Elisir, l’eterna giovinezza dell’arte Testo di Gianfranco Ferlisi
«Felicità raggiunta, si cammina per te sul fil di lama. Agli occhi sei barlume che vacilla, al piede, teso ghiaccio che s’incrina; e dunque non ti tocchi chi più t’ama». (Eugenio Montale, Ossi di seppia, 1925)
Il progetto è nato dall’idea che il MaM potesse magicamente ri-convertirsi nell’antica dimora che oggi lo ospita, Villa Ippoliti, e che, in questa dimensione antica e patrizia “ritrovata”, fosse possibile far rivivere il tema dell’eterna giovinezza e dei connessi riferimenti. Agli artisti si è proposto quindi di entrare in un sogno ad occhi aperti, di esprimere un’attività immaginativa aggiuntiva:opere in bilico tra sogno e realtà, sospese nel tempo e nello spazio del contenitore.
Il mondo vorticoso della contemporaneità e delle società globali contrae sempre i momenti per la contemplazione richiesta dall’arte, necessariamente lenti e meditati. Eppure, anche in questa vorticosità, molti artisti si muovono, fortunatamente, col giusto passo: sanno andare indietro e avanti, dal passato al futuro e anche rallentare e persino fermarsi. Sono in grado di bloccare il tempo e di restare giovani per sempre. Perché ciò che è impossibile nella realtà diventa fattibile nell’arte. Occorrono, ovviamente, precisi requisiti perché il miracolo possa accadere: solidi strumenti di mestiere, un’attenta passione per la ricerca, un autentico repertorio di immaginario emozionale e capace di vedere oltre. Si dice talvolta che «all art is quite useless». Presi di per sé e nelle giuste condizioni, ovviamente, sono assai più utili nella quotidianità un ombrello oppure una macchina da cucire, oppure un ferro da stiro... Eppure basta poggiarli insieme nel posto e al momento giusto e accade il miracolo di un rinnovato punto di vista.
Del resto ai nostri artisti poco deve importare che la bellezza dell’arte non soddisfi più i requisiti utilitaristici della società industriale e postindustriale! L’arte ha perso l’aura? Chiede dedizione piena, come accadeva a Dorian Gray? bene, perché forse è proprio questa la giusta prospettiva: l’arte ripaga col dono dell’eterna giovinezza chi a lei dedica con sincera passione ogni sforzo della sua vita.
Questo preambolo serve a spiegare perché e come, dopo un ventennio e più, la Biennalina di Gazoldo degli Ippoliti vuole aggiornare la sua formula: perché siamo convinti che gli artisti, se restano veramente autonomi e creativi, possono veramente non invecchiare, anche se, anagraficamente, qualcuno è inevitabilmente più giovane o più anziano di qualcun altro.
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Ecco quindi che allora, stavolta, rimescoliamo le carte alla partenza: giovani, giovanissimi, meno giovani, straordinariamente giovani, tutti insieme per indagare il grande valore dell’immaginazione, perché, citando Klee, «l’arte non ripete le cose visibili» ma crea il visibile.
La Biennalina che torna in questo 2022 si ripropone, perciò, con un progetto rinnovato ma anche con la sua solida storia di stabilità: una manifestazione che celebra il quarto di secolo.
Le nozze d’argento della rassegna giocano col mito faustiano, con la mitologia alchemica e con ogni altro aspetto del passato che si colleghi al presente. Isidore Isou, nel 1952, come si sa, assai prima del fortunato volume di Angela Vettese (Si fa con tutto), teorizzava sul concetto di come l’arte si possa fare con qualunque cosa e di come qualunque cosa possa diventare arte.
Nella mostra si duella di conseguenza con la non figuratività e con la molteplicità delle materie. Ma ciò che vale è la ricerca di artisti selezionatissimi, che coniugano concettualismi, necessità non-emotive e non-manuali, semi, essenze della materia organica, principi del caso in riferimento a una ‘realtà’ non più mimetica.
Nelle loro opere i più giovani, i ragazzi di Brera, ad esempio, dichiarano che la pittura ancora sopravvive: emerge come un arcano ready made, con schizzi di fauvismi, con improvvise oscurità o con subitanee fascinazioni luministiche. Il linguaggio artistico che la pittura usa può essere dunque ancora «cool and trendy», attraverso la stratificazione di più livelli di significazione e tramite la distanza emotiva dalle immagini e dai colori che popolavano il vecchio spazio pittorico.
Si rende così manifesto lo scarto iconoclasta rispetto alla tradizione, con soluzioni che esaltano e irridono l’obsoleto illusionismo.
Ma passiamo allora a concretizzare le teorie con le osservazioni, partendo dal lavoro di un giovanissimo artista. La sua opera sembra sgusciare tutta da una vena surreale, da un “déplacement”, da uno spiazzamento delicato, da un primitivismo estetico rivisitato, da una identità smarrita, da una giocosa incursione nel costante senso di inadeguatezza che tocca chi è alla ricerca di soggettività.
Ivan Bossoni usa un’estroflessione che recupera dimensioni mimetiche. Il disincanto ludico gli offre lo specchio della vita, in un’atmosfera che parla dei percorsi della coscienza indirizzata a un’intuizione intellettuale ed estetica.
Alice Capelli, per continuare la nostra carrellata, interviene nello spazio col risultato di azioni performative e memorie di body art. La pittura si presenta così come strumento di riflessione, di accettazione dello smarrimento interiore, di provocazione feticistica, di dialogo con l’erotismo e la passione (condito spesso da uno sguardo retrospettivo –ma attuale – a Carol Rama).
Giulia Santambrogio parla delcorpo e delle reti che lo imprigionano. Nella sua arte prova a coniugare contesti e linguaggi, danza e musica, cultura ritualistica e contemporaneità, per tradurre questo insieme di dimensioni fluenti e di dinamismi fisici in nuove immagini e nuovi miti. Tali scelte sfidano apertamente le nozioni tradizionali di identità e cultura, pensate come chiuse e impenetrabili. La progressiva
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Thomas Bentivoglio, Make a Wish (I wanna be as beautiful as the sea), 2022 vetro temperato rotto, dimensione variabile (particolare) (opera in mostra).
coscienza dei propri mezzi espressivi la fanno inoltrare in una esperienza del fare arte come rivelazione delle potenzialità che abitano i labirinti della mente umana. Il corpo e l’anima si consegnano, così, in reperti tessili, carichi di dimensione spirituale e di sentimento viscerale.
Con Edvige Cecconi Meloni ci s’inoltra nel mondo delle carte astrologiche. Su una grande tela emerge un componimento armonico, fatto di segni e di figure, che introduce alle sue cartografie poetiche: una serie di tracce simboliche in cui la grazia del saper fare diventa metodo per ritrovarsi e per ritrovare, negli orizzonti celesti, i suggerimenti per i percorsi terreni. L’artista suggerisce un equilibrio all’interno di una condizione esistenziale destabilizzata, con cui cerca – e trova – le coordinate di lettura. La sua opera parla, nel linguaggio dell’arte, del desiderio nobile di salire sulla cima dell’Olimpo. Emergono, alla fine, le geografie estetiche, dense di rimandi e di allusioni, in una ricercatissima temperatura poetica e in una densità onirica colma di ebbrezza eccitante, connubio tra materia e bellezza.
E a proposito di “bellezza”, si parlava, anni addietro, della sua “definizione”: più di duemila dichiarazioni diverse inquadravano il termine “bellezza”. Forse è anche per questo che la ricerca artistica portata avanti da Thomas Bentivoglio si concentra, per l’appunto, sulla parola scritta, sulla sua possibilità di suscitare, perennemente, una pluralità di sensazioni, di stimolare una molteplicità di sensi, tra sinestesia effettiva e sinestesia allusiva, tra narrativa intima e straniante e un sipario impenetrabile eppur
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Ivan Bossoni, Personificazione del Sole Alchemico, 2017 estroflessione figurativa ad olio rosso di cadmio porpora, 70x70 cm (opera in mostra).
evocatore. È il perenne problema di chi fa arte: muoversi nella complessità delle forme espressive per realizzare in pienezza il gioco severo delle provocazioni e delle reattività sociali. Stay tuned: osserviamo ora l’accendersi dei neon di Manuela Bedeschi, neon portatori di parole incastonate nella luce. Anche per lei la comunicazione verbale, col suo sistema semiotico, necessita della parola scritta e dei necessari riferimenti alla funzione metalinguistica del linguaggio. L’intento è quello di costruire un sistema creativo ed ermeneutico capace di guidare il riguardante dai suoi truism luminosi (per dirlo alla maniera di Jenny Holzer) al senso di un altro codice, quello dell’arte. I suoi sintagmi estetico-poetici si muovono sulle vibrazioni luministiche del materiale di partenza, il neon, che, nei suoi riflessi, offre alle parole una consistenza fluida e fluttuante, capace qui di comunicare percezioni di scritture, che disorientano l’alfabetizzazione di massa per far emergere il linguaggio della poesia e delle emozioni.
I gemelli Auro e Celso Ceccobelli, figli di Bruno Ceccobelli, creano sculture performative, video d’arte e ceramiche Raku, lavorando, da vent’anni, a quattro mani. Sculture performative e “post-apocalittiche” le loro, realizzate con oggetti di scarto della nostra società consumistica. In mostra una serie di martelli e asce, realizzati nel 2014 in ceramica raku e legno d’olivo.
Assieme ad Alessandro Cucchi (il figlio di Enzo) parlano di talentuose famiglie d’artisti e dialogano con gli oggettiquotidiani di Man Ray. È emozionante osservare la «Sineddoche del bosco ceduo» e ricordare che questi tre fantasiosi ed ironici figli di grandi autori, qualche anno fa, hanno ricreato in ceramica vari e inusitati oggetti, veri reperti della memoria: videoregistratori, citofoni, calcolatrici, telefoni col filo... Ospitare una loro opera è un’occasione speciale per il nostro museo. Tra Dada e new Dada ripenso all’antica ricerca del tempo perduto e del nostro inconscio. Ravviso nelle loro opere elementi linguistici nebulosi e onirici, come quelli che talvolta si agitano nei sogni agitati di molti (e soprattutto nei miei). Emergono intuizioni artistiche rese con un linguaggio dotato di triplice autonomia, un linguaggio che, senza svelare verità,
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Ivan Bossoni, Personificazione della Luna Alchemica, 2022, estroflessione figurativa ad acrilico blu cobalto e resina, 70x70 cm (opera in mostra).
presenta elementi formali, poetici, sentimentali e sensoriali che, nella loro peculiare originalità, fanno parte dell’opera d’arte. I tre dichiarano così, palesemente, che la concezione della loro installazione trova un senso non tanto nell’oggetto singolo e isolato ma nel legame che, tramite la storia e i vari riferimenti, conduce a un luogo d’incontro tra linguaggio estetico e la rivelazione meravigliosa del reciproco dialogo.
Matteo Gironi: ovvero l’emergere dell’astrazione. Quattro sue superfici che rimandano ai sussulti di un elemento modulare. L’autore interroga la materia.La flessibilità dei suoi “feltri” si rapprende in un’ondulazione estroflessa, in una sorta di interrogazione ultimativa al processo tecnico e al linguaggio estetico. Sono opere in cui l’artista cerca di recuperare la sostanza primaria e contorta dell’antica pittura barocca, fatta talora di inedite superfici che si accartocciano, d’impasti cromatici, composti di una vellutata ed elegante cera. Perché l’avventura creativa esige sostanze innovative e il superamento delle antiche regole, dei precedenti steccati disciplinari. Si dipana così un’esperienza del limite (al limite della terza dimensione), di un’arte che vive sui segni dell’arte, così come un racconto scritto ha bisogno delle parole. Un’operazione che è atto comunicativo fatto di poesia e di intelligenza, prima di diventare silenzio e puro spazio. Come avviene negli orizzonti del Minimalismo, coi suoi elementi di ripetizione, di materialità, di semplificazione, l’esperienza fenomenologica esige il suo prezzo, perché il riguardante deve davvero sperimentare pienamente l’essenza del colore e della materia: è un territorio senza fine, dove si entra e ci si immerge per sperimentare la perdita del centro. Il feltro tagliato e assemblato ad arte e la cera candida sono, innanzitutto, quel che sono: supporti ideali per fare emergere tensioni luminose e volumetriche, ricettacolo di segni ossessivamente ripetuti su increspate superfici: su tutto si distende l’ombra di una scrittura inventata, incomprensibile ai più, eppure elegiaca.
Alice Capelli, Statica esplorazione del cielo, 2022, lattice, emulsione acrilica, pigmenti e pastelli morbidi su tela, 61x49,5 cm (particolare) (opera in mostra).
Il mondo di Matteo Gironi è tutto racchiuso in queste opere estremamente semplici, prive di retorica, eppure emozionanti nella loro estrema, quasi eterea essenza.
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Anche Mario Nalli sembra realizzare, nelle sue recenti opere, una sorta di interrogazione ultimativa al processo tecnico e al linguaggio della pittura, una interrogazione che presuppone la necessità di fare chiarezza sul sentimento estetico. L’oggetto dipinto assume più connotati sotto l’incalzare di un colore, che si esalta nei vari strati di pittura ad olio, con pennellate ondivaghe e pulitissime. È l’individualità e l’intensità del colore dunque a diventare immagine tangibile, pur essendo racchiusa nell’aniconicità generata dalla folgorante dimensione cromatica.
L’accensione delle sue superfici (che sembra rimandare a quella ruah che alleggiava, in principio, sulla superfice della terra) si mostra in una fase matura. Il risultato finale, è la ricaratterizzazione dello spazio della pittura, in cui si rivela una nuova dimensione, di forte impatto sensoriale, uno spazio intriso di materia e di luce, in grado di indirizzare gli occhi del riguardante verso un reale che assume nuovi valori visivi e fruitivi, evocativo dei concetti di respiro e di silenzio.
Alice Capelli, Statica esplorazione del cielo, 2022, lattice, emulsione acrilica, pigmenti e pastelli morbidi su tela, 84x66 cm (particolare) (opera in mostra).
Si muovono invece come una danza libera e ribelle le stagioni del lavoro artistico di Bruno Mangiaterra. È come se l’artista cercasse di andare oltre un tempo oggettivo e quotidiano: concettualismo, minimalismi, contaminazioni poetiche e poi pensiero e ancora pensiero…
Bruno cerca solamente di rendere, con la materialità dell’arte, l’essenza della sua indagine. Non appena infatti nasce un concetto si sviluppa il passaggio successivo della sfida nella sua traducibilità estetica. Ogni opera nasce da idee sempre assai complesse, da circoscrivere o da ricomporre in un progetto globale che è tuttora in atto. Un progetto perennemente giovane e attuale. Così la sua arte, come la ricerca della verità, fonda le sue radici sull’incessante elaborazione intellettuale. L’artista arriva, in tal modo, al risultato di un’attività creativa assolutamente aperta al piacere metamorfico delle proprie pulsioni intellettuali, dalla folgorazione dei concetti all’esperienza singolare e realmente concreta del linguaggio della materia.
Ripenso ora a Nadia Galbiati e al suo sentimento della scultura. Percezione, immagine,
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memoria, illusione, rispecchiamento: è lì che nasce l’enigma del rapporto tra copia e idea, tra realtà e apparenza, tra forza e vulnerabilità, tra utopia e caparbia resistenza della materia. È nell’angolo più stretto dell’idea che può affiorare l’epifania di una bellezza, la magia d’una poesia incisa su gabbie e lastre di metallo. Ed è lì che inizia la ricerca di Nadia Galbiati: dall’analisi dello spazio reale (da architetture moderniste e razionaliste) emerge una spinta creativa che innesca un concetto di scultura in grado di collegare l’algida materialità delle sue strutture con la loro capacità di metamorfosi estetica, nell’assemblaggio di una opportuna installazione site specific. Le linee che, incontrandosi, generano un rifugio, racchiudendo una porzione primaria di spazio e originando il limite di una proiezione di due rette verso l’infinito, diventano struttura architettonica basilare, suscitatrice di inganno e seduzione, di proiezione prospettica verso punti di fuoco lontani e irraggiungibili. È lì che si può trovare la dimensione in cui si infrangonole ombre parlanti dell’assoluto, nascosto sempre troppo oltre. Le linee dell’architettura (immaginaria o meno) generano le direttrici del pensiero,lungo le quali si smarrisce uno sguardo teso ad inseguire un immaginario in cerca di rassicuranti icone mentali e proiezioni emotive.
Ermanno Poletti, con i suoi elementi totemici, indaga una profondità antropologica
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Bruno Mangiaterra, Orizzonte, 2022 olio su tela, pane e foglia d’oro, 70x90 cm (opera in mostra).
che chiede il silenzio della lettura per rintracciare il complesso significato delle sue superfici frante. Le fratture sull’epidermide totemica alludono all’insospettabile fragilità della materia, al lato sempre oscuro e interiore delle cose visibili.Inaspettatii ritrovamenti: forme, elementi e motivi naturali, asperità geometriche, memorie fossili di ciò che si trova sulla terra, testimonianze di segni che appartengono al caos del mondo. Le asperità generate sui suoi totem provengono da calchi di oggetti d’uso per trasformarsi in cellule “staminali” di una creatività che pare derivare dal soffio creatore del loro autore. Sono però le invisibili impronte del pensiero generativo ad essere particolarmente importanti: quelle più evidenti e formatrici della bellezza. Da quelle si sviluppa, sui suoi totem, un pensiero mitico, naturale, arcano ed ovvio. E, alla fine, al riguardante attento appare un’aura nebulosa, fascinosa e misteriosa. Oltre il significante, poco ci è dato sapere ma molto da intuire. I codici di Ermanno appartengono infatti alla poesia della scultura e, come si farebbe in un antico testo, occorre solamente scorrere, insieme allo sguardo e con la punta delle nostre dita, le asperità delle superfici, con la certezza che i sensi ravviveranno la memoria atavica della comprensione dell’arte.
Con Rocco Natale ci addentriamo tra archetipi memorialmente ascendenti, in anfratti
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Bruno Mangiaterra, Orizzonte, 2022 olio su tela, pane e foglia d’oro, 70x90 cm (opera in mostra).
espressivi, scandagliati con una caparbietà estetica stupefacente. Basta fermarsi con emozione davanti al suo gomitolo che sovrasta un piccolo fagotto di stracci: lo scultore rimanda alla memoria dei bambini di un tempo antico, accuratamente fasciati, e a una atmosfera di efficiente manualità domestica. Sono i materiali morbidi dei fili di lana a creare forme sinuose ed essenziali in un’estetica anticonvenzionale: la materia della scultura si trasforma in un’operazione di archeologia del presente, con un necessario recupero di scarti della contemporaneità. Rocco opera dunque una decostruzione della realtà: essenzializza le forme antiche del “bambino in fasce”, lo de-idealizza, lo depura dall’aura di soggetto già religioso e lo priva di ogni facile referenzialità. Sono proprio le strutture costruite con i materiali tessili a permettere all’artista di elaborare una dimensione straniante. Gli accostamenti inusuali di elementi, apparentemente privi di immediato carisma estetico, diventano metafora della sensibilità interiore e raccordo con la più nobile tradizione dell’uso di tessuti e fibre. La fattura esecutiva dei fili di lana evoca, parallelamente, la lentezza del gesto antico, che sutura, che rammenda, che ripara e che, quindi, rinvia ad una dimensione dilatata e profondamente umana del tempo.
Tiziano Bellomi, dopo anni di concettuale, approda oggi alla pittura. Dall’approccio razionale (anche se l’approccio dell’arte non è mai esclusivamente cognitivo e razionale) si interagisce ora con la suggestione e col sentimento del colore. La sua pittura porta in scena il dilemma dell’esistenza e delle sue prospettive: le campiture di colore creano uno spazio fisico saturo ma in grado di emozionare. Siamo a una pittura libera e, allo stesso tempo, assai controllata, quasi analitica. L’artista si diverte con gli stereotipi dell’arte, seguendo un processo di appropriazione e di rimessa in circolo di immagini, all’insegna della de-estetizzazione, della ricusazione della tradizione, della essenzializzazione formale.
Emerge alla fine un’intelligente riflessione sui meccanismi dell’opera d’arte e sulla specifica identità dell’autore, fatta di storie importanti e di molte inevitabili vicissitudini.
Mareo Rodriguez è un artista di Barcellona. Il suo lavoro si ispira alla dimensione del sublime di fronte al paesaggio: le montagne, le rocce, il mare, le eruzioni, la lava. La natura è dunque la sua più grande ispirazione. È lo stesso artista che afferma: «La materia è un condensato di luce» con chiaro riferimento alla materia che diventa un processo di trasformazione ed espansione dell’energia nel tempo. Il suo lavoro si muove costantemente come una placca tettonica, che rappresenta le tensioni delle forze della terra. Afferma ancora: «Cerco di captare scale diverse all’interno del mio approccio artistico. Dalla mole delle montagne e delle rocce, attraverso il suo processo di decantazione e frammentazione, fino alla pietra come unità di base». La sua partecipazione regala così al MaM un tocco autentico di internazionalità.
E nessuno, infine, meglio di Carlo Bonfà – volutamente ultimo artista perché protagonista di un commiato speciale – può rappresentare la capacità di toccare la labile imprendibilità del presente, la percezione giocosa dell’attimo. Nessuno meglio di lui può prestarsi a un ideale dialogo sulle riflessioni artistiche relative al tempo, esplorate,
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negli anni Settanta, da Gino De Dominicis. Nessuno meglio di lui, e più degnamente, può offrire testimonianza del tema di eterna giovinezza che caratterizza la XI Biennale di Gazoldo.
È dunque, in qualche modo, tutta la rassegna si trasforma in un omaggio a Carlo Bonfà, artista totalmente innovatore, capace di sconfiggere il tempo e di cercare – forse anche di trovare – l’inarrivabile felicità montaliana, quella per il cui possesso, nella vita, sempre «si cammina sul fil di lama». È forse proprio inseguendo il «barlumeche vacilla» di questa rara felicità che Carlo ha sradicato le abitudini visive mantovane (e italiane), ha fondato codici espressivi capaci di restare eternamente nuovi, operando con quella libertà che permette di creare il contemporaneo tramite la trasgressione dei codici precedenti.
Rammento ancora la mia soddisfazione nel ritrovarlo, molti anni fa, nel cosiddetto gruppo dei “Nuovi Nuovi”, sostenuto allora da Renato Barilli e Francesca Alinovi, così come mi trovo insoddisfatto, qui e ora, nel cercare di esprimere di lui il valore del suo percorso di uomo e di artista. Forse un infinitesimo segno della forza espressiva di Carlo Bonfà lo darà l’opera in mostra, che appartiene a una ricerca di lunga data sull’insensatezza della guerra. L’opera si inserisce tra i temi più conosciuti delle sue sculture: trappole, frecce, carri armati, organismi di difesa...
Etica ed estetica nei suoi Combattenti (2016) dialogano così col pubblico di questa Biennalina 2022, dedicata all’eterna giovinezza degli artisti, e presentano, ai più giovani, la via percorribile suggerita da un artista poeta.
E infine, e per concludere, citando Gilles Deleuze, la speranza finale sottesa a questa nuova Biennale del MaM di Gazoldo è di far emergere come tutti gli artisti vogliano e riescano a interrogarsi per «anticipare, ritardare, sperare e ricordare» la propria contemporaneità. È così che rintracciano l’immagine del tempo (e la loro identità) nel suo incessante fluire, sempre uguale e diverso, mutevole senza soluzione di continuità. È davvero così che il tempo diventa colmo di presente, così come lo spazio del MaM e la nuova Biennale 2022 si riempiono di presenze, di artisti sempre giovani, di ispirazioni, di opere, di progetti e di vita: la contemporaneità si muove in questa speciale dimensione, grazie alla quale, in un perenne presente, si può accedere (forse) a un piccolo brandello di eternità.
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Testo di Sophia Radici
Quale modo hai per superare lo sfinimento delle forze, per procedere al di là del quotidiano, dei gesti di sempre, della vita che ti si ri-propone con persistenza? L’uomo ha trovato nell’Arte l’evasione, l’astrazione, l’immersione in un universo senza tempo, capace di dilatare gli spazi, togliere pareti. È una porta capace di mostrare Altro, di farti vedere sotto punti di vista differenti un elemento considerato comune, ma che di comune non ha mai nulla. L’Arte immagina, crea e rievoca.
ELI ´ SÌR è il titolo dell’XI Biennale presso il MaM, un richiamo all’eterna giovinezza, a un’energia piena, nonostante il tempo scorra creando un senso di straniamento verso chi osserva e indaga. Una forma alchemica, definita soventemente magica, capace di trasformare materia grezza in oro. Così, le sale del museo si riaccendono di luce calda e avvolgente. Non si prospetta un reenactment della Villa o della vita patrizia ma, usando le parole di Ferlisi, si vuole dar vita a «un sogno ad occhi aperti», misto di realtà e fantasia. Sentirsi vivi, coscienti e con ambizioni in corpo: eternamente giovani. Per essere figure ideali in contesti ideali, come spiriti eterei purificati dal fuoco, spogliati da ogni debolezza umana. Come un Eracle, dopo aver bevuto il nettare divino, nel quale corpo non si intravedono né tendini né vene.
Le sale del piano nobile della Villa cinquecentesca dei conti Ippoliti si possono immaginare come luoghi in cui feste e danze erano consuete, l’ebbrietà e l’edonismo si alternavano a contemplazioni e periodi di quiete pura. Non solo l’uomo, ma anche la natura, la volta celeste: campi immensi, odori forti, astri infiniti, tutto ciò porta il desiderio di paragonarsi agli dei, di unire i due mondi.
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Thomas Bentivoglio, Untitled Portrait (Buying Time), 2022 stampa fotografica inkjet su carta portfolio, 30x40 cm (opera in mostra).
Cinque artisti emergenti del panorama milanese, passati e passanti per l’Accademia di Belle Arti di Brera, mostrano le loro aperture a questo mondo, i loro esoterismi innati per l’eterna giovinezza. Diventano alchimisti capaci di attingere a svariate discipline, non solo artistiche – ci si collega infatti alla chimica, all’astrologia e alla fisica –, vestendo di materiale nobile il contenitore. Il museo di arte moderna diviene un’esposizione in movimento grazie all’arte contemporanea. Elementi che non veicolano l’immaginazione, ma la ispirano.Il corpo diventa la sostanza primaria, l’aspirazione la forza motrice, l’immaginazione la formula. Si propone l’atto performativo quale l’incipit: un rituale d’orientamento composto da gesti ancestrali. Giulia Santambrogio, classe 1996, apre la Biennale. Il primo gesto istintivo quando ci si addentra in un luogo sconosciuto è cercare di orientarsi, è la nostra propensione ad abitare lo spazio, anche se per poco. Giulia è un vortice di passioni e l’Arte è il suo modo per elaborarle, unirle e comunicarle agli altri. Scautismo, religione e danza contemporanea convivono in lei, unitamente. Oferta nasce in Perù, a Lomas de Lachay, un’area protetta a nord di Lima, in cui ha potuto conoscere e praticare la cerimonia di Ofrenda alla Pachamama, rituale nato per mantenere la reciprocità tra il mondo materiale e spirituale, tra uomo e natura. L’offerta è un gesto simbolico con cui l’uomo restituisce alla Madre Terra ciò che gli è stato dato, donandole, in modo allegorico, alcuni dei suoi frutti. È un atto di reciprocità cosmica, un ringraziamento e non una venerazione. Il primo passo consiste nel riconoscersi nello spazio attraverso i quattro punti cardinali e gli altrettanti elementi: Acqua, Fuoco, Terra e Aria. Successiva è la connessione e, infine, l’offerta. Quest’esperienza profonda ha trovato pienezza nella sua Fede: rituali Inca si mescolano con il Cantico delle creature di San Francesco. «Laudato sì, mì Signore...» glorifica il connubio tra materiale e divino, dono il primo del secondo, e pertanto,
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Thomas Bentivoglio, Untitled Portrait (The View I Remember), 2022 stampa fotografica inkjet su carta portfolio, 30x40 cm (opera in mostra).
ugualmente sacri. Nel rituale cattolico della transustanziazione, l’elemento fisico rappresentato da pane e vino muta in un elemento altrettanto materiale, ma rappresentazione ed essenza del divino. Così la cerimonia di offerta equilibra pensiero platonico e aristotelico, parte di un unico tutto. I punti d’orientamento diventano una croce di lana realizzata a mano a grandi cerchi e, questo abito performativo, nel momento in cui viene indossato dall’artista, diventa un’armatura. Lei stessa è officiante, mezzo e offerta; la croce la sua bussola. Inizia il rito.
Il corpo è visto dunque come elemento di scambio e in continuo equilibrio con ciò che lo circonda. Da qui nasce la serie Trasposizioni, rappresentazioni basate su punti di appoggio e punti di vista, riflessione tra arte contemporanea e danza contemporanea.Nel ballo lo spazio si può percepire come un luogo da riempire o, inversamente, un luogo già pieno, nel quale entrare; nella danza i movimenti possono esser visti come un’esigenza che nasce da dentro o da un riflesso esterno.
Per Giulia sono l’espressione di tensioni interne, sentimenti da ascoltare; lo spazio è percepito come un ambiente pieno in cui il corpo si sottrae. Le tele propongono la visione della sua figura in negativo collocata in uno spazio colmo ma accogliente. La pittura è la sintesi di una consapevolezza circa la dimensione del suo corpo, del peso, delle emozioni che lo mettono in moto e dei suoi punti di appoggio, il tutto riportato in un contesto bidimensionale.
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Giulia Santambrogio, Compàs para ofrecerse (Bussola per offrire se stessi), 2022 lana intrecciata a mano, cotone, caffè, colla vinilica, 180x250 cm (particolare) (opera in mostra).
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Alice Capelli, Corpo sociale I, 2021 ferro, mutande e mollette, filo in plastica con anima in ferro, emulsione acrilica, lattice e pigmenti su tele di cotone grezzo, 400x200 cm / 220x110 cm (opera in mostra).
Ivan Bossoni, Elisìr, 2022, linoleografia su carta Fabriano Tiepolo, 50x35 cm (opera in mostra).
Ivan Bossoni, Hinc Vita Perennis, 2022, linoleografia su carta Fabriano Tiepolo, 50x35 cm (opera in mostra).
Alice Capelli è corpo, in tutte le sue forme e in tutti i suoi modi di esser visto e percepito dall’essere umano, in questa società e in questa politica del comportamento. Il suo segno pittorico esprime come il corpo rimanga appeso e indosso alle cose, all’ambiente, alle persone e, infine, inevitabilmente, alla tela. Pittrice della nascita sperimenta il colore, che da materico diventa sempre più liquido, sempre più sinuoso, anche nei gesti più violenti e attivi. Liquido che si amalgama alla tela come acquerello su carta.
Le linee riflettono la sua fisicità, non solo erotica, ma consapevole di ciò che è; il suo corpo è il mezzo, uno strumento che definisce la presenza dell’artista sulla superficie, che è qualsiasi elemento su cui compie un passaggio, come un’impronta adagiata con cura, a volte in modo provocatorio, altre scherzoso, altre estetico.
Corpo Sociale I, è un’opera nata nel 2019, la prima grande installazione di Capelli, che incorpora su ampie tele non solo pezzi di sé, le sue “bucce”, ma anche il resto del mondo: si mette in relazione con l’Altro, si lascia osservare, si lascia toccare, li fa entrare nella sua intimità senza vergogna. Toglie il senso di voyeurismo, elimina il pudico; probabilmente è lei che maggiormente osserva e analizza chi oltrepassa la sua opera, le cui azioni lasciano resti epidermici aggiuntivi.
I suoi gesti pittorici e le sue performance sono così fluide da richiamare le menadi danzanti, colte in pose esagerate, ma naturali. La mente si è distaccata da ogni vincolo e pregiudizio, il corpo può ondeggiare ed essere forte quanto vuole. Strapparmi la buccia è metafora del cambiamento, sinonimo della esuviazione del serpente: si abbandona lo strato epidermico superficiale, che diventa ipercheratosico, cioè squamoso e duro, per far posto a un corpo in continuo riadattamento. Una rinascita in evoluzione.
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Giulia Santambrogio, (Posa) raccolta, 2021, acrilico e pigmenti, colla vinilica e carboncino su tela, 95x77 cm (opera in mostra).
I residui di lattice – un materiale viscido che attira lo sguardo, rimandano al disgusto quanto allo scherzo – risultano essere un documento effettivo dei suoi resti che viene inserito all’interno della composizione, tanto dell’opera (pittorica o scultorea che sia)quanto della cornice, come nel lavoro Se mi apri cosa trovi. Se con la scultura si raggiunge un livello più intimo e profondo, nella pittura di Statica esplorazione del cielo si arriva a toccare l’argomento in maniera giocosa con un pizzico di dimensione eccentrica. Sono opere esplicite, femminili, dove l’organo genitale maschile ha lasciato il suo passaggio, a seguito di un atto sessuale, fatto di gesti incisivi e morbidi.Allo stesso tempo sono opere introspettive e necessitano di un confronto, per questo si è voluto creare un dialogo provocatorio con i dipinti moderni del museo e con le tele di Santambrogio, il cui strumento – il corpo – è il medesimo, eppure utilizzato a fini ben diversi.
Per Edvige Cecconi Meloni è innata la creazione di mondi abitati da creature mistiche, tratte da leggende e immaginari medievali, forme geometriche, personaggi passati e futuri con cui sente di poter condividere storie.
La sua opera pittorica, posta al centro della sala, rimanda al mondo delle mappe astrologiche immaginifiche e trova il suo naturale collegamento con l’affresco sovrastante che raffigura l’Allegoria della Musica. Dalla grande tela emerge un componimento armonico che non vuole essere simbolo di altro, ma una storia che vaga nell’universo, in un periodo infinito, come la mente di un grande saggio che non si ferma nemmeno quando il suo fisico lo abbandona. Segni, figure e parole sono tracce in cui la grazia del saper fare è metodo per ritrovarsi e per ritrovare negli orizzonti celesti i suggerimenti per i percorsi terreni.
Borges ci ricorda, nel Manuale di zoologia fantastica, che ignoriamo il senso del drago come ignoriamo il senso dell’universo, ma qualcosa, nella sua immagine, s’incontra con l’immaginazione degli uomini ed è dunque capace di diffondersi in epoche e latitudini diverse; nel mondo occidentale è Aion, il «Signore della luce», capace di rappresentare l’eternità, il tempo infinito, nonché il susseguirsi delle ere, ma anche il tempo vitale e il destino; un Uroboro, il re serpente che si morde la coda, simbolo di rinascita; nella cosmologia scandinava è Jörmungandr, il serpente gettato nel mare e in esso cresciuto al punto da circondare la terra e mordersi la coda.
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Edvige chiama questa creatura Ápeiron («senza fine», in greco antico): un viandante e un eremita, depositario di verità, che naviga per gli astri e le profondità del mare e del cielo, verso realtà ancora inesplorate, connubio tra materia e sogno, dove notte e giorno si confondono e si dimenticano. Cerchi e sfere sono gli strumenti a sua disposizione per orientarsi nell’eternità, nonché meccanismi di conoscenza da cui attingere, leggi in continua analisi e propense alla mutazione.Lo sfarzo del cielo si trasmuta in quello delle vesti, abbozzate con pennellate scenografiche, come umani-cherubini, la cui presenza è data dall’armatura e non dal volto.
Il lavoro nasce nel 2020, con la serie dei Taccuini alchemici, pensati insieme all’orafo Damiano Tacchi, e qui trova la sua naturale continuazione. Tacchi le raccontava come Zolfo e Mercurio assumessero nella tradizione alchemica la forma di draghi o serpenti e che, come in una favola, potessero unirsi all’uomo aderendo allaparte minerale del corpo: avvolgendosi attorno alla colonna vertebrale. Da qui la creazione di gioielli individuali. Poiché l’oreficeria è un lavoro minuzioso, delicato, raffinato ed esige un piccolo formato, si decide allora di creare un coronamento dei precedenti lavori, un insieme di pensieri, posizionati su più livelli, come strati che indietreggiano ed altri che vorrebbero emergere. Un insieme di composizioni e di idee miranti a raggiungere l’indefinito per eccellenza: il futuro, a cui tutti aspiriamo e in cui desideriamo proiettarci. Ivan Bossoni ha due componenti formative fondanti: è conservatore, è pittore. Da questo, ogni sua opera ha origine da una consapevolezza, da una ricerca analitica tanto della materia quanto della tecnica. Le sue espressioni artistiche non sono effimere, bensì strutturate e ampie, descrizione stessa dell’individualità dell’artista.
Giulia Santambrogio, Disegnare guardandosi. Mano sinistra, 2021, acrilico e pigmenti, colla vinilica e carboncino su tela 86x30 cm(opera in mostra).
L’incorporazione della pittura con la scultura è arrivata da sé, nel processo di sperimentazione, portando l’artista a definirsi pittoscultore, cimentandosi nell’estroflessione figurativa, nei corpi espressivi che avanzano verso l’esterno della tela, creando una dilatazione spaziale. Con questa tecnica in mostra sono esposti, all’interno di un profilo circolare, due volti capaci di interrogare la sala e, al contempo,
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presenziarla. Due autoritratti del sé, il cui volto femminile è meramente preso in prestito come una maschera che adempie al suo dovere, per recitare una parte dentro un grande palcoscenico, come una coppia di attori silenziosi a cui è stato chiesto di interpretare il ruolo dei guardiani del luogo: i conti Ippoliti diventano così i genius loci nella loro stessa villa.
L’autoritratto, per definizione, è un “doppio” che si prostra per colui che immedesima. La metodologia con cui è realizzato, copia in gesso del volto dell’artista riportato su vetroresina e rivestito da resistente e compatta tela di lino, diventa elemento fondante dell’irriproducibilità dell’opera, nonché evidente rimando alla tipologia scultorea della “maschera mortuaria”: immortalità del contenitore, del contenuto e del creatore.
Il Rosso di cadmio porpora steso tramite colore a olio crea vibrazioni ampie, come fuoco calmo e oro intenso; il blu cobalto, reso attraverso il miscuglio tra acrilico e resina, sembra argento liquido. I due differenti colori richiamano l’universo alchemico, quali ingredienti costitutivi del processo capace di comporre la pietra filosofale. Questi metalli nobili acquisiscono i tratti simbolici del Sole e della Luna, del principio maschile e femminile. Unione degli opposti, non solo nel genere ma anche nel movimento, l’uno statico e indipendente, l’altro dinamico, alla continua ricerca di completezza. Al loro fianco due stampe di medie dimensioni, interpretazione contemporanea dei Tarocchi e di chiari Arcani Maggiori. Eli´sìr e Hinc Vita Perennis riportano la volontà dell’autore di rendere omaggio alla vita e al luogo che ha reso possibile questi lavori. In un’ampolla potenza femminile e maschile subiscono un processo di trasmutazione. Il Sole scalda il liquido amniotico, contenente la rappresentazione della nascita del tutto, Adamo ed Eva, l’uovo orfico, il serpente guardiano della Conoscenza. Dal contenuto ne esala una sostanza aeriforme, legata alla Luna. Mi verrebbe da dire che dalle azioni e dalla materia ci si proietta verso il sentimento e l’invisibile. La scena viene avvolta da un Uroboro, simbolo della ciclicità della vita, un continuo imperfetto eterno ritorno. Il secondo Tarocco è un omaggio ai conti Ippoliti e alla Città di Gazoldo. Lo stemma
Giulia Santambrogio, Compàs para ofrecerse (Bussola per offrire se stessi), 2022 lana intrecciata a mano, cotone, caffè, colla vinilica, 180x250 cm (particolare) (opera in mostra).
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comunale, infatti, riprende l’antica moneta voluta dal conte Annibale degli Ippoliti intorno alla metà del XV secolo: una Fenice sul rogo – definito araldicamente immortalità – con le ali aperte e gli occhi rivolti al sole radiato, nell’intorno la scritta«HINC VITA PERENNIS», («da questo vita eterna»). Nella stampa di Ivan lo stemma, simbolo di longevità, di fama imperitura, di nome senza macchia, viene accompagnato da due cavalli: i due coniugi che giocano a scacchi con la vita, per il loro nome eterno. Le opere di Thomas Bentivoglio, artista formatosi a Brera nel campo delle Nuove Tecnologie, sono immerse nello spazio, e ne lasciano una sfumatura di sé sottile, leggera e brillante ma, al tempo stesso, rendono lo sguardo melanconico e vago. Nelle sue opere scrittura e fotografia – in questo caso inespressa – convivono restando nel filone della narrative art, la cui idea personale consiste nel creare una narrazione senza indicarla. Dar vita a un paesaggio soggettivo da un’esperienza autobiografica. Pink portraits, tre piccole stampe di un rosa opaco, si intervallano a dipinti moderni, per lasciare spazio alla visione di Make a Wish (I wanna be as beautiful as the sea), nella loggia vetrata.I Pink portraits sono sia un ritratto di un momento sia un autoritratto della vita dell’artista. Attraverso le parole si rimette in vita un ricordo, come se fossero tante fotografie a dettaglio. Autoritratti in cui il livello di specificità si ferma nel momento in cui si permette a qualcun altro di leggerli. Come se fossero screenshot di un film, di cui sono stati concessi solo i sottotitoli e l’ampio spazio rosa diventa luogo in cui proiettare il proprio immaginario. L’artista, sin dal principio del suo percorso artistico, interpreta il rosa partendo dal suo significato concettuale, rovesciandone l’immaginario comune per offrirne una visione più profonda. Non un rosa dall’apparenza superficiale, candido, romantico o stucchevole, ma unione del bianco e del rosso: quest’ultimo è sempre stato interpretato come il colore dell’amore, della passione, ma anche del dolore vivo e sanguinante; il bianco è la neutralità, una dimensione temporale capace di diluire l’intensità del rosso. Per questo risulta un colore drammatico, frutto della diluizione di un colore molto scioccante, ora mitigato dal tempo, come una cicatrice che diventa un segno estetico. È un ricordo, una perdita.Thomas ci dona il rosa, non solo uno scolorimento del rosso o un sentimento che si attenua, ma la trasformazione di una consapevolezza.
Con la stessa idea Make a Wish (I wanna be as beautiful as the sea) si presenta a noi come un’installazione di vetri rotti, piccoli e brillanti, dalle sfumature turchesi che da lontano ci appaiono pietre preziose provocando, nel complesso, un’impressione estremamente luminosa. Ma è solo avvicinandosi che ci si accorge del vetro rotto, lo stesso che troviamo per strada dopo un incidente: la macchina è stata portata via, sono stati compilati i documenti; rimane il vetro, una traccia che è ricordo di una ferita. La brillantezza e la delicatezza lasciano il posto a qualcosa di violento.
Ricorda il present perfect, capace di indicare qualcosa accaduto nel passato sottolineandone l’effetto sul presente. A volte sembra scolorirsi, potenzialmente past, ma rimane ancora qualcosa nella tua vita. Nel rosa la perdita del sentimento iniziale diventa sempre più tenue; nel vetro il taglio si smussa. Le opere di Thomas contengono simultaneamente il senso di perdita e cambiamento.
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Manuela Bedeschi
Tiziano Bellomi Thomas Bentivoglio Carlo Bonfà Ivan Bossoni Alice Capelli Auro e Celso Ceccobelli Alessandro Cucchi Edvige Cecconi Meloni Nadia Galbiati Matteo Gironi Bruno Mangiaterra Mario Nalli Rocco Natale Ermanno Poletti Mareo Rodriguez Giulia Santambrogio
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Manuela Bedeschi
Panta Rei, 2020 plexiglas e neon, 40x40x60 cm
Ci sei? Mi vedi?, 2019 tubolare di ferro, carta velina, plexiglas, garza, luce a led 160x40x40 cm
Manuela Bedeschi, nata a Vicenza, vive e lavora tra Verona e Bagnolo di Lonigo (Vicenza). Studi presso l’Accademia Cignaroli di Verona e l’Accademia Estiva di Salisburgo con Roman Opalka, Grafica Sperimentale presso il Centro Internazionale della Grafica di Venezia. Come artista da lungo tempo opera nel campo della scultura e della pittura, esponendo in mostre nazionali e internazionali prediligendo sempre più, nel tempo, le installazioni e gli interventi ‘site specific’, sottolineando gli spazi con segni di luce, essendo il neon, un tempo aggiunto ad altri materiali, attualmente il suo mezzo espressivo principale nella sua ricerca artistica verso la commistione fra scultura e luce. Le parole sono un recente tema sviluppato con vari media, neon, cemento, marmo, spesso finalizzate ad opere di Public Art e presenti in collezioni pubbliche e private fra le quali la Città di Monza, il Parco Sculture di Villa Pisani, Il Parco del Sojo, il MaM di Gazoldo, Casabianca di Malo, e la GAM di Verona.
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Tiziano Bellomi
Ocean, 2022, olio su tela, 90x130 cm
Dipinto Estivo, 2022, olio su tela, 90x130 cm (particolare)
Tiziano Bellomi (Verona, 1960) vive e lavora a Verona. Diplomato al Liceo Artistico Statale di Verona, alla Scuola Internazionale di Grafica di Venezia e in Discipline Pittoriche presso l’Accademia di Belle Arti “G.B. Cignaroli” sempre di Verona.
Per la sua ricerca di avvale di pittura, disegno, fotografia, video, incisione, scultura e installazioni.
Ha partecipato a residenze artistiche, esposizioni personali e collettive in musei e gallerie in Italia e all’estero.
Il suo primo ricordo è di un’anatra che lo cercava e lo seguiva nel cortile di casa. Le persone che lo hanno influenzato di più sono state un sarto che faceva anche il barbiere e aveva sempre delle storie molto interessanti da raccontare e un amico, Paolo. Prima di dormire il suo mondo si colora di macchie di giallo che fluttuano lentamente per scomparire nei sogni.
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Thomas Bentivoglio
Untitled Portrait (The Best Cover Song), 2022 stampa fotografica inkjet su carta portfolio, 30 x 40 cm Make a Wish (I wanna be as beautiful as the sea), 2022 vetro temperato rotto, dimensione variabile
Thomas Bentivoglio, nato nel 1998 vive a Milano. Si laurea in Nuove Tecnologie all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 2020, scegliendo una specializzazione in Visual Culture e pratiche curatoriali. Il filone artistico portato avanti dall’artista ha il suo focus nel valore della parola scritta e nella poesia, con un’attenzione alla forte presenza personale all’interno delle opere. Una narrazione intima e continuativa intreccia la parola evocatrice con supporti effimeri come la carta, le banconote, il vetro, la luce, costruendo opere e gesti performativi spesso con valenza catartica.
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Carlo Bonfà
Combattenti, 2016 installazione
Combattenti, 2016 installazione (particolare)
Carlo Bonfà (Pegognaga, 1944 - Mantova 2022): il migliore artista mantovano della generazione degli anni Quaranta. Carlo, dal 1968 al 1970 si dedica a performances fondate su gesti minimali. Partito da premesse vicine all’arte povera, lavora, nel 1977 alla sua “fase nera”, grafica, caratterizzata da mancanza di colore e volutamente inespressiva di Dov’è Pontormo?. Negli anni Ottanta, il ritorno alla pittura: i suoi eventi espositivi si caricano di Trappole, emblematici e simbolici congegni allusivi all’impossibile gioco dell’arte. Sostenuto da Renato Barilli, dal 1984 fa parte del gruppo dei Nuovi-nuovi, nucleo di artisti emergenti che si muove tra tendenze “citazioniste” e recupero di immagini ludiche e provocatorie: è la ripetizione differente, per citare Gilles Deleuze. Negli ultimi anni ripropone, attraverso installazioni, una versione ludico-concettuale dell’operazione artistica. Carlo, già docente all’Istituto d’Arte di Mantova, nel 2016 aderisce al Movimento Arte Etica e pubblica il proprio personale manifesto del titolo “StrAtego”.
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Ivan Bossoni
Personificazione della Luna Alchemica, 2022 estroflessione figurativa ad acrilico blu cobalto e resina, 70x70 cm
Personificazione del Sole Alchemico, 2017 estroflessione figurativa ad olio rosso di cadmio porpora, 70x70 cm (particolare)
Ivan Bossoni nasce a Milano nel 1995. Si diploma in Catalogazione e conservazione dei beni culturali per poi frequentare Pittura presso l’Accademia di Belle arti di Brera. Qui apprende svariate tecniche che lo portano a realizzare diversi progetti fra cui le “estroflessioni figurative”, così definite da lui stesso nel 2016. La sua pittoscultura, quale monumento, fissa nell’immortalità l’essenza, perdurando la memoria della persona ritratta. Nel suo operato è insita questa volontà ed ogni sua esposizione è memoria di un passato ormai svanito ma che tramite la luce naturale e le proprie variazioni rivive nell’ambiente circostante.
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Alice Capelli
Statica esplorazione del cielo, 2022 lattice, emulsione acrilica, pigmenti e pastelli morbidi su tela, 61x49,5 cm
Statica esplorazione del cielo, 2022 lattice, emulsione acrilica, pigmenti e pastelli morbidi su tela, 84x66 cm
Alice Capelli nasce a Milano nel 1997. Dopo il triennio in Pittura presso l’Academia di Belle Arti di Brera inizia il Master di Art and Ecology alla NABA. Le sue opere viaggiano attorno allo strato epidermico, alla dimensione fisica e corporea non solo dal punto di vista biologico ed erotico: esse riflettono su aspetti cui la società contemporanea tenta di trovare una definizione. Dal 2021 inizia importanti esposizioni, fra tutti la mostra tramestio presso Palazzo Cusani (Milano) e, nel 2022, presso la Gallerie Durchgang (Basilea).
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Auro e Celso Ceccobelli - Alessandro Cucchi
Sineddoche del bosco ceduo, 2014
I gemelli Auro e Celso Ceccobelli (Roma, 1986), hanno cominciato a operare nel settore dell’arte dal 2001 creando delle sculture performative, video d’arte e ceramiche Raku. Sono i figli dell’artista Bruno Ceccobelli e nipoti dello scultore informale Toni Fabris. Attualmente vivono a Todi, lavorano a quattro mani sperimentando con i vari materiali le diverse tecniche scultoree. Dal 2016 le opere di Auro e Celso Ceccobelli diventano sculture performative “post-apocalittiche”, realizzate con oggetti di scarto della nostra società_ consumistica, con inserti di strutture vegetali e con voci della natura emesse da musica liquida: archeologie contemporanee trasformate poeticamente, fino a diventare macchine celibi, in equilibrio tra Tecnologia, propria del mondo capitalistico, umanità e Natura. Alessandro Cucchi – il terzo artefice dell’installazione - studia biologia marina a Messina. Si occupa di ceramica e porta avanti il progetto di una rivista specialistica in ceramica (“Spiccioli”). È anche il responsabile dell’archivio Enzo Cucchi, divenuto da un anno archivio/videogame, un archivio giocabile su tutte le consoles sotto il nome di CUCCCHI.
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Edvige Cecconi Meloni
Ápeiron, depositario di Verità, 2022 acrilici, colori a olio, pigmenti, pennarello e penna su tela, 215x250 cm
Edvige Cecconi Meloni nasce a Urbino nel 1993. Frequenta lo IUAV di Venezia, con indirizzo Arti Visive e Teatro. Consegue la laurea magistrale in Visual Cultures e pratiche curatoriali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Il suo percorso artistico prende vita con le Lettere non pervenute nel 2013, una serie di lavori su carta che presentano un linguaggio nato dall’unione tra immagine e parola. Questo particolare linguaggio visivo passa dalla carta alla parete creando il concetto di “affresco narrativo”. Nel 2019 apre lo Spazio Fico, un luogo dove appassionati e curiosi possono entrare in contatto con le opere e conoscere il motore intimo della sua poetica.
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Nadia Galbiati
Spazio costruito nel blu, 2017/2022 ferro con disegno acidato a morsura, ferro verniciato alla polvere, plexiglass, acetato blu, 100x85x120h cm
Nadia Galbiati nasce nel 1975 nell’hinterland milanese. Diplomata in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano nel 1999. Nella realizzazione di opere scultoree, pannelli e installazioni, la sua ricerca si addentra sull’analisi dello spazio come materia e forma. Per l’artista, in particolare, l’angolo è il primo elemento di un alfabeto di segni atti a rappresentare lo spazio. In curriculum fiere, mostre collettive e personali. Nel 2021 Wide Angle da Luisa Catucci Gallery a Berlino e la Ostrale Biennale 021 a Dresda. Nel 2019 la personale Frammenti di città a cura di A. Fiz allo Studio Museo Francesco Messina di Milano con catalogo Perimetri ediz. Mimesis e nel 2018 Luoghi a cura di S. Bartolena alla galleria E3 arte contemporanea (BS), che in catalogo documenta anche le installazioni scultoree al museo MaM (MN) a cura di Gianfranco Ferlisi.
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Matteo Gironi
Emersione, 2016 Feltro, cera, pigmento, 80x60x6 cm (sequenza di quattro opere)
Matteo Gironi è nato a Verona nel 1973, città dove vive e lavora. Nel 2003 si laurea in Architettura presso lo IUAV di Venezia (http://www.matteogironi.it/Biografia.html).
Artista emergente, è seguito attualmente dalla galleria E3 di Brescia che ne promuove immagine e opera.
Le sue opere portano in scena l’elaborazione di un linguaggio basato sulla “necessità” dei delicatissimi materiali che sperimenta. La sua poetica s’inoltra così nel concetto d’infinito e di Barocco: la sua materia gioca infatti col senso della preziosità, della meraviglia e, ovviamente, dell’inevitabile stupore che ne consegue.
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Bruno Mangiaterra
C’est la poesie des non lieux, 2022 installazione
Bruno Mangiaterra (Loreto, 1952), dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti di Urbino (tra un proliferare ininterrotto di personali e inviti a prestigiose collettive) frequenta assiduamente artisti e critici contemporanei: G.Accame, R.Aricò, G.Ballo, A.Boatto, R.Buscaglia, P.P.Calzolari, G.d’Agostino, G.De Santi, E.Marchegiani, U.Piersanti, C.Pozzati, T.Toniato, personaggi che lo formano e lo portano nel mondo dell’arte. L’autore ripensa la concettualità come attraversamento delle Neoavanguardie e come libertà espressa del proprio coinvolgimento filologico del “fare arte”: non si dà, infatti, pittura se non per manipolazione linguistica dei materiali e per ricerca della realtà come significato della storia. È stato seguito e segnalato più volte da Giulio Turcato, Pierre Restany, Gianfranco Ferlisi, Elio Marchegiani, Armando Ginesi, Carlo Franza, Mariano Apa... Ha pubblicato libri d’arte con testi poetici di filosofi e letterati contemporanei tra gli altri: U. Piersanti, E. De Signoribus, P. Acquabona, G. D’Elia, F. Scarabicchi, G.De Santi, M. Raffaeli. Numerose le esposizioni personali presso istituzioni pubbliche e private (tra queste si segnala, nel 2011, la partecipazione alla 54a Esposizione Internazionale d’arte della Biennale di Venezia, Padiglione Italia Marche).
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Mario Nalli
L’assedio 2, 2022, olio su tela 150x200, 100x120 cm
L’assedio 1, 2022, olio su tela 150x200, 100x120 cm
Mario Nalli, nato a Morolo (Fr) nel 1960, vive e lavora a Roma. La sua formazione inizia alla metà degli Settanta anni collaborando con il teatro tenda di Roma nello spettacolo teatrale di “affabulazione” scritto da Pier Paolo Pasolini, diretto e intrepretato da Vittorio Gassman. Anni Ottanta: frequenta la Scuola d’Arte Ornamentale S. Giacomo (Corso di pittura). Collabora poi – come assistente – col pittore Piero Pizzi Cannella. Espone negli anni Novanta nella galleria l’Attico di Fabio Sargentini con la Mostra “Viola” con testo di Mariano Apa. Nel 92 è invitato ad esporre al Palazzo Esposizione nella mostra IV giovani artisti. Negli anni 90 si diploma in Scienze Teologali. Di seguito espone alla galleria l’Attico di Fabio Sargentini con le personali “Terre inviolate”, “Miraggio di mare” e “Onda di Sangue” e con le collettive “Magazzino”, “C’è chi dipinge” e in occasione del 60°anniversario della galleria l’Attico (“Scorribanda” presso la GNAM di Roma). Recentemente, presso l’Università Politecnica delle Marche (facoltà di scienze), espone una sua opera nell’ambito della mostra “POLYTECHNE”.
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Rocco Natale
Volume (oggetti nomadi), 2022, legno, stoffe, fili di cotone, 70x20x30 cm Seme, 2017, acciaio, filo di cotone, sferoide di stoffe, h 185x60x30 cm
Rocco Natale è nato a Rapone (Pz), vive e lavora a Urbino. Già insegnante di “Scultura” presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Opera nel campo della ricerca artistica dal 1981. L’elemento caratterizzante della sua opera è l’assemblaggio di materiali come ceramica, rame, ferro, pietra, legno, stoffe. Attualmente si interessa a sperimentare assemblaggi di strutture in acciaio con elementi cromatici e materiali morbidi. Su invito di Giovanni Carandente nel 1988 ha esposto presso la Galleria “Il millennio” (Roma), alla Biennale d’Arte di Venezia (Aperto88) e alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Spoleto (“Memorie del sottosuolo”) nel 2006. Si rammentano tra le varie rassegne più recenti: Arte e scienza presso l’Università Politecnica delle Marche di Ancona (2019); Anahid, spazio Thetis a Venezia; Ananias et Saphira presso il Bastione Sangallo a Loreto (2020); Forma e materia a villa Fermani di Corridonia (2021); Scultori di marca presso la galleria 41 a Macerata (2022); Pensieri della ricerca a Urbino; Vedere invisibile, presso il MAT di Frascati e infine Elisir, XI Biennale, MaM di Gazoldo degli Ippoliti.
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Ermanno Poletti
Anima, 2016, gesso pattinato, 32x32x320 cm
Track7, 2020, gesso pattinato, 20x20x200 cm (particolare)
Ermanno Poletti nasce a Villafranca di Verona il 4 agosto 1973. Dopo aver conseguito la maturità d’arte applicata presso l’Istituto Statale d’Arte Alessandro Dal Prato di Guidizzolo, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove si diploma in scultura nel 2005 e successivamente consegue le abilitazioni all’insegnamento in Discipline
Plastiche e in Disegno e Storia dell’Arte. Dal 2005 è assistente al corso di tecniche murarie e dei materiali all’Accademia di Belle Arti di Brera e poi al corso di restauro dei beni culturali presso l’Università degli Studi di Milano. Attualmente vive e lavora in provincia di Mantova, dove insegna discipline plastiche e scultoree presso il Liceo Artistico Giulio Romano.
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Expansion, 2018, lava nera e foglia d’argento su tela, 160x110 cm Expansion Gold, 2021, lava nera e foglia d’oro su tela, 80x60 cm
Mareo Rodriguez nato a Città del Messico (1981), cresciuto a Medellín, in Colombia, ora vive e lavora a Barcellona, in Spagna. Si è laureato in Architettura a Medellín, ha poi seguito un corso d’arte al Bournemouth Arts Institute, nel Regno Unito, ha conseguito, a Barcellona, un master in design presso ELISAVA (scuola di design e di ricerca, orientata a livello internazionale, affiliata all’Università Pompeu). Ha tenuto mostre personali a Barcellona, Berlino, Bogotá e Buenos Aires. Ha partecipato a fiere come Art Toronto, Canada; Art Med, Colombia e Art Marbella, Spagna. Ha anche partecipato alla residenza d’arte quali “Become Become” presso la Galleria Arebyte (Londra) e “Topografie emergenti” Scultura di Land art, Biella, Italia.
Il suo lavoro incarna una visione della materia, della topografia e del territorio naturale concepito come un essere vivente, latente e in continuo movimento. Stratificazione epidermica operata dal tempo, con un linguaggio tellurico emergente, pressante, gravitante, che rivela – attraverso il paesaggio – diverse tensioni. Mareo spesso afferma: l’arte è un linguaggio e una linea diretta di comunicazione con una fonte superiore, l’artista quindi non è nient’altro che un canale per materializzare quel messaggio.
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Mareo Rodriguez
Giulia Santambrogio
Compàs para ofrecerse (Bussola per offrire se stessi), 2022, lana intrecciata a mano, cotone, caffè, colla vinilica, 180x250 cm
Giulia Santambrogio, classe 1996, si forma tra Monza, Milano e Marsiglia. Si laurea all’Accademia di Brera in Discipline della Valorizzazione dei Beni Culturali per poi orientarsi verso il biennio di Pittura. La sintesi tra sacro e terapeutico la porta ad approfondire lo scambio tra corpo, spazio, supporto pittorico e oggetto. Sperimenta la pittura, l’arte tessile e la performance. Il filo, che diventa nodo ripetuto, diviene la materia costitutiva degli ultimi lavori chiamati “abiti performativi”, percepiti come arazzi e sculture, nonché veri e propri abiti che, indossati nelle sue performance, acquisiscono ulteriori significati simbolici.
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Gianfranco Ferlisi (laureato a Parma) è critico e storico dell’arte. In quarant’anni di studio e ricerca si è occupato principalmente di Rinascimento, Otto, Novecento e arte contemporanea. Ha operato presso la Provincia di Mantova con numerosissime rassegne curate alla Casa del Mantegna. Ha lavorato come storico dell’arte presso il Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova e, infine, presso le Gallerie Estensi di Modena e Ferrara, dove si è occupato della valorizzazione della donazione Panza di Biumo a Sassuolo e della collezione ottocentesca. Da diversi anni è direttore del Museo d’Arte Moderna dell’Alto e conservatore della raccolta di Palazzo Menghini a Castiglione delle Stiviere. Ha curato numerosissime mostre, tra cui ricordiamo almeno Ugo Celada da Virgilio 1895-1995. L’incanto del disegno. La magia della pittura (MaM di Gazoldo degli Ippoliti, e Museo Diocesano Francesco Gonzaga di Mantova, 2016), Il sentiero della luce (PAN di Napoli, 2020 con Philippe Daverio), Lorenzo Frigo, Infernus (Basilica di Palladio di Vicenza, 2021) e l’antologica dedicata ad Archimede Bresciani (MaM, 2021).
Sophia Radici, nata a Bergamo nel 1993, consegue presso l’Accademia di Belle Arti di Brera la laurea magistrale in Comunicazione espositiva per i beni culturali. Inizia la sua esperienza nel mondo della conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico all’interno dell’Ufficio Patrimonio dell’Accademia stessa, gestendo gli archivi e i prestiti per le mostre d’arte.
Si appassiona al mondo della curatela, frequenta gli artisti emergenti del panorama milanese e dal 2020 presenta le sue prime mostre d’arte contemporanea e d’arte moderna.
Delle prime si menziona Tramestio, inaugurata nel 2021 presso le sale nobili di Palazzo Cusani; delle seconde Napoleone e l’Accademia, mostra virtuale realizzata in concomitanza delle celebrazioni per il bicentenario della morte di Bonaparte (1821-2021).
Da anni collabora con lo Studio di Restauro Fiori, allestendo mostre per le realtà museali nazionali, in particolar modo milanesi.
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Finito di stampare nell’ottobre 2022 a cura dell’Editoriale Sometti in Mantova