scattare l’adrenalina a comando.

La mamma: Intende che, quando gareggia con i normodotati, parte già demotivata e non riesce a dare il massimo.

Va così anche quando gareggia in Italia con i suoi pari, perché sa già che, essendo più forte, non c’è competizione e quindi l’adrenalina non scatta.

Non ti pesa mai allenarti così tanto?

Io mi alleno a Cremona tre giorni alla settimana e in questo periodo quattro giorni; faccio un giorno in più a Chignolo, il martedì sera, perché sono sotto i Mondiali e devo fare un allenamento specifico con mia mamma. Ma non mi pesa… Per me è il mio lavoro.

Ho saputo che sei fidanzata… Sì, da un anno e sei mesi. Prima avevo un altro fidanzato, fino a 6 anni fa, ma non mi chiamava mai. Ora invece il mio fidanzato si chiama Giammaria, io lo chiamo Giammi, ed è veramente un ragazzo romantico. Ci siamo conosciuti al raduno della Nazionale a Terni; è anche lui un nuotatore. Abita in Veneto, ma ci vediamo online tutte le sere.

Quali sono i tuoi sogni per il futuro?

A me piacerebbe tantissimo fare le Paralimpiadi.

La mamma: Le Paralimpiadi sono il suo sogno più grande. Purtroppo, ad oggi, la categoria dei ragazzi con sindrome di Down non è ancora ammessa, loro sono esclusi. Noi speriamo sempre che prima o poi vengano ammessi e che Sabrina possa parteciparvi.

E ho deciso che voglio nuotare fino al 2034, poi smetto di fare le gare, mi sposo con Giammi e giro il mondo con lui e con mia mamma.

Quando non stai nuotando, nei tuoi momenti liberi, cosa ti piace fare?

Mi piace guardare le partite di calcio, ascoltare la musica e ballare. Ascolto tutti gli artisti. Soprattutto italiani e spagnoli. Ad esempio, Sangiovanni, Irama, Rkomi, Alfa e Marco Mengoni. E mi piace andare ai concerti. E poi lavoro, faccio la barista il martedì pomeriggio e il sabato mattina qui vicino a casa mia.

Un’altra domanda direttamente alla mamma: cosa provate voi genitori quando vedete la grande gioia per tutte le cose belle che vostra figlia sta vivendo? Per noi genitori è una grossa soddisfazione vedere Sabrina felice per quello che fa. L’emozione poi di vederla sul podio, ai diversi Mondiali disputati, è stata impagabile e indescrivibile. Il nuoto ha donato molta sicurezza a Sabrina, è molto orgogliosa dei suoi risultati e, quando è in acqua, si sente “normale”: in acqua non avverte nessuna diversità, in acqua si sente sicura.

Ci terrei moltissimo a ringraziare qui tutti quelli che hanno creduto in lei e vorrei citare, oltre ad Alessandro Brembilla, gli allenatori che la seguono ormai da ben 5 anni: Fulvio Belicchi, Federico Belicchi e Silvia Ferrari.

Senza queste quattro grandi persone, Sabrina non sarebbe arrivata dov’è ora.

Sabrina, ci sono tanti ragazzi che, come te, hanno delle fatiche in più o delle disabilità, e magari pensano di non poter fare tante cose, di non poter raggiungere grandi risultati. Cosa potresti dire a loro?

Direi che bisogna sempre impegnarsi, non arrendersi e non dire mai “non ce la faccio”.

Bisogna combattere sempre contro le nostre fatiche.

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La scomparsa del più grande bomber del calcio azzurro, quasi un patrono per i sardi, è stato un duro colpo per tutti gli amanti di questo sport. Rispettato da tutti, Gigi Riva è stato oltre ad un grande mito del pallone, un meraviglioso essere umano

Gigi Riva,

azzurro infinito

A 79 ANNI CI LASCIA “ROMBO DI TUONO”, MONUMENTO DELLA NAZIONALE ITALIANA

di Felice Alborghetti

Nella sua Cagliari, “Rombo di tuono” se ne è andato all’età di 79 anni, anche se il suo nome Giggirriva, rigorosamente tutto d’un fiato, resterà in tutti vivo per sempre, oltre che negli almanacchi del calcio, come il più grande attaccante azzurro, ancora oggi e presumibilmente a lungo recordman di gol segnati in Nazionale: 35 gol in 42 presenze. Eroe, mito, monumento nazionale, Riva è stato quasi un patrono per i sardi, uno dei mori nella bandiera, in quell’isola divenuta poi la sua terra, dopo che al suo primo approdo, sorvolandola dall’aereo, si era chiesto cosa fosse, credendo quasi stesse emigrando. Temeva di andare all’estero, volando in Sardegna. Poi quella riva dei contorni geografici ne rappresentò quasi quella linea sghemba di una “vita in fallo laterale”, come nella canzone del 1983 scritta in suo onore da Piero Marras, il cantautore che al campione dell’unico scudetto rossoblù attribuiva il potere speciale di legare i cuori dei sardi.

Sepolto, come solo i grandi di Sardegna, nel cimitero monumentale di Bonaria, in una cappella accanto alla Basilica di Nostra Signora di Bonaria, dove si sono celebrati i funerali il 24 gennaio del 2024. Davanti ad una marea di persone, oltre trentamila, ma soprattutto davanti all’adorato mare sconfinato. Immenso proprio come lui:

azzurro, profondo, trasparente, scintillante, travolgente e ondoso (che rovesciate le sue!), fragoroso. Come un “Rombo di tuono”, come meglio non poté definirlo il maestro Brera dopo aver assistito al Meazza a quell’1-3 del Cagliari sull’Inter, e alla sua strabiliante doppietta davanti ai tifosi nerazzurri. Rifiutò l’Inter. Disse no alla Juventus. E a Franco Zeffirelli, il regista che lo voleva san Francesco nel suo film Fratello sole, sorella luna I giornalisti che lo hanno frequentato lo hanno tutti celebrato oggi dicendo che era forse migliore l’uomo rispetto al calciatore. Una persona meravigliosa che adorava figli e nipoti, discreto, umile, nonostante una carriera di cui potersi vantare. Un fuoriclasse. Taciturno, solitario, a tratti spigoloso per via dei suoi giovani traumi, poiché a 9 anni aveva perso il papà Ugo, operaio, ed a 14 la mamma Edis, casalinga. Pochi anni dopo anche l’amatissima sorella Candida morì a causa di una leucemia, lasciando così Gigi alla sua solitudine, alle amiche sigarette, all’incontenibile forza e ai suoi inarrivabili goal.

Sembrava davvero un immortale, ma non ci ha lasciati. Sulla bara due maglie, quella italiana e quella rossoblù del Cagliari. Le undici dell’“hombre vertical”, come lo aveva ribattezzato Gianni Mura. Non a caso quel numero 11, due numeri uno allo specchio, l’uomo ed il campione, per tanti il primo perfino meglio del secondo. Entrambi “con la schiena dritta”, come nel 2006, quando scese dal pullman dei festeggiamenti dei campioni del mondo, non appena vide salire sul carro dei vincitori persone che avevano aspramente criticato la Nazionale di Lippi. Quel Marcello, il ct del “cielo azzurro sopra Berlino”, che alla presentazione del docufilm “Adesso vinco io” ci ha tenuto a ricordare Riva come «una grande e bella persona che ha vissuto insieme a noi quei momenti

Chi era Gigi Riva, la leggenda del calcio italiano

Luigi Riva, detto Gigi, nasce a Leggiuno nel 1944. L’oratorio, poi le giovanili nel Laveno e la maglia lilla del Legnano, dove debuttò in Serie C non ancora diciottenne nel 1962, infine il trasferimento al Cagliari nell’estate 1963. Tredici stagioni di calcio con la casacca del Cagliari, dal 1963 al 1976, per un totale di 378 presenze e 208 gol, vincendo per tre volte la classifica dei cannonieri. Nel 1970 è l’uomo simbolo dell’unico scudetto cagliaritano nella sua storia. In Nazionale, 42 gare e 35 reti, con la conquista del titolo europeo 1968 e la finale mondiale persa nel 1970 contro il Brasile di Pelé. Il primo febbraio del 1976 dopo Cagliari-Milan la sua ultima partita. Dopo il ritiro dal campo, Riva è rimasto legato al calcio, diventando Presidente onorario del Cagliari e assumendo ruoli dirigenziali nella Nazionale italiana fino al 2013. Ha contribuito alla formazione di nuove generazioni di giocatori, portando la sua esperienza e saggezza nel mondo del calcio. Bandiera del Cagliari, la sua scelta di restare in Sardegna, nonostante le offerte allettanti da altri club, dimostra tutto il suo attaccamento alla terra e alla squadra che ha reso grande. Ancora oggi è il miglior marcatore azzurro di sempre. Riva è morto per un infarto il 22 gennaio 2024 ed i suoi funerali sono stati trasmessi in diretta televisiva.

mondiali, ogni giorno con qualità e che con gentilezza mi dava consigli… una perdita difficile da sopportare».

E sì; Gigi Riva era forte forte. Alla Nazionale di calcio, oltre che potenza e gol, ha regalato anche due gambe con gli infortuni seri riportati contro Portogallo e Austria. Ma qui la volontà è anche di ricordare l’uomo, che amava un altro sardo d’adozione, Fabrizio De André: un incontro tra due fuoriclasse del mutismo, ben rappresentato da Federico Buffa a teatro nei due “Amici fragili” in una notte fatta di sigari, whisky e sguardi fra le due leggende. “Preghiera in gennaio” era per Gigi il più bel gol del cantautore genovese.

E Gigi Riva da Leggiuno è morto

a Cagliari il 22 gennaio. La sua canzone preferita di Faber diceva «venite in Paradiso /là dove vado anch’io /perché non c’è l’inferno /nel mondo del buon Dio...».

E chissà lassù cosa avrà pensato un altro protagonista di quell’ItaliaGermania 4-3, definita la partita del secolo, Kaiser Franz Beckenbauer, anche lui volato in cielo a gennaio 2024, ora che la storia del calcio si gioca anche fra le stelle.

E infine l’ultimo saluto sono le parole dell’arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi, nella sua omelia funebre «Corri di nuovo, caro Gigi, e tendi ancora quelle tue lunghe braccia al cielo», ricordando la celebre esultanza dell’immenso campione azzurro.

Stadium 35 Attualità

A Bergamo, il 19 e il 20 gennaio scorsi, la XIV edizione del Congresso Nazionale della SIOS

Odontoiatria e Sport: binomio vincente nella Prevenzione

di Delfina Pavesi

Odontoiatria e Sport: un binomio vincente nella Prevenzione.

Se ne è parlato a Bergamo, presso l’Hotel Cristallo Palace, il 19 e il 20 gennaio scorsi, nell’ambito della XIV edizione del Congresso Nazionale della SIOS, la Società Italiana di Odontoiatria dello Sport, presieduta dal dott. Federico Ristoldo, il quale, al termine di questa importante fatica associativa e culturale, ha passato il testimone, avendo completato il proprio mandato da Presidente nazionale. L’evento, data la particolare importanza per le ricadute nell’attività sportiva, è stato patrocinato, tra gli altri numerosi Enti ed Associazioni, anche dal Centro Sportivo Italiano.

Per il CSI era presente Leonio Callioni, giornalista scientifico, già Presidente per due mandati, non consecutivi, del Comitato CSI di Bergamo.

Compito non facile ma brillantemente assolto dal Presidente Ristoldo, la presentazione dei numerosi e vasti argomenti attinenti all’attività della

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SIOS in ottica soprattutto preventiva (oltre che, ovviamente, curativa). Di qui l’impegno della SIOS nella divulgazione scientifica e nelle proposte al Ministero della Salute, in particolare per quanto concerne la prevenzione della salute del cavo orale in una visione ampia dell’attività sportiva, dai più piccoli ai grandi campioni, senza soluzione di continuità.

In questo contesto è stato presentato il nuovo progetto POPS, l’inserimento ufficiale del ruolo dell’odontoiatra sportiva nelle valutazioni medico-sportive e medico-legali ed il riconoscimento dell’odontoiatra nel “ruolo di sentinella nella prevenzione dei disturbi del sonno”.

In particolare, finalità principale dell’evento SIOS è quella di portare in evidenza l’importanza della interdisciplinarietà nelle valutazioni clinico-diagnostiche e terapeutiche, che hanno una fondamentale ricaduta sui costi sociosanitari.

«Dobbiamo sensibilizzare il mondo politico, i dirigenti sanitari, le

“In questo contesto è stato presentato il nuovo progetto POPS, l’inserimento ufficiale del ruolo dell’odontoiatra sportiva nelle valutazioni medico-sportive e medico-legali ed il riconoscimento dell’odontoiatra nel “ruolo di sentinella nella prevenzione dei disturbi del sonno”

istituzioni, gli specialisti di settore, i pediatri, i biologi nutrizionisti ed i medici sportivi – ha sottolineato il Presidente Federico Ristoldo – Per questo e per altri motivi, il Congresso è stato aperto anche agli operatori del mondo sportivo, in particolare alle società sportive, e a tutte le strutture scolastiche, quali i licei scientifici ad indirizzo sportivo, gli odontotecnici e gli optometristi, e quelle universitarie di Fisioterapia, di Scienze Motorie, di Igiene Dentale, di Ortottica, di Biologia, di Podologia, di Osteopatia, di Logopedia, di Psicologia Clinica, di Ingegneria e Tecnologie per la Salute». La presenza al Congresso di relatori di altre realtà scientifiche e di importanti ditte del settore ha testimoniato l’interesse destato dal tema congressuale e offerto una sottolineatura di come la SIOS, pur mantenendo la propria individualità societaria, sia aperta ai confronti culturali, che rafforzano ed arricchiscono le competenze di tutti. I lavori congressuali sono iniziati con i saluti delle autorità presenti: Loredana Poli, Assessore all’Istruzione e allo Sport del Comune di Bergamo, impegnata da sempre nell’abolizione delle barriere architettoniche, nella divulgazione dell’importanza dell’attività sportiva nelle scuole di ogni ordine e grado, e nel sostegno delle varie realtà sportive dedicate agli atleti con disabilità; Leonio Callioni, Direttore responsabile del periodico nazionale dell’Associazione, “Stadium”, come già precisato, in rappresentanza del Centro Sportivo Italiano, già Assessore per le Politiche sociali del Comune di Bergamo e Presidente del Consiglio dei Sindaci della Provincia di Bergamo, per anni Vicepresidente vicario nazionale di AIDO, Direttore responsabile della rivista regionale “Prevenzione oggi” e del Periodico nazionale “L’Arcobaleno AIDO”.

Il compito di portare i saluti del nuovo Direttore generale dell’ASST “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo, Francesco Locati, è stato affidato a Umberto Mariani, Direttore della Unità di Odontostomatologia dell’Ospedale di Bergamo e riconosciuta autorità di alto livello in ambito di patologia e medicina orale, in particolare nella prevenzione e cura delle patologie neoplastiche. A Mariani si deve il perfezionamento di progetti particolarmente dedicati alla popolazione fragile, soprattutto bambini con disabilità.

L’attenzione di questa Unità Ospedaliera si è perfezionata con l’Ambulatorio di Visuoposturologia, di cui è responsabile Federico Ristoldo, quasi interamente dedicato alle persone con fragilità, in particolare agli atleti con disabilità. Hanno inoltre portato il saluto delle autorità: il Presidente della CAO di Bergamo, Stefano Almini, ex Presidente ANDI ed attualmente impegnato nei percorsi formativi e culturali di aggiornamento odontoiatrico; il Presidente dell’ANDI di Bergamo, Matteo Calvo, guida sicura dell’Associazione; Mario Poletti, Tecnico nazionale di atletica leggera paralimpica, Referente per la ricerca, sviluppo e formazione tecnica, presente in numerose Paralimpiadi e che ha portato al successo molti atleti di fama mondiale; Sergio Rizzini, Responsabile della Sanità Alpina e dell’Ospedale da campo ANA (Associazione Nazionale Alpini), che ha offerto la disponibilità dello Shelter Odontoiatrico, Unità mobile attrezzata fruibile a bordo campo delle gare ad alto rischio di impatto oro-facciale nelle competizioni Olimpiche e Paralimpiche di Milano Cortina 2026. Ricchissimo il programma delle relazioni, difficilmente sintetizzabili in queste pagine ma disponibili negli atti reperibili presso la SIOS.

Stadium 37 Prevenzione

Agli inizi degli Anni ’70 l’unificazione tra CSI e FARI

L’incontro tra sport al maschile e sport al femminile

Quello che segue è un elenco di nomi per lo più poco conosciuti, salvo eccezioni, perciò meritevoli di menzione: Grazia Fuccaro, Presidente nazionale della FARI; Aldo Notario, Presidente nazionale del CSI; Giulio Martinucci, Vicepresidente nazionale del CSI; Vincenzo Natalizia, Vicepresidente nazionale del CSI; Chiara Terzani, Vicepresidente nazionale della FARI; don Claudio Bucciarelli, Consulente Ecclesiastico nazionale del CSI.

Sono i protagonisti dell’unificazione CSI-FARI che, nel 1971, a seguito di Congressi straordinari delle due Associazioni e conseguente riforma dei rispettivi statuti, sanciscono l’unificazione tra Centro Sportivo Italiano (per il settore maschile) e Federazione delle Attività Ricreative Italiane (per il settore femminile).

Siamo all’inizio degli Anni ’70, con il vento della contestazione (a lungo ribollente e sfociata nelle manifestazioni del 1968 e proseguita per diversi anni) che soffia potente sulle società “occidentali”. Sulla spinta di giovani universitari, di alcuni sindacati e del movimento operaio, si esprime con forza in tutti i settori della società una potente spinta verso il cambiamento, con la contestazione radicale delle istituzioni.

In quegli anni CSI e FARI concretizzano le idee di collaborazione maturate nel corso

del tempo, alla luce di una rinnovata necessità di proporre, insieme, l’attività sportiva, educativa e formativa, sia per le ragazze che per i ragazzi.

«L’unificazione del CSI e della FARI – apprendiamo dalle pagine del secondo volume di “Cent’anni di storia nella realtà dello sport italiano” del CSI – è un importante avvenimento nella vita delle due Associazioni, un avvenimento che doveva continuare nella ricerca di un modo di stare insieme per dare vita ad un’Associazione unica, nella quale confluire e valorizzare due esperienze diverse, un avvenimento che doveva essere vissuto con coscienza da tutti i soci delle due Associazioni, per valorizzarsi completamente». E più oltre: «Si vuole creare un’Associazione che rovesci il tradizionale e scontato

rapporto di subordinazione del cosiddetto ‘settore femminile’ per far spazio ad una paritetica e corretta collaborazione tra uomini e donne che pensano insieme e che insieme gestiscono la loro attività e la loro vita associativa».

Non ci sono dubbi che, lette oggi, queste poche ma significative affermazioni, dai giovani, risulteranno banali, scontate, perfino superate. Eppure questa unificazione risulterà, ad una lettura storica, profondamente radicale, capace di cambiare la proposta sportiva su tutto il territorio nazionale. E quindi di incidere sui costumi e sulle categorie della società. Quella stessa società che, è bene ricordarlo, fino al decreto del 10 marzo 1946, non consentiva alle donne di esprimere il proprio voto né, tanto meno, di essere elette a ruoli di responsabilità amministrativa.

38 Pillole di Storia

Dolcissime

Un film che per i suoi valori è stato sposato dal CSI, che lo ha promosso nel 2019 all’interno del Villaggio dello Sport al Giffoni Film Festival. Tre “dolcissime“ sincronette che galleggiano fra bullismo, autoironia, uso e abuso dei social. Non una commedia tutto zucchero, ma un messaggio di rispetto e di impegno a favore dell’adolescenza. Specie verso quelle ragazze con disturbi alimentari. Un film che, cambiando gli scenari, sa dirci che «ognuno è prezioso così com’è!».

DOLCISSIME

“Chiattone”: si definiscono più volte così, per rabbia e amore di sé, le tre dolcissime adolescenti protagoniste di questa incisiva pellicola di Francesco Ghiaccio, presentata al Festival di Giffoni nell’estate del 2019. La città è Torino, l’età quella dei fiori profumati: Chiara, Letizia e Maria Grazia respirano giovinezza, amano polpette e lasagne, frequentano lo stesso istituto, vanno alle feste, al parco, sfaccendate a testa in su a fissare l’azzurro del loro domani. Ma notano spesso negli sguardi degli altri – a casa come a scuola, dai genitori ai compagni di classe – quel misto tra compassione, disagio e disprezzo che subisce chi non è in linea coi tempi. Per peso, per amore, per interessi, per scelte di vita. Lo stigma colpisce e lo specchio per alcune fa più male del solito.

Le tre ragazze però non mollano né cibo né vita, anzi reagiscono sfidando sé stesse e il mondo: «Ci siamo anche noi, guardateci!». Incerte ma unite, smarrite ma forti. L’impresa che scelgono è titanica, perché Ghiaccio e Marco D’Amore ritagliano su di loro una sceneggiatura dall’impatto automatico: il filone cinematografico sportivo di riferimento parte dalla Svezia (“The Swimsuit Issue”, 2008), passa per la Francia (“7 uomini a mollo”, 2018) e arriva da noi.

Parliamo di nuoto sincronizzato, disciplina di ardua meraviglia, di coreografica armonia a suon di musica. Bravi, l’avrete capito: il trio affronta una tra le montagne più alte. Sarebbe però un errore immaginare una commedia tutta

Regia di Francesco Ghiaccio , con Giulia Barbuto, Alice Manfredi, Margherita De Francisco, Giulia FiorellinoGenere Commedia - Italia, 2019, durata 85 minuti.

zucchero e pasticcino: il regista conosce bene l’adolescenza di oggi, crea un quadro più articolato, dove uso e abuso dei social hanno un ruolo centrale. Si arriva al lieto fine, certo, ma scalando muri di incomprensione che la nostra società consumistica e plastificata produce a comando. Scopriamo infatti, scena dopo scena, che soffriamo tutti: chi ha qualche chilo in più per danzare nell’acqua come chi pena sul peso raggiunto, vedi l’antagonista-amica Alice, perché il salto finale sia perfetto. Ma quale codice globale stabilisce che una sola sia la bellezza, una sola l’armonia di un corpo nell’aria, per terra o nell’acqua?

I volti noti di Valeria Solarino e Vinicio Marchioni accompagnano le nostre adolescenti dentro un esordio sul grande schermo che affrontano con coraggio e bravura.

“Dolcissime”, senza rinunciare ad un linguaggio semplice e giovanile, lancia un messaggio forte di rispetto e d’impegno a favore dell’adolescenza, soprattutto verso le ragazze, che pagano un prezzo altissimo, d’acuto malessere, per colpa di cliché estetici ancora imperanti. Un plauso dunque al CSI, che ha sposato il film promuovendolo a livello nazionale e locale.

Che aspettate dunque a vederlo?

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“Poesie in Panchina”: a Modena parla Beatrice Zerbini

Sabato 9 marzo 2024 si è tenuto il primo appuntamento con “Poesie in Panchina”, il nuovo progetto ideato dal CSI di Modena con il Centro Documentazione Donna e patrocinato dal Comune di Modena, rivolto ai ragazzi e alle ragazze delle classi delle scuole secondarie di secondo grado.

Inserito all’interno del calendario degli eventi promossi in occasione dell’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, l’incontro si è svolto presso la Casa delle Donne di Modena e ha visto come relatrice la poetessa bolognese Beatrice Zerbini, che, attraverso le sue poesie, ha accompagnato i presenti in una riflessione legata al potere delle parole.

È ormai noto che oggi le parole, per di-

versi motivi, vengono spese sempre meno negli spazi fisici di prossimità come le panchine pubbliche, a favore invece di spazi virtuali, molto spesso alienanti e teatro di condivisioni disfunzionali e troppo spesso cariche di odio, offese e discriminazioni.

È proprio delle donne il primo posto come categoria più colpita dai discorsi d’odio online, seguite da persone con disabilità e omosessuali, secondo l’ultima Mappa di VOX (Osservatorio Italiano dei Diritti). Questo è stato dunque il focus dell’incontro, che ha voluto riportare i ragazzi e le ragazze a sedersi sulle panchine urbane per ascoltare parole e condividere messaggi positivi, oltre che riflessioni che possano seminare una

cultura di cura e di sensibilizzazione al contrasto di tutte le forme e i fenomeni discriminatori.

Benessere in ogni forma e ad ogni età

Ancora una proposta di attività motoria finalizzata al benessere fisico da parte del CSI di Ravenna: sono infatti quattro i corsi riproposti dalla sua società Gym Academy.

Il progetto più innovativo è quello dell’attività motoria e sportiva per pazienti oncologici ed ematologici, avviato anni fa in collaborazione con la dottoressa Chiara Bennati, dell’unità operativa di oncologia dell’ospedale di Ravenna, e con il contributo economico del Comune di Ravenna.

Tale progetto propone percorsi motori e sportivi di ginnastica rieducativa e adattata rivolti a pazienti seguiti dai medici dei reparti di Ematologia ed Oncologia di Ravenna.

All’interno di questo percorso, i pazienti di ogni età possono scegliere tra ginnastica posturale adattata, yoga, nordic walking, pilates e vela: un’attività sportiva ben differenziata e calibrata per evitare che un paziente, sfiduciato e avvilito per la mancanza o la fatica di trovare percorsi dedicati e specializzati, rinunci alla pratica motoria.

Un altro progetto Gym Academy è il ciclo di attività sul pelvic floor. Si tratta di un calendario di incontri dedicati alle donne imperniati sulla salute del

pavimento pelvico, in cui due professioniste guidano ragazze e donne alla scoperta migliore del proprio corpo. Tra gli argomenti trattati, l’anatomia e il movimento adeguato del pavimento pelvico, la menopausa, la gestione del corpo, la ciclicità e la sessualità.

Nel 2024 sono infine ripartiti i corsi per adulti e terza età al Parco Baronio, che permettono di scegliere tra ginnastica posturale e dolce, nordic walking, pilates, yoga e tai chi chuan, come pure due corsi gratuiti di difesa personale, rivolti a ragazze e adulte, organizzati con il Kaishi Judo Romagna.

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PERUGIA

A Silvia, che schiaccia libera

È stata una delle sue ragioni di vita, una passione viscerale a cui non puoi rinunciare nemmeno se la realtà ti mette di fronte muri insormontabili: Silvia Garzi e la pallavolo sono state legate da sempre. Approda da subito nelle giovanili della Sirio Perugia fino alla Serie B. Parallelamente anche nella sua vita personale arrivano gioie: un matrimonio con l’allenatore Francesco Fogu e sei figli. La pallavolo è stata una costante, a cui negli ultimi anni si è aggiunto il beach volley. «Quando entri nella tua passione, t’immergi completamente. Come un equilibrio sopra la follia: sei nella bolla e non esiste altro in quel momento. Silvia viveva così la sua passione». A raccontarla è la sua amica e compagna di squadra Tiziana Lucaccioni. «Aveva un entusiasmo per la vita che era coinvolgente e sapeva trasmetterlo così tanto che ancora oggi riusciamo a sentirla tra noi». Inizia quindi il ricordo di due giovanissime tredicenni che vivono nella stessa città l’amore comune per la pallavolo: «Era talentuosa e bellissima, Silvia. Ci siamo poi perse nel cammino della vita fino a ritrovarci, immancabilmente sotto rete, nei tornei misti del CSI». Perché proprio grazie alle attività del Comitato di Perugia, le strade delle due bambine – ormai donne – si incrociano di nuovo. C’era ancora tanta voglia di schiacciare, murare, difendere e allora ecco il beach volley divenire la nuova passione.

Silvia Garzi è mancata a 47 anni, nel

2021, dopo aver combattuto, da vera leonessa, contro un tumore scoperto proprio mentre si allenava, dopo un dolore improvviso al costato. Nonostante le cure, non ha mai smesso di giocare: nei momenti in cui la malattia sembrava indietreggiare, ha continuato a scendere “in spiaggia” giocando tanti tornei. Rebecca, una delle figlie di Silvia, la ricorda così: «Ha affrontato appieno anche la sofferenza, non si è tirata indietro. È entrata dentro il dolore e l’ha vissuto intensamente cercando di regolarne il volume». Dalle chiacchierate con Tiziana, l’amica con cui Silvia condivideva idee e progetti, è nata l’idea di un torneo di beach volley indoor.

E quest’anno si è potuto realizzare grazie alla sinergia fra i Comitati provinciali di Perugia e Foligno. Sono stati coinvolti più di 60 atleti che, da novembre 2023 a feb-

braio 2024, si sono sfidati in varie località dell’Umbria, facendo nascere uno dei tornei di beach volley indoor più grandi della regione.

Ma anche il torneo di sand volley, che ormai da qualche anno la ricorda e che si svolge sulle rive del Lago Trasimeno in estate, è diventato nel tempo un appuntamento fisso per tanti appassionati. «È stata un’atleta del CSI con la pallavolo indoor – è il ricordo finale del Commissario del Comitato CSI di Perugia, Emanuela Papadia – Abbiamo condiviso l’impegno della nostra Associazione nel valorizzare il movimento del volley, di cui era sicuramente un esempio per i giovani atleti: sia per le soddisfazioni sportive raggiunte ma anche e soprattutto di come una passione può diventare il modo per affrontare gli ostacoli della vita, senza mai mollare».

SALERNO

“Panthakù”. La partecipazione attiva degli adolescenti

Sono stati 529, in otto mesi (4 aprile – 30 novembre), i partecipanti alle attività di Panthakù.com, il progetto con capofila Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini, selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Nato come proseguimento di “Panthakù. Educare dappertutto”, selezionato sempre da Con i Bambini sul primo bando emesso “Adolescenza”, il progetto si snoda attraverso diverse attività pensate su misura per far

crescere in termini di consapevolezza e di relazione la comunità educante. Panthakù.com è una chiamata alla partecipazione attiva, in quanto vuole stimolare la comunità di quartiere a generare valore e capitale sociale, attraverso la coprogettazione di attività ludiche, ricreative ed educative, realizzate spontaneamente, con un approccio partecipato e intergenerazionale, affinché il dialogo e la partecipazione siano sempre più vivi. Bambini e bambine, ragazze e ragazzi

e famiglie sono non più solo destinatari dei servizi, ma anche protagonisti e attori delle iniziative programmate e attivate. Tra i partner del progetto, c’è anche il CSI Salerno, che ha organizzato un campo estivo con la partecipazione di tante bambine e bambini, con lo scopo di divulgare, attraverso i valori dello sport, l’importanza del fare rete e di accogliere le diversità, anche e soprattutto nell’ottica di un percorso mirato alla lotta contro il bullismo e le discriminazioni.

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Ad Orta Nova primi frutti per il nuovo campetto parrocchiale

Uno spazio di incontro e di socialità è tornato ad essere nel foggiano il campo di calcetto della Parrocchia Beata Vergine Maria di Lourdes in Orta Nova, dopo l’intervento strutturale, resosi necessario nei mesi scorsi per renderlo più idoneo, più sicuro, più bello e più

utilizzabile, anche in estate, quando la polvere rendeva molto difficile potervi giocare.

Precedentemente il campo di calcetto, in terra battuta, è stato per molti anni utilizzato da ragazzi e giovani della parrocchia e non solo come avviamento

L’AQUILA

Progetto donna e sport, contro la violenza

Per contrastare la violenza sulle donne, il Comitato CSI L’Aquila ha organizzato una serie di manifestazioni a carattere sportivo e culturale, indirizzate agli alunni della scuola primaria e secondaria dell’Istituto Comprensivo “Fontamara” di Pescina; il corso di formazione “Allenamento al femminile”; attività sportive tra cui calcio a 5 Women e tennis Misto ed il convegno “Donne e sport”. Quest’ultimo è nato con l’esigenza di instaurare un dialogo contro la violenza sulle donne e ricordare i risultati che le donne, nel corso degli anni, sono riuscite a conseguire negli sport un tempo praticati esclusivamente da uomini. All’evento sono intervenute la campionessa nazionale di pallavolo Chiara Di Iulio e la campionessa mondiale di ciclismo Alessandra D’Ettorre, che hanno raccontato le loro esperienze personali nel mondo dello sport.

alla realtà calcistica e per tornei locali o realizzati con il CSI, cui il Gruppo Sportivo Lourdes della Parrocchia è affiliato da anni. Decisiva per l’adeguamento è stata la determinazione dei parroci, don Luciano Avagliano e don Angelo Festa (già Assistente Ecclesiastico del CSI Puglia), oltre alla tenacia dell’inossidabile mister Giuseppe Giuliani – che fin dagli inizi (35 anni fa) incoraggiò don Luciano a valorizzare la struttura. Oggi si raccolgono i primi frutti sul campo dell’inclusione, anche se tutti hanno ancora negli occhi la grande festa tenutasi per l’inaugurazione, con la benedizione propria per gli impianti sportivi, la presenza del Presidente del CSI Foggia, Antonio Anzivino, di Antonio Massa (ex Presidente del Comitato CSI di Cerignola), di parrocchiani, di amici, di genitori e un centinaio di piccoli atleti a giocare, dando vita ad incontri di calcio.

UMBRIA

Il circuito di nuoto regionale

Ritorna il nuoto in Umbria con le Azzurriadi 2024, il terzo circuito regionale promosso dal CSI nella regione del centro Italia. Tre sono le tappe provinciali organizzate: la prima gara si è svolta a Gubbio il 28 gennaio, con 220 iscritti, mentre la seconda è stata organizzata domenica 11 febbraio nella piscina di Gualdo Tadino, registrando circa 280 iscritti. Il 17 marzo la piscina di Bastia Umbra ha ospitato la terza ed ultima gara di qualificazione. Il circuito umbro terminerà con la finale in programma il 14 aprile nella piscina di Umbertide, che determinerà le qualificazioni e l’accesso alle prossime finali nazionali, in programma nella piscina di Lignano Sabbiadoro dal 22 al 26 maggio.

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MILANO

Al via il corso di difesa femminile presso l’Oratorio di San Simpliciano

Dalla collaborazione tra l’ASD San Simpliciano, le ASD AACSO e FIMT e la Commissione Tecnica Nazionale Arti Marziali e da Combattimento del CSI nasce la proposta del corso di difesa femminile rivolto a donne e ragazze a partire dai 14 anni, che è stato avviato nel mese di febbraio presso l’Oratorio di San Simpliciano a Milano. Partendo dall’esperienza maturata dal Maestro di Muay Thai Narciso Bramini, formatore territoriale CSI, e volendo rispondere alle esigenze della platea di partecipanti ed interessati, il corso verte su due obiettivi principali: offrire da un lato un’attività sportiva completa, dall’altro uno strumento per sviluppare una mentalità difensiva e reattiva, utile per tutto il resto della vita. Nel programma ogni aspetto della sicurezza, con fasi pratiche e teoriche, queste ultime finalizzate a condividere esperienze e fornire buone prassi di vita quotidiana.

L’attività offerta, nella sua multidisciplinarità, non solo fornisce strumenti di prevenzione, ma lavora anche da un lato sullo sviluppo ed il potenziamento fisico generale (corpo) e dall’altro sulla crescita e maggior consapevolezza

delle proprie capacità (mente). L’allenamento è caratterizzato da tempi e ritmi ben scanditi e dinamici, creando ogni volta una sessione diversa. È un’esperienza che proprio per la sua duttilità e completezza è aperta alle donne di ogni età, sportive e non. Durante ogni fase del lavoro, viene data grande importanza alle leve psicologiche e alle tattiche preventive che, unite ad un serio e mirato allenamento fisico, fanno la differenza. Nelle sessioni di lavoro, le partecipanti imparano

a prevenire e a fronteggiare situazioni di aggressione: viene insegnato come valutare le circostanze in termini di linguaggio verbale e soprattutto non verbale, sviluppando le capacità percettive e di osservazione dell’ambiente; contemporaneamente, attraverso un serio e costante lavoro fisico, si lavora sulla forma fisica sviluppando riflessi e coordinazione, applicando le tecniche, simulando situazioni reali ed imparando come difendersi utilizzando gli oggetti più comuni.

Genova ha ricevuto il riconoscimento di Capitale Europea dello Sport per il 2024 da parte di ACES Europe. Il calendario di attività e manifestazioni è in continua evoluzione e in costante aggiornamento ed anche il CSI Liguria sarà presente con un progetto specifico, “Silver Fit 2024”, che prevede un coinvolgimento fra le 500 e le 1000 persone over 55. Previsti programmi dedicati in alcune location di tutti i quartieri, lezioni completamente gratuite di ginnastica vertebrale e ginnastica dolce, stretching e corsi per prevenire le cadute: inizio da marzo-aprile fino a novembre, sei ore alla settimana.

«I corsi – dice Luca Verardo, Presidente del CSI Liguria – si svolgeranno in palestre indoor e, in tempo di bella stagione,

in spiaggia e nei parchi pubblici. In programma ci sono anche 15 facili escursioni estive adatte a tutti. Tramite un totem sarà inoltre effettuata anche la rilevazione di cinque indici corporei sanitari, come la pressione arteriosa e la saturazione, per monitorare le persone prima e dopo l’esercizio motorio, valutandone gli auspicabili miglioramenti». Genova è la quarta città al mondo, dopo tre città giapponesi, per indice di anzianità: per queste fasce di età il CSI potrà così operare nell’ambito dell’attività motoria con risultati straordinari. Ad esempio, dopo alcuni test, è emerso che, per le persone affette da diabete di tipo 2, dopo soli sei mesi di esercizi anche semplici, l’utilizzo di insulina è diminuito del 50%.

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la presenza
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LIGURIA Silver Fit 2024:
del
Il

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Il CSI dona per il Ponte del Sorriso

A Varese, per il terzo anno di fila, il CSI ha dato vita ad una raccolta di materiali didattici e di cartoleria attraverso le sue ASD. È stato così riempito un furgone di materiale per le sale gioco dei reparti pediatrici e portato alla Onlus Il Ponte del Sorriso, che risparmierà una spesa di circa 10.000 euro. Si tratta di un’organizzazione che ha cominciato a fare da supporto alla pediatria dell’Ospedale Del Ponte di Varese, che oggi ha volontari nelle principali pediatrie della provincia e che è sempre pronta a donare materiale medico, strumenti diagnostici e,

avendo in gestione una casa, ad offrire ospitalità ai genitori di bambini che arrivano da tutta Italia. I volontari de Il Ponte del Sorriso sono anche nelle sale gioco dei reparti, dove cercano di donare dei momenti di serenità ai bambini, con le attività che farebbero a scuola, come disegno e attività manuali. Disegnare, colorare e fare attività manuali ha una grande importanza nel mitigare gli impatti negativi di una degenza, soprattutto se prolungata. Il CSI Varese si è inserito nella collaborazione con la raccolta fondi, molto sentita soprattutto dalle società giovanili.

Al via il campionato interregionale di baskin

È partito da Gravina in Puglia (BA) il campionato interregionale CSI di baskin, attività sportiva che si ispira al basket pensata per consentire la partecipazione attiva di squadre composte da giocatori con disabilità e normodotati. Il torneo, organizzato dal CSI di Bari, vede il coinvolgimento di sei società sportive provenienti dalle province di Bari, Taranto e Matera: Fortitudo Basket Gravina, Murgia Basket Santeramo, Murgiabasket Cassano, ASD Virtus Marinese, ASH Baskin Taranto e Riva dei Greci Bkt Bernalda. L’obiettivo principale della competizione è quello di promuovere uno sport altamente inclusivo, provando ad eliminare – attraverso appunto lo sport – qualsiasi forma di ostacolo che si presenta nel percorso di crescita dei più giovani. «Il campionato di baskin è ormai un fiore all’occhiello per il Comitato barese del Centro Sportivo Italiano – spiega Serafina Grandolfo, Presidente del CSI di Bari –. Un appuntamento molto atteso da tutti noi, ma soprattutto dagli atleti che quest’anno avranno modo di confrontarsi anche al di fuori

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LECCE Danza con il cuore

Domenica 3 marzo al PalaVentura di Piazza Palio, grazie all’organizzazione del Comitato CSI Lecce e della Commissione tecnica Danza & Welldance, una rassegna di danza, balli di gruppo, welldance e coreographic team sincro ha inondato nella mattinata la piazza di musica, ritmo e colori arancioblu, quelli associativi del CSI. Una nuova e consolidata iniziativa per il CSI Lecce, che continua nel potenziamento e nella crescita del settore danza, con un calendario di eventi ricco di appuntamenti.

Importanti e affermate realtà salentine hanno aderito con entusiasmo alla rassegna, valida come prova regionale e qualificante per la seconda edizione del Concorso Nazionale di Danza sportiva del Centro Sportivo Italiano che si terrà l’11 e il 12 maggio 2024 a Campi Bisenzio (Firenze).

dei confini regionali, grazie alla partecipazione degli amici di Bernalda. Un’occasione unica per vivere lo sport in pieno spirito ciessino».

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BARI

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RAGUSA

Per la festa della donna gli smash del padel #Vita

Dopo l’ottimo successo della Christmas Cup, il CSI di Ragusa ha programmato altre manifestazioni. Dal 1 al 10 marzo si è svolta la kermesse “Padel Smash Festa della Donna”, in occasione appunto di questa ricorrenza. Al via la sola categoria femminile. Le partite si sono svolte presso il club Smash a Ragusa. Dal 18 al 23 marzo si sono disputate le gare del torneo di minivolley “Una sorpresa per la solidarietà”, presso l’istituto tecnico “Fabio Besta” di Ragusa, palestra “Pappalardo”. La finale all’“Umberto I” con l’estrazione di un uovo di pasqua gigante. «Sono pienamente soddisfatta del numero crescente di atleti nei nostri tornei – afferma la Presidente Antonella Caramia – con il padel che continua ad essere uno sport amato, seguito e praticato».

MARCHE

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I “pedali rosa” si danno battaglia nell’off-road

Quando dici “ciclocross”, pensi a fango, sudore, fatica, indumenti appiccicati alla pelle per effetto della pioggia costante e una bicicletta che si può appena muovere a causa dell’irregolarità del tracciato. Ma non cadiamo nell’illusione di pensare che sia uno sport tipicamente maschile. Nelle Marche ci sono tre donne, splendide atlete, che da anni si danno battaglia sulle due ruote e non disdegnano di certo l’off-road, anzi sfruttano l’occasione per rinnovare la sfida e rinsaldare la loro amicizia. Si tratta di Cinzia Zacconi, Ana Maria Risca e Mery Guerrini: i “pedali rosa” delle Marche, regine nel ciclocross, variando un po’ in estate tra strada e MTB.

Mery Guerrini, trentenne della Hairy Gallery Cycling Team di San Severino, quest’anno ha già conquistato l’oro nel Campionato italiano ciclocross federciclistico, dopo aver collezionato un successo dietro l’altro indossando la maglia di leader nella Fertesino Cross Cup CSI. «Se vuoi qualcosa, vai e prenditela! Un sogno finalmente diventato realtà. Di gara in gara cerco sempre di trarre il meglio e di meritarmi tutto ciò che arriva», ha dichiarato al termine della gara tricolore. Ana Maria Risca, trentaseienne della New Mario Pupilli di Grottazzolina nel fermano, nell’anno appena trascorso ha vinto praticamente tutti i Campionati Nazionali CSI su due ruote (7 tricolori per lei) e nel

2024 ha già messo in bacheca i titoli di campionessa regionale Marche e nazionale CSI.

Una garanzia di successo per il patron Mario Traini. Infine, last but not least, Cinzia Zacconi, la più esperta del gruppo: anche lei tesserata per la New Mario Pupilli, ha ormai riempito l’armadio di casa con tutte le maglie di campionessa regionale e nazionale che negli ultimi anni ha portato a casa sulle due ruote. Di più: una intera cabina armadio piena di maglie tricolori listate di arancioblu. Cinzia, sposata con Massimo Viozzi, ha infatti generato una famiglia che, senza timore di smentita, rappresenta l’orgoglio del ciclismo marchigiano.

Infatti mamma Cinzia Zacconi e papà Massimo Viozzi con i tre figli Giacomo, Gabriele e Michele da diversi anni svolgono competizioni di ciclocross e su strada nel CSI, alternandosi sui podi e conquistando numerosi titoli regionali e nazionali nelle diverse specialità: solo nel 2023 si sono portati a casa dai Campionati Nazionali CSI 4 maglie Ciclocross, 2 maglie Cronocoppie, 1 maglia Mediofondo, 1 maglia Gravel e 1 maglia Strada. Insomma tre atlete di assoluto livello, ma anche tre amiche: una volta tagliato il traguardo, dopo la sfida agonistica si passa alla condivisione di spensierati momenti di amicizia e di rispetto delle avversarie, in linea con i valori del CSI.

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CSI

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LAZIO

A marzo il via del Ciclotour MTB 2024

Ha preso il via il 24 marzo a Tarquinia (VT), la Cicloturistica “Festa della Primavera”, il Ciclotour MTB 2024, un circuito di eventi di cicloturismo non competitivi, organizzato con la collaborazione delle società dei Comitati provinciali CSI di Roma, Viterbo, Frosinone e Caserta.

Il circuito è formato da più raduni cicloturistici non competitivi con biciclette del tipo MTB, Gravel ed a pedalata assistita, e non è previsto il cronometraggio.

I percorsi sono su strade prevalentemente sterrate con brevi tratti di asfalto.

AREZZO

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Dopo la tappa etrusca per l’inaugurazione, si correrà a Santi Cosma e Damiano (LT) il 12 maggio, quindi a San Gregorio Matese (CE) il 30 giugno, poi a Viterbo il 15 settembre e a Rocca di Papa il 22 settembre, con il traguardo finale fissato a Valmontone il 6 ottobre. Al termine del circuito cicloturistico interregionale del CSI, nell’ultima prova in programma, verranno premiate tutte le squadre affiliate al Centro Sportivo Italiano che abbiano partecipato ad almeno 4 tra le 6 prove in calendario, con particolare riconoscimento in base al numero di partecipanti per squadra.

Il Vescovo Migliavacca al battesimo della Clericus Arretium

Si è svolta la mattina del primo marzo presso la Sala di Giustizia del Palazzo Vescovile di Arezzo la presentazione della “Clericus Arretium”, la prima rappresentativa di calcio a 5 del CSI di Arezzo in collaborazione con la Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, formata da sacerdoti del territorio.

Alla presenza di Mons. Andrea Migliavacca, Vescovo della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, sono intervenuti per illustrare il percorso della rappresentativa Lorenzo Bernardini, Presidente del CSI di Arezzo, don Andrzej Zalewski, Rettore del Seminario di Arezzo, e Mario Palazzi, l’allenatore durante le partite che nei mesi a venire svolgerà il team.

«Questa è un’iniziativa importante che riconosce e vede come promotore il CSI della nostra provincia per una squadra a cinque composta da religiosi e preti», ha evidenziato Mons. Migliavacca. «Un bel progetto accolto dalla Diocesi, che ha dato il suo patrocinio, perché mette in luce e dà l’occasione di scoprire lo sport come realtà educativa. Diventa un’opportunità per

veicolare anche la proposta di un’educazione con orizzonte cristiano. Altro obiettivo importante è ritrovare gli oratori: lo sport fa parte delle attività che possono vivere le nostre realtà. Auguro una bella avventura a questa squadra e divertimento nel gioco».

Il Presidente Bernardini ha quindi ufficializzato alcuni appuntamenti: «Il primo allenamento ufficiale ci sarà giovedì 11 aprile, mentre i primi incontri in amichevole avverranno venerdì 12 aprile con delle rappresentative che abbiamo già contattato, come i consiglieri comunali di Arezzo, i giornalisti e la Polizia di Stato».

Donata la maglia ufficiale della rappresentativa con il numero uno e la scritta “Vescovo” a mons. Migliavacca e successivamente sono state mostrate le divise ufficiali: la prima di colore bianco, la seconda maglia, invece, è a sfondo nero con le maniche gialle. In più, una polo di rappresentanza tutta gialla e il gagliardetto ufficiale della squadra.

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IMOLA

Ad Imola c’è spazio per il Pedagna Play Lab

Play District: un nuovo spazio di comunità ad Imola, grazie al bando di Sport e Salute. La polisportiva del Comitato CSI di Imola, in collaborazione con associazioni e società sportive del territorio, si è infatti aggiudicata il bando per generare

luoghi di aggregazione per i giovani che consentano la partecipazione attiva alla vita sociale, con particolare attenzione alle categorie maggiormente a rischio di marginalizzazione. Lo Spazio Civico del CSI Imola, denominato Pedagna Play

TOSCANA

Il

CSI Toscana presenta “EduCARE sport”

Lo sport come strumento di educazione per trasmettere, a partire dai più giovani e dai territori più svantaggiati, i valori di integrazione, rispetto reciproco e socialità sulle orme degli insegnamenti di Don Milani.

Sabato 9 marzo, presso la cittadella del Movimento dei Focolari di Loppiano, si è svolto il convegno regionale di “EduCARE Sport”, il progetto del CSI Toscana, diffuso in tutta la regione con oltre 50 iniziative promosse grazie all’azione dei Comitati territoriali del CSI con il coinvolgimento delle società sportive e delle parrocchie. Dinnanzi ad una platea ricca di autorità ecclesiastiche, sportive ed istituzionali, è stato in apertura il Presidente regionale del CSI toscano, Carlo Faraci, ad illustrare le diverse azioni progettuali previste nell’anno, con particolare attenzione alle periferie ed alle zone con le maggiori difficoltà.

Tra le iniziative in programma, tornei di dodgeball, softball, pallamano, calcio a 5 e a 7, triathlon, padel, corsi di atletica per adolescenti a rischio e attività psicomotorie.

Ed ancora tornei tra ragazzi con disabilità, percorsi sensoriali e yoga per bambini con disagio e disabilità, la staffetta internazionale Run4unity dei “Ragazzi per l’unità”. Ecco allora che lo sport può avere un ruolo fondamentale nella crescita dei ragazzi e li può aiutare ad affrontare le proprie fragilità, offrendo loro un’opportunità di maturazione agonistica ma soprattutto personale. «Lo sport accessibile, esperienza formativa e di crescita, è strumento di inclusione e coesistenza delle differenze

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Il territorio al centro

Lab, nasce e si sviluppa in prevalenza nel quartiere Pedagna, uno dei più recenti e popolosi di Imola, ma carente di spazi di aggregazione giovanile slegati dalla pratica sportiva agonistica e semi-agonistica o dalle attività associative. L’iniziativa ha quindi l’obiettivo di offrire ai giovani, in particolare nella fascia d’età 14/19 anni, un luogo in cui ritrovarsi e svolgere gratuitamente attività varie che possano coinvolgerli e stimolarli. Nello specifico le attività proposte quest’anno sono scherma, pallavolo, calcio senza barriere e basket per quanto riguarda la parte sportiva; si aggiungono poi laboratori musicali e creativi: dopo un’attività con stampante 3D e un gruppo teatrale, già avviato, a marzo è partito un progetto che vedrà i ragazzi impegnati nella produzione di un cortometraggio, realizzato con l’aiuto di esperti del settore.

e contribuisce a costruire comunità più coese e solidali» ha dichiarato l’Assessore regionale alle politiche sociali Serena Spinelli, mentre mons. Andrea Migliavacca, delegato CET per sport, turismo e tempo libero, ha evidenziato come «il messaggio universale di Don Milani richiama alla dimensione della comunità e alla responsabilità delle istituzioni ecclesiali e civili chiamate ad impegnarsi a rendere praticabili percorsi di accoglienza attraverso l’esperienza sportiva».

Stadium 47

Pagine di sport tra gli scaffali

CINQUE CERCHI DI SEPARAZIONE

Edizioni Paginauno

Il testo “Cinque cerchi di separazione” ci offre un’appassionante analisi sulle sfide affrontate dalle donne nello sport nel corso del tempo. Grazie ad una scrupolosa ricerca storica, l’autore ci conduce lungo un viaggio che va oltre la superficie delle competizioni sportive, esplorando le barriere di genere e le discriminazioni affrontate dalle atlete nel corso dei decenni. Il libro si apre con un’analisi delle prime Olimpiadi e della netta opposizione del barone De Coubertin alla partecipazione delle donne, evidenziando come le discriminazioni di genere siano state presenti fin dai primi eventi olimpici. Attraverso diverse storie di atlete coraggiose, il libro illumina la lotta secolare delle sportive per superare ostacoli normativi, sociali, culturali e fisici, evidenziando come, nonostante i progressi, la parità di genere nello sport rimanga un obiettivo non pienamente realizzato. Con una prosa coinvolgente e una ricerca approfondita, Federico Greco ci offre un’opera che non solo informa, ma anche ispira e stimola il dibattito su un tema di fondamentale importanza nella società contemporanea.

VIETATO DIRE NON CE LA FACCIO

di Nicole Orlando con Alessia Cruciani Edizioni Piemme

Ci troviamo davanti ad una di quelle storie che ti scuotono e ti fanno riflettere. “Vietato dire non ce la faccio” non è solo un racconto di vita, ma una vera iniezione di coraggio e determinazione. Nicole Orlando, con la collaborazione di Alessia Cruciani, ci porta nel suo mondo, facendoci capire che le etichette e i pregiudizi sono solo barriere che possiamo abbattere con la forza di volontà.

Nicole è una campionessa, non solo nello sport ma anche nella vita, e ci dimostra che la sindrome di Down non è un limite, ma una caratteristica che la rende unica. Il libro è un viaggio nella sua vita, dalle piccole grandi conquiste quotidiane alle vittorie sportive, e ci racconta di come Nicole ha fatto di “vietato dire non ce la faccio!” il suo motto di vita.

È un libro che si rivolge a tutti, grandi e piccoli. È un messaggio potente per i ragazzi, che possono trovare in Nicole un modello di resilienza e perseveranza nell’inseguire i propri sogni, ma anche per gli adulti, perché è sempre il momento giusto per ricordarsi che si può cambiare atteggiamento di fronte alle difficoltà.

FONDAMENTALI

di Giorgia Bernardini, Olga Campofreda, Elena Marinelli, Tiziana Scalabrin, Alessia Tuselli Edizioni 66thand2nd

Ènotizia recentissima l’addio alla Nazionale femminile di calcio di Sara Gama che, ai colori azzurri, ha dato tutto.

Al rientro dal Mondiale del 2019, uno dei momenti più alti del nostro calcio in rosa, Sara pronuncia un discorso commovente: ogni donna, combattendo per affermarsi nel mondo sportivo, percorre un pezzettino di strada, per poi lasciare il testimone a chi verrà dopo di lei.

“Fondamentali” parte proprio da qui. Parte dalla consapevolezza che il percorso verso la parità di genere nel mondo dello sport è ancora lontano, ma che le protagoniste di questa lunga e tortuosa via stanno costruendo un futuro in cui è bello e doveroso immaginarsi.

Cinque autrici, cinque storie per raccontare la sfera femminile dello sport da dentro.

Cinque anche i temi che danno il titolo a ciascuno dei contributi delle autrici, ognuno dei quali riassume uno dei “fondamentali”, appunto, dello sport: Corpo, Sangue, Icone, Movimento, Talento.

In Libreria 48
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