Il borgo

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Il borgo Patrizia Rinaldi

Il borgo dove vivo è sulla strada verso est, alla periferia del Castello del Signor Conte e Barone Enrico Villi del casato della Torre del Vento Maschio. Noi al borgo chiamavamo lo sproloquio semplicemente il Castello Mangiavento o del Mangiavento, per fare prima e perché il Signor Conte ha fame irresistibile e all’occorrenza mangerebbe il vento, la neve, la terra e persino le caverne. Anche se il suo desinare preferito resta e resterà l’oro zecchino. Per aver pronunciato durante una pubblica udienza il nome che diamo al Castello, il mastro ferraio Antinio Gattarotta fu chiuso in una gabbia e appeso a un trespolo davanti al ponte di ingresso. Particolare non trascurabile fu che dovette assemblare lui la gabbia. Ebbe l’ordine di piegare il ferro che lo avrebbe dannato, di inserire alla base della gabbia spunzoni acuminati che avrebbero reso maggiormente atroce la permanenza breve nella prigione piccola. La sentenza diceva che dopo la morte il corpo del mastro ferraio sarebbe dovuto restare esposto al vento nominato, fino al danno estremo delle carni. Questo non accadde, perché dopo una settimana comparve un drappo a coprire la gabbia, forse per debolezza di pietà. Pensammo che l’azzardo di parola di Antinio Gattarotta e la relativa morte ci avrebbero terrorizzati a tal punto che mai nessuno più avrebbe avuto l’ardire 33


di ripetere il nome tanto odiato dal Signor Conte e Barone Enrico Villi. Per qualche mese così andò. Ci saremmo morsi la lingua piuttosto di dire anche solo la parola “Castello”. Alcuni lo indicavano con un movimento della testa o delle mani per non cadere in errore. Eppure. Eppure le parole ormai radicate non vogliono morire e prima sottovoce poi a voce piena gli abitanti del borgo, me compreso, hanno ripreso a dire il nome nostro del Castello. Anche perché lavoriamo molto e non abbiamo tempo per fiori e ricordi, così ci è sembrato di pregare per il fabbro, che, superficialità di parole a parte, è stato sempre uomo giusto e dedito all’avventura di piegare il ferro. Compio oggi il mio quindicesimo anno, ormai sono trascorsi diciotto mesi dalla brutta fine del fabbro. Durante questi diciotto mesi ho lavorato nei campi, ho aiutato la Madre e i fratelli: sono il maggiore dei fratelli e mio padre è morto di febbre maligna. I gemelli, nati subito dopo di me, sono cresciuti abbastanza, possono prendere il mio posto. Già vengono al lavoro, ma finora valevano per uno, ora finalmente hanno quattro braccia. Rubando ore all’alba, ho costruito pietra su pietra la casa che sarà mia. È alla periferia della periferia del borgo, luogo pericoloso ma libero, ai confini con la foresta e con i lupi, che comunque mi fanno meno paura del Castello di Mangiavento. 34


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