I fondamenti della relazione di Gino Aldi

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I dellafondamentirelazioneGinoAldiComeconoscereeincontrarel’altroNuovaedizione

Ha scritto Riscoprire l’autorità, Costruttori di speranza, Educare con le fiabe, ed è coautore del volume Un’altra scuola è possibile (tutti pubblicati dalle Edizioni Enea).

Sapersi accoglierli,Impararerelazionareastaremacompresisonoappresel’acquisizioneQuestolibroconl’altro,piùefficaciper

Gino Aldi, medico-chirurgo, si laurea presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II nel 1990. Si specializza in psicoterapia presso la SIPI (Società Italiana di Psicoterapia Integrata). Dal 1991 svolge l’attività di psicoterapeuta dell’individuo, della coppia e della famiglia.

Ha fondato Zetesis, una cooperativa sociale che promuove la ricerca in ambito educativo e la prevenzione del disagio psicologico. È formatore per insegnanti e genitori.

In copertina: © TairA / shutterstock € 18,00

I Comedellafondamentirelazioneconoscereeincontrarel’altro

Gino Aldi

ISBN 978-88-6773-116-9

Art Direction: Camille Barrios / ushadesign Stampa: Graphicolor (Città di Castello)

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di quest’opera può essere riprodotta in alcuna forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore, a eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.

© 2022 Edizioni Enea - SI.RI.E. srl

Questo libro è stampato su carta che proviene da foreste ben gestite, foreste certificate FSC® e da altre fonti controllateQuesto libro è stampato su carta che proviene da foreste certificate FSC® e da materiali riciclati

I edizione ottobre 2013 II edizione settembre 2022

Edizioni Enea Ripa di Porta Ticinese 79, 20143 Milano info@edizionienea.it - www.edizionienea.it

Ad Antonio De Carlo, dettouomo“Peppino”,silenzioso ma di grandi virtù relazionali.

A mia madre Rosa, la cui malattia spinge a nuovi modi di stare insieme.

A Davide e Matteo, perchécresciamorelazionandociinsieme.

Lo stadio riflessivo LibertàIlSimbolico-spontaneosensodellaveritàeresponsabilità

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L’uomo cartesiano e la ricerca di verità assolute Il post-moderno e la rinuncia a modelli esplicativi Necessità di modelli Affrontare la LivelliParte,StrutturalismoEmergentismocomplessitàgerarchicotutto,formulastrutturalelogici

3. Com’è costituita una persona?

Indice

La relazione oggi Modello dialogico e modello atomistico a confronto Conoscenza personale

Prefazione di Catia Trevisani

Lo stadio pre-riflessivo Coscienza e Consapevolezzaautocoscienzadiséerelazione

2. Come si conosce una persona?

1. Cos’è una relazione?

ReciprocitàLimiti Fiducia

L’amore per l’altro e l’amore per sé

DareConoscenzaRispettoforma

5. Quali sono i linguaggi della relazione?

Le

IVeritàmodi del pensiero

IGioiaTristezzaRabbiaPauramodidelle emozioni

Il pensiero nella relazione

6. Primo linguaggio: il pensiero

4. Come si costruisce una relazione? ai vissuti

8. Terzo linguaggio: le emozioni emozioni e la vita emotiva

IlLimitiUsoIL’immaginazioneanalogicamodidell’immaginazionedell’immaginazionedellinguaggiofantasticolinguaggiofantasticonellarelazione

7. Secondo linguaggio: la fantasia La narrazione

65 83807775747068 9187 10910396 111 129127124119118115 133 155152149146143139

e invisibile

visibile

167 170 179 195192189188186184183181 203 9. Quarto linguaggio: il corpo I modi del corpo 10. Relazionarsi Costruire relazioni LaIncontrarsiDiversitàCrisiEquilibriComunicazioneIdentitàrelazione:tra

Bibliografia

Gli impegni incalzanti, la fretta, le mille cose da fare sottraggono tempo al dialogo, all’osservazione di sé e dell’altro, alla riflessione. Cosa ci si può aspettare da un ascolto stanco e disattento, da relazioni in cui offriamo solo le briciole di noi stessi perché la testa è altrove, il tutto condito da aspettative e richieste che l’altro corrisponda esattamente all’immagine che di lui ci siamo creati? Per poi dichiararci delusi e pieni di rammarico, traditi e amareggiati.

La relazione, tema fondante per ogni persona, è in questo libro oggetto di analisi e riflessione profonda.

Prefazione

Oggigiorno, più che mai, siamo testimoni della crisi e del frequente fallimento delle relazioni, anche quelle più importanti per l’essere umano. Tra genitori e figli siamo passati dall’auto ritarismo del passato al rapporto alla pari di oggi che distrugge ogni possibilità di educare; nelle coppie i conflitti, taciti o dichiarati, le separazioni in casa piuttosto che quelle legalizzate sono esperienza comune; sul luogo di lavoro spesso l’atmosfera è irrespirabile… non siamo più capaci di comunicare, di rela zionarci, di scambiarci affetto, di tollerare le diversità dell’altro, di costruire relazioni profonde, solide e durature.

La sensazione è che si sia spostata l’attenzione su altro: successo, carriera, buona immagine di sé, denaro, realizzazioni materiali, e si sia perso di vista il valore delle relazioni. Il benessere ha portato edonismo, egoismo, debolezza di carattere, ha fatto dimenticare i veri valori e così non ricordiamo più come ci si relaziona.

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Gino Aldi, medico e psicoterapeuta, che ha fatto della rela zione di aiuto la sua occupazione quotidiana, ci accompagna passo dopo passo, con perizia e abilità, a riscoprire e chiari re i fondamenti della relazione: come si conosce una persona, com’è costituita, quali sono i diversi linguaggi che consentono la relazione stessa: pensiero, fantasia, emozioni e corporeità. Linguaggi che in qualche modo abbiamo dimenticato, nono stante siano naturalmente parte integrante di ognuno di noi come esseri umani. Riportare l’attenzione su di essi consentirà alle parti sommerse, o trascurate di emergere e di rimodellare il nostro incontro con l’altro installando un circolo virtuoso che farà bene a noi e alle persone che ci circondano.

Catia Trevisani

Forse eri troppo concentrato a difendere la tua idea, la tua visione, il tuo credo… forse avevi il cuore troppo chiuso per co gliere le tue e le sue emozioni, forse eri impaurito di incontrare nelle sue parole una verità che ti fa male e ti mette in discussione.

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Dov’eri mentre tuo marito, tuo figlio, tua moglie, il tuo alun no ti stava esprimendo il suo sentire? Ricordi il suo volto, i suo gesti? Li hai visti? Rammenti il tono della voce, le sfumature? Dov’eri mentre ti offriva il suo punto di vista, la sua esperienza, il suo cuore?

Eppure senza relazioni o con relazioni fallimentari la vita non può essere soddisfacente e piena, l’essere umano ha bisogno di relazionarsi per stare bene e ha bisogno di reimparare saggezze perdute. Ha bisogno di riscoprire, riconoscere, riflettere sui fon damenti della relazione, unico modo per divenire consapevoli di eventuali errori, punti deboli, mancanze che, una volta corrette, possono portare benessere e piacere di vivere.

Facciamo quotidianamente esperienza di relazioni, per cui do vremmo essere sufficientemente informati sul significato che ha per noi il relazionarsi con il prossimo. Nonostante la nostra esi stenza si basi sulla relazione, però, notiamo che spesso il contatto con gli altri non riesce a sollevare il nostro animo da un senso di solitudine profonda, la quale sembra venire fuori nei momenti di quiete, di ripiego in noi stessi, di bilancio. Le relazioni, inoltre, non sempre si sviluppano in modo sereno; talvolta si verificano delle situazioni in cui relazionarsi all’altro può causare inquietudine o dolore, come per l’individuo che vive momenti di sofferenza, sia essa fisica, psichica o sociale e manifesta un bisogno più vivo di contatto e nutrimento amorevole.

Cos’è una relazione?

La relazione oggi

In queste circostanze, davanti a persone che testimoniano il lato oscuro e vulnerabile dell’esistenza, siamo chiamati a svolgere un compito di sostegno e di aiuto, anche se spesso proprio in questi momenti ci sentiamo disarmati e incapaci di costruire ponti di dialogo. La relazione mostra, in sostanza, di fallire lad dove essa è più necessaria, come nel caso della fragile realtà in fantile o della malattia mentale. In queste situazioni i meccanismi messi in atto nelle nostre relazioni quotidiane possono rivelarsi insufficienti, e ci viene richiesta la capacità di avventurarci verso la comprensione di un modo di essere diverso dal nostro.

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In questo lavoro ci occuperemo del tema dell’incontro con l’altro, e cercheremo di riconoscere le modalità più efficaci per relazionarsi con il prossimo. Cercheremo di dimostrare, sfatando il luogo comune che intende la capacità relazionale come una dote innata, che la possibilità di incontrarsi e conoscersi profon damente è una pratica che può essere appresa. Imparare a stare con gli altri, comprenderli, accoglierli, ma anche fare esperienza di essere compresi e accolti sono abilità che possono migliorare attraverso l’acquisizione dei fondamenti della relazione.

Quando invece si vuole “andare oltre” la superficie della quo tidianità e si scende in profondità, alla ricerca profonda dell’altro e di noi stessi, ecco che allora si apre l’opportunità, se non la ne cessità, di un viaggio di approfondimento che permette a ciascuno di essere colto nella sua unicità e di sperimentare la presenza effettiva del prossimo. Solo in questa accezione abbiamo il con tatto reale tra esseri umani che si cercano e che sanno parlarsi. Solo in questo modo lo stare insieme non pone la persona sullo sfondo ma la riporta al centro della vicenda del relazionarsi, il cui scopo ultimo è quello di avvertire nello scambio sociale una fonte di nutrimento affettivo, una presenza viva capace di col mare i vuoti della solitudine e di placare, in parte o del tutto, le incertezze che si agitano in ciascuno di noi.

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La relazione tra persone può essere intesa dunque come una questione semplice o di estrema complessità: dipende dall’an golatura che desideriamo assumere. Essa è semplice se imma giniamo il relazionarsi come un insieme di atti guidati da norme – quelle della buona educazione, della moda, della prescrizione medica o della fredda valutazione dell’uomo di scienza. In tutte queste situazioni le persone tendono a trasporre tra sé e l’altro un insieme di leggi generali, un “si fa così”, che pone in secondo piano l’essenza della relazione profonda, caratterizzata dal doversi confrontare con le persone per come sono e non per come devono essere.

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Le ragioni per cui si è a lungo trascurata la riflessione sulla natura delle relazioni interpersonali e sulla possibilità di insegnare un corretto approccio all’altro trovano radici antiche. Il prevalere di una concezione della scienza che, per capire i fenomeni, riduce la complessità, focalizzando solo gli elemen ti che è in grado di osservare con la lente di ingrandimento dell’esperimento scientifico, ha portato fuori dall’orizzonte di interesse un problema complesso e apparentemente inafferrabile come la persona umana e il suo modo di vivere con l’altro. Quando si è tentato di approfondire i modi di comunicare e gli scambi sociali del soggetto vivente lo si è fatto con i metodi della scienza empirica, isolando variabili, identificando correlazioni, cercando leggi esplicative di questo o quell’aspetto del modo di essere della persona.

In questo modo il soggetto scompare nei mille rivoli nei qua li viene frammentato dai vari strumenti di osservazione, e per diamo di vista il modo personale e soggettivo in cui lui, proprio lui e nessun altro, vive la realtà. La conoscenza del funzionamento neuronale è di enorme utilità per comprendere i mec canismi del cervello umano, ma non aumenta il grado di co noscenza del perché una persona è capace di amare e un’altra sa solo odiare. Anche se si potessero identificare i neuroni che si attivano durante un atto di amore e quelli coinvolti nell’esercizio dell’odio non si scoprirebbe niente di rilevante del modo specifico e unico di amare o di odiare di quella persona. Esiste una componente soggettiva nell’essere umano che resiste ad ogni forma di riduzione.

Proprio per salvaguardare questo specifico aspetto del soggetto è nata la psicologia umanistica, il cui paradigma era di opporsi alla frammentazione riduzionista della scienza biolo gica recuperando quello che di più specifico possiede l’esse re umano. Il programma di ricerca avviato dai pensatori di quest’orientamento ha demonizzato e rifiutato ogni pratica

classificatoria nel timore di incorrere negli stessi errori della scienza positiva e disumanizzare il rapporto di cura. Questo modo di procedere, rifiutando la costruzione di metodi, regole e tecniche, ha contribuito a lasciare la relazione interpersonale in una zona di mistero impedendo la costruzione di un proce dere verificabile e scientifico. Sapersi relazionale era dunque questione di “cuore”, di “saper essere”, di capacità personali, e si sottraeva di fatto tale esperienza alla possibilità di essere appresa e, ancor più, verificata. Questa contrapposizione rigida e dogmatica ha ostacolato la costruzione di una scienza del relazionarsi in cui il metodo empirico e quello umanistico potessero confluire per indagare il tema della relazione nella sua totalità. In questo modo la relazione interpersonale ha continuato a nutrirsi di un’aura di mistero e di inafferrabilità, rimanendo confinata nelle pieghe di quelle attitudini in dote ad alcuni e misteriosamente assenti in altre. Non si è resa pensabile la possibilità di poter apprendere la rela zione. Non si è nemmeno inserita questa competenza come un completamento necessario di quelle professioni che fanno del sostegno alla persona la loro principale ragion d’essere. Davvero si può insegnare senza costruire relazioni adeguate? Davvero si può curare una persona senza creare una sintonia profonda con la sua sofferenza? Davvero possiamo incontrare uno straniero, un diverso inteso come persona la cui esistenza si distanzia dal comune sentire, senza possedere nessuna attitudine ad andare incontro al suo modo peculiare di essere?

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Se il lettore dovesse rispondere in modo negativo a queste domande dovrebbe subito rammaricarsi del fatto che nessun insegnamento in questo senso è previsto nell’intero percorso di formazione alle diverse professioni di aiuto. È su questa grave carenza che si innesta il fallimento dei tanti buoni propositi di educatori, formatori, terapeuti, operatori sociali e volontari, i quali agiscono senza mai porre al centro del progetto la “per-

sona” e senza raggiungerne la profondità esistenziale e l’unicità che la caratterizza.

Una formazione organizzata per fornire “tecniche” di intervento, cioè modelli universali che pretendono di adattarsi a tutte le situazioni in maniera impersonale, non educa gli ope ratori a relazionarsi alla singolarità dei diversi individui. Sperimentiamo i limiti di questo modello formativo ogni volta che incontriamo “esperti” incapaci di sintonizzarsi con le nostre esigenze, di entrare in dialogo con noi, di trasmettere quel sen so di accoglienza che di per sé sarebbe fonte di benessere e confermerebbe le ragioni per cui li abbiamo consultati.

Perché la nuova generazione, destinataria di una didattica moderna, di numerosi stimoli progettuali, di un’attenzione all’infanzia ben maggiore di quella dei tempi dei loro genitori e nonni, non sembra raggiungere il risultato sperato? Forse poiché nei luoghi dell’educazione è scomparsa proprio la dimensione della persona e della relazione educativa. Forse per ché chi progetta la scuola crea le condizioni affinché maestri e docenti non abbiano quasi più nulla da dirsi se non una sterile e vuota povertà di riti quotidiani. Ma non si può fare niente

È importante notare anche come la piega tecnocratica che ha assunto la scuola italiana nell’ultimo decennio abbia contribuito a peggiorare notevolmente la qualità delle relazioni umane tra docenti e discenti e tra gli stessi docenti, trasformando un luogo di formazione in una fabbrica dal sapore vagamente tayloristico. Sono ormai acquisiti termini orribili quali produttività, efficienza, valutazione oggettiva e tanti altri che tutti insieme hanno contribuito a disumanizzare la scuola, privandola della sua prin cipale ragione d’essere, cioè formare persone. E senza dubbio l’occhio attento del lettore potrà osservare che a dispetto di tanto ingegno tecnologico ci pare di interagire con una generazione di ragazzi sempre più smarrita, povera di prospettive, immatura, incapace di mettere a frutto ciò che apprende.

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Il filosofo, teologo e pedagogista Martin Buber, nella sua opera più celebre, Il principio dialogico, ha scritto: “Quando si dice tu, si dice l’insieme della coppia io-tu”. Le ragioni essenziali della relazione stanno in queste parole. Non possiamo pensare al tu senza pensare che vi sia un io che si sta relazionando a esso. Non esiste prima l’io che in un secondo momento entra nel mondo relazionale, ma fin dall’inizio la relazione costitutiva di ciascun essere umano si fonda all’interno di un rapporto dialogico.

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più in classi pollaio di trenta alunni: gli spazi di relazione si restringono e con essi evapora la possibilità di crescita umana, di sviluppo personale, di costruzione del sé.

Se è vero che la modernità sta vivendo una profonda deriva meccanicistica che rende i rapporti umani sempre più poveri di qualità relazionale, risulta importante proporre una visione di umanità che sappia dialogare. Ripetere pedissequamente a insegnanti, psicologi, sociologi e volontari che non sanno relazionarsi, senza indicare prospettive di crescita, non è stato di grande aiuto, così come non lo è stato proporre corsi centrati solo sulla crescita personale senza spiegarne il fondamento e gli obiettivi.

Questo libro intende analizzare i fondamenti della relazione che, come vedremo meglio nelle prossime pagine, può diventare uno strumento prezioso, dal momento che l’incontro con il prossimo è sempre e comunque una possibilità di incontrare parti di se stessi. Questa potenzialità, inizialmente temuta, si rivela la principale risorsa per diventare capaci di una vera accoglienza.

Lo psicoterapeuta Giovanni Ariano parla di consustanzialità dell’io-tu per intendere la natura dialogica dell’essere umano. La portata di questo assunto è rilevante se si pensa che gran

Modello dialogico e modello atomistico a confronto

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parte delle scienze umane affrontano il problema della relazio ne come conseguenza dell’esistenza delle singole identità.

Nella concezione dialogica, invece, l’identità nasce all’interno delle relazioni e il modo di essere di ciascuno è determinato dalle relazioni interpersonali di cui farà esperienza. Secondo questo modo di impostare la questione si è “testardi”, “disub bidienti”, “altruisti” in conseguenza delle esperienze relazionali che contribuiscono a plasmare il nostro modo di essere. Con ciò non si vuole togliere valore al contributo del corredo genetico nella determinazione di ciò che saremo, né tantome no disconoscere l’esistenza di tratti specifici e caratteristici evi denziati da ciascun individuo, ma solo rimarcare che il corredo biologico che possediamo è un substrato necessario ma non sufficiente per diventare persone. Esso fornisce l’intelligenza e le funzioni fondamentali per interagire con il mondo, ma non è ciò che ci rende una persona compiuta, né più e né meno di quanto il software di un robot perfettamente assemblato possa dotare quella macchina di personalità.

Diventiamo persone perché siamo inseriti in contesti umani capaci di dare valore al nostro modo di essere. Per diventare

Freud ipotizzò l’esistenza di una fase “autistica” che verrebbe superata dalla necessità di interagire con il mondo esterno per soddisfare la pulsione: prima l’io, dunque, e solo in seguito il suo rapporto con il mondo. È il punto di vista di tutti i modelli atomistici: ci sono prima i singoli elementi, gli individui, che vengono a tessere vincoli con altre identità entrando in relazio ne con esse. Seguendo questo modo di intendere la natura della relazione, ciascun individuo è fatto in un certo modo e quel suo modo di essere condiziona ciò che accade quando entra in contatto con altri individui. Si può dire allora, ad esempio, che un bambino ha la caratteristica di essere “testardo”, “disubbi diente”, “altruista” o “egoista”, come se ciascuna di queste sue caratteristiche facesse parte del suo corredo personale.

Delle infinite potenzialità che possediamo nel momento in cui veniamo al mondo solo alcune prenderanno forma e diventeranno ciò che specificamente saremo. Sarà la nostra storia personale a determinare le sorti di quel corredo iniziale che ci caratterizza, e in questa vicenda storica giocheranno un ruo lo essenziale le esperienze umane che avremo modo di fare. Diventiamo persone, infatti, all’interno di relazioni fondanti e significative, attraverso esperienze che contribuiscono alla costituzione del nostro modo di essere.

Ma cosa vuol specificamente dire essere in relazione? E quali sono le caratteristiche peculiari della relazione tra esseri umani? Per comprendere il modo in cui le persone entrano in contatto e si influenzano reciprocamente non possiamo che osservare le caratteristiche della persona in quanto elemento primo della relazione interpersonale; in questo senso, però, tornare alla persona non significa abbracciare l’ottica atomisti ca ma, al contrario, dimostrare, attraverso esempi e riflessioni, come i tratti che caratterizzano ciascuno di noi affondino la loro radice nel mondo delle relazioni interpersonali e nei contesti di riferimento.

Conoscenza personale

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Il problema della conoscenza della persona è stato affrontato in diversi modi. Il modo più fuorviante, e tuttavia il più diffuso nella società occidentale, è quello di pensare all’altro utilizzan do le stesse modalità che si utilizzano per conoscere un qualsiasi

dobbiamo esprimere quel che di caratteristico possiede l’essere umano, e cioè la capacità di realizzare attraverso un libero esercizio della volontà se stessi e determinare la direzione del proprio progetto di vita – un attributo che mai e poi mai potremmo riconoscere a una macchina.

Allora potremo individuare alcune funzioni elementari: percezione, memoria, capacità logica, ecc. e decidere che esse sono i mattoni su cui si fonda l’intero edificio della mente; scendendo verso il basso della scala della complessità, poi, ci occuperemo della fisiologia del cervello, della biochimica dei neurotrasmet titori, del funzionamento dei neuroni cercando di spiegare, attraverso le scoperte e le osservazioni svolte, la complessità della mente umana. Ma possiamo dire di conoscere una persona dopo aver descritto dettagliatamente il modo in cui funziona ciascuno di questi elementi? Certamente conosceremo alcuni suoi comportamenti e funzionamenti, ma non sapremo niente del suo modo di essere e di orientarsi nel mondo.

21 oggetto del mondo. Le persone, secondo questo modo di inten dere, si conoscono allo stesso modo con cui si conoscono i sassi, le piante, gli animali, gli astri e ogni altro oggetto della realtà.

Comprendere come funziona la memoria di una persona, la sua intelligenza, la sua reattività emozionale non dice nulla del modo in cui ama, spera, soffre, gioisce, in sostanza del modo in cui vive e fa esperienza della vita. La conoscenza di questi aspetti implica un processo di osservazione partecipante nel corso del quale avvengono numerose reciproche interazioni, poiché per conoscere una persona nella sua totalità dobbiamo essere disposti al dialogo e all’ascolto. La persona può essere conosciuta solo attraverso un’esperienza di reciprocità, di mu tuo scambio. In altre parole è possibile conoscere una persona frequentandola, così come un libro lo si conosce leggendolo e non osservando la copertina o studiando la composizione chimica dell’inchiostro con cui è stato stampato.

Quando facciamo esperienza degli oggetti della natura ci ca pita anche di sperimentare uno scambio che a volte raggiunge intensità notevoli. Quel fiore che osserviamo in tutta la sua esplosione di colori e di odori colpisce la nostra mente e il nostro cuore e ci porta ad afferrarlo attraverso i versi della poesia piuttosto che

Perché vi sia dialogo occorre la disponibilità a guardare chi è di fronte a noi per quello che è, anche quando il suo modo di essere ci inquieta e ci pone davanti ai limiti da cui siamo soliti fuggire.

Le persone hanno un altro destino. Possono essere conosciute per la storia che raccontano, per il modo in cui si rapportano al mondo e alla vita, per i significati che esprimono anche con i gesti più elementari. Guardando la fotografia di una persona riceviamo alcune impressioni, ma mai e poi mai diremo di averla conosciuta. Per conoscere un essere umano dobbiamo comuni care, farne esperienza, viverlo come presenza.

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attraverso la fredda descrizione del botanico; il fiore non ci parla di sé se non per quello che è, ovvero un ente privo di coscienza e di personalità. Il fiore non può raccontarsi a noi, ma può solo essere catturato e vivificato dal nostro sguardo.

Eppure facciamo esperienza quotidiana di individui che vivono insieme senza aver imparato a conoscersi. Quante coppie dopo anni di matrimonio si ritrovano a essere stranieri sotto lo stesso tetto. Non hanno forse dedicato tempo a comunicare? Non hanno passato tempo a discutere, sognare, costruire? Non tentano, attraverso i litigi, di ricostituire un filo di intesa che è andato perduto? Il problema è tanto evidente quanto grave: si può comunicare senza incontrarsi e conoscersi e anzi, attraver so il dialogo, possiamo occultare il nostro essere.

Per conoscere l’altro lo dobbiamo prima di tutto intendere come una struttura pluristratificata, complessa, composta da una varietà di sfaccettature e soprattutto dotato di profondità, di una ulteriorità che colorisce i singoli atti individuali. In ragione di questa ulteriorità possiamo comprendere bene come il dialogo possa essere uno strumento importante per capire una persona, ma anche il modo per distanziarsene e rendere sterile ogni possibilità di incontro, come ogni volta che si parla per non dire di sé e si ascolta senza prendere in considerazione l’altro per quello che è.

Dobbiamo notare anche che il livello di conoscenza dell’al tro varia a seconda della natura della relazione in cui siamo coinvolti. A seconda del tipo di legame racconteremo cose di verse a chi ci sta di fronte. Il nostro atteggiamento sarà sicuramente diverso se ci troviamo a parlare con un inquisitore sospettoso, un superiore antipatico, una moglie noiosa o una splendida amante. In ciascuno di questi specifici modi di es sere offriremo parti diverse di noi stessi o le occulteremo. La conoscenza di una persona, quindi, risente profondamente del clima relazionale entro cui essa si dispiega. Le caratteristiche di un soggetto affiorano sulla base delle potenziali possibilità che l’interlocutore manifesta in termini di capacità di acco glienza. Non parlerò della mia paura a chi manifesta repul sione per le persone fragili, non racconterò dei miei pensieri perversi a chi può giudicarli severamente, non manifesterò il mio sgomento a chi mi vuole vedere sempre sereno e sicuro. Ciascuno sviluppa un modo unico e personale di orientarsi nel mondo caratterizzato da risorse, competenze, ma anche limiti e meccanismi di difesa che concorrono a determinare la maniera in cui sappiamo parlare di noi stessi e ascoltare il prossimo. L’incontro di due mondi è l’incontro di due storie, di due modi di essere che renderanno possibili alcuni tipi di comprensione a scapito di altre. Pensiamo al dialogo tra una persona trincerata nella rigidità delle catogorie della logica e incapace di esperienza emotiva e una soverchiata dalla propria emotività dirompente e poco capace di mettere ordine in essa; senza un allineamento dei due diversi linguaggi la comprensione diventerà ben presto molto difficile. Chi vive di sola razionalità non sa comprendere le ragioni del cuore, e chi è dominato da emozioni incontrollate non ha la forza e la capacità di spiegarsi. È possibile però che una persona sufficientemente capace di armonizzare cuore e ragione possa capire il senso di certe azioni che sfuggono a chi sta tentando di parlare

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Occorre però prendere in considerazione anche la possibilità che l’incontro fallisca perché le richieste sono troppo onerose,

Conoscersi reciprocamente è un’opera di costruzione infinita, inesauribile, nella quale ciascuno fa i conti con parti di sé. Accettare questo punto di vista significa fare propria l’idea che la conoscenza di una persona non è un fatto che sancisce in modo netto la distinzione tra oggetto conosciuto e soggetto conoscente. La relazione è un processo circolare.

sé, permettendo in questo caso lo sviluppo di una relazio ne basata sull’accoglienza e la comprensione. Affioreranno, in questo modo, parti dell’interlocutore che solitamente sono tenute ben lontane dalla superficie e dalla consapevolezza, e il dialogo diventerà conoscenza profonda. Chi ci comprende in profondità diventa non solo lettore della nostra trama esistenziale, ma anche autore di possibilità di esitere che, senza il sostegno amorevole di un interlocutore, fineremmo per conti nuare a negare a noi stessi. In questo senso la comprensione è un processo autoriale durante il quale gli attori coinvolti rendono vive delle caratteristiche che senza il confronto reciproco resterebbero sepolte nel buio dell’inconscio.

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Per questo motivo relazioni diverse creano possibilità di verse e persone diverse: possiamo scegliere di non avere a che fare con parti altrui che ci turbano, lasciando così inesplorate determinate possibilità. Pensiamo ad esempio a un bambino spaventato che non trova voce per le sue paure e che vive tra adulti che non sanno riconoscere questo sentimento. Si imma gini quanta esperienza vitale dovrà essere nascosta, soppressa, autogestita e quanta sofferenza può comportare il fatto di non aver incontrato qualcuno che possa aiutare a dare senso alle proprie angosce interiori. Si immagini lo stesso bambino in un contesto in cui le sue paure sono accolte e possono trovare una forma gestibile. Non è difficile comprendere che il suo destino avrà ben altri auspici.

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troppo assordanti i gemiti che richiamano la nostra partecipazio ne, troppo impetuoso il vortice nel quale ci si chiede di coinvol gerci. Leggere l’altro può essere un’esperienza dolorosa e terribi le al punto da indurre alla fuga e al ritiro dalla relazione stessa.

La conoscenza di una persona è un atto che trasforma e rende i soggetti coinvolti nel rapporto diversi da come erano. È questo il punto che rende affascinante e inesauribile il processo di scambio tra esseri umani. Al contrario della routine in cui si cade per paura di affrontare il viaggio verso la conoscenza dell’altro, la capacità di costruire rapporti profondi diventa un’inesauribile fonte di vitalità perché permette a ciascuno di sperimentare un perenne e costruttivo cambiamento. La rela zione di cura e la relazione educativa sono esempi di modi di essere insieme centrati sulla capacità di attuare trasformazioni positive e costruttive per la persona.

fondamentirelazioneAldi

incontrare l’altro

Nuovaedizione

Gino Aldi, medico e psicoterapeuta, che ha fatto della relazione di aiuto la sua occupazione quotidiana, ci accompagna passo dopo passo, con perizia e abilità, a riscoprire e chiarire i fondamenti della relazione: come si conosce una persona, com’è costituita, quali sono i diversi linguaggi che consentono la relazione stessa: pensiero, fantasia, emozioni e corporeità. Linguaggi che in qualche modo abbiamo dimenticato, nonostante siano naturalmente parte integrante di ognuno di noi come esseri umani. Riportare l’attenzione su di essi consentirà alle parti sommerse o trascurate di emergere e di rimodellare il nostro incontro con l’altro generando un circolo virtuoso che creerà benessere in noi e nelle persone che ci www.edizionienea.itcircondano.

Questo libro indaga il tema dell’incontro con l’altro, illustrando le modalità più efficaci per conoscersi profondamente. 978-88-6773-116-9

9 788867 731169 ISBN

Sapersi relazionare non è una dote innata. Imparare a stare con gli altri, comprenderli, accoglierli, ma anche fare esperienza di essere compresi sono abilità che possono essere apprese e migliorate attraverso l’acquisizione dei fondamenti della relazione.

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