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Aule immersive e nuova didattica.

La tecnologia è sinonimo di nuova conoscenza?

Più del 50% degli adolescenti tra i 5 e i 15 anni possiede un tablet o uno smarphone: ovvio che la multimedialità sia una abitudine e le tecnologie un prolungamento di noi stessi, tanto che la sovrapposizione tra “realtà reale” e “realtà digitale” è ormai assodata.

La pandemia ha solo imposto una accelerazione nell’uso di tecnologie che, di fatto, erano già esistenti, e che già ci davano la possibilità di comunicare a distanza, di condividere documenti, di collaborare sullo stesso documento digitale anche da remoto, evolvendo dal primo momento di confusione in situazioni oggi più ordinate e strutturate. Se infatti nella scuola ancora qualche LIM sopravvive, nelle Università le lezioni “blended” sono diventate la regola, anche se oggi, con il ritorno dei corsi in presenza non più come opzione ma come unica modalità (almeno in molti casi) ci si chiede come impiegare al meglio i grandissimi investimenti in progettazione e tecnologia che sono stati fatti solo due anni fa.

La speranza è infatti non dimenticarsi dell’esperienza maturata, e farne un patrimonio al quale attingere: se è chiaro che il dato tecnico non è sufficiente a rinnovare la didattica, come non basta fare un video per proporre una lezione “moderna”, è altrettanto indispensabile che anche i docenti convertano il proprio modo di insegnare. Ma come? Uno spunto ci può venire dalla realtà virtuale: le tecnologie possono infatti ricreare una realtà artificiale, per esempio attraverso spazi immersivi e simulatori, o sovrapporsi alla realtà stessa, con gli strumenti della realtà aumentata. La tecnica della simulazione di eventi e situazioni è pratica assodata nell’insegnamento, ma con le tecnologie si può fare di più, e meglio, grazie alla simulazione virtuale. Infatti, la simulazione e l’immersività con le tecnologie rendono più semplice fare esperienza diretta di tutto ciò che è troppo lontano per essere raggiunto, o pericoloso (per sé e per gli altri) o anche troppo costoso. La scuola aerea con i simulatori di volo è un esempio chiaro e conosciuto ai più.

L’esperienza della Realtà Virtuale si può ritenere vera quanto quella nel mondo “reale” (e le virgolette sono d’obbligo). Infatti, se le tecnologie permettono una esperienza reale di un ambiente ricreato, anche quella esperienza può essere considerata una realtà, maturata tramite la percezione fisica. E sappiamo che imparare vivendo, tramite una esperienza diretta, è il metodo più efficace in assoluto: è dimostrato che l’apprendimento percettivomotorio, caratterizzato dalla percezione della realtà o dell’azione su di essa, è molto più efficace di quello simbolico-costruttivo, che avviene per lo più con un libro; dopo due settimane tendiamo a ricordare solo il 10% di ciò che leggiamo, e il 90% di ciò che diciamo o facciamo*

La Realtà Virtuale, possiamo concludere, potenzia l’esperienza e la tecnologia diventa sinonimo di nuova conoscenza, una conoscenza acquisita in un nuovo modo e grazie a una nuova dimensione. Di conseguenza, cambierà anche il ruolo del docente, che diviene un designer che assembla i vari elementi ed elabora la trasposizione didattica, costruendo un un processo di mediazione tra differenti rappresentazioni e tra differenti mondi. Insomma, la sfida digitale è aperta. ■

*Edgar Dale, pedagogista americano, constatò che la nostra memoria è profondamente influenzata dalle esperienze: più queste sono nuove, particolari e cariche di emozioni e più le ricorderemo con facilità. Non solo, Dale studiò anche la durata dei ricordi sulla base delle esperienze fatte. Il segreto, quindi, per rendere efficace ogni attività di studio, è coinvolgere tutti i nostri sensi nel processo di apprendimento

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