Guida

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Ferla

Palazzolo Acreide

Ragusa

Modica

Scicli Ispica


Indice ° Come nasce l’evento

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° I luoghi

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° Ragusa

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° Palazzo Cosentini

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° Modica

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° Chiesa S. Maria del soccorso

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° Scicli

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° Chiesa S. Bartolomeo

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° Scicli

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° Palazzo Beneventano

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° Ispica

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° Basilica Santa Maria maggiore

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° Palazzolo Acreide

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° Chiesa S. Sebastiano

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° Ferla

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° Chiesa S. Antonio abate

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° Itinerario

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COME NASCE L’EVENTO LA RISCOPERTA DEL BAROCCO ITALIANO L’evento, La riscoperta del Barocco Italiano, si prefigge di sensibilizzare la popolazione nei confronti di quello che è un pezzo importante del patrimonio artistico. Lo scopo è far riscorpire le bellezze che ci ha lasciato il Barocco; uno stile nato e cresciuto in Italia che ha poi conquistato l’Europa. Qui vedremo applicato l’evento alla Scicilia Sud-orientale. La Sicilia Sud-orientale, negli ultimi anni, ha visto una non indifferente crescita del turismo e dell’interesse nei confronti del suo particolare patrimonio artistico. La città che più ha beneficiato di ciò è Noto. Tuttavia, vi sono molte altre città della valle che meritano di essere riscoperte per il loro patrimonio artistico e culturale. Seguendo la scia del FAI Marathon, l’evento, mira ad aprire una serie di luoghi, poco conosciuti, nelle città meno famose ma altrettanto meravigliose. Sono sette i luoghi aperti in sei città della Sicilia Sud-orientale. Il percorso, alla scoperta delle meraviglie del Barocco della Sicilia Sud-orientale, potrà essere intrapreso in vari modi nell’arco di una giornata. I luoghi saranno visitabili ad offerta libera. Per chi lo desidera, saranno disponibili, al prezzo di due euro, le guide cartacee dell’evento e i gadget. All’interno della guida si trovano i luoghi che si andranno a visitare (divisi per città) con una breve descrizione. Nei luoghi dell’evento i partecipanti troveranno ad accoglierli le Guide del FAI che li inizieranno al Barocco siciliano.

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I LUOGHI pag. 12

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RAGUSA Palazzo Cosentini

MODICA Chiesa Santa Maria del Soccorso

SCICLI Chiesa San Bartolomeo


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SCICLI Palazzo Beneventano

ISPICA Basilica Santa Maria maggiore

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PALAZZOLO ACREIDE Chiesa di San Sebastiano

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FERLA Basilica San Antonio abate

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PALAZZO COSENTINI


Proprio alla fine delle scale, formando un grazioso angolo con Via Mazzini, si staglia il palazzo Cosentini, tipica costruzione del barocco siciliano del 700. Forse questo è il piÚ caratteristico di quei palazzi, dalle cui fronti emergono eleganti balconi, sorretti da ornatissimi mensoloni con una serie di personaggi e un repertorio di animali, mostri, belve, facce orribili e fantastiche, ma a volte sublimi, e che sono una caratteristica del barocco.

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RAGUSA LA RISCOPERTA DEL BAROCCO SICILIANO Ragusa Ibla sorgeva in una posizione strategica, capace di resistere a potenti attacchi militari. Per queste analogie geografiche, si sostiene che essa potesse corrispondere al territorio di Ragusa Ibla primo abitato storico della città di Ragusa - situata su un colle che va da circa 385 (i giardini iblei) ai 440 m di altezza, circondata da tre colline che creano un muro di cinta naturale. La città fu influenzata da vari popoli conquistatori come: Bizantini, Arabi, Normanni; fu governata da Angioini, Aragonesi ed infine passò sotto la contea di Modica. Nel gennaio 1693 il terremoto del Val di Noto, assieme al terremoto del 1908, furono eventi fondamentali che scrissero la storia della città e della Sicilia Orientale. La ricostruzione portò alla conformazione che ha oggi la città: due centri abitati divisi. Questa divisione è dovuta al forte contrasto tra gruppi di famiglie che da circa un secolo si contendevano il dominio della città: Sangiovannari e i Sangiorgiari, rispettivamente appartenenti alle due chiese più antiche della città: San Giovanni e San Giorgio. Nell’estate del 1693 il procuratore accettò subito la richiesta della ricostruzione sull’altopiano del Prato. Intanto per la città vecchia venne incaricato l’architetto Rosario Gagliardi che realizzò la nuova chiesa di San Giorgio e si riedificarono pure tutti gli antichi palazzi delle famiglie più potenti. Oggi Ragusa si presenta come una città dinamica e benestante. «A Ragusa, antica città, ridotta in rovine da un violento terremoto; a Ragusa, la cui bellezza è valsa il riconoscimento dell’Unesco quale patrimonio dell’umanità; »

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Per essere resi ancora piĂš orribili questi mascheroni sono stati scolpiti con animali immondi in bocca: uno bendato con un naso enorme e uno scorpione in bocca, un altro occhialuto, altri con serpi, con topi e rane: sembrano soggetti presi da un quadro del Bosch; vogliono essere forse allegorie e condanna alle persone che quando parlano sputano sentenze e dicono maldicenze?


PALAZZO COSENTINI RAGUSA II palazzo Cosentini è forse uno degli edifici barocchi più antichi di Ibla, a posizione angolare e scandito da paraste culminanti con capitelli corinzi, festoni e conchiglie e con una caratteristica edicola angolare che rappresenta San Francesco di Paola che cammina sulle acque. II balcone che dà sulla piazza è sorretto da maschere di esseri ghignanti e burloni caricaturati al massimo, tanto da creare un enorme contrasto con le leggiadre figure femminili a busto scoperto, quasi per alleggerire la bruttezza di quelle caricature umane. Un motivo diverso è rappresentato nel primo balcone, del corso Mazzini: un gruppo di girovaghi cantastorie, fermati nel momento preparatorio dell’inizio della recitazione. La figura centrale ha un rotolo in mano forse il copione che fra poco reciterà; ai suoi lati gli amici, con zufoli, mandolini e tamburi pronti ad accompagnarlo. Una scenetta presa dalla strada, come doveva essere consueto in quel tempo. Anche sotto queste allegre figure fanno spicco i soliti mascheroni deformi. I mensoloni del balcone centrale rappresentano forse il benessere che gode la famiglia, simboleggiato da figure femminili cariche di frutti e cornucopie, simboli di ricchezza. Il motivo realizzato nell’ultimo balcone è forse il più reale, il più umano. Sembra una scena ripresa in una osteria locale, con l’oste calvo e con una botte in spalla, un gobbetto con zufolo e una figura femminile che offre le proprie grazie al nobile signore, dopo aver trascorso una allegra serata fra canti e buon vino. Queste scene di vita, questi ritratti presi dal vero, sono realizzati, con un plasticismo cosi vigoroso da renderli quasi vivi. Da queste opere emergono le enormi capacità non solo di architetti e scultori, ma anche quelle di semplici scalpellini dalla indubbia genialità e capacità.

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S. MARIA DEL SOCCORSO


Nell’ambito degli interventi effettuati in occasione della ricostruzione post sismica, si è riscontrato un atteggiamento diffuso, nella progettazione delle facciate degli edifici, orientato a rifuggire la serialità anonima per la ricerca invece del dettaglio decorativo sorprendente, che acquista una duplice valenza: quella rappresentativa legata ai caratteri intrinseci dell’edificio, e quella di vero e proprio arredo urbano.

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MODICA LA RISCOPERTA DEL BAROCCO SICILIANO Modica, come altri centri storici del Val di Noto, deve la sua particolare configurazione urbana alla non comune conformazione del territorio combinata ai vari fenomeni di antropizzazione. Molte abitazioni della parte vecchia della città, addossate le une sulle altre, sono spesso l’estensione delle antiche grotte, abitate fin dall’epoca preistorica. Il tessuto urbano, adagiato sui fianchi delle due vallate e sui pianori delle colline sovrastanti, è un intrigo di casette, viuzze e lunghe scale, che non possono non ricordare l’impianto medievale del centro storico, tutto avviluppato intorno allo sperone della collina del Pizzo, sul quale poggiava inaccessibile il Castello. Modica è un’inaspettata meraviglia... È un effetto bizzarro, unico, qualcosa di addirittura irreale come visto nel prisma deformante del sogno, come un immenso fantasmagorico edifizio di fiaba, il quale, anziché di piani, fosse fatto di strati di case. Da questo accastellarsi, svettano campanili e campanili: con queste parole il poeta e scrittore veronese Lionello Fiumi descriveva il suo stupore. Le chiese si affacciano su imponenti e scenografiche scalinate modellate sui declivi delle colline. Lo stile prevalente dei monumenti è quello comunemente identificato come Barocco siciliano della Sicilia sud orientale, quello successivo al catastrofico terremoto del Val di Noto del 1693. A partire dai primi anni del XVII secolo la vita cittadina venne caratterizzata dalla rivalità tra due parrocchie, sotto le quali gli abitanti erano equamente divisi (la chiesa Madre di San Giorgio e la chiesa di San Pietro). La chiesa di San Giorgio sorgeva vicino alla sommità del promontorio e dominava da secoli il nucleo più antico della città. La chiesa di San Pietro sorge a fondovalle e ottenne l’appellativo di parrocchia solo nel 1504. Le devastazioni inflitte dal terremoto interruppero drasticamente la vicenda.

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Sorta nel 1630 attigua al Collegio dei Gesuiti, col titolo dei SS. Maria e Gesù, più nota come chiesa del Collegio, nel 1927 venne riaperta e vi fu trasferito il culto della Madonna del Soccorso dopo la demolizione dell’omonima chiesa. All’interno sono collocate varie tele, tra cui sull’altare maggiore la Gloria di Sant’Ignazio, sull’altare laterale destro la Presentazione al tempio e in quello sinistro l’Adorazione, sul lato destro la Deposizione e su quello sinistro San Francesco Saverio.


S. MARIA DEL SOCCORSO MODICA La Chiesa è delle poche certamente realizzate ex novo dopo il terremoto e tra le più interessanti dell’architettura barocca del Val di Noto. In facciata si rilevano l’articolazione curvilinea del partirto centrale che si espande in avanti senza rigidi sviluppi con modanature misurate ed eleganti; le colonne binate che poggiano su alti basamenti; il leggero portale con timpano spezzato da cui, lateralmente, emergono due dadi che sorreggono vasi portafiori e all’interno del quale è posto un sobrio stemma gesuitico; le lesene con capitelli corinzi che fanno da raccordo tra il partito centrale convesso e le superfici laterali piane; le due nicchie incorniciate e con timpani nei partiti laterali. Il progetto della Chiesa del Soccorso è di Rosario Gagliardi e l’artista concepisce per questa architettura un’impostazione che troverà sviluppo nel progetto successivo per la chiesa di San Domenico di Noto. Anche lo schema planimetrico è innovativo per l’area del Val di Noto: una croce latina a tre navate separate da pilastri con l’aula centrale e le navate laterali non troppo lunghe rispetto all’ampio transetto e con tre absidi semicircolari a conclusione della navata centrale e dei lati del transetto. Affinità si riscontrano anche tra le modanature del finestrone della Chiesa del Soccorso e quelle del balcone centrale di Palazzo Battaglia di Ragusa progettato dallo stesso architetto. Di estrema importanza sono le componenti strutturali. Gagliardi, memore del recente sisma e attento a prevenire pericoli e cedimenti strutturali, dà luogo alla struttura piramidale della facciata, un espediente architettonico che si rivela più compatto e sicuro. Le colonne, libere, saranno, invece, valorizzate con funzione decorativa.

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SAN BARTOLOMEO


Nell’ambito degli interventi effettuati in occasione della ricostruzione post sismica, si è riscontrato un atteggiamento diffuso, nella progettazione delle facciate degli edifici, orientato a rifuggire la serialità anonima per la ricerca invece del dettaglio decorativo sorprendente, che acquista una duplice valenza: quella rappresentativa legata ai caratteri intrinseci dell’edificio, e quella di vero e proprio arredo urbano.

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SCICLI LA RISCOPERTA DEL BAROCCO SICILIANO Scrive Vincenzo Consolo di Scicli: “quel paese di cave e di grotte, d’alvei di torrenti e di rocciosi poggi, di fortezze e di castelli, di chiese e di palazzi d’un barocco bizzarro, dove personaggi e maschere dallo sguardo stupefatto sembrano affacciarsi, da balconi, dal colmo d’archi, di fastigi, come spettatori e attori d’un incredibile spettacolo.” Consolo riesce ad individuare il carattere eterogeneo che distignueva Scicli. Una fusione tra natura e artificio che, nei secoli, ha visto sovrapporsi l’opera dell’uomo alla plasticità naturale del luogo. Politicamente legata alla contea di Modica, ma in una posizione secondaria rispetto ai centri di Modica e Ragusa, Scicli godette comunque degli sviluppi socio-economici. Nel corso della seconda metà del Seicento si aprirono numerosi cantieri legati a vecchi e nuovi complessi religiosi come la fabbrica della chiesa del collegio dei Gesuiti (le chiese di San Matteo, di San Bartolomeo, della Consolazione e di Santa Maria la Nova). Il terremoto del 1693 si abbatté, quindi, su un centro urbano in pieno sviluppo devastandone il patrimonio architettonico. Molti dei nuovi edifici settecenteschi inglobarono strutture preesistenti cancellando, in buona parte, le tracce dell’architettura antecedente al sisma. La chiesa di San Bartolomeo è un esempio di ciò che si può considerare un caso di continuità e, allo stesso tempo, un elemento di discontinuità. La chiesa a primo acchito sembra mantenere i caratteri delle facciate chiesastiche della ricostruzione: i tre ordini raccordati da volute, la composizione a torre e il movimento delle colonne libere. Il legante di questi elementi è però costituito da un ordine oramai lontano dalle innovazioni barocche e guarda invece al classico. Si può considerare, pertanto, erede della grande stagione tardo-barocca e insieme il suo canto del cigno.

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Nel transetto destro invece è posta la “Sacra Cassaâ€? un reliquiario rivestito di lamine d’argento, con rappresentazioni di scene della vita del santo apostolo. Belli anche gli altari, alcuni in marmi preziosi, altri in vetro colorato; da notare infine il coro ligneo intagliato e la preziosa acquasantiera scolpita su un piedistallo di pietrapece.


SAN BARTOLOMEO SCICLI Le sue decorazioni interne furono iniziate verso la metà del ‘700 e continuate nei secoli successivi, tanto che il prospetto attuale fu costruito all’inizio del XIX sec. su progetto dell’architetto siracusano Salvatore D’Alì in uno stile fra il barocco classico e il primo neoclassicismo, con robuste e possenti colonne che culminanti con una bella cupola a vigorosi costoloni, le conferiscono un aspetto fra il solenne e il maestoso. L’interno è quanto di più armonioso si possa immaginare. Nell’unica navata, tagliata da un transetto nella parte centrale, si affollano stucchi e dorature, affreschi e pale d’altare, magnifici altari e un grande e bel presepe fra i più belli che si conoscano in Sicilia. Gli stucchi e le dorature furono eseguiti nel 1864, grazie alla munificenza del nobile don Giuseppe Miccichè, che assieme al figlio è sepolto nella chiesa in un monumento funebre di marmo intarsiato. Gli affreschi della volta rappresentano scene della vita di S. Bartolomeo e in modo particolare: il santo che predica, che benedice e il suo arresto e martirio, che sono opera di Emanuele Catanese di Terranova mentre gli stucchi sono del palermitano Gianforma. Sull’altare maggiore le tele, opera di Francesco Pascucci, che rappresenta il “Martirio di S. Bartolomeo” lavoro questo di un certo pregio per la luminosità, la delicatezza delle tinte e la naturalezza della scena. La “Natività” occupa la parte centrale della scena davanti ad un rudere architettonico, mentre gli altri personaggi fanno da contorno. Sono contadini e pastori ritratti nelle scene di vita usuali, con un paesaggio rupestre nello sfondo e la “gloria degli angeli” sospesa in aria che domina la sacra scena. Delle 65 statue originali in legno di tiglio e alte circa un metro ne sono rimaste appena 29, che tuttavia, riescono ancora a darci l’immediatezza del momento per il loro effetto realistico, e che fanno del presepe un vero gioiello di arte popolare.

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PALAZZO BENEVENTANO


“Voglio la tua attenzione su di me, Viandante che passi per le strade di Scicli. Gli occhi di brace mi schizzano dalle orbite. La bocca, mi si deforma in un urlo eterno. Voglio che il mio sguardo violento impietrisca il tuo. Fermati dove sei, ammirami. Sono il palazzo più bello di Sicilia”

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SCICLI LA RISCOPERTA DEL BAROCCO SICILIANO Scrive Vincenzo Consolo di Scicli: “quel paese di cave e di grotte, d’alvei di torrenti e di rocciosi poggi, di fortezze e di castelli, di chiese e di palazzi d’un barocco bizzarro, dove personaggi e maschere dallo sguardo stupefatto sembrano affacciarsi, da balconi, dal colmo d’archi, di fastigi, come spettatori e attori d’un incredibile spettacolo.” Consolo riesce ad individuare il carattere eterogeneo che distignueva Scicli. Una fusione tra natura e artificio che, nei secoli, ha visto sovrapporsi l’opera dell’uomo alla plasticità naturale del luogo. Politicamente legata alla contea di Modica, ma in una posizione secondaria rispetto ai centri di Modica e Ragusa, Scicli godette comunque degli sviluppi socio-economici. Nel corso della seconda metà del Seicento si aprirono numerosi cantieri legati a vecchi e nuovi complessi religiosi come la fabbrica della chiesa del collegio dei Gesuiti (le chiese di San Matteo, di San Bartolomeo, della Consolazione e di Santa Maria la Nova). Il terremoto del 1693 si abbatté, quindi, su un centro urbano in pieno sviluppo devastandone il patrimonio architettonico. Molti dei nuovi edifici settecenteschi inglobarono strutture preesistenti cancellando, in buona parte, le tracce dell’architettura antecedente al sisma. La chiesa di San Bartolomeo è un esempio di ciò che si può considerare un caso di continuità e, allo stesso tempo, un elemento di discontinuità. La chiesa a primo acchito sembra mantenere i caratteri delle facciate chiesastiche della ricostruzione: i tre ordini raccordati da volute, la composizione a torre e il movimento delle colonne libere. Il legante di questi elementi è però costituito da un ordine oramai lontano dalle innovazioni barocche e guarda invece al classico. Si può considerare, pertanto, erede della grande stagione tardo-barocca e insieme il suo canto del cigno.

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“il più bel palazzo barocco di Sicilia”


PALAZZO BENEVENTANO SCICLI Nuove case, nuove chiese e nuovi palazzi vennero costruiti ex novo, contribuendo a ridisegnare l’assetto urbano della città. Tra questi nuovi edifici vi fu anche Palazzo Beneventano, così chiamato dal nome di una nobile famiglia originaria di Lentini. La facciata del palazzo si allinea agli esempi barocchi tradizionali, nelle paraste d’angolo e nel balcone del piano nobile collegato verticalmente con le aperture sottostanti. Ma è la decorazione, raffinata opera dei maestri lapicidi, a caratterizzare e rendere unica la struttura. L’edificio trova, nella particolare scelta dei temi figurativi, un rimando analogo ai palazzi dell’area Iblea come quelli di Ragusa. Anche qui sono gli elementi architettonici tradizionali a subire le mutazioni più significative: le bugne assumono una forma vagamente poligonale e mistilinea con motivi lisci o in rilievo. Gli architravi presentano dei mascheroni fuori scala dalle sembianze mostruose; sotto i balconi, nell’ambito del tradizionale tema del sostegno a mensola, compaiono erme zoomorfe e figurazioni caricaturali che si orientano in varie direzioni senza una precisa scelta prospettica, quasi a seguire il passante lungo il suo cammino. Persino le due mensole centrali del piano nobile, che esibiscono comuni decori fitomorfi, sono soggette ad una rotazione in funzione delle opposte direzioni di provenienza dalla strada. La parte frontale, in definitiva, è concepita come una quinta teatrale che vuole stupire e atterrire lo spettatore. Troviamo conferma di ciò nell’assenza di una ricerca simmetrica e nella chiara dipendenza degli elementi figurativi alla percezione dal basso.

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SANTA MARIA MAGGIORE


Il complesso formato dalla chiesa e dalla piazzetta antistante è quanto di più bello e armonioso si possa immaginare per il senso di spazio e serenità che vi si respira. Progettista dell’opera fu l’architetto Vincenzo Sinatra di Noto, che ideò la piazzetta ellittica di fronte alla chiesa per dilatare ancor di più lo spazio antistante (che degrada verso il mare) ad imitazione del portico di San Pietro del Bernini (sempre nelle dovute proporzioni). Questi portici, detti “loggi” utilizzati fino al 1804 (data dell’editto di Saint Cloud, con il quale si ordinava che i cimiteri fossero ubicati al di fuori dei centri urbani) come luoghi di sepoltura per le classi povere, mentre i defunti delle classi più ricche trovavano sepoltura all’interno della chiesa, come avvenne per gli Statella che vi hanno la tomba di famiglia.

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ISPICA LA RISCOPERTA DEL BAROCCO SICILIANO Una catacomba paleocristiana in località San Marco e una necropoli in contrada vignale San Giovanni testimoniano che la zona era abitata in epoca tardo romana. Secondo la tradizione, sant’Ilarione di Gaza, eremita, avrebbe soggiornato nella regione, in una grotta di Cava Ispica tra il III e il IV secolo, frequentando la chiesetta di Santa Maria della Cava. L’antichità della chiesa è sottolineata nella scritta presente in uno scudo dipinto sul portico: “Antiquam terra fieret ego sum..” (“Prima che la terra (il paese) fosse io sono...”). La città ha avuto il nome di Hyspicaefundus in epoca romana, successivamente cambiato in Spaccaforno fino al 1935. Ispica fu colpita da un violento terremoto il quale, assieme al terremoto del 1908, rappresenta l’evento catastrofico di maggiori dimensioni che abbia colpito la Sicilia. Nonostante le numerose perdite, i pochi rimasti ebbero la forza di ricostruire la città, grazie all’aiuto di persone provenienti dai paesi vicini e alla generosa beneficenza dei baroni locali. La città venne quindi trasferita nella zona pianeggiante al di fuori della cava, sebbene l’antico insediamento non fosse mai del tutto abbandonato. Alcuni quartieri furono ricostruiti intorno alle chiese rimaste in piedi (seppur danneggiate) di S.Antonio e del Carmine, mentre gli altri furono costruite ex novo seguendo una struttura a scacchiera con strade larghe e dritte, secondo il tracciato di due ingegneri venuti da Palermo al seguito di don Blasco Maria Statella. La nuova Spaccaforno portò la nascita di bellezze barocche come Santa Maria Maggiore, la Chiesa di San Bartolomeo e la S.S. Annunziata.

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Molto belli sono alcuni altari, specie quello maggiore con una pala di Vito d’Anna, allievo del Sozzi, “Una sacra conversazione” o “Madonna e quattro santi”, Di G. Crestadoro, infine, “Mosè che riceve le tavole della legge”.


SANTA MARIA MAGGIORE ISPICA La facciata, costruita verso la metà del ‘700 e rifatta nel XIX sec., è molto semplice a due ordini: quello inferiore ha tre portali divisi da lesene coronate da festoni fioriti quello superiore è legato al primo da piccole volute di raccordo, che lo rendono ancora più slanciato verso il cielo. Tutto il sagrato è circondato da una robusta cancellata in ferro battuto, quasi ad isolare ancor di più il tempio dall’ambiente esterno. L’interno a pianta basilicale, reso luminosissimo dalla luce che entra dal finestrone centrale e da quelli laterali. Tutta la volta della navata centrale è ricca di affreschi e stucchi dorati che non lasciano quasi spazi liberi, ma ci offre una Bibbia in miniatura, con il messaggio della redenzione e della beata speranza dell’uomo. Nell’affresco centrale si nota il “Trionfo della Fede” con personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento: dalla creazione dell’uomo, al peccato, quindi al sacrificio di Cristo, col quale l’uomo riacquista la salvezza e l’eterna beatitudine. I personaggi si affollano e si muovono in un ambiente surreale che solo un vero artista può immaginare e in una composizione tale che, tendendo verso l’alto dà il senso dell’aspirazione alla perfezionò assoluta di Dio. Segue quindi l’affresco del “Trionfo della Chiesa” sulle eresie. Nei medaglioni laterali sono rappresentate le quattro virtù cardinali: Fortezza, Giustizia, Prudenza e Temperanza. Nella cupola sono affrescati patriarchi, profeti, vergini, martiri, papi, vescovi e fondatori di ordini religiosi. Nel transetto: la cacciata dal paradiso terrestre di Adamo ed Eva dopo il peccato, il sacrificio espiatorio di Cristo come conseguenza del peccato e infine la vittoria su Satana e la sua distruzione. Le cancellate in ferro battuto che racchiudono le cappellette del transetto. In questa chiesa si venera ancora il volto di un “S.S. Crocifisso flagellato alla colonna”.

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SAN SEBASTIANO


L’esistenza di Palazzolo Acreide viene testimoniata già in epoca antica: «Acre e Casmene furono fondate dai Siracusani: Acre settant’anni dopo Siracusa. Anche la colonizzazione più antica di Camarina si deve attribuire ai Siracusani, circa centotrentacinque anni dopo che si fondò Siracusa; ne furono nominati ecisti Dascone e Menecolo.»

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PALAZZOLO ACREIDE LA RISCOPERTA DEL BAROCCO SICILIANO Città barocca dalle radici greche, situata nei Monti Iblei e non distante dal fiume Anapo e la Necropoli Rupestre di Pantalica. La cittadina fa parte del circuito dei borghi più belli d’Italia. Era una colonia siracusana fondata attorno al 664 a.C. (70 anni dopo la fondazione di Siracusa) dagli stessi siracusani. La città greca sorgeva sull’altura del monte Acremonte. Di notevole importanza storica e il santuario extraurbano di Cibele identificato dal marchese Paolo d’Albergo e successivamente fatto conoscere dal pittore francese Jean Houel che visitò Palazzolo nel 1777. «Di ritorno a Palazzolo, visitando le chiese, ho visto in quella di San Sebastiano un quadro di Santa Margherita. È di Vito d’Anna, pittore di Palermo, ed è una bella opera di questo abile maestro. La composizione e semplice vera, di estrema finezza nei colori e di grande stile. Sull’altare maggiore della chiesa dei Cappuccini, presso i quali alloggiavano, c’è un quadro di grande valore che rappresenta San Francesco mentre riceve le stimmate della Mano da Dio. A una bella espressione credo sia stato dipinto dal Monrealese.» Del periodo romano si conservano parecchie testimonianze tra queste ad esempio la base di una statua onoraria dedicata a Caio Verre intercettata da Gabriele Judica. In epoca tardo antica e cristiana la città accolse una numerosa comunità di cristiani e di ebrei che migrarono dopo l’editto del 18 giugno 1492 che espelleva dai domini spagnoli le comunità israelitiche. La città antica fu distrutta dalle truppe islamiche nell’827 si accamparono nei suoi pressi in attesa di occupare Siracusa.

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Impianto a croce latina ripartito in tre navate separate da quattro pilastri per lato con semicolonne sorreggenti cinque arcate. La volta della navata presenta un apparato pittorico con scene raffiguranti Martirio di San Sebastiano. Il perimetro della navata è contraddistinto da un elaborato cornicione con inferriata in ferro battuto smaltato.


SAN SEBASTIANO PALAZZOLO ACREIDE Una monumentale scalinata costruita nel 1877 (due rampe per un totale di 25 gradini) raccorda il piano stradale con il ballatoio - balconata su cui insistono i portali d’accesso alla basilica. La maestosa facciata barocca, realizzata in pietra giuggiolona, è ripartita su tre ordini divisi in tre corpi delimitati da lesene binate, un unico corpo centrale costituisce il terzo livello. Elaborati cornicioni e marcapiano dalle ricche modanature separano i livelli, ringhiere in ferro battuto proteggono i rispettivi camminamenti. I portali laterali sono delimitati da colonne scanalate sormontate da capitelli corinzi sormontati da timpani sovrapposti ad arco spezzato. Architravi con decorazioni fitomorfi e testa di putto intermedia ornano la cornice dei due ingressi. Finestre cieche con cornici mistilinee o occhialoni a cartiglio, (perimetro equivalente all’intersezione di un’ellisse e un rettangolo), sormontano i varchi d’accesso laterali. Il portale centrale presenta una coppia di leoni in pietra bianca scolpiti da Mario Diamanti, ideatore e realizzatore dell’intero prospetto, decorazioni in rilievo abbelliscono gli alti plinti delle colonne binate che presentano la parte inferiore del fusto arabescata. L’arco a tutto sesto dell’ingresso mostra putti nei pennacchi, architrave con motivi floreali sormontato da timpani sovrapposti spezzati. Costituisce vano intermedio la nicchia contenente la statua raffigurante San Sebastiano Martire. Il secondo ordine comprende grandi volute a vela di raccordo, alla base volute a ricciolo e controvolute. Nell’edicola è collocato il quadrante di un orologio. Il terzo ordine è costituito da un solo corpo centrale delimitato da pilastri acroteriali con cuspidi ad obelisco (piramidali). Chiude la prospettiva un’incastellatura in ferro battuto.

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SAN ANTONIO ABATE


Gli ambienti dell’aula presentano: un notevole apparato decorativo in stucco, un ricco ciclo pittorico costituito da affreschi e dipinti e un esemplare ciclo statuario in stucco accompagnato da preziose statue lignee. Sono 14 sculture in stucco raffiguranti allegorie delle virtù cardinali (Fortezza, Giustizia, Prudenza e Temperanza), virtù morali e virtù teologali (Carità, Fede e Speranza), di scuola serpottiana. Otto di esse sono collocate nell’aula sotto la cupola, tre coppie delimitano gli altari in ogni braccio.

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FERLA LA RISCOPERTA DEL BAROCCO SICILIANO Il nome “Ferla” compare per la prima volta nelle Decime Ecclesiastiche del 1275. Ma il primo vero documento è costituito dal testamento del barone Iohannes de Ferula, datato 1292. Da questa famiglia, che si sarebbe in seguito chiamata La Ferla, derivò il nome. Il borgo si formò attorno al castello ed era caratterizzato da un complesso di case-grotta e da un intricato sistema di vicoli e stradine. Le contrade vicine furono probabilmente abitate in epoca greca e romana; durante la tarda antichità e per tutta l’età bizantina il territorio di Ferla fu intensamente abitato da comunità dedite all’agricoltura e soprattutto all’allevamento. Per quanto riguarda la composizione urbana c’è da dire che Ferla, prima del terremoto del 1693, doveva avere un impianto planimetricamente irrazionale perché condizionato dalla notevole accidentalità del suolo su cui sorgeva l’abitato. Il paese si sviluppava sul piccolo pianoro che si estende dalla Matrice al Carmine e poi da qui scendeva seguendo le pareti scoscese che conducono a valle, in contrada “Ronco”. Il terremoto, cancellò per intero la cittadina medievale comportando la perdita di 800 abitanti. Da quella data in poi il centro abitato fu costruito più a Nord, da quello antico fu ripreso solo la parte in piano e quella ruotante intorno alla chiesa Madre e alla chiesa di San Sebastiano. Nelle zone scoscese, come è ancora oggi evidente grazie alla conservazione di un ampio complesso di ruderi a sud del quartiere Castelverde, l’architettura non fu più ricostruita a scopo abitativo anzi, in alcuni casi fu usata per ricavarne degli orti e delle stalle.

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L’interno presenta un impianto a croce greca con cappelle radiali. La crociera è sormontata da una cupola ottagonale decorata internamente con la raffigurazione del Trionfo di Sant’Antonio nei quattro continenti della Terra, apparato pittorico costituito da un sontuoso affresco realizzato da Giuseppe Crestadoro ripartito in quattro spicchi incorniciati da fregi e stucchi policromi attribuiti ad artista orbitante nella scuola del Serpotta, ornamenti plastici raffiguranti come soggetti principali i Quattro Evangelisti.


SAN ANTONIO ABATE FERLA L’esterno contempla una sinuosa e articolata facciata in stile barocco ibleo costituita da tre corpi concavi disposti lungo gli assi verticali, su quello centrale insiste il portale, i due laterali si contraddistinguono per la presenza di nicchie in ricche cornici e altrettante celle campanarie. La tripartizione dei primi due ordini è effettuata per mezzo di colonne ioniche con capitelli corinzi, collocate su massicci plinti, nella partizione centrale il movimento e la prospettiva concava è accentuata da coppie di colonne disposte ad emiciclo, peculiarità quest’ultima che caratterizza sia il vano del portale, sia l’area della grande nicchia a livello intermedio. Il portale, unico varco d’accesso del prospetto, è inserito nella concavità centrale fra la coppia interna di colonne, presenta un ornamento superiore a cortina sovrastato da timpano ad arco. Un variegato cornicione - marcapiano dalla articolata modanatura, decorato nella trabeazione da rilievi raffiguranti motivi geometrici, fitomorfi e antropomorfi, separa i primi due ordini. Al centro la grande nicchia con cornice, sulla superficie interna presenta riquadri e spicchi, in alto è sormontata da timpano ad arco spezzato. Chiude la prospettiva un grande timpano concavo sovrapposto e spezzato sovrastato da due imponenti pinnacoli a coppa o vasi fiammati acroteriali. Sulla sommità un grande pinnacolo piramidale recante decorazioni con volute, al vertice una grande croce apicale con raggiera in ferro battuto. Ai lati due grandi volute a ricciolo con festoni. Le celle campanarie il corpo sinistro gemello è rovinato a causa del terremoto di Messina del 1908 mai ricostruito.

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