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I Progettisti di fronte alle sfide del futuro

Colloquio con Angelo Domenico Perrini, Presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri

Luca Baldin

pari ancora al 110%, mentre a novembre 2022 si è optato per il 90% creando grande disorientamento in chi stava progettando interventi per il nuovo anno. Gran parte delle forze politiche hanno poi iniziato a mettere profondamente in discussione il meccanismo della cessione del credito finalizzato a finanziare gli interventi realizzati con i vari bonus per l’edilizia.

Uno squilibrio nei conti pubblici si è certamente creato, ma abbiamo comunque cercato di fare presente a chi ci ha dato ascolto che solo il meccanismo della cessione del credito rende fattibili interventi di ristrutturazione estensiva.

miliardi di metri cubi standard di gas, pari a circa il 45% del gas che il Governo intende risparmiare in ambito residenziale nella stagione invernale 2022-2023 per far fronte alla crisi energetica in atto.

Tutti abbiamo, negli ultimi mesi, focalizzato l’attenzione sui disavanzi di bilancio, su frodi ancora in gran parte da accertare e su possibili default derivanti da questa misura: certamente ha delle criticità, ma le analisi condotte a vari livelli sono state finora molto poco approfondite. Una valutazione dell’impatto di questo incentivo non può basarsi solo sui dati macroeconomici senza tenere conto di una molteplicità di aspetti di contorno.

Caro Presidente, anzitutto congratulazioni per la recente nomina. Devo dire che si è trovato subito ad affrontare il caso spinoso del Superbonus e delle sue modifiche. Come si pone CNI rispetto a questo argomento molto delicato? E cosa suggerireste di fare al Governo in carica?

In una recente audizione presso la Commissione Finanze del Senato abbiamo cercato di definire la nostra posizione. Siamo dell’idea che un bonus per le ristrutturazioni non possa coprire, nel medio e lungo periodo, più della spesa effettiva sostenuta dai privati. I cosiddetti “Superbonus 110%” sono stati una efficace misura di contrasto alla crisi innescata dalla fase pandemica più acuta ma non potevano durare all’infinito così come pensati all’inizio.

L’attuale Governo a nostro avviso però ha sbagliato i tempi della comunicazione ed ha adottato, ancora una volta, un metodo che ha reso, in questi due anni e mezzo, la vita impossibile ai professionisti, cioè ha cambiato le norme e le scadenze in corso d’opera. Nel 2023 i superbonus avrebbero dovuto avere una aliquota di detrazione

Ciò significa che, quando a breve la Direttiva UE EPB per l’efficientamento energetico degli edifici entrerà in vigore, il nostro Paese dovrà trovare un meccanismo finanziario che sostenga in qualche modo l’intervento dei privati, altrimenti gli obiettivi di risparmio energetico che ci stiamo impegnando a realizzare non potranno essere raggiunti. Un ulteriore aspetto che da due anni, attraverso il Centro Studi CNI, abbiamo cercato di mettere in evidenza è che se è vero che per il Super ecobonus sono stati spesi oltre 70 miliardi di euro occorre guardare anche al gettito fiscale derivante da tale spesa e occorre quantificare il risparmio energetico realizzato. Il disavanzo legato al Super ecobonus non è pari a 70 miliardi ma a parecchio meno; noi stimiamo che il disavanzo effettivo sia intorno ai 50 miliardi; una cifra consistente ma ridimensionata rispetto alle cifre allarmanti comunicate da più parti. Occorre poi considerare gli effetti moltiplicativi, cioè espansivi, generati da tale spesa sull’economia nazionale e infine occorre tenere presente che il risparmio energetico generato dalla spesa per Super ecobonus ha portato, fino ad oggi, a realizzare 1,1

A dicembre e poi a gennaio abbiamo cercato di sollevare il problema legato al fatto che il Governo stava rivedendo in modo radicale il meccanismo dei Superbonus ma quello che si stava smontando avrebbe dovuto poco dopo essere “rimontato” per fare fronte alla nuova Direttiva europea sulle case green.

E, come prevedibile, la Direttiva a cui vi riferivate è stata approvata dalla Commissione plenaria del Parlamento europeo a marzo, ponendo obiettivi stringenti e scadenze precise, che ora saranno oggetto di trattativa col Consiglio.

Il Governo italiano si è subito posto tra i critici di tale provvedimento, ma le cifre sono spesso discordanti su quanto effettivamente si dovrà fare. Qual è la vostra posizione come tecnici in prima linea?

Più che una posizione noi abbiamo un’opinione al riguardo, che abbiamo espresso in audizione al Senato e poi in altre comunicazioni, credo inascoltate. I dati sui livelli di dispersione energetica degli edifici in Italia pur essendo indispensabili in partenza rischiano di essere fuorvianti se non opportunamente analizzati.

Quel dato che indica ad esempio che il 35% degli immobili residenziali è in classe energetica G e che il 24% è in classe energetica F, e così via, è tratto da un campione di poco più di 2 milioni di immobili residenziali, cioè si tratta degli immobili per i quali sono state elaborate delle Attestazioni di prestazione energetica. Non sappiamo quanto sia rappresentativo questo campione.

Ragioniamo con dati grossolani e questo non può darci certezze perchè la posta in gioco con la Direttiva EPB è molto alta. E se dovessimo poi scoprire che gli immobili su cui intervenire sono di più rispetto alle stime? O se fossero di meno? Non è più tempo per approssimazioni.

Occorrerebbero maggiori certezze per capire se il Paese è veramente in grado di raggiungere gli obiettivi di efficientamento energetico nel 2030 e nel 2033. Sarebbe necessario effettuare una rilevazione speditiva sullo stato delle dispersioni energetiche degli edifici e poi elaborare un piano appropriato alle caratteristiche del nostro Paese.

Abbiamo le competenze e la preparazione per farlo. Abbiamo anche detto che il Governo non può giocare in sede UE questa partita senza coinvolgere almeno le strutture di rappresentanza dei profes- sionisti dell’area tecnica più direttamente competenti su questo argomento.

Il patrimonio edilizio è responsabile del 40% dei consumi energetici e del 36% delle emissioni di CO2 in atmosfera. Qual è secondo lei e secondo il CNI la strategia corretta da adottare per ovviare ad un problema che non può essere né ignorato né ulteriormente dilazionato nel tempo?

Se si prevede di affrontare veramente questo problema non abbiamo a disposizione molte alternative. Occorre o abbattere una grande quantità di edifici, cosa ovviamente irreale, oppure effettuare ristrutturazioni profonde attraverso la coibentazione delle superfici disperdenti e l’utilizzo delle tecnologie che consentono un uso ottimale dei materiali e delle apparecchiature. Possiamo intervenire per gradi, agendo sugli edifici più vecchi e trovando le soluzioni più adatte allo stato del singolo manufatto avvicinandoci al massimo del risparmio ottenibile. Il punto però è che tutto questo richiede tre elementi essenziali: il primo è la conoscenza con esattezza dello stato attuale degli edifici; il secondo è la predisposizione di un piano estensivo di ristrutturazione profonda delle abitazioni che necessariamente richiede tempi non rapidissimi e per fare una buona progettazione e per non creare tensioni sui prezzi dei prodotti per l’edilizia; il terzo fattore è la disponibilità di risorse pubbliche prontamente accessibili, magari attingendo ad un apposito fondo europeo, che sostenga una buona parte della spesa dei privati. Molte famiglie, infatti, non sono in grado di finanziare i lavori di ristrutturazione.

C’è poi un quarto fattore essenziale, la stabilità normativa da cui deve scaturire un piano di azione che, una volta varato, non cambi in continuazione, come avvenuto per i Superbonus. Il nostro Paese è pronto ad affrontare questa sfida senza che si inneschino dubbi, idee e interpretazioni contrapposte su ciò che si è fatto e che vi è da fare?

Mi permetto di esprimere qualche dubbio. Vorrei infine porre l’attenzione sul fatto che una vera ristrutturazione profonda dell’edificio dovrebbe comportare non solo interventi per il risparmio energetico ma anche per la prevenzione del rischio sismico. Nessuno parla di sisma bonus e nessuno di noi oggi conosce ad esempio quanto si è speso per il Super sisma bonus, sempre per il fatto che in questi anni sono circolate informazioni parziali, difficili da ricondurre ad un quadro unitario. Elaborare un piano complesso di interventi in queste condizioni evidentemente è complicato.

La building automation non è certamente una novità, eppure viene costantemente ignorata, anche in fase di progettazione, come strumento utile a ridurre i consumi del patrimonio edilizio. Questo malgrado esista dal 2017 la norma UNI 15232 (ora modificata nella ISO 52120). La prima domanda è perché secondo lei si manifesta questo disinteresse e la seconda è cosa si debba fare per condividere con i progettisti una cultura dell’innovazione davvero efficace e pervasiva?

C’è una questione che potremmo definire “culturale” consolidatasi negli anni in materia di ricorso ai bonus per il risparmio energetico. Prima del Super ecobonus 110% vi erano - e vi sono ancora - gli ecobonus ordinari che consentono detrazioni tra il 50% ed il 65% della spesa.

La grande maggioranza delle spese si è concentrata sul cambio degli infissi e sulla installazione di una nuova centrale termica oltre qualche caso di coibentazione dell’edificio. Si tratta degli interventi che tutti percepiscono come capaci di fare ottenere un risparmio più immediato. Forse è anche mancata una giusta azione di indirizzo del tecnico verso la building automation.

Per il cambio degli infissi però ci si rivolge direttamente all’installatore, mentre per un piano di building automation occorrerebbe rivolgersi a professionisti esperti, far elaborare un progetto, effettuare poi l’installazione; un processo che rischia di essere purtroppo percepito come troppo complicato. Il CNI da sempre sostiene la qualificazione dei professionisti, attraverso la formazione e l’aggiornamento, in servizio; in questa prospettiva mette a disposizione la propria fondazione per organizzare direttamente e/o attraverso gli ordini, specifici eventi formativi finalizzati a far conoscere le tecnologie disponibili e gli strumenti informatici utilizzabili. Il confronto continuo tra professionisti e tra professionisti ed aziende del settore è determinante.

Il nostro sistema ordinistico incentiva questo percorso ma, anche per esperienza diretta, sentiamo di dover fare di più. Tra i nostri professionisti c’è un’incredibile richiesta di aggiornamento, perché materiali, impianti e tecnologie sono in costante evoluzione. La formazione continua di qualità è la chiave per affrontare questa questione cruciale.

Dal 2014 esiste una norma in Italia che rende obbligatoria l’infrastrutturazione digitale degli edifici nuovi e profondamente ristrutturati con un impianto in fibra ottica. Si tratta di una delle norme più disattese degli ultimi decenni, eppure gli stessi progettisti rischiano pesanti sanzioni nel caso asseverino situazioni non corrispondenti alla realtà. Cosa ha fatto e cosa può fare il CNI per informare e sensibilizzare gli Ingegneri in merito ad un provvedimento importante per la modernizzazione del Paese?

In qualità di Presidente di una organizzazione che riunisce e rappresenta oltre 240.000 professionisti, vorrei premettere che oggi i progettisti sono costretti a conoscere una mole incredibile di norme. Gli ingegneri non devono solo conoscere la tecnica della progettazione, già di per sé complessa, ma conoscere una quantità di norme, circolari e prassi operative connesse con la progettazione stessa.

Viviamo in un Paese in cui la stratificazione delle norme ha raggiunto livelli incredibili; si tratta di norme a volte contraddittorie tese ad assicurare una assoluta regolazione, ottenendo spesso l’effetto contrario ovvero una automatica deregulation e comunque risultati scadenti; i dettami delle norme in materia di infrastrutturazione digitale degli edifici a me sembra che spesso ricadano in questa casistica. Ciò detto è evidente che la maggiore sensibilizzazione degli ingegneri su tali tematiche può avvenire, ancora una volta, solo in un modo, ovvero attraverso occasioni formative di cui il CNI e gli Ordini professionali si fanno carico.

Nell’ambito delle nuove tecnologie, con la rivoluzione digitale, stiamo assistendo ad una progressiva integrazione tra campi disciplinari un tempo nettamente distinti. Questo comporta profondi mutamenti anche sotto il profilo delle competenze e delle professioni. Come CNI state affrontando questo tema cruciale per il futuro?

E come lo vivete?

Da tempo il CNI ha affrontato in varie sedi e con vari mezzi il tema della multidisciplinarietà. Gli studi professionali, non solo di ingegneria, vivono il grande problema della piccola dimensione, il che significa, soprattutto oggi, non crescere nel mercato ma accontentarsi di poco.

Le STP ovvero le società tra professionisti non hanno ancora registrato in Italia un vero exploit sia perché vige una certa confusione normativa sia perché per molti professionisti è difficile immaginare che domani l’aggregazione formalizzata porterà buoni frutti. Nel campo dell’Ingegneria è prevalente ancora una rete informale di professionisti, ovvero piccoli gruppi anche poco interdisciplinari, che si ritrovano a collaborare su un progetto e poi tutto finisce lì. Forse proprio i Superbonus hanno dato una scossa in quanto molti professionisti, di fronte a progetti molto impegnativi e di grandi dimensioni, hanno capito di non poter fare da soli.

La strada da percorrere è tuttavia ancora lunga. Forse lo stesso CNI non ha promosso questo tema a sufficienza: a parte alcune pubblicazioni ed occasioni spot per parlare del problema non vi è stato molto altro. Servirebbe una sorta di campagna a tappeto sui territori per presentare i modelli possibili di aggregazione, indicandone opportunità e limiti, per poi lasciare decidere ai professionisti. ■