Sconfinare numero 16 - Dicembre 2008

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2008 Dicembre

Sconfinare

Il Bottone di Puškin – Serena Vitale Il bottone di Puškin è una moderna versione de “I dolori del giovane Werther”. Di inventato però non c’è niente. Aleksandr Sergeevic Puškin perse la vita in duello e non suicidandosi, è vero. Ma il suo duello era catartico: vincerlo avrebbe significato per lui rinascere, mettere fine agli odiosi pettegolezzi che giravano sul conto della bellissima moglie, Natal’ja, e sul suo presunto amante, Georges D’Anthes. Perderlo avrebbe significato morire, lasciarsi alle spalle i debiti contratti con gli strozzini, l’aristocrazia russa che non riusciva proprio a comprenderlo, l’impossibilità di andarsene da quella Russia che riusciva ad amare tanto e ad odiare altrettanto, la censura che lo Zar apponeva personalmente sulle sue opere e, appunto, sui suoi movimenti. Morì il 29/01/1837, lasciando anche quattro figli, oltre alla moglie (ai quali però lo Zar garantirà dei cospicui vitalizi), i pochi veri amici e migliaia di ammiratori che il giorno del suo funerale si riversarono per strada manifestando il loro disprezzo per il francese che si era sporcato le mani col sangue del “sole di Russia” e addirittura per i medici che non erano stati in grado di curare “l’uomo più intelligente di Russia”, come lo definì lo Zar Nicola I dopo un colloquio privato col poeta stesso. Un uomo la cui intelligenza fu plagiata da un odio viscerale per D’Anthes e per ciò che ai suoi occhi rappresentava: ignoranza, grettezza, spacconeria, frivolezza, i tratti caratteristici degli esponenti dei salotti e delle sale da ballo di San Pietroburgo. La sua sfida a duello era rivolta a D’Anthes, ma era rivolta anche e soprattutto a ciò che D’Anthes rappresentava: l’establishment nobiliare russo. La testimonianza indiretta

ci arriva dal fatto che la maggior parte di questo establishment tifava per D’Anthes, ma la prova più inconfutabile consiste nell’amore del poeta per la moglie: Puškin infatti non smise un attimo di amare profondamente e intensamente sua moglie, della cui fedeltà non dubitò mai, nemmeno per un istante, a riprova del fatto che classificò come semplici calunnie le accuse di infedeltà a lei rivolte. Quando un suo amico che lo assisteva al capezzale gli consigliò di urlare per placare il dolore, lui rispose che urlando avrebbe turbato Natal’ja. Puškin la sapeva innocente; l’unica colpa che sentiva di attribuirle era quella di aver ceduto alla sua frivolezza, assecondando gli sguardi e le parole di D’Anthes. Se fosse vissuto abbastanza per leggere il libro che Vitale ha scritto sulla sua morte (divertente paradosso), avrebbe trovato conferma della fedeltà della sua Taša nelle parole del suo assassino, il quale, interrogato in proposito molti anni dopo da un amico, rispose che Natal’ja fu l’unica donna che amò, ma anche l’unica che non gli si concedette mai (e noi ce ne rallegriamo, scellerato francesucolo). Rimane incredibile il personaggio Puškin: un uomo che della sua vita fece, come By-

ron, un’opera d’arte. La sua morte ricorda molto quella del Lenskij da lui inventato anni prima e inserito nell’Evgenij Onieghin: poeta che sfida il donnaiolo Evgenij per l’amore e l’onore di Olga. Gli esempi della sua artistica premonizione riguardo la sua morte si sprecherebbero, ma mi è sempre piaciuto molto il duello tra Silvio e il Conte ne “Il colpo di pistola”: Silvio vuole intensamente uccidere il Conte, ma questi lo osserva mangiando ciliegie mentre si trova sotto tiro: esattamente come fece Puškin anni prima con un suo caro amico (poi morto Decabrista dopo la rivoluzione del 12/1825) che lo sfidò a duello. L’autrice di questo giallo storico epistolare è Serena Vitale, insegnante di lingua e letteratura russa all’Università Cattolica di Milano, già curatrice e traduttrice di molte opere di Puškin. Vitale, per riuscire a fornirci una così dettagliata ed esaustiva analisi di fatti e leggende che precedettero e seguirono la morte di Puškin, ha compiuto anni di ricerche tra archivi privati di famiglie aristocratiche, negli archivi dei ministeri degli esteri di molti paesi europei, nelle biblioteche, spulciando migliaia di pagine in lettere, dispacci diplomatici, carte giudiziarie, studi di storici e

13 Scripta Manent annalisti, racconti e confessioni postume in francese, russo, tedesco e italiano. Non si può non rimanere ammirati di fronte a tanta caparbietà, tanta solerzia nello svolgere una ricerca su una vicenda che in Russia è considerata tutt’altro che chiusa. La prosa di Vitale è complessa, paratattica fino all’eccesso, ma adeguata all’arduo scopo che si prefigge: mettere cioè ordine alla documentazione che riguarda il duello Puškin-D’Anthes. La difficoltà nella comprensione della vicenda è legata infatti anche all’estrema disomogeneità dei contenuti delle fonti a cui l’autrice fa riferimento, ma è una difficoltà molto limitata dalla chiarezza con cui Vitale pone domande e offre risposte, il tutto seguendo criteri storiografici ineccepibili: le fonti sono documentate, le conclusioni a cui giunge l’autrice sono precedute da un “ipotizziamo” e comunque mai prese come dogmi e per definitivamente vere, tutti i ragionamenti condotti sono motivati e risultano quindi più che plausibili in termini logici: ciò che rende il libro una vera e propria indagine scientifica. Per chi ama la letteratura russa: Tolstoj, Gogol’, Lermontov, Turgenev... questo libro è per voi. i personaggi evocati direttamente dalle lettere impolverate consultate dalla Vitale sono quelli in mezzo a cui quegli stessi artisti sono vissuti, gli stessi che hanno odiato, amato, deriso, a causa dei quali si sono sentiti frustrati. Così come Aleksandr Sergeevic Puškin, primo tra i poeti di Russia. Edoardo Da Ros edoardo.daros@sconfinare.net

Norwegian Wood. Tokyo Blues Murakami Haruki “I once had a girl or should I say she once per scappare anch’essa da una realtà avhad me…” No, non cantare quella canzo- versa. Watanabe la segue, le sta vicino. ne lei ne potrebbe soffrire. Cantala solo Watanabe al centro, come il giovane Holden dickensiano. Attratto dalla pecuse ti donerà uno yen. Come anime sole passeggiano Watanabe liarietà di entrambe. Diviso tra le due rae Naoko. Conoscono assieme una capi- gazze. Nella costante paura di commettetale disincantata. Non parlano del loro re errori, analizza criticamente sé stesso rimanendo ligio alla Kizuki. Non parlano. propria etica. Recide Camminano. Vagano. La morte volontaria di ogni rapporto con la Lei ad un tratto spaKizuki. Il difficile passagrealtà rifiutando l’iporisce. Ancora il suo gio all’età adulta. Capire crisia del quotidiano. fermaglio a forma di Tokyo. In una Tokyo di fine farfalla continua a anni Sessanta, maniferaccoglierle i capelli, stazioni studentesche scoprendo il suo viso fanno da sfondo come eventi ammutoliti così puro. Ma lontano dalla città. Naoko alla storia del giovane Watanabe Toru. ora tenta di fare i conti con la propria folUna capitale sorda al grido dell’intima lia mentre la natura fiorisce il suo corpo di una bellezza ineguagliabile. Watanabe sofferenza in cui il dolore si presenta nelle fa visita. Le sta vicino. Sicuro di poter- le sue forme più varie. Nel suo romanzo la guarire. Ascolta ancora a Kind of Blue. più introspettivo Murakami Haruki stende silenziosamente il velo della malincoForte, vicino alla sua fragilità. E poi c’è lei, Midori. Un pò eccentrica, nia. Nessuna piega. L’autore dona voce un pò infantile. Vitale. Disinibita. Trasci- ad una sensibilità inespressa. natrice. Vive in un mondo immaginario Una colonna sonora che accompagna lo

scorrere seducente delle pagine. I Beatles a cantare per i protagonisti. Questo è il blues di Tokyo, note di nostalgia e tristezza. L’esperienza della morte permea la lettura. “La morte non era più qualcosa di opposto alla vita. La morte era già compresa intrinsecamente nel mio essere”. Il legame indissolubile tra vita e morte deciderà per il giovane protagonista mentre quello che rimane al lettore è la compresione del tutto e del nulla. E i ricordi di un passato irrecuperabile. “..and when I awoke I was alone this bird had flown/ so I lit a fire isn’t it good, Norwegian wood”. Murakami Haruki Norwegian Wood. Tokyo Blues Einaudi Tascabili pp 379 Nicoletta Favaretto nicoletta.favaretto@sconfinare.net


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