Stadium n. 14/2025

Page 1


Papa Leone XIV

«Lo sport è una via per costruire la pace»

Da Francesco a Leone. Il CSI cammina assieme alla Chiesa

Nei giorni scorsi si sono svolte le elezioni del CONI e del CIP, che di fatto hanno chiuso il ciclo elettivo iniziato dopo le Olimpiadi di Parigi, aprendo il quadriennio 2025/2029. Come CSI e a nome mio personale, esprimo le più sincere congratulazioni a Luciano Buonfiglio per la sua elezione alla Presidenza del CONI. In un momento così delicato per l’intero sistema sportivo nazionale, il CSI è pronto a lavorare insieme, affinché, sotto la sua guida, si possa rafforzare ulteriormente l’attenzione verso lo sport di base, al servizio di ogni atleta, in ogni luogo, negli oratori e nelle parrocchie, con particolare attenzione alle giovani generazioni. I migliori auguri di buon lavoro anche a Marco Giunio De Sanctis, eletto nuovo Presidente del CIP. Il CSI ribadisce l’attenzione che ha da sempre e la totale disponibilità a collaborare in un settore che ci ha visto protagonisti nell’accoglienza e nella promozione di tutte le discipline paralimpiche. Permettetemi infine un ringraziamento sincero ai due presidenti uscenti, Giovanni Malagò (CONI) e Luca Pancalli (CIP), per l’amicizia e per il grande lavoro fatto insieme.

Più che mai, questo numero di Stadium mette in imbarazzo per la scelta, doverosa, degli articoli e

degli argomenti da mettere in rilievo nell’editoriale. Parto dal saluto di benvenuto, un po’ informale, che, per conto del Centro Sportivo Italiano, rivolgo al Santo Padre Papa Leone XIV. Un benvenuto, pur se venato dalla tristezza per la perdita di Papa Francesco che ricordiamo in diverse pagine di questo numero, che vuole essere una dimostrazione di affetto e di disponibilità a promuovere, anche con la Sua paterna guida, l’attività sportiva, come sempre nella nostra storia, cristianamente ispirata, aperta a tutti, inclusiva e capace di promuovere la crescita di ogni persona che ci viene affidata. Raccomando poi la lettura del prezioso articolo che Tommaso Liguori dedica al nuovo Pontefice e alle sue straordinarie caratteristiche di Padre attento e generoso. Abbiamo vissuto nel mese di giugno l’esperienza straordinaria del Giubileo degli Sportivi, di cui parla – tra gli altri e con la consueta competenza e passione pastorale –l’Assistente Ecclesiastico nazionale, don Luca Meacci. Un Giubileo che ha consacrato la preziosa presenza nella storia dello sport in Italia proprio del Centro Sportivo Italiano, poiché Papa Leone XIV, nella Santa Messa nella Basilica di San Pietro, ha indicato il percorso da seguire per realizzare il valore di uno sport che

sia davvero strumento di fratellanza, di solidarietà, di aggregazione sociale e portatore di pace. In ciò ricordando le parole che San Paolo VI rivolse al CSI in occasione di un incontro con l’indimenticabile Pontefice che tanto amò la nostra Associazione. Sempre contaminato dalla meravigliosa disponibilità del Papa, ecco l’articolo sul Giro d’Italia, che ha avuto il suo epilogo proprio con partenza dal Vaticano, dove il Pontefice ha benedetto l’impegno sempre straordinario dei ciclisti, invitandoli a curare «tutto l’essere umano: corpo, mente, cuore e spirito».

Una particolare sottolineatura merita la meravigliosa esperienza della Philadelphia Junior Cup, che ha raccolto tanto entusiasmo di ragazzi impegnati in squadre di oratorio di tutta Italia e che ha avuto il suo straordinario epilogo nello scorso mese di maggio all’Olimpico di Roma, come da tradizione, dopo un lungo percorso a contatto con la realtà calcistica della Lega Serie A e sintetizzata dal titolo “Un calcio tra oratorio e sogno”. E tanto, tanto altro ancora. Buona lettura a tutti.

Vittorio Bosio

Presidente nazionale CSI

Stadium

I CONTENUTI & LA SQUADRA

Parola di Presidente p. 1

L’angolo dell’Assistente p. 3

Attualità «Habemus Papam» p. 4

Il Papa ai ciclisti del Giro d’Italia: «Siete un modello per i giovani del mondo» p. 8

Polizze&Sport p. 11

Time Out

Giubileo dello Sport p. 12

Dossier

Le vie del Signore sono infinite... e tutti ci giocano a palla p. 14

L’intervista

Mons. Valentino Bulgarelli p. 20

Pillole di storia p. 25

Nati nel CSI

Roberto Donadoni p. 26

I motori dello sport

L’allenatore: una figura chiave p. 31

Focus Un calcio tra oratorio e sogno p. 34

CineSport p. 40

#VitaCSI p. 41

In Libreria p. 48

EDITORE E REDAZIONE

Centro Sportivo Italiano Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma www.centrosportivoitaliano.it - comunicazione@csi-net.it Mail di redazione: stadium@csi-net.it

PERIODICITÀ

Trimestrale

DIRETTORE RESPONSABILE

Leonio Callioni

DIRETTORE EDITORIALE Vittorio Bosio

REDAZIONE

Felice Alborghetti, Francesca Boldreghini, Daniela Colella, Massimiliano Dilettuso, Alessio Franchina, Giorgia Magni, Laura Politi, Laura Sanvito, Daniele Zaccardi

FOTO

© Vatican Media, Noemi Giorgi Photographer, Museo del Calcio di Coverciano, Clarissa Lapolla, Lega Serie A, Phototoday, Imago Mundi – Romano Siciliani

SEGRETERIA DI REDAZIONE

Laura Sanvito

GRAFICA

Gianluca Capponi, Loretta Pizzinga

HANNO COLLABORATO

Gaetano Rizzo, Mario Beschi, Teresa Falco, Valentina Serri, Massimo Libero Mangieri, Annamaria Angora, Francesco Zucca, Davide Emmanuel Vitamore, Dario Ferrante, Alessio Molinari Bucarelli, Alessio Di Francesco, Marco Calogiuri, Agnese Vescovo, Miranda Parrini, Federigo Noli, Giovanni Scarlino, Gaia Tozzo, Francesco Calia, Francesco Piccone, Ilaria Beretta

Stadium è iscritto presso il Tribunale di Roma - Sezione Stampa al n. 158/2021 del 5/10/2021

Stampato da Varigrafica Alto Lazio, Zona Ind.le Settevene - 01036 Nepi (VT) Italia - su carta Fedrigoni Arena White Smooth da 140 gr. biodegradabile e riciclabile

Varcare la Soglia. Il Giubileo degli Sportivi tra corpo, spirito e Vangelo

DALLA PORTA SANTA AL CAMPO SPORTIVO: UNO SGUARDO SUL VALORE AUTENTICO DELLO

SPORT ALLA LUCE DELLA FEDE

In questi mesi, molti gruppi e associazioni sono stati chiamati a Roma per il Giubileo a loro dedicato. Anche lo sport ha avuto il suo momento: il 14 e 15 giugno si è celebrato il Giubileo degli Sportivi. Il CSI ha partecipato con entusiasmo, segno del desiderio di sentirsi parte viva di una Chiesa che, oggi più che mai, vuole riaffermare quanto scrive san Paolo:

«Per mezzo di Lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. […] La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,2.5).

Importanti e significative le parole di Papa Leone XIV che, da buon sportivo, ha mostrato di conoscere a fondo il fenomeno dello sport. Nei giorni successivi al Giubileo mi sono chiesto: che cosa rappresenta per noi sportivi?

Che senso ha celebrare e partecipare a quei riti che ci hanno condotto a Roma? Ho provato a rileggere ciò che abbiamo vissuto, cercando di coglierne il valore e il senso più profondo per il nostro impegno nel CSI. Parto dal gesto più simbolico: il passaggio della Porta Santa. Varcarla è come tagliare un traguardo. Ma non serve allenamento fisico, bensì spirituale: è una preparazione interiore, una

consapevolezza della nostra chiamata. Superare quella soglia significa lasciare fuori ciò che non serve, nello sport come nella vita associativa, ed entrare in una dimensione nuova, di condivisione e fede, che anima il CSI da oltre 80 anni. Entrare in una Chiesa è entrare nel luogo dell’incontro con Dio, per rinnovare l’esperienza di fede e lasciarla agire anche nelle dinamiche associative. Lo sport, così vissuto, diventa un’occasione d’incontro con Dio, che ci ha donato un corpo da allenare e migliorare.

L’evento giubilare è stato anche occasione per rimettere al centro lo sport, valorizzandolo per ciò che è, liberandolo da ciò che lo riduce a spettacolo commerciale. Il Giubileo richiede un cammino di purificazione: chi ama lo sport, consapevole del suo valore etico, è chiamato a riconoscere le insidie che lo minacciano. Quando lo sport non mette al centro la persona, ma l’interesse economico, si snatura. L’esperienza giubilare ci ha mostrato come i veri valori dello sport emergano solo se vissuti nella loro autenticità. Abbiamo riscoperto che lo sport:

• valorizza il corpo, ne mette in luce la forza, l’armonia, la capacità di miglioramento. Risponde all’invito dell’apostolo Paolo: «Glorificate dunque Dio nel vostro corpo» (I Cor 6,20);

• esalta lo spirito, perché induce l’atleta e chi ama lo sport a

conseguire valori come bontà, generosità, lealtà, rispetto delle regole, accoglienza dell’altro. Lo sport è gioco di squadra, è stare insieme. La vita spirituale non è evasione, ma coinvolgimento della persona;

• valorizza l’avversario, che non è un nemico da distruggere, ma grazie a lui scopri chi sei, quali sono le tue capacità;

• affronta la vita: ogni sportivo sa che per raggiungere un traguardo deve allenarsi, fare sacrifici, rinunce. La vita esige lo stesso impegno;

• opera per la pace. Cercare la vittoria non vuol dire annientare l’altro, ma confrontarsi per riconoscere capacità e limiti. Le manifestazioni sportive, specie quelle internazionali, sono occasione di incontro e arricchimento;

• rivela la gloria di Dio, dove “gloria” indica la sua presenza: quando nello sport c’è gioia, amicizia, voglia di competere in leale confronto, soddisfazione per l’obiettivo raggiunto, quando ti stai migliorando, qui c’è Dio. «Sia dunque che mangiate, sia che beviate o qualsiasi cosa facciate, fate tutto per la gloria di Dio» (I Cor 10,31).

don Luca Meacci

Assistente Ecclesiastico nazionale CSI

«Habemus Papam»

L’8 maggio 2025 il Conclave ha eletto il primo pontefice

statunitense della storia

LEONE XIV AMA LO SPORT ED È APPASSIONATO DI TENNIS, TANTO

CHE TRA LE PRIME UDIENZE

PRIVATE CONCESSE C’È STATA

QUELLA CON IL NUMERO UNO AL MONDO DEL CIRCUITO ATP, L’AZZURRO JANNIK SINNER.

TRA I SUOI PRIMI IMPEGNI

C’È STATO IL GIUBILEO DEGLI SPORTIVI

di Tommaso Liguori

Una casualità che fa sorridere e riflettere. Il 7 maggio sono scattati gli Internazionali di tennis al Foro Italico e, lo stesso pomeriggio, i 133 cardinali elettori, convenuti a Roma da 70 Paesi del mondo, si sono chiusi in Conclave per eleggere il successore dell’Apostolo Pietro, il Papa numero 267 della storia della Chiesa cattolica.

Neanche a farlo apposta, la scelta del nuovo pontefice è ricaduta, dopo appena quattro votazioni, su un grande appassionato di tennis, lo statunitense Robert Francis Prevost, che Papa Francesco, dal 30 gennaio 2023, aveva chiamato in Vaticano per guidare l’importante Dicastero dei Vescovi. «Mi considero un giocatore dilettante» aveva dichiarato Leone XIV in una lontana intervista alla rivista in lingua inglese dell’Ordine Agostiniano. «Da quando ho lasciato il Perù ho avuto poche occasioni per allenarmi, quindi non vedo l’ora di tornare in campo». È stato il numero uno del mondo, il nostro Jannik Sinner, a offrirgli questa possibilità. In occasione dell’udienza privata, concessa in Vaticano mercoledì 14 maggio, il tennista altoatesino gli ha chiesto se gli sarebbe piaciuto fare due scambi con lui. Leone XIV è stato subito al gioco; sorridendo e impugnando la racchetta, ha risposto

che nelle sale della Santa Sede era troppo pericoloso ma che vestito così, sicuramente, sarebbe potuto scendere in campo contro di lui a Wimbledon dove, come sanno tutti gli appassionati, è obbligatorio giocare con la divisa bianca come la talare indossata dal Santo Padre. In occasione di questo incontro, si è visto quanto il pontefice fosse contento di scambiare due parole con il numero uno della classifica mondiale, confermando tutta la sua passione per questo sport.

I fortunati che conoscono Leone XIV, e lo hanno visto giocare in passato, dicono che il suo colpo migliore sia il rovescio e che in campo abbia sempre messo in mostra un forte spirito agonistico.

Se Papa Francesco è stato un grande ammiratore di Diego Maradona, la curiosità di tutti gli sportivi sarà scoprire il tennista preferito di Leone XIV. Il mitico Roger Federer? Oppure André Agassi, visto che il Santo Padre ha fatto il nome del giocatore statunitense in occasione dell’incontro con i giornalisti nell’aula Nervi.

Altra curiosità si è accesa intorno al baseball perché Chicago, città dove Prevost è nato il 14 settembre 1955, ha due squadre nella MLB; pare che le simpatie del Papa pendano dalla parte dei White Sox. Per quanto riguarda il nostro campionato

Udienza privata di mercoledì 14 maggio concessa a Jannik Sinner da Papa Leone XIV

Caro Papa Leone XIV...

Carissimo Santo Padre, Leone XIV, Le scrivo nel mio servizio di Presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano, per chiedere la Sua paterna benevolenza. Già nel nome dell’Associazione che rappresento c’è il significato di questa mia lettera: Sportivo.

Sono orgoglioso di poter sottolineare che siamo nati, per iniziativa della Gioventù di Azione Cattolica, ben ottanta anni fa.

Tutto il mondo ha scoperto che Lei, Santo Padre, è uno sportivo, amante in particolare del tennis. Questo mi fa pensare che Lei conosca i valori dello sport in tutte le sue espressioni, dalle più semplici alle più elevate, quelle, per intenderci, delle eccellenze di cui tutti parlano, scrivono, trasmettono alle radio e sulle televisioni.

Sono certo che, per Lei, tutte queste forme di sport sono importanti allo stesso modo. Io ho il grande privilegio di rappresentare quel circa milione e mezzo di sportivi, diffusi in tutta Italia, che fanno capo soprattutto alle società sportive degli oratori e delle parrocchie, e che sono amorevolmente curati nelle circa 14 mila società raccolte nel Centro Sportivo Italiano. Scrivo “amorevolmente curati” perché in questo consiste il nostro impegno a fare ogni giorno e questa è la nostra modalità di attività sportiva: amore per le persone, piccoli, grandi e anziani, che si affidano a noi.

In questi ottanta anni, abbiamo fatto tantissimo sport, di ogni genere e in ogni angolo d’Italia, dai centri delle grandi metropoli ai quartieri periferici, alle frazioni più sperdute. Anzi, posso affermare che, là dove non arriva nessun altro, spesso c’è la presenza del CSI. Il CSI è oggi un’Associazione impegnata a valorizzare le potenzialità educative e inclusive dello sport: abbiamo accolto minori ucraini in fuga dalla guerra, promuoviamo il benessere degli anziani, accompagniamo persone detenute in percorsi di reinserimento, contrastiamo fenomeni come il bullismo, interveniamo nelle periferie più difficili e ad alta povertà educativa d’Italia. Tutto ciò perché crediamo nello sport come strumento di giustizia, di prossimità, di speranza. Le comunità sportive del CSI agiscono come veri e

propri soggetti educativi diffusi su tutto il territorio. Grazie all’impegno dei nostri educatori sportivi, siamo in grado di intercettare da vicino i bisogni delle persone, garantendo una prossimità e un’attenzione personalizzata. Lo sport per noi non è solo competizione, ma un percorso di crescita umana e sociale, e i campi da gioco e di allenamento diventano uno spazio di ascolto, di crescita, di fraternità.

Santità, mi permetto di chiederLe una carezza speciale per quei ragazzi che non vinceranno mai una medaglia, che non avranno riflettori puntati addosso, ma che nel CSI trovano uno spazio per esprimersi, per fare amicizia, per imparare a sacrificarsi, per crescere. Altri, legittimamente, potranno mostrare bacheche piene di trofei prestigiosi; noi no. I nostri trofei sono le immagini della gioia esplosiva e contagiosa che accompagna spesso il nostro fare sport. Il trofeo più grande è la felicità di ragazze e ragazzi, giovani, adulti e anziani. Lo sport, infatti, esprime una magia speciale: permette di vivere momenti di felicità.

La nostra più grande vittoria è quel punto conquistato da una squadra sempre ultima, ma fiera della sua amicizia; sono le ragazzine dei piccoli paesi che possono finalmente giocare a pallavolo, nuotare, danzare… grazie al pulmino del CSI; sono le atlete e gli atleti con disabilità che giocano fianco a fianco con gli altri, insegnandoci, ogni giorno, l’impegno e la dignità; sono i bambini arrivati da terre martoriate dalla guerra e dalla povertà, che nel gioco ritrovano futuro e speranza.

Felicità, in conclusione, è poter vivere lo sport in una dimensione umana, che rende sorelle e fratelli tutti, al di sopra delle nazionalità, delle origini familiari, delle disponibilità economiche, per fare insieme quel percorso nella vicenda umana, consapevoli di essere profondamente e incessantemente amati da Dio.

Sono certo che Lei saprà vedere, con il suo amorevole sguardo, anche la nostra attività sportiva; e che ne sarà felice.

Grazie, Santità.

Presidente nazionale CSI

di calcio, i ben informati hanno rivelato che Leone XIV avrebbe una certa simpatia per la Roma; su questo andrà d’accordo con il Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. In effetti, in occasione della sua visita pastorale a Genazzano, al Santuario della Madonna del Buon Consiglio, al Papa, scherzando, è scappato un “daje Roma” a un fedele che lo aveva avvicinato.

Tra l’altro, subito dopo la conclusione del Conclave, sulla rete sono circolate tantissime immagini che, ironizzando, hanno messo in risalto la somiglianza del nuovo Papa con l’ex allenatore giallorosso, Claudio Ranieri.

A rimettere ordine a questa presunta simpatia giallorossa ci ha pensato lo stesso Pontefice che, il 27 maggio, ha voluto ricevere in udienza privata la squadra del Napoli, fresca vincitrice del suo quarto scudetto.

Nella stupenda Sala Clementina, scherzando, queste sono state le prime parole di Leone XIV ai giocatori e ai dirigenti del Napoli: «Forse non volevano applaudire perché nella stampa si dice che io sono romanista… Ma benvenuti! Questo lo dice la stampa. Non tutto quello che leggete sulla stampa è vero».

Alla vigilia del Conclave, Prevost non era il Cardinale favorito ma era stato inserito nel gruppo dei papabili perché era considerato una figura di alto profilo spirituale e di

compromesso tra i cosiddetti “bergogliani” e l’ala più conservatrice. L’elezione dello statunitense, infatti, se ha colto di sorpresa i tantissimi fedeli accorsi in Piazza San Pietro, non ha meravigliato più di tanto gli addetti ai lavori. Più spiazzante per tutti, semmai, è stata la scelta del nome: Leone.

Il primo papa a adottare questo nome fu Leone Magno, diacono di origini toscane nato intorno al 390 e morto il 10 novembre 461. Lo stesso appellativo fu scelto da Giovanni dei Medici, secondogenito di Lorenzo il Magnifico, che dichiarò eretiche le posizioni di Martin Lutero che era stato un agostiniano come Prevost; l’ultimo Leone, il 13°, è stato, invece, Vincenzo Gioacchino Pecci, eletto il 20 febbraio 1878 e morto il 20 luglio 1903.

Leone XIV è il 51° Papa straniero, il primo statunitense e il primo dell’ordine agostiniano, un ordine mendicante nato solamente nel XIII secolo e la cui tradizione ne fa risalire le origini a Sant’Agostino, Vescovo di Ippona e Dottore della Chiesa, vissuto tra il IV e V secolo. È considerato la figura più rappresentativa della Patristica. Tra i primi impegni del Papa c’è stato il Giubileo degli Sportivi, il 14 e il 15 giugno; tutto il mondo dello sport si è riunito a Roma per ascoltare le nuove indicazioni pastorali di Leone XIV, che nei gesti e nelle parole di questo momento iniziale del suo pontificato sembra ricordare molto la figura di San Giovanni Paolo II, anche lui un grande appassionato di sport.

Aurelio De Laurentiis, Presidente SSC Napoli, ricevuto in udienza
il 27 maggio

Leone XIV ha dato il benvenuto ai ciclisti in Vaticano, invitandoli a curare «tutto l’essere umano: corpo, mente, cuore e spirito»

Il Papa ai ciclisti del Giro d’Italia: «Siete un modello per i giovani del mondo»

La stretta di mano con la maglia rosa, Simon Yates, che ha condotto il gruppo lungo i 3 km di un percorso per molti sconosciuto. Le altre storiche tappe del Giro in Vaticano, il legame antico tra bici, Chiesa e CSI

Papa Leone XIV ha salutato, nel pomeriggio di domenica

1° giugno 2025, in piazza dei Protomartiri, i ciclisti del Giro d’Italia al passaggio nello Stato della Città del Vaticano, nel prologo all’ultima tappa capitolina dell’edizione.

Leone XIV ha poi accolto una delegazione di ciclisti, formata da Simon Yates, la maglia rosa, Isaac Del Toro, maglia bianca dopo aver vestito il rosa fino alla giornata precedente, Mads Pedersen, maglia ciclamino, e Lorenzo Fortunato, maglia azzurra.

«Buongiorno a tutti, benvenuti in Vaticano. È un piacere potervi salutare in quest’ultima tappa del Giro d’Italia. Spero per tutti voi sia veramente una giornata bellissima. Sappiate – dice Leone – che siete modelli per i giovani di tutto il mondo, tanto si ama il Giro d’Italia non solo in Italia [...]. Il ciclismo è tanto importante come lo sport in generale – sottolinea Prevost –, vi ringrazio per tutto quello che fate, siete modelli davvero. Spero che, come avete imparato a curare il corpo, anche lo spirito sia sempre benedetto e siate sempre attenti a tutto l’essere umano: corpo, mente, cuore e spirito. Che Dio vi benedica!». Al Pontefice il gruppo dei 159 ciclisti rimasti nella corsa ha donato una maglia rosa, il simbolo che spetta al vincitore della gara a tappe. Amore infinito per questo sport infinito.

Il “Giro del Vaticano” dura una mezz’oretta

La partenza dell’ultima tappa dell’edizione numero 108 del Giro d’Italia è avvenuta dalle Terme di Caracalla. In modalità non agonistica, i ciclisti sono entrati nella Città del Vaticano attraverso l’Ingresso del Petriano, percorrendo 3 km e mezzo all’interno delle mura vaticane. La carovana ha pedalato accanto alla Basilica e alla sagrestia di San Pietro per poi salire nella direzione

dei Giardini vaticani, passando davanti alla chiesa di Santo Stefano degli Abissini, alla stazione ferroviaria interna allo Stato della Città del Vaticano, nella zona del Palazzo del Governatorato. I ciclisti sono poi saliti verso il monastero Mater Ecclesiae, la Grotta della Madonna di Lourdes, la Torre di San Giovanni e l’eliporto. Per poi fiancheggiare le mura, lungo il cosiddetto “percorso mariano”: un vero e proprio “giro del mondo”, reso possibile dalla presenza di tante immagini della Vergine Maria venerata come patrona nei diversi Paesi del mondo. A chiudere il “percorso mariano” il mosaico della Madre del Buon Consiglio, cara alla spiritualità agostiniana. Il Giro in Vaticano ha poi raggiunto il Giardino quadrato e i Musei Vaticani, dove la toponomastica ricorda le gare volute da Papa Pio X a inizio Novecento. I ciclisti, attraversando via delle Fondamenta all’ombra della Cappella Sistina, accanto all’abside della Basilica, sono arrivati sul piazzale di Casa Santa Marta per uscire dallo Stato della Città del Vaticano attraverso la Porta del Perugino.

Un Giro con i Papi

La storia dei Pontificati si è incrociata più volte con il mondo del ciclismo. Il 26 giugno del 1946 Papa Pio XII ha ricevuto i partecipanti al XXIX Giro

d’Italia, prima della tappa da Roma a Perugia. Papa Pacelli si affacciò dal balcone centrale del Cortile di San Damaso affermando: «Il vostro ardore giovanile e il vostro slancio sportivo vi rendono particolarmente cari al nostro cuore. Andate dunque, al sole radioso d’Italia, di questa vostra Patria, di cui conoscete le native splendenti bellezze e della quale volete essere campioni degni ed intrepidi. Andate, o prodi corridori della corsa terrena e della corsa eterna».

Il 20 maggio del 1972 fu l’allora patriarca di Venezia, Albino Luciani, a dare il via all’edizione numero 55 del Giro d’Italia, partito il giorno successivo dalla città veneta. «Nulla di ciò che è umano – aveva detto in quell’occasione il patriarca di Venezia che nel 1978 sarebbe diventato Giovanni Paolo I – è estraneo alla Chiesa. Ora, se tutto lo sport è umano, per noi italiani il Giro d’Italia è umanissimo. Esso non è solo competizione sportiva, è movimento di masse, gioiosa festa di popolo per quanto riguarda il presente; è leggenda ed epopea per quanto riguarda il passato [...]. Gli occhi –aggiunse – vedono i campioni di oggi, ma il cuore, specialmente di noi vecchi, dietro ad essi vede i campioni di ieri: Girardengo, Binda, Coppi,

ai

Giro

Bartali. E con i campioni ritrova le commozioni di ieri, gli entusiasmi per le arrampicate ardite, per le passeggiate dei solitari delle Dolomiti. Sono dunque qui per amore del Giro. Ma anche per amore di Venezia».

Il 16 maggio del 1974 fu Paolo VI a ricevere nel Cortile di San Damaso, in Vaticano, i partecipanti al Giro d’Italia. In quell’occasione il Pontefice dette il via alla corsa ciclistica. «Per la prima volta nella storia – disse Paolo VI – il Giro prende il via dalla Città del Vaticano. Diciamo il nostro compiacimento a voi e agli organizzatori della popolare competizione per aver voluto così sottolineare la vostra volontà di dare un significato all’Anno Santo che si sta celebrando nelle Chiese locali [...]. Ci rallegriamo inoltre nel vedere

tuttora valida e vitale una formula, che ha il suo valore non solo spettacolare, ma educativo di gara generosa, forte, semplice, rispettosa dei valori della persona: come delle virtù che essa esige e propone; e come tale la indichiamo al rispetto e all’emulazione specie dei giovani, che devono trovare in voi, cari atleti, non un ideale astratto, ma un’esemplificazione concreta di frugalità, di sacrificio, di autocontrollo, di cameratismo, di fraternità, che li incoraggi a seguire vie diritte nel difficile cammino della vita».

L’edizione del Giro d’Italia nel 2000 si è svolta in coincidenza con il Grande Giubileo. Papa Wojtyla ricevette in udienza gli atleti alla vigilia dell’inizio della gara ciclistica. «Ogni attività sportiva, a livello sia amatoriale che agonistico – sottolineò Giovanni Paolo

II – richiede doti umane di fondo, quali il rigore nella preparazione, la costanza nell’allenamento, la consapevolezza dei limiti delle capacità della persona, la lealtà nella competizione, l’accettazione di regole precise, il rispetto dell’avversario, il senso di solidarietà e di altruismo. Senza queste qualità, lo sport si ridurrebbe ad un semplice sforzo e ad una discutibile manifestazione di potenza fisica senz’anima».

Amarcord: quando il CSI partecipava al Giro d’Italia

Sfogliando “Stadium” e le altre riviste del tempo, è facile trovarvi immagini della Corsa in Rosa collegate al CSI, a cominciare dalla Balilla, ammiraglia dell’Organizzazione del Giro D’Italia con la scritta del Centro Sportivo Italiano.

Il CSI, appena dopo la sua fondazione, infatti, trovava il tempo e il modo di partecipare al Giro d’Italia. La filosofia che animava l’Associazione era quella della massima apertura alle novità e, nelle prime edizioni del dopoguerra del Giro, il CSI si presentava ai nastri di partenza con una propria squadra, perlopiù composta da un paio di stagionati veterani e da qualche giovane di belle speranze. Erano gli anni in cui il ciclismo diveniva sport sempre più popolare е cominciava ad essere molto seguito dal pubblico, lo spettatore non pagava un biglietto e poteva sostenere lungo le strade i propri beniamini.

Pio XII, il 26 giugno del 1946, salutò i ciclisti nel primo appuntamento ufficiale del Giro, promosso su iniziativa de “La Gazzetta dello Sport”, che festeggiava i suoi 50 anni, e in collaborazione proprio con il CSI, che lo stesso Pontefice aveva fatto sorgere pochi mesi prima per ridare vita all’associazionismo sportivo in chiave cattolica. Quell’incontro si svolse nel cortile di San Damaso, dove si allinearono i corridori secondo le rispetti-

ve squadre. Alla prima loggia del Palazzo Apostolico, presso il balcone centrale, attendevano il Santo Padre, il direttore de “La Gazzetta dello Sport”, Bruno Roghi; il capo ufficio dell’organizzazione del Giro d’Italia, Alfredo Cugnet; il commissario del CONI, Giulio Onesti; assieme al Presidente del neonato CSI, Luigi Gedda; con la maglia rosa Vito Ortelli, e Walter Generati, capitano della squadra del CSI.

Il 21 maggio 1952 Pio XII ricevette ancora, nella sala Clementina, la “carovana del Giro”. La delegazione era formata da oltre seicento persone tra dirigenti, corridori, giornalisti e meccanici. Era guidata dal Presidente del CSI Luigi Gedda, da alcuni dirigenti e dall’Assistente Ecclesiastico mons. Albino Galletto, che, prima dell’udienza, aveva celebrato nella Chiesa di Santo Spirito il suffragio per il compianto atleta Orfeo Ponsin. Tra i corridori presenti all’incontro vi erano: Gino Bartali, Fausto Coppi, la maglia rosa Nino Defilippis e i rappresentanti delle squadre di Francia, Svizzera, Spagna ed Australia. Il Pontefice, salutando gli atleti, aveva rivolto a ciascuno parole di augurio e di incitamento e aveva poi distribuito a tutti i presenti un ciondolo coniato dal Centro Sportivo Italiano con l’immagine della Madonna con l’iscrizione “XXXV Giro d’Italia 1952”.

La denuncia dei sinistri è “paperless”

In caso di sinistro durante l’attività sportiva, può capitare che il danneggiato sia in difficoltà nel denunciare l’accaduto, sia per l’eventuale condizione fisica (delle volte tale da impedire agli interessati di occuparsi della relativa burocrazia), sia per la presenza di procedimenti di denuncia talvolta farraginosi. Per tali motivi Marsh – leader globale nel settore del broking assicurativo e della consulenza per il rischio –, per rendere il processo di denuncia rapido e agevole, mette a disposizione dei tesserati CSI la possibilità di procedere online alla denuncia dei sinistri, attraverso una modalità innovativa e paperless.

A tal scopo è stata sviluppata un’area web appositamente dedicata alla denuncia dei sinistri, facilmente accessibile dallo

smartphone e dal tablet, attraverso un sistema perfettamente compatibile con tutti i browser disponibili. Dalla sezione del sito raggiungibile all’indirizzo web www.marshaffinity.it/CSI si può:

- inserire una nuova denuncia: è possibile inoltrare la denuncia del sinistro, scaricare il modulo di denuncia pre-compilato con i dati inseriti ed allegare tutta la documentazione che serve per l’apertura della pratica; - monitorare lo stato delle pratiche inserite: attraverso l’accesso al portale sarà possibile, in ogni momento, visualizzare lo stato di avanzamento delle pratiche; - gestire la documentazione: nei casi in cui l’ufficio sinistri comunichi la necessità di integrare la documentazione con

ulteriore materiale utile ai fini della corretta valutazione del sinistro, è possibile inoltrare quanto richiesto attraverso il portale; - richiamare un sinistro denunciato in forma cartacea: attraverso la sezione del sito “Richiama Sinistro”, è possibile monitorare lo stato delle denunce trasmesse in forma cartacea attraverso il modulo tradizionale ed inoltrare, anche in questi casi, l’eventuale ulteriore documentazione richiesta.

Per qualsiasi chiarimento e per ricevere ulteriori informazioni, è sempre possibile rivolgersi al Contact Center al numero 02/48538043 o alla casella di posta con indirizzo info.csi@marsh.com, dedicata alla denuncia dei sinistri.

Due giorni di sport, fede e testimonianza nel cuore di Roma

Quando il gioco diventa missione Giubileo dello Sport

«DAI, COME IMPERATIVO DEL DARE»: IL PAPA COMMUOVE E ISPIRA IL MONDO SPORTIVO NEL

GIUBILEO CHE UNISCE FEDE, VALORI E FRATERNITÀ

Atleti, tecnici, famiglie e appassionati da ogni continente si sono dati appuntamento a Roma il 14 e 15 giugno per il Giubileo dello Sport, una manifestazione intensa e ricca di significati che ha animato luoghi iconici come Piazza del Popolo, l’Auditorium Augustinianum e la Basilica di San Pietro.

La mattinata di sabato 14 è stata inaugurata con il convegno intitolato “Lo slancio della speranza: storie oltre il podio”, ospitato nell’Auditorium Augustinianum. L’evento ha visto la partecipazione di diverse figure di spicco – tra le quali Sérgio Conceição (ex calciatore ed ex allenatore del Milan), Letsile Tebogo (oro olimpico nei 200 m a Parigi 2024, 22 anni), Amelio Castro Grueso (scherma paralimpica con il Team Rifugiati) e Giampaolo Mattei (Presidente di Athletica Vaticana).

La riflessione, arricchita dai saluti del cardinale José Tolentino de Mendonça e di Thomas Bach (oggi presidente onorario del CIO), ha

posto l’accento sul valore umano dello sport, invitando a riconoscerlo come “laboratorio di speranza e di dialogo” e antidoto contro le culture di esclusione. Dal mattino fino alle 16:30, Piazza del Popolo si è trasformata in un vero e proprio Villaggio dello Sport, promosso dal CONI insieme a Federazioni, Enti di Promozione e Associazioni del territorio. Attrazioni, dimostrazioni, momenti ludicoformativi e workshop hanno coinvolto atleti di ogni età. Sul palco si

sono alternati grandi protagonisti – Gordon Hayward (NBA), Felipe Massa (ex F1), Giulia Ghiretti (nuoto paralimpico), Damiano Tommasi (ex calciatore e sindaco di Verona), Pino Maddaloni (judo) e Caterina Banti (vela) – che hanno raccontato come lo sport sia innanzitutto “scuola di vita e missione di fraternità”, in perfetta sintonia con il tema del Giubileo. Alle 16:45 il Villaggio ha lasciato spazio a un momento di confronto – “Lo sport genera speranza” –culminato alle 18 con il suggestivo Pellegrinaggio della Speranza, partito da Piazza Pia e guidato dalla Croce degli Sportivi insieme agli amici di Athletica Vaticana, verso il passaggio solenne attraverso la Porta Santa della Basilica di San Pietro. Questo gesto simbolico ha sottolineato come lo sport possa diventare “diplomazia di pace”, capace di unire culture e popoli diversi.

Domenica mattina, alle 10:00, nella Basilica di San Pietro, Papa Leone XIV ha presieduto la Santa Messa giubilare, seguita da 3.500 fedeli

– in gran parte sportivi, dirigenti e famiglie – e concelebrata dai cardinali

José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, e Mauro Gambetti, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano e arciprete della Basilica, insieme a otto vescovi e 250 sacerdoti. In assemblea erano presenti le massime autorità sportive e istituzionali: il Presidente onorario del CIO Thomas Bach, il Ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi e il Presidente nazionale del CSI Vittorio Bosio. Apprezzatissime dal CSI –presente nelle due giornate giubilari a Roma con oltre 1.500 iscritti e numerose società sportive – le parole del Santo Padre, noto sportivo e appassionato di tennis, che ha lanciato un messaggio centrato sulla missione dello sport come espressione dell’amore di Dio Trinità: «Cari sportivi, la Chiesa vi affida una missione bellissima: essere, nelle vostre attività, riflesso dell’amore di Dio Trinità per il bene vostro e dei vostri fratelli».

Parla da vero capitano il Santo Padre, incoraggiando tutti coloro che operano nel mondo dello sport. «Il binomio Trinità-sport – afferma Leone XIV – non è esattamente di uso comune, eppure l’accostamento non è fuori luogo. Ogni buona attività umana, infatti, porta in sé un riflesso della bellezza di Dio, e certamente lo sport è tra queste. Del resto, Dio non è statico, non è chiuso in sé. È comunione, viva relazione tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che si apre all’umanità e al mondo. La teologia chiama tale realtà pericoresi, cioè “danza”: una danza d’amore reciproco. È da questo dinamismo divino che sgorga la vita. Noi siamo stati creati da un Dio che si compiace e gioisce nel donare l’esistenza alle sue creature, che “gioca” […]. Ecco perché lo sport può aiutarci a incontrare Dio Trinità: perché richiede un movimento dell’io

verso l’altro, certamente esteriore, ma anche e soprattutto interiore. Senza questo, si riduce a una sterile competizione di egoismi». Prima di concludere, il Santo Padre ha offerto un’immagine suggestiva e inaspettata, prendendo spunto da un’espressione familiare a chiunque abbia assistito a una gara: il grido “Dai!” lanciato dagli spalti agli atleti. Da questa semplice parola, Papa Leone ha tratto una riflessione profonda sul significato del dono di sé nello sport e nella vita: «Pensiamo a un’espressione che, nella lingua italiana, si usa comunemente per incitare gli atleti durante le gare: gli spettatori gridano: “Dai!”. Forse non ci facciamo caso – afferma il Santo Padre – ma è un imperativo bellissimo: è l’imperativo del verbo “dare”. E questo può farci riflettere: non si tratta solo di dare una prestazione fisica, magari straordinaria, ma di dare sé stessi, di “giocarsi”. Si tratta di darsi per gli altri – per la propria crescita, per i sostenitori, per i propri cari, per gli allenatori, per i collaboratori, per il pubblico, anche per gli avversari – e, se si è veramente sportivi, questo vale al di là del risultato».

Un’omelia densa e ispirata, che ha richiamato anche le parole di Pontefici precedenti, come San Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo degli Sportivi del 1984: «Lo sport è gioia di vivere, gioco, festa, e come tale va valorizzato […] mediante il recupero della sua gratuità, della sua capacità di stringere vincoli di amicizia, di favorire il dialogo e l’apertura degli uni verso gli altri, […] al di sopra delle dure leggi della produzione e del consumo e di ogni altra considerazione puramente utilitaristica ed edonistica della vita».

Una menzione anche a San Paolo VI che, vent’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ricordava

proprio ai membri del CSI quanto lo sport avesse contribuito a riportare pace e speranza in una società sconvolta dalle conseguenze della guerra, con queste parole: «È la formazione di una società nuova, a cui si rivolgono i vostri sforzi: […] nella consapevolezza che lo sport, nei sani elementi formativi che esso avvalora, può essere utilissimo strumento per l’elevazione spirituale della persona umana, condizione prima e indispensabile di una società ordinata, serena, costruttiva».

Il Giubileo dello Sport del 14 e 15 giugno a Roma si è rivelato un caleidoscopio di sport, fede, cultura e fraternità. Da Piazza del Popolo alla Porta Santa, passando per storie ispiratrici di atleti e allenatori, l’evento ha dimostrato che lo sport – molto più di una competizione – è un potente veicolo di inclusione, appartenenza e speranza, capace di abbattere barriere e unire generazioni e nazionalità. Un grande laboratorio di dialogo e testimonianza, che ha elevato il concetto di sport a missione umana e spirituale.

In questo senso, risuonano ancora con forza le parole del Papa: «Lasciatevi coinvolgere da questa missione, con entusiasmo: come atleti, come formatori, come società, come gruppi, come famiglie».

Un invito che vale per tutti coloro che vivono lo sport come passione e servizio. Un’esortazione che parla in modo particolare anche al CSI, che da ottant’anni promuove valori di comunità, educazione e fraternità attraverso lo sport quotidiano, nelle palestre, negli oratori, nei campetti di periferia. Un incoraggiamento a continuare, a correre insieme, a “giocarsi”, come ha detto il Papa, per un mondo più giusto, umano e solidale.

“Dai!” quindi.

Leggi l’omelia di Papa Leone: urly.it/31b9ky

Le vie del Signore sono infinite... e tutti ci giocano a palla

FRANCESCO TRA I PALLONI DI STRACCI CHE DANNO SPERANZA AGLI

Ese quelle scarpe comode e consumate, fatte apposta per camminare tanto, per fare strada, per accompagnare percorsi, Papa Francesco le avesse volute dall’inizio alla fine del suo pontificato

di Giorgia Magni

anche per essere sempre pronto a stoppare una palla lanciata da un bambino e ricalciarla a sua volta?

Se non avesse voluto farsi trovare impreparato nel raccogliere un cross improvviso in qualche piazzetta

sperduta “alla fine del mondo” (così definiva i luoghi da cui proveniva) e fare goal in una porta disegnata su un muro?

Non ci stupiremmo se fosse così, perché Francesco prima ancora di

PAPA
ULTIMI

essere Papa era stato semplicemente un ragazzino argentino, e come tutti gli argentini viveva a ritmo di sport: «Ho il ricordo del pallone di stracci, la pelota de trapo – disse in un’intervista a “La Gazzetta dello Sport” – Il cuoio costava e noi eravamo poveri, la gomma non era ancora così abituale, ma a noi bastava una palla di stracci per divertirci e fare quasi dei miracoli giocando nella piazzetta vicino a casa».

A fine anni ’40 Francesco già scopriva il significato endemico del calcio per la sua gente e dello sport come popolare strumento di protagonismo sociale che nobilita anche se giocato nei vicoletti dei

barrios. Ogni espressione collettiva e culturale dell’Argentina era, ed è, impregnata di pallone e sport che diventano un’arte del vivere, una fede che sfiora quella religiosa senza per questo destare sgomento; nemmeno in Francesco, che a 17 anni entrò in seminario ma che fino a quel momento aveva giocato dove la povertà affamava la gente, le famiglie resistevano insieme, e per le strade il fútbol si ballava… E non ha mai dimenticato.

Nel giorno della sua scomparsa, il 21 aprile scorso, si sono rincorsi i video, le riproposizioni di interviste e discorsi che ricordavano al mondo la grandezza di alcuni passaggi storici

del suo mandato da successore di Pietro. Per la prima volta il tema sportivo è stato centrale nel ricordo del Papa “degli ultimi”. Anche Wojtyla era un estimatore dello sport, che praticava e consigliava con entusiasmo, ma in Bergoglio la pratica supera la passione personale e diventa ricorrente nel suo pontificato, una visione di comunità e crescita strettamente connessa alle fragilità, al riscatto di chi non smette di allenarsi alla vita, in un continuo rimando di sguardi ribaditi in tutti i 12 anni da pontefice: «Lo sport, anche nella semplicità, può salvare dal degrado, può risollevare dal disagio familiare e, soprattutto nelle periferie, può dare ai ragazzi che soffrono

Le vie del Signore sono infinite... e tutti ci giocano a palla

per situazioni difficili, una valvola di sfogo che aiuti a superare le tensioni buttandole fuori con un bel calcio alla palla». Così rifletteva Francesco nella sua autobiografia “Life. La mia storia nella storia” (HarperCollins – 2024).

Il fatto è che di parole sul valore dello sport ne sentiamo tante noi altri che stiamo in questo ambiente. Ascoltiamo discorsi e convegni che ribadiscono cose fortunatamente introiettate da almeno 80 anni nel Centro Sportivo Italiano, cose in cui crediamo fortemente e da cui lasciamo guidare le nostre scelte. Ma quante volte ormai assistiamo a discorsi asciutti, distratti, convenzionali e di routine? Quante parole consumate nel ripetere ritornelli

ormai stanchi sui valori dello sport e il suo impatto sociale? I pensieri di Francesco su questo tema, invece, non hanno mai avuto quel retrogusto retorico un po’ stucchevole delle cose che si dicono perché bisogna, perché qualcuno vuole sentirsele dire, ma risentivano di uno slancio d’anima che aveva il sapore di quella “buena aire” respirata nelle strade della sua città, la capitale argentina. Sapeva di cosa parlava quando faceva riferimento ai poveri, alle “periferie del mondo”, ai fragili, al bisogno di riscatto, alle solitudini, alla necessità di essere comunità e “giocare da squadra”; lo sapeva perché ci era stato dentro con tutti gli scarpini e anche da scalzo. Sapeva di cosa parlava quando nominava lo

sport e gli effetti dolcissimi che può avere sulla gente; lo sapeva perché lo aveva visto e vissuto nella parte semplice e genuina, di quella gente.

Per questo, o meglio, anche per questo, lo abbiamo sentito così vicino al nostro percorso nell’attività quotidiana e nel progetto di volontariato sportivo internazionale “CSI per il Mondo”, che fa un po’ da somma di queste due tensioni al bene tra sport e prossimità. Vicino lo abbiamo avuto davvero, fisicamente, in quel 7 giugno del 2014 quando ci incontrò tutti, ma tutti davvero, in una piazza San Pietro scalpitante di 50.000 tesserati del Centro Sportivo Italiano. Anche lì tornarono le sue origini, anche lì tornò il centro del

Don Bosco diceva che se si vogliono radunare dei ragazzi basta mettere una palla sulla strada, anche se di stracci: i piccoli arriveranno come le mosche quando c’è un dolce ben in vista!

suo pensiero che condivise con noi in occasione dei 70 anni del CSI: «Vi auguro di sentire il gusto, la bellezza del gioco di squadra, che è molto importante per la vita. No all’individualismo! No a fare il gioco per sé stessi. Nella mia terra, quando un giocatore fa questo, gli diciamo: ‘Ma questo vuole mangiarsi il pallone per sé stesso!’. No, questo è individualismo: non mangiatevi il pallone, fate gioco di squadra». Ascoltarlo parlare di sport faceva venire la voglia di chiedergli: «Partitella?». Perché sarebbe stato bellissimo vedere Papa Francesco tra i pali (per sua stessa ammissione non era fortissimo fuori), provare a segnargli per poi tornare «alla signorilità di abbracciarsi», come scriveva ancora nel suo libro parlando dell’importanza di vivere le competizioni con grande passione e trasporto, ma solo sino al fischio finale. Una partitella a calcio ma anche a basket, sport che Francesco amava e del quale suo padre era stato un giovane campione; o a rugby, con quel terzo tempo che il Pontefice apprezzava perché sottolinea come la partita «non sia una guerra tra nemici, ma solo un’occasione di competizione tra avversari nel gioco» (dall’intervista a “La Gazzetta dello Sport”).

Una partitella in strada, al campetto… In oratorio: «Gli oratori sono nati anche per questo, per salvare tanti giovani dalla strada e dare loro un’alternativa a forme di devianza che avrebbero potuto incontrare durante l’adolescenza – si legge sempre nell’autobiografia – Don Bosco diceva che se si vogliono radunare dei ragazzi basta mettere una palla sulla strada, anche se di stracci: i piccoli arriveranno come le mosche quando c’è un dolce ben in vista!». Ecco ancora quello sport che

agisce nel tessuto delle comunità, che diventa alternativa per i giovani, proposta di crescita, educazione, che si poggia su «lealtà, impegno, sacrificio, inclusione, spirito di gruppo, ascesi e riscatto». Sette parole per altrettanti capitoletti, sono quelle con cui Francesco riassunse il suo sguardo puntuale sullo sport. Lo fece in un’accorata intervista con “La Gazzetta dello Sport” pubblicata il 2 gennaio 2021. In quell’occasione il Papa rispose a 31 domande evidenziando però questi 7 concetti davanti al direttore della “rosa”, Stefano Barigelli, al vicedirettore Pier Bergonzi, autore dell’intervista, e a Don Marco Pozza, prete di frontiera impegnato con i detenuti, prescelto da Bergoglio per la stesura della via Crucis e grande uomo di sport tra calcio, ciclismo e maratona.

Questi sette punti che Papa Francesco ha annotato ci servono come segnali di riferimento in un mondo, quello dello sport, così vario e articolato da potercisi smarrire. È sport quello che si vive con le ginocchia sbucciate al campetto; è sport quello dei piccolini che esordiscono in squadra con i pantaloncini risvoltati tre o quattro volte e i calzettoni che non stanno su; è sport quello nella palestra un po’ diroccata in una scuola di periferia. È sport quello tenuto insieme da dirigenti volontari che reggono con il loro servizio intere società sportive. È sport quello delle luci che illuminano stadi e palazzetti del mondo, dove si celebrano gesta e imprese di campioni olimpici, di sportivi che alzano coppe del mondo, dove brillano medaglie d’oro e piovono emozioni per milioni di tifosi sugli spalti. Ma è sport anche quello all’interno del quale si annidano gli scandali del doping, della corruzione,

Le vie del Signore sono infinite... e tutti ci giocano a palla

delle scommesse che sporcano la bellezza, della criminalità organizzata, dell’arrivismo, di campioni che non sono pronti per esserlo e crollano sotto il peso di soldi facili e lusso improvviso.

Come ci orientiamo? Come preserviamo la nostra idea dell’educare attraverso lo sport? A cosa dobbiamo tendere per non perderci? A che esempio? È qui che quelle sette parole di Francesco tracciano un perimetro sicuro.

La lealtà che significa non trovare alibi e prendere scorciatoie: «Pensiamo sia la soluzione immediata e più conveniente ma quasi sempre conduce a degli esiti negativi. La scorciatoia, infatti, è l’arte di imbrogliare le carte» diceva.

L’impegno Papa Francesco lo spiegava ricorrendo alla Parabola dei Talenti (Mt 25, 14-30): «Il servo che al ritorno del padrone restituisce il talento ricevuto, che per paura aveva nascosto sottoterra, viene considerato malvagio non perché ha rubato ma proprio perché non ha messo a frutto ciò che aveva ricevuto in dono. Nello sport non basta avere talento per vincere: occorre custodirlo, plasmarlo, allenarlo, viverlo come l’occasione per inseguire e manifestare il meglio di noi».

Anche il sacrificio, altro termine evidenziato, lo pone in relazione alla religione: «“sacrum-facere” è dare sacralità alla fatica. A nessuno piace fare fatica perché la fatica è un peso che ti spezza. Se, però, nella fatica riesci a trovare un significato, allora il suo giogo si fa più lieve».

Parla di ascesi Francesco, di quell’esercizio costante, dedito, faticoso e profondo che affina le abilità, «che rende asceti […] È la possibilità dello stupore».

Lo spirito di squadra, «perché nessuno si salva da solo», e l’inclusione dei fragili sono visioni che maturano direttamente da quell’infanzia e giovinezza nei quartieri popolari di Buenos Aires a giocare con la palla di stracci. Da qui nasce la speranza di Bergoglio per vivere le Olimpiadi come ponte per includere e non muro che divide, momento che nella storia fu in grado di imporre tregua dalle guerre: «Ogni quattro anni, il mondo ha la possibilità di fermarsi per chiedersi come sta, come stanno gli altri, qual è il termometro di tutto» continuava nelle sue risposte a “La Gazzetta”.

Tornano “gli ultimi” nella riflessione più accorata dedicata al riscatto, quella che più colpisce mettendo al centro i poveri, coloro che Francesco ha voluto in prima fila ad accompagnarlo nell’ultimo ingresso nella sua Santa Marta. «Lo sport è pieno di gente che, col sudore della fronte, ha battuto chi era nato con il talento in tasca. I poveri hanno sete di riscatto:

offri loro un libro, un paio di scarpette, una palla e si mostrano capaci di gesta impensabili – spiegava a Bergonzi – La fame, quella vera, è la motivazione più formidabile per il cuore: è mostrare al mondo di valere, è cogliere l’unica occasione che ti danno e giocartela. Questa è gente che non vuole farsi raccontare la vita, vuole vederla con i suoi occhi. Ha fame, tanta fame di riscatto. Per questo certe vittorie portano a commuoversi».

È piena la storia di “ultimi” che sono riusciti a trovare il proprio riscatto nello sport. Papa Francesco ricevette in udienza Diego Armando Maradona, e di quell’incontro rimase famosa la battuta di Francesco che chiese sorridendo al Pibe de Oro: «Bhè, qual è la mano de Dios?» in riferimento al famoso goal di mano di Maradona durante il mondiale del 1986 nel match contro l’Inghilterra. Una rete che Diego definì «guidata da Dio», e che venne letta politicamente come una rivalsa sportiva a seguito

del caso Isole Falkland, che nel 1982 dopo un conflitto di 74 giorni passarono dall’Argentina al governo britannico. Dopo l’incontro Maradona commentò così: «È lui il vero fuoriclasse!». Sono decine e decine gli sportivi che sono stati ricevuti in udienza da Bergoglio, calciatori, cestisti, pallavolisti, il pluricampione del mondo di ciclismo Peter Sagan, il numero uno del tennis Jannik Sinner, l’icona dell’atletica mondiale Usain Bolt, che il Pontefice definì «un esempio di velocità morale, e non solo atletica», e tanti, tanti altri.

Ma un incontro fu per lui davvero emozionante, perché toccò le corde del tifoso, i ricordi del bambino che andava allo stadio con il padre e che giocava in strada urlando i nomi dei suoi eroi del calcio con la casacca rossoblù del San Lorenzo, squadra del quartiere Boedo di Buenos Aires: «Fa parte della mia identità culturale» disse il Papa a proposito. Nel 2014 il San Lorenzo, di cui Francesco era stato socio [N.d.A.: in Argentina le squadre continuano ad essere proprietà dei soci, quindi sostanzialmente dei tifosi, a proposito di valore sociale], vinse la sua prima Coppa Libertadores a poco più di un anno dall’elezione di Bergoglio, e in quell’occasione tutto il team fu ricevuto in udienza generale dal Papa che accolse giocatori e allenatori con il consueto sorriso riservato a tutti, con la cordialità e la gentilezza del padrone di casa, ma con quell’emozione sincera che hanno nel cuore gli appassionati che incontrano i loro beniamini.

Quando nel mondo si sparse la notizia della morte di Papa Francesco, l’amore che lui riservò allo sport per la gente, della gente e tra la gente, gli fu restituito nella

la vita per ciò che davvero vale e che dura per sempre “
Non accontentatevi di un pareggio mediocre, ma date il meglio di voi stessi spendendo

profonda commozione delle persone comuni che fanno le file allo stadio, che giocano nei parchetti, nei vicoli, per strada, nei palazzetti e nei cortili; che usano i cestini come canestri, i giubbotti come porte da calcio, il filo dei panni come rete da volley. Così, oltre al commiato delle istituzioni, ecco l’addio della curva popolare dei tifosi del Marsiglia con un grande disegno del Papa, mille bandierine biancoazzurre e la scritta: “Grazie Papa Francesco”. E poi quella del suo amato San Lorenzo: “Uniti per l’eternità” era la scritta della patch apposta alla maglia da gara e di uno striscione a bordo campo accanto ad una statua del Papa, mentre sugli spalti ondeggiavano immagini e bandiere. E ancora, sul campo del Racing Club di Avellaneda (nella provincia di Buenos Aires), fu srotolato un telo con il volto di Maradona, del Papa e di Messi. Sopra, in ordine, le parole: “Dios, el Papa y el Mesías”. Sotto la scritta: “Orgullo Nacional”, a testimonianza di tutto ciò raccontato fin qui del rapporto mistico, cultural-popolare ma tutt’altro che blasfemo, tra argentini, calcio, sport e fede.

«Non accontentatevi di un pareggio mediocre, ma date il meglio di voi stessi spendendo la vita per ciò che davvero vale e che dura per sempre». Chiuse così Francesco davanti ai giovani del CSI, e noi lo salutiamo, un’ultima volta, con la promessa di dare il meglio di noi stessi e di impegnarci a riconoscere ogni volta ciò che vale e che dura per sempre o, come diceva Calvino, a riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, inferno non è, e farlo durare, e dargli spazio.

E lo faremo giocando, e giocando da squadra, perché «la vida es para jugarla, no para guardarla».

Cammino sinodale, catechesi, sport e fiducia: le sfide di una Chiesa che cambia

Mons. Valentino Bulgarelli

IL SOTTOSEGRETARIO DELLA CEI, DIRETTORE DELL’UFFICIO CATECHISTICO NAZIONALE

E SEGRETARIO DEL COMITATO NAZIONALE DEL CAMMINO SINODALE

RIFLETTE SU CATECHESI, SPORT E CAMMINO SINODALE

«Molti cristiani arrivano alla fede attraverso una catena di fiducia. Basta che un solo anello si spezzi, e tutto può crollare». È in questa consapevolezza, semplice e profonda, che affondano le parole di Mons. Valentino Bulgarelli, sottosegretario della CEI e direttore dell’Ufficio Catechistico Nazionale. Il suo sguardo abbraccia la catechesi, lo sport, il Sinodo, e attraversa la crisi attuale della partecipazione ecclesiale con un’unica certezza: è tempo di un cambiamento reale, che rimetta al centro la persona e riaccenda la forza viva del Vangelo.

Monsignore, lei ricopre incarichi significativi, è Sottosegretario della CEI, Direttore dell’Ufficio Catechistico Nazionale e Segretario del Comitato Nazionale del Cammino Sinodale. Dal suo osservatorio privilegiato, che importanza riveste e quale significato profondo ha, a suo avviso,

il Cammino Sinodale che la Chiesa italiana sta vivendo?

Sono i numeri che parlano. Da ormai quattro anni, da quando ebbe inizio il Cammino Sinodale, tutte le chiese italiane, pur con legittime modalità diverse, sono state coinvolte e hanno contribuito con le loro storie e proposte. “Tenere” per un tempo così lungo attraversando diverse fasi è un segno della vivacità delle Chiese di abitare il tempo e la storia e, aggiungo, anche un desiderio di camminare insieme.

Sullo sfondo c’è l’intuizione di Papa Francesco fatta propria dai vescovi italiani, di una Chiesa animata dal desiderio di trovare strade possibili perché avvenga l’incontro tra Gesù e ogni uomo e donna. Gesù è il cercatore, gli uomini e le donne i cercati: la Chiesa deve porsi con la capacità di facilitare questo incontro. In questo senso i vescovi italiani hanno voluto con questa esperienza generare un nuovo metodo per costruire insieme, pur nel rispetto di ruoli, ministeri e carismi, e per

individuare le possibili strade da percorrere per annunciare il Vangelo e favorire un incontro trasformante.

Lei spesso sottolinea come la Chiesa si trovi oggi ad affrontare sfide profonde: la frammentazione delle comunità nel post-pandemia, l’allontanamento di molti giovani e una crisi di fiducia diffusa. Quali sono, a suo avviso, i segni più evidenti di questo cambiamento che si toccano con mano nella vita quotidiana delle parrocchie?

Ogni qual volta ne ho possibilità, non mi stanco di ricordare il contesto vitale nel quale tutto ciò è iniziato. Eravamo nel periodo della pandemia, attività ecclesiali rallentate se non bloccate… in tutto ciò il tessuto delle nostre comunità si era inevitabilmente sfilacciato. Oggi, a distanza di quattro anni, posso testimoniare che è stata un’occasione per ripartire. Ora però è importante che si arrivi a maturare quanto vissuto in questi

Sullo sfondo

c’è l’intuizione di Papa Francesco fatta propria dai vescovi italiani, di una Chiesa animata dal desiderio di trovare strade possibili perché avvenga l’incontro tra Gesù e ogni uomo e donna

anni e non trascinare ulteriormente decisioni. Sarà fondamentale maturare il percorso compiuto. Questo testimonierà la bontà del cammino intrapreso. E soprattutto sarà una testimonianza di come, con un po’ di pazienza, anche le resistenze possono essere superate e affrontate.

Una delle fatiche più evidenti è la crisi di una fiducia antropologica: non ci si fida più gli uni degli altri. Il tema della fiducia è per la Chiesa vitale. L’esperienza di fede è all’interno di una catena di fiducia. Ci si fida se dall’altra parte vediamo e scorgiamo affidabilità e credibilità. L’esperienza sinodale ha posto l’attenzione su come essere affidabili e credibili per gli uomini e le donne di oggi. Ma non per aumentare semplicemente il numero dei membri della Chiesa, ma perché gli uomini e le donne si fidino di un Dio che per primo si fida della sua creatura. Mi pare che questo

sia il dinamismo fondamentale per la Chiesa.

In che modo, a partire dalle sollecitazioni emerse nel Cammino Sinodale, le nostre comunità cristiane possono ripensare la catechesi e l’annuncio del Vangelo, rispondendo alle sfide attuali e rigenerando il desiderio di fede lungo tutte le età della vita, in una Chiesa più accogliente, in ascolto e capace di camminare insieme?

Anche il ripensamento della catechesi rientra nel piano più ampio del Cammino sinodale. L’immagine stessa del sinodo come “cammino comunitario” ci consente di chiarire a noi stessi che stiamo vivendo la bellezza e la precarietà di un cammino per le strade della nostra società. Un vero rilancio della catechesi non può non passare dal

sapersi costantemente in cammino, tra il “già” e il “non ancora”: a ben vedere questo non è altro che il divenire della vita nel suo quotidiano, protesa costantemente alla ricerca di un senso. Questo senso per i cristiani è una persona: il Crocifisso Risorto. Una catechesi che sappia proporre al centro il desiderio di Dio consente di tenere sempre viva la dialettica tra dubbio e certezza. Non c’è nessun credente che sia immune dal dubbio. Rompere questa tensione salutare può far cadere nella depressione che mette tutto e sempre in dubbio, oppure nel fondamentalismo che trasforma le debolezze in sicumera e in intolleranza. Tenere aperta questa domanda di infinito senza imporre la risposta e restare sul sentiero della vita insieme con gli altri consente invece di cogliere la grazia quando arriva improvvisa e rigenerante. La via dell’ascolto è la via maestra. Quando si mettono in ascolto, i cristiani diventano ospitali, aprono la casa, dove sostano non per prendervi alloggio permanente o per difendersi dai “lontani”, ma per ristorarsi alla mensa della parola e del corpo di Gesù. La sua parola,

che riscalda il cuore, viene tradita quando chi la predica raffredda gli animi con un linguaggio astratto, che invece della gioia provoca la noia. Il suo corpo, che alimenta e dà energia, viene tradito quando la liturgia allontana e divide, anziché generare la comunione e spingere al servizio. Ma il servizio non si fa in solitaria, piuttosto coinvolge, domanda corresponsabilità. Spesso la pesantezza nel servire, nelle comunità e nelle loro guide, nasce dall’affastellarsi di cose da fare, dal dovere di mantenere le strutture e far quadrare i conti, dalle burocrazie ecclesiastiche e civili così incombenti: con tanti saluti alla centralità delle relazioni e ai fondamentali del rispetto reciproco. La “terapia” non è aumentare il numero delle mani che si affannano a fare, ma recuperare per tutti dei tempi di ascolto, del Signore e dei fratelli e delle sorelle.

Nella sua esperienza personale e pastorale, lo sport ha rappresentato una porta di accesso significativa alla fede, come accade anche per molti ragazzi oggi. In che modo

lo sport può essere oggi un ambito fertile per l’annuncio del Vangelo, anche in vista del Giubileo degli sportivi e delle prossime Olimpiadi di Milano Cortina? Ritiene che la Chiesa, attraverso il Cammino Sinodale, stia maturando una visione più chiara e concreta di come integrare sport, educazione e spiritualità? E quale ruolo possono avere in questo percorso realtà associative come il CSI, chiamate ad essere partner credibili e appassionati in questa “Chiesa del noi”?

Se ripenso alla mia esperienza di fede, come anche di molti miei amici e coetanei, la porta di accesso è stato proprio lo sport… come per altri e altre sono forse state diverse le occasioni e situazioni dove l’esperienza umana con i suoi desideri e passioni era accolta, accompagnata e educata in un orizzonte più ampio. Credo sia ancora una grande possibilità. Non sta a me dire la bellezza dei valori che lo sport genera. In questo il CSI deve continuare la preziosa opera che svolge… se mi posso permettere, con un rinnovato entusiasmo. Quando iniziai la mia avventura come viceparroco, ricordo le tensioni tra catechisti e famiglie perché i ragazzi erano coinvolti in attività sportive e non potevano partecipare al catechismo. Tutti uscivano sconfitti da posture di questo tipo. Dobbiamo creare le condizioni per generare alleanza, sapendo che lo sport e la cura della propria religiosità sono entrambi indispensabili per una crescita armonica. Magari oggi il passaggio di vita della preadolescenza e dell’adolescenza potesse essere dedicato ad attività sportive dove imparare il rispetto dell’altra e dell’altro, il gioco di squadra… Ci dobbiamo aiutare ad evitare inutili polarizzazioni. Questo può avvenire

se al centro rimettiamo il bene della persona. Già con la Costituzione pastorale Gaudium et spes, i Padri conciliari collocarono la Chiesa nel mondo e in rapporto con il mondo: non per occupare spazi, non per gestire poteri, ma come espressione «di solidarietà, di rispetto e d’amore verso l’intera famiglia umana», che scaturiscono dalla fede che Cristo, nuovo Adamo, è immagine della vera umanità e nella incarnazione si è unito a ogni essere umano (GS 22). Per questo la sua Parola, che la Chiesa annuncia, può incontrare, unire e riconciliare ogni donna e ogni uomo.

La Chiesa non può che collocarsi sulla stessa lunghezza d’onda: è l’inaudito del Vangelo che la spinge a non essere preoccupata di sé stessa. Ma gratuitamente dedita a ciò che sta a cuore al suo Sposo: ogni uomo e ogni donna! Per questo, come insegnava Paolo VI: «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (Ecclesiam suam, n. 67). E lo fa ogni giorno, senza indugi.

Le parole della Gaudium et spes costituiscono una svolta epocale nell’evoluzione dell’atteggiamento

della Chiesa: una Chiesa nel mondo anziché una Chiesa contro il mondo, una Chiesa che si apre al dialogo anziché una Chiesa che si chiude sentendosi assediata.

Il Cammino Sinodale delle Chiese in Italia non può che collocarsi in questo solco. Nel contesto storico che insieme al nostro Paese stiamo attraversando, siamo chiamati a mantenere la stessa ampiezza e la stessa profondità della visione del Concilio, e la medesima ambizione: «Continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito» (GS3).

Nella società di oggi, segnata da una crisi di fiducia e da un’immagine spesso frammentata della Chiesa, lei insiste sulla necessità di costruire una “comunità di riferimento” affidabile e credibile, e invita a superare la cultura degli alibi per assumersi la responsabilità della testimonianza (ciò vale anche per la pastorale dello sport). Come possiamo generare

oggi una comunità capace di custodire la “catena della fiducia” e sostenere il cammino delle persone con creatività, immaginazione e coerenza?

La pastorale è chiamata a responsabilizzarsi e comprendersi, con sempre maggiore convinzione, al servizio dell’atto di fede delle persone. L’atto di fede si sviluppa attraverso alcuni passaggi. Un atto di fiducia nella Chiesa, che abbia conservato bene l’insegnamento degli apostoli, selezionando e tramandando senza manipolazioni i libri che lo contenevano e interpretandoli secondo quanto gli autori volevano dire; atto di fiducia (attraverso la Chiesa) negli apostoli che abbiano tramandato bene quanto Gesù ha fatto e detto, in particolare la risurrezione di Gesù; atto di fiducia (attraverso gli apostoli) in Gesù che sia veramente quello che ha detto di essere, cioè il Figlio di Dio, il Cristo, poiché l’ha garantito con la risurrezione; atto di fiducia (attraverso Gesù) in Dio, Padre di Gesù e Padre di tutti gli uomini, che abbia risposto al problema del senso della vita umana.

Questo è lo schema teorico di un corretto atto di fede cristiano. Tuttavia, molti cristiani non arrivano alla fede in Gesù seguendo questa linea in modo cosciente, ma attraverso una “catena di fiducia”.

Ad esempio, il bambino si fida della mamma, la quale si fida del parroco, il quale si fida del suo professore di teologia e così via; ognuno accetta la testimonianza di un altro in cui ha fiducia.

È un vero atto di fede e per molti spesso è l’unico possibile. Tuttavia, basta che un solo anello della catena si spezzi, perché la fede crolli, come quando un cristiano abbandona la fede per una cattiva testimonianza. Per questo occorre uno stile pastorale nuovo, come del resto auspicato e suggerito

Mons. Valentino Bulgarelli

dall’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco riprendendo il Concilio Vaticano II. Occorre veramente uno sforzo di immaginazione e creatività. Sono parole non sempre apprezzate nei nostri contesti e a volte producono paure paralizzanti. In realtà sono due attitudini bellissime, come amava dire Bruno Munari: «[…] l’immaginazione non appartiene solo al mondo della letteratura e dell’arte, né è un passatempo effimero per chi non ha problemi più seri da gestire. La creatività pensa, l’immaginazione vede. […] L’immaginazione è un’attitudine dello sguardo, che parte dalle cose, dalla realtà e vede oltre; scorge connessioni, individua soluzioni, connette elementi all’apparenza distanti». È tempo di creare connessioni, che forse si sono sfilacciate: tra Dio e l’uomo, tra gli uomini, tra l’uomo e il creato.

Il Cammino Sinodale porterà a delle “decisioni”. Quali sono le sue speranze e attese riguardo ai frutti concreti di questo percorso, per la vita delle parrocchie e delle diocesi nei prossimi anni?

Al di là delle eventuali decisioni che spetterà ai vescovi riuscire ad individuare nell’esercizio della loro collegialità, auspico che alcuni orizzonti diventino condivisi al fine di individuare i mezzi necessari per –non dimentichiamolo mai – rilanciare l’annuncio della buona e bella notizia del Gesù risorto. Al momento vedo la progressiva maturazione di alcune parole che richiamano uno stile evangelico. Innanzitutto prossimità. Stare con le persone, nel loro quotidiano. Non avere paura dell’esperienza del quotidiano della vita che è “poesia” ma anche “fatica e ruvidezza”! Ma è negli snodi quotidiani che entra e abita Dio. Ciò implica uscire dalle comfort zone che a volte ci si crea,

forse anche eroiche e significative… ma più preoccupate dell’io che del noi! La parabola del seminatore racconta il suo coraggio di buttare il seme anche dove non risponde a requisiti richiesti.

Quindi generatività. L’inverno demografico non riguarda solo la comunità civile. Ma tocca anche la comunità cristiana, sempre più incapace di generare figli e figlie. Quali sono le cause di questa sterilità? Proposte confuse e incapaci di intercettare la vita? Prassi anziane e bloccate che impediscono di valutare l’esperienza della vita cristiana? Adulti non esemplari? Linguaggi vetusti? Generare implica la gratuità! Tendenzialmente chi dà la vita scopre la gratuità di sé come elemento trasformante della realtà! Il libro degli Atti degli Apostoli ci propone diversi modelli di annuncio: i dodici a Gerusalemme; Paolo ad Atene; Pietro al tempio; Filippo e l’eunuco, laici che nel momento di

È tempo di creare connessioni, che forse si sono sfilacciate: tra Dio e l’uomo, tra gli uomini, tra l’uomo e il creato

frammentazione della comunità nei loro contesti annunciano. Per questo occorre la libertà. L’affermazione di Sant’Ambrogio («ubi fides ibi libertas» – «dove c’è fede lì c’è libertà») mi dà occasione per porre la questione sempre attuale della libertà. La fede (il fidarsi) genera libertà. È un dinamismo da recuperare in una stagione dove più nessuno si fida dell’altro! Forse anche la Chiesa a volte fa fatica a fidarsi degli uomini e delle donne che s’incontrano nel quotidiano. Il sospetto prevale sul fidarsi. Ma il primo atto di Dio è fidarsi della sua creatura. Serve una Chiesa non sospettosa, ma capace di dare fiducia per ricevere fiducia. I racconti evangelici di vocazione sono racconti di libertà che si affida… Infine, autorevolezza. Dal latino colui/ colei che fa crescere! Cosa significa per la Chiesa ripensare la propria autorevolezza se non occuparsi e preoccuparsi delle persone per farle crescere? Ciò implica saggezza e sapienza nel leggere e interpretare i passaggi di vita delle persone. Sempre alla ricerca di quelle porte di accesso che la vita offre (Ap 3,20). Ciò implica lasciare andare e disporsi a riaccogliere! L’immagine del padre misericordioso è il ritratto del dinamismo (pur rimanendo fermo) dell’evangelizzazione e della pastorale della Chiesa.

1944-1984: un quarantennio all’insegna della promozione umana

Fermiamo la nostra attenzione al 1984, anno che segna il 40° compleanno dell’Associazione e che si pone, quindi, alla metà del cammino del CSI nella rinata Italia del dopo Seconda guerra mondiale. Da segnalare che il 1984 fu anche l’anno del “Giubileo internazionale degli sportivi”, voluto da papa Giovanni Paolo II. Significativo e, per certi aspetti, drammaticamente attuale, il motto scelto allora: “Lo sport per la riconciliazione e la pace”, a segnare in modo inequivocabile che la Chiesa e il CSI hanno sempre lavorato per la pace. Le celebrazioni del 40° anno di vita e di attività del Centro Sportivo Italiano coincisero con i lavori del XIII Congresso nazionale, che si svolse a Roma, dal 17 al 20 maggio 1984. «La riflessione quarantennale ha stimolato una sintesi della storia del CSI come movimento sportivo culturale –apprendiamo da “Cent’anni di storia nella realtà dello sport italiano”, libro II – l’analisi congressuale ha fatto il punto sull’impegno più recente volto alla promozione umana dei praticanti. Sono state due tematiche analoghe e complementari che hanno toccato gli aspetti centrali della natura e delle finalità associative. Non si è limitato a puntualizzare la vita associativa del momento, ma l’ha esaminata

nella prospettiva più ampia del ruolo storico del CSI nello sport e nella società italiana». Chi non è più giovanissimo ricorderà che nella metà degli anni ’80 un tema centrale nel dibattito pubblico era la promozione umana e, per il CSI, in particolare, la promozione umana attraverso lo sport. Questa, riprendiamo dal libro citato, «era certamente il tema dominante della cultura sociale, sia sul versante della società civile scossa dai venti turbinosi della contestazione giovanile degli anni Sessanta, sia sul versante dell’ispirazione cristiana, reinterpretata di fronte al mondo e alla storia, dalle coraggiose e lungimiranti prospettive del Concilio Vaticano II». Va sottolineato che il XIII Congresso nazionale è stata l’occasione per presentare il “Progetto associativo”, con i princìpi di riferimento, gli indirizzi programmatici e i criteri operativi dell’azione CSI a tutti i livelli. «I primi venti anni di vita il CSI li aveva spesi per strutturarsi solidamente sul piano organizzativo, tecnico-sportivo e formativo. In seguito lanciò a se stesso e allo sport italiano la sfida dell’utopia: un modo alternativo di concepire lo sport per gli individui e per la collettività». Al Congresso intervenne Mario Pescante, segretario generale del CONI (sarà eletto

successivamente Presidente dello stesso CONI), che ha ricordato come «[…] Nei quarant’anni della sua storia – anche senza contare gli altri nella prima parte del secolo – il CSI ha svolto un ruolo importantissimo per consentire la ripresa dell’attività sportiva e la stessa ricostruzione del CONI. Avete contribuito, quindi, a scrivere la storia del nostro sport nel dopoguerra, indirizzando la vostra azione soprattutto alla promozione e al graduale avviamento dei giovani all’attività sportiva». A conclusione di questo speciale Congresso, il 18 maggio 1984, i partecipanti ai lavori furono ricevuti in udienza dal Papa. Tra i primi importanti frutti di questo rinnovato impegno, segnaliamo la Conferenza dei presidenti delle Società sportive del Centro Sportivo Italiano, che si è svolta a Rimini nel 1985, su “Sport e condizione giovanile”: «La condizione giovanile, contrassegnata da elementi tradizionali e da fatti nuovi, secondo la complessa e mutevole realtà culturale e sociale del Paese, può riassumersi in una domanda di senso e di vita, espressa in forme molteplici dal conformismo individualista alla devianza e alla ribellione». Valori attuali ancora oggi, non meno di quarant’anni fa.

Roberto Donadoni, ambassador della Serie A, torna a far gol e assist con gli oratori raccontando i suoi primi calci nel CSI, ai cui allenatori dice:

«Sappiate far divertire i ragazzi!»

LA SUA CARRIERA

È INIZIATA A CISANO

BERGAMASCO NEL CAMPO

DELLA PARROCCHIA SAN

ZENONE: LA CISANESE, POI L’ATALANTA, IL MILAN, FINO ALLA NAZIONALE. I

GRANDI SUCCESSI E LE SCONFITTE, I RIGORI E I CARTELLINI. FACCIA A FACCIA CON UN GRANDE

CAMPIONE DI SPORTIVITÀ

ED UN ESEMPIO DI EDUCAZIONE DENTRO E FUORI DAL CAMPO

Prima immarcabile numero 7, poi mister esperto e carismatico, ha rappresentato, da giocatore, un punto fermo nel grande Milan di Sacchi e nella Nazionale italiana. Con la maglia azzurra ha vissuto da protagonista le “notti magiche” del Mondiale di Italia 1990. Roberto Donadoni non ha però dimenticato le sue origini a Cisano Bergamasco nel CSI, un ambiente che ha molto contribuito a formarlo e a fornirgli i corretti punti di riferimento, etici e sportivi, nel diventare il calciatore che è stato. Aprendo le virgolette, il suo racconto comincia proprio da un campo di oratorio di un calcio d’altri tempi.

Dove giocava nel CSI?

Andavo sempre a giocare in oratorio, il CSI per me era la Cisanese, era un campo dato alla parrocchia San Zenone e dove noi amici, insieme a qualche genitore, avevamo disegnato un campo, montato queste due porte, fatte coi pali stradali della luce, di quelli in alto più stretti di diametro, che un fabbro aveva saldato a misura e che erano diventati le porte

del campo dell’oratorio. Il CSI era la nostra via di fuga. Il calcio era lo sport più praticato, ma poi io, mio fratello Giorgio e gli amici più grandi organizzavamo una specie di Olimpiade, con delle gare di corsa, il lancio del peso, lungo, triplo e giavellotto, realizzato da noi artigianalmente. C’eravamo costruiti perfino le nostre medaglie di compensato. Per premiare i vincitori.

Cosa rappresenta per lei il CSI?

Che ambiente era?

Sono particolarmente legato al CSI perché rappresenta l’inizio della mia vita sportiva, e mi congratulo anche oggi per quello che riesce a fare per migliaia di ragazze e ragazzi. Per me quelli dagli 8 ai 12 anni sono stati anni importanti, quelli in cui nel CSI non avevo tanto degli allenatori, quanto degli educatori, ossia coloro che mi hanno trasmesso determinati valori, che mi hanno fatto capire cosa significhi stare in un gruppo, stare in una squadra, cosa vuol dire gioire e soffrire insieme. Se sono diventato il calciatore che sono stato, è grazie a quegli anni trascorsi con quelle persone, a quelle organizzazioni come il CSI, che mi hanno dato la possibilità di crescere con questi valori. Mi ritengo fortunato

non tanto perché poi sono divenuto professionista, ma perché ho vissuto in un ambiente che mi ha fatto capire al momento giusto cosa significa stare insieme.

Gol, aneddoti del tempo?

Tutti i pomeriggi in questo campetto parrocchiale, fin quando facevo la seconda media. Poi ci fu una partita contro il Telgate, proprio sul campo della Cisanese, dove il maestro Bonifacio, che sottolineo era davvero un maestro di calcio, allenatore delle giovanili dell’Atalanta, venne a visionare un ragazzino dell’altra squadra. Subito a fine gara chiese di me, e a mio padre e mia madre se fossero stati d’accordo a farmi andare ad allenare con l’Atalanta.

Fece un provino o cosa?

Allora c’erano delle rappresentative, io ero assai piccolo e mingherlino rispetto ai miei coetanei. Cominciai ad andare lì all’Atalanta. Facevo la terza media, uscivo di scuola, andavo direttamente in stazione, poi 20 km di treno, e l’allenamento. Il treno di ritorno era alle 18:05. Per cui appena finito di giocare, velocissimo a farmi la doccia e cambiarmi, scavalcavo la recinzione del campo militare dove ci allenavamo

di Felice Alborghetti

a Bergamo per correre ancora a riprendere il treno. Se lo mancavo, come mi capitò qualche volta, il treno successivo era alle 21. Per un dodicenne non era affatto bellissimo rimanere da solo in stazione. Dal campo, ricordo, c’era la fermata del bus numero 9, che portava diretto in stazione. Era tutto preciso al secondo. Se mancavo l’autobus, perdevo il treno e, anche se rallentava, ero sempre a rischio…

A proposito di numeri, mai avuto preferenze?

Ma no! Giocavo da piccolo col numero 10 nelle giovanili. Ero visto come quello un po’ più bravino, cui si riconosceva quel numero. Ma non ho mai avuto preferenze. Significava poco il numero. A me interessava solo giocare e divertirmi con i miei compagni di squadra. Ho imparato in oratorio la tecnica, il rispetto per gli avversari e i compagni. Poi i primi allenatori Scarpellini e Casati col maestro Bonifacio all’Atalanta fecero il resto.

Episodi curiosi in nerazzurro. Ne ricorda?

Feci tutta la trafila nelle giovanili atalantine. Di storie ne ho tante. Una assai viva è quella relativa alla mia

prima convocazione ufficiale in prima squadra. Per una partita, non so se amichevole o meno, ricordo che partii da casa, che avevo 38, o forse 38,5 di febbre. Però non potevo certo mancare.

Presi il treno senza dire nulla a nessuno. Quel giorno non volli nemmeno salire sul 9, il bus, per paura di vomitare, col timore che mi sentissi male data la nausea che sentivo addosso. Andai tutta la strada a piedi fino allo stadio. Arrivato nello spogliatoio, il massaggiatore e il medico sociale mi videro subito. Mi fecero provare la febbre. Avevo 39. Mi diedero qualcosa per star meglio. E mi rispedirono a casa. Sempre con la nausea tornai a piedi in stazione e una volta a casa la mia partita del giorno fu spiegare il tutto ai miei.

A proposito di sofferenza, quanto le costò dover saltare la finale di Coppa dei Campioni del ’90?

Brutto ricordo, ma fu per causa di uno dei pochi cartellini rossi ricevuti in carriera. Contro il Malines in semifinale il mio avversario mi picchiò sempre, anche nei supplementari. A un certo punto reagii ad un suo sputo con una specie di schiaffo istintivo. Mi costò la finale con il

Oggi è

troppa l’esigenza di voler raggiungere, anche coi più piccoli, obiettivi e risultati con troppa velocità e fretta

Benfica a Vienna, che vincemmo. Ma devo dire che sono stato in campo sempre tranquillo. Ricordo da giovane fui premiato a Bergamo con il premio Panathlon per non aver mai preso cartellini in una intera stagione.

Roberto Donadoni primo acquisto del Milan di Silvio Berlusconi. Sbaglio?

No. È vero. Io sin da bambino sono sempre stato tifoso del Milan, e l’Atalanta del tempo era un po’ la succursale della Juventus. Ebbi la chance di poter scegliere fra le due e scelsi subito per affetto e tifo la strada rossonera. Ed ecco che fui allora il primo acquisto di Berlusconi, cui sono particolarmente legato e riconoscente.

Di quel Milan c’è una maglia che conserva con particolare attaccamento?

Sbagliando, non ho mai tenuto troppo a conservare dei cimeli. Occupavano spazio. Certo ho ancora qualcosina, ma ad un certo punto regalai tantissime maglie scambiate con grandi campioni. Ma io non ho mai chiesto a nessuno una maglia, per rispetto. La scambiavo solo se capitava che qualcuno la chiedesse a me.

Atalanta, Milan… non la impressiona, al termine di

questo campionato, che oggi sia la Dea bergamasca a giocare un calcio “paradisiaco” rispetto al Diavolo, che ai suoi tempi era stellare e che oggi sembra davvero all’inferno, fuori da ogni Coppa?

Effettivamente fa un po’ specie. La storia pregressa logicamente farebbe pensare all’opposto. Ma credo sia il bello dello sport e del calcio. Soprattutto il bello di chi sa programmare le cose, avere una visuale che va oltre la sua storia. Quello che in questi ultimi anni l’Atalanta è riuscita ad ottenere –parlo anche dei riconoscimenti internazionali – credo sia merito dei suoi dirigenti, della volontà di costruire futuro, della lungimiranza di continuare a credere nel settore giovanile, nel far crescere i giovani. Il merito insomma sta nella somma di tutte queste componenti.

A proposito di giovani, il target preferito ancora dal CSI, qual è il suo sguardo ed il pensiero sui settori giovanili?

Penso che i giovani meritino un’attenzione e probabilmente un approccio un po’ diverso da quello che si sta facendo nella stragrande maggioranza dei casi. Si guarda oggi un po’ troppo al prodotto nell’immediato, al più interessante e al più valido, senza avere la pazienza di costruire le cose dalle basi.

L’Atalanta, un po’ come il CSI, è stata sempre maestra in questo, partendo dai ragazzini, dando loro la possibilità di avere degli educatori e dei maestri, gente che sapeva far stare i bambini insieme. Non perdendo mai di vista l’aspetto ludico. Oggi è troppa l’esigenza di voler raggiungere, anche coi più piccoli, obiettivi e risultati con troppa velocità e fretta.

Fare gruppo e fare squadra. C’è mica differenza?

Credo che la cosa importante sia

capire sempre chi hai di fronte e con chi hai a che fare. Penso al Milan di Sacchi. Passavamo davvero tanto tempo insieme. Nei tempi morti si cercava di staccare un po’ e stare ognuno con le famiglie o per conto proprio. Ma in ogni momento in cui si varcavano i cancelli di Milanello, tutti quanti si remava per gli stessi obiettivi. I compagni erano spesso anche grandi amici. Era sempre una competizione nella competizione. Crescevamo cercando di dare il meglio di noi stessi, quasi a sfidare l’altro, a fare qualcosa di meglio, e questo ci ha aiutato a crescere, insieme a quanto ci hanno trasmesso i tecnici e gli allenatori. C’era davvero una grande professionalità ed una comunione di intenti, e questo ci ha portato ad essere la squadra che siamo stati.

La squadra degli Invincibili. Zero sconfitte in un intero campionato. Ma quanto è importante perdere?

Dentro i successi ci sono tante sconfitte che sono poi quelle che ci fanno crescere. Non è importante la sconfitta, ma saperla accettare. Chiaro che uno non vorrebbe mai perdere in nulla. Non è però possibile essere sempre vincenti.

Ma quando si gioca occorre avere la capacità di saper accettare la sconfitta. Dalle sconfitte si impara molto, se si ha la chiave di lettura giusta. Se la si vive solo ed esclusivamente come una delusione, allora è chiaro che ti lascia poco dentro e ti peggiora il prosieguo della carriera. La sconfitta, come la vittoria, fa parte del gioco come fa parte della vita.

E sull’attributo “invincibili” che dice?

Fuori si può dire tutto. Noi all’interno eravamo consapevoli di essere tutti degli ottimi giocatori. Non ci accontentavamo mai. Negli allenamenti ognuno cercava di essere migliore dell’altro, non solo per ritagliarsi un posto in squadra, perché poi eravamo ben più di 11. Tutti quanti volevano mettersi in mostra. Quando hai la possibilità di allenarti con i più grandi campioni del momento, hai anche la possibilità di crescere. Se vuoi stare al loro livello, devi essere giocoforza migliore. Se dribbli un atleta di primissimo valore, anche il tuo gesto ha un valore di livello.

Rijkaard, Van Basten, Ancelotti. Dei suoi ex compagni, moltissimi sono diventati allenatori come lei. Chi lo era a suo dire già in campo?

Su tutti Carlo aveva la stoffa. Ma di quel Milan han fatto gli allenatori anche Gullit, Baresi, Tassotti, Evani. È bello che Ancelotti alleni oggi il Brasile, penso sia la chiusura del cerchio di una grande carriera. Mi auguro che possa avere ancora successo. Con lui ci sentiamo ogni tanto e ci confrontiamo.

Di quel Milan, un gol, un’azione, quale emozione le sta più a cuore?

Non saprei scegliere. Professionalmente direi però che la prima finale di Coppa dei Campioni al Camp Nou di Barcellona contro la Steaua fu fantastica. Uno dei ricordi più belli, perché era il primo grande appuntamento ed obiettivo da vincere. Una prima volta.

Se le dico invece Nazionale, si rivede più in panchina ad Euro 2008 o in azzurro a Napoli contro Maradona?

Rivedo entrambi i Donadoni. Avere la possibilità di vestire la maglia azzurra ed essere protagonista su un campo di calcio credo sia veramente unico, così come sono stato orgoglioso di allenare la mia Nazionale. Momenti di grande felicità. Ed orgoglio.

Italia ’90, USA ’94, Germania 2008: per noi sempre rigori maledetti. Lotteria della fortuna, episodi o ci si può allenare anche in quel fondamentale?

Tutto è allenabile. È però difficile allenare la situazione contingente. Calciare un pallone dagli 11 metri non è difficile, ma, quando hai la responsabilità di effettuare un gesto in una determinata circostanza, cambia drasticamente il quadro. Io ai Mondiali del ’90 non ero tra i 5 candidati a calciare dal dischetto contro l’Argentina, poi un mio compagno non se la sentiva e presi io il suo posto. Fa parte del gioco. Arrivati lì… tutto può succedere, ma rientra nelle regole del gioco. Sbagliando quel tiro quella notte, ho sentito la delusione di aver perso l’occasione di giocare una finale di un Mondiale. Ma come non mi sono mai fermato di fronte ad un ottimo risultato a gioire particolarmente, così non mi sono fermato di fronte ad un mancato risultato. Sui rigori, da allenatore, dico che la lista la si fa e ci si allena ai rigori. Poi è questione di sensibilità e capacità di ogni singolo giocatore. E anche di determinazione. Tutti i più grandi calciatori hanno sbagliato rigori, ma, come si dice nel nostro mondo, solo chi non li calcia non li sbaglia.

Del campionato di Serie A appena concluso cosa dice?

Dico che lo scudetto è stato meritato dal Napoli, dopo un’annata deludente. Se non erro, in Europa è stato l’unico massimo campionato dove titolo e salvezza si sono giocati all’ultima giornata. Meritatissima

anche a parer mio la Coppa Italia vinta dal Bologna. Personalmente sono stato contento della salvezza del Parma così come del Lecce: in Emilia ho allenato e ho buoni ricordi ed al Salento sono legato perché frequento quella terra pugliese, avendoci una casa di vacanza ed essendo amico del Presidente Sticchi Damiani.

Conte ed il Napoli campione sono stati ricevuti recentemente dal Papa. Per lei che figura rappresenta il Santo Padre? Ho avuto diverse occasioni di incontrare i Pontefici. Primo fra tutti Papa Giovanni XXIII, conterraneo bergamasco di Sotto il Monte, vicino a casa mia. Ho avuto la possibilità di andare in udienza con le mie squadre da Papa Wojtyla e da Papa Francesco. Ogni volta una grande emozione.

Un ultimo assist è: cosa direbbe a tutti gli allenatori del CSI? Sappiate far divertire i ragazzi! Quando io non riuscivo a divertirmi, pur essendo un professionista, mi pesava molto. Occorre avere questa consapevolezza: che il calcio, e in generale lo sport, deve essere un divertimento. E in campo dare sempre il massimo delle proprie possibilità. Poi, se qualcuno è più bravo, è giusto che vada avanti lui.

Non solo tecnico, ma educatore.

Non solo schemi, ma relazioni. Non solo risultati, ma persone.

Il cuore dell’attività sportiva giovanile e associativa batte anche grazie a lui.

L’allenatore: una figura chiave

di Daniela Colella

C’è un gesto, a fine allenamento, che vale più di una vittoria. Un ragazzo che rimane qualche minuto in disparte, e un allenatore che si ferma, lo guarda, lo ascolta.

Magari non dicono nulla di straordinario. Ma quella disponibilità a esserci, quel tempo regalato costruiscono fiducia, legami, crescita. Lo sport educativo comincia lì. Molto prima delle

tattiche e dei tornei. Nel Centro Sportivo Italiano, dove lo sport è uno strumento per formare persone e costruire comunità, la figura dell’allenatore rappresenta una delle presenze più decisive, anche

Una figura chiave: l’allenatore

se spesso invisibili. È un ruolo che tiene insieme molte anime: tecnico, educatore, volontario, riferimento associativo. L’allenatore CSI partecipa a corsi di formazione, si mette in gioco, abbraccia una visione: quella in cui educare viene prima del vincere. E non è uno slogan. Ce lo ricordano i ragazzi. «Il mio allenatore non mi ha insegnato solo a colpire la palla, ma a non abbattermi quando sbaglio. E anche a dire scusa quando faccio fallo». Parla così Filippo, 14 anni, esterno destro in una squadra CSI di calcio a 7. E aggiunge: «A volte lo guardiamo più di quanto ascoltiamo i prof». È una frase che racconta molto più di un’intervista. Perché nel contesto dello sport associativo l’allenatore è una figura educativa potente, capace di orientare, correggere, accompagnare. È un adulto significativo, in un tempo in cui tanti adolescenti vivono disorientamento, solitudine, frammentazione familiare. L’allenatore CSI sa che ogni scelta può avere un impatto. Sa che, accanto agli esercizi e ai cronometri, ci sono ferite invisibili da accogliere, storie complesse

da rispettare, talenti da far fiorire. Non sempre ci riesce, certo. Ma ci prova, ogni settimana. Ci prova quando scrive le convocazioni, quando prepara la merenda dopo l’amichevole, quando media i conflitti tra compagni, quando difende un ragazzo giudicato solo perché diverso. È lì che si misura il valore di un allenatore associativo. È lì che lo sport diventa davvero educativo. Daniela, 44 anni, allena da oltre vent’anni una squadra di pallavolo in una polisportiva CSI dell’hinterland milanese: «I ragazzi capiscono tutto. Se prometti che giocheranno tutti e poi pensi solo a vincere, lo sentono. Se fai il tifo per chi è più forte e ignori gli altri, lo notano». La lezione è chiara: l’autorevolezza non si costruisce con i volumi alti, ma con la coerenza. L’allenatore che sbaglia e chiede scusa, che accoglie i dubbi, che gestisce le tensioni con rispetto, diventa un modello di vita, prima ancora che sportivo.

Per questo motivo, il CSI investe da sempre nella formazione: attraverso corsi coordinati dai responsabili tecnici territoriali e

pensati per formare allenatori capaci, ma soprattutto consapevoli del proprio compito educativo. Spesso tra i corsisti ci sono ragazzi di vent’anni che iniziano ad allenare mentre ancora giocano. Una sfida bellissima, che può generare entusiasmo ma anche fatica. Per questo è fondamentale che le società, i dirigenti stiano accanto ai giovani allenatori. Nessuno cresce da solo. Dall’altra parte ci sono allenatori esperti, quelli che hanno allenato i padri e ora accompagnano i figli. Come Gino, 67 anni, che ha sempre allenato nel CSI: «Alcuni sono diventati allenatori a loro volta. Questa è la mia coppa più bella». C’è una forza tutta associativa in questa trasmissione di valori. Il CSI è anche questo: uno spazio in cui lo sport si intreccia con la vita, e dove gli allenatori diventano testimoni silenziosi di un’educazione possibile. Molto del loro lavoro non si vede. Non è sui social, non è sui podi. È nelle chat coi genitori, nelle telefonate serali per incoraggiare un ragazzo che vuole mollare, nei viaggi per accompagnare la squadra, nei moduli da compilare, nelle riunioni

con i dirigenti. È nel tenere insieme un gruppo che litiga, nell’accogliere chi ha difficoltà motorie o familiari, nel credere in chi non crede più in sé stesso. È nell’educare alla sconfitta, alla panchina, all’impegno. Giulia, dirigente di una società CSI del Lazio, ricorda quando un bambino con difficoltà comportamentali ha trovato equilibrio proprio grazie al rapporto con il suo allenatore: «Lo trattava come un qualsiasi altro compagno, con fermezza ma con affetto. Oggi quel ragazzo gioca. Ma soprattutto sorride».

Il rapporto con le famiglie è un altro snodo fondamentale. Educare nello sport significa anche mediare aspettative, favorire dialoghi, gestire tensioni. L’equilibrio non è scontato: ci sono genitori che spingono troppo, altri troppo poco. Ma, quando si riesce a creare alleanza educativa, il beneficio è per tutti. «Ho visto allenatori diventare punti di riferimento anche per i genitori –racconta Marco, Presidente di una società CSI in Campania –. In certe periferie, lo sport è l’unico spazio di fiducia. L’allenatore è la persona che c’è».

Alla fine, qual è la vittoria più bella per un allenatore CSI? Non è una coppa. È un “grazie” inaspettato. È un messaggio di un ragazzo ormai cresciuto che dice: «Mi hai aiutato a diventare me stesso». O il messaggio di una mamma: «Mio figlio è più sicuro di sé da quando viene ad allenarsi». È vedere una squadra accogliere un nuovo compagno, crescere insieme, rispettarsi, includere chi arriva ultimo nella corsa. È sapere che, anche quando smetteranno di giocare, si ricorderanno di te come di qualcuno che ha fatto la differenza. Allora sì, l’allenatore sarà stato un vero motore. Non solo dello sport. Ma della vita.

Attenzione ai baobab: a

proposito di allenatori e cura quotidiana

Nel “Piccolo Principe”, Antoine de Saint-Exupéry racconta che sul pianeta del protagonista crescono dei semi invisibili: alcuni daranno fiori, altri diventeranno terribili baobab, capaci di distruggere tutto se lasciati crescere indisturbati. Per questo, ogni mattina, il piccolo principe si prende cura del suo pianeta, strappando subito i germogli pericolosi, prima che sia troppo tardi.

Non è forse anche questo, in fondo, il compito di un allenatore? Non solo insegnare un gesto tecnico o guidare una squadra, ma aiutare ciascun ragazzo a riconoscere dentro di sé quei “baobab” di cui parla il “Piccolo Principe”. I semi delle paure non dette, delle rabbie represse, delle insicurezze che si travestono da arroganza o indifferenza. I baobab della sfiducia, dell’apatia, della chiusura agli altri. Sono piccoli, all’inizio, invisibili quasi, come certe battute storte, certi sguardi bassi, certi silenzi dopo un errore. Ma, se non si impara a riconoscerli e ad affrontarli, rischiano di crescere e occupare tutto lo spazio dentro, fino a far scoppiare il pianeta fragile dell’identità di un adolescente. Ecco perché l’allenatore, nel contesto educativo e associativo del CSI, è chiamato non solo ad allenare corpi, ma ad accorgersi delle anime. Non per invadere, ma per accompagnare. Per essere lì, presente. Per dire: «Ho visto che qualcosa non va. Ne vuoi parlare?». Oppure: «So che puoi fare di più. Non solo nello sport». E per farlo serve una sensibilità profonda, una disciplina quotidiana, quella stessa di cui parla il piccolo principe quando dice che ogni mattina bisogna prendersi cura del proprio pianeta. L’allenatore, in fondo, aiuta i suoi ragazzi a fare proprio questo: imparare a riconoscere ciò che cresce dentro di loro, distinguere tra i rosai e i baobab, tra ciò che li nutre e ciò che rischia di soffocarli. A volte basta una parola detta al momento giusto, un gesto di fiducia, un’occasione offerta. Altre volte serve tempo, pazienza, e la fatica di esserci anche quando non si vede il risultato. Nel CSI, questo ruolo educativo non è un compito aggiuntivo: è parte integrante del “mestiere” di allenatore. È una missione che si sceglie. Chi entra in campo con i ragazzi ogni settimana lo sa: lo sport è solo l’inizio. Il vero lavoro si gioca nei dettagli, nelle relazioni, nelle piccole scelte quotidiane, nella cura. Perché è vero che i baobab sono pericolosi, ma è altrettanto vero che, se si insegna a riconoscerli in tempo, se si dà fiducia ai ragazzi e li si accompagna con empatia, si può salvare il pianeta. Un ragazzo alla volta e insieme costruire un pianeta più grande, dove ciascuno possa crescere e fiorire.

5.000

RAGAZZI E RAGAZZE COINVOLTI

400 ORATORI PARTECIPANTI

Philadelphia Junior Cup

Un calcio tra oratorio e sogno

Inclusione, rispetto, amicizia: gli ingredienti di un progetto che stringe tutta l’Italia in un abbraccio che va oltre i campi di gioco

di Laura Politi

Salvatore è il ragazzo di Scampia che ha alzato la coppa sul verde dell’Olimpico di Roma. Ma come è arrivato dall’Oratorio Don Guanella nello stadio della Capitale? Il punto di partenza – e di arrivo – è un progetto che è un torneo, che è un percorso di scoperta, ma anche una guida alla trasmissione di valori,

vero obiettivo alla base dello sport amatoriale. Parlare della volontà di farsi portavoce dei valori dello sport sembra spesso un discorso trito e ritrito, fatto proprio da coloro che desiderano apparire artefici di un cambiamento agli occhi di chi ascolta. Non sempre è facile dimostrare che non si tratta solo di un bel vestito, ma la Philadelphia

Junior Cup prova a farlo mettendo in campo attività ed azioni concrete, che coinvolgono, nei mesi del progetto, adulti e bambini con l’obiettivo di veicolare un messaggio che possa attecchire e lasciare un segno ben oltre la fine della competizione.

Questo progetto sportivo-educativo

PARTITE

APPUNTAMENTI

CON I CLUB DI SERIE A 1.800

DISPUTATE

da anni coinvolge ragazze e ragazzi lungo lo Stivale. La prima edizione, avviata nel 2013, sembra lontana nel tempo e dai contorni ormai sfumati, ma è da lì che è partita una missione rimasta viva negli anni. Non si tratta di un ricordo nostalgico, ma della speranza di aver contributo –anche se in minima parte, anche se in modo non tangibile – alla formazione di una persona, gettando un seme che in potenza può essere il primo anello di una catena di cambiamenti. Dopotutto, i giovani calciatori che hanno preso parte alla prima edizione sono ormai uomini e donne che costituiscono in modo attivo il tessuto della società in cui viviamo.

Ma facciamo un passo indietro, perché stiamo parlando di valori, obiettivi e giovani calciatori senza aver posizionato una lente di

La prima edizione, avviata nel 2013, sembra lontana nel tempo e dai contorni ormai sfumati, ma è da lì che è partita una missione rimasta viva negli anni

ingrandimento su quelle che sono le caratteristiche e la struttura del progetto. La Philadelphia Junior Cup si articola su due percorsi che corrono parallelamente e coinvolgono oratori che arrivano da tutta Italia.

È un torneo di calcio a 7 che si rivolge a ragazzi e ragazze under 14, che si allenano, formano e divertono negli oratori partecipanti. I team che scendono in campo nella competizione provengono sì da tutta Italia, ma nello specifico dalle città che hanno una squadra a rappresentarle nel massimo campionato nazionale di calcio,

quello di Serie A. Quest’anno, quindi, le formazioni che hanno preso parte alla competizione provenivano da 17 città italiane e, da febbraio a maggio, hanno dato il massimo sui campi di gioco per scalare la classifica. Sull’emozione di poter disputare la finale in una cornice da campioni – quale quella dello Stadio Olimpico di Roma –torneremo più avanti, perché c’è un secondo percorso che merita di essere analizzato.

Si tratta del filo conduttore del progetto, presente anche nel nome della competizione: Philadelphia Junior Cup | Keep Racism Out. Da

Un calcio tra oratorio e sogno

anni, infatti, il torneo degli oratori sposa e sostiene la campagna antidiscriminatoria “Keep Racism Out”, promossa da Lega Serie A insieme all’UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Proprio Lega Serie A è infatti la compagna di squadra del Centro Sportivo Italiano in questo progetto, per una sinergia tra mondo professionistico e amatoriale che dura da oltre un decennio. Quest’anno un nuovo membro ha fatto il suo ingresso in squadra, rafforzando il messaggio di inclusione e amicizia e in piena sintonia con i valori del progetto: Philadelphia, iconico marchio del Gruppo Mondelēz International, divenuto Title Sponsor della dodicesima edizione della competizione. In questa stagione, accanto alla campagna di sensibilizzazione contro il razzismo e ogni forma di discriminazione, si è stagliato a chiare lettere – anche tangibilmente, vista la presenza sulle maglie del progetto – il messaggio “Il calcio è amicizia”, a sottolineare appunto il ruolo di questo sport come veicolo di socializzazione e aggregazione sociale.

A partire dal mese di febbraio, accanto alle fasi provinciali e alle successive regionali e interregionali, si è infatti dipanato

un itinerario che ha attraversato l’Italia grazie alla collaborazione con tutti i Club militanti nella Serie A Enilive. Parallelamente all’aspetto competitivo, c’è stato infatti quello formativo, che ha portato alcuni degli oratori partecipanti al progetto a conoscere il dietro le quinte del professionismo, attraverso le parole di chi calca il campo per mestiere. I campioni dei Club di A hanno incontrato i giovani calciatori in appuntamenti organizzati apposta per loro, in cui hanno raccontato la propria esperienza, l’impegno, il sacrificio e la passione che si nascondono dietro i riflettori. Ad aprire il sipario degli incontri svolti nelle sedi e nei centri di allenamento dei Club – dopo il calcio d’inizio dato nell’Oratorio Assisi di Milano –, sono stati i nerazzurri dell’Atalanta B.C., che hanno accolto dei giovani emozionati all’interno del Centro Sportivo Bortolotti, dove il centrocampista Alberto Manzoni si è rivolto agli entusiasti spettatori.

Questi incontri formativi rappresentano e hanno rappresentato negli anni il fulcro del progetto, occasioni in cui si rompono le barriere tra il calcio dei “grandi” e chi gioca nei campetti sotto casa, negli oratori, nelle parrocchie, nelle piccole società e nei parchi. Entrare in contatto con “chi ce l’ha fatta”, sentire per

bocca loro i messaggi di cui la Philadelphia Junior Cup vuole farsi portavoce, approfondendo i valori dell’inclusione, dell’amicizia e del rispetto dell’altro, è il plus che dà un’ulteriore spinta al progetto, dal momento che il messaggio che si vuole veicolare riesce più facilmente a fare breccia nel cuore e nei pensieri dei giovani e giovanissimi ascoltatori quando proviene dai calciatori che seguono o ammirano. Insieme ai campioni della Serie A Enilive, psicologi, educatori e formatori hanno dialogato con gli oratori per approfondire i temi del progetto, con l’obiettivo di costruire le basi e piantare i semi di una società più inclusiva, in cui non ci sia posto per la discriminazione, di qualunque forma essa sia. «Il mio consiglio è che voi possiate continuare a divertirvi, senza mai smettere di credere in voi stessi e nel lavoro, denunciando eventuali episodi di razzismo»: le parole di Alessandro Bianco, centrocampista di A.C. Monza, che ha ospitato all’U-Power Stadium la seconda tappa del torneo nazionale giovanile degli oratori. E poi ancora le conversazioni e gli approfondimenti con l’attaccante dell’Empoli F.C. Christian Kouamé e con Marco Sala e Konan N’Dri, difensore e attaccante dell’U.S. Lecce, che ha accolto i giovani calciatori negli spazi dello Stadio Ettore Giardiniero – Via del Mare.

Se alcuni stadi sono stati appunto sede anche degli incontri formativi, in tutti gli impianti i giovani calciatori sono entrati durante i mesi del progetto per vivere dei momenti pensati appositamente per loro: da chi ha potuto assistere al riscaldamento pre-partita a pochi metri dai propri beniamini a coloro che hanno scoperto spogliatoi, sale stampa e, in generale, i dietro le quinte delle arene sportive. C’è

Festival della Serie A

Dove il calcio è amicizia, impatto e valore sociale

A Parma la Philadelphia Junior Cup è tornata come protagonista anche in occasione del Festival della Serie A, la manifestazione organizzata da Lega Serie A – in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna e il Comune di Parma – per raccontare tutte le emozioni del calcio, in particolare del massimo campionato italiano. Nel secondo fine settimana di giugno, infatti, la città ducale ha fatto da cornice ad una tre-giorni intensa, con convegni e ospiti che hanno trattato temi di attualità legati al mondo del pallone, dalla sostenibilità economica dei Club al confronto tra leghe calcistiche e al fantacalcio.

Per il secondo anno consecutivo, il Centro Sportivo Italiano è stato invitato come ospite alla manifestazione, per approfondire il progetto che unisce sport di base e sport professionistico, per raccontare al pubblico quella sinergia che rende possibile l’unione di tutti gli “oratori della Serie A” in un unico grande quadro in cui i colori del calcio delle parrocchie si armonizzano con quelli dei Club, al fine di fare squadra per il comune obiettivo di promuovere i valori dello sport.

Con questa intenzione è nato il panel intitolato “Philadelphia Junior Cup: dove il calcio è amicizia, impatto e valore sociale”, che fin dal nome rende evidente quanto ci sia nel progetto che va oltre la mera competizione. A dare il via ai lavori del Festival nella Galleria San Ludovico, denominata Sala Coppa Italia, è stato proprio il convegno con ospite il Presidente nazionale del CSI, Vittorio Bosio. Il numero uno dell’Associazione ha sottolineato come la Philadelphia Junior Cup rappresenti «un momento di incontro, di amicizia, qualcosa che, grazie al calcio professionistico, dà l’occasione a questi ragazzi di vivere un’opportunità che diventa un sogno». Un sogno che si trasforma anche in realtà, e che è stato rappresentato sul palco proprio da una delegazione dei vincitori della dodicesima edizione del progetto, i giovani calciatori dell’Oratorio Don Guanella.

Sui ragazzi come testimonial del messaggio di inclusione che si vuole trasmettere, nonché come rappresentanti di forti luoghi di aggregazione quali gli

oratori, è intervenuto Luigi De Siervo, Amministratore Delegato di Lega Serie A. «Siete a tutti gli effetti i nostri Ambassador»: così si è espresso l’AD parlando ai vincitori presenti tra il pubblico, con riferimento al messaggio “Keep Racism Out” cucito sulla divisa di gioco, ma anche al bagaglio di esperienze che tutto il percorso della Philadelphia Junior Cup contribuisce a riempire.

E poi ancora, nel panel moderato dalla giornalista di Sky Sport Federica Lodi, il calcio come sinonimo di amicizia e aggregazione sociale nel videomessaggio di Francesco Meroni, Marketing Director del Gruppo Mondelēz International in Italia; l’oratorio come luogo di formazione nell’intervento dell’Assistente Ecclesiastico nazionale del CSI, don Luca Meacci, che ha approfondito il legame dell’Associazione con il mondo delle parrocchie e il ruolo degli oratori come «fucina di valori e di esperienze di vita comunitaria».

Due diversi approfondimenti hanno consentito di indagare il legame tra giovani, sport e impatto sociale. Da una parte l’intervento di Livio Gigliuto, Presidente dell’Istituto Piepoli, che ha esaminato il rapporto della Generazione Alpha con il calcio, ancora in grado di attirare l’interesse dei più giovani; dall’altro l’analisi esposta da Carmelo Carbotti, Responsabile Marketing Strategico e Ufficio Studi di Banca Ifis, che ha posto l’accento sull’impatto sociale dello sport.

Un calcio tra oratorio e sogno

poi chi in quegli impianti è sceso indossando la divisa “Keep Racism Out”, calcando il campo poco prima dei match del campionato della Serie A Enilive. Guardando i loro volti, erano palpabili l’agitazione, il nervosismo, ma anche l’appassionato desiderio di fare del proprio meglio per onorare quei campi, per costruire un ricordo indelebile sulla tela di una cornice d’eccezione come quella degli stadi della Serie A. E come dar loro torto, quando si vede realizzare un desiderio di questa portata?

L’ultimo appuntamento della Philadelphia Junior Cup, prima della fase finale, è stato proprio un pre-gara, giocato a Udine prima di Udinese-Bologna, con il Bluenergy Stadium che ha visto scendere in campo l’Oratorio San Giacomo e l’Oratorio San Giuseppe. È stata la prima formazione a conquistare la vittoria, ma era evidente che entrambe le squadre stessero portando a casa molto di più del risultato di una gara.

Facendo un passo indietro di qualche settimana, sono stati numerosi gli interventi di calciatori e calciatrici che hanno prestato la loro voce alle tematiche del progetto. Dopo la tappa in Salento, il progetto è arrivato a Milano per l’incontro con Chaka Traorè, attaccante di Milan Futuro, e pochi giorni dopo in EmiliaRomagna, a fare la conoscenza di Edoardo Corvi e Carlotta Masu, rispettivamente portiere e difensore della Prima Squadra Maschile e Femminile del Parma Calcio, e poco più avanti dell’attaccante del Bologna FC 1909 Nicolò Cambiaghi. Non si vuole ridurre l’impatto di questi incontri sui ragazzi ad un mero elenco dei Club e dei calciatori partecipanti, e sembra pleonastico sottolineare come gli appuntamenti

siano stati più di un semplice scambio di maglie. Nonostante questo, è una “lista della spesa” resa necessaria dall’importanza di evidenziare la collaborazione piena e fattiva da parte dei Club, senza i quali questo percorso sportivo non potrebbe neppure esistere. È quindi doveroso un riconoscimento a chi ha donato una parte del proprio tempo e della propria esperienza personale per lanciare un messaggio di inclusione e rispetto, dimostrando come il gioco di squadra sia possibile e tra tutti i livelli. Una sinergia dimostrata anche dalla frequente presenza, nel contesto di questi incontri, di delegazioni dei settori giovanili maschili e femminili dei Club.

L’ottava tappa del progetto è stata quella con il Torino F.C. e con il difensore granata Adam Masina, che ha ricordato l’importanza della condivisione, della fatica e del divertimento. A seguire la visita, insieme al settore giovanile dell’F.C. Internazionale Milano e al Vicepresidente Javier Zanetti, al Memoriale della Shoah, per un incontro di riflessione in un luogo che invita ad entrare nella storia per non ripetere gli errori del passato. La visita in questo luogo di memoria vuole essere da anni un monito a non rimanere in silenzio davanti ad atti discriminatori, a far sentire tanto più forte la propria voce quanto più è alto il muro dell’indifferenza.

La settimana successiva quattro diversi incontri hanno portato i valori del progetto lungo la penisola. Lo stesso giorno i giovani calciatori sono stati accolti all’Allianz Training Center e all’Unipol Domus, per conoscere e ascoltare l’esperienza di Michele Di Gregorio e Cecilia Salvai, rispettivamente portiere della Prima Squadra maschile e difensore della Prima Squadra femminile della

Juventus, e poi di Michel Ndary Adopo, centrocampista del Cagliari Calcio. Dalla Sardegna il progetto ha poi raggiunto la Capitale, dove il portiere biancoceleste Ivan Provedel ha invitato i ragazzi a non mollare mai, a seguire la propria passione con entusiasmo e al contempo con la consapevolezza che durante il percorso le difficoltà esistono, ma costituiscono stimoli per superare gli ostacoli. Inclusione e impegno al centro anche dell’incontro con Devyne Rensch, difensore dell’A.S. Roma, che ha regalato un pomeriggio speciale agli atleti dell’Oratorio San Romano.

A chiudere il mese di marzo sono stati gli incontri vestiti con i colori del Genoa CFC e del Como 1907, arricchiti anche dallo scambio di esperienze con i settori giovanili dei rispettivi Club. Nel primo caso è stato l’attaccante rossoblù Caleb Ekuban a toccare i temi del rispetto e dell’importanza del gioco di squadra, seguito a distanza dai protagonisti dell’incontro nella città del lago di manzoniana memoria. Fellipe Jack e Adriana Martín, difensore della Prima Squadra maschile e attaccante della Prima Squadra femminile del Club biancoblù, hanno regalato stimoli e spunti di riflessione al loro emozionato e giovane pubblico.

Il mese di aprile è stato un susseguirsi di emozioni arrivate dai campi di gioco di oratori e parrocchie, oltre che dagli incontri formativi. Le fasi regionali ed interregionali del torneo hanno infatti decretato gli otto team pronti a volare a Roma per la finale nazionale, pronti a partire per rendere concreto un sogno divenuto intanto molto più vicino e realizzabile. Mentre il match che assegna la coppa si avvicina, si conclude l’iter di appuntamenti emblematici del

rapporto e dello scambio proficuo tra base e vertice. Dalla città famosa in tutto il mondo per un amore dal tragico epilogo, incontrano i ragazzi della Philadelphia Junior Cup Marco Davide Faraoni, difensore dell’Hellas Verona, e Maddalena Nava, centrocampista dell’Hellas Verona Women, che ricorda ai giovani presenti: «In campo siamo tutti uguali, calciatrici e calciatori che giocano per divertirsi e per inseguire i propri sogni». Mentre la Viola registra sorrisi, selfie e autografi con il difensore Marin Pongračić, Juan Jesus e Pasquale Mazzocchi della SSC Napoli dialogano con i loro fan partenopei. Chiudono il cerchio l’Udinese Calcio e il Venezia FC, con i bianconeri Simone Pafundi e Mattia Bozza – centrocampisti rispettivamente della Prima squadra e della Primavera – e il portiere arancioneroverde Filip Stanković.

Arriviamo così all’ultimo atto, fissato a Roma nel mese di maggio. È difficile spiegare, nero su bianco, il significato che assume per questi ragazzi la possibilità di essere presenti alla fase finale del torneo. Erano oltre 100 i giovani calciatori giunti nella Capitale per la presentazione dell’atto conclusivo nel Centro di Preparazione Olimpica “Giulio Onesti”, dove i promotori del

progetto, con il supporto di psicologi e insieme agli Ambassador di Lega Serie A Vincent Candela e Roberto Donadoni (di cui potete leggere l’intervista nella rubrica “Nati nel CSI”), hanno posto l’accento sui valori dell’inclusione e del rispetto che animano la Philadelphia Junior Cup. Si è parlato di empatia e di amicizia, fondamentali per mettersi nei panni dell’altro e far sentire il proprio no al razzismo, al bullismo, ad ogni forma di discriminazione. Il calcio, in quanto sport di squadra, parla chiaro sull’argomento: nessuno deve essere lasciato indietro, tutti apportano valore aggiunto al team, perché in una squadra si gioca insieme – anche dalla panchina, anche dagli spogliatoi, anche dagli spalti –, si vince e si perde insieme. E allora l’invito è quello di essere sempre ponti e mai muri, connessioni e non fratture.

Sono arrivati da Bergamo, Milano, Venezia, e ancora da Genova, Bologna e Firenze, e poi da Napoli e Cagliari: sono i ragazzi delle otto squadre finaliste, che hanno giocato al meglio delle proprie capacità, sui campi del “Giulio Onesti”, per calcare il verde dello Stadio Olimpico, riservato alle prime due classificate, con tutti gli altri finalisti ospiti sugli spalti della

Tribuna Tevere. Ad aprire il sipario e a scaldare il pubblico della Finale di Coppa Italia Frecciarossa sono stati proprio i ragazzi degli oratori. Prima di Milan-Bologna c’è stato un altro match sui maxischermi dell’Olimpico, quello tra l’Oratorio Don Guanella e l’Oratorio Verdellino. Questi ultimi sono usciti sconfitti (2 a 0 per i ragazzi di Napoli il risultato finale), ma non tristi. Riuscite ad immaginare il volto di un ragazzo, dopo mesi investiti in un sogno, mentre si vede giocare su un campo di Serie A, con tanto di pubblico e tifo? Provate ad immedesimarvi e a guardare voi stessi – con gli occhi di quel ragazzo – mentre vi vedete entrare in area di rigore direttamente sugli schermi dell’Olimpico, con tanto di replay di azioni e gol mancati. Non possiamo affermare che non ci fosse delusione sul volto di alcuni ragazzi, perché è inevitabile che ci sia dopo un risultato che non è quello sperato. Ma non è retorica dire che quella delusione ha lasciato il posto a qualcosa di ben diverso dalla tristezza, sia perché ha fatto spazio alla consapevolezza di aver dato il massimo e sia perché... be’, quei ragazzi stavano giocando una finale nazionale sul prato di uno stadio come l’Olimpico: davvero serve aggiungere altro?

E ora, come ultimo esercizio, provate a pensare di andare ad esultare, a 14 anni, sotto la vostra curva, dopo aver centrato la rete. Pensate a Salvatore, il capitano dell’Oratorio Don Guanella, che ha sollevato la coppa della dodicesima edizione della Philadelphia Junior Cup in uno stadio da decine di migliaia di spettatori. I fotogrammi di quel momento mostrano tutta la potenza dirompente straripante da una passione che raggiunge l’apice e il suo compimento. Perché la Philadelphia Junior Cup, prima di essere un torneo, rimane un sogno.

The Dark Horse

Fa’ la Mossa

Giusta

La scacchiera come riscatto da una vita complicata è al centro del film. La storia vera di un ex campione di partite lampo, affetto da disturbo bipolare, che diventa allenatore di scacchi a squadre per il recupero di ragazzi difficili

THE DARK HORSE

Regia di J. Napier Robertson , con Cliff Curtis, J. Rolleston

Il re sotto assedio, un cavaliere stanco, la torre in fiamme: è il mondo di sempre. Per fortuna resta l’uomo, luminosa tragedia di bellezza, che sbanda sotto la pioggia flagellante. Ha viso stremato di medicine, testa confusa, l’eredità del popolo maori che il bravo circo globale apprezza per l’haka rugbistica ma non per la nobile resistenza contro le invasioni europee in Nuova Zelanda.

Genesis Potini soffre di disturbo bipolare, entra ed esce da ospedali psichiatrici, galleggia attorno al fratello a sua volta disperatamente legato ad una gang di rapaci motociclisti. Ma per fortuna resta Genesis, nome di nascite e rinascite quotidiane: un tempo brillante promessa del gioco degli scacchi ed oggi, a un passo dal vuoto senza ritorno, capace di promettersi maestro ad un gruppetto di under 14, compreso il nipote Mana. Obiettivo? Giocare il torneo giovanile di scacchi ad Aukland partendo dalla residuale cittadina di Gisborne. Nel mezzo il regista e documentarista James Napier Robertson non risparmia nulla della crudezza della vita: le difficili condizioni sociali dei protagonisti, il rapporto d’amore e rivalità tra Genesis e il fratello Ariki, la sfida di mettere ordine attraverso regole di gioco a vite schiantate dal caos.Nessuna scena è gratuita: “The Dark Horse” graffia la pelle per l’odore di dolore e meraviglia che abbraccia Genesis,

Genere drammatico, sportivo –NuovaZelanda, 2014, durata 124 minuti.

i giovanissimi “Cavalieri d’Oriente” e quei pochi adulti ancora pronti alla dignità. Quanta emozione vi prenderà entrando con loro nella sala del torneo nazionale di Aukland!

Siete voi, la vostra squadra di basket o calcio o rugby, lo spogliatoio improbabile dalle docce sempre fredde; siete voi sul pulmino sgangherato che chissà se arriva al campo in cima al picco più alto; e siete voi, a capo chino per la sconfitta o trepidanti per la mossa decisiva, che all’ultimo istante dell’ultima partita stamperà sul viso anche degli animi più perduti il sole di un avvenire che è oggi e qui. Un film imperdibile, magnifico, folgorante nell’attore d’origine maori Cliff Curtis, già in “Once Were Warriors” e “Avatar”. Così bravo che nei titoli di coda fatichiamo a distinguerlo dal vero Potini. Già, perché questa storia nasce dalla terra, dai fanti e dai re, dal disturbo bipolare di Genesis, uno che ha provato con gli scacchi a dare ed avere identità per sé, per la sua famiglia, per un popolo nobilissimo. Ai suoi allievi diceva: «Ogni giorno è buono per imparare». Anche per questo lo amerete. Con dolore. Sentendo ad ogni mossa la sua e la vostra vita. Un giorno l’amore sarà la fine dell’assedio.

PER CONTATTARE

LA REDAZIONE

Telefono 06 68404592

Email stadium@csi-net.it

Web www.centrosportivoitaliano.it

SALERNO

In migliaia a “Pedalando per la Città”

Quattromila i partecipanti lungo le strade di Salerno alla 31ª edizione di “Pedalando per la Città”, manifestazione ciclistica ludico-motoria su un percorso di circa 12 chilometri, con traguardo ai Giardini del Lungomare Trieste. Organizzata dall’Associazione Amici del Sacro Cuore con il supporto del Comune di Salerno, in collaborazione con il Centro Sportivo Italiano di Salerno, la manifestazione sottotitolata “Con Francesco onoriamo la natura” ha voluto sensibilizzare la popolazione parteci-

pante sulle tematiche ambientali e sui valori di fratellanza e rispetto, ispirati alla figura di San Francesco d’Assisi. Ad ogni iscritto è stato consegnato un kit con maglietta, zainetto, gadget, acqua e un prodotto della Centrale del Latte. Nata come iniziativa parrocchiale, “Pedalando per la Città” si è confermato oggi un evento cittadino che unisce sport, natura e condivisione, coinvolgendo famiglie, giovani e sportivi per una giornata di festa e partecipazione.

BARI

Il territorio al centro

ACIREALE “Giubileo dello Sport” in Piazza Duomo

Larga, larghissima l’adesione al “Giubileo dello Sport”, promosso sabato 17 maggio dal Comitato di Acireale del Centro Sportivo Italiano, presieduto da Alessio Paradiso ed animato dalla presenza di numerosi giovani e sportivi in generale. Cuore la Piazza Duomo, dove il CSI acese, insieme a diverse società sportive locali, ha allestito un Villaggio dello sport proponendo campi di volley, calcio a 5, basket, tavoli per gli scacchi, una pedana per la ginnastica artistica e il pattinaggio a rotelle. Nel tardo pomeriggio la processione dalla Basilica dedicata ai Santi Pietro e Paolo per andare ad attraversare la Porta Santa della vicina Cattedrale. «Abbiamo raccolto l’invito del vescovo di Acireale, mons. Antonino Raspanti – ha dichiarato Alessio Paradiso, Presidente del CSI acese – per partecipare a questo cammino della speranza, all’insegna dello sport come insieme di valori sani e di principi oltre che di divertimento». La manifestazione si è svolta sotto lo sguardo vigile del Presidente regionale del CSI siciliano, Salvatore Raffa, dell’Assessore allo Sport di Acireale, Rosario Raneri, e dell’Assistente Ecclesiastico del CSI di Acireale, don Egidio Vecchio.

Baridanza... borse di studio al Ballet de Catalunya di Barcellona

Anche nel 2025 Bari è stata crocevia della danza con artisti e giovani provenienti da ogni dove. Per la ventinovesima volta, infatti, il Festival Baridanza è stata l’occasione buona per tutti gli aspiranti professionisti per mettersi in luce davanti a grandi artisti. Da venerdì 4 a domenica 6 aprile al Teatro AncheCinema della città pugliese, con la direzione artistica curata sempre impeccabilmente da Mario Beschi. Una giuria di livello internazionale con i migliori personaggi della danza e del balletto, il supporto del Centro Sportivo Italiano e l’importante sostegno dell’Assessorato della Regione Puglia e del Comune di Bari. Il concorso, durante i tre giorni, ha visto oltre mille ballerini partecipanti sul palco con varie sezioni in programma: Danza Classica/Neoclas-

sica, Contemporanea, Modern, Hip-Hop, Musical. Altissimo il livello dello spettacolo proposto dalle scuole partecipanti, arrivate a Bari dalla Puglia ma anche da Padova, da Vasto, da Potenza e da altre cittadine lucane. Eseguite numerose coreografie nelle tre sezioni principali: gruppi, assoli e passi a due. Applauditissimi dal numeroso pubblico, le ballerine e i ballerini hanno ricevuto un attestato di partecipazione riconosciuto come credito formativo per tutti gli studenti e numerosi premi assai professionalizzanti, tra cui borse di studio complete di viaggio e soggiorno in strutture prestigiose quali il Ballet de Catalunya di Barcellona e l’Opus Ballet di Firenze. Per i giovani talenti emergenti una gran bella opportunità di formazione.

Il territorio al centro

Telefono 06 68404592

Email stadium@csi-net.it

Web www.centrosportivoitaliano.it

80 anni e ancora tanto fiato. Piazza Prampolini si è vestita di sport

Piazza Prampolini, cuore pulsante della città di Reggio Emilia, si è trasformata sabato 17 maggio in una palestra a cielo aperto per le festa degli 80 anni del CSI locale. Circa 400 ragazzi delle scuole primarie e secondarie di primo grado si sono riversati, al mattino, nella piazza già allestita ad hoc per l’evento. Maglietta e sacca personalizzata per ciascuno studente a caccia di tutti i timbri delle stazioni sportive presenti. Uno slalom con sorprese dietro ad ogni angolo: a nord della piazza una parete d’arrampicata svettava in tutta la sua altezza, mentre sulla strada adiacente la Atletica Reggio ha steso una striscia di Vaneton per sfide all’ultimo decimo di secondo. Koala Scherma in pedana a tirare qualche “botta”. A centro piazza un campo gonfiabile di calcio 3×3. Infine, un canestro da basket, un piccolo campo di sitting volley, un trampolino e uno stand di giochi da tavolo. Al pomeriggio, numerosi gli ospiti sul palco e sempre parecchia

gente ad assistere alle diverse esibizioni di danza sportiva, ultimate frisbee, freestyle di calcio, acrobatica e acrobatica aerea, tutte curate da società reggiane. Alla sera, dopo un veloce disallestimento della piazza, il palco ha cambiato aspetto

ed è diventato protagonista di un DJ set a cura di Bombonera, affermato format musicale cittadino, il quale ha fatto ballare grandi e piccini fino a mezzanotte. Partner fondamentali: Gruppo Iren, Conad, Emilbanca.

RAVENNA

“Giocando senza Frontiere”

Circa 450 tra atleti, accompagnatori e volontari giovedì 22 maggio si sono incontrati e sfidati a Ravenna presso il Campo di atletica Marfoglia nel corso della manifestazione sportiva organizzata dalla Cooperativa Sociale La Pieve e dal CSI ravennate. “Giocando Senza Frontiere” è la competizione sportiva pensata per valorizzare il gioco come strumento educativo e occasione di incontro. A sfidarsi sono state le persone con disabilità che frequentano i centri diurni del territorio insieme ai loro educatori e accompagnatori. Cinque le gare programmate: gara di velocità 25m, marcia 400m, corsa delle carrozzine, staffetta a squadre con testimone, lancio del vortex. La novità di questa edizione è stata data dall’introduzione della gara di velocità di 25 metri in cui si sono sfidati educatori e volontari. La manifestazione, patrocinata dal Comune di Ravenna, del Consorzio Solco Ravenna e del Comitato Italiano Paralimpico della Regione Emilia-Romagna, è una di quelle che meglio dimostra il forte potere inclusivo che ha lo sport.

A metà giugno

La Piazza S. Vincent 2025

Tre giorni di calcio a 5, pallavolo con la Volley Cup, Billia Open di tennis, talk show, musica, balli, magia, moda, giochi medievali e intrattenimento per bambini nel programma de La Piazza Saint-Vincent 2025, che dal 13 al 15 giugno ha fatto decollare l’estate della Riviera delle Alpi. La grande kermesse griffata ASD Valdostana e CSI Valle D’Aosta, con il sostegno dell’amministrazione comunale, ha coinvolto la cittadinanza nel cuore di Saint Vincent con un programma davvero ricco di iniziative, tra cui anche le partite del Memorial Maicol Castelnuovo di calcio a 5, venerdì 13 giugno.

AOSTA

PER CONTATTARE

LA REDAZIONE

Telefono 06 68404592

Email stadium@csi-net.it

Web www.centrosportivoitaliano.it

LATINA

Impegno e sport sociale per il Comitato

Il mese di maggio, nel CSI pontino, ha ospitato i tradizionali impegni di sport sociale a sostegno dei percorsi di integrazione nel settore della disabilità che vede ormai il Comitato CSI Latina impegnato 12 mesi l’anno con varie iniziative che coinvolgono i distretti sociosanitari del territorio.

Giunta alla 14ª edizione, la Scuola Calcio Integrata Salvatore Arena firmata PGS

Don Bosco Gaeta, in un lunedì di maggio dal carattere primaverile, ha chiuso le attività annuali organizzando il XIV “Memorial Leone”, torneo di calcio a 5 interno che coinvolge i centri diurni del territorio del sud pontino. I formidabili “ragazzi” della scuola calcio integrata sono scesi in campo, per regalarci una mattinata di festa e condivisione, dando

vita ad un quadrangolare divertente ed appassionante, in cui a vincere è stata la forza del gruppo e l’amore per lo sport. L’evento si è concluso con la premiazione dei centri diurni di Cooperativa La Valle, Cooperativa Sociale Osiride e Fondazione Don Cosimino Fronzuto ONLUS. Ad Aprilia si è invece svolta nella terza domenica di maggio la 28ª edizione della “Pedalata per un Raggio di Sole”, tradizionale appuntamento avviato grazie al costante lavoro dell’ASD Ciclistica Aprilia per uno scopo benefico: sostenere e dare visibilità alla comunità “Raggio di Sole”, attiva nel supporto a ragazzi con disabilità. I partecipanti hanno percorso un tragitto di 10 km attraverso la città, in un clima di festa e solidarietà, con ristoro e riffa finale.

BRESCIA

MANTOVA

Il territorio al centro

“Tuttingioco” per 12 anni di emozioni

Sedici anni di emozioni, di sogni condivisi, di sorrisi che brillano più forti del sole di maggio. Sedici edizioni di un torneo che non è solo sport, ma un inno alla vita, all’inclusione e al coraggio. “Tuttingioco” è tornato a Canneto sull’Oglio, nell’ultimo weekend di maggio. Sul campo nessun limite, solo passione. Non esistono barriere, solo compagni: 32 squadre che arrivano da tanti Paesi d’Europa, come Danimarca, Germania, Monaco, Malta, San Marino, oltre che da tutta Italia (anche dalla Sicilia). “Tuttingioco” è un torneo che coinvolge atleti con disabilità e con un talento speciale: quello di insegnarci cosa vuol dire davvero lottare e gioire insieme. Essere squadra. Novità dell’anno da Malta che ha portato al CSI Mantova il Frame Football, un calcio diverso, meravigliosamente potente. Atleti che scendono in campo con il loro girello – il frame – trasformandolo da strumento di sostegno a mezzo di libertà. “Tuttingioco” è stata una festa in famiglia. Nel 1° livello l’ha spuntata il Padania Soccer di Torino, nel 2° livello la Juventus Pinerolo e nel 3° livello gli Insuperabili di Genova.

Oltre 2.500 atleti alla Spaccagambe della GDM

Un’ora di allenamento serrato, senza pause, nel verde del Campo di Marte a Brescia. Poi una corsa di 9 km lungo sentieri sterrati, con un dislivello di circa 600 metri sul Monte Maddalena. Oltre 2.500 atleti si sono ritrovati quest’anno alla Spaccagambe, la “gara” non competitiva giunta nel 2025 alla sua quinta edizione. Nata nel 2021, subito dopo il lockdown, ha visto una crescita costante grazie all’approccio unico della GDM – Ginnastica Dinamica Militare Italiana 1978, che oggi conta oltre 60.000 iscritti e 500 centri tra Italia ed Europa. Questa disciplina, riconosciuta dal CONI attraverso il CSI, si fonda su tre principi chiave: allenamento senza macchinari, totale assenza di comfort per stimolare l’adattamento fisico, lavoro di gruppo senza competizione individuale.

«Perché si chiama così? “Spaccagambe” è il nome dell’ultimo esercizio della prima ora di allenamento. Un nome che fa paura solo a pensarlo, un esercizio tosto che in realtà è la combinazione di quattro attività diverse, con una funzionalità impressionante». Queste le parole di Matteo Sainaghi, CEO e fondatore di GDM, che continua: «La Spaccagambe è

molto più di una gara: è soprattutto autodisciplina e forza mentale. Nessuno perde, tutti vincono sfidando i propri limiti. Rappresenta la sfida finale con sé stessi, più mentale che fisica».

Un elemento distintivo dell’evento è la partecipazione equamente distribuita tra uomini e donne, provenienti da ogni parte d’Italia.

#VitaCSI

Il territorio al centro

MODENA

PER CONTATTARE

LA REDAZIONE

Telefono 06 68404592

Email stadium@csi-net.it

Web www.centrosportivoitaliano.it

Al Teatro Storchi “Invivavoce”: fragilità e paure giovanili

“Invivavoce – Echi d’ansia del nostro tempo”. Sul palco del Teatro Storchi di Modena, martedì 15 aprile, storie reali di studenti sul tema dell’ansia e delle aspettative. Relazioni, aspettative, ansie, dubbi, aspirazioni, sogni, attese, dolori. Oltre cento persone tra attori, cantanti e allievi di scuole di danza, tra i 15 e i 25 anni, con un copione scritto a più mani grazie al grande lavoro dello staff che è entrato in contatto direttamente con i ragazzi delle scuole modenesi che hanno proposto il tema da trattare: un percorso iniziato in classe, grazie alla collaborazione degli insegnanti, e condotto dagli psicologi messi in campo per un confronto che portasse i ragazzi ad esprimersi liberamente tra fragilità e paure, ascoltandone l’eco, trasformandolo in terreno comune e spazio sicuro di elaborazione corale.

E così è stato. Grazie all’arte delle parole, alla danza e alla musica, sono state messe in luce anche le strategie e le risorse che si possono mettere in campo

ROMA

per ricostruirsi accogliendo ed elaborando il dolore che il fenomeno dell’ansia sociale porta con sé. Nella mattinata circa un migliaio di studenti delle scuole medie e superiori di Modena hanno assistito all’evento. La serata, con il te-

atro sold-out, ha acceso una volta di più i riflettori su una generazione che sta a cuore al CSI di Modena, che ha collaborato all’evento organizzato dalla Gazzetta di Modena.

Grande festa alle finali della Oratorio Cup

Sabato 10 e domenica 11 maggio, con un’appendice domenica 18, il Salaria Sport Village, a Roma, è stato il teatro delle attesissime fasi finali della XXI edizione della Oratorio Cup, stagione 2024/2025, un evento calcistico organizzato dal CSI di Roma, che ha coinvolto le parrocchie e gli oratori della provincia di Roma. Nel corso delle giornate finali si sono disputate oltre 100 partite che hanno sancito le graduatorie finali delle varie categorie: dall’Under 8 fino all’Under 16 e per concludere la categoria Open ed Amatori. L’Oratorio Cup rappresenta l’essenza dello sport promosso dal CSI: un’iniziativa educativa e formativa pensata su misura per parrocchie, oratori e istituti religiosi. Oltre all’attività sportiva per i giovani, il torneo offre percorsi formativi per dirigenti, educatori e allenatori, confermandosi non solo un campionato, ma un vero e proprio progetto educativo che unisce tutte le età in un grande spirito di comunità. I numeri della stagione che si sta concludendo parla-

no chiaro: oltre 200 squadre, 2.600 atleti, 450 educatori e 1.400 partite giocate. Partner dell’evento: Unipol, Fondazione S.S. Lazio e Autoimport S.P.A.

LECCE

Salento: sole, mare e... padel

Il Centro Sportivo Italiano di Lecce continua a investire con forza nello sviluppo del padel.

Un percorso iniziato nella fase di programmazione con la visione chiara della neopresidente Sabina Tondo: «Valorizzare una disciplina in espansione e creare opportunità concrete per giovani, tecnici e appassionati». Dopo il successo del primo torneo nei primi mesi del 2025 e del corso per allievi istruttori di padel di primo livello, tenuto dalla maestra federale Veronica Privitera, il CSI Lecce presso il Match Point e il Salento Tennis ha visto ad aprile il secondo torneo ufficiale targato CSI, con 92 padelisti iscritti, con una significativa presenza femminile.

Consegnati gli attestati ai primi istruttori CSI di padel, un passo fondamentale verso la strutturazione di un’offerta formativa solida e qualificata.

PER CONTATTARE

LA REDAZIONE

Telefono 06 68404592

Email stadium@csi-net.it

Web www.centrosportivoitaliano.it

PERUGIA

Minivolley: 600 atleti

Oltre 600 bambine e bambini hanno animato domenica 25 maggio il PalaBarton di Perugia, per il Gran Finale del Circuito Minivolley CSI 2024/2025. Una giornata di festa, sport e sorrisi che ha coinvolto 35 società affiliate al CSI, celebrando la conclusione di un circuito che da settembre ad aprile ha fatto tappa nelle palestre di tutta la provincia. Sui 16 campi di gioco allestiti, si sono alternate le tre categorie del circuito con un’unica parola d’ordine: giocare e divertirsi. Nessuna classifica né competizione, ma partite, entusiasmo e una medaglia per tutti, in perfetta sintonia con la missione educativa ciessina, che pro-

al PalaBarton

muove lo sport come strumento di crescita, inclusione e rispetto. A premiare i giovani atleti è stato anche il Presidente della Provincia di Perugia, Massimiliano Presciutti, che ha preso parte con entusiasmo alla manifestazione, portando il saluto delle istituzioni e sottolineando il valore educativo dello sport. Il Gran Finale del Circuito Minivolley CSI ha rappresentato la chiusura simbolica di un appuntamento che, ancora una volta, ha dimostrato come dietro ogni palla lanciata e ogni sorriso ci sia molto più di un gioco: c’è un percorso di crescita, di amicizia e di comunità.

FOLIGNO

Area4 Gymnasium: il Fitness nel Futuro

Sabato 24 maggio si è chiusa con entusiasmo e soddisfazione la prima edizione di Area4 Gymnasium, il percorso formativo innovativo che ha coinvolto gli studenti del Liceo Scientifico Sportivo del Convitto Nazionale Principe di Napoli di Assisi, con l’obiettivo di ottenere la certificazione di istruttore fitness di primo livello. Organizzato da Area4 sotto la direzione di Barbara Carli, in collaborazione con il CSI di Foligno, il corso ha unito te-

oria e pratica in un’esperienza completa e professionalizzante, culminata con la consegna ufficiale degli attestati alla presenza di docenti, formatori e famiglie. Iniziato a marzo, il percorso pilota nel contesto regionale ha integrato le attività di orientamento scolastico (PCTO) con una vera certificazione professionale riconosciuta dal CSI. Il progetto ha offerto agli studenti delle classi quarte e quinte un’opportunità concreta di avvicinarsi al mondo del lavoro nel settore del fitness, sviluppando competenze tecniche, comunicative e relazionali. Nella cerimonia conclusiva, i 14 studenti con l’attestato ricevuto hanno avuto certificate le competenze, fondamentali per chi vuole intraprendere una carriera nel settore del fitness o semplicemente approfondire le proprie conoscenze nel campo del benessere e dello sport.

Il territorio al centro

TOSCANA CSI in tour L’estate sta arrivando

Continua spedito in Toscana il viaggio dell’itinerante Villaggio dello sport del “CSI in tour” che attraversa oltre quaranta piazze della Toscana, con grande presenza di pubblico alle diverse attività sportive, portando con sé la promozione dello sport di base e dei suoi valori educativi per diffondere stili di vita sani e condividere i valori dell’inclusione e della pace. A Lucca, in piazza San Francesco, il “CSI in tour” è arrivato sabato 10 e domenica 11 maggio. L’evento, patrocinato dal Comune di Lucca, ha visto bambini e famiglie vivere due giornate di sport e sano divertimento potendo sperimentare gratuitamente vari sport, tra cui pallavolo, karate, ju-jitsu e danza, oltre ad attività ludico-motorie nell’area giochi gonfiabili per i più piccoli e con la merenda in omaggio per i partecipanti. È toccato poi alla città di Livorno accogliere il “CSI in tour” domenica 11 maggio, dove lo sport e il gioco hanno animato la piazza san Jacopo in Acquaviva. Durante la giornata, le società sportive di pallavolo, pallacanestro, ginnastica artistica e ritmica e danza si sono esibite con tornei, dimostrazioni e prove pratiche, per far conoscere le proprie attività e incoraggiare bambini e ragazzi ad avvicinarsi allo sport in modo sano, coinvolgente e divertente. Il 18 maggio tappa a Pisa nella ricorrenza di Sant’Ubaldo. Nella città della torre pendente il Villaggio dello sport ha animato il giardino Tiziano Terzani con il gioco e l’attività sportiva, interrotti solamente dall’inattesa e forte pioggia a fine mattinata. Il 23 e 24 maggio tappa in provincia di Arezzo, per arrivare a Prato il 31 maggio in piazza delle Carceri. Il tour ha fatto tappa nella meravigliosa città di Siena il 31 maggio e poi ancora alcuni giorni a giugno. Il 13 giugno tappa a Grosseto per arrivare a Marina di Massa con il volley di Veronica Angeloni, l’ex pallavolista della Nazionale Italiana, oltre al karate, calcio, basket, cinofilia sportiva, flag football e atletica. Il 21 giugno, in piazza Gramsci a Carrara, presente anche il Vescovo della Diocesi di Massa Carrara-Pontremoli, Monsignor Mario Vaccari, oltre alle varie discipline sportive possibili: pugilato, ju-jitsu, scherma, equitazione, football americano, calcio. Tra le tappe estive anche Volterra, Pistoia, Empoli e Viareggio.

Il territorio al centro

TRENTO

PER CONTATTARE

LA REDAZIONE

Telefono 06 68404592

Email stadium@csi-net.it

Web www.centrosportivoitaliano.it

80° CSI trentino, un docufilm in regalo per raccontare una storia

Il CSI Trento celebra con un evento straordinario 80 anni di storia sportiva ed eccellenza educativa a servizio della comunità. L’80° compleanno si è tenuto sabato 14 giugno 2025 presso gli spazi dell’Arcivescovile di Trento ed è stata l’occasione per celebrare lo sport e i suoi valori di educazione, aggregazione e socialità, con una giornata di intrattenimenti e attività per tutti. La giornata è partita alle ore 16:30 con una caccia al tesoro per le vie cittadine. Uno spettacolo di magia ha accompagnato i più piccoli alle premiazioni e alla merenda comunitaria. Dalle ore 19 i riconoscimenti

e la consegna dei Discoboli, tra storia e memoria. Alle 20 la Santa Messa celebrata dal 122° Vescovo della Chiesa di Trento, Mons. Lauro Tisi, e concelebrata da Don Daniele Laghi, attuale Assistente Ecclesiastico del Comitato trentino, e da Padre Vigilio Torresani, a lungo in passato Consulente Ecclesiastico del Comitato. Quindi la cena con musica e festa e immancabile la torta di compleanno per oltre 120 invitati, tra cui rappresentanti di società storiche del CSI Trento, come il GS Bondo, l’US San Giorgio, Trilacum, GS Costalta e Lagaria Crus Team. Come regalo per loro e per tutti, la Presiden-

te del CSI Trento, Gaia Tozzo, ha pensato bene di far produrre un docufilm di circa 60 minuti dal titolo “Come una famiglia” sugli 80 anni di vita con testimonianze, materiali d’archivio e documentazione inedita, tra cui interviste ad alcuni dei campioni azzurri nati nel CSI Trento, come ad esempio Yemen Crippa e Francesco Moser. Volti noti e persone che dal 1945 ad oggi hanno permesso di portare avanti la missione di sempre: educare attraverso lo sport. Il film è stato proiettato in loop per l’intera durata della festa all’interno dei locali dell’Arcivescovile.

FIRENZE

Da Santa Croce a Piazza Duomo la Fiaccolata

Simbolica e ricca di significato la fiaccolata fiorentina che ha inteso promuovere un messaggio universale di pace e solidarietà.

Venerdì 16 maggio a Firenze, da piazza Santa Croce a piazza Duomo, si è svolto “Lo sport ambasciatore di pace”, un corteo per illuminare il mondo con la speranza di interrompere le guerre e tutti i conflitti.

Ad animarlo tante persone e rappresen-

tanti delle istituzioni, con in testa una giovane atleta toscana del CSI con la fiamma olimpica dello Special Olympics e, a seguire, le autorità sportive, istituzionali e religiose.

Oltre al Presidente del CSI Firenze, Roberto Posarelli, e a quello del CSI Toscana, Carlo Faraci, erano presenti l’Assessora allo sport e politiche giovanili Letizia Perini; in rappresentanza del Vescovo mons. Gambelli c’era Don Marco Fagotti,

Scetajorde: benedetta dal Vescovo

Giovedì 1 maggio sono stati circa 800 i partecipanti alla 53ª Scetajorde “Festival dell’allegro podismo su strada” –Memorial Gerardo Canora, indetta ed organizzata dal Comitato CSI di Cava de’ Tirreni con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale, dell’AVIS di Salerno, ANSMES Regionale, del Comitato paraolimpico della Regione e del CONI Regionale Comitato di Salerno. A dare il via alla manifestazione l’amatissimo Arcivescovo, Mons. Orazio Soricelli, accompagnato per l’occasione dall’Assistente Ecclesiastico del CSI Cava de’ Tirreni, don Andrea Apicella. Prima della Benedizione, Sua Eccellen-

della Pace

vicedirettore dell’Ufficio nazionale della CEI per la pastorale del Tempo libero, Turismo e sport, la Città Metropolitana di Firenze con una delegazione guidata dal Consigliere delegato allo Sport Nicola Armentano, i gonfaloni del Comune di Firenze e della Metrocittà, i figuranti storici della Repubblica Fiorentina, i Comuni di Campi Bisenzio, Cascina, Fiesole, Fucecchio, Calenzano, e molti atleti e società sportive della Toscana.

za ha sottolineato l’importanza dello sport e il messaggio che la manifestazione intende sottolineare: «Corriamo per la pace in ricordo anche di Papa Francesco che si è sempre impegnato affinché ci sia un vero mondo di pace. Lo Sport è un forte strumento sociale e contribuisce a diffondere ideali e valori fondamentali come la pace, fraternità, solidarietà, non violenza, tolleranza e giustizia».

A seguire l’apertura del Villaggio dello Sport con campi di pallavolo, basket, ginnastica ritmica ed artistica, tennistavolo, arti marziali e con l’esibizione della scuola di ballo New Champion School.

CAVA DE’ TIRRENI

PER CONTATTARE

LA REDAZIONE

Telefono 06 68404592

Email stadium@csi-net.it

Web www.centrosportivoitaliano.it

MATERA

Un’estate sottorete con i Tornei della Bruna

Confermato l’appuntamento estivo con la pallavolo per i Tornei “Maria Santissima della Bruna” organizzati dal CSI Matera e da Volley Events Matera. Torneranno così le belle e spensierate serate sotto rete degli appassionati della città e di tutto l’hinterland. Per questa edizione è stata immaginata una divisione tra le categorie, per permettere a tutti di confrontarsi con atleti di pari livello e divertirsi ancora di più, nel solito clima di sport, festa, divertimento e amicizia che il torneo di pallavolo ha sempre regalato nella struttura sportiva della Parrocchia di Sant’Agnese. Ci sarà la categoria Pro, dedicata ai più esperti, che hanno maturato esperienze nel mondo del volley e vogliono confrontarsi con un alto livello agonistico; mentre quella dedicata agli Amatori sarà dal ritmo meno tartassante, una piacevole sfida tra chi la pallavolo la vive con passione e dedizione.

Un’ulteriore categoria, infine, sarà dedicata ai giovani e giovanissimi under 16; pensata per permettere anche ai più giovani di incontrarsi, confrontarsi e avere spazio nelle serate estive di sport e amicizia.

LOMBARDIA

Il territorio al centro

GENOVA Lo spettacolo delle MTB sulle alture

Un centinaio fra bambini e ragazzi, in rappresentanza di alcune società affiliate al CSI, sono stati i grandi protagonisti della prima tappa del sesto circuito di Mountain Bike svoltasi domenica 4 maggio sulle alture di Voltri a Campenave, incantevole località, fra mare e monti, che domina la panoramica Crevari. Otto volte sul gradino più alto del podio atlete ed atleti di ASD Liguria MTB; tre le vittorie individuali dei “padroni di casa” di Ponente Outdoor Bike Sport. Per le altre società, ASD Genova MTB S. Eusebio ha ottenuto un secondo e due terzi posti, ASD Bikeland School ed ASD Rad! School MTB un secondo ed un terzo posto. Dopo la tappa dell’8 giugno a Torrazza, i prossimi appuntamenti saranno il 7 settembre a Busalla, il 21 settembre ed il 19 ottobre gran finale a S. Desiderio con l’ultima tappa e la premiazione.

Un mese di finali per le squadre dei Comitati provinciali

Il 7 e 8 giugno in Lombardia ha avuto inizio il volatone che andrà ad eleggere, nel corso di tutti i weekend del primo mese estivo, le squadre campioni del CSI. Le prime finali regionali dei Campionati a Squadre organizzati dal CSI Lombardia godono del patronato e contributo di Regione Lombardia, oltre che del patrocinio e contributo del Comune di Calco e i patrocini di: Sant’Angelo Lodigiano, Crema, Cisano Bergamasco, Merate, La Valletta Brianza, Airuno e Cernusco Lombardone. Le prime a scendere in campo sono state le pallavoliste under 13 in quel di Sant’Angelo Lodigiano. Sempre tra il 7 e l’8 giugno a Crema abbiamo conosciuto, della categoria Ragazzi/e, le migliori squadre lombarde di calcio a 7, basket maschile e volley femminile. Altre finali in quel weekend a Calco (bk Allievi), a Cisano Bergamasco (bk Juniores), a Merate (volley Allieve), a La Valletta Brianza (volley Juniores). Infine il calcio a 7 ha conosciuto nel Lecchese i suoi campioni regionali Allievi ad Airuno (LC) e Juniores a Cernusco Lombardone. Il 14 e 15 giugno invece è scesa in campo a Cernusco sul Naviglio la pallacane-

stro integrata con le finali regionali del campionato CSI, mentre il 21 giugno è toccato ad altri quintetti e sestetti, quelli delle categorie Top Junior e Open M/F, scendere in campo in regione. A Crema protagoniste le squadre di calcio a 5, a Montichiari (BS) quelle del calcio a 7, a Brembate (BG) i gol del calcio a 11. I canestri di categoria in scena a Capriolo (BS). La rete di pallavolo si è divisa tra

la Cittadella dello Sport di Bergamo con in campo l’Open misto e Cornaredo (MI) per il volley femminile. Infine a Cremona i set decisivi della pallavolo integrata lombarda. Tutti questi eventi sono “plastic free” per educare e sensibilizzare gli sportivi al rispetto dell’ambiente. Ad ogni premiazione un esperto di educazione alimentare. Partner in tutti questi eventi Italia dei Giochi – Milano Cortina 2026.

Pagine di sport tra gli scaffali

GIOCHI DI PACE

L’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi

a cura di Vincenzo Parrinello, prefazione di Papa Francesco Libreria Editrice Vaticana

L’essenza olimpica oltre la competizione: questo il fulcro di “Giochi di pace. L’anima delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi”. Il volume presenta una selezione di 85 testimonianze che offrono una prospettiva profonda sul valore spirituale e sociale dello sport. La prefazione di Papa Francesco conferisce particolare autorevolezza all’opera, inquadrando la “tregua olimpica” come paradigma di dialogo interculturale. Le testimonianze raccolte, tra cui quelle di figure emblematiche come Jannik Sinner, Nadia Comaneci e Federica Pellegrini, si affiancano ai contributi di atleti paralimpici e rifugiati, componendo un affresco di notevole spessore umano. Particolarmente significativo è il caso di Amelio Castro Grueso, schermidore paralimpico colombiano, la cui esperienza esemplifica la capacità dello sport di fungere da strumento di rinascita ed emancipazione personale. Il volume analizza temi quali resilienza, inclusione e fraternità, dimostrando come l’attività sportiva trascenda la mera dimensione agonistica.

I MOSCHETTIERI

DEL RUGBY

di Niccolò Cannone, Lorenzo Cannone, Ross Vintcent

Edizioni RAI Libri

Un viaggio autentico nel cuore della palla ovale. Passione, sacrificio e spirito di squadra prendono vita nelle pagine di questo straordinario racconto sportivo.

Attraverso le voci di tre giovani campioni della nazionale italiana – Niccolò Cannone, Lorenzo Cannone e Ross Vintcent – il libro ci svela il percorso che li ha portati dai primi approcci con la palla ovale fino all’esordio in maglia azzurra passando dal racconto delle loro specifiche identità personali.

La narrazione, chiara, diretta e coinvolgente, illustra perfettamente quello che per gli autori è il paradosso del rugby: uno sport dove “per andare avanti è necessario fare un passaggio all’indietro”. Questa metafora diventa per loro il simbolo dei valori di rispetto e cooperazione, fondamentali non solo sul campo da gioco, ma nella vita stessa. “I moschettieri del rugby” si rivolge a un pubblico ampio e diverso e rappresenta un invito a scoprire come la passione, quando coltivata con impegno e condivisa con i propri compagni, possa trasformarsi in un’avventura straordinaria.

LIONEL MESSI

II fuoriclasse del calcio di Roberto Bratti

Edizioni EL

Dalla polvere dei campetti di Rosario, in Argentina, alla gloria del palcoscenico mondiale: l’incredibile viaggio di un bambino che ha sfidato il destino per diventare leggenda! La coinvolgente biografia firmata da Roberto Bratti per Edizioni EL incanta i piccoli lettori dai 7 anni in su con un racconto che va dritto al cuore. Pagina dopo pagina, scopriamo un Messi che non tutti conoscono: non solo il fuoriclasse dai piedi magici, ma anche il ragazzino che ha dovuto lottare contro i problemi di crescita per inseguire il suo sogno. E quale altro segreto è nascosto dietro i suoi primi successi? Una nonna straordinaria che ha creduto in lui quando tutto sembrava impossibile! Le illustrazioni di Giuseppe Ferrario trasformano ogni scena in un’avventura visiva che catapulta i giovani lettori direttamente in campo, facendoli sentire parte di questa storia emozionante. Ma questo non è solo un libro sul calcio! È un potente messaggio di speranza che sussurra all’orecchio dei bambini: “Se Lionel ce l’ha fatta, superando ogni ostacolo con determinazione, anche tu puoi realizzare i tuoi sogni più grandi!”

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.