La Forza Nascosta della Gentilezza - estratto

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10 Essere gentili con se stessi

«Solo le persone gentili sono veramente forti.» James Dean

L’illusione della felicità Nel cammino che stiamo percorrendo insieme tra l’empatia e l’assertività, ci siamo imbattuti anche nella solidarietà, nella cooperazione, nell’altruismo e nella compassione. Tutti questi elementi, se posti in perfetto equilibrio tra loro, possono essere considerati come dei cairn. I cairn sono pile di sassi impilati a secco; in antichità erano segnali che indicavano il cammino rassicurando il viaggiatore sulla correttezza del percorso. Il fascino dei cairn risiede nella loro articolata struttura architettonica: ognuno è un manufatto di un certo pregio anche se semplice e tutti insieme compongono un percorso complesso. Non sono dunque semplici briciole di pane che indicano una via. I cairn portano il viandante da una tappa strutturata 99

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all’altra, come nel nostro caso avviene con gli approfondimenti proposti. Il cammino della gentilezza, come abbiamo visto, è tortuoso. Crediamo di averne individuato l’origine nella qualità innata dell’individuo e abbiamo ipotizzato che può portare a un cambiamento radicale nel modo di vedere e pensare gli eventi sociali, attraverso la cura e l’attenzione verso tutto quello che ci circonda. Tuttavia, la via gentile è un viaggio complesso, impegnativo, lungo e che richiede molta fatica. Come in tutte le cose è possibile fare una scelta: si può decidere di percorrere la strada più breve e più facile che consiste nell’applicare la gentilezza a intermittenza, solo per chi si ama, e il resto del tempo riporla in un cassetto come si fa con le cose preziose; oppure di percorrere il tratto di strada più lungo, caratterizzato dal cambiamento, abbracciando la consapevolezza che così facendo si può realmente contribuire a un cambiamento profondo della società. Per modificare le nostre abitudini collettive, iniziamo da noi stessi, volendoci bene. Che cosa significa volersi bene? Spesso si confonde questa prospettiva con la gratificazione personale, acquistando qualcosa di desiderato da tempo come un gioiello, un’automobile, un telefonino di ultima generazione, un bel vestito o quel paio di scarpe che fanno bella mostra di sé nella vetrina del negozio preferito. Volersi bene, quindi, a prima vista sembra un’attività in cui la persona tende alla propria felicità materiale. Ma tale felicità è quella che compriamo e dipende dalle nostre disponibilità economiche. È una felicità effimera e superficiale. Dedichiamo tutto il nostro tempo a un lavoro in cambio di soldi che poi si utilizzeranno per acquistare cose che crediamo ci rendano felici. Secondo l’ex presidente uruguaiano 100

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José Alberto Mujica, «barattiamo il nostro tempo con delle cose materiali che non durano mentre il tempo dato è perso per sempre, non lo si potrà più recuperare». Come i non vedenti che sviluppano la sindrome di Anton, che negano la propria cecità sostenendo di vederci, noi ci illudiamo di scorgere la felicità attraverso il denaro e le cose che possiamo acquistare, mentre in realtà stiamo guardando attraverso una lente che distorce la verità. Alla domanda: «Che cosa ti potrebbe rendere felice?» spesso la risposta è: «Vincere un sacco di soldi alla lotteria». In realtà, molti studi hanno dimostrato che spesso chi vince grosse cifre nel giro di pochi anni vede la propria esistenza cambiare in modo drammatico. Si registrano un alto tasso di divorzi, crisi di depressione e addirittura suicidi. Ecco perché ho da sempre deciso di «stare alla larga» da qualsiasi forma di gioco che preveda di affidarsi alla sorte e di seguire il suggerimento del filosofo ed economista britannico John Stuart Mill: «Per essere felici bisogna smettere di cercare di essere felici», e aggiungo io, «tramite i soldi». Non ho alcun dubbio nell’affermare che la felicità sia proporzionale alla gentilezza. Come abbiamo visto, la gentilezza favorisce il rilascio dell’ormone della felicità (serotonina) e per stimolare questi meccanismi biochimici è necessario lavorare sul proprio benessere. La formula è di una semplicità disarmante: quanto maggiore è il benessere di cui godiamo, tanto più grande è la felicità che produciamo. Lavorare sul proprio benessere significa innanzitutto iniziare a essere gentili con se stessi. Volersi bene «applicando un sano egoismo» non è sinonimo di narcisismo o di vanità. Si tratta di una pratica introspettiva che emana effetti positivi anche nei confronti delle persone che ci stanno 101

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vicine. Il sano egoismo muove un’energia centripeta che, quando ha raggiunto il proprio stato di saturazione sul soggetto interessato, si trasforma in un potente turbine centrifugo.

Unici e insostituibili In questo percorso di gentilezza verso noi stessi dobbiamo muoverci tenendo saldi due principi fondamentali: matura­re l’idea che siamo unici e quindi rifiutare ogni imitazione; accettarsi per quello che siamo e quindi imparare a perdonarci. «Di me ce n’è uno solo. Ogni essere vivente è unico e insostituibile.» Questa la base dell’unicità delle specie viventi. Persino due gemelli omozigoti non sono del tutto identici tra loro. La diversità tra gli individui dipende, oltre che dal proprio vissuto, anche dal codice genetico. Non c’è infatti una sequenza di DNA umano uguale a un’altra. Portare avanti l’idea della propria unicità significa essere se stessi e avere la possibilità di esprimere le proprie idee senza temere il giudizio altrui o abbandonare la paura di manifestare le proprie debolezze. Essere fedeli a quello che si crede di essere permette di realizzare in modo compiuto la nostra esistenza e rinunciare a tutti quei modelli che sapientemente i media e il marketing cercano di inculcarci: che cosa dobbiamo mangiare, come vestirci, quale moda o tendenza seguire. Adottare un tale atteggiamento verso se stessi, secondo me, significa la più alta espressione di libertà che si possa esercitare. Perché sprecare una vita per essere qualcun altro quando possiamo decidere in libertà come vivere la nostra? 102

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Tutto ciò funziona bene se condito con un sano gusto del dubbio e con una buona dose di autoironia. Non prendersi troppo sul serio e convivere con la leggerezza della nostra contingenza e precarietà ci permette di accettarci e nel contempo di crescere e migliorare come persona nella società.

Sapersi accettare Amarsi significa anche imparare ad accettare quello che si è e quindi i propri difetti. Cosa non facile in una società che spinge in continuazione verso la ricerca della perfezione. Ora so che i miei denti storti se incorniciati da un bel sorriso mi rendono più attraente, le mie orecchie grandi stanno bene sulla mia testa e i capelli sottili mi permettono di evitare di andare una volta alla settimana dal parrucchiere; e poco importa se non potrò mai provare l’ebrezza di una coda di cavallo o sedurre un uomo passandomi le mani tra i capelli. Iniziando ad amarmi ho anche capito che avevo dei lati del carattere un po’ spigolosi ma il fatto di accettarli mi ha permesso di iniziare a cambiare invece di nascondermi dietro a uno sterile «Sono fatta così!» Per superare un ostacolo non serve a nulla negarne l’esistenza. È inutile cercare di occultare o ignorare i lati di noi stessi che non ci piacciono. Quelli stanno sempre lì a ricordarci chi siamo. Concentrare l’attenzione su di sé, invece che sugli altri, fa anche bene all’autostima. Avere consapevolezza di se stessi permette di capire che il confrontarsi, paragonarsi in continuazione alle persone che ci stanno intorno è molto faticoso, non porta a nulla ed è privo di senso. Ci sarà sempre 103

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qualcuno che è migliore di me in qualcosa ma a mia volta sarò migliore in altro. Per diventare gentili bisogna innamorarsi di se stessi. E innamorarsi non è forse la disponibilità a cambiare, a lasciarsi andare e a rischiare? Molte sono le cose che possiamo cambiare nel corpo e nella mente per essere gentili con noi stessi.

Riassumendo: cinque piccoli suggerimenti per essere gentili con se stessi 1. Abbandonare la felicità materiale e la superficialità. 2. Applicare un sano egoismo. 3. Essere consapevoli della propria unicità. 4. Imparare ad accettarsi e accettare i propri difetti. 5. Evitare i continui paragoni.

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