L'ospite inatteso

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ANTONIO NASUTO

L'OSPITE INATTESO



ANTONIO NASUTO

L'OSPITE INATTESO


DISTRIBUZIONE youcanprint.it ISBN

Copyright © 2015 Antonio Nasuto

PROGETTO GRAFICO, IMPAGINAZIONE Antonio Nasuto EVENTO PietramelarArte 10 - 17 NOVEMBRE 2013 Spazio espositivo - Salone del Palazzo Ducale Paternò Caracciolo Pietramelara (ce) in copertina La ragazza dell’edera, 2012 (part.)

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione dell’ autore dei testi e delle opere.


Sommario 5

Premessa

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E-mail e opere



C

Premessa

irca un anno fa mi è capitata tra le mani una e-mail piuttosto strana. Era un messaggio proveniente da Londra con un mittente a me sconosciuto. A scrivermi era una scrittrice esordiente che, così mi raccontava, si era imbattuta casualmente sull’immagine di un mio quadro e mi chiedeva tutta una serie d’informazioni che esulavano dal campo artistico. Provando un certo fastidio per quella che consideravo un’intrusione nella mia privacy, ho accantonato la cosa e non ci ho più pensato. Dopo qualche giorno la sconosciuta mi ha mandato un’altra e-mail, simile in parte alla prima. Per puro gesto di cortesia ho risposto scrivendole due righe e questo ha dato il via a tutta una corrispondenza che si è protratta fino a qualche mese fa. Le lettere mi arrivavano quasi ogni settimana, all’inizio il mio coinvolgimento è stato piuttosto marginale, mi limitavo a inviarle foto dei miei quadri, senza commentare le sue osservazioni. Col passare del tempo il mio interesse è andato crescendo grazie anche alla presenza di un non meglio citato artista londinese, amico della scrittrice, che è intervenuto a commentare le mie opere. Sin dalle prime osservazioni dell’artista sconosciuto ho avuto la sensazione che a parlare fosse una persona esperta e molto vicina al mio modo di dipingere. Ho provato a indagare ma la scrittrice si è sempre mantenuta sul vago affermando che anche lei conosceva poco questo pittore, definendolo come una persona geniale ma molto riservata. Alla fine la corrispondenza si è interrotta all’improvviso, così com’era cominciata. Ho provato a scrivere al solito indirizzo di posta elettronica ma ogni volta mi risponde un messaggio che m’informa che la mia e-mail non è stata inviata perché il destinatario è sconosciuto. Per recuperare nuove informazioni ho provato a rileggere tutte le e-mail inviatemi in questi mesi, rendendomi conto di quanto le osservazioni in esse contenute rispecchiassero la mia personalità. A tutt’oggi non sono riuscito a risolvere il mistero, non sono nemmeno certo che le email provenissero da Londra e mi resta del tutto sconosciuto il nome di questa donna che tanto si è entusiasmata alle mie opere. Mi sono preso la libertà di riportarle nel mio catalogo, una scelta che ritengo giustificata dal fatto che esse arricchiscono e offrono notevoli spunti di riflessione su ognuno dei miei quadri. Personalmente ritengo che chi le abbia elaborate sia dotato di una sensibilità e di un intuito fuori dal comune. Resta comunque il dubbio che questa perfetta sconosciuta, giunta a me come un ospite inatteso, sia più vicina alla mia persona di quanto possa apparire, perché solo chi mi conosce bene può essere arrivato a un’interpretazione così profonda ed elaborata delle mie opere. Ringrazio la mia ignota scrittrice che, suo malgrado, ha contribuito a rendere questo catalogo più interessante. Spero di incontrarla, anche se resta forte il sospetto che lei mi sia fin troppo vicina sebbene non riceva più sue comunicazioni scritte.

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Londra, 2 novembre 2012 Egregio artista, ho riflettuto a lungo prima di decidermi a scriverti ma la tua opera continua a tormentarmi. Ieri sera ero su Internet alla ricerca d’informazioni per il mio romanzo quando mi è apparso il tuo dipinto “Leda e il cigno e la vanità della spada”. Sono rimasta sbalordita: Leda sono io. I lineamenti, il colore dei capelli, l’espressione del viso, le coste sporgenti: sono io. Il quadro si è impadronito dei miei occhi e non sono riuscita più a scrivere nulla. Ci siamo forse incontrati? Oppure è solo una coincidenza? Ho cercato dei collegamenti con la tua città ma non li ho trovati. Anch’io sono italiana ma da un paio d’anni vivo a Londra e non riesco a capire come la mia fisionomia possa essere arrivata a te. Forse è solo la solitudine e l’aria sonnolenta dell’autunno londinese a farmi vedere ciò che non c’è. Vorrei sapere se il quadro è in vendita e conoscerne il costo. Non ho grosse disponibilità economiche, scrivo romanzi ma sono l’unica a leggerli. Tiro avanti con lavori saltuari, passeggio su un filo sottile e senza nessuna rete. Aspetto tue notizie e ti saluto. Londra, 5 novembre 2012 Egregio artista, non avendo ricevuto risposta concludo che tu mi abbia scambiato per una visionaria. Non hai tutti i torti. Ho mostrato l’immagine di “Leda e il cigno” a Victor e mi ha detto che Leda non mi somiglia per niente. Victor è un abile artista che trascorre le giornate sul lago Serpentine di Hyde Park a dipingere cigni. Le sue opere sono molto belle ma in più di un anno non gli ho visto venderne una. Lo incontro ogni mattina: è sempre lì, in quell’angolo appartato del lago, con la tavolozza, i quadri e l’inseparabile cane. È un personaggio insolito, non parla mai con nessuno. Sono riuscita a conquistare un po’ di fiducia solo da qualche mese e in seguito a un episodio che adesso sarebbe lungo da raccontare. Non conosco il suo nome, ho iniziato a chiamarlo Victor perché mi ricorda Hugo. Le sue tele mi fanno rivivere l’atmosfera velata e un po’ malinconia raccontata dallo scrittore francese e in quelle pennellate precise e sottili ritrovo l’armonia dello stile. Ignoro anche il nome del suo cane, l’unico che mi dimostra un po’ d’affetto. Dopo aver visto il tuo quadro ho iniziato a chiamarlo Leda, mi sembra appropriato perché Victor è ossessionato dai cigni. Quando gli ho chiesto un’opinione sul tuo dipinto, mi ha risposto che non aveva tempo e si è chiuso nel solito mutismo. Credo che sia geloso ma ho intenzione di insistere. Ti farò sapere. Quasi dimenticavo: non ha più importanza conoscere il prezzo del quadro, i miei risparmi sono all’osso, in questo periodo sono senza lavoro e non so se riuscirò ad arrivare alla fine del mese. Forse in seguito. Spero che tu non lo venda. Ti saluto.

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Leda, il cigno e la vanitĂ della spada | olio su tela | 60x50 | 2012

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Londra, 8 novembre 2012 Egregio artista, sono felice della tua risposta. Quasi non ci speravo più. Lo so, sono solo due righe ma a me basta poco. Ho analizzato con più attenzione il tuo dipinto. Conosco la storia di Leda, l’affascinante regina di Sparta e sposa di Tindaro. Le due uova mi portano a pensare a Castore e Polluce nati forse dall’amore di Zeus o da quello del marito ma che cosa significa l’asso? E la vanità della spada? Guardando il quadro ho la sensazione di un unico fuoco, come se l’intera opera fosse dominata da un’invisibile geometria. Stasera tornerò a interrogare Victor sperando che gli sia passata la gelosia. Ti scriverò al più presto. Londra, 9 novembre 2012 Egregio artista, oggi Londra si è svegliata sotto una coltre di nuvole grigie. Questa mattina alle sei ho sentito il ticchettio del termosifoni, la temperatura si è abbassata e il rumore della pioggia mi ha accompagnato tutta la notte. Alle nove sono scesa con una copia del tuo dipinto diretta al parco, mi sono fermata alla panetteria e ho comprato i soliti due croissant e una baguette. Il forno sotto casa li fa simili a quelli francesi e il proprietario è una brava persona: sa per chi li compro e mi fa un piccolo sconto. In borsa avevo già il termos con latte e caffè caldo e la porzione di cibo per Leda. La baguette era destinata alle anatre del lago. Dovresti vederle con che rapidità beccano il cibo, già sanno che nel giro di pochi minuti arriverà sua maestà il cigno a prendere possesso del territorio. La mattina sono in molti a recarsi al parco con i sacchetti carichi di briciole, le anatre riconoscono i frequentatori abituali e quando li vedono arrivare si avvicinano a riva, mentre i passeri si tengono a distanza per beccare le briciole sfuggite durante il lancio. Per lo più sono persone anziane: si avvicinano piano alla riva, si siedono sulla panchina, aprono il sacchetto e lanciano il cibo. La lentezza con cui si muovono stride con la frenesia delle anatre che spesso si azzuffano per un pezzo di pane. Quando arriva il cigno, la scena cambia. Loro lo sentono già prima di vederlo e scappano via. Il lago si fa silenzioso e deserto, le acque tornano calme e compare lui. Non si affretta, tanto sa che il territorio gli appartiene. Il cigno piace a molti ma io lo trovo parecchio antipatico: è prepotente e arrogante ed è ingiusto che la gente lo preferisca solo perché più bello ed elegante. E arriviamo alla vanità della spada. È forse questo il messaggio del tuo quadro? La prepotenza del più forte, la vanità che si fa arma per avanzare? Ho molti dubbi, sento che mi sfugge qualcosa. Dalla panetteria al lago la strada è breve e stamattina non vedevo l’ora di incontrare Victor: volevo parlargli del tuo quadro. Quando sono giunta alla sua postazione, Leda mi è venuta incontro festosa mentre lui ha continuato a dipingere sotto il

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Frammenti | olio su tela | 60x50 | 2012

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La ragazza dell’edera | olio su tela | 60x50 | 2013

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Legami | olio su tela | 60x50 | 2013

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grosso ombrello che porta sempre nelle giornate di pioggia. Anche questa volta sono sicura che mi ha sentito arrivare ma non si è voltato. Il mio “ciao” l’ha assorbito la nebbia. Non ci faccio più caso: è fatto così. Ho dato da mangiare a Leda, mi sono avvicinata al suo fazzoletto di prato e ho lasciato il termos e la colazione sull’erba, vicino al cavalletto e al riparo dalla pioggia. La panchina è a pochi passi da lui e stamattina era tutta bagnata. Mi sono seduta comunque, l’umidità è penetrata attraverso la stoffa dei jeans facendomi rabbrividire. Mi sono stretta il cappuccio e ho iniziato a mangiare. Victor si è spostato di poco sulla destra ed io ho sbirciato il suo nuovo quadro. Era appena abbozzato, s’intuiva il cielo grigio e le acque immobili del lago, ancora nessun cigno, i pennelli erano quasi tutti puliti e il tubetto del bianco intonso. Non c’era vento e l’umidità la sentivo sulle mani. Il parco era quasi vuoto e Victor continuava a restarsene fermo con lo sguardo rivolto verso il lago. Ne vedevo il profilo: il naso dritto, il disegno sottile delle labbra ricoperte da una barba liscia e bianca tagliata seguendo il contorno del volto. Il cappellaccio che porta sempre nei giorni di pioggia, gli nascondeva i capelli bianchi e sottili, che so diradarsi sulle tempie. Ormai conosco ogni ruga del suo volto, da quelle profonde sulla fronte a quelle a ventaglio sui lati degli occhi. Ho finito di mangiare il mio croissant, una decina di passerotti già circondava la panchina. Victor si è tolto il cappello e si è scompigliato i capelli. Ha sollevato gli occhi verso di me e ha fatto un cenno col capo: è il suo modo di salutare. Ha scartato il croissant e ha iniziato a mangiarlo a piccoli morsi. Mi sono alzata e gli ho versato un po’ di latte e caffè nel coperchio del termos. L’ha preso e subito si è voltato verso il lago, lo sguardo perso in un orizzonte che io non riuscivo a vedere. Sulla sponda destra la superficie del lago si è increspata: un gruppo di anatre si stava avvicinando. Sono ritornata alla panchina, ho scartato la baghette e l’ho divisa in pezzettini. I passerotti si sono avvicinati ancora un po’ a beccare le briciole e prima che arrivassero le anatre mi sono affrettata a lanciare i pezzi di pane nell’acqua del lago. Le ho osservate mangiare avide e litigare tra di loro, dopo dieci minuti tutto è ritornato tranquillo. Mi sono voltata verso Victor: aveva tra le mani il tubetto del bianco e lo sguardo fisso in un punto lontano del lago. Del cigno però non c’era traccia. Ho provato il primo approccio. «Sai il dipinto che ti ho mostrato? L’autore mi ha risposto.» Silenzio. Forse era ancora geloso e allora ho tentato di ridimensionare la tua opera. «Ho studiato meglio il dipinto. In effetti, Leda mi somiglia poco e poi anche la scena non ha niente di originale, il soggetto è stato già sfruttato in molti quadri.» Victor non mi ha lasciato finire. «Ecco cosa si rischia a far circolare le opere. La gente osserva, parla, da giudizi. Siete come dei bulldozer, distruggete tutto al vostro passaggio.» Il croissant mi è andato di traverso. Che cosa avevo potuto dire in due parole da irritarlo tanto? Victor ha bevuto un sorso di latte e caffè e mi ha rivolto uno sguar-

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Spalanuvole con gipeto | olio su tela | 40x50 | 2013

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Il dito e la luna | olio su tela | 60x50 | 2013

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Woman in red | olio su tela | 60x50 | 2013

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Q:7,26 | olio su tela | 60x50 | 2012

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La principessa di Laurana | olio su tela | 50x40 | 2013

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do corrucciato. «Hai analizzato il quadro? Bene. E che cosa hai visto? La modella che non ti somiglia, la banalità del soggetto, magari avrai pensato che i colori si abbinano bene nella tua stanza da letto. Complimenti, sei proprio brava. Se tutti guardassero come te, l’arte sarebbe morta da un pezzo e gli artisti con lei.» Non riuscivo a seguirlo. In fondo l’altro giorno aveva dato solo un’occhiata al tuo dipinto. Sono rimasta in silenzio qualche minuto poi ho tirato fuori dalla borsa l’immagine stampata di “Leda e il cigno” e gliel’ho messa sotto il naso. «Spiegami tu come va letto questo quadro. E poi non è vero che ho notato solo la modella, mi sono chiesta il significato di quell’asso, perché la vanità della spada e ho notato l’armonia con cui è diviso lo spazio.» Victor ha cambiato espressione guardandomi con un mezzo sorriso sulle labbra. Intorno era tutto silenzioso, anche i passeri erano volati via e le acque del lago riflettevano il cielo grigio. Non pioveva più ma l’aria era fredda e umida. Victor ha chiuso il grosso ombrello, ha appoggiato l’immagine stampata sul tavolino dei colori e mi ha fatto posto sulla panca umida. «Cominciamo col dire che il dipinto non si chiama “Leda e il cigno”, ma “Leda e il cigno e la vanità della spada”. Questo lo rende diverso dalle altre interpretazioni. Quando ti trovi di fronte a un dipinto, devi chiederti dove si posano i tuoi occhi.» Mi guardava ed io non sapevo cosa dire. «Coraggio, guarda questo quadro. Cos’è che ti colpisce?» «Non saprei. La scena, il cigno che cerca l’unione con la donna.» «Ma no. Non guardare così come guarderesti una vetrina. Che cosa cattura il tuo sguardo? Non devi rifletterci molto.» Ho riportato l’attenzione sul dipinto mordendomi le labbra. Ho sentito Victor sbuffare e l’ho lanciata lì. «Forse l’occhio del cigno: è inquietante. Mi guarda ed è... sfrontato?» Victor mi ha sorriso. Sembrava essere ringiovanito di vent’anni e negli occhi brillava l’intelligenza che avevo solo intuito. «Già, l’occhio è il punto focale del dipinto. Hai detto di aver notato un’armonia nella suddivisione degli spazi?» «Sì, quasi una suddivisione geometrica.» «Bene, allora prova a tracciare un triangolo equilatero il cui vertice coincida proprio con l’occhio del cigno. Quali sono gli altri due punti di congiunzione delle rette?» Ci ho provato, poi ho guardato meravigliata quel vecchio pazzo. Il sorriso gli riempiva il volto. «L’asso di spada e le uova. Se il nostro artista non ha giocato col caso, cosa di cui sono convinto, quel triangolo è stato creato per evidenziare le altre due chiavi di lettura. L’asso di spada è posto in prossimità del sesso femminile e le uova in prossimità del seno. La spada rappresenta l’unione carnale e le uova il senso materno.

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La divinità ha soddisfatto la sua lussuria rendendo Leda madre per sempre.» Victor ha avvicinato il disegno per osservarlo meglio, dopo qualche minuto ha allargato le braccia. «Vedi com’è evidente. Che importanza può avere il volto, i capelli, il corpo della modella. Ovvio: Leda è una bella donna, altrimenti Zeus non si sarebbe preso il disturbo, ma non è quello il messaggio che l’artista vuole trasmettere.» «Vuoi dirmi che la vanità c’entra in qualche modo con l’arroganza del dio che prende ciò che vuole?» «Questo e tanto altro ancora. Zeus in fin dei conti non esiste se non nell’immaginario dell’uomo, così come esistono le altre entità ultraterrene. Il cigno è la vanità del dio, dell’uomo che si ritiene un dio, che travalica e uccide perché superiore. Ma l’uomo non è Zeus e quando si rende conto di avere dei limiti, costruisce un mondo immaginario comodo a ricucire gli strappi.» La vanità della spada, l’occhio arrogante del cigno che ti guarda altezzoso, che ti sfida a essere giudicato e che resterà impunito perché tutto il creato gli appartiene. «Il tuo artista non ti risponderà se gli hai chiesto il significato della sua opera. Non c’è domanda più idiota da fare a un artista.» «Comunque è bravo?» Victor si è alzato ed è tornato dietro il cavalletto a dipingere. Aveva già parlato troppo. Sono rimasta un’altra mezz’ora a giocare con Leda poi sono tornata a casa. Devo cercarmi un lavoro altrimenti la situazione si fa critica. Non so se quel vecchio matto ci ha preso, né voglio da te una conferma. Mi sono comportata come una deficiente. Però sono curiosa, vorrei vedere altri dipinti, puoi spedirmi le immagini o indicarmi il sito dove posso visualizzarli? Ti auguro una buona giornata e spero che in Italia non piova e non faccio così freddo. Londra, 15 novembre 2012 Egregio artista, è trascorsa quasi una settimana da quando mi hai inviato le immagini dei tuoi due dipinti. Scusami ma ci ho impiegato più tempo: i lavori da analizzare sono due e soprattutto il primo è stato avvincente. Il titolo “Q: 7,26” mi ha subito incuriosito. Lasciando stare i numeri mi sono concentrata su Q. Qualche anno fa lessi con molto piacere un libro di Luther Blisset intitolato per l’appunto Q e mi colpì tanto che cercai informazioni sull’autore. Rimasi sorpresa nello scoprire che dietro quel nome si celano quattro scrittori residenti a Bologna. Notizie che forse già conosci come saprai che gli autori, con il loro libro arrivarono al quarto posto del Premio Strega. Ne nacque una contestazione, dove gli scrittori bolognesi asserirono che il concorso era una farsa e già si sapeva a chi sarebbe andato il primo premio. Ho recuperato il libro “Q” e mi sono recata al parco per parlarne

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Indizi per un nuovo inizio | olio su tela | 60x50 | 2012

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con Victor. Lo conosceva già ma si è preso due giorni per riflettere portandomi via l’immagine del tuo quadro e lasciandomi il libro, a casa aveva la sua copia, scritta per altro in inglese e non in italiano. Nel frattempo ho approfittato per ridare un’occhiata al libro, anche se lo ricordavo ancora bene. Ho rivissuto la storia avventurosa del Giusto, che nella prima metà del Cinquecento attraversa l’Europa, tra conflitti imperiali, sociali, economici e religiosi. Ho seguito le sue tante identità e la sua lotta perenne con Q, frate spia e braccio armato di Carafa che è poi l’anima grigia della Chiesa del Cinquecento. Quell’opera è un pezzo di storia. Ci sono la ribellione anabattista di Munster, la grande truffa ai danni dei Fugger e le vicende del Papa in Italia. La discussione che ne è nata qualche giorno dopo con Victor è stata fantastica. Era una splendida giornata, una di quelle rare volte in cui il sole riscalda anche a novembre e il parco londinese era allegro e pieno di vita. Tutto questo ci toccava solo in parte. Eravamo seduti sulla solita panchina, gli occhi e la mente rivolti verso quel meraviglioso periodo storico che è stato il Cinquecento. Come sempre Victor parlava ed io m’incantavo. «Come tutti i quadri anche questo può essere osservato a più livelli. Un osservatore distratto potrebbe collegare l’immagine alla vanità della donna: bella e tentatrice, ammaliante come un serpente. Qualcun altro penserebbe a Eva, al peccato originale, al diavolo tentatore. Noi che siamo cavillosi andiamo a notare anche quel pezzo di catena che pende da un lato e quell’iscrizione quasi nascosta incisa sul lato opposto». È vero. C’è anche la catena. Non ci avevo badato. Ho cercato di mascherare la sorpresa ma Victor se n’è accorto. «La catena ti era sfuggita? Eppure lo sai che il nostro autore è scientifico nel dividere gli spazi e nel collocare i punti di lettura. Ma andiamo avanti. Q: 7,26 fa riferimento all’Ecclesiaste. “Vanitas vanitatum et omnia vanitas”, dice Qohelet, “vanità delle vanità, tutto è vanità”. La costruzione è ridondante, questo tipo di ripetizioni nella lingua biblica ha un valore superlativo, per cui la traduzione letterale della frase sarebbe la più grande vanità, così come il Cantico dei Cantici significa il più bel cantico e il Sancta Sanctorum, il luogo più santo. Con essa si apre e si chiude il lungo discorso di Qohelet, che occupa i dodici capitoli dell’Ecclesiaste, il libro più sconcertante della Bibbia. In questo modo arriviamo all’opera dei Blisset, dove l’oscuro antagonista del Giusto si firma Q. Il nostro autore fa quindi riferimento a quest’antico libro nel suo quadro e quei numeri indicano un passaggio ben preciso.» «Aspetta un attimo. Prima di andare avanti voglio sapere perché consideri l’Ecclesiaste il libro più sconcertante della Bibbia?» «Non ti chiedo di leggerlo, potrebbe risultarti noioso, ti basti sapere che in esso trovi la negazione di ogni valore per cui valga la pena di vivere. In questo libro sono contenute un insieme di riflessioni lucide e disincantate sulla vita umana, annotate senza un ordine preciso da un saggio vissuto verso la fine del III secolo

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Oculi tertia | olio su tela | 60x50 | 2012

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a.C. chiamato Qoèlet. L’autore si considera un uomo potente, s’impersona con il grande Salomone che ha avuto tutto dalla vita. Nella sua opera e forte della sua esperienza lancia un canto disperato contro l’iniquità e l’insipienza dell’esistenza. Nel Qohelet è esposto l’eterno contraddittorio tra il bene e il male, in altre parole: a cosa serve fare il bene o il male se la morte è l’unica conclusione della vita? L’autore suggerisce “abbi fiducia nel Padre e segui le sue indicazioni” perché tutto il resto è “Vanitas Vanitatum”, tutto non è altro che cosa vana e fatua. Quel 7:26 scritto di lato al quadro ci riporta a un punto preciso dell’Ecclesiaste: “Trovo che amara più della morte è la donna, la quale è tutta lacci: una rete il suo cuore, catene le sue braccia. Chi è gradito a Dio la sfugge ma il peccatore ne resta preso”». Victor era rimasto in silenzio, un mezzo sorriso dipinto sulle labbra. Dovevo avere un’espressione confusa perché pareva divertito. «Hai capito mia giovane scrittrice? La donna era un essere pericoloso e qui stiamo parlando del III secolo a.C.! L’Ecclesiaste contiene messaggi vetero testamentari, scritti prima della venuta di Cristo, dopo Cristo c’è una leggera concessione alla Maddalena, ma per il resto la figura femminile ne viene fuori malamente. Se riconduciamo tutto questo discorso al quadro, notiamo alcune particolarità degne di nota. La donna non è ritratta in una posa sottomessa bensì ha uno sguardo fiero e combattivo, la catena al suo fianco è spezzata e il laccio al lato opposto è inchiodato. Lo stesso serpente che fuoriesce dal suo seno, una parte del corpo che la Chiesa riconosce come materna ma anche scandalosa, non minaccia la donna, tutt’altro, sembra proteggerla. La stessa arma usata contro di lei per denigrarla e ridurla a peccatrice, ora è sua alleata. L’immagine femminile del quadro ridà dignità alla donna, le riconosce la volontà di emanciparsi e di reagire a una morale bigotta che le è stata da sempre nemica. È la donna moderna e la modernità è rilevata anche dal tipo di sedia su cui siede, non è un modello antico ma è una “thonet”, relativamente recente e ancora in voga. Lo so, anche questo particolare non l’avevi notato, non scoraggiarti, ci vuole allenamento e tu stai facendo progressi». Quest’ultimo commento mi era sembrato strafottente, per il resto non potevo che rimanere incantata. La storia però non era ancora finita. «La donna del quadro conosce la vanità e sa quanto questa possa essere vana, così come vane sono le parole di Qoelet che nulla hanno potuto togliere alla sua dignità. Alla fine è lei che domina mentre Qoelet si dispera nel suo canto. Per quanto riguarda il bellissimo libro dei Blisset mi viene spontaneo soffermarmi ancora sulla vanità delle cose. Dopo ben seicento pagine di racconto storico si ha l’impressione che tutto quello che è accaduto in quegli anni sia stato davvero vano, che forse la vita e le lotte di centinaia di uomini non abbiano un senso. Attraverso il racconto dei due protagonisti emerge lo scontro tra l’ordine e le spinte eversive, tra chi manovra per la conservazione del potere e per controllare

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L’eretica | olio su tela | 60x50 | 2012

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e sottomettere popoli e anime e chi lotta per la libertà. L’Ecclesiaste è chi rende vani gli sforzi, il Giusto sta dalla parte di chi ha sfidato l’ordine del mondo. Q è un romanzo che esalta la disobbedienza e la donna del nostro quadro è una disobbediente, una che sfida regole e convenzioni e alla fine arriva ad avere lo sguardo sfrontato e sicuro che le compete.» Sono rimasta senza parole, possibile che un semplice quadro avesse il potere di lanciare tanti messaggi? Stavo scoprendo un mondo nuovo, potente, finora avevo sempre considerato la scrittura, il mezzo più adeguato per comunicare e invece … La voce di Victor mi ha riportato al presente. «Non perderci molto la testa. Magari quel Q: 7,26 è soltanto il codice di una cassaforte e il nostro artista ha un amore particolare per i serpenti.» Dovevo avere un’espressione sbigottita perché Victor è scoppiato in una fragorosa risata. «Hai tanto da imparare sugli artisti. Sono esseri stravaganti e spesso si divertono a prendere in giro il prossimo. L’importante in un’opera d’arte non è saper cogliere il giusto messaggio ma prenderla come stimolo alla riflessione. Noi ce ne siamo fatti un’idea e ci piace ragionarci sopra. Il quadro ha raggiunto il suo obiettivo. Anche l’altra immagine che ti ha mandato, Hereticus, ci riporta sullo stesso tema. I due quadri sono legati da un unico discorso, altrimenti perché inviarteli insieme. Il collegamento che hai fatto vedendo il primo quadro è stato il libro dei Blisset. Con il secondo mi viene in mente un’altra opera letteraria che fa riferimento a un periodo di poco anteriore a quello di Q: “Il nome della rosa”, scritto da uno storico di tutto rispetto.» «Certo. Il nome della rosa di Umberto Eco, libro bellissimo, così come il film.» «Hanno fatto anche un film?» «Non mi dire che non hai mai visto il film? Ma se l’hanno visto tutti!» Victor si è stretto nelle spalle increspando la fronte. Mi sono detta che era meglio lasciar stare. Ho ripensato alla scena dove il vecchio francescano parla con il novizio. «In effetti, Eco mette in bocca a Ubertino da Casale le stesse frasi dell’Ecclesiaste: più amara della morte è la donna.» «Già e su tutta l’opera incombe l’ombra sinistra dell’Inquisizione. Lo stesso Ubertino, se ben ricordi il libro, ma del resto è storia, è guardato dalla Chiesa come un eretico. Tutti i francescani sono sospetti di eresia, un ordine in seguito riconosciuto e accettato come quello più vicino all’insegnamento del Cristo. In quell’epoca ma ancora oggi, la Chiesa rappresentava una potenza, non solo come strumento di controllo sul popolo, ma era soprattutto una potenza economica. I francescani affermavano che bisogna seguire l’esempio di Gesù, diventare i più poveri tra i poveri, farsi umili e servire il prossimo. E no, la Chiesa questo proprio non lo poteva mandare giù. L’Inquisizione doveva servire a contenere questi spiriti ribelli e grazie alla sua opera instancabile molte menti eccelse sono state arse sul rogo. Pensa a

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Risveglio sul lago | olio su tela | 60x50 | 2012

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Giordano Bruno, l’eretico impenitente, che accettò la morte pur di non rinnegare le sue teorie. Lui, come Galilei, fu condannato dall’Inquisizione, solo che Galilei ritrattò e rinnegò salvandosi dal rogo, mentre Bruno s’intestardì perdendo la vita.» «Ho letto qualcosa su Giordano Bruno. Era un filosofo che sposò la teoria eliocentrica di Copernico.» «Una roba non di poco conto per la Chiesa. Affermare che il mondo e con esso l’uomo non sia più al centro del creato vuol dire cercare rogne. Era una teoria destabilizzante per il popolo, faceva paura. Eppure ciò che impauriva gli altri entusiasmava Bruno, quello era il punto di partenza per ammettere l’infinità dell’universo. L’idea del mondo infinito trasmette il concetto, ben più pericoloso, di un’infinita libertà umana. Un concetto gradevole e avvincente ma non per la Chiesa che vedeva in questo una perdita di controllo sulle masse. La Santa Inquisizione ha risolto il fastidioso problema, anche se per farlo ci ha impiegato ben otto anni. In fondo Bruno non doveva esserle poi così sgradito: era un fuoriuscito e gli hanno concesso un margine inconsueto per abiurare. Galileo Galilei è stato più furbo, pur sapendo che le sue teorie erano esatte si è reso conto che i tempi non erano maturi e non avendo la vocazione del martire ha preferito rinnegare e ritornare all’ovile.» «Quello doveva essere davvero un periodo storico interessante.» «Interessante e difficile ma a noi interessa per dare un’interpretazione al secondo quadro, l’Eretica. La donna ricorda senza dubbio il diavolo, il piede caprino che fuoriesce dalla veste ne è una dimostrazione lampante. Al suo fianco c’è un astrolabio, l’antico strumento usato per misurare le distanze tra i pianeti e da sempre collegato alla figura di Galilei. Sul lato opposto c’è una sfera che ricorda la figura della Terra, vista però in maniera confusa, così come si conosceva prima di Copernico. Altro non ci serve, il messaggio che viene fuori dai due quadri è quello del coraggio di osare, si esalta il dono insito in tutti noi della disobbedienza e questo non solo in campo religioso. Mettersi contro l’ordine costituito, discutere e non accettare passivamente ogni regola che la morale impone, è un’impresa ardua ma è la molla che fa scattare il progresso.» «Mamma mia, è un discorso che ha un fascino irresistibile.» «Sì e se lo segui, ti cambia la vita. Attenzione però, il rischio è rimanere soli ma spesso la solitudine diventa un’alleata preziosa per la mente. Ora basta, devo continuare a dipingere e tu devi riprendere a scrivere.» Ancora una volta il discorso si era concluso e Victor ha ripreso il suo pennello ricominciando proprio lì dove si era fermata la sua ultima pennellata. Gli avrei dato un bacio su quella testa dura ma, come è ovvio, non ne ho fatto niente. Prima di allontanarmi però non sono riuscita a trattenermi e gli ho bisbigliato. «Sei la persona più affascinante che abbia mai incontrato.» Victor non si è voltato, forse ha fermato per un attimo il pennello, solo una frazione di secondo, e poi ha ripreso a dipingere.

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Mengele | olio su tela | 60x50 | 2012

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Londra 23 novembre 2012 Egregio artista, ieri sera ho ricevuto l’immagine della tua opera “Frammenti” ma non ho avuto modo di rifletterci a lungo perché ero stanchissima. Finalmente sono riuscita a procurarmi un lavoro, servo ai tavoli in un pub a due passi dalla mia abitazione e ho iniziato proprio di sabato, quando l’affluenza era ai massimi livelli. La domenica è andata un po’ meglio e oggi ho la mia giornata di riposo. Ne approfitterò per recarmi da Victor e se lo trovo di genio, spero di poter discutere sul tuo quadro. A un primo esame mi è del tutto incomprensibile ma confido nell’esperienza del vecchio bisbetico. Ti farò sapere al più presto. Londra, 23 novembre 2012 Egregio artista, scusami se t’importuno ancora, addirittura ti scrivo due volte nella stessa giornata, non hai l’obbligo di rispondermi ma sono io che sento l’urgenza di scriverti. Stamattina al parco era una bella giornata di sole, anche se l’aria continua a essere fredda e penetrante. Victor era di ottimo umore, ha divorato la colazione e si è rallegrato alla notizia del mio nuovo impiego. Quando gli ho comunicato la somma che ricaverò da questo lavoro, è scoppiato a ridere dicendomi che lui riusciva a campare con molto meno. Non so di che cosa viva, non credo che svolga un altro lavoro, l’ho sempre visto lì a dipingere senza mai vendere nulla, quasi fosse un hobby. Forse avrà un minimo di pensione o qualcuno da cui tornare e che lo finanzia. Quando gli ho mostrato la stampa del tuo dipinto, l’ha osservata a lungo, poi l’ha piegata riponendola tra gli schizzi dei suoi quadri. «E allora? Non hai niente da dirmi?» «Non essere precipitosa, lasciami il tempo e la tranquillità di guardarla meglio. Oggi è una giornata troppo bella per spenderla in parole, ho voglia di dipingere e di catturare questi colori meravigliosi prima che le nuvole se li portino via.» Detto questo, si è voltato e ha ripreso a dipingere. Sono stata lì un’altra mezz’ora e poi sono andata via, quando decide di chiudere un discorso è inutile insistere, ma tornerò domani e spero di poterti comunicare altre informazioni. Londra 24 novembre 2012 Egregio artista, ho visionato il sito da te indicato nella precedente lettera e sono riuscita a fare qualche collegamento, ma il buio è ancora profondo. La pietra disegnata nella parte inferiore del quadro rappresenta un blocco di marmo appartenente al monumento sepolcrale di Publio Cacurio Filocle. L’iscrizione è databile alla metà del primo secolo a.C. e ricorda due liberti di questo Publio, Cacurio Filocle e Cacuria Calliopa. Compare il nome anche di una terza donna, Melia Terra, forse la consorte di Filocle, che si è presa cura di far risistemare il monumento funerario. Il blocco è

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Malala | olio su tela | 60x50 | 2012

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stato ritrovato sulla via Appia a Roma e fa parte del patrimonio archeologico italiano. In principio ho pensato alla storia poco trasparente di questa famiglia, non è chiaro chi sia la consorte e perché i due liberti siano stati ricordati insieme ma ricostruendo il famoso triangolo, così come mi ha insegnato Victor, non mi sono più raccapezzata. Il pezzo di stoffa rossa e la lumaca non mi hanno fatto accendere nessuna lampadina. La lumaca rappresenta forse la lentezza e la costanza e potrebbe riferirsi al lavoro svolto dai due liberti per affrancarsi dalla schiavitù. La donna mi porta a pensare a Roma, bella e magnifica, che onora la morte dei due umili servitori. La mia teoria è avvalorata dall’individuazione del punto focale del quadro, proprio sulla scapola sinistra, all’altezza del cuore. Per il resto non so che cosa pensare. Sono stata a far visita a Victor ma avevo poco tempo a disposizione, oggi devo lavorare tutta la giornata e intendo riprendere il mio romanzo. Ti saluto Londra 2 dicembre 2012 Egregio artista, la settimana trascorsa è stata difficile, ho dovuto fare delle scelte e non so ancora in che modo la mia vita cambierà. L’evento decisivo si è verificato giovedì sera, quando sono tornata a casa stanca morta per essere rimasta in piedi a servire ai tavoli per otto ore di fila. Volevo solo mettermi a letto e dormire, il giorno dopo mi aspettavano altre otto ore di lavoro e poi c’era il fine settimana, le previsioni annunciavano pioggia e i londinesi si sarebbero tutti rintanati nei pub. Prima di salire ho controllato la cassetta della posta: c’era un plico inviatomi dalla casa editrice cui, circa un mese fa, avevo spedito il mio primo romanzo. Con il cuore in gola mi sono precipitata in casa convinta che qualcosa si stava muovendo e quando ho iniziato a leggere la lettera di accompagnamento, quasi ci credevo davvero. La casa editrice era stata impressionata dal lavoro, la mia opera era valida e poteva essere pubblicata, c’erano sole delle piccole condizioni e qui il mio cuore ha avuto un cedimento. Non voglio portarla per le lunghe, sarebbe doloroso e non servirebbe a nulla: mi chiedono tremila euro per affrontare i costi di pubblicazione e di pubblicità, circa il doppio di quanto spenderei rivolgendomi a una qualsiasi tipografia londinese. Ho allontanato la lettera disgustata, forse non hanno nemmeno letto il libro, limitandosi a contare le pagine e consultato le loro tabelle per verificare quanto un lavoro del genere potesse costare e quanto richiedere per avere un margine di guadagno. Scoraggiata, sono uscita da casa diretta al parco. Erano le nove di sera e di certo Victor era andato via, ma avevo bisogno di prendere aria e di smaltire la rabbia. Il parco era silenzioso e deserto e ancor prima di arrivare al lago ho visto Leda venirmi incontro festosa seguita da Victor che avanzava impacciato dal peso del cavalletto, della borsa e dell’ultima tela su cui forse aveva appena finito di lavorare. Da sotto il cappellaccio ho intravisto i suoi occhi scandagliarmi ma dato che non mi decidevo a parlare, si è accasciato sulla panchina più vicina,

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Spalanuvole | olio su tela | 60x50 | 2012

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si è liberato dei suoi fardelli poggiandoli sull’asfalto e ha continuato a guardarmi in silenzio. Mi sono seduta di fianco e gli ho raccontato tutto: delle ore passate a scrivere le mie storie, dei sogni, delle speranze, della volontà sconfinata che occorre per rimettersi a scrivere dopo otto ore di lavoro manuale, della solitudine, della nostalgia di casa, della paura che mi coglie all’improvviso quando mi assale il dubbio di aver fatto la scelta sbagliata e di sprecare il mio tempo a seguire un progetto che esiste solo nella mia testa. Ha ascoltato in silenzio con le mani abbandonate in grembo e lo sguardo abbassato su Leda che sonnecchiava ai suoi piedi. Quando ho smesso di parlare, ha sollevato lo sguardo e mi ha guardato dritto negli occhi. «Hai dato un’interpretazione all’opera del tuo artista?» Ho annuito ma ero confusa: volevo parlare d’altro. «Che cosa è venuto fuori dalle tue riflessioni?» Mi sono sforzata di ritornare con la mente al tuo quadro cancellando tutto il resto. Gli ho raccontato del riferimento con il blocco marmoreo ritrovato a Roma, dei due liberti, della lumaca e della figura femminile che per me rappresentava la città eterna. Ha sorriso. «Mi mancava il riferimento al monumento sepolcrale, non ero riuscito a capire la scritta che si celava in quella vecchia pietra.» È rimasto qualche minuto a riflettere poi si è messo a rovistare nella borsa recupe-

Studi di nudi | tecnica mista | 2012

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Profeta | olio su tela | 60x50 | 2013

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Orizzonti | matite su carta | XXxXX | 2012

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Il miracolo delle Croci | olio su tela | 60x50 | 2013

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Figura | olio su tela | 60x50 | 2013

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Studi vari | tecnica mista

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Studi vari | tecnica mista

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Studi vari | Sanguigna su carta | 2012

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Studio di nudi | Sanguigna su carta | 2012

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Studio di nudo | Sanguigna su carta | 2012

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Studio di nudo | Sanguigna su carta | 2012

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Studio per Leda e il Cigno | Tecnica mista su carta | 2011

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Studio per Leda e il Cigno | Sanguigna su carta | 2011

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rando alla fine la stampata del tuo quadro. L’ha orientata verso la luce del lampione ed è rimasto ancora qualche minuto in silenzio. Alla fine, quando ha sollevato lo sguardo, gli occhi guardavano me ma la mente sembrava persa a elaborare le informazioni. «I liberti nell’antica Roma erano quelli che, dopo essere stati schiavi, riacquistavano la libertà, anche se poi rimanevano sempre in qualche maniera assoggettati al padrone. Sì, forse la lumaca potrebbe rappresentare il lavoro paziente e indefesso compiuto dai due per affrancarsi dalla schiavitù … C’è poi quel pezzo di stoffa rossa. Non è un tessuto dozzinale, dà la sensazione di qualcosa di più morbido e prezioso. Se non ricordo male, in quel periodo storico era consuetudine onorare i trionfatori con un drappo rosso, di questo non sono sicuro, bisognerebbe riprendere in mano alcuni testi. Se la memoria non m’inganna però, quello sulla sinistra è un drappo rosso e se la donna ha lo sguardo rivolto proprio verso quel punto potrebbe simboleggiare un omaggio ai due liberti, quasi un voler rendere loro giustizia.» «Quindi concordi con me quando affermo che la donna potrebbe rappresentare Roma?» «Verosimile e possibile ma non sicuro.» Mi ha sorriso e i suoi occhi sono diventati ancora più brillanti sotto la gialla luce del lampione. «Quando ci si trova di fronte a un dipinto, si possono solo azzardare delle ipotesi, solo chi l’ha eseguito sa che cosa ci ha messo dentro e spesso nemmeno l’artista ha davvero coscienza di ciò che sta realizzando. Se come dici tu, la donna rappresenta Roma, non a caso è stata posta davanti a un campo di grano, simbolo di abbondanza, rinascita e fertilità. La sua magnificenza la riconosce però ai due liberti, è a loro che dà il cuore che è poi il punto focale del quadro. I liberti con la loro morte non possono aspirare alle vette più alte del cielo, appannaggio degli imperatori, però morendo sulla terra, così come il chicco di grano non raccolto, generano nuova vita e dal loro seme nascerà un germoglio e poi una spiga. La donna ha la testa piegata, i capelli raccolti sulla nuca, mostra il collo vulnerabile, potrebbe essere Roma che si dona al popolo e riconosce in esso la sua enorme ricchezza.» Si è alzato dalla panchina recuperando il suo bagaglio mentre ero ancora persa a riflettere su quanto mi aveva detto. «Oggi tu sei triste e amareggiata, senti di valere tanto ma nessuno sa apprezzare il tuo tesoro. Ti è crollato il mondo addosso solo perché una casa editrice non si è dimostrata all’altezza del suo compito. Che importanza può mai avere? Il mondo è pieno di opportunità, se le cerchi, ma non è quello che deve spingerti a lavorare e ad andare avanti. Devi fare come la lumaca, lenta e costante, avanzare con il tuo bagaglio di creatività, preoccupandoti soltanto di raggiungere il luogo dove vuoi arrivare. L’obiettivo quando scrivi è quello di sprigionare la fiamma che arde dentro di te, non è certo quello di veder pubblicato il tuo libro, altrimenti è meglio

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che dedichi la vita ad altro. A proposito, quel tuo lavoro … devi ridimensionarlo, non puoi lavorare otto ore al giorno e poi pretendere di avere la mente libera per scrivere. Perché sei venuta a Londra? Per servire ai tavoli di un pub? Tanto valeva che te ne rimanevi in Italia. Tirati su, datti una scrollata, se hai dentro di te qualcosa di prezioso, il mondo abbasserà lo sguardo, ti mostrerà il collo e ti renderà onore.» Si è incamminato lungo il viale con Leda di fianco. L’ho guardato fino a vederlo scomparire, assorbito dalla nebbia e dalla notte, quasi un’immagine surreale e forse stavo davvero sognando. Sono tornata a casa, ho buttato la proposta editoriale nella parte più profonda della pattumiera e il giorno successivo ho affrontato il titolare del pub dicendogli che, se gli stava bene, potevo lavorare solo i fine settimana. Ha accettato e ora ho un sacco di tempo per scrivere e per tirarmi su. Londra, 8 dicembre 2012 Egregio artista, è passata da poco la mezzanotte e sono soddisfatta. Ho ripreso il mio ultimo romanzo e tranne l’uscita di stamattina per portare la colazione a Victor e un paio di soste per rifocillarmi, non mi sono schiodata dal mio lavoro. Sto raffinando la figura di Mengele, il medico nazista e ufficiale tedesco delle SS a cui si rifà il personaggio del mio romanzo. Non so se ti sei mai soffermato sulla figura storica di Josef Mengele: l’angelo della morte. Durante il periodo nazista eseguì tutta una serie di esperimenti pseudoscientifici sui deportati ebrei e sugli zingari nel campo di concentramento di Auschwitz. Creò all’interno del campo un centro di studi, una parodia di un istituto scientifico tedesco, circondandosi di un’equipe di medici prigionieri che lo aiutarono nel suo lavoro. Arrivò a studiare e torturare fino alla morte tremila persone, per lo più bambini e adolescenti, concentrando la sua attenzione sui gemelli. Questi subirono ogni sorta di sperimentazione e misurazione, tentò trasfusioni incrociate, studiò fino all’ossessione la composizione del loro sangue e cercò di modificare il colore degli occhi iniettando un liquido micidiale: il metilene blu. Gli esperimenti furono crudeli e inutili, provocarono atroci sofferenze e la perdita della vista. Era ossessionato dai bambini con le pupille eterocromatiche, li trattava con riguardo, alloggiandoli in strutture più comode e nutrendoli in maniera adeguata. Grazie all’anomalia visiva e alla macabra curiosità che suscitava nella mente malata di Mengele, molti di loro riuscirono a sopravvivere all’orrore. Ho letto la testimonianza di uno dei sopravvissuti e ho ancora la pelle d’oca. Narra di come fu strappato alla sua famiglia e rinchiuso in quella sorta di asilo degli orrori. Ce n’erano tanti come lui, messi lì senza alcuna spiegazione. I più grandi, non più di dodici anni, iniziarono a far circolare la voce che presto sarebbe arrivato l’angelo della morte, con il suo camice bianco, a decidere chi doveva vivere e chi morire. Era terrorizzato e prima ancora di conoscerlo già gli aveva dato un’immagine spaventosa. Quando lo vide per la prima volta, restò sorpreso: il dottor Mengele aveva davvero una faccia d’angelo, era vestito con eleganza e parlava in modo calmo e

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Ulivo | olio su tela | 60x50 | 2012

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rassicurante. L’uomo che si ritrovò di fronte aveva più l’aria di un padre, buono e comprensivo, insomma non somigliava a un assassino. Indossava un camice immacolato, scarpe eleganti e tirate a lucido, pantaloni di tessuto morbido e alle mani portava un paio di guanti bianchi. Lo fece mettere in fila, con altri dieci bambini e li osservò con cura guardandoli dritto negli occhi. Iniziò poi a camminare avanti e indietro con un’espressione allegra, sembrava stesse giocando e che il gioco lo divertisse molto. Leggendo altre testimonianze sono rimasta allibita e ho capito che quando un bambino si trova a vivere un incubo è capace di aggrapparsi a qualsiasi cosa. Le piccole cavie di Auschwitz erano così terrorizzate e sole che alcune di loro finirono per affezionarsi a Mengele. Lui si recò spesso a far visita ai bambini, a volte portava caramelle, cibo, piccoli giocattoli, altre volte se ne caricava in macchina un paio e li portava fuori a fare delle escursioni. Aveva una doppia personalità, la prima era solare e affascinante, l’altra tenebrosa a crudele. I sopravvissuti narrano che non si dimostrò mai violento, anche quando li visitava, mostrava un rispetto riservato, non li toccò se non per motivi di studio, sempre con quella maniera carezzevole di guardarli. Nulla di morboso, in un ambito diverso si sarebbe potuta definire paterna e amorevole. Mengele in un ambito storico differente non sarebbe mai stato smascherato, avrebbe tenuto nascosta la sua follia, alimentando le sue ossessioni in maniera clandestina. Queste sono personalità brillanti, accattivanti, si circondano di persone che nutrono per loro stima e devozione, si creano un alone di rispettabilità che li rende inattaccabili, lontani da ogni sospetto. Sono abili manovratori, crudeli, spietati e molto pericolosi. Spero di non averti rattristato con questa vecchia vicenda, magari la conoscevi già, ormai è diventata storia. Per il mio romanzo ho tratto spunto dall’ossessione del medico nazista per l’eterocromia, ma non voglio dirti altro perché ci sto ancora lavorando e poi spero di poterlo terminare e spedirtelo, magari gli dai un’occhiata. Sarebbe bello pensare che almeno una persona, oltre alla sottoscritta, abbia letto una delle mie opere. Ti auguro una buona nottata. Londra, 10 dicembre 2012 Egregio artista, grazie a te sto allargando i miei orizzonti e arricchendo la mia cultura di nozioni nuove e affascinanti. Il merito che ti riconosco è per gli spunti, per quanto riguarda le nozioni e i collegamenti storici devo ringraziare la mente geniale di Victor. Ho trovato un canale intimo con il vecchio saggio, noto anche che lui ha piacere nel dialogare con me di argomenti che, credo, gli abbiano occupato tutta la vita. L’ultimo quadro che mi hai mandato è stato molto avvincente per Victor, gli ha dato l’opportunità di parlarmi dell’armonia universale e di quelle magiche proporzioni in cui si racchiude tutta la bellezza del creato. A onor del vero il quadro è rimasto per lo più oscuro anche allo stesso Victor ma come me, è rimasto colpito dalla forma del pendente che indossa la donna. «È un dodecaedro, uno dei cinque solidi platonici. Le regolarità di questi solidi

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Ulivo | olio su tela | 60x50 | 2009

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sono davvero affascinanti e per questo motivo, sin dall’antichità, sono stati oggetto di studio nei campi più disparati dell’arte. Platone associò a ognuno di essi un elemento, dopo il fuoco, la terra, l’aria e l’acqua, al dodecaedro fu assegnato l’etere o quintessenza che componeva i corpi celesti e l’anima. In questo solido dalle linee accattivanti Platone ci vide la forma dell’universo. “Restava una quinta combinazione e Dio se ne giovò per creare l’Universo”. Secondo lui i poliedri per la loro bellezza rivestono un ruolo rilevante nel coniugare il mondo umano con il mistero della trascendenza e questa teoria è ripresa più volte nella storia dell’arte. Per esempio la scena del famoso dipinto di Leonardo, Ultima cena, è ambientata all’interno di un dodecaedro. C’è da dire che molti progetti di Leonardo sono spesso fraintesi e ci capita quasi quotidianamente di imbatterci nell’ennesimo critico d’arte che proclama a gran voce di aver trovato una nuova chiave di lettura di una sua opera. A me sembrano più scoperte costruite ad arte con l’unico obiettivo di colpire l’opinione pubblica a scapito di un’interpretazione semplice e più vicina alla verità, ma certo meno attraente. A un tipo come Leonardo sempre alla ricerca della verità, tutto questo trafficare intorno alle sue opere sarebbe apparso sgradito. “Ma a te che vivi di sogni, ti piacciono di più le ragioni fallaci e gli imbrogli del parlare di cose grandi e incerte, rispetto alle cose certe della natura, ma non così elevate?”» Di primo acchito mi è parso che Victor stesse rivolgendo a me quella domanda, poi ho capito che si trattava di una citazione di Leonardo, anche se mi ha lasciato confusa. Tutto il mio lavoro di scrittrice si basa sulla fantasia, spesso la mia mente ballerina mi porta a vivere situazioni fuori dal mondo, dove la fantasia ha un ruolo fondamentale. È anche vero che se bisogna analizzare un lavoro fatto da altri, occorre ricercare la semplicità del messaggio e forse sui tuoi quadri il mio è più un approccio da scrittrice che da critico d’arte. Ragion per cui ho avuto qualche timore a chiedere a Victor cosa ne pensasse dell’edera ma tornando a casa ho assecondato la mia anima curiosa e ho fatto qualche ricerca. In principio ho pensato a Dioniso, divinità spesso associata all’edera e alla vite, ma il discorso non mi tornava, non c’era nessun collegamento con il mistero della trascendenza e l’universo. Al contrario, nell’iconografia cristiana del Medioevo, l’edera assume il senso dell’immortalità dell’anima dopo la morte del corpo e forse questo collegamento quadra meglio con tutto il discorso di Victor. Sono rimasti ancora molti lati oscuri, per esempio quel rudere che s’intravede alle spalle della figura femminile e anche la donna stessa è tutto un mistero. Forse è proprio così che deve andare, un’opera d’arte lascia sempre dei dubbi e se ci si ostina a volerli risolvere ad ogni costo si rischia di stravolgere tutto il messaggio, magari lineare, che l’artista vuole trasmettere. Londra, 17 dicembre 2012 Egregio artista, scusami se ho ritardato tanto nel risponderti ma questo per me è un brutto periodo dell’anno perché coincide con un evento triste che ho vissuto qualche tempo

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Chiancamasitta | olio su tela | 50x60 | 2004

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fa in Italia. È stato proprio in seguito a questa sciagurata vicenda che ho lasciato tutto e sono scappata qui a Londra ma non voglio dirti altro, sarebbe doloroso e inutile. Ho ricevuto l’immagine del tuo nuovo quadro, “Oculi tertia”, e ti ringrazio tanto per la premura con cui assecondi questa corrispondenza iniziata da me un po’ per gioco ma che si sta rivelando importante e avvincente, spero per entrambi. Il mio stato d’animo ha senz’altro influenzato le sensazioni che la tua nuova opera mi ha trasmesso. Nell’espressione della donna ho percepito angoscia e paura, sopraffazione e fragilità, vulnerabilità e un’infinita tenerezza. Quella scultura che ha alle spalle è il mostro che deve combattere. Non lo guarda ma sa che c’è, come sa che ci sarà sempre e che niente e nessuno potrà cancellarlo. Lei ha il corpo di una donna ma gli occhi di una bimba mentre il mostro ha un occhio solo e la stabilità di una roccia. Non so cosa rappresenti quella piccola stoffa rossa al suo fianco ma è certo un elemento importante nella storia che si nasconde dentro la tua tela. Stamattina a Londra c’era il sole ma l’aria era gelida così come la mia anima. Mi sono trattenuta solo qualche minuto al parco giusto il tempo di portare la colazione a Victor e consegnargli la stampa del tuo quadro. Avevo gli occhi rossi e un groppo in gola che mi ha impedito di parlare. Victor mi ha guardato accigliato e forse dispiaciuto ma ha rispettato il mio silenzio. Alla fine quando sono andata via, ho sentito il calore del suo sguardo accompagnarmi per tutto il tragitto, ma è stata solo una sensazione, una maniera di consolare la solitudine e la tristezza. Londra, 21 dicembre 2012 Egregio artista, finalmente ho recuperato un po’ di energia! Questi ultimi sei giorni sono stati difficili, ho avuto febbre e forti dolori addominali e non sono riuscita a muovermi da casa nemmeno per la consueta visita a Victor. L’unico evento positivo si è verificato questa mattina quando ho sentito squillare il citofono. Quel suono così penetrante e invadente mi ha buttato giù dal letto, l’ho sentito poche volte, a casa non viene mai nessuno e il silenzio è l’alleato più prezioso che ho a disposizione per scrivere. Il mio ospite inatteso era il figlio del panettiere. Mi ha consegnato due croissant ancora caldi e un piccolo pacchettino improvvisato con una pagina di giornale tutta stropicciata. Quando gli ho chiesto altre informazioni, si è stretto nelle spalle rispondendo che suo padre gli aveva dato quel compito e che lui si era limitato a eseguirlo. L’ho ringraziato e sono tornata nel mio letto con la colazione e quel misterioso pacchettino. Mentre mangiavo il primo cornetto, ho staccato incuriosita lo scotch che teneva bloccata la carta di giornale e alla fine mi sono ritrovata tra le mani due piccole pietre rossastre, lisce e levigate e un foglio di carta da disegno, ripiegato in quattro, su cui una mano abile e precisa, aveva scritto quanto segue: “il diavolo teme le pietre preziose, le detesta, perché gli rammentano che esse già si mostravano in tutto il loro splendore prima che egli precipitasse. L’uomo è

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Macera | olio su tela | 60x50 | 2004

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sempre stato affascinato dalle pietre, quando ne trova una particolarmente bella la raccoglie e la conserva, per tanti motivi e forse anche perché, istintivamente, sa che una piccola gemma può tenere lontani i demoni”. Non c’era scritto altro ma ho collegato subito quel cartoncino a Victor e quelle pietre al tuo dipinto “Oculi tertia”. Quella piccola attenzione ha avuto il potere di scaldarmi il cuore. Non vedendomi arrivare il vecchio pazzo si sarà preoccupato e dopo un po’ si sarà deciso a chiedere informazioni all’unico elemento di contatto che ci unisce: il panettiere vicino al parco. Non so come quest’ultimo sia riuscito a risalire alla mia abitazione, c’è da dire che sono l’unica italiana a vivere nei paraggi e abito a due passi dal suo negozio. Forse mi avrà visto rincasare o avrà chiesto un po’ in giro, fatto sta che Victor ha portato a termine la sua missione riuscendo a risalire dentro la mia vita. Sono contenta, non è poco quello che ho conquistato, non sono passata inosservata, la mia assenza è pesata a qualcuno e Victor non è proprio una persona qualunque. Lui è un genio e dietro quella scorza dura e irritante c’è un’anima gentile e tenera, di questo sono sicura. Scusami le divagazioni ma è lui che mi tiene legata a te, le pietre e quel messaggio ne sono la dimostrazione. Ho ripreso in mano la stampa del tuo quadro e ci ho riflettuto a lungo. La mia storia personale si è ancora una volta inserita di prepotenza e il messaggio che ho letto non è obiettivo e di certo si allontana da ciò che volevi trasmettere. Ma questo avviene spesso e siamo portati a innamorarci di qualcosa solo perché ci ricorda delle sensazioni o arriviamo a odiare qualcos’altro perché ci fa rivivere episodi dolorosi. La donna del tuo quadro per me è una bambina, ai suoi piedi ci sono ancora i suoi giochi di bimba, le formelle di sabbia e quelle pietre, raccolte forse perché belle, lisce e levigate. Col tempo si sarà affezionata e ne avrà fatto dei portafortuna, utili a scacciare i demoni e la malasorte. Il demone però non è fuggito costringendola di colpo ad abbandonare la vita spensierata, spaventandola e aggredendola alle spalle. Ora che si ritrova donna il mostro è ancora presente e lei non ha molte armi per combatterlo. L’altro particolare che mi ha fatto riflettere a lungo è quell’unico occhio di pietra, allineato alla perfezione con gli occhi della donna, quasi parte della donna stessa. Potrebbe essere il terzo occhio, quello della mente, il presupposto dell’intuito e della chiaroveggenza. Secondo una ricca ed elaborata letteratura tutti gli uomini possiedono un terzo occhio, in genere chiuso e inattivo, solo gli esseri “evoluti” hanno la capacità di utilizzare questa sorta di potenza occulta e lo fanno esercitando la magia nera o quella bianca. Nel tuo caso propendo più per la magia bianca, quella rivolta al bene, dove gli evoluti riescono a realizzare dei veri miracoli come guarigioni insperate e senza nessuna spiegazione scientifica. Forse il demone da combattere è una malattia terminale ma sento che mi sto allontanando troppo inseguendo congetture fantasiose e se, al contrario, il percorso è quello, conviene fermarmi e non proseguire oltre: è una strada privata, dove è giusto e lecito proibire l’accesso.

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Ulivo | olio su tela | 60x40 | 2005

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Londra, 22 dicembre 2012 Egregio artista, ti ringrazio per la premura con cui hai risposto. Nella tua lettera c’era una sincera preoccupazione per il mio stato di salute ma voglio tranquillizzarti: sto bene e stamattina sono uscita finalmente da casa nonostante il freddo pungente. Mi chiedi anche informazioni su Victor e su questo purtroppo non posso dirti di più. Noto che quell’essere misterioso ha intricato anche te e per quanto non sia un’esperta in materia, devo comunque dedurre che ci troviamo di fronte a una mente geniale e a un abile artista, visto il tuo interessamento. Credo di averti già accennato a un episodio avvenuto qualche mese fa, in seguito al quale Victor si è fatto più arrendevole e malleabile. Le prime volte che mi recavo al parco avevo preso l’abitudine di consumare la mia colazione sempre sulla stessa panchina dove avevo uno scorcio caratteristico del lago. Victor era sempre lì e per giorni e giorni non ho visto altro che le sue spalle, i suoi capelli raccolti in una coda e l’ inseparabile cavalletto. C’era anche Leda, un incrocio di mille razze di cane, l’unica che mi veniva incontro festosa e che notava la mia presenza. A volte mi trattenevo per l’intera mattinata a scrivere e per tutto il tempo Victor dipingeva, senza mai voltarsi, ogni tanto scorgevo il suo profilo, quando frugava nella sua borsa o prendeva una nuova tela. Dopo un paio di settimane Leda aveva preso ad aspettarmi all’imbocco del vialetto e per ricompensarla le regalavo una metà del mio cornetto. Col passare dei giorni mi è sembrato scorretto escludere Victor da questo quadretto ma sono una persona molto timida e allora mi limitavo a comprare un cornetto in più e a lasciarglielo a disposizione sulla panchina vicina alla sua postazione di lavoro. Non si è mai voltato a prenderlo, né si è mai degnato di lanciare uno sguardo in quella direzione, non fosse altro che per curiosità. La storia si è ripetuta per quasi due mesi fino a quella mattina dell’incidente. Ero scesa come al solito di buon’ora per recarmi al parco ed ero passata dal panettiere per acquistare i cornetti. Appena imboccata la strada, ho visto Leda venirmi incontro in preda a un’agitazione insolita. Preoccupata, sono entrata nella panetteria e qui il proprietario mi ha informato di quanto era successo la sera prima. Il piccolo negozio, credo di avertelo già detto, è a due passi dal parco e quando il proprietario ha visto una piccola folla radunarsi in prossimità del viale d’accesso, è uscito a vedere che cosa stesse succedendo. «Il pittore! Signorina, meno male che lei non c’era altrimenti, le sarebbe venuto un colpo. Era accasciato sulla strada privo di sensi, bianco come un cadavere e con tutte le tele sparpagliate a terra! Ho chiamato subito il Pronto Soccorso e dopo una ventina di minuti è arrivata l’ambulanza e se lo sono caricati sopra. Questa povera cagnetta era disperata, ho dovuto bloccarla con tutte le mie forze altrimenti avrebbe inseguito l’ambulanza e con il traffico che c’è in questa zona, poteva succedere una tragedia. Alla fine ho raccolto tutta la roba sparpagliata a terra, ho legato il cane e ho portato tutto nella mia bottega.» «Sì, ma adesso dov’è? Non sa in quale ospedale l’hanno ricoverato?»

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Paesaggio | olio su tela | 50x60 | 2004

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«Non lo so, credo che l’abbiano portato al Charing Cross Hospital, è quello più vicino. Forse conviene fare una telefonata.» Alla fine siamo riusciti ad avere notizie di Victor, l’ospedale era quello e al Pronto Soccorso ci hanno confermato di avere ricoverato la notte prima un artista che si era sentito male al parco. Dopo enormi sforzi siamo riusciti a parlare con il medico che l’aveva visitato, per telefono era restio a dare informazioni, sempre per quel fastidioso discorso sulla privacy. Il dottore ci ha rassicurato dicendoci che il paziente aveva solo avuto un forte calo di pressione e che ora stava già meglio. Se tutto proseguiva liscio l’avrebbero dimesso il giorno dopo. Ho chiesto in quale reparto fosse ricoverato e qui il medico ha un po’ tentennato dicendomi che se la mia intenzione era di fargli una visita era meglio lasciar stare, il paziente non era un soggetto facile. Dire che Victor non è un soggetto facile è un eufemismo. Mi sono arresa ma ho detto al medico di comunicargli che i suoi lavori e il suo cane erano in ottime mani. Conclusa la telefonata ho imbracato alla meglio Leda con un cordino fornitomi dal panettiere e me la sono trascinata a casa. Per tutta la giornata non si è mossa dalla porta d’ingresso, non ha voluto mangiare e di tanto in tanto lanciava un triste ululato con il muso rivolto al soffitto. Faceva male al cuore vederla così disperata ma non potevo fare altro. Verso sera le ho rimesso l’improvvisata imbracatura e mi sono incamminata verso il parco nella speranza di distrarla dalla sua ossessione. Passando davanti alla panetteria ho salutato il proprietario che mi ha bloccato all’istante comunicandomi che il pittore era appena stato da lui per recuperare le tele e preoccupato soprattutto di ritrovare Leda. Alla notizia che il cane era con me, se ne era andato un po’ imbronciato per la sua strada. «Signorina, non mi ha nemmeno ringraziato. Quel tipo è davvero matto.» Leda intanto, tirava come una matta in direzione del parco ed io non potevo fare altro che seguirla. Mi ha trascinato prima alla consueta postazione di lavoro del padrone, poi, trovandola deserta, ha ripreso a tirare verso un punto preciso a ridosso del lago. Mi sono lasciata condurre e dopo una ventina di minuti a passo sostenuto si è fermata ansiosa davanti all’ingresso di un palazzo. Il portone era chiuso e non conoscendo il nome di Victor ho provato a bussare al primo campanello di una serie di almeno venti cognomi. Non ha risposto nessuno ma sono riuscita a entrare perché il portone si è aperto e ne è uscito un ragazzino dall’aria frettolosa che mi ha superato senza degnarmi di uno sguardo. Leda si è fiondata sulle scale ignorando l’ascensore e si è fermata eccitata davanti a una porta del primo piano, senza targhetta. Non ho avuto il tempo di chiedermi se suonare o no che la cagnetta ha iniziato ad abbaiare contro la porta chiusa. L’ingresso si è spalancato sul viso per niente sorpreso di Victor, sembrava quasi che ci stesse aspettando. Leda l’ha travolto, felice e ansiosa, lui non è riuscito a nascondere del tutto l’emozione, anche se percepivo il senso di fastidio che la mia intrusione gli provocava. Mentre Victor cercava di liberarla dal mio guinzaglio improvvisato, ne ho approfittato per sbirciare un po’ all’interno. In quei pochi secondi che ho avuto a diposizione, i miei

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Rudere con ulivo | olio su tela | 60x50 | 2004

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occhi non hanno catturato un solo spazio vuoto, tutto l’ambiente era occupato da cataste di libri e quadri, l’aria era satura dell’odore di trementina e la luce regnava sovrana, come se quel salone, che sembrava immenso, non avesse pareti. Victor era vestito come al solito anche se senza il suo pennello sembrava più vulnerabile e fragile. «Le ho riportato il suo cane, anzi è lei che mi ha portato qui …» Victor ha annuito e mi è parso di cogliere ancora quell’ombra di fastidio negli occhi. Mi sono stretta nelle spalle, gli ho rivolto un cenno con la testa e ho ripreso a scendere le scale. Mi sentivo affranta e delusa, ancora una volta esclusa da un mondo di affetti cui mi ero illusa di appartenere. Col tempo mi sono adeguata anche perché dopo quel giorno Victor è diventato più abbordabile, ha iniziato a salutarmi, anche se solo con un cenno del capo, e a mangiare la colazione che gli portavo. Il mistero però è rimasto sempre fitto e oscuro, di certo non è un vagabondo, ha una casa, non lussuosa e senza cognome, ma è pur sempre un posto, dove la notte va a riposare. La presenza di tutti quei libri mi ha confermato che è un uomo di cultura, oltre a dipingere ama leggere e informarsi, ma più di questo non sono in grado di dirti. I suoi quadri parlano di una persona rigorosa e ordinata, i colori sfumati e tenui lasciano intuire una profondità d’animo che male si sposa con i suoi modi burberi. È chiaro che potrei sbagliarmi, come critico d’arte, l’avrai capito, non valgo molto, ma sono una scrittrice, osservo, scruto, studio chi mi trovo di fronte e so di essere brava, anche se ancora nessuno se ne accorge. Ora ti saluto e aspetto tue nuove. Londra, 24 dicembre Egregio artista, tra due ore ho l’areo che mi riporterà in Italia. Mia madre non sta bene e vuole vedermi per trascorrere insieme il Natale. Ho tentennato ma non sono riuscita a sottrarmi. Spero di ritornare presto a Londra. Victor non lo vedo da due giorni. Sono stata al parco, la sua postazione era deserta. L’ho cercato ovunque ma niente. Ieri, sapendo che dovevo partire, mi sono decisa ad andare a casa sua. Ho bussato al primo citofono, mi ha risposto una voce femminile. Le ho chiesto se potesse aprirmi il portone, dovevo fare una visita all’artista. Lei non ha fatto domande, ha aperto e sono salita al primo piano. Una donna di circa quarant’anni mi aspettava davanti alla porta di fianco a quella di Victor. Mi ha scrutata con gli occhi socchiusi. Le ho fatto un cenno con la testa, non mi ha risposto. Ho bussato alla porta di Victor senza alcun risultato. La signora è intervenuta. «Credo che non sia in casa. L’ho sentito scendere stamattina presto.» Mi sono voltata a guardarla, i suoi occhi erano ancora sospettosi. «Non sa per caso quando rientra?» Lei ha storto il muso. «È una parente?»

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Ho sentito il calore affluire alle guance. «Sono una sua amica.» Ha continuato a osservarmi in silenzio, poi, mentre stavo per voltarmi e andar via mi ha bloccato. «Credo stia preparando una mostra. L’ho visto portare giù le tele e caricarle sul furgone.» «Non sa dove si terrà la mostra?» «Non ne ho idea, non m’interessa l’arte. Ma se prova a cercare su Internet, qualcosa la trova.» Su Internet? Victor che pubblicizzava le sue opere su Internet? Ero sconcertata. Potevo anche farla la ricerca ma non sapevo nemmeno che cosa cercare. Ho rivolto di nuovo lo sguardo alla signora, mi sembrava si fosse rassicurata. Ho provato. «Sarebbe così cortese da dirmi il nome dell’artista?» Ha sgranato gli occhi. «È un’amica e non conosce nemmeno il suo nome?» Ho sentito riaffluire il sangue alle guance, lo sguardo della signora era tornato sospettoso. «Frequento lo stesso parco, l’ho visto dipingere e vorrei acquistare un suo quadro.» Mi ha osservato inarcando le sopracciglia. Con i miei jeans logori, gli scarponi sformati e il giaccone che mostrava tutti i suoi anni, non apparivo certo una potenziale acquirente. Alla fine ha sospirato e mi ha detto il nome. Sono tornata di corsa a casa e ho cercato su Internet. C’era tanto di quel materiale che non mi sarebbe bastata una giornata per leggere. E non avevo tanto tempo: la mostra si inaugurava alle sedici di oggi. Ho preparato i bagagli in stato confusionale. Ma poi di cosa mi meravigliavo? Sapevo che Victor era bravo, facile che fosse anche conosciuto e apprezzato. Non ho preso in considerazione l’idea di recarmi all’inaugurazione, troppo imbarazzante e non ero certa che la cosa gli fosse gradita. Ho continuato a prepararmi per la partenza. Dovevo essere in aeroporto alle venti. Alle sedici ho iniziato ad agitarmi, dopo mezz’ora ero già in strada diretta alla galleria. Mi sono detta che sarei andata lì a sbirciare e se si fosse presentata l’occasione, mi sarei avvicinata per salutarlo. Sono arrivata alle diciassette, c’era tanta gente e mi sono confusa nella folla. Non riuscivo a individuarlo ma ho riconosciuto i suoi quadri. La sala era piena dei suoi cigni, l’atmosfera si è trasformata, il brusio della gente è scomparso, sentivo solo il vento e l’odore del parco. Qualcosa di umido mi ha sfiorava la mano, ho abbassato lo sguardo: era Leda che mi aveva fiutato e mi salutava. Le ho accarezzato la testa, lei si è seduta e mi ha dato la zampa. Una signora in sovrappeso mi ha urtata, ha chiesto scusa ed è sparita nella folla. Mi sono guardata attorno, tra quella marea di teste non sono riuscita a scorgere il profilo di Victor. Leda si è allontanava verso l’uscita e l’ho seguita. Ho guardato l’orologio, dovevo tornare, non potevo trattenermi oltre. Un’ultima carezza al cane e mi sono voltata decisa a riprendere la strada

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del ritorno. Un movimento sulla destra ha richiamato la mia attenzione: era Victor che agitava la mano nella mia direzione in segno di saluto. Era con un gruppo di quattro persone, ho riposto con un cenno e lui si è avvicinato. Indossava il solito pantalone sgualcito e il giaccone che gli ho visto portare nelle giornate più rigide. Ma non ero a mio agio: tutta quella gente, il traffico e l’aria carica di smog non avevano niente a che fare con Victor. Quando me lo sono trovato di fronte aveva il solito sorriso un po’ strafottente e mi sono fatta coraggio. «Sono venuta a salutarti. Stasera torno in Italia.» Ha stretto gli occhi. «Ci passerò le festività natalizie, poi tornerò a Londra. Forse starò via una decina di giorni.» Ha annuito. «Fai buon viaggio.» Ha allungato la mano, gliel’ho stretta e mi sono voltata riprendendo la strada di casa. Mi mancheranno le conversazioni al parco ma in fondo sono solo dieci giorni. Ora devo salutarti, mi farò viva al più presto e chissà che non riesca a venire nella tua città. Siamo un po’ distanti ma mi piacerebbe vedere i tuoi quadri e conoscerti di persona. A presto. Questa è stata l’ultima mail che ho ricevuto, circa sei mesi fa. Ho fatto anche delle ricerche su Victor partendo dalla data della sua esposizione. Non sono approdato a nulla. Peccato.

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Printed in 2015




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