Organismi

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Aldo Gerbino

entravo in piazza Caracciolo e sbucavo nella piazza San Domenico. Mi bastava questa ventata popolaresca, i suoni, le luci, le voci per cambiare registro alla mia mente. Senza saperlo, forse senza volerlo, nella retina si impressionavano quei canestri di canna dove c’erano trionfi di frutta, i grandi banchetti di pesci distesi a semicerchio sui marmi dei pescivendoli.» “Suoni, luci, voci”, dunque, pronti a gettar scompiglio nel bagaglio sensitivo dell’artista, a sospingerlo nella rielaborazione e riflessione multisensoriale lungo la vastità di questo mobile scenario, scrigno di suoni, colori, voci, sapori vagoli e penetranti, evocazioni, rimembranze, calchi di vita esposti al sacrificio e alla mortale dissoluzione nel rievocare, in parallelo e pur nella diversità dell’approccio estetico, gli estremi lacerti baconiani (da Figure with Meat del 1954 aThree Studies for a Crucifixion del 1962). La corposa rappresentazione quadrata (9 m2 di superficie), quasi in assonanza con il corpo squadrato, severo, dello Steri, luogo di collocazione dell’opera donata dall’artista (destinata alla Sala Magna, è visibile nella Sala delle Armi35), condensa il suo primo abbozzo embrionale in un disegno del 20 di luglio 197436 (già nel Natale del 1973 un copioso reportage fotografico ne costituisce il primo ideale e materiale emblema) mentre la completezza dell’opera, dipinta e portata a termine a Velate, si compie (dal primo ottobre 1974) il 6 novembre del 1974. Una completezza che ha un interessante percorso di formazione testimoniato dai laboriosi bozzetti (Studio per la Vucciria (74/15, collage); Studio per la Vucciria (74/16, acquarello); Bozzetto per la Vucciria (74/17, disegno a matita), dalle varianti compositive in lunghe carrellate di nuclei figurativi, metaforici, di evidente impatto emozionale. Così, ‘natura morta’ o ‘viva’ che sia, il ciclo, in fondo, si chiude con la corruzione degli oggetti in quell’«esalare», afferma lo stesso Guttuso37, nel grande piceo fondale rilevato da Brandi38, «un sentimento di morte» nutrito proprio dall’eccesso dei materiali biologici: cardi, finocchi, melanzane, peperoni, uova, carni macellate, insaccati, pomodori, agrumi, pesci, frutti di mare, olive, in cui ogni cosa pare essere percorsa da una sorta di ossimorico destino. In esso si riflette tanto dell’identità siciliana: un furore vitalistico e, nel contempo, una ferita mortale, a sostenere, altruisticamente, il soccorso, e consentire, crudamente, di chiudere il ciclo. In questa sintesi di vita e cose entrate a far parte dell’umano scenario grazie all’emersione dei loro sensi originari, ristagna il fantasma sepolto dell’allegoria a sollevare, come nei versi di Pier Paolo Pasolini dedicati a Guttuso, “i significati (che) diverranno cristalRenato Guttuso a Bagheria [archivio Civello]; un’immagine dal film Baarìa di Giuseppe Tornatore (2009), fotografia di Marta Spedaletti

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