L'isola della libertà - Anteprima

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Sulla minuscola e rocciosa isola di Santo stefano, sorge una costruzione imponente e con finestre piccole e oscure. è un carcere da cui è impossibile evadere e in cui sono rinchiusi detenuti destinati a non uscirne mai più.

Antonio, che ha quindici anni, sta per sbarcare sull’isola: suo padre è il nuovo direttore del carcere e ha progetti rivoluzionari. Clara, che di anni ne ha quattordici, è invece figlia di un’avvocatessa, chiamata anche lei sull’isola dal nuovo direttore.

Nel corso di una lunga estate, tra incredibili evasioni, sparizioni di fratelli e una natura selvaggia, clara e antonio scoprono che libertà può voler dire cose diverse e che è nulla senza dignità, coraggio e giustizia.

l’isola della libertà

€ 14
l’isola della libertà
A mio padre

Capitolo 1 senza ritorno

Maggio 1952

È una calda giornata di primavera ma sulla barca che si impenna contro le onde, con mille invisibili goccioline di mare a inzupparli di nascosto, Antonio sta gelando.

A farlo rabbrividire non sono tanto il vento o l’acqua. È l’ansia che gli serra la gola.

Lo si vede benissimo già da Ventotene, stagliato contro il cielo su quel pezzo di terra emersa che sembra un panettone: è il penitenziario di massima sicurezza di Santo Stefano, tutto muri e fessure al posto delle finestre. Fa venire i brividi.

Antonio e i suoi fratelli sono diretti proprio lì. Per restarci.

Antonio pensa ai detenuti che prima di lui hanno fatto lo stesso percorso in mare, andati per restare.

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Perché a Santo Stefano ci stanno gli ergastolani, i più pericolosi, i più irriducibili. Quelli condannati a “fine pena mai”.

Antonio sente Eddi che gli prende la mano, sfuggito all’abbraccio delle sorelle nell’istante di calma tra un flutto e il successivo. Stanno così aggrappate alle sponde della barca che non possono trattenerlo, ma possono gridare.

«Lo tengo io, lo tengo!», le tranquillizza Antonio. Suo fratello Eddi ha sette anni e se potesse trasformarsi in una tellina per stargli azzeccato addosso, lo farebbe.

«Statti accorto che gli cadono gli occhiali a mare, a quello scemo!», dice Stella, la sorella più grande che s’atteggia a mammina.

Il fatto è che Stella e Alba, le loro sorelle di dieci e dodici anni, agli occhi di Eddi, due biglie azzurre che le lenti rendono ancora più grandi, non sono per niente interessanti. Fanno troppi gridolini, si scambiano troppe confidenze zitto zitto, si interessano di cose incomprensibili. Antonio invece, di anni ne ha quindici ed è maschio come lui.

Però, chissà se portare pure Eddi è stata una buona idea.

Antonio lancia uno sguardo di traverso a suo padre, che sta in cabina vicino al comandante. Con gli occhi fissi all’orizzonte, già si sta immaginando cosa lo aspetta.

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Ad Antonio sembra di vedere le rotelle di quel suo cervello che vanno a mille: lo conosce, suo padre.

Non è che non sia un bravo papà, no. È un padre bravissimo e degno del massimo rispetto. È un uomo giusto e comanda le carceri. Ma si appassiona così tanto al suo lavoro che il resto viene dopo. E poi, si va a cacciare in certe situazioni.

Come adesso, che si porta quattro dei suoi dieci figli in mezzo al mare. E sarebbe niente. Li porta in mezzo agli assassini, tra la feccia dell’umanità. Senza nemmeno la mamma.

La calda giornata di primavera sembra rimasta in un’altra dimensione, mentre la barca si avvicina alla costa di Santo Stefano. In questa dimensione, dove Antonio, suo fratello Eddi e le sue petulanti sorelle stanno andando a vivere in un carcere fatto dai Borboni nel Settecento e che fa spavento solo a sentirlo nominare, sembra di stare nell’inverno più cupo. Nemmeno si vede un approdo: ci sono solo rocce a strapiombo e onde che s’infrangono con violenza.

Come faranno a scendere da questa barca?

Non c’è più neanche il sole, coperto dalla massa dell’isolotto. Sono arrivati.

«Forza ragazzi! Ci siamo!», dice papà, il dottor Perucatti, che si è assunto l’incarico di dirigere questo carcere orribile. A guardare lui, sembra che stiano arrivando al Luna park. Gli brillano gli occhi.

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Antonio invece sente qualcosa che non sa definire. Una cosa che non conosce.

A lui l’avventura piace, certo. Lui ci voleva venire qui, certo. Ma ora sente questa cosa, mentre stringe forte la mano di suo fratello Eddi, gliela strizza proprio. Sente questa cosa che si chiama paura.

Pasquale li aiuta a scendere. Sta lì da un milione di anni, gli si è fatto il vuoto sulla capuzzella perché i capelli piano piano se ne sono andati.

E chi se lo ricorda più che cosa ha combinato per finire all’ergastolo? Ma non è vero: questa è la frase che dice Pasquale quando fa quel po’ di cabaret che ormai tutti si aspettano da lui. Lui, invece, si ricorda benissimo cosa ha combinato, se lo ricorda ogni giorno, perché darebbe qualsiasi cosa per non averlo fatto.

E ora, arriva il nuovo Direttore. È un tipo così streveso che si porta pure i figli dentro al ferro di cavallo, manco fosse un posto di villeggiatura.

A Pasquale la curiosità lo stuzzica, e quindi eccolo lì in prima fila ad assistere all’arrivo, che scendere dalle barche è una vera fatica, come se l’isola stessa ti volesse dire: “Ma vattènne!”.

«Maresciallo De Luca al suo servizio!». A capo del comitato d’accoglienza, ci sono il maresciallo De Luca tutto impettito e due ergastolani “buoni”, il vecchio Pasquale, appunto, e Vincenzo, che quando era libero faceva il coiffeur pour dames

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e ora se la cava bene pure a tagliare i capelli ai maschi.

Dopo che è sceso suo padre, Antonio gli passa Eddi, poi aspetta che tirino su quasi di peso le sue sorelle tra un «Oh mamma» e un «Madonna mia», e infine si fa aiutare a saltare a terra da questi due uomini in abiti civili che devono essere ergastolani, pure se sembrano Stanlio e Ollio.

«Grazie maresciallo! E chi abbiamo qui?», dice suo padre rivolgendosi ai due.

«Pasquale, per servirla signor Direttore!», dice il primo, con un inchino ridicolo che rivela la pelata.

L’altro, invece, vorrebbe pure lui dire belle parole per far vedere subito al nuovo Direttore che è un bravo ergastolano, ma si fa rosso paonazzo e non riesce a spiccicare una parola per l’emozione.

Vincenzo, per la verità, è finito dentro molto prima di diventare lui stesso coiffeur pour dames: è arrivato solo a fare il lavorante in bottega, a spazzare le chiome tagliate finite a terra e a tenere puliti i ferri del mestiere.

E mai l’avesse fatto, visto che di quelle forbici, un brutto giorno, ha fatto l’uso sbagliato.

Il carcere è sul cocuzzolo dell’isola e bisogna farsi una salita che leva il fiato. Proprio ora che Antonio, rincuorato da quei tre che li hanno accolti con quelle facce piene di speranza, ne aveva ritrovato un po’, di fiato.

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Mentre si avvicina al Panopticon, un carosello vorticoso di emozioni lo travolge. Il profumo delle erbe selvatiche lungo il percorso, trasportato dal vento marino, il sole tornato caldo, la faccia simpatica di Pasquale che si gira ogni due secondi per vedere se ha bisogno di aiuto, anche se si è preso Eddi in braccio e porta pure una valigia…

Ma là sopra li aspetta l’edificio, una struttura circolare con una postazione di controllo centrale, alti muri sfregiati all’esterno da finestre a bocca di lupo, con i suoi duecentocinquanta detenuti, di cui il più buono sta dentro per omicidio.

Il carcere incombe sul mare, e anche se Antonio vorrebbe pensare solo a quanto è bello l’azzurro e il verde dell’isola, se lo sente incombere pure sull’anima.

Poi finalmente arrivano.

«Allora ragazzi, di qua ci sono i nostri alloggi, cominciate a sistemarvi che io intanto vado col maresciallo, è giusto De Luca?», dice il Direttore Perucatti. Gli ordini li sa dare così bene che tutti trovano naturale obbedire senza replicare.

«Certo Direttore! E se permette mandiamo Pasquale a fare da guida ai suoi emeriti figli».

«Non esageriamo maresciallo, i ragazzi emeriti mò…».

Il Direttore ride dello zelo del suo giovane assistente. «Antonio, allora segui Pasquale e sistematevi».

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«Al suo servizio, Direttore!», fa Pasquale facendo un inchino dietro l’altro mentre cammina all’indietro verso la parte degli alloggi.

Antonio segue Pasquale ma a malincuore, perché il grande cortile dove si affacciano le celle come tante bocche spalancate, lo attira in modo sinistro ma irresistibile.

Però, quando apre la porta di quella che sarà la sua stanza e la luce lo acceca, apre la finestra e il mare sconfinato gli invade gli occhi, allora lo prende una strana frenesia di gioia.

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