Crescere con amore di Coccagna e Locatelli

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Antonella Coccagna Lorenzo Locatelli

EDUCAZIONE OLISTICA

Crescere con amore Una proposta educativa in chiave olistica

Prefazione di Enrico Cheli



Educazione olistica

Se arriva in tempo si chiama educazione, se arriva tardi si chiama terapia.


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Questo libro è stampato su carta ecologica riciclata prodotta con il 100% di carta da macero e senza l’uso di cloro e imbiancanti ottici. Carta certificata Blue Angel ed Ecolabel in quanto creata con un basso consumo di energia.

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CRESCERE CON AMORE Una proposta educativa in chiave olistica

Antonella Coccagna Lorenzo Locatelli

EDIZIONI


Š Copyright 2013 Edizioni Enea - SI.RI.E. srl I edizione maggio 2013 ISBN 978-88-6773-005-6 Edizioni Enea Sede Legale - Ripa di Porta Ticinese 79, 20143 Milano Sede Operativa/Magazzino - Piazza Nuova 7, 53024 Montalcino (SI) www.edizionienea.it - edizioni.enea@gmail.com Disegno in copertina e illustrazioni Federica Aragone Stampato e rilegato da Graphicolor, Città di Castello I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, informatica, multimediale, riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo, compresi microfilm e copie fotostatiche, sono riservati per tutti i Paesi.


Indice

Prefazione di Enrico Cheli

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Capitolo 1 – Società, educazione e cambiamento

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Capitolo 2 – Le basi dell’olismo Cambio di paradigma? Complessità, una questione di relazioni Evoluzione, ovvero i salti quantici della coscienza La triade corpo, anima e spirito L’ologramma, i frattali e l’isomorfismo: il tutto nell’uno La realtà: così è (se vi pare) La nostra conoscenza: separazione e unione

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Capitolo 3 – Riscoprire il valore dell’educare Educare: tirare fuori o condurre? La relazione e la relatività L’io, il tu e l’io-tu Ridiamo ai bambini la loro infanzia I bambini sono buoni? Diventiamo educatori consapevoli

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Capitolo 4 – Spunti per un’educazione olistica EDUCARE LE PARTI DEL BAMBINO

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Le intelligenze Consapevolezza, libertà e responsabilità Competenze e capacità La dimensione spirituale EDUCARE IL BAMBINO COME UN INTERO Esperienza Relazione Valori EDUCARE IL BAMBINO COME PARTE DI UN TUTTO EDUCARE IL BAMBINO IN DIVENIRE

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Capitolo 5 – L’educatore olistico

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Bibliografia

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Prefazione

Parlare di educazione olistica in un paese come l’Italia, dove non si riesce a far funzionare nemmeno l’educazione tradizionale, potrebbe sembrare utopistico. In realtà un’iniezione di olismo è proprio quello che ci vorrebbe per rinnovare e vivificare la scuola, l’università e i metodi educativi finora adottati, basati su una concezione separativa dell’essere umano e del mondo che mal si concilia con le nuove esigenze dell’umanità. Contrariamente a quanto si crede, l’olismo non è un approccio di nicchia, che interessa solo poche persone, ma un nuovo modo di vedere la realtà condiviso da milioni di persone: forse non tutte usano la parola “olismo” per definirlo, molte forse non lo definiscono in alcun modo, ma sono davvero tante quelle che ne condividono i principi e le finalità. Si pensi ad esempio alla visione degli ambientalisti e dei pacifisti secondo cui ciò che avviene nelle diverse zone del pianeta – dalla deforestazione dell’Amazzonia allo scioglimento dei ghiacci polari, dalle guerre in Medio Oriente ai conflitti in Afghanistan – non è separato e isolato dal resto del pianeta ma può avere notevoli e gravi ripercussioni anche in luoghi fisicamente lontani e su livelli anche molto diversi da quello di partenza. Ebbene, tale visione è indubbiamente olisti-


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ca, come è olistica quella sottostante al concetto di “qualità della vita” in quanto considera la felicità non come mero prodotto dell’avere economico ma come risultante dell’equilibrio globale tra i diversi bisogni dell’essere umano. È altresì olistica la visione delle medicine alternative, che considerano l’essere umano come sistema interdipendente, i cui organi non sono disgiunti gli uni dagli altri e la salute corporea non è separabile da quella mentale, emozionale, esistenziale e coscienziale (o spirituale). Ebbene, le persone che si rivolgono alle medicine alternative sono, solo in Italia, oltre dieci milioni, e quelle che condividono i valori della tutela dell’ambiente e della pace sono molto, molto più numerose. Pertanto considerare l’olismo e l’educazione olistica come temi di nicchia è sbagliato: essi sono anzi temi di vivida attualità, e libri come questo sono assolutamente necessari per aiutare le persone che già hanno, magari senza saperlo, un orientamento olistico, a comprenderne meglio lo spirito e i principi. Ciò è tanto più necessario in Italia, dove, a differenza che in altri Paesi occidentali, il termine “olistico” risente ancora di ignoranza, pregiudizi e disinformazione anche tra le persone colte. Vi è tuttavia una fetta consistente della popolazione che è ormai avvezza a tale termine e che anzi lo ricerca e lo apprezza: sono i cosiddetti creativi culturali, cioè i “creatori attivi di una nuova cultura”. Coniata negli anni novanta dal sociologo americano Paul Ray, questa etichetta descrive tutti coloro che manifestano un deciso atteggiamento critico nei confronti della cultura dominante – contrassegnata da materialismo, tecnocrazia, disumanizzazione, sviluppo economi-


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co illimitato, sfruttamento indiscriminato della natura, logica del profitto ad ogni costo, ecc. – e che ricercano e promuovono nuovi valori e nuove visioni del mondo volti a orientare in direzioni più sane, pacifiche ed ecosostenibili i rapporti con se stessi, con gli altri e con il Pianeta. Le prime ricerche svolte da Ray negli anni novanta indicavano che i creativi culturali erano tra il 23% e il 26% degli americani adulti, contraddicendo l’opinione diffusa tra i politici e gli studiosi che si trattasse solo di gruppuscoli minoritari. Analoghe ricerche svolte in Italia, Francia, Germania e Giappone tra il 2005 e il 2008 (e coordinate dal sottoscritto) mostrano che questo fenomeno non è confinato alla sola realtà statunitense, ma si estende anche ad altri paesi, rivelando uno scenario incoraggiante per tutti coloro che hanno a cuore l’evoluzione del genere umano e le sorti del pianeta. Illustrate nel libro di Enrico Cheli e Nitamo Federico Montecucco I creativi culturali. Persone nuove e nuove idee per un mondo migliore (2009), tali ricerche rivelano che gli individui sensibili ai suddetti valori oscillano tra il 60% e l’85% dell’intera popolazione adulta. Inoltre una parte consistente di essi mostra particolare coerenza e impegno, cercando di applicare tali valori nella propria vita quotidiana. Sono questi ultimi appunto che vengono definiti creativi culturali, la cui incidenza sulla intera popolazione adulta oscilla da un minimo del 30% (Giappone) fino a un massimo del 38% (Francia), con Italia e USA al 35%. Pur essendo costituita da individui e gruppi sociali diversificati, questa avanguardia culturale presenta alcuni aspetti comuni quali: sensibilità ecologica; attenzione


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alla pace e alla qualità delle relazioni interpersonali; interesse verso la crescita personale e/o spirituale; disinteresse per l’esibizione della posizione sociale; parità di diritti tra maschi e femmine; fiducia nella possibilità di una evoluzione positiva dell’individuo e della collettività. Inoltre, i creativi culturali hanno la tendenza a prendere le distanze dall’edonismo, dal materialismo, dal cinismo mentre danno molto peso ai valori dell’autenticità e dell’integrità. Per questa ragione, molti disdegnano la cultura del business, i media, il consumismo. Essi sono inoltre disincantati dall’idea di “avere più cose”, mentre mettono una grande enfasi nell’avere “nuove e uniche esperienze” e rappresentano il mercato centrale per le terapie e medicine alternative, i cibi naturali, la psicoterapia, i corsi e seminari di crescita personale, le nuove forme di spiritualità. Prediligono il consumo critico e si orientano all’acquisto e fruizione di prodotti culturali più che materiali: prodotti come questo libro, il cui pubblico di riferimento è senza dubbio costituito proprio dai creativi culturali. Dei molti ambiti cui può applicarsi la prospettiva olistica, Antonella Coccagna e Lorenzo Locatelli ne hanno scelto uno – l’educazione – che è forse tra i meno trattati ma allo stesso tempo tra i più cruciali. L’olismo è infatti un paradigma emergente – un modo nuovo e rivoluzionario di vedere la realtà – e come tale richiede, per essere compreso e applicato, il superamento dei rigidi confini posti dai modelli di pensiero finora dominanti. Nuovi modelli di pensiero possono scaturire (almeno su larga scala) solo da una nuova educazione ed è per questo che ho definito tale tema cruciale. Occorre a tal proposito considerare che la forma mentis


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della quasi totalità delle persone è stata finora imperniata sul paradigma meccanicistico-riduzionistico, quello sostenuto dalla scienza ufficiale sin dai suoi albori, nel seicento. Tale paradigma presenta però alcuni rilevanti limiti. In primo luogo esso tende a concettualizzare e rappresentare la realtà – esseri viventi inclusi – come un congegno meccanico, assumendo la meccanica, i suoi concetti e le sue leggi quale modello descrittivo ed esplicativo. In secondo luogo ritiene possibile ridurre ogni fenomeno complesso a fenomeni più semplici, spiegando il funzionamento dell’intero come mera somma delle parti: portato ai suoi limiti estremi, ritiene di poter ridurre il corpo umano a un insieme di processi bio-fisiologici, questi a processi chimici e spiegare infine questi ultimi con i processi fisici ad essi sottostanti. Tuttavia, mentre il funzionamento di una macchina può essere compreso smontandola e cercando il collegamento meccanico tra le diverse parti, non è possibile in questo stesso modo comprendere pienamente il funzionamento degli esseri viventi, né tanto meno ridare loro la vita a partire da singoli pezzi. Nel ventesimo secolo è emerso chiaramente in vari campi della scienza che tale procedimento non porta a un’effettiva comprensione dell’intero ma ne spiega solo alcuni aspetti, spesso neppure i principali. Ad esempio, in biologia si è visto che nel percorso evolutivo da organismi unicellulari a multicellulari e poi a organismi ancora più complessi emergono ad ogni passaggio proprietà qualitativamente nuove non presenti in nessuno degli organismi di livello inferiore né in alcun modo riducibili ad essi. In psicologia i teorici della Gestalt hanno rilevato come la percezione sensoriale di un qualsivoglia oggetto o fenomeno non sia riducibile


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alla somma delle sue parti costituenti ma metta in gioco sin dall’inizio uno schema percettivo correlato al tutto. Come osserva Fritjof Capra (1997): “La grande sorpresa della scienza del ventesimo secolo consiste nel fatto che non è possibile comprendere i sistemi per mezzo dell’analisi. Le proprietà delle parti non sono proprietà intrinseche, ma possono essere comprese solo nel contesto dell’insieme più ampio”. Ne consegue che è necessario un nuovo paradigma, capace di produrre non solo immagini settoriali e frammentarie ma anche una visione d’assieme di ogni realtà studiata – insomma una visione olistica. Tale visione è per ora assai poco considerata in campo educativo e difatti né a scuola né nelle università si insegna a studiare la realtà in modo olistico, a ricercare non solo le differenze ma anche le somiglianze tra i molteplici livelli e processi che la costituiscono, i punti di incontro e non solo quelli di scontro, le interconnessioni oltre alle separazioni. Quasi nessuno insegna agli studenti a prendersi cura dell’essere umano, della natura o della società nella loro totalità, prevalendo modelli teorici e strategie di intervento di tipo rigidamente settoriale. Inoltre, delle molte facoltà di cui si compone l’intelligenza umana – ben nove secondo lo psicologo americano Howard Gardner – l’istruzione occidentale ne privilegia solo due, l’intelligenza logico-matematica e l’intelligenza linguistica, trascurando tutte le altre. Oltre all’influenza dell’istruzione scolastica e universitaria si deve poi considerare che ogni individuo è nato e cresciuto in un ambiente sociale e culturale fondamentalmente gerarchico e patriarcale, pervaso da innumerevoli dualismi, strutture e concetti dicotomici, separazioni e


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antagonismi tra sessi, classi, razze, nazioni, religioni, ideologie, e, non ultima, da una visione dell’altro come potenziale nemico o schiavo da dominare e sfruttare. Non è un caso che in una civiltà basata da millenni su principi patriarcali come la stigmatizzazione delle differenze, la competizione per il potere, la legge del più forte e la guerra si sia affermata una scienza meccanicistica e riduzionistica. Parimenti, non è per caso che l’olismo sta emergendo nell’epoca attuale, contrassegnata dalla democrazia e da una nuova sensibilità per la pace, l’ambiente, i diritti umani, la qualità della vita, l’autoconoscenza e lo sviluppo del potenziale umano. Così come il riduzionismo si è affermato, dal seicento ai giorni nostri, grazie a una data forma mentis, anche l’olismo necessita di una sua propria forma mentis. Mentre però i presupposti del riduzionismo erano già in buona misura presenti nella cultura seicentesca in cui la scienza iniziò a svilupparsi, i presupposti olistici non sono ancora altrettanto diffusi nella cultura attuale, fatta eccezione per alcuni ambiti emergenti quali l’ecologia, gli studi per la pace, l’economia etica, la crescita personale, le medicine alternative, le terapie olistiche, le nuove forme di spiritualità, ecc. È però vero che tali ambiti sono in rapida espansione e che, come abbiamo visto in precedenza, sempre più persone – i cosiddetti creativi culturali – risultano sensibili ai nuovi valori che li contraddistinguono. Collocato in tale contesto questo libro assume un’importanza tutt’altro che trascurabile, e merita di incontrare sulla sua strada molti lettori, cosa non improbabile considerato che gli autori sviluppano l’argomento in modo davvero appassionato e competente, chiamando in causa


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argomenti complessi con un linguaggio accessibile e instaurando con il lettore un clima di piacevole complicità. Enrico Cheli Fondazione Holiversity San Marcello Pistoiese Aprile 2013

Enrico Cheli, psicologo e sociologo, è docente all’Università di Siena, di cui è stato ProRettore per la cooperazione, la pace e l’intercultura e Direttore della Scuola di dottorato di ricerca “Studi per la pace e risoluzione dei conflitti”, unica nel suo genere in Italia. È da anni un convinto promotore di una cultura di nuova concezione basata sull’autoconoscenza, la crescita personale, le relazioni consapevoli, la tutela della pace e dell’ambiente. È Presidente della Fondazione Holiversity per lo studio e lo sviluppo delle scienze e discipline olistiche (www. holiversity.it). È autore di numerosi libri tra cui: Relazioni in armonia (FrancoAngeli); Percorsi di consapevolezza (Xenia); I creativi culturali (Xenia); Olismo la scienza del futuro (Xenia); Come difendersi dai media (La lepre); L’epoca delle relazioni in crisi e come uscirne (Franco Angeli). Sito web: www.enricocheli.com


1. Società, educazione e cambiamento

A quale scopo la proposta di un’educazione olistica? Una domanda del genere non può che andare a braccetto con un’altra, preliminare e complementare: a quale scopo la proposta di una società olistica? Non c’è dubbio che il disagio, la crisi, la sofferenza, siano le molle che spingono verso il cambiamento, ed è altrettanto evidente che la realtà contemporanea è afflitta da ferite profonde e di varia natura. Che la si guardi dal punto di vista sociale, economico, politico, o da quello ambientale e culturale, la nostra situazione attuale appare insostenibile e i nostri schemi di pensiero e di azione, eredità e retaggio del nostro passato, risultano sempre più inadeguati a soddisfare le esigenze dell’uomo e dell’ambiente. Ma di quale presente parliamo? Di un presente complesso, problematico, addirittura contraddittorio. Di un presente frammentato e allo stesso tempo globalizzato, che vive di compartimenti stagni ed è però sintetico e integrato. Il mondo e la realtà sono sempre più interdisciplinari, ecumenici, interculturali, grazie ai traguardi raggiunti da scienze come la fisica e la psicologia, ma anche a causa di trasformazioni culturali, economiche e politiche che


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coinvolgono l’intero pianeta. Eppure l’uomo non sembra essersi accorto di tale cambiamento: la nostra rimane, e anzi diventa sempre più, la società dei settori disciplinari, dei sottosettori e dei sottosettori dei sottosettori. Proviamo a riassumere questo nostro presente individuando due parole chiave: globalizzazione e liquidità. Globalizzazione nel senso di quel fenomeno che tutti noi conosciamo e viviamo quotidianamente, che qualcuno ha cercato di combattere e arrestare, ma che arrestabile non è. Globalizzazione è la crescente interconnessione tra persone e luoghi, è la diffusione di modelli di produzione e di consumo, dunque di stili di vita e di culture. Globalizzazione significa Mac Donald’s, Ryanair, Disneyland. È la protesta urlata da migliaia di giovani contro governi corrotti e ingiusti, che in pochi mesi è diventata la protesta di un intero popolo, la primavera araba, e da lì ha oltrepassato i confini del Mediterraneo ed è diventata il grido di protesta di migliaia di giovani spagnoli, francesi e americani. Perché la globalizzazione non riguarda solo le merci, ma anche le idee, che viaggiano ormai in uno spazio e in un tempo rarefatti, virtuali. La globalizzazione, dunque, nel momento stesso in cui unisce, divide e localizza. È un fenomeno che di per sé non ha nulla di positivo né di negativo, sono le sue declinazioni a connotarlo in un modo o in un altro. Liquidità nel senso che non ci sono confini, non più e non solo tra spazi, tempi e persone, ma anche tra dimensioni intellettuali. Quella della società liquida è un’interessante metafora introdotta dal sociologo Zygmunt Bauman: liquidità significa che non si fa più differenza tra alto e basso, tra gossip e politica, tra intrattenimento e istruzione, tra pubblico e privato, tra sacro e profano.


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Liquidità sono i parlamentari che partecipano ai reality show e le veline che entrano in Parlamento, ma anche il Guggenheim che diventa un lussuosissimo albergo, o trasmissioni televisive per bambini come Art attack, che vogliono divertire e insieme insegnare. Se di fronte a questo presente globalizzato e liquido, dove non esistono più confini né fisici né intellettuali, dove il problema dell’inquinamento è questione che riguarda l’intero pianeta, dove l’incontro e lo scontro tra popoli diversi rendono l’intercultura esigenza e urgenza per tutti, dove ogni cosa è strettamente e profondamente legata a tutto il resto, se di fronte a questo presente ci fermassimo per un istante a riflettere, probabilmente avremmo come la spiacevole sensazione che per comprendere davvero il mondo e la vita ci manchi qualcosa. Avremmo la sensazione che il tutto sia, in effetti, qualcosa di più della somma delle singole parti. Ma l’uomo è sempre arrivato un po’ in ritardo sui ritmi del mondo che cambia, anche se di quei cambiamenti è attore protagonista. E allora come reagiamo a questo mondo sempre più interdipendente, sintetico, integrato ormai a livello planetario? Semplicemente restando ancorati ai nostri vecchi schemi di pensiero, al modo in cui abbiamo gestito la nostra vita e le nostre relazioni per quattro secoli e più, al paradigma che ha dominato la nostra società e della nostra società è stato forse specchio per molto tempo, ma che ora, a ben guardare, appare superato e inutile, se non dannoso. Si tratta del paradigma scientifico nato con Keplero, Galileo, Newton, Bacone e Cartesio. Di quella rivoluzione che, nel sedicesimo secolo, ci ha in parte traghettato verso la liberazione dalle tenebre della superstizione,


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del pregiudizio e del dogma, e verso il riconoscimento del valore inestimabile dell’uomo e della sua ragione. Parliamo della scienza moderna che è nata da un atto di ribellione contro il paradigma allora dominante in Occidente, il paradigma della metafisica, delle verità eterne e indiscutibili, che aveva governato il mondo durante tutto il Medioevo. Osservazione, sperimentazione, descrizione, oggettività, ma anche separazione: sono queste le parole chiave del nuovo paradigma. La nuova scienza sperimentale gridava con forza la propria autonomia dalla filosofia e dalla teologia, da una parte, e dall’altra lavorava per trovare le proprie fondamenta nell’esperimento e nella formulazione di teorie oggettive, alla ricerca di leggi naturali quantitative, in aperto contrasto con quelle di tipo qualitativo – metafisiche, teologiche e filosofiche – dominanti sino ad allora. Anche allora il nuovo paradigma ha impiegato secoli per affermarsi e non è stato un processo lineare né indolore, ma alla fine ce l’ha fatta, ed è diventato scheletro e cuore pulsante della società occidentale. A quale società ha dato forma il paradigma scientifico, meccanicistico e riduzionistico insieme? Alla società delle specializzazioni, o meglio delle iperspecializzazioni, che se da un lato ci hanno permesso di penetrare il dettaglio, di approfondirlo, sondarlo, scandagliarlo, dall’altro hanno isolato ogni fenomeno, oggetto, processo, essere vivente dal contesto in cui si trova immerso. Come in una grande fabbrica, dove ogni operaio ha mansioni precise e dettagliate e riesce a fare delle cose davvero notevoli, ma dove ognuno di questi lavoratori ha a malapena idea di ciò a cui sta lavorando. Pensia-


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mo alla medicina: i nostri medici sanno moltissimo su pochissimo. C’è il neuropsichiatra, il cardiologo, l’urologo, l’endocrinologo, l’andrologo, il ginecologo, l’oncologo, l’ortopedico, ma anche l’allergologo, l’angiologo, l’audiologo e l’auxologo, il geriatra, l’immunologo, l’istologo. Per non parlare poi del chirurgo generale, del cardiochirurgo, del chirurgo maxillo-facciale, di quello plastico, odontostomatologico, e la lista potrebbe continuare a lungo. Questa non è la medicina delle persone, ma la medicina degli organi. Ma è l’uomo a essere malato o uno dei suoi organi, delle sue funzioni? Non solo. Uno dei grandi drammi dei malati di oggi, almeno in Occidente, è la scoperta, nell’interminabile via crucis tra i vari studi di “specialisti”, che l’allergologo non sa nulla di endocrinologia, né l’immunologo di istologia o il ginecologo di neuropsichiatria. Perché? Perché la scienza moderna disegna la realtà come una grande macchina, e le sue componenti – tra cui l’uomo – come altrettanti dispositivi; il funzionamento della grande macchina e dei singoli dispositivi che ne fanno parte diventa, in questa prospettiva, solo la somma dei funzionamenti delle parti che le compongono. La società plasmata dal paradigma meccanicista-riduzionistico non è solo la società delle specializzazioni. Considerare oggetti e fenomeni come congegni meccanici e ridurli a una somma di elementi isolati ci ha fatto perdere gli equilibri naturali della vita, con effetti disastrosi per tutti gli uomini e per l’intero pianeta. Studiando principalmente “oggetti”, il modello meccanicistico ha limitato gli uomini nelle loro possibilità di conoscere la realtà, poiché non poteva spiegare relazioni e processi con un’elevata complessità, come, ad esempio, l’essere


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umano. Perdere la visione d’insieme ha significato partorire una scienza “senza anima” e “senza etica” in nome della quale abbiamo permesso, e ci siamo permessi, di devastare gli ecosistemi, inquinare acqua, aria e terra, sfruttare indiscriminatamente le risorse naturali e provocare molti altri squilibri. Abbiamo perso tanto tempo dietro invenzioni, innovazioni, ricerche, scoperte, troppo spesso considerandole fini a se stesse, sganciate dal contesto, autosufficienti. Abbiamo eletto la dicotomia regina della nostra mente, sicuri della benedizione di Cartesio: materia contro coscienza, mente contro corpo, maschio contro femmina. Facciamo attenzione, però: ciò non significa che la scienza moderna, il paradigma meccanicista-riduzionistico, sia la rovina dell’umanità. Il mondo evolve, vive degli stadi, è sempre stato così e sempre sarà così. Attraverso la rivoluzione scientifica, quattrocento anni fa, l’uomo si è liberato dalla schiavitù di una religione che era diventata superstizione e dogma, da una metafisica che aveva paralizzato la mente. Ha scoperto la luce chiarificatrice della ragione, ha compreso il valore dell’osservazione, del confronto, della verifica. Ha varcato le porte di una nuova era e, come per ogni grande cambiamento, si è evoluto. E ha dato vita alla società degli statinazione, dei diritti, della democrazia e della tecnologia. Tutte grandi conquiste. Non ha senso proporre il nuovo mentre si rinnega il vecchio. Non ha senso considerare la tecnologia, ad esempio, come un nemico che ci divide da noi stessi e dalla natura. La tecnologia fa parte della natura e della cultura dell’uomo in quanto emanazione della sua intelligenza – non è né utile né dannosa, ma solo uno strumento.


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Il problema, lo ripetiamo, non è la tecnologia – come non lo sono gli stati-nazione, i diritti umani e la democrazia – ma sono gli occhiali. Abbiamo scoperto la potenza dell’energia dell’atomo, ci siamo guardati intorno e l’unico modo che abbiamo trovato per servircene sono state le bombe. Abbiamo costruito i computer, utili aiutanti dell’uomo, ma l’uso più massiccio che abbiamo pensato di farne è stato istupidire, rafforzare pregiudizi, favorire il consumismo. Abbiamo dato vita a internet, uno strumento in grado di unire e connettere il mondo intero, ma non abbiamo trovato altra strada per il web se non quella dell’alienazione e della solitudine. La tecnologia come emanazione dell’uomo, abbiamo detto. Dunque suo potenziamento. Quale altro scopo ha infatti se non quello di moltiplicare la sua capacità percettiva? Un microscopio, ad esempio, non è altro che un occhio potentissimo, così come lo sono un telescopio, un radar o i raggi x. Percepiamo di più, quindi. Anzi: possiamo a ben ragione sostenere che abbiamo sviluppato la nostra percezione – ciò che chiamiamo tecnologia – a livelli incredibili, grandiosi. Ma il motore che ci ha spinto è sempre stato la scienza moderna – ovvero il paradigma riduzionista e meccanicista, così non abbiamo fatto altro che assemblare affinatissimi strumenti di osservazione per i nostri laboratori. Abbiamo dimenticato che dopo l’osservazione arriva il momento di agire. Ora è giunto il momento di elaborare strumenti di azione e di pensiero altrettanto affinati, efficaci, che siano all’altezza delle nostre potenziate capacità di osservare il mondo. Senza questo secondo passo la tecnologia – cioè i nostri sensi all’ennesima potenza – non può fare altro che amplificare la nostra


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mancanza di valori, ed essere di conseguenza fonte di continua sofferenza. Perché dobbiamo continuare a soffrire? Il mondo si sta trasformando, e ostinarsi a guardarlo attraverso le lenti del paradigma riduzionistico e meccanicistico, a dispetto della sua evidente inadeguatezza, risulta immotivato, e non può che condurci all’autodistruzione. Ecco dove nasce la proposta di una società olistica. Dall’esigenza di foggiare nuove lenti per un nuovo mondo da guardare in un nuovo modo. Abbiamo creato una società ecumenica, interdipendente, interdisciplinare e interculturale, complessa e profondamente vulnerabile. Il paradigma finora dominante non è più capace di mettere ordine in questa complessità e di gestire le tante fragilità che la contraddistinguono. Insomma, dobbiamo diventare persone in grado di vivere la realtà che ci troviamo di fronte: persone unificate, integrate, complete, interdipendenti anche noi. Abbiamo bisogno di una visione del mondo che ci permetta di vedere la realtà in modo sistemico e globale, considerando tutti i fenomeni, tutti gli oggetti, tutti i processi e gli esseri viventi nelle loro molteplici interazioni. Che ci permetta di avvicinarci al malato non come a un sistema circolatorio inefficace, o a un cuore affetto da insufficienza, o a un polmone con ascesso, ma come a un uomo, un uomo nella sua dimensione fisica, biologica, psichica, linguistica, sociale e spirituale. Abbiamo bisogno di una visione del mondo che unisca materia e coscienza, mente e corpo, maschio e femmina. Che torni a collocare l’essere umano al centro delle problematiche mondiali. Abbiamo bisogno di una visione del mondo olistica. L’educazione non è che lo strumento, primo e principale, attraverso cui questo nuovo paradigma, il paradig-


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ma olistico, può affermarsi e traghettare l’uomo verso le inevitabili evoluzioni che lo attendono. Così come non possiamo pretendere di sopravvivere conservando le lenti del paradigma scientifico sperimentale, allo stesso modo non possiamo illuderci di educare le nuove generazioni affidandoci ai modelli educativi tradizionali, basati sull’idea di una tendenziale solidità e immutabilità della società, e pensati per formare e mantenere gli stati nazionali. Questi modelli, nati sotto gli auspici dell’illuminismo e consolidatisi durante il diciannovesimo secolo, presupponevano che esistesse un ordine del mondo comprensibile e quindi anche un patrimonio di conoscenze fisse e sicure trasmissibile da una generazione all’altra e da maestro ad allievo. Insegnavano a scomporre, a frammentare, a opporre un fenomeno all’altro, il buio alla luce, il giorno alla notte, il bianco al nero. La nuova educazione, l’educazione olistica, comprende la persona nella sua interezza, considerando le sue diverse dimensioni – biologica, fisica, psichica, sociale, emotiva e spirituale – in una prospettiva di integrazione e interdipendenza, ma non solo. Vuole raggiungere la fusione tra teoria e pratica, l’equilibrio tra presente, passato e futuro, l’integrazione delle conoscenze, affinché al particolarismo dell’istruzione si sostituisca una visione planetaria delle cose. La formazione di uomini interi e unificati, che vivano in un mondo unico e totale, è ora, più che un auspicio, una necessità urgente.



2. Le basi dell’olismo

Cambio di paradigma? È tempo di passare dal paradigma riduzionistico e meccanicistico a un paradigma olistico, si è detto. Ma procediamo con ordine. Prima di tutto, cerchiamo di capire cos’è un paradigma. Un paradigma è un modello di riferimento, un insieme di teorie, una visione del mondo. Un occhiale, insomma. Lo storico della scienza e filosofo Thomas Kuhn (19221996), autore del libro La struttura delle rivoluzioni scientifiche, ci ha suggerito che la conoscenza umana si sviluppa di paradigma in paradigma, passando da una concezione della realtà a un’altra, modificando il quadro di pensiero, le teorie e le leggi predominanti. Come dire, a seconda degli occhiali che indossi vedrai il mondo sotto una luce diversa. Per dimostrare come un cambio di paradigma può far sì che una persona veda la stessa informazione in un modo diverso, Kuhn utilizza l’illusione ottica riportata di seguito.


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Di cosa si tratta? Di un’anatra o di un coniglio? Semplice: dipende dal punto di vista. Ecco, il paradigma è un punto di vista, condiviso da una società intera in un determinato periodo di tempo. Cambiare paradigma significa quindi cambiare modo di concepire la realtà, il mondo, la vita. E passare da un paradigma riduzionistico e meccanicistico a uno olistico significa – sostiene lo psicologo e sociologo Enrico Cheli nel suo libro Olismo. La scienza del futuro – smettere di pensare “per separazione” e iniziare a pensare “per unione”. Fino a pochi decenni fa il paradigma riduzionistico e meccanicistico era la nostra lente, il nostro unico modo di vedere e vivere la realtà. Ora un nuovo paradigma, un nuovo modo di interpretare il mondo, di pensare noi stessi e ciò che ci circonda sta acquisendo una credibilità sempre crescente. La storia ci chiede, anzi ci urla, di vedere noi stessi e il mondo intorno con occhi nuovi. E indossare le lenti dell’olismo può aiutarci a cercare le risposte alla devastante crisi che stiamo vivendo. Siamo di fronte a un incredibile momento della nostra civiltà: abbiamo prodotto un’evoluzione tecnologica senza precedenti, abbiamo adottato concetti avanzati sui diritti umani, sulla giustizia


Le basi dell’olismo

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e sul rispetto. Eppure viviamo nel rischio imminente di distruggere noi stessi e il pianeta che ci ospita. Abbiamo sviluppato una capacità unica di ferire le persone che amiamo, di essere in guerra con noi stessi e con gli altri; ci mancano il senso e la direzione nella nostra vita, ci troviamo ad affrontare battaglie dolorose e inutili e offriamo spiegazioni intelligenti e giustificazioni per tutto questo. Il modello olistico intende mostrare una nuova strada da percorrere per il genere umano. Ciò non significa rinunciare a tutto quello che si è fatto e scoperto fino ad oggi. Per essere veramente olistico, questo paradigma deve necessariamente includere anche la visione riduzionistica. Una proficua evoluzione culturale e scientifica può nascere solo da un’integrazione di questi due punti di vista, sostiene sempre Enrico Cheli, secono il quale entrambe le visioni sono legittime, ma con una validità relativa: ad esempio in un mondo sociale “semplice” e lento, come poteva essere quello del diciannovesimo secolo, la scienza riduzionistica e meccanicistica poteva fornire lenti adeguate, mentre in una realtà complessa e dinamica come quella di oggi occorre indossare le lenti dell’olismo, per cogliere relazioni e connessioni. E ancora: nell’universo dell’inanimato il paradigma riduzionistico e meccanicistico può essere ancora valido, mentre nel campo del vivente dobbiamo passare al paradigma olistico, per comprenderne meglio la complessità e l’interdipendenza. E infine: la visione oggettiva della scienza moderna, con il suo cogliere e differenziare le caratteristiche individuali delle singole componenti di un sistema, dovrebbe integrare e completare la visione processuale della scienza olistica e il suo afferrare le interazioni e i collegamenti tra i diversi elementi all’interno di un contesto.


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Ritorniamo ora all’olismo, cercando di indagarlo più a fondo. Sulla scia di Jan Smuts, il filosofo e politico sudafricano che per primo utilizzò questo termine nel 1926, diamo alla parola “olismo” tre connotazioni. Si tratta prima di tutto di una legge naturale che suona più o meno così: il tutto è maggiore della somma delle singole parti. Cosa significa? Che le relazioni tra le parti sono più importanti delle parti stesse. Olismo significa poi che da sistemi semplici – non parliamo mai di unità indivisibili – si originano sistemi più complessi; da questi prendono vita sistemi ancora più complessi, e così via fino a passare dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Infine olismo, lo abbiamo già detto, è anche un nuovo modo di guardare e studiare la realtà, alternativo a quello meccanicistico-riduzionistico della scienza moderna. Lenti nuove per guardare il mondo con occhi nuovi, insomma. Riassumendo, quindi, le tre connotazioni che possiamo dare al termine “olismo” sono: 1) una legge naturale che ci dice che il tutto è maggiore della somma delle parti; 2) una legge che ci dice che da sistemi semplici si originano sistemi sempre più complessi; 3) un nuovo modo, globale, di guardare la realtà. La nostra ricerca procederà cercando di delineare gli elementi principali di questo modello, considerando anche che negli ultimi decenni sono emersi movimenti, filosofie, gruppi, ricerche che rifiutano la logica del materialismo e della frammentazione e tendono a una visione più unitaria del mondo e dell’uomo. Pensiamo alle medicine alternative, all’ecologia, alle nuove forme di spiritualità, ai diritti umani, all’economia etica, ecc.


4. Spunti per un’educazione olistica

Fatte le necessarie premesse, possiamo ora entrare nel vivo, tuffarci nel mare affascinante e misterioso cui abbiamo dato il nome di “educazione olistica”. In queste pagine non offriamo un metodo, un modello, delle istruzioni per l’uso. Mettiamo insieme le nostre ricerche, le nostre riflessioni e le nostre esperienze per fornire degli spunti che non vogliono essere né esclusivi, né esaustivi. E anche questi spunti, ne siamo consapevoli, sono parziali e rappresentano uno tra i molteplici punti di vista che si potrebbero adottare per descrivere una realtà estremamente vasta e complessa come quella dell’educazione globale del bambino. Ricordiamolo: nella nostra lingua olismo fa rima con integrazione. Senza rimanere incastrati nelle catene delle definizioni, delle etichette, continuiamo a integrare l’olismo presente in tanti pedagogisti che abbiamo incontrato e studiato nel nostro percorso: ognuno di questi ha strutturato un metodo che rispecchiava il proprio sentire e punto di vista. I nomi sono tanti: Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), Friedrich Wilhelm August Fröbel (1782-1852), John Dewey (1859-1952), Rudolf Steiner (1861-1925), Maria Montessori (1870-1952), Alexander Neill (1883-1973),


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Jiddu Krishnamurti (1895-1986), Loris Malaguzzi (1920-1994), don Lorenzo Milani (1923-1967), Sathya Sai Baba (1926-2011). Nessuno di loro, immaginiamo, avrebbe desiderato che il proprio “metodo” diventasse bibbia e dogma, partito, manifesto di un esercito arroccato dentro le proprie convinzioni e chiuso al nuovo, al diverso. Alla critica. La pedagogia è sempre più un campo di battaglia in cui ogni esercito cerca di difendere le proprie posizioni. Non può, non deve esserlo. Per questo sventoliamo la bandiera dell’integrazione. Per questo riteniamo che ogni metodo olistico sia interessante, e che nessuno incarni la verità assoluta. Non vogliamo difendere o promuovere questo o quel modello, ma un tipo di approccio all’educazione, mantenendo un punto di vista problematico e plurale. Franco Frabboni, maestro della pedagogia italiana, ha scritto in proposito parole sacrosante: Il firmamento metodologico/didattico che dà luce alla scuola militante è punteggiato di stelle fulgidissime. Lasciamole brillare tutte, perché possano – una volta di più – illuminare a giorno il cielo della scuola.

E allora, nelle prossime pagine, cercheremo di proporre un’analisi trasversale, andando a ricercare quegli elementi che, in questi pedagogisti, rispecchiano un approccio olistico all’educazione. Cercheremo di delineare un metamodello educativo che possa rivelarsi utile a orientarsi tanto in famiglia quanto in una scuola ormai giunta all’urgenza della svolta e del cambiamento. Parlare di educazione non è affare da poco. Parlare di educazione olistica, poi, lo è ancor meno. L’educazione


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è vita, e cercare di forzarla all’interno di categorie e suddivisioni non è di nessun aiuto; ma di educazione si deve pur parlare, nonostante sia impresa ardua e pericolosa. E parlare significa ricorrere al linguaggio, dunque a quelle etichette che chiamiamo parole – e che, si sa, non fanno altro che dividere, suddividere, separare. Cercheremo di utilizzare queste etichette senza trasformarle in gabbie, e attraverso queste etichette descrivere un’educazione, o meglio un metamodello educativo, che sia olistico e globale. Immaginiamo questa educazione come un albero con quattro rami. Quattro rami, sì, ma uno stesso tronco, non dimentichiamolo: a quei quattro rami il compito di equilibrarsi a vicenda, completarsi e compensarsi. E quei quattro rami sono le quattro grandi strade che un approccio globale all’educazione dovrebbe percorrere – sempre parallelamente: 1) educare interamente il bambino, quindi tutte le sue parti; 2) educare il bambino come un intero, quindi non come una somma di parti; 3) educare il bambino come parte di un tutto (società, ambiente, famiglia, ecc.); 4) educare il bambino in divenire. Può sembrare una grande contraddizione, ma non lo è. L’educatore deve cogliere e valorizzare le diverse facce di un bambino, senza però mai perderlo di vista come un intero unico e inscindibile. Unico, ma non isolato, perché – lo abbiamo già ricordato – inserito in un sistema, così come ogni altro organismo, dall’atomo alla cellula all’animale.


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EDUCARE LE PARTI DEL BAMBINO Sorge ovvia, a questo punto, una domanda: quali parti? Quali sono o quali possono essere le diverse dimensioni che costituiscono il bambino – e ogni uomo – e che ci danno l’unità con cui l’adulto si relaziona? È indispensabile saperlo, se vogliamo educare un bambino o un ragazzo in maniera globale. Le intelligenze Sarebbe bene dismettere quel sostantivo tanto sventolato, ostentato, agognato dagli educatori di questa nostra triste epoca: “intelligenza”. O meglio, sarebbe bene dismettere il suo uso al singolare. Di intelligenza non ne abbiamo una, ma molte. E sono tutte indispensabili per comprendere il mondo, per manipolarlo allo scopo di soddisfare i nostri bisogni fisiologici, psicologici, sociali e spirituali. Ma nel lungo sforzo che l’uomo ha fatto per scomporre e dividere, a forza di tagliare, sezionare, analizzare, ha perso per strada qualche pezzo. Così di intelligenza ce n’è rimasta una sola, quella razionale – perché solo quella ammetteva il paradigma riduzionista e meccanicista. Le altre le abbiamo ignorate, calpestate, seppellite. Non ci sorprenda dunque il ritrovarci a chiederci interdetti: ma Gianni è così intelligente, anzi è la persona più intelligente che conosco; perché allora non è riuscito a ottenere quello che desiderava? Senza le intelligenze – tutte le intelligenze – l’uomo non è in grado di elaborare un proprio progetto di autorealizzazione personale e trovare il proprio posto nella vita.


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Lo psicologo statunitense Howard Gardner, nel suo libro Formae mentis. Saggio sulla pluralità delle intelligenze, descrive una pluralità di intelligenze, tutte importanti al fine di uno sviluppo armonico della persona. Gino Aldi, dal canto suo, propone, semplificando, le seguenti: • intelligenza razionale; • intelligenza fantastica; • intelligenza emotiva; • intelligenza corporea; • intelligenza sociale. Ci sembra ovvio, ma è bene ricordarlo, che puntare sulla sola intelligenza razionale, come avviene nelle scuole pubbliche, non può portare a nessun risultato se non a quello di distruggere la persona e il suo sviluppo, che deve necessariamente compiersi in modo armonico e globale. Ecco perché Gianni è infelice, insoddisfatto, e nonostante le sue indubbie capacità non è riuscito a raggiungere la meta. Il nostro amico ha una razionalità superiore alla media, ottime doti di intellettuale, o di matematico, o anche di fisico. Ragionamenti che non fanno una piega, argomentazioni di ferro, finissima capacità di osservare, descrivere e spiegare i fenomeni che lo circondano. Quando parla incanta con la coerenza e la linearità delle sue osservazioni, con l’acume, l’arguzia e la sottigliezza della sua logica. Intelligenza razionale perfettamente sviluppata, dunque. Un genio, dicono in molti. Ma Gianni, o i suoi educatori, hanno dimenticato che l’intelligenza non è una sola. Così questo genio infelice è un analfabeta totale in fatto di emozioni. Ha una rabbia repressa che non riesce a individuare, riconoscere


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ed esprimere. La sente ma non sa darle un nome, ne ha paura, e reagisce tentando di tenere tutto sotto controllo. Ma la rabbia da qualche parte deve uscire, e colpisce il corpo. Il corpo si ammala, Gianni si informa, studia, esamina, osserva. E soffre. Tenta di tenere sotto controllo anche la malattia del fisico, non ci riesce, va in tilt. Anche il linguaggio del corpo per Gianni è uno sconosciuto. Descriviamo brevemente le intelligenze attraverso le parole di Gino Aldi: L’intelligenza razionale ci permette di conoscere la realtà in termini di verità. Essa risponde all’esigenza di costruire sistemi esplicativi coerenti e funzionali. Insegnare ai bambini a osservare la realtà, a svolgere classificazioni, seriazioni, inferenze logiche, è fondamentale per garantire loro la capacità di costruire teorie che sappiano spiegare il mondo in termini di funzionalità. I bambini devono imparare a costruire teorie sulla base delle proprie esperienze, a confrontarle con i fatti, a modificarle per renderle più funzionali, a utilizzarle per manipolare in modo costruttivo la realtà. È quello che otteniamo esercitando questa potenzialità del bambino. L’intelligenza della fantasia o analogica ha un valore estremamente importante perché attraverso il pensiero fantastico le persone danno forma a intuizioni che non hanno ancora raggiunto la chiarezza della codificazione razionale o si esprimono con sensazioni ed emozioni in una modalità polivalente, condensando più significati in un’unica immagine o simbolo. Il pensiero analogico ha una grande importanza per lo sviluppo della nostra cultura; basti pensare alle discipline artistiche, che attraverso diversi linguaggi, hanno raccontato le vicende dell’umanità con intuizioni e sensibilità insuperabili. […] Pensiamo che dobbiamo educare i bambini a essere capaci di


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usare il proprio pensiero analogico. Lo facciamo potenziando la capacità di utilizzare le immagini che del pensiero analogico sono l’elemento base. Possiamo creare immagini attraverso la narrazione, il disegno, la manipolazione della materia, l’espressività corporea. […] L’intelligenza emotiva è fondamentale perché ci consente di connotare la realtà in termini di vissuti positivi o negativi. Per orientarci nel mondo non possiamo affidarci solo alle valutazioni della fredda e calcolata razionalità, ma dobbiamo ascoltare anche il nostro cuore. “Il cuore ha ragioni che la nostra ragione non conosce” diceva il filosofo Pascal, e non c’è cosa più vera. Le scelte della nostra vita devono prendere in seria considerazione il modo in cui connotiamo emotivamente la realtà. […] La vita emotiva ha una sua logica che, se non compresa, può andare in contrasto con la logica della fredda razionalità, creando non pochi disagi. […] Per queste ragioni occorre insegnare ai bambini il linguaggio delle proprie emozioni: riconoscerle, comunicarle, esprimerle in modo retto, prenderle in considerazione nel momento in cui si sceglie. […] Le emozioni esistono in un corpo e attraverso il corpo diventano visibili. Valorizzare la corporeità significa porre al centro del nostro interesse educativo un elemento essenziale per lo sviluppo sano del bambino, perché l’esperienza corporea è la più primordiale delle esperienze. Le moderne ricerche scientifiche ci confermano che mente e corpo sono unità inscindibili. Valorizzare la corporeità significa dare valore a esperienze primarie su cui si fonda il nostro rapporto con il mondo, con le persone, con noi stessi. Consapevoli di tutto ciò, lavoriamo con i bambini affinché sappiano fare esperienza di un corpo armonico, capace di vivere in maniera adeguata la motricità, la coordinazione, lo schema corporeo, il tempo e lo spazio, ma anche di essere fonte di soggettività attraverso la let-

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tura corretta delle proprie emozioni, e di interpersonalità attraverso la lettura delle emozioni altrui.

Facciamo attenzione, però. Le intelligenze studiate da Gardner o quelle sintetizzate da Aldi sono alcuni dei possibili approcci al tema delle diverse dimensioni di un essere umano. Si vuole sottolineare qui che non sono le uniche e che è giusto che ogni realtà trovi il suo linguaggio e si strutturi utilizzando le categorie che sente più vicine. Ci sarà chi si troverà a proprio agio con le intelligenze multiple e chi, ad esempio, simpatizzerà con i navajo, un popolo nativo americano, che osserva e nomina le intelligenze adottando un altro punto di vista: • ciò che dà direzione alla vita, quindi l’eccellenza di cuore e mente; • ciò che permette di sostenersi e che ha a che fare con l’autosufficienza, l’indipendenza e il contributo che viene dato alla famiglia e alla società; • le relazioni e i legami con gli altri; • la reverenza e il rispetto per la natura di cui facciamo parte. I navajo non appartengono a una scuola di pensiero diversa da quella di Gardner. Semplicemente guardano la stessa realtà da un altro punto di vista, o dicono la stessa cosa con altre parole, o, ancora, attaccano agli stessi fenomeni altre etichette. Possiamo osservare da una pianura o dalla cima di una montagna: l’importante è osservare a trecentosessanta gradi. Solo così potremo permetterci di realizzare una vita piena.


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Consapevolezza, libertà e responsabilità Accanto alle intelligenze ci sono altre dimensioni, altri livelli da esplorare, cogliere, illuminare e valorizzare se vogliamo guardare ai nostri figli, ai nostri alunni, ai nostri giovani con occhio olistico. Tre parole d’ordine sono fondamentali per il nostro futuro e per quello dei nostri bambini: consapevolezza, libertà e responsabilità. Enrico Cheli definisce la consapevolezza come “la capacità di prestare attenzione cosciente a ciò che esiste e accade dentro e fuori di noi, interpretandolo correttamente”. Non è così scontato come sembra. Essere consapevoli dei nostri bisogni è fondamentale per cercare di soddisfarli. Essere consapevoli delle nostre emozioni è fondamentale per imparare a gestirle. La consapevolezza è il primo passo per vivere in equilibrio, per non farci sopraffare da un torrente di sensazioni a cui non sappiamo dare un nome. Consapevolezza è ascoltare noi stessi. Osservare noi stessi. Sentire noi stessi. Occorre che diventiamo consapevoli non per sopprimere, ma per incanalare, amministrare, ponderare. Possiamo cadere prede della paura o della rabbia, o avere una gran voglia di trasgredire una regola; ogni emozione è sacrosanta, ogni bisogno è legittimo – ma ciò non significa che sia legittimo e sacrosanto dare voce a qualsiasi emozione a qualsiasi bisogno. Torniamo a Gianni: da decenni non è consapevole di nutrire una rabbia crescente per la morte di sua madre. Non né è consapevole, non la sente, quindi non la riconosce. Dunque non si prodiga per gestirla, guarirla, lenirla. Ogni volta che si rivolge ai suoi fratelli urla, gesticola, sbuffa, offende, ma se qualcuno gli chiede cos’ha,


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Gli autori del libro, oltre a proporre approfondimenti teorici relativi all’educazione olistica, sono impegnati in un progetto concreto, una scuola in cui si attuano i principi esposti in queste pagine. L’esperienza nasce nel 2011 in provincia di Siena, a Montalcino, da un gruppo di genitori, educatori e altre persone sensibili al tema dell’educazione e spinti dalla convinzione che la società non stia dedicando sufficiente cura e attenzione ai bambini, con gravi conseguenze per tutti. L’obiettivo perseguito è quello di tornare a occuparsi dei bambini attraverso la proposta di esperienze rispettose del loro sviluppo. Nasce così “La casa dei bambini”, in onore della prima scuola fondata a Roma da Maria Montessori; si tratta di un’associazione di promozione sociale senza scopo di lucro che cerca di costruire spazi e progetti realmente a misura di bambino, in contrapposizione al dominante approccio adulto-centrico. La scuola familiare al momento accoglie bambini dai 3 ai 6 anni, ma si propone l’obiettivo di offrire un percorso che comprenderà anche la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, dando continuità all’esperienza iniziata. www.lacasadeibambinimontalcino.org



EDUCAZIONE OLISTICA

Questa collana vuole raccogliere le esperienze più significative nel campo dell’educazione per essere di aiuto a genitori, insegnanti, educatori e terapeuti. L’approccio olistico garantisce non solo un’attenzione alla globalità della persona nei suoi tre piani antropologici: fisico, psichico e spirituale, ma anche all’ambiente in cui essa si trova a vivere. L’ambiente è inteso sia come luogo di relazioni e affetti, quindi ambiente sociale, sia come luogo fisico in cui spazi, forme, colori e materiali sono parte integrante dell’educazione.

L’educazione e la scuola stanno vivendo una profonda crisi e ci chiedono nuove proposte. Dall’integrazione di modelli antichi e nuovi nasce una visione dell’educazione che dilata i propri orizzonti, guarda all’infanzia e al mondo come a degli universi multisfaccettati, dinamici e interdipendenti. In una parola un’educazione olistica. Nell’epoca del fare – dei metodi, dei programmi, delle istruzioni per l’uso – questo libro lancia a genitori e insegnanti un nuovo invito: a esserci.

ISBN 978-88-6773-005-6

Antonella Coccagna si laurea in Mediazione linguistico-culturale, specializzandosi in arabo. Dopo varie esperienze all’estero nella cooperazione internazionale si dedica all’educazione. Dal 2012 insegna in una scuola familiare a Montalcino seguendo un approccio globale al bambino. Lorenzo Locatelli si laurea in Filosofia e in Scienze dell’Educazione e della Formazione. Approfondisce argomenti legati a salute, crescita personale ed educazione secondo un approccio olistico. Nel 2005 fonda le Edizioni Enea. Nel 2011 con alcuni genitori fonda a Montalcino una scuola familiare in cui si attuano i principi dell’olismo. EDIZIONI

9 788867 730056

€ 16,50

www.edizionienea.it


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