Sconfinare numero 8 - giugno 2007

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Numero 8 - Giugno 2007 Direttrice: Annalisa Turel

L’editoriale

COPIA OMAGGIO

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Un anno di Sconfinare

S

Quando la critica non è antipolitica

Nelle ultime settimane nel Belpaese è tornato a tenere banco il dibattito sulla crisi della politica. Il ministro degli esteri Massimo D’ Alema ha espresso la sua preoccupazione per la crisi di credibilità delle istituzioni italiane, sottolineato anche dall’Eurobarometro 2007, prevedendo una riesplosione dei sentimenti che portarono alla fine della Prima Repubblica. Secondo Ilvo Diamanti vi sono delle analogie con il 1992, ma la situazione sarebbe sostanzialmente diversa poiché all’antagonismo verso le istituzioni successivo a Tangentopoli sarebbe sopraggiunto un distacco da parte dei cittadini, i quali compenserebbero la delusione pubblica mediante la felicità personale e familiare. Ma l’allarme non è di oggi, già prima di natale il presidente Napolitano lanciò l’allarme per la “tenuta” della democrazia, lamentando il “distacco” tra politica, istituzioni e cittadini. Ma è il richiamo alla stagione di Tangentopoli presente in molti degli interventi susseguitisi sui periodici in questi giorni che porta ad una riflessione. Quindici anni fa la questione di fondo, ossia la collusione sistemica tra potere economico, politico ed amministrativo in Italia, è stata spoliticizzata: il finanziamento illecito dei partiti, che era generalizzato, è stato ridotto dai media(in accordo coi partiti)ad una serie di comportamenti illegali individuali. Si perse allora l’opportunità di analizzare in maniera lucida ed obiettiva il funzionamento del sistema politico italiano e la sua mancanza di cultura civica e della legalità; ed il risultato è stato che per quanto si sia passati nominalmente dalla prima alla seconda Repubblica, la classe politica, eccezion fatta per gli epurati, sia rimasta pressoché la stessa. Una classe politica che è diventata sempre più autoreferenziale e che comporta dei costi per i cittadini sempre più alti (come evidenziato nel libro “La Casta” di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella). Il sentimento di sfiducia creatosi appare quindi una logica conseguenza del mancato cambiamento, ma potrebbe essere addirittura salutare. Ci troviamo in un’epoca dove gli interessi economici regolano le politiche che si abbattono su di noi; dove l’assunto della necessità della precarietà oramai non è neanche posto in discussione, dove al di sotto della superficie della modernità data dall’aumento delle opzioni nella scelta dei beni vi è una riduzione della libertà di decidere la struttura socio-politica e istituzionale. La nostra partecipazione politica non può più ridursi a inserire una scheda compilata all’interno di un’urna, legittimando così lo status quo.

iamo alfine giunti a conquistare il primo nostro Traguardo, il più importante: l’Anno! Abbiamo accompagnato la Terra nel suo pellegrinaggio attorno al Sole, e noi ben sappiamo che essa, ed il moto degli altri pianeti nelle supreme sfere, non hanno guardato d’un occhio indifferente l’Arte e la Scienza che da queste sedici pagine sono scaturite, da una primavera all’altra. Sedici pagine! Solo sedici pagine! Ma cosa, Lettori! Fratelli devoti ed amati!, sedici pagine come queste possono contenere! Quando la Parola non è mera lettera, ma vita, sangue e passione! Quando il Verbo fu prima d’ogni cosa, ed intatto scalpita ancor oggi d’indomita possanza creativa! In questo augurio preme volgersi anche a voi, dunque, alfieri dall’instancabile penna! Avanti! Allo scrittoio! Alle tormentate carte! I raggi del futuro ci arridono, e Noi sapremo conquistarli! Sia il nostro sforzo devoto, la nostra fede incrollabile, il nostro congiuntivo irreprensibile! Siamo alfine giunti al primo nostro Anno, al quale seguiranno decine, centinaia d’altri! Non siamo, Amici, che al primo gradino d’una scala ben lunga e difficile – non abbiamo attinto finora che a poche gocce del nostro immenso mare! Noi lo promettiamo! Noi lo giuriamo alla stella polare, all’oriente, all’alfa e all’omega dell’Opera nostra: Noi lo giuriamo al Lettore! Rodolfo Toè

a pagina 3

Italia

Università

Il partito democratico: visioni a confronto.

La riforma della specialistica SID Le storie e la scelta

Internazionale

Cultura Glocale

Turchia e Libano

PAGINE 3 E 4

Scripta manent èStoria

Stile libero

Il secolo dell’essere se stessi Rostropovich Il ruolo del giornalista oggi PAGINA 10 E 11

Il confine e cinema Trieste, tra scienza e società PAGINE 5,6 E 7

De Boca Bona

Musica

Speciale De Andrè

Cinema

Festival di Cannes PAGINE 8 E 9

Rubrika Go and Go

Gorizia con gli occhi della Frasca Osmizza

Vse izteka v Soco, zadeva livarne

Relax

Res nam gre dobro

Note d’estate PAGINE 12 E 13

PAGINE14, 15 E 16


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Sconfinare Mondo 2 maggio TURCHIA

1 maggio

La Corte costituzionale turca ha annullato il primo turno delle elezioni presidenziali che si era svolto venerdì 27 aprile. Il tribunale ha accolto il ricorso presentato dall’opposizione che aveva denunciato la mancanza del numero legale in parlamento. Il primo ministro, l’islamico moderato Erdogan, ha annunciato l’intenzione di indire elezioni legislative anticipate.

6 maggio FRANCIA

Il candidato di centrodestra Nicolas Sarkozy ha vinto le elezioni presidenziali francesi ottenendo il 53,06 per cento dei voti. Sarkozy ha battuto la candidata del centrosinistra Ségolène Royal che ha raccolto il 46,94 per cento dei voti. Alla sera, si sono verificati degli scontri con la polizia nel pieno centro di Parigi. In contemporanea, si è aperto un durissimo confronto interno al Partito Socialista, in vista delle prossime legislative di fine giugno

Giugno 2007

9 maggio GRAN BRETAGNA

Il leader degli unionisti filobritannici Ian Paisley e quello repubblicano del Sinn Fein Martin McGuinness hanno messo la parola fine a quarant’anni di conflitto in Irlanda del Nord diventando rispettivamente primo ministro e viceprimo ministro dell’Ulster. E’ la prima volta che l’Irlanda del Nord è guidata da un governo di coalizione tra nazionalisti e unionisti.

21 maggio MEDIO ORIENTE

Raid israeliani a Gaza: 13 morti in 24 ore L’esercito israeliano ha compiuto una serie di raid mirati contro presunti militanti palestinesi di Hamas causando la morte di tredici persone in 24 ore. Quattro delle vittime sono civili uccisi per errore. Nella notte del 23, l’esercito israeliano ha arrestato 33 membri di Hamas, tra cui il ministro dell’istruzione, un ex ministro, tre deputati e quattro sindaci.

31 maggio

28 maggio UCRAINA

Il presidente ucraino Viktor Jushenko e il suo avversario Viktor Janukovich hanno trovato un accordo per le elezioni anticipate il prossimo 30 settembre. La notizia giunge dopo le tensioni dei giorni precedenti, in cui si era paventata la possibilità che le truppe fedeli a Jushenko marciassero su Kiev.

Il cammino della Turchia verso l‘Europa

La Turchia tra coscienza e mercato C’è chi teme di frantumare un’identità che ha plasmato con gran fatica e chi è sicuro che un’identità da difendere non ci sia mica. C’è chi ha paura che l’islamismo radicale sfondi la porta della cattedrale d’Europa e profanare le sue antiche navate e chi invece progetta ponti tra un occidente ed un oriente mai così distanti. La Turchia conta 70 milioni di abitanti, dei quali il 98% è di religione islamica. E il vecchio continente non pare considerare la questione religiosa come il più irrilevante dei dettagli, come la bagarre divampata nel 2003 per il mancato inserimento di un cenno alle “radici cristiane” nella Costituzione europea ci ha insegnato... Cose che succedono, difficile scendere a patti quando l’oggetto del compromesso è Dio. O forse qualcun’altro, di ben più terrena natura, che gioca a nascondino accoccolato dietro la sua ala. Di più, le notizie che rimbalzano da Ankara nell’ultimo mese non tranquillizzano i difensori della cristianità d’Europa: lo scorso 25 aprile per soli sei voti l’attuale ministro degli esteri Abdullah Gul, del partito Partito islamico della giustizia e dello sviluppo, (lo schieramento del primo ministro Erdogan) non ha raggiunto la maggioranza indispensabile per l’elezione

a nuovo Presidente della Turchia. Sei miseri voti hanno diviso la laica repubblica turca dal divenire uno stato confessionale. Non è cosa da poco. Risultato: la mobilitazione di un Paese, strade della capitale debordanti di cittadini accorsi nel nome della laicità del loro stato. Come loro padre, Mustafa Kemal Atatürk, nel 1923, aveva loro insegnato. E poi c’è l’esercito, l’istituzione più popolare del Paese con più del 70 % dei consensi, che tra Stato e religione ci si è sempre trovato bene e che ha preso per mano la causa dei manifestanti, ergendosi a estremo baluardo della Turchia laica. Se necessario, prenderà apertamente posizione. Pure. A qualcuno, ha rievocato sinistre promesse di golpe. Il 6 maggio il teatrino del pugno di voti mancanti si è ripetuto e Gul, come anticipato, ha ritirato ufficialmente la sua candidatura presidenziale. Nella settimana successiva il Parlamento ha approvato una riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del capo dello stato da parte del popolo; elezioni il prossimo 22 luglio e problema della difesa della laicità dello stato rimandato, risolto assolutamente no. No, perchè al momento valide alternative all’Akp di matrice islamista non sembrano esistere sul-

la scena politica turca ; i partiti della destra marciano ancora lontani dalla creazione di quel partito Democratico che, nelle intenzioni, dovrebbe comporre i diversi frammenti in vista di uno schieramento unitario. E a sinistra, l’estrema polverizzazione dei raggruppamenti non lascia troppe speranze verso la creazione di una forza politica in grado di competere alle presidenziali (già lo si sapeva, tutto il mondo è paese). Vuoto a destra e vuoto a sinistra, l’Akp di Erdogan ringrazia e si prepara ad incassare, forte dei buoni risultati ottenuti alla guida del governo. I migliori negli ultimi cinquant’anni dal punto di vista della crescita economica, dell’imbrigliamento dell’inflazione e del proliferare di riforme costituzionali e giuridiche. Si aggiunga poi il merito di aver avviato le trattative per un futuro possibile ingresso della Turchia nell’unione europea. Fino a pochi anni fa, pura fantascienza. L’Europa cosa risponde? Sarkozy dice no, e questo già si sapeva. Insostenibile il pensiero di offrire in pasto agli islamici ulteriori fette di sovranità francese. E poi l’Unione è europea, mica dell’Asia minore. Ma c’è chi gli contesta che l’Europa non è mero concetto geografico e srotola pagine di esempi

a testimonianza della profonda integrazione già esistente tra europei e Paese della mezza luna: a partire dall’opera di modernizzazione ed occidentalizzazione compiuta da Ataturk, passando per la collaborazione con gli Stati Uniti in tempi di guerra fredda e per l’adesione alla NATO nel ‘52, fino a giungere ai massicci movimenti migratori dei giorni nostri. La Turchia sembrerebbe più Europa di quanto si pensi. La palla passa dunque, più che al popolo turco e al verdetto delle sue urne, alla classe politica europea. Basterebbe capire se il progetto di fantaingegneria, che prevede la costruzione di una coscienza comune a tutti i paesi membri dell’ UE, sia tramontato o se invece stia ancora faticosamente tentando di diventare realtà. Basterebbe capire che cosa insegua questa Europa. Il processo di allargamento sembrerebbe aver individuato nell’ampliamento del mercato unico la sua esigenza primaria. Ampliamento a discapito dell’approfondimento delle relazioni tra i suoi Paesi membri. In questo panorama, è ancora credibile appellarsi a radici culturali e religiose in comune? La Turchia aspetta delle risposte. Il vero problema è che a Bruxelles ancora non ce le hanno. Davide Goruppi

A piccoli passi

Il Libano che avanza (e marcia) verso il futuro Storicamente si fa coincidere l’inizio di una guerra, di uno scontro armato, con un evento particolare, ben identificabile nel tempo, in modo che sia semplice analizzarlo. Facendo questo però assumiamo la storia come composta da tanti monoliti, da eventi a se stanti. Ciò che sfugge ai più, a chi può informarsi solo attraverso giornali e televisione, è che esistono infinite tensioni latenti. Tensioni che possono sfumare e annullarsi, così come caricarsi di colori accesi per poi esplodere. L’attenzione si focalizza spesso solo sulla fase “esplosiva”, ignorando ciò che sta veramente all’origine delle cose. Ciò che accade in Libano è un ennesimo esplodere di tensioni latenti, una ennesima situazione spinta al limite e sfociata nello scontro armato. È l’evento più grave dalla guerra civile del 1975-90, come recitano all’unisono tutte le maggiori testate dei giornali che si sono interessati. In queste settimane, si è verificato un altro passo verso il recupero, o meglio, verso il

pieno acquisto della sovranità dello stato libanese. Questo lento cammino è iniziato alla fine della guerra civile nel 1990, ha accelerato il passo con la “Rivoluzione dei Cedri” e i suoi scontri armati nel febbraio 2005. La situazione ha assunto ora un carattere più internazionale grazie alla risoluzione 1595 dell’Onu: si istituisce un tribunale internazionale per giudicare i responsabili della morte dell’ex premier libanese Rafiq Hariri, ucciso in un attentato dinamitardo il 14 febbraio del 2005 con altre 22 persone. Una parte della popolazione libanese, sunnita e vicina a Hariri e al premier Siniora, festeggia. Gli sciiti di Hezbollah e Amal, alleati della Siria, considerano la decisione un’ingerenza dell’Occidente. I cristiani sono divisi. Tutti, favorevoli o contrari, temono che la notizia faccia esplodere il conflitto latente in un Paese dove ogni giorno si contano i morti. Nel frattempo persino Al Qaeda cerca di ritagliarsi un suo spazio nel Paese, sfruttando l’annoso

problema dei campi profughi palestinesi. La verità è che stati come il Libano, oltre a tanti altri paesi del mondo ancora hanno l’assoluta necessità, e il naturale bisogno, di sentirsi al sicuro nei propri confini. La comunità internazionale ha iniziato a muoversi per sostenere questa ricerca di stabilità e sicurezza: lo testimoniano le risoluzioni Onu in questo ambito, l’interesse stesso che si rivolge a tale crisi, come pure piccoli gesti simbolici e spesso nascosti, come azioni diplomatiche di sostegno, lontane dai riflettori momentanei della stampa. E lontane soprattutto dalle spettacolari promesse di intervento militare degli Stati Uniti, che si illudono di poter assicurare stabilità e sicurezza con la loro presenza. L’effetto sarebbe quello di un nuovo teatro di scontri tra terroristi di ogni specie e il “nemico invasore americano”. La soluzione invece deve essere a lungo termine, deve poter risolvere in primo luogo il problema della mancanza della piena sovranità del Libano, lo scioglimento

di tutti i gruppi armati e porre le basi per favorire un dialogo di stampo democratico. Mentre per una stabile soluzione della crisi dei profughi palestinesi bisognerà attendere di risolvere il più grosso problema Israelo-Palestinese, l’unico che potrebbe muovere verso una stabilizzazione dell’intero scenario mediorientale. Iran escluso. Diego Pinna

Partiti italiani Il sistema dei partiti in Italia è come un cadavere putrescente, per rimuoverlo bisogna fare i becchini. In questi tempi così drammatici e tragici ogni mestiere è buono. (TG1 del 12.12.91, h 7.45)


Sconfinare Italia

2007 Giugno

2 maggio L’Osservatore romano reagisce molto duramente alle affermazioni di Andrea Rivera, definendole degli attacchi terroristici. Il comico, uno dei presentatori del concertone del primo maggio, aveva detto criticato l’immobilismo della Chiesa e la sua scelta di non concedere i funerali religiosi a Welby

1 maggio

19 maggio Si completa la fusione fra Unicredit e Capitalia. L’esito di quest’operazione sarà la nascita di un gruppo da cento miliardi di capitalizzazione, l’Unicredit Group, che sarà il secondo più grande gruppo bancario europeo. Il via libera è arrivato contemporaneamente dai consigli d’amministrazione di entrambe le società

12 maggio E’il giorno del Family day, in Piazza San Giovanni. Secondo gli organizzatori, vi avrebbe partecipato più di un milione di persone. Sono presenti i principali leader dell’opposizione, oltre ai ministri Mastella e Fioroni. Contemporaneamente, a Piazza Navona, si svolge una contro-manifestazione per celebrare l’anniversario della vittoria nel referendum sul divorzio

3 30 maggio Dal palco dell’assemblea annuale di Confindustria, Montezemolo auspica una riduzione dei costi della politica, una riforma elettorale tale da rendere possibile un governo dei migliori e un rafforzamento dei poteri del premier. Gelida la reazione di Prodi. Nei giorni seguenti, Montezemolo smentirà l’intenzione di entrare in politica

28 maggio Arrivano i risultati delle elezioni amministrative. La Cdl vince in 13 comuni al primo turno, strappandone cinque, fra cui Gorizia e Verona, alla precedente amministrazione di centrosinistra. Magro il risultato per l’Unione, che vince in cinque comuni, strappando al centro-destra solo quello dell’Aquila. Per altri 8 comuni, invece, sarà necessario il ricorso al ballottaggio

Sicilia: terra di arance e brogli L’Italia è stata, di recente, un vero e proprio campo di battaglia per le elezioni amministrative che hanno interessato tantissimi comuni e svariate province. La Sicilia, in particolare è stata sotto l’occhio dei riflettori dal 13 e dal 14 maggio, giorni in cui si sono svolte le fantomatiche e tanto attese elezioni che avrebbero dato un nuovo sindaco alle città di Palermo, Agrigento, Trapani e un nuovo presidente alla provincia di Ragusa. Una grandissima affluenza alle urne ha avvalorato la tesi che voleva la Sicilia in mano alla Casa delle Libertà, già al primo turno. Solo ad Agrigento si è giunti al ballottaggio tra il candidato di centro destra Camilleri e Il candidato di centro sinistra Zambuto. Contrariamente ad ogni previsione, giorno 28 maggio, è stato eletto quest’ultimo. Anche un altro grande centro ha sancito la vittoria dell’Unione, Gela. Ma la fine delle elezioni non è bastata per mettere a tacere le polemiche: a Palermo il sindaco uscente e candidato della destra Cammarata ha vinto sul rivale Orlando con il 60,1% dei voti. Ma

Leoluca Orlando (già sindaco del capoluogo siciliano nel ’93 e nel ’97) ha rivendicato dei brogli elettorali e dopo,essersi accertato dei risultati, ha chiamato il ministro dell’Interno Giuliano Amato al quale ha denunciato le innumerevoli illiceità commesse nei seggi e anche dei fatti molto gravi: afferma, infatti che molte schede sono state annullate, che sono state fatte delle “promesse” durante la campagna elettorale da parte di Cammarata (il fenomeno del clientelismo è tristemente diffuso in Sicilia) e che i rappresentanti della sua lista siano stati addirittura minacciati fisicamente. Ovviamente il comportamento di Orlando è stato giudicato “patetico” dal neo sindaco Cammarata. Ma anche alcuni cittadini hanno denunciato delle anomalie che sono state raccolte in un dossier da inviare alle autorità competenti nella speranza che questo possa portare alla costituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta. In questo documento sono riportate alcune situazioni “poco chiare”: centinaia di schede sono state segnate con una matita diversa

da quella fornita nei seggi – forse proprio dai presidenti di seggio, in assenza degli scrutatori - e tante altre schede sono state annullate senza un valido motivo. Inoltre in alcune zone dell’hinterland palermitano sono state sorprese diverse persone mentre fotografavano il loro voto. Dunque, i sospetti sono più che fondati: si tratta di episodi accaduti veramente e non così insoliti in una terra che di certo ha sempre mostrato una particolare inclinazione della politica all’illegalità e alla disonestà. Comunque sia, il sindaco Cammarata ha risposto alle accuse di Orlando con assoluta – forse anche apparente – tranquillità, forte dell’appoggio di un altro illustre personaggio della politica siciliana: il Presidente della Regione, Totò Cuffaro, il quale ha chiamato “sceneggiata” la polemica di Leoluca Orlando. Beh… spetterà alla Magistratura decidere o no se si tratti di una sceneggiata… Sempre che qualcuno non provveda ad insabbiare il tutto sotto la splendida e fine sabbia della Sicilia. Federica Salvo

Lettera a un Giovane Democratico (da parte di un giovane di sinistra)

Perché dobbiamo tifare per il partito democratico

Caro, *** è davvero un piacere sentirti. Spero vada tutto bene, oramai è difficile vedersi, sparsi come siamo per gli atenei di tutto il nord Italia. Apprezzo molto la tua scelta, ti ringrazio di avermi reso partecipe e ancor più di avermi invitato ad aderire al progetto attorno al quale ti stai impegnando. Ne sono felice. Sono in molti a credere a quel progetto di riforma della politica italiana che è il Partito democratico. Un traguardo ambizioso, giusto, necessario per riformare un modo di fare politica che la sta rendendo insipida e auto referenziale, sempre più lontana dalla gente; ma soprattutto inadeguata per i tempi che stiamo vivendo: chiunque si ponga degli interrogativi su come vede la politica, non potrà fare altro che muovervi delle critiche. Magari guardiamo i telegiornali, leggiamo le notizie, ma non ci sentiamo mai appagati dalla politica di oggi. Oltre a ciò, penso al sistema dei partiti. A come siamo ancora divisi in vecchie scuole di pensiero, legate alle vecchie ideologie. A come i dirigenti del nostro paese continuino a prendere come riferimento il passato, invece che il futuro. ex comunisti, ex democristiani…. Una pars destruens, che considera più importanti gli aggettivi e gli attributi che la volontà di innovazione. Vanno buttate giù le pareti che fanno da confine,

abbiamo bisogno di un grande balzo in avanti del nostro paese. Servono nuove risposte a nuove domande. Per questo bisogna tifare per il partito democratico. Perché esista un partito che lo sia di fatto oltre che di nome. E questo vuol dire primarie per eleggere i nostri dirigenti (o “nostri dipendenti”, nella definizione di Beppe Grillo), democrazia rappresentativa unita a democrazia partecipata, legame forte con il proprio corpo elettorale e con i movimenti, esercizio del nostro diritto di voto non solamente ogni 5 anni, al termine di ogni mandato elettorale. Bisogna crederci, e da destra come da sinistra, chi vuole veramente imporre un nuovo corso e ridare fiducia nella politica deve seguire la strada tracciata dal partito democratico. Se non nei contenuti (ognuno muta i propri), almeno nella forma. Ti starai chiedendo perché ti stia scrivendo questo, probabilmente. Perchè anch’io credo nel partito democratico. Da un’altra posizione, però. Tifo per il partito democratico, ma da sinistra. Vedi, il partito democratico non coincide con quelle che sono le mie idee e le mie aspettative. O meglio, per continuare a porla in questo modo: credo non dia le risposte più giuste alle domande che mi pongo e che gran parte della sinistra si pone. I Ds rafforzeranno l’aggettivo “democratici”, ma per-

deranno l’essere “di sinistra”. E non è solo una questione di nomi, ma di contenuti. Mischiare le proprie diversità sotto la stessa bandiera, tenendo come comune denominatore la tradizione democratica, è certamente un grande passo avanti. Un liberarsi di quelle pareti, un aprire i cancelli e fare prendere aria alla politica, è quello di cui più abbiamo bisogno. Ma di rinunciare al più forte partito della sinistra italiana e alle sue lotte… questo per me è un prezzo troppo grande da pagare. Sono giovane, ho vent’anni, e nonostante tutto mi rendo conto che del Partito Democratico abbiamo bisogno. Deve poter essere la spinta riformatrice anche per le altre forze politiche, per tutta la politica. Noi giovani, quando riceveremo in eredità questo paese, non dovremo continuare rimettere in piedi, riaggiustare, ritoccare una macchina sfasciata. Dovremo imparare a costruirne una nuova di zecca, dovremo decidere noi come formarla, dovremo guidarla noi verso nuovi traguardi, verso le nuove risposte alle nuove domande. Il PD non sarà il migliore dei partiti possibili, ne sono convinto. E non lo voterò. Ma continuerò a tifare per ogni progetto che ridia speranza ad un giovane che, nonostante tutto, ha ancora fiducia nella politica. Matteo Lucatello

31 maggio

Il partito della delusione

Per anni i leader del Centrosinistra hanno devoluto energie e spazio televisivo al tentativo di creare un grande Partito Democratico, un partito-coalizione che arrestasse il processo di disgregazione della Sinistra italiana e le restituisse credibilità. Sfortunatamente i loro sforzi sono destinati a fallire in quanto, se pure tale partito venisse a formarsi, non avrebbe più nulla a che vedere con quella che noi chiamiamo “Sinistra”. In primo luogo un partito non può avere al suo interno La Margherita e continuare a considerarsi di sinistra, e soprattutto non può definirsi (nelle parole di Piero Fassino) come “un partito che deve stare in sintonia con la società”. Questo perché l’ideologia di sinistra, fin dalla sua nascita, è stata un ideologia di critica della società capitalista e delle sue ineguaglianze. Una critica di cui vi è evidentemente ancora bisogno, per combattere il crescente divario tra poveri e ricchi e la precarizzazione dei lavoratori. Senza ricadere in nostalgie comuniste mi sento in diritto di dire che una sinistra che non vuole cambiare la situazione, una sinistra di amministratori (definizione dello stesso Fassino) non è ciò di cui il nostro Paese ha bisogno. Il mondo cambia, e mentre gran parte della Destra si aggrappa a concezioni retrograde la Sinistra riformista si rifiuta di affrontare i problemi, muovendosi verso il centro ed alienando la propria base, socialmente molto più avanti dei leader. Un semplice esempio? Nel “pantheon” del PD è stato inserito Craxi ma non Berlinguer. L’uomo che per primo ha posto la questione morale e il problema dell’etica pubblica non è stato ritenuto un punto di riferimento valido quanto chi ci ha regalato Tangentopoli e ha aperto la strada al berlusconismo. Lo stesso Berlusconi ha dichiarato “Se questo è il partito democratico, quasi quasi mi ci iscrivo anch’io.” E la cosa tragica è che potrebbe benissimo farlo. Con questa deviazione verso una politica di presunto “realismo” la Sinistra italiana ci ha deluso ancora una volta. Ma dopotutto non è colpa loro, siamo noi che ormai dovremmo aspettarcelo. È la cosa che sanno fare meglio. Luca Nicolai CONTINUA DALLA PRIMA

Dobbiamo essere critici e obiettivi nei confronti delle istituzioni, creare un capitale sociale forte, ricreare una rete di legami cooperativi all’interno della nostra società, che è sempre più autoorientata, sempre più chiusa. Dobbiamo riconquistare lo spazio pubblico, riprenderci ciò che è nostro in quanto cittadini. Dipende da noi, dalle nostre azioni collettive, dal nostro impegno risollevare il nostro paese e la nostra società. L’essere critici e sfiduciati verso un potere autoreferenziale non è antipolitico, lo stare inermi difronte al rapido declino della democrazia sì. Francesco La Pia


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Sconfinare Gorizia

MULTE.

Rescisso il contratto con l’azienda che ha installato le famigerate fotocamere a tre incroci cittadini. Dal 7 maggio gli impianti non sono più in funzione. Restano le centinaia di ricorsi presentati da gran parte dei multati nei sette mesi di funzionamento delle fotocamere, alcuni dei quali sono già stati rigettati dal giudice dei pace.

Giugno 2007 RIFIUTI.

Torna di attualità il tema dei rifiuti. A quanto pare, infatti, la Provincia di Gorizia metterrà mano al Piano rifiuti, mentre si annunciano dei correttivi nel sistema di raccolta anche a livello comunale, con l’avvento della nuova giunta in seguito alla vittoria del centrodestra con Ettore Romoli.

POLITICA

ECONOMIA

E’ Ettore Romoli il nuovo sindaco di Gorizia. Il candidato del centrodestra l’ha spuntata al primo turno con il 51,13 per cento delle preferenze. Andrea Bellavite, candidato della sinistra radicale, ha ottenuto un buon 20 per cento, mentre l’ulivista Giulio Mosetti si è fermato al 16,13 per cento. In calo rispetto alla precedente tornata elettorale la lista civica Per Gorizia (6,18%), seguono Cittadini, Pensionati e Progetto Nord Est .

Occupazione in ripresa nella provincia di Gorizia. Nell’ultimo anno - secondo i dati forniti dalla Camera di commercio - il tasso di disoccupazione è sceso dal 4,9 al 3,6 per cento. A migliorare è stato soprattutto il dato sull’occupazione maschile, mentre è in crescita la disoccupazione “in rosa”, come anche il numero di nuove imprese.

1 Maggio

1 Giugno

...Quelli che tele 4... E insomma, alla fine nessuna sorpresa: è cambiato tutto per lasciare le cose esattamente come stavano prima. Il sindaco è ancora uno pseudo-moderato in grado di tranquillizzare la popolazione, a cui un eccesso di emozioni potrebbe essere fatale; i preti restano confinati sul sagrato della chiesa, mentre vescovi e cardinali continuano a sproloquiare sullo scibile umano; e il centro-sinistra non può proprio fare a meno di spaccarsi e rovinare quel successo colto miracolosamente pochi anni fa. Viene voglia di lasciar andare tutto in vacca; di mandarli, finalmente, dove meriterebbero di stare. Che stiano là là, i nostri eroici rappresentanti, ad accoltellarsi per apparire su Tele 4. A tramare e a sproloquiare per non venir dimenticati. E invece, è proprio questa la condanna che meriterebbero. La dimenticanza. Brancati chi? Ah, sì, quello con la barbetta. Mosetti quale? Mi dispiace, proprio non so chi sia. Ci si può provare, a lasciarli dietro alle nostre spalle, ma poi non credo che staremmo meglio. Perché l’incazzatura resterebbe. Un’incazzatura epica, di dimensioni

colossali. Ci può stare di perdere a Gorizia, che proprio città rossa non è. Ma non così. Non con questa noncuranza spocchiosa. E con questo non voglio dire che le 3725 voci della fu Unione non abbiano lavorato duramente, o non abbiano davvero cercato di vincere queste benedette elezioni. Il punto è un altro. Si saranno pure sbattuti come pazzi, ma nessuno che abbia mai cercato di varcare i confini del proprio orticello. Sono rimasti tutti là, confinati fra slogan e parole d’ordine, a scimmiottare i loro guru, quelli che a Vespa e Mentana danno del tu, quelli che nemmeno sanno cos’è Tele 4, figurarsi le telecamere ai semafori. E’pazzesco, è snervante. Almeno a livello locale, in una città piccola come Gorizia, che proprio una metropoli non è, si potrebbero cercare nuove forme di partecipazione politica. Avvicinare veramente i cittadini alle istituzioni. Perché, tutto sommato, un conto è se l’Istituzione è qualcuno che conosci solo grazie alla tv, un altro è se lo è il tuo vicino di casa. Mai avrei il coraggio di andare a chiedere lo zucchero a Napolitano. Ma a Mosetti sì. Perché sono

sicuro che è come me: lo vedevo a far la spesa fino all’altro ieri. Mangia, beve, lavora, e forse si mette persino a dieta. Ecco, è questo che è imperdonabile: che una persona esattamente come me, cresciuta fra gli stessi problemi, lontana da scuole di partito e amenità varie, si comporti come un Rutelli dei poveri. Ma non si rendono conto di essere patetici, dalla Gironcoli in giù? Che forse perfino i loro familiari li votano più per accondiscendenza che altro… Non c’è bisogno di citare Marx, per riasfaltare una strada. E forse, ma solo forse, Moro se ne sarebbe fregato, del blocco del traffico. Eppure sono tutti là, i dalemini de noialtri, a cercare la protezione di totem forse un po’ troppo ingombranti. Fa piacere, certo, che Giordano venga ad incontrare Bellavite. Uno si sente considerato, insomma, anche come suo potenziale elettore. Magari ha passato pure la notte in bianco, a ripassare le due frasette in croce che avrà il tempo di dirgli. Ma alla lunga, a cosa servirà il segretario di Rifondazione? Lo vedremo forse mai in Consiglio comunale? Ascolterà le tiritere infinite degli abitanti

della città più morta d’Italia? E lo stesso vale per Fini. Poveraccio, oltre a ripetere come un mantra che Gorizia è italiana e che noi non abbiamo da festeggiare nulla con gli Sloveni, non è che possa fare molto… E noi là come fessi, ad applaudire a comando secondo logiche d’appartenenza che più tribali di così non potrebbero essere. In questi giorni si parla molto di crisi della politica, rievocando lo spettro del ’92. Ma forse siamo noi, i soli ad essere in crisi. Perché, senza di noi, la politica non esisterebbe. Perché fra cinque anni, se non saranno Mosetti e Brancati, ce ne troveremo altri due fatti con lo stampino. E noi qua passivi, a guardare la politica come si studierebbe un rito misterioso, inevitabile. Ma è davvero possibile che non riusciamo a capire che, almeno a livello locale, la politica non è, non deve essere quella dei salotti televisivi? Perché ci lasciamo dettare l’agenda da Rutelli e Fassino, che sapranno tutto del Family day, ma via Carducci non la troverebbero mai? Andrea Luchetta

Gorizia non mi merita Intervista allo sconfitto Nicolai Signor Nicolai, come commenta il suo risultato alle elezioni comunali di Gorizia? Cosa dovrei dire? Ci sono stati dei brogli. B-r-o-g-l-i (scandisce, ndr). E’ ovvio… Brogli? Ma se non ha preso nemmeno 1 voto. Come può parlare di brogli? Proprio per questo mi sembra palese che ci siano state delle irregolarità. Peggio, un’autentica cospirazione per conservare il potere tra le mani della gerontocrazia goriziana. Sta muovendo delle accuse pesanti. Su quali basi? Tutti avrete letto o sentito di quanto è accaduto a Lucinico, dove un presidente di seggio ha intascato una scheda elettorale. Evidentemente è stato il solo ad essere beccato in fragrante. Chi può dire che questo non si sia ripetuto in tutti i seggi? Chi può dimostrare che non ci sia stata un’allenza di tutti i presidenti dei seggi goriziani contro di me? Loro se ne sono usciti con le tasche piene, io senza voti… Intende ricorrere al TAR del Lazio? In effetti ci sarebbe un’altra irregolarità: vi era un altro candidato di nome Nicolai in

una lista a me ostile. Evidentamente c’era la volontà di togliermi dei voti. Mi temevano…Ma se questa città non mi vuole evidentemente non merita che Romoli… Romoli ha ottenuto oltre il 50% dei voti e si è insediato, da circa una settimana, nel palazzo comunale. Come vede il nuovo sindaco? Come un exmissino alleato con Berlusconi. Bastacosì? Serve altro? Veramente si... Allora è un populista il cui primo impegno preso è quello di ripavimentare le strade. A Gorizia non servono cerotti, non servono politiche con lo sguardo corto. Lui sembra mio-

pe, io ero il candidato con gli occhiali… Lo era. E adesso, pensa di aver finito con la politica goriziana? O intende lanciarsi nella costruzione del Partito Democratico come l’altro grande sconfitto, Mosetti? Il partito democratico è un’illusione, un’ accozzaglia priva di dignità politica che non riuscirà mai a formulare un programma propositivo. Quanto a me, ho ben altri progetti… Nuovi progetti? Si, intendo dedicarmi alla cultura, alla cinematografia. Intendo cam-

biare le cose una persona alla volta. Eh? Cambiare le cose una persona alla volta? La politica mi ha deluso di nuovo, dopo l’esperienza di rappresentante d’istituto. Penso di poter fare di più agendo su una scala più piccola. Vuole quindi ricucire lo strappo tra politica e società civile? Esattamente! Agendo alla base, arrivando alla coscienza dei singoli, fino a convertirli. Convertirli sembra un verbo più adatto alle liste civiche confluite nel Forum dell’ex prete Bellavite? La chiesa non ha l’esclusiva sui missionari. Quale sarà il suo messaggio? Fate come se i politici non ci fossero e cercate, ognuno di voi, di risolvere i problemi del vicino di casa..o della vicina (strizza l’occhio, ndr) Ma per finire, non ha proprio niente da dire al sindaco Romoli? Solo un celebre aforisma: “Il problema della corsa dei topi è che, anche se vinci, sempre topo sei”. Davide Lessi


Sconfinare Università

2007 Giugno

5

Le modifche al biennio specialistico in scienze internazionali e diplomatiche approvate dal Consiglio di Facoltà

Riforma o Rivoluzione? Il curriculum politico diplomatico Insegnamento

CFU

I ANNO

Il curriculum economico internazionale

Il curriculum extraeuropeo Insegnamento

CFU

Insegnamento

I ANNO

CFU

I ANNO

Storia delle relazioni internazionali

6

Storia delle relazioni internazionali

6

Storia delle relazioni internazionali

6

Relazioni economico finanziarie internazionali

6

Relazioni economico finanziarie internazionali

6

Relazioni economico - finanziarie internazionali

6

Diritto dell’Unione europea

6

Metodologia e tecnica delle relaz. internazionali

6

Diritto dell’Unione europea

6

Psicologia delle organiz. e del negoziato

6

Psicologia delle organiz. e del negoziato

6

Metodologia e tecnica delle relaz. internazionali

6

Psicologia delle organiz. e del negoziato

6

Metodologia e tecnica delle relaz. internazionali

6

Sistemi sociali e politici africani

6

Istituzioni del mondo musulmano

6

Cooperazione allo sviluppo

6

Diritto amministrativo

3

Lingua francese I

6

Lingua inglese I

6

Una lingua a scelta

6

Geografia economica

6

Geopolitica

6

Diritto amministrativo

3

Lingua francese I

6

Lingua inglese I

6

Una lingua a scelta

6

II ANNO

II ANNO

Studi strategici

3

Organizzazione internazionale e volontariato

3

Sociologia politica

6

Storia e Istituzioni dell’Europa Orientale

Sto. delle ist. pol-rel. dell’Imp. russo e del sis. sov.

6

Storia politica e diplomatica dell’Asia Orientale

Relazioni politco-strategiche tra oriente e occidente

3

3

Insegnamenti a scelta

6

Tut. int. dei dir. dell’uomo, delle cult. e dell’ambiente

6

Ulteriori conoscenze linguistiche, informatiche ecc.

Antropologia dello sviluppo

3

9

Insegnamenti a scelta

6

PROVA FINALE

21

Ulteriori conoscenze linguistiche, informatiche ecc.

9

PROVA FINALE

21

Capita, un giorno, una domanda Era-

smus da compilare. Capita, mettiamo lo stesso giorno, un piano di studi in cui i corsi abroad, dell’università straniera, devono corrispondere a quelli home, della tua università. Capita, ancora lo stesso giorno, di trovare su internet il piano dettagliato dell’anno accademico successivo per l’università straniera, con tanto di corsi, docenti, semestri e addirittura orari di insegnamento. Ancora lo stesso giorno, capita di provarci anche per la parte italiana, la tua, per la precisione quella del polo goriziano dell’Università di Trieste. Internet? Biblioteca? Segreteria? Niente. Non capita, per giorni e giorni. Peggio, non c’è il modo di farlo capitare. Finché qualcuno di ben informato ti dice che il piano di studi che cerchi da giorni e giorni è reperibile “nel posto più ovvio”. In quel paradiso terrestre dello studente universitario che è la cartolibreria di via Cascino, sempre a Gorizia. Capita così che ti accorgi che i tre curricula della specialistica a cui ti appresti ad iscriverti sono cambiati. Radicalmente cambiati. Capita che ti torna alla mente gennaio con “tutti quei discorsi” sulla riforma Mussi, sui decreti che non ci sono ma bisogna eseguire, sulla necessità di negoziare, sui soldi che non bastano per i professori a contratto, sulle due nuove specialistiche in studi internazionali varate e ancorate a Trieste, sulle beghe interne alla Facoltà...

Ist. soc. e pol. dell’Asia moderna e contemporanea

Capita che ti sembra di essere come ad un’esposizione casearia con i tre curricula ridotti ad ammassi di groviera: ogni giorno più bucati al loro interno, ogni giorno meno appetitosi per te, topo in trappola. Altro che riforma Moratti, Mussi e quant’altro, una vera e propria rivoluzione sta investendo il corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche. Quello dell’Università di Trieste ma con sede a Gorizia. Sì, proprio quello dal glorioso passato, quello che fu il primo in Italia e fuori, quello che ancor oggi contribuisce in maniera determinate a mantenere la Facoltà ai primi posti nazionali (dopo Bologna, con la sua affiliata Forlì, e Pavia, ma prima di Roma) come ci ricorda una recente indagine Censis, condotta per il quotidiano nazionale Repubblica. Su un altro quotidiano, locale, qualcuno, ricordando il film Caccia ad Ottobre Rosso, ha scritto (in un altro contesto sia chiaro) che “una piccola rivoluzione ogni tanto è salutare”. Sarà, ma non è questo il caso, almeno perchè la rivoluzione tanto piccola non è. A cominciare dall’inserimento di Psicologia delle organizzazioni e del negoziato in tutti e tre i percorsi, economico-internazionale, politico-diplomatico e, cosa assai più imprevedibile anche in quello extraeuropeo. Se, come diceva Sherlock Holmes, tre

Geografia economica

6

Geopolitica

6

Diritto amministrativo

3

Lingua francese I

6

Lingua inglese I

6

Una lingua a scelta

6

II ANNO Diritto degli scambi internazionali

6

6

Sistemi economici e fiscali comparati

6

3

Economia dei mercati monetari e finanziari

3

Economia dello sviluppo

6

Insegnamenti a scelta

6

Ulteriori conoscenze linguistiche, informatiche ecc.

9

PROVA FINALE

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indizi fanno una prova allora siamo a buon punto. Ma non sono tanto le fondamenta, già gettate, di un nuovo centro di studi del negoziato che fanno riflettere – anche se sarebbe ora di chiarire se questo sorgerà internamente o parallelamente al corso di laurea- quanto piuttosto il continuo impoverimento dell’offerta formativa del SID alla specialistica. Al I anno i tre curricula non si distinguono che per una manciata di corsi, anzi l’economico e il diplomatico neanche per questi, coincidendo perfettamente negli insegnamenti. Ma allora che senso scegliere tra i due? Tanto varrebbe posticipare la scelta della specializzazione all’ultimo anno e, se “i provvedimenti Moratti” non lo consentono, lasciare quantomeno la possibilità di movimento da un percorso all’altro all’inizio del quinto anno. A ben vedere, quest’ultimo non sembra star meglio: mancano all’appello diversi insegnamenti, tra cui Finanza d’Impresa e Marketing nel curriculum economico, Metodologia e tecnologia delle comunicazioni di massa ed Economia applicata internazionale nel politico diplomatico e diversi caratterizzanti di quello extra-europeo come, tra gli altri, Storia ed istituzioni del mondo Ottomano e della Turchia contemporanea e Organizzazioni internazionali e volontariato. Come togliere que-

st’utlimo se il manifesto del corso si prefigge di creare figure professionali capaci di agire nell’ambito “dell’aiuto e della cooperazione verso paesi extra europei”? Dietro ad un insegnamento sta sempre un docente, da affiliare, da associare, da confermare e da precarizzare. O, come succede ultimamente, da de-precarizzare, ossia licenziare. E’ questa la grande trasformazione: si è passati dai circa 30 crediti formativi complementari (i CFU complementari erano 13 nell’economico) ai soli 6 da ripartire nei due anni. Vale a dire che lo studente potrà scegliere meno esami a propria discrezionalità, diventando ancor più legato ad un percorso omologato e omologante. Senza dubbio studiato puntigliosamente secondo i dettami ministeriali e i vincoli universitari (bilancio, riduzione dei docenti a contratto e via dicendo), eppure sempre meno confacente alle sue aspirazioni iniziali. E tra un professore che va, uno che viene, e troppi, anche tra i professori, che ti consigliano di andartene per la specialistica, capita che ti senti spaesato. Capita che ti viene da chiedere consiglio alla signora di via Cascino, magari lei ha qualche altra fotocopia per te...capita che diventi allergico al sistema. Come quel topo che davanti all’esposizione casearia non trova il groviera che fa per sé. Troppi buchi, pensa. Scuote il musetto, si gira e se ne va... Davide Lessi


6 La cosa più divertente dell’Erasmus, prima di andarci ovviamente, sono le storie che girano in facoltà sull’attribuzione delle borse. Per alcune settimane l’università si trasforma in un campo di battaglia. Sembra quasi che tutti abbiano dimenticato gli esami e per le destinazioni più ambite la concorrenza diventa sfrenata. Si manifestano anche parossistiche crisi d’ansia: “Tu cos’hai chiesto?!” “Hai trovato gli esami?!” “Io pensavo di chiedere Parigi ed Instanbul, secondo te sbaglio?!” “Chi ha chiesto Science Po?! E la Humboldt?!” “Alla fine vai a Cracovia?!”. I colloqui con i docenti poi diventano scene di racconti folklorici tramandati oralmente all’interno della comunità studentesca, a volte ingigantiti, a volte fedelmente trasmessi. Si viene a sapere allora di professori che premono affinché gli studenti facciano la tesi con loro come requisito per ottenere la borsa; altri che si rifiutano di attribuire una borsa vacante ad uno studente che la chiede perché non è della specialistica; ragazzi che frequentano corsi non previsti nel loro programma di studi per accattivarsi un professore; altri che lo invitano a cena per lo stesso motivo. Alcuni docenti fanno tre orali prima di prendere una decisione, altri nemmeno mezzo. Il tutto

Lunedì. Ore 13.30. Cielo sereno su Gorizia. Sto raggiungendo l’appartamento di Emmanuel. Siamo in partenza per Trieste. Il nostro compito è semplice: consegnare la domanda di laurea in segreteria. Fin da subito si respira un’atmosfera rassegnata. Siamo consapevoli di ciò cui andiamo incontro: ormai abbiamo perso ogni speranza di efficienza del sistema. Siamo disillusi, freddi, calcolatori. Siamo veterani. Abbiamo visto cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare. Se non siete Kafka. Ancora una volta, dunque, ho in mano CARTE. Che bella sensazione. Tutta questa cellulosa tra le mie dita, morbida, liscia, con le lettere stampate in nero su bianco, nette, determinate. Mi conforta sempre sapere che anche noi, nel nostro piccolo, diamo il nostro contributo a tutti quei poveri lavoratori, laggiù in Amazzonia: la nostra Burocrazia è con voi, ragazzi! Tra parentesi, potremmo presentare la domanda anche a Gorizia. Perché, dunque, andare a Trieste? Semplicissimo: occorre effettuare tramite posta un pagamento di trenta euro, su di un apposito bollettino prestampato. Per ritirarlo bisogna mettere in conto un viaggio di un’ora, un pomeriggio di vita, imprecazioni varie ed eventuali. Perché QUESTO BOLLETTINO SI PUO’ RITIRARE SOLO IN SEGRETERIA CENTRALE, anche se poi il versamento si può fare dovunque e non occorre presentare alcuna ricevuta. Se un giorno qualcuno mi parlerà ancora di rivoluzione telematica, riduzione delle distanze, e-commerce, internet, mi sa che riderò. Riderò di gusto. Emmanuel mi avverte che bisogna presentare, tra le altre cose, pure la ricevuta di un questionario da compilare obbligatoriamente in Internet (chiaramente, se c’è qualcosa da fare, e io non lo sapevo, bisogna anche usare il computer): sei pagine di questionario e pochissimo tempo a disposizione. Metto i dati anagrafici. Dobbiamo partire.

Sconfinare Università

Giugno 2007

DOMANDA ERASMUS Come l’anarchia istituzionale influenza la domanda Erasmus

La scelta e le storie nella più generale anarchia istituzionale. Non a caso ci sono alcune domande a cui difficilmente risponderebbero anche gli addetti dell’Ufficio Erasmus di Trieste. Ad esempio: quanto pesa la conoscenza della lingua nell’attribuzione della borsa? Quanto la media? Quanto “l’anzianità”? Quanto l’interesse del candidato per la materia del professore che gestisce la borsa? Ci sono persone che hanno superato altri candidati pur conoscendo poco o nulla della lingua del paese in cui sarebbero andati, altri che per la stessa ragione si sono visti opporre un secco rifiuto. Nella totale assenza di direttive i professori svolgono liberamente le loro selezioni privilegiando ora un criterio

ora l’altro e non c’è da stupirsi. Tuttavia questo comporta che molti studenti scelgono le destinazioni più in base al professore che assegna la borsa, che alla destinazione vera e propria. E qui entrano in gioco le storie di cui si parlava all’inizio. Infatti è soprattutto in base ed esse che avviene la prima selezione, quella fatta dopo ore passate di fronte allo schermo del computer, con il mouse lampeggiante sull’elenco delle università e dei relativi docenti. Così è facile sentire: “...ah io con Pilotto la borsa non la chiedo!...”, “...ma tu sei pazzo a chiederla con Fasana!...”, “...E’ inutile, la Pagnini dà le borse solo a quelli della specialistica!...”. Così nel caos ci si affida all’intuito, ai consigli dei più vecchi e alle storie, che

Storia di ordinaria burocrazia 2 Cinque minuti. Quattro. Calma, il segreto è la flemma. Mi chiamano al cellulare. Parlo portando avanti la compilazione. Sono un funambolo. Quando riattacco capisco che non ce la farò mai. E allora via, qual è il mio livello di inglese di spagnolo di francese di tedesco quando sono nati i miei qual è il mio codice fiscale che diplomi ho so usare il computer e se sì che programmi? La soluzione è una: metto crocette a caso, salto parti, invento risposte, tanto so che potrò modificarlo anche dopo e che questo non influenzerà l’esito della ricevuta. Finalmente finisco. In questo momento c’è un sito internet che contiene dati molto divertenti su di me. Mi sa che dovrò ricordarmi di cambiarli, un giorno. Partiamo! Lungo la via intoniamo marce

ed ascoltiamo Wagner che fa sempre morale. Magari stavolta andrà bene e non dovremo nemmeno prendere ostaggi. Verso le due e mezza arriviamo e prendiamo il nostro numero e, già che ci siamo, saliamo fino all’ufficio Socrates per vedere se riusciamo a firmare il contratto finanziario, visto che sta per scadere il termine anche per esso. Ultimamente ci sono un sacco di scadenze. E meno male, altrimenti non mi accorgerei mai di essere in ritardo. All’ufficio ci sono, comunque, un sacco di persone. Decidiamo che tanto vale rinunciare, visto che il giorno dopo verranno appositamente i funzionari dell’ufficio a Gorizia. Scendiamo e aspettiamo il nostro turno. Arriveremo a casa alle cinque e mezza. Tre ore nette. Sono

se spesso sono vere, altrettanto spesso si rivelano esagerate o parziali, precludendo stupidamente le scelte di molti studenti. Non sarebbe più facile fare un po’ di chiarezza permettendo una decisione più serena e consapevole? Non si tratta di formare commissioni unitarie di valutazione con graduatorie quantitative di tutti gli studenti come avviene in altre facoltà. Non è necessario arrivare a tanto centralismo istituzionale, anche dubbio nei suoi esiti. Non si vuole uniformare l’azione dei singoli docenti ad un modello unico da seguire rigidamente. Basterebbe fornire delle risposte alle domande poste precedentemente. Ad un’ eventuale mancanza di volontà e/o capacità da parte degli organi universitari a compiere una simile operazione potrebbero supplire gli stessi docenti, facendo pubblicare insieme al bando i propri criteri di valutazione in ordine d’importanza. Questo probabilmente aiuterebbe gli studenti a scegliere con maggior consapevolezza. In fondo, l’Erasmus è un’esperienza unica che ha un ruolo fondamentale nella nostra carriera universitaria, per la quale quindi è il caso di esigere un po’ di chiarezza. Emmanuel Dalle Mulle

felicissimo! L’unico modo per metterci meno in una segreteria è trovarla chiusa. Martedì. Ore 9.00. Il sole illumina i corridoi della nostra università. Si conclude il contratto finanziario. Avanzo baldanzoso col Bonez e con il mio learning agreement firmato, controfirmato, parafato, timbrato, validato. Eppure non mi sembrava che il learning agreement comportasse modifiche territoriali. Arriviamo alla stanza in cui i funzionari di Trieste hanno convocato gli assegnatari delle borse. E d’un tratto mi rendo conto che è vero: il mondo è sovrappopolato. C’è una lista? Benissimo, la trovo e segno entrambi. Ci sediamo con gli altri. E cominciamo ad attendere. Ore 10.00. Riusciamo ancora a fingere di studiare. Abbiamo i libri, sottolineiamo, magari ci facciamo anche qualche domanda. Ogni tanto passa di fronte a noi qualche reduce. Leggo nei suoi occhi la mia sofferenza. Non c’è bisogno di parole. So quello che tutti loro hanno provato e li rispetto. Loro ce l’hanno fatta. Ore 11.00. Da un po’ di tempo ho cominciato a canticchiare. Non è mai un buon segno. Bonez ha chiuso il libro e legge qualcosa che non esiste sul soffitto. Ore 12.00. Ridiamo nervosamente. Ore 13.00. Ormai siamo agli sgoccioli. Manca solo una decina di persone. Ma un sinistro ammonimento risuona destando inquietudini: potrebbero non riuscire a farci tutti. La folla comincia ad agitarsi. Qualcuno già affila coltelli. Perché ieri non sono rimasto a Trieste a pernottare? Mi sa che conveniva. Ore 14.00. Dopo qualche accenno di insurrezione popolare il ritmo è accelerato. La democrazia funziona! Peccato però, la barricata mi stava venendo proprio bene. Chiamano il mio nome. Sono affamato e disidratato. Ho freddo. Striscio senza forze verso lo studio e concludo il contratto. Le mie dita tremano. Alla fine riusciamo tutti a firmare. Usciamo alle 14.30. Dopo cinque ore. Abbiamo vinto. Rodolfo Toè


7 Sconfinare Cultura Glocale Trieste: punto di contatto fra comunità scientifica e società

2007 Giugno

Il forum G8-Unesco è un’occasione per pensare al futuro della città.

Per 3 giorni, dal 10 al 12 maggio, Trieste ha ospitato il forum G8- Unesco dedicato ai temi dell’educazione, della ricerca e dell’innovazione al servizio dello sviluppo sostenibile, riunendo i rappresentanti dei governi di 22 paesi del mondo, economisti e scienziati, tra cui (solo per citarne alcuni) i Premi Nobel Carlo Rubbia e Martin Perl. Lo scopo del forum non era elaborare dei progetti d’intervento specifici quanto quello di “promuovere la società globale dell’innovazione sviluppando e integrando gli elementi del triangolo della conoscenza (istruzione, ricerca e innovazione)”, come ha affermato il direttore generale dell’Unesco Koichiro Matsuura. Naturalmente, è facile trovare ottimi argomenti per criticare l’utilità, l’efficacia e la sincerità di simili iniziative, e i cortei di protesta ambientalisti non sono mancati, ma non è di questo che vorrei occuparmi. Uno dei risvolti salienti di questo forum è senza dubbio il ruolo di Trieste: la città è stata scelta per la sua consolidata tradizione scientifica, che l’ha portata ad essere un punto d’eccellenza nel settore in Italia e a livello internazionale. L’incontro ha fatto sorgere diversi interrogativi sul futuro del capoluogo giuliano, sia come polo scientifico sia come città in sè: sarà all’altezza della sfida di diventare un ponte per la diffusione delle tecnologie fra Nord e Sud del mondo e per la collaborazione con i paesi dell’Europa Orientale? Che vantaggi potrà trarre da questo ruolo? Al momento, basta guardarsi un po’ intorno per capire che la città ha i numeri per soddisfare queste aspettative: ospita istituti come il Centro di Fisica Teoretica Abdus Salam, il Sincrotrone, l’Area Science Park, il Consorzio per Scienza, Tecnologia e Innovazione per il Sud del mondo. Se non bastasse questo parziale ma già consistente elenco per rendere l’idea, è sufficiente considerare la densità di scienziati presenti sul territorio del Friuli Venezia Giulia: il rapporto fra ricercatori e popolazione è

dell’8,8 per mille, il più alto d’Italia e di molte economie sviluppate. Ma perchè sia la città intera a beneficiare delle possibilità delineate, è necessario valorizzare la scienza fra i cittadini, sensibilizzare l’opinione pubblica per creare una comunità consapevole e interessata, e innescare un circolo virtuoso di conoscenza: ad ogni livello le istituzioni dovrebbero adoperarsi per favorire la compenetrazione fra comunità scientifica e cittadini, per istruire e stimolare i giovani, in modo che un domani alcuni di loro vadano ad alimentare le fila degli scienziati, portando una visione della tecnologia ancora più dinamica e consapevole dell’importanza della conoscenza scientifica al servizio concreto dell’umanità. In questo modo, la città sarebbe in grado di con-

tinuare ad attirare scienziati da tutto il mondo, e vedrebbe nascere anche molte opportunità di investimenti economici di vario genere. Un’informata, interessata ed aperta (sotto il profilo culturale in senso ampio) comunità sociale può essere quindi un importante fattore per alimentare una feconda comunità scientifica. E a sua volta la scienza ha molto da insegnare alla società civile in termini di razionalità, di cosmopolitismo e di apertura mentale: tutti elementi che, se valorizzati nel giusto modo, possono contribuire alla crescita della città e al suo “svecchiamento”, ad aprire prospettive nuove in tutti i campi culturali, non solo in quello scientifico. Un’importante risposta a questi temi è arrivata proprio in questi giorni con la prima Fiera dell’Editoria Scienti-

fica di Trieste (FEST) conclusasi il 20 maggio: un entusiasmante esempio di ciò che la comunità scientifica è in grado di dare alla cittadinanza. Attraverso conferenze, tavole rotonde, mostre, science cafè, la fiera si è proposta di diffondere le più recenti scoperte scientifiche e i più innovativi modi di divulgare la conoscenza, ma anche i dilemmi e le sfide cui le scoperte inevitabilmente portano, richiamando migliaia di visitatori. Per quanto riguarda il sostegno ai paesi in via di sviluppo, nel corso corso del forum G8-Unesco si è parlato del futuro di Trieste come modello di cooperazione attraverso la collaborazione con istituti scientifici collocati nei paesi che non hanno le risorse per lo sviluppo di tecnologie utili alla crescita economica. Così si potrebbe offrire aiuto in modo non paternalistico e più concreto, cioè fornendo i necessari strumenti ed infrastrutture per favorire uno sviluppo autonomo dell’economia e della società dei paesi in questione, piuttosto che riversando fiumi di denaro spesso senza controllo. In particolare, una strada importante da percorrere è quella delle tecnologie eco-sostenibili: la scienza dovrebbe mettere a punto tecnologie che permettano loro di proseguire nello sviluppo come hanno fatto le economie occidentali, ma limitando il proprio impatto ambientale. In questo modo, si otterrebbe un modello alternativo di sviluppo che sarebbe decisivo nella ridistribuzione delle risorse e nell’eliminazione delle disuguaglianze fra paesi compatibilmente con il rispetto dell’ambiente. Per Trieste dunque si prospettano grandi sfide e possibilità, che avrebbero implicazioni sicuramente positive per la regione intera: l’ideale ora sarebbe continuare sulla strada aperta dal FEST in termini di scambio proficuo tra società e comunità scientifica, per fare diventare la città una vera capitale della scienza. Athena Tomasini

Al cinema Vittoria di Gorizia: “Terre contese, luoghi condivisi” Gorizia è una terra di confine per eccellenza e perciò diventa spesso teatro di manifestazioni; esse sono occasioni per riprendere e sviluppare un tema che richiede analisi approfondite ed è spesso influenzato dai differenti punti di vista delle parti che, volenti o nolenti, se ne trovano coinvolte. Riguardo a ciò, giovedì 9 e venerdì 10 maggio si è svolta a Gorizia l’iniziativa “Terre contese, luoghi condivisi” presso il cinema Vittoria e la sala proiezione del corso di laurea del DAMS e finanziato in parte dal fondo sociale europeo e dalla regione Friuli Venezia-Giulia. Si è trattato di una manifestazione volta alla riflessione attuale sul problema dei confini: esso è da sempre al centro dell’attenzione della politica internazionale e si ripercuote sulla vita delle persone che subiscono decisioni spesso arbitrarie. Naturalmente il confine non è solamente geografico e politico, ma a volte anche mentale; è quindi ciò che conduce molte volte a pregiudizi ed intolleranze. Molti aspetti e molti ambiti geografici e culturali sono stati toccati nel corso della manifestazione Nel pomeriggio del giovedì il titolo del tema trattato è stato “Tensioni e complicità nelle regioni di frontiera” con la proiezione di frammenti di film aventi ovviamente una diretta connessione all’argomento, e l’intervento di alcuni esperti del settore. Molto interessante il documentario su Nora Gregor, goriziana di nascita: in esso, oltre alla biografia dell’attrice, si evidenzia anche il trascorso carattere multiculturale

Confine, tra presente, passato e futuro

di una città che oggi non pare o non vuole ricordarselo per varie ragioni. Altro film da vedere e presente nel programma, è “Stella Solitaria” di John Sayles, che racconta la storia di un villaggio a sud del Texas, in cui vi è la difficile convivenza tra cittadini statunitensi, messicani e neri. Durante la serata invece il tema proposto era “Muri reali, muri immaginari” con la proiezione di tre film a partire dalle 20.45 presso il cinema Vittoria. Nel cortometraggio “Dov’è la cortina di ferro?” (Slovenia 1961), girato sulla frontiera, si affrontava la difficile situazione dopo la creazione della cortina di ferro tra Italia e Jugoslavia; nel lungometraggio “ Di chi è questa canzone? “ (Bulgaria 2003, vincitore

nello stesso anno del premio per il miglior documentario europeo), ambientato nel territorio dei Balcani, il tema fondamentale diventa invece l’assegnazione di una canzone tra vari popoli che la rivendicano come propria; infine “Il muro” (Belgio 1998), a mio parere il più interessante, riprende il tema del contrasto ormai storico tra Fiamminghi e Valloni: immaginando ironicamente la costruzione di un ipotetico muro che divida questi due “popoli” presenti all’interno del Belgio. Venerdì 10 maggio, infine, la manifestazione si è concentrata sul tema “Gorizia - Nova Gorica: politiche culturali liberi dal confine” con un’analisi abbastanza approfondita dello sviluppo storico e culturale

dell’area in questione e della progressiva integrazione di un territorio situato sul diretto confine tra Italia e Slovenia. Durante questa mattinata il dibattito è stato aperto e sono intervenuti il giornalista Klavdjia Figelj, il giornalista e scrittore Demetrio Volcic e il sociologo Moreno Zago, che hanno apportato un prezioso contributo alla discussione. Per chi fosse interessato agli atti del convegno e non avesse potuto prendervi parte, essi sono eventualmente disponibili sul sito www.kinoatelje.it. Nel complesso ritengo che la manifestazione sia stata molto interessante ed abbastanza ben organizzata, anche se sinceramente mi aspettavo forse una maggiore presenza e partecipazione da parte del pubblico. D’altra parte, a giustificazione di ciò, il tema trattato viene ribattuto durante l’anno a più riprese e comunque, a mio parere, la pubblicità della manifestazione forse non è stata sufficiente. Il confine resta in ogni caso un argomento molto importante e un oggetto di analisi e riflessione molto attuale. Esso è sempre in evoluzione e risulta essere un elemento condizionante, nonostante i numerosi progressi compiuti negli ultimi anni, della situazione quotidiana locale e globale. A volte infatti ci si ferma troppo presto per paura o per interesse: sarebbe importante valicare il confine più spesso anche per approfondire la conoscenza e abbattere dei muri. Naturalmente non solo in senso metaforico. Lisa Cuccato


Giugno 2007

Sconfinare Musica

8

Tutti morimmo a stento

FABRIZIO DE ANDRE’

Mi innamoravo di tutto Fabrizio De André, prima di essere cantautore e poeta, era un uomo innamorato. Si innamorava di tutto ciò che avesse un cuore, e in particolare di quegli uomini che normalmente si pensava ne fossero privi. Forse perché aveva scoperto che i cuori più veri e interessanti, a volte si nascondono negli involucri più impensabili. E lui si riservava il compito di dimostrarcelo. E’ così che iniziò la sua passione per gli emarginati, le prostitute, i ribelli, i diseredati, e per tutte le sfumature del genere umano. E’ nel ghetto di Via del Campo, in quel carruggio genovese umido e sconnesso, proibito di giorno e mal frequentato la notte, che De André trovò quell’umanità respinta e per lui così affascinante, da cui trasse ispirazione. Così si mise a raccontare le loro storie, che nessuno avrebbe mai raccontato proprio perché così scandalosamente vere, così vergognosamente umane. La sua poesia si espresse al meglio attraverso queste figure, proprio per l’affetto profondo che egli nutriva verso di loro, e verso quelle vite così distanti dal mondo borghese per la loro autenticità nella precarietà. Nella sua antologia di vinti, è l’essenza delle persone a contare più delle azioni e del loro passato. C’è Pilar del mare, che si addormentava il cuore con due gocce di eroina e che Sally trovò morta, bocca sporca di mirtilli, un coltello in mezzo ai seni, c’è il blasfemo a cui cercarono l’anima a forza di botte, c’è il bombarolo, trentenne disperato, e l’altro con la bomba sempre in testa, che preferirebbe sanguinare perché non può più sopportare. C’è la passione di Bocca di Rosa, che per un poco portò l’amore nel paesino di Sant’Ilario, c’è chi è stato impiccato per un peccato

di gioventù, e, prima che fosse finita, ricordò che, per il male in un’ora, il prezzo fu la vita. Ci sono i drogati che invocano pietà per essere al mondo, pur vivendo già la morte con un anticipo tremendo, c’è perfino un assassino, due occhi grandi da bambino, e ci sono gli straccioni che senza vergogna portarono il cilicio o la gogna: andarsene

lontano: non credevi che il Paradiso fosse solo lì al primo piano. Vite fallite, traviate, di cui nessuno si vuole occupare: queste sono le esistenze più interessanti per De André, che ci lasciano un messaggio che vale la pena ascoltare. E dal momento che nessuno dà voce alla loro richiesta di pietà, è lui che se ne vuole occupare. Perché non ha mai visto così tanta umanità e sofferenza come in questi volti consumati. E perché, in fondo, le loro pene ci riguardano un po’ tutti. De André preferisce questi uomini, fragili e dimenticati, a banchieri e notai coi cuori a forma di salvadanai, che non conosceranno mai la felicità; li preferisce a uomini di legge senza pietà, che affidano innocenti all’orrenda agonia, decidendone la sorte, e che pensano sia giusta una sentenza che decreta morte. Chiama in causa chiunque sia pronto a puntare il dito verso questi esseri sciagurati, considerati senza cuore o morale, ma in fondo più veri di tanti altri, e gli chiede: cos’altro ti serve da queste vite, ora che il cielo al centro le ha colpite? Chi li starà ad ascoltare, invece, chi cercherà di capirli fino in fondo, e di amarli così come sono, oltre i loro sbagli mortali, si accorgerà che anche se non son gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo. Agnese Ortolani

per loro non fu fatica, perché la morte gli fu da sempre amica. In via del Campo c’è anche una puttana, gli occhi grandi color di foglia, se di amarla ti vien la voglia, basta prenderla per mano. E ti sembra di andar

(Spunti liberamente tratti da alcuni brani di Fabrizio De André, come: Bocca di Rosa, Il bombarolo, Sally, La leggenda del re infelice, Il cantico dei drogati, La città vecchia, Via del campo, Una storia sbagliata, La morte, Ballata degli impiccati, La bomba in testa, Il pescatore).

Frammenti di un uomo all’Hotel Supramonte E se vai all’Hotel Supramonte e guardi il cielo, tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo. (Li immagini lividi, al buio, abbracciati.). La notte non ha risposte: è nera e muta, e basta. Lui non sa se il sole sorgerà ancora. E si ritrova nudo, impotente. Con quel corpo fragile accanto, da proteggere. Le accuse, le lettere, le scuse perfino, fanno parte del gioco. Ma lui non è lì per giudicare. Ciò che lo tormenta di più è capire cosa ci sia oltre il volto coperto dei suoi rapitori. Dove sia nascosto il loro cuore. ma dove, dov’è il tuo amore? ma dove è finito il tuo amore? E’ difficile bere, pur avendo una bocca. E’ difficile trovare un senso. Ma le ossa assorbono tutto di quei giorni indelebili. La neve che cadeva su di loro, il tempo che restava fermo, quasi fosse un signore distratto, ma soprattutto lei, e il suo piccolo corpo, così dolce di fame, così dolce di sete. E’ grazie a lei, compagna silenziosa, se riesce a sopportare quei giorni d’abisso. E’ lei che soffre per lui e assieme a lui. E’ lei che guarda con amore in quelle ore vacue,

è lei che può ancora stringere con le forze che gli restano. E’ lei la bellezza di quella prigionia. Passerà anche questa stazione senza far male, passerà questa pioggia sottile come passa il dolore. E’ l’essere lì con lei e per lei, che restituisce un senso a quegli attimi sospesi. Ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano cosa importa se sono caduto, se sono lontano. Ora che tutto è finito, resta il bruciore del ricordo di quel pezzo di vita all’Hotel Supramonte. Rimangono le domande che non hanno trovato risposta. Non si cancellano le ferite interiori. Eppur bisogna ricominciare a sentirsi vivi, e lottare per non diventare schiavi del dolore che è ancora in corpo. E ora viaggia ridi vivi o sei perduta, col tuo ordine discreto dentro il cuore. Perché non sappiamo cosa ci riservi il domani, perché domani sarà un giorno lungo e senza parole

perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole. La sera del 27 agosto 1979, quando ormai viveva quasi stabilmente in Sardegna nella sua tenuta dell’Agnata, a due passi da Tempio Pausania, Fabrizio De Andrè fu rapito dall’”Anonima sequestri sarda” insieme alla sua compagna Dori Ghezzi, poi sposata nel 1989. I due vennero liberati dopo quattro mesi, dietro il versamento del riscatto di circa 550 milioni di lire, in buona parte sborsati dal padre Giuseppe. De André tracciò un racconto pacato dell’esperienza («...ci consentivano, a volte, di rimanere a lungo slegati e senza bende.») ed ebbe parole di pietà per i banditi («Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai»). Al processo, confermò il perdono per i suoi carcerieri, ma non per i mandanti. Hotel Supramonte è il nome con cui da sempre i sardi chiamano l’industria dei sequestri. Agnese Ortolani

Cominciare dal silenzio. Finita la musica, l’ombra riempie ogni cosa. Guardare il negativo di una fotografia: questo è “Tutti morimmo a stento”. Non solo una ballata concettuale, un barocco memento del nostro destino. Questo è un piccolo canzoniere della miseria e della paura umana, una sonata che nella sua brutale immediatezza assale l’ascoltatore, mutandolo in un essere tremante, fragile e nudo. De André canta la fine, e questa non è esemplare. Né sembra, tutto sommato, tragica. E’ anzi misera e scarna. Una morte che senza eccezioni tocca a noi tutti, e che si trascina in un’agonia fatta di stenti, fatta delle lacrime di chi voltandosi cerca senza speranza una mano che lo trattenga dal gorgo. Le parole delle composizioni sono una sola lirica decadente. Il Cantico d’apertura è negazione assoluta della vita, rovescio di quello di San Francesco. All’immagine della creatura, voluta ed amata da Dio, si contrappone violentemente già dal titolo quella del drogato, di chi ha deciso di costruirsi “il vuoto nell’anima e nel cuore”. A questa figura impaurita e spettrale s’unisce quella degli impiccati. La loro ballata è una maledizione gonfia d’odio e rancore, lasciata piovere su tutti gli occhi che li hanno guardati e derisi. Gli stessi occhi che restano e non vogliono scorgere il cappio, più grande, che va lentamente stringendosi su di loro – gli occhi di chi non sa in quale vuoto andrà scalciando un giorno. “Tutti morimmo a stento” è una tela in cui unico colore è il buio, un affresco in cui nulla si salva. Non la purezza, tradita e violata nella Leggenda di Natale. Non l’innocenza dei bambini, che in Girotondo si rivela corrotta, anch’essa parte del segno che marchia l’uomo, fatta al sangue e alle mosche. La terra stessa sconta questa condanna: “Un altro inverno tornerà domani / cadrà altra neve a consolare i campi / cadrà altra neve sui camposanti”. Gli intermezzi intrecciano frammenti d’un lirismo più suggestivo: fiori sconosciuti profumano ruscelli d’altri mondi, fiori sconosciuti muoiono sui capelli d’altri amori. La Leggenda del re infelice conclude la sonata, con un crescendo vocale ed un recitativo che si accompagnano e si richiamano a suggello dell’opera. Quando la musica tace sembra che ogni cosa al tatto non sia che freddo e silenzio; quando la musica tace il pensiero si ricorda di petali e di acque che non hanno nome e colore. Quando la musica tace il cuore ha imparato a leggere e cela il suo brivido, il cuore si perde a pesare gioie e sofferenze e richiama il passato; e se guarda al futuro e ai suoi incubi e sogni, se pensa al tempo e alla terra, allora sa che verrà il momento in cui smetterà di tremare e riconoscerà la morte, e la morte sarà tutto. “Uomini, poiché all’ultimo minuto / non vi assalga il rimorso ormai tardivo / per non aver pietà giammai avuto / e non diventi rantolo il respiro: / sappiate che la morte vi sorveglia / gioir nei prati o fra i muri di calce / come crescere il gran guarda il villano / finché non sia maturo per la falce.” Rodolfo Toè


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Sconfinare Cinema Factotum

Voto: 9 Nazione: USA,Germania Cast: Matt Dillon, Lili Taylor Regia: Bent Hamer. Durata: 94’ Ispirato all’opera di Charles Bukowski, morto di leucemia nel 1994, il film del norvegese Ben Hamer racconta parte della storia di Henry Chinaski, la cui caratteristica principale sembra essere quella di non aspirare a nulla e di non avere obiettivi, se non forse quello di diventare in qualche modo giornalista. Tutto ciò si ripercuote sulla sua vita, sia in ambito lavorativo che affettivo. Passa infatti da un lavoro ad un altro ma non si impegna, viene ritenuto una persona inaffidabile e oltretutto sfoga il suo malessere nell’alcool e anche nelle frequenti scommesse. Anche con le donne non riesce a creare dei legami stabili ed ormai è stato bandito dal padre, che lo considera persona Un festival che pare dedicato alla parte più fragile e meno luccicante del mondo: sulla Croisette ha vinto chi si schierava con le donne, i vecchi, i malati, i puri di cuore, con la natura. Trionfa il regista romeno Cristian Mungiu, che senza grandi sorprese ha ricevuto sul palco del Grand Théâtre Lumière la Palma d’oro numero 47 con il commovente Quattro mesi, tre settimane e due giorni, cronaca di un aborto nella Romania di Ceausescu. Un risultato straordinario, considerando che il film è stato girato in meno di sei mesi. «Questo premio - ha detto Mungiu - dimostra che non servono grandi budget né attori famosi per fare un bel film: ringrazio Cannes per tutto questo». Palma d’oro alla carriera per Jane Fonda, una delle presentatrici della serata, che porta a casa un riconoscimento mai assegnato prima d’ora ad una personalità non francese - e che solo una volta in 60 anni è finito nelle mani di un’attrice (Jeanne Moreau). «Jane merita il premio perché è una combattente ed una vincente», ha detto Gilles Jacob, presidente del Festival, nel consegnarle la Palma. Delusione per tutti gli americani:

pigra e senza ambizioni. Insomma, un ritratto di una persona che non riesce a riscattarsi dalla sua situazione e che vive una sofferenza interiore continua che si ripercuote su chi gli sta accanto. L’atmosfera è dominata dal grigio e gli attori sanno ben calarsi nella parte, primo fra tutti Matt Dillon, che a mio parere recita la sua migliore interpretazione. Molto interessante anche la colonna sonora e le citazioni di Bukowski che attraversano tutto il film. Due in particolare mi hanno particolarmente colpito e perciò le riporto: “Alla gente non serve l’amore, ma il successo; a volte comunque il successo può essere rappresentato dall’amore” e “Vai fino in fondo, altrimenti non cominciare neanche. Vola fino ad una splendida risata: è l’unico viaggio che conta”. Lo consiglio anche a chi a volte si butta troppo giù, non bisogna arrendersi mai e cercare di trarre vantaggio dall’esperienza. Lisa Cuccato

La Colonna Infame Al mondo esistono i film belli, quelli vedibili, quelli deludenti, e poi ci sono i film di cui parla quest’articolo: pellicole così genuinamente brutte da non prestarsi neppure ad essere derise, che per il bene dell’umanità andrebbero sigillate in casse di piombo da gettare in fondo al mare, insieme con i loro sceneggiatori. La presente lista, ovviamente incompleta, presenta i peggiori film che io abbia visto negli ultimi anni, insieme con le motivazioni per cui, se doveste essere posti davanti alla scelta di guardarne uno o essere torturati da un ex sergente della Guardia Repubblicana, l’iracheno rappresenterebbe il male minore . Elektra: una storia priva di appeal o profondità, personaggi unidimensionali, cattivi privi di verve e pessime sequenze di arti marziali. Un inutile spreco di pellicola e di Jennifer Gardner, che avrebbe potuto fare qualcosa di più utile per l’umanità e accettare il mio invito a cena. Marie Antoinette: l’intenzione è probabilmente quella (lodevole) di rappresentare la vita vuota e priva di senso dell’aristocrazia francese, ma purtroppo è il film a risultare vuoto e privo di senso, una parata di scenografie impressionanti e musiche incongrue che circondano un vuoto narrativo senza precedenti. Dopo la prima mezz’ora ci si ritrova a sperare che la Révolution arrivi presto e decapiti l’intero cast, compresa la pur meravigliosa Kirsten Durnst, il cui sorriso non basta a reggere il film. Mammoth: gli alieni scongelano un mammut per distruggere l’umanità. Questo pessimo horror cerca scampo nell’autoironia, inserendo personaggi e situazioni volutamente improbabili, ma il trucco non riesce, e ci fa temere per il futuro della talentuosa Summer Glau. Le Cronache di Narnia: Quattro protagonisti straordinariamente antipatici, una morale scontata, un leone biascicante, un cameo di Babbo

CANNES, PALMA D’ORO ALLA ROMANIA se Naomi Kawase è

non vincono niente i fratelli Coen, il cui No country for old man era tra i favoriti alla vigilia, mentre porta a casa con evidente delusione uno speciale premio per il 60° anniversario Paranoid Park di Gus Van Sant. Stroncati da pubblico, critica e giuria, tornano a mani vuote Death Proof di Tarantino e Promise me this di Emir Kusturica, che insieme a My Blueberry Nights di Wong-Kar-Wai sono stati definiti dalla stampa francese «le peggiori delusioni del festival».

Tante le donne premiate: alla giappone-

andato il prestigioso Gran Premio per Mogari no mori, storia di un vecchio e una ragazza spersi dentro una foresta rigeneratrice. La Camera d’Oro è stata invece assegnata all’israeliana Shira Geffer, in coppia col marito, per Meduzot. Al femminile è pure il Premio della Giuria: ha vinto Marjane Satrapi, già conosciuta per le sue vignette sulle condizioni delle donne nel mondo islamico e ora al suo debutto come regista con Persepolis. Vince come miglior attrice la coreana Jeon Do-Yeon, protagonista di Secret Sunshine;

Natale, un eroe che non sa reggere in mano una spada e un piano di battaglia che apparirebbe idiota persino a George Bush rendono palese il motivo per cui Tolkien è famoso in tutto il mondo mentre C.S. Lewis è sconosciuto al di fuori dell’Inghilterra. Bei paesaggi, comunque. Catwoman: nessuna attinenza con il personaggio originale, storia piena di buchi, recitazione scarsa e un cattivo che trae il suo potere da una crema idratante. No, davvero. Non scherzo. Doom: questo adattamento dal celebre videogame è vicino a vincere la palma del peggior film, con i suoi Marines d’elite che mostrano un addestramento ed un acume tattico degno di un branco di cani della prateria ciechi. I dialoghi riescono ad essere irritanti malgrado la loro rarefazione, e la sequenza in prima persona è così profondamente fuori luogo da causare disagio fisico. Eragon: un orfano dai grandi poteri viene allenato da un anziano cavaliere per salvare una principessa e rovesciare l’impero malvagio che ha massacrato i suoi zii. Ho già visto questo film anni fa, e si intitolava Guerre Stellari. E comunque i draghi non hanno le piume. Epic Movie: il peggior film che io abbia mai visto, prova ultima del fatto che per parodiare qualcosa lo si deve conoscere ed amare. Persino gli autori di Scary Movie mostravano di conoscere i topoi del cinema horror. Qui non c’è conoscenza, non c’è amore, non c’è talento. Gli autori paiono convinti che per far ridere basti impilare uno sull’altro riferimenti alla cultura pop, aggiungere qualche gag scatologica e inserire a casaccio siparietti musicali hip-hop. Non basta, signori, magari in America, ma non qui. E lo spirito di Mel Brooks mi è testimone quando giuro solennemente che troverò un modo per riprendermi l’ora e dieci di vita che mi avete rubato. Luca Nicolai

miglior attore è invece il russo Konstantin Lavronenko, interprete di The Banishment di Andrej Zviaguintsev (già Leone d’oro a Venezia nel 2003). Bocciata la sedicente dark lady del cinema italiano e non, Asia Argento, interprete di tre film invitati a Cannes di cui uno in concorso: articoli e dichiarazioni quasi ogni giorno, scene shock (una su tutte, il bacio appassionato con un cane rottweiler), provocazioni e trasgressioni sono il suo pane quotidiano. Ma il ruolo che deve consacrarla attrice di prima grandezza è ancora molto lontano... Il vero vincitore della sessantesima edizione di Cannes è tuttavia il Festival stesso, che in mezzo secolo di attività non ha mai conosciuto una simile affluenza di pubblico: duecento yacht ormeggiati al porto ed una parata di star - Angelina Jolie, Brad Pitt, Matt Damon, Sharon Stone, Rosario Dawson tra gli altri - che hanno abbandonato le rive della Costa Azzurra senza lo straccio di un premio. F.P.


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Sconfinare Scripta manent

È Storia La Rivoluzione a Gorizia

Dal 18 al 20 Maggio Gorizia ha danzato lungo la linea del tempo. Ha manifestato in piazza assieme ad un gruppo di dissidenti. Ha ascoltato attonita leader politici che dall’alto delle loro posizioni di potere proclamavano il mutamento radicale della società o cercavano disperatamente di frenare richieste di maggiori libertà civili. Ha passato notti insonni, con curiosità, angoscia, stupore nello studio di qualche scienziato. Per tre giorni la città è diventata sede di èStoria. Al Terzo Festival Internazionale della Storia sono bastati un lungo tappeto rosso e uno schermo che, con finta noncuranza, proiettava immagini in bianco e nero, momenti del nostro vissuto, piccoli scorci di quello che fu. È bastato un “accampamento” che ricordava un popolo nomade pronto a sconvolgere la monotona quotidianità. Un popolo di nomi illustri, storici, scrittori, giornalisti -basti citare Rampini, Kagan, Allam, Canfora, Chang- disposti a contrastare ogni pregiudizio, a portare la propria esperienza di vita e a dare una diversa versione dei fatti, mentre progressivamente la nostra storia lineare si è concentrata in un unico punto: la Rivoluzione. Questo il tema centrale del Festival: il mutamento storico, radicale e profondo che comporta la rottura con un modello precedente e il sorgere di uno nuovo. La rivoluzione è stata affrontata in ogni suo aspetto, evidenziando soprattutto la necessità di analizzare il concetto stesso del processo rivoluzionario, il suo imporsi

in modo esplicito o silenzioso, le sue novità e i suoi elementi persistenti. Riflessioni particolari sono poi state rivolte ai mezzi utilizzati e quindi alla legittimità della violenza e all’uso della non violenza. E così migliaia -si sono sfiorate le 40.000 presenze- di visitatori, esperti, o semplicemente amanti del passato e dei suoi infiniti segreti hanno preso parte attivamente alle 50 proposte in cartellone ideate e organizzate da LEG Libreria Editrice Goriziana, gremendo le tende Erodoto e Elio Apih. La rivoluzione intesa in senso politico, a partire da quella francese e americana, come una trasformazione che continua tuttora e concepita come un processo che ingloba qualsiasi elemento della nostra vita sociale, ha toccato anche il mondo dell’arte. Si sono succedute conferenze e laboratori sul rapporto musica-potere e spettacoli serali che hanno affrontato la rivoluzione del rock’n’roll nella società italiana, l’esperienza del

Cantastorie e l’importanza del ruolo della musica nell’Italia del boom economico. Centrale è stato lo stesso percorso espositivo dal titolo “Nel segno di Klimt. Ver Sacrum, la rivista della Seccessione Viennese”. Il Festival ha saputo stimolare la curiosità intellettuale di ogni generazione proponendo accanto alla t e m a t i c a strettamente politica e sociale (si ricordi tra l’altro la conferenza sul femminismo che ha condotto a un dibattito dai toni molto accesi fra ex attiviste e il professore universitario Van Creveld) anche quella della rivoluzione scientifica e tecnologica, elemento ormai essenziale della nostra quotidianità. Particolarità di questa edizione sono state l’allestimento di una ludotenda per aiutare gli studenti delle scuole primarie

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ad approcciarsi all’aspetto rivoluzionario della storia ed “èStoria bus”, il tour delle dodici battaglie dell’Isonzo. Gorizia è stata per tre giorni la metafora della rivoluzione stessa. Al principio erano lo scetticismo e la critica poco costruttiva. “L’evento è stato mal pubblicizzato”, “Una manifestazione del genere qui è sprecata”. In ultima analisi chi affermava, certo della propria posizione, che la comunità avrebbe continuato a riposare nel letto del passato senza un minimo slancio vitale, è stato prontamente smentito. Questa è stata la vera occasione in cui coloro che aspettavano da tempo il risveglio della città hanno potuto esclamare: “finalmente!”. Finalmente la cara vecchia città di confine ha avuto il coraggio di alzare la voce e di mostrare con vigore le sue potenzialità. Gorizia malcompresa, quasi repressa, ha abilmente sfruttato la sua peculiarità: la sua immensa e radicata memoria storica. Qui il passato aleggia, si traspira da ogni mattone, viaggia in ogni vicolo, consuma le strade del centro. Ma questa volta la popolazione, invece di chiudersi sterilmente in se stessa ha investito nel proprio passato riuscendo a trovarvi una linea di continuità. Essa stessa è stata protagonista di una rivoluzione ponendo l’accento sulla propria identità e storia attraverso il confronto con esperienze lontane e promuovendo il dibattito critico, molte volte represso da discorsi stereotipati. Nicoletta Favaretto

Il Francese di Ferro ed altri racconti Meditazioni intorno a un libro su Sarkozy

Vittime del più becero populismo. Ma chi? i “nuovi” candidati della destra considerata neo-con? no; semplicemente un gran numero di rubriche di giornali italiani e di altri paesi esteri che hanno seguito la campagna elettorale francese e l’esplosione del fenomeno Sarkozy, loro sì sono rimaste vittime della loro stessa retorica populista. Che non ha nulla di attuale per chi segue la politica d’oltralpe, se non che in campagna offre sul piatto d’argento occasioni ghiotte per attrarre l’opinione pubblica. Argomenti come immigrazione, sicurezza, stato meritocratico, repressione di atti di

violenza, vengono usati come perno di un nuovo populismo, giornalistico prima di tutto, impregnato di moralismo. Su quest’ultimo ha perso la sinistra della Royal, perchè non arriva più a convincere una popolazione alla ricerca del cambiamento, che vede la crisi e chiede un recupero di valori, un rilancio dell’economia, maggiori sicurezze in seguito alle violenze del 2005, un recupero del ruolo di grandeur congenito nella politica internazionale francese. Questo anche la sinistra l’ha capito: sentire una candidata socialista promuovere il tricolore alle finestre di tutte le case rappresenta bene un nazionalismo al di sopra di ogni ideologia

I libri più letti a Gorizia Narrativa italiana Tamaro Corona Faletti Carofiglio Muccino Veltroni Ligabue Volo Covacich Ammaniti

Ascolta la mia voce Fantasmi di pietra

Fuori da un evidente destino

Ragionevoli dubbi Parlami d’amore La scoperta dell’alba Lettere d’amore nel frigo

Un posto nel mondo Trieste sottosopra Come dio comanda

Rizzoli Mondadori

Baldini Castoldi

Sellerio Rizzoli Rizzoli Einaudi Mondadori Laterza Mondadori

Narrativa estera Cornwell Ruiz Zafon Hosseini Sparks Grogan Niffoi Allende Suskind Steel Khdra

A rischio Mondadori L’ombra del vento Mondadori Cacciatore d’aquiloni Piemme Ogni giorno della mia vita Frassinelli Io e Morley Sperring Kupfer La vedova scalza Adelphi Ines dell’anima Feltrinelli Il profumo Loganesi Un angelo che torna Sperring Kupfer L’attentrice Mondadori

Saggistica Pansa Augias Bettiza Saviano Biagi

La grande bugia Inchieste su Gesù Budapest: i giorni della rivoluzione

Gomorra Quello che si doveva dire

Sperring Kupfer Mondadori Mondadori Mondadori Rizzoli

Fonte: Libreria Antonini

partitica. Ma sembrerebbe che la vera risposta sia arrivata invece dal “Francese di ferro”, dal protagonista dell’ultimo libro di Massimo Nava, corrispondente del Corriere della Sera a Parigi, che apre al lettore un interessante ventaglio sulla politica e sulla società francese. Che analizza con sapienza i meccanismi interni di uno stato dove gauche e droite rappresentano un binomio non proprio comparabile agli altri binomi europei, tanto meno al banchetto italiano. Motivo per negare le pretese di paternità di una tale politica a Berlusconi: a risentire le promesse di rivoluzione liberale del 2001 forse sì; a vederne gli effetti di governo, molto meno. Sarkozy, inoltre, dei nemici non ne ha fatto alleati, ne ha rubato gli elettori. Basti pensare ai propositi più estremisti per raccogliere frutti all’interno del Fronte Nazionale (a posteriori, quest’ultimo ha ottenuto il risultato più basso di sempre), oppure all’opposizione, quando parla di “(...)aperture solidali: voto agli immigrati, lotta al carovita e controllo dei prezzi dei supermercati, discriminazione positiva (...)”. Qui sta un grande atout dell’attuale populismo: porta sulla scena del dibattito politico un gruppo teatrale di argomenti. Rimarrà stupito colui che si andrà a rivedere il faccia a faccia del secondo turno: non si tratta di parole in aria e grafici, si tratta di veri piani politici. Di

economia, di politica del lavoro, di sviluppo sostenibile ed ecologia, di immigrazione, di politiche sociali, di costruzione europea e di politiche internazionali. Il libro però si ferma ad un’analisi della situazione preelettorale. Il fallimento della politica del Presidente Chirac, la nascita di una vera e propria classe politica del paese, che deve affrontare l’eredità di un gaullismo, a volte molto rimaneggiato, e le sfide di una struttura di potere in continuo aggiornamento. La speranza è che questo libro riesca a ridurre l’incomprensione da parte dell’opinione estera di un tale fenomeno, sorta di opposizione aprioristica contro la quale mi sono personalmente confrontato. Risulta quindi un buon aiuto per chi vuole approfondire il contesto di un tale changement, senza mai mancare di pragmatismo. Chissà che non risulti utile anche allo stallo italiano. Come dice Sergio Romano nella prefazione al libro: “I malanni attuali diagnosticabili in Italia e in Francia sono gli stessi. Le risposte no”. Bisognerebbe poi analizzare due fondamentali sviluppi della nuova Presidenza: il viaggio a Berlino nel giorno stesso dell’investitura di Sarkozy; La nomina a Ministro degli esteri dell’exsocialista Kouchner. Ma questo già è un altro libro. Edoardo Buonerba


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Sconfinare Stile libero

Il ruolo del giornalista oggi L’interferenza della politicasui mass media Da vari decenni si è messo in moto un processo inarrestabile, destinato a sconvolgere l’ ”identità” del mondo: la globalizzazione, ossia l’unione di tutti i popoli sotto la medesima legge economica. In questo contesto “allargato” son nati e si son sviluppati degli strumenti capaci di “avvicinare” le varie regioni ed i vari continenti. Questo ruolo è affidato ai mezzi di comunicazione di massa (mass media, cioè televisione, radio, giornale, internet…), i veri protagonisti del nuovo millennio.Sempre di più si afferma il loro potere di far presa sulla gente, cresce la loro capacità di formare le opinioni del Pubblico, e sempre di più cresce il controllo su di essi,si comprende il loro potenziale e si tenta di imbrigliarlo e indirizzarlo nella direzione voluta dal potere.Cala sempre di più lo spazio di un’informazione libera, soprattutto ad alti livelli,dai quali è possibile raggiungere e influenzare un pubblico più vasto. E questo capita anche in Italia molto più di quanto ci si aspetti o si creda possibile,illusi dal mito della libertà di espressione che riteniamo di possedere(noi, l’Occidente democratico) in esclusiva. Nel film Viva Zapatero, Sabina Guzzanti ha smascherato questo mito, mostrando come la stessa libertà di manovra dei giornalisti sia sempre più ridotta da scelte di direttori o di qualcuno che sta ancora più in alto, e che con il giornalismo non centra nulla, che decidono cosa trasmettere o pubblicare,quando e come, vanificandone cosi il lavoro e sostituendosi a essi.Non è la ricerca della verità che si è esaurita,ma aumenta il controllo e la delusione di non

vedere pubblicate inchieste e notizie che veramente potrebbero fare dei mass media uno strumento di emancipazione delle coscienze. La“questione politica” ha investito dei personaggi illustri ed esperti come Enzo Biagi e Michele Santoro che, durante la legislatura berlusconiana, sono stati allontanati dai riflettori in quanto facevano un giornalismo “di parte” – ovviamente dell’opposizione – e, dunque, erano considerati imparziali - . E Emilio Fede? Cos’è se non un giornalista apertamente e, talvolta, ridicolamente schierato? Le “dimissioni forzate” di Biagi e Santoro (ma anche dello stesso Luttazzi, per esempio) hanno scosso l’opinione pubblica, ma non al punto tale da avviare una mobilitazione collettiva. Solo con la nuova legislatura di Prodi, sono tornati in TV. In Russia questo processo di “epurazione” del giornalismo dell’opposizione, ha assunto delle pieghe tragiche. Da quando Putin è al potere sono stati uccisi - o sono misteriosamente scomparsi - centinaia di giornalisti “scomodi”. Lo sdegno della comunità ha raggiunto l’apice con l’uccisione della giornalista Anna Politkovskaja, la quale aveva denunciato le carneficine commesse in Cecenia da parte del governo russo. Oppure,come nel caso di Roberto Saviano(autore di Gomorra) la denuncia della verità sulla Camorra si scontra con le minacce di morte da parte dello stesso sistema che ha svelato;sarebbe stato interessante sentire la sua opinione sulla libertà di espressione nel mondo del giornalismo (durante una conferenza che c’è stata poche settimane fa a Udine) ma

proprio per motivi di sicurezza non è potuto intervenire..Giornalisti costretti a “nascondersi”, giornalisti che proprio per il loro non nascondersi diventano la merce di scambio preferita di politici e estremisti:penso a tutti i casi di giornalisti diventati ostaggi in zone di guerra, di cui Mastrogiacomo è solo l’ultimo eclatante esempio. Scomodi per la loro opera di interferenza e di ricerca della verità anche in situazioni cosi complesse, ma nello stesso tempo vittime perfette proprio per la loro popolarità e capacità di toccare l’opinione pubblica. Anche qui a guidare le stesse decisioni di molti terroristi sembra la legge di mercato, proprio utilizzando chi ha fatto della lotta contro un’informazione costruita a tavolino e funzionale solo a scelte politiche il proprio lavoro. Le difficoltà, per un giornalista, cominciano anche all’inizio della carriera stessa: prima fra queste il precariato. Vari scioperi hanno confermato la tesi che il numero dei pubblicisti sta aumentando vertiginosamente e, di conseguenza, è sempre più difficile scrivere per un giornale con una certa continuità – i contratti sono a tempo determinato e, spesso, non rinnovabili - . Oltre a questo, è praticamente fermo il meccanismo di rinnovo generazionale dovuto al fatto che, in un’epoca in cui si predilige un tipo di scrittura di “accondiscendenza” politica, i direttori di testata faticano ad accogliere dei “giovani giornalisti in erba” in quanto non ne conoscono né l’operato, né l’ideologia. Valentina Codeluppi Federica Salvo

Il secolo dell’essere sè stessi Michele ha 23 anni, ma nessuna delle “persone” che “frequenta” ogni giorno lo sa. Per loro si chiama Natasha, ha 25 anni e passa la giornata in vetrina in un bordello di Amsterdam “vestita” da cow-girl a “lavorare”. I clienti pagano Natasha in Linden Dollars, che si traducono per Michele in 10 euro, reali, per ogni prestazione virtuale. Gli arrivano per contrassegno. È un non-senso di un ampio sistema: quello di Second Life, un mondo virtuale in cui ognuno può creare e diventare un personaggio (avatar) che si muova e interagisca con migliaia di altri avatar di utenti connessi da tutto il mondo. Tutto è possibile in Second Life, dallo shopping quotidiano alla visita di musei, dal gioco in casinò al tele-trasporto. I partecipanti sono semplicemente attori di mondi persistenti, nei quali dispongono di totale libertà e di denaro reale acquistabile online con carte di credito reali. Second Life è un’occasione, è uno strumento nuovo, potente e totalmente a nostra disposizione, trionfo dell’innovazione tecnologica. Fabio Gambaro scrive: “potrebbe dare vita a nuove reti sociali e ad un’intelligenza collettiva capace di tenere conto dell’inedita relazione con lo spazio e con il tempo che si produce nella realtà virtuale”. La tecnologia è un goal se la si usa con responsabilità, e con lo scopo di stimolare la creatività, altrimenti si trasforma in un rifugio. Un luogo di evasione, senza divieti e senza bisogno di mettersi in gioco fino in fondo. Nella struttura intrinseca dell’uomo sta la tendenza “a proiettarsi in realtà diverse dalla sua”, continua Gambaro, dando vita ad un doppio di sé. Viviamo in una società dinamica, veloce e dominata dalla complessità. Fuggire la realtà non è certo un problema nuovo, ma sta assumendo dimensioni crescenti. Tartassati dalla tecnologia

e dagli incalzanti ritmi della routine, evitiamo quelle occasioni che ci permettono di conoscere profondamente noi stessi e gli altri. Accettiamo passivamente il nostro lavoro, il nostro partner, il nostro comportamento, perché non c’è tempo di fare il punto della situazione. Spesso non affrontiamo, né tanto meno riconosciamo le nostre paure e i nostri limiti, ma ci proiettiamo in mondi dove semplicemente non esistono. I difetti sono una sfida, migliorare è un gioco e migliorarsi accresce l’autostima. Stringere amicizie, vincere la paura del pubblico, impegnarsi in una partita, dimagrire, fare una lunga scalata. Ma molti scelgono di giocare altrove, senza le dure regole della realtà. Perché il fenomeno è così diffuso? Di un sistema complesso non si può che prendere in esame solo poche sfaccettature. Ad esempio gli standard della nostra società. Dobbiamo essere efficaci, competenti, determinati, freddi. Il tutto per entrare a far parte di un mondo arrivista, che guarda all’obiettivo, ma non al percorso, che privilegia ciò che facciamo rispetto a ciò che siamo, che appiattisce il nostro lato emotivo rispetto a quello razionale. Su questi principi, o meglio, su questi PRESUNTI principi, implodiamo. Le nostre convinzioni non sono infatti del tutto fondate. Mi spiego. Il filosofo Kuhn ha individuato tappe fondamentali nelle rivoluzioni scientifiche. Si parte da un nucleo teorico originario, chiamato “paradigma”. Progressivamente se ne mettono in luce piccoli difetti, detti “rompicapo”, che più approfonditi si trasformano in “anomalie”. Queste danno vita ad un periodo di “travaglio intellettuale”, in cui si riconosce il vecchio paradigma inadeguato, e si cercano nuove teorie. Infine s’approda a un nuovo paradigma, e il ciclo

si ripete. Il modello umano descritto sopra, che ci produce tanto affanno da farci desiderare altre vite, è il risultato di un paradigma rimasto in vigore fino ad oggi, connesso ad un certo modo di interpretare l’economia e la produttività. Ad esso si sta avvicendando un nuovo paradigma, quello sostenuto da Giovanni Padroni, docente d’economia all’Università degli Studi di Pisa. Nel XXI secolo la nuova ricetta per il successo, con riferimento al mondo delle imprese, è stato individuato, o quasi. Oltre al fatturato materiale, la produttività d’un’azienda si basa oggi sull’umanità dei dipendenti, la loro creatività ed entusiasmo, la loro attitudine a fare squadra. “E’ il complesso delle relazioni tra le persone che rende possibile il funzionamento d’un’organizzazione”, scrive. Bill Gates proclama che la risorsa più grande della Microsoft è l’immaginazione dei suoi uomini. Il perseguimento dell’etica per le imprese e coltivare l’emotività per la persona creano, in definitiva, il maggior profitto possibile nel lungo periodo. La fiducia e l’ottimismo di Padroni, sono condivisi da molti esperti del settore; non sono invece abbastanza diffusi nell’opinione pubblica, ancora in fase di travaglio intellettuale. Con il giusto utilizzo della tecnologia dell’informazione, si potrebbero evitare o almeno limitare il bisogno di evasioni catartiche e di sdoppiamenti virtuali. Traguardo raggiungibile se si diffonde la consapevolezza che la persona non si sentirebbe più scissa fra la sua anima razionale e quella sentimentale-creativa. Il XXI è potenzialmente il secolo dell’essere se stessi. È di ognuno di noi la responsabilità della riuscita. Giorgia Ghizzoni

11 Rostropovic tra musica e impegno sociale Un saluto al grande genio azero del violoncello Una vita intera dedicata alla musica, con passione e dedizione. Una carriera illustre, costellata di incontri importanti e collaborazioni che pochi possono vantare. Ma anche un’attenzione a chi aveva avuto meno dalla vita e un impegno costante per migliorarne l’esistenza. Tutto questo è stato Mstislav Leopoldovič Rostropovič, genio azero del violoncello e direttore d’orchestra scomparso a Mosca il 27 aprile scorso per un tumore al fegato. Quando ho sentito la notizia della sua morte mi sono chiesta come avrei potuto rendere omaggio alla sua memoria senza scadere nella banalità. Di fronte a tanto talento, poco resta da dire: la musica, si sa, non ha bisogno di parole. Ma il coraggio delle proprie idee sì. Il coraggio è forse un tratto distintivo della personalità di questo artista: nato a Baku, città azera dell’allora Unione Sovietica, nel 1927, Rostropovič è cresciuto a pane e musica nel vero senso dell’espressione. All’età di quattro anni ha iniziato a suonare il piano seguito dalla madre e a dieci è stato introdotto al violoncello dal padre. Dopo gli studi compiuti a Mosca e la carriera in patria, ha iniziato a mostrare insofferenza nei confronti del regime, cosa che l’ha portato ad allontanarsi nel 1974 dall’Unione Sovietica, dove ormai non poteva più esercitare incarichi pubblici a causa della sua amicizia con Aleksandr Solženicyn e del sostegno dato ai dissidenti. Gli è stata perfino revocata la cittadinanza sovietica nel 1978. Diviso tra Parigi e gli Stati Uniti, Rostropovič, al pari di altri artisti dissidenti di origine russa come il pittore Mark Chagall e il compositore Igor Fëdorovič Stravinskij, ha continuato a sperare nel rientro in una patria diversa e libera. Immaginate la sua emozione alla notizia del crollo del muro di Berlino nel 1989, cui sarebbe seguita, due anni più tardi, la caduta del regime comunista. Rostropovič si trovava a Parigi e il giorno successivo al crollo era sotto il muro a cercare un buon posto per sé e per il suo violoncello: “Non volevo suonare per la gente, ma per ringraziare Dio di quanto era successo”. E così, per Dio, ma anche per quanti erano morti attraversando quel muro in cerca di una vita migliore, Rostropovič ha suonato il suo violoncello, per terminare poi con un pianto liberatore. I riconoscimenti e le onorificenze ricevuti sono molteplici, e fra esse spicca la laurea honoris causa in Scienze Politiche, conferitagli dall’Univesità di Bologna per il suo “impegno a favore dei diritti umani”. Rostropovič, infatti, si è sempre battuto per la libertà d’espressione in campo artistico e ha creato numerose fondazioni in favore di bambini e ragazzi dell’ex Unione Sovietica. Un piccolo esempio di come si possa essere non solo uomini, ma uomini che rendono il mondo migliore. Isabella Ius

“...Il muro ha diviso la mia vita in due e ha lacerato il mio cuore...”


Sconfinare De Boca Bona

12 Per arrivare alla Frasca scendo via Alviano in bici, verso la Casa Rossa. E’ un pomeriggio caldissimo. La Frasca sembra uno dei tanti edifici che, qui sul confine, costeggiano su di un lato la strada italiana, e vedono dall’altro i campi che sono già Slovenia. La si riconosce solo grazie ad un cartello scritto a mano, con gli orari di apertura, ed al segno che pende al cancello: dei rami intrecciati ad un fiasco minuto. Per giungere all’ingresso devo aggirare l’edificio. Sul retro c’è una piccola tettoia che ombreggia dei tavolini, con una staccionata ricoperta da edera e rampicanti. Salendo qualche gradino, si entra in un’unica stanza, che io chiamo istintivamente cucina, anche se non lo è, perché l’immagine che mi riporta alla mente è quella della cucina nella casa dei miei nonni: con questo cammino immenso, che da solo occupa un angolo del piccolo locale, un televisore, quadri alle pareti ed i tavoli disposti con buon ordine. Il gestore siede fuori, ad un tavolo vicino alla scala. Lo saluto e cominciamo a parlare della storia della casa. E’ vero, io dovrei scrivere di enogastronomia. E’ per questo che sono qui. All’inizio, vorrei chiedergli del loro vino. Delle loro abitudini. Ma più la conversazione va avanti, più le parole mi sospingono

La frasca verso i suoi ricordi, che occupano piano piano tutto il corso del novecento. Perché la Frasca dà sul confine, e la sua storia è quella di Gorizia, è quella della gente che qui vi ha vissuto, è la storia di due guerre mondiali e di nazionalità che cambiano. Il passato di questa casa è anche la vicenda di una famiglia che ha conosciuto la fame, che ha fuggito da profuga le trincee scavate a neanche duecento metri dall’uscio. Io ascolto tutto questo, ascolto racconti di russi, nazisti, partigiani, fascisti. Ascolto la vita di una città. Dei suoi abitanti: di chi era amico, fratello, sorella e madre. Ascolto la storia, quella che quando diventa la vita personale di ognuno di noi entra negli affetti e nella terra. Quella che non conosce giusto e sbagliato. La storia privata. La storia che ci fa tutti vittime. Alla Frasca non c’è musica, solo le parole e le chiacchiere delle persone che vi passano, e che in un certo modo ne entrano a fare parte. Guardo vecchie foto, ma più ancora fisso la terra alle mie spalle, bionda di sole e appena mossa dal vento. Fisso l’ospedale e immagino come doveva essere cento anni fa. Penso a questo posto in cui ora crescono solo

le acacie, più velocemente del normale perché la terra è rimasta concimata dal sangue di tutti quei morti; le acacie che vengono su troppo in fretta e che proprio per questo motivo hanno un legno buono a far nulla e tocca bruciarlo. Io prendo nota, in silenzio. Io so che dovrei occuparmi di cibo. Ma scrivere della Frasca è scrivere di questo, prima che di ogni altra cosa. Io prendo nota, con un bicchiere di bianco vicino al registratore, e provo vergogna per le mie scarpe di ginnastica e la mia maglietta, e per i miei vent’anni e la mia poca barba. E’ una sensazione particolare, che provo sempre quando sto davanti a qualcuno e bevo il suo vino e so che le mani che riempiono il mio bicchiere sono le stesse scurite dal sole che hanno cavato l’uva, e che l’hanno fatto per anni, prima che io nascessi; mani che hanno toccato mura e volti di cui non so nulla. Non ho mai conosciuto tanto Gorizia come in questo momento. Solo ora la capisco per la prima volta, ora che bevo questo vino ed il pomeriggio invecchia tra l’erba e le viti. Quando esco, vorrei fermarmi ancora, e ancora stare a sentire. Inforco la bici e risalgo verso casa, e lungo la strada guardo alberi e case, guardo Gorizia con occhi diversi. Con gli occhi che la Frasca mi ha dato. Rodolfo Toè

La Ricetta ...Sconfinare...

periodico regolarmente registrato presso il Tribunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n° di registrazione 4/06. Direttrice Responsabile Annalisa Turel Editore e Propietario Assid “Associazione studenti di scienze internazionali e diplomatiche”.

A.S.S.I.D.

Sconfinare non è il giornale ufficiale dell’Assid nè identifica la sua posizione politica, in quanto è semplicemente la libera espressione di alcuni suoi membri che costituiscono il Comitato di redazione.

Redazione Paola Barioli, Andrea Bonetti, Marco Brandolin, Pieranna Brisotto, Edoardo Buonerba, Elisa Calliari, Davide Caregari, Giulia Cragnolini, Allan Francesco Cudicio, Emmanuel Dalle Mulle, Marco Di Liddo, Nicoletta Favaretto, Antonino Ferrara, Michela Francescutto, Francesca Fuoli, Francesco Gallio, Davide Goruppi, Ian Hrovatin, Isabella Ius, Davide Lessi, Andrea Luchetta, Mattia Mazza, Monica Muggia, Luca Nicolai, Arianna Olivero, Agnese Ortolani, Leonetta Pajer, Federico Permutti, Massimo Pieretti, Giulia Pizzini, Federica Salvo, Bojan Starec, Eva Stepancic Rodolfo Toè, Athena Tomasini, Se vuoi contattare la redazione scrivi a sconfinare@gmail.it

“Ûs e sparcs” “L’asparago friulano, delizia del uova e asparagi bianchi, piatto che nord-est italiano” unisce la nobiltà dell’asparago lessato La primavera porta con sé i germogli alla semplicità dell’uovo sodo. In dell’orticola più coltivata in Friuli altre regioni, come il Veneto, si gusta Venezia Giulia: l’asparago. Tipico l’asparago gratinato, cotto al forno della regione è quello bianco, coltivato e spolverato con del parmigiano specialmente nella zona morenica di reggiano. Tavagnacco e Tricesimo, nelle pianure di Molto gradito già agli egizi, ai greci Latisana, Fiumicello e San Vito al Torre e e agli antichi romani, l’asparagus era a Fossalon, Cormóns apprezzato sia per le e Sant’Andrea nel sue caratteristiche goriziano. Non Per 4 persone: 1kg di asparagi, g a s t r o n o m i c h e mancano tuttavia 4 uova sode, olio extra vergine che per le sue asparagiaie che di oliva, aceto, sale e pepe. qualità medicinali, ne producono di Dopo aver lavato accuratamente in particolare verdi né luoghi ove gli asparagi, lessarli legati a quelle depurative trovarne di tipo mazzo, ritti con le punte fuor e diuretiche. Per selvatico. la difficoltà nella d’acqua. Pietanza molto Rassodare le uova, sgusciarle, amata dai friulani, tagliarle a metà nel senso della l’asparago è c o n s u m a t o lunghezza e servirle con gli preferibilmente da asparagi. marzo a giugno Condire con olio extra vergine poiché è questa la di oliva, buon aceto di vino, stagione in cui è sale e pepe. possibile averne a Servire con Tocai friulano o disposizione freschi Pinot bianco. per gustarli al meglio. Tradizionale è l’abbinamento

Giugno 2007 L’OsmizzaDo Fenomeno peculiare della zona Triestina e Goriziana, le Osmizze sono una delle istituzioni più caratteristiche ed interessanti del panorama enogastronomico locale. La loro creazione risale al periodo dell’Impero Asburgico, quando – con un editto del 1784 – venne consentito ai contadini di vendere il proprio vino ed alcuni altri prodotti (uova, salumi e formaggi). All’inizio la durata di tale concessione era limitata nel tempo a soli otto giorni. E proprio da questo deriva il nome “Osmizza”, ibrido italiano coniato a partire da osem (per l’appunto, “otto” in sloveno). Successivamente, tale durata venne prolungata, fino a divenire stagionale e – in alcuni casi – paragonabile a quella di un normale esercizio commerciale. Nel territorio di Gorizia e Trieste la loro esistenza è un prodotto (assai felice) della permanenza in vigore delle leggi austriache, che ancora regolano alcuni aspetti della vita locale. Per segnalare la presenza dell’Osmizza, ai contadini bastava esporre una frasca di rami all’esterno della casa. Da qui l’altro nome con cui sono generalmente chiamati questi piccolissimi locali. Gorizia può vantare la presenza di un’Osmizza, nei pressi del valico della Casa Rossa, la cui esistenza è antichissima: risale al 1600, ed era all’inizio una stazione nel tragitto delle carrozze che si mettevano in viaggio da e per Gorizia. Distrutta nel corso della prima guerra mondiale e poi ricostruita, nel corso del tempo fu adibita ad osteria e poi ad Osmizza – ed ancor oggi mantiene questa tradizione, come la frasca all’ingresso orgogliosamente testimonia. Rodolfo Toè

sua coltivazione fu a lungo ritenuto un alimento “nobile” e di sangue blu fu anche uno dei suoi più celebri estimatori: il Re Sole. Elegante nel suo proporsi sulla tavola in tutti i secoli l’asparago è una pietanza che si sposa volentieri con vini bianchi come Tocai friulano e Pinot bianco. Indispensabile assaporarlo in buona compagnia. Giulia Cragnolini


2007 Giugno

SconďŹ nare Relax

...Tanti auguri a noi, tanti auguri a noi...

13


2007 Junji

Sconfinare Go and Go

III

Res nam gre dobro Ce s Trzacanom poskusimo govoriti o fojbah,se v njemu sprozi cuden obcutek. Ne glede na to kaj bo rekel vem ze,da bo popaceno glede na njegovo etnicno ali politicno pripadnost.To me vsekakor ne preseneca,kajti sam sem prvi,ki temu podlega.Sicer pa, kako lahko ostanemo ravnodusni pred zgodovino,ki ni nikoli bila ena sama,ampak jih je bilo toliko kolikor strank in celo osebnih spominov. Kot vemo je Trst shizofrenicno mesto. Osebno mislim,da njegova bolezen izhaja iz nagnjenosti k zavracanju svoje prave narave.Je obmorsko mesto,prosta luka,krizisce kot le malokatero na svetu. Vsaj bilo je,dokler se ni odlocilo utrditi svoje podobe,zaustaviti neprestan pritok ljudi,ki so od nekdaj predstavljali mesto izmenjav.Skratka,dokler se razlicni nacionalizmi niso zaceli zanj potegovati. Trst ni italijanski,nikoli ni bil slovenski ali hrvaski in se manj avstrijski.Je od vsega nastetega po malo,ampak tudi grski,zidovski,srbski,bosanski,tursk i,madzarski in se bi lahko nastevali.

Je,oziroma moral bi biti,nekaj kar je vec kot le skupek posameznih kultur,zal pa je njegova zapletenost vedno znova razdrobljena v prid podkultur,ki so tako omejene kot nepostene.Ocitno je,da nesposobnost,da bi nasli skupen pogled na problem fojb in ga po moznosti premagali,izhaja iz te situacije. Seveda pa pri tem igra pomembno vlogo tudi desetletni politicni molk,s komunisticno partijo(Pc) na celu. Zelja Krscanskih demokratov(Dc) ,da se ne udriha po Titu,ki je neuvrscen. Namen postfasistov,da bi si povrnili ugled.Vrsta koristi na visji ravni,ki je vpadla v regijo,spravila v nered dokumente,zacrtala nejasne in arbitrazne meje.Napolitano,oziroma eden izmed najboljsih tolmacev molka Komunisticne partije je ta,ki je priklical v spomin zrtve fojb,ne glede na to ali so bili okupatorjevi pomagaci ali ne.Manjka se nam samo se,da gre v Budimpesto.In se zgodi,da se tega se sramuje povedati,kajti ta slogan se

pojavi na desetinah plakatov stranke Nuova Forza izobesenih po mestu cigar komunisticni napis spominja na nekaksen sund film poln krvi. Eden izmed velikih nasprotij v Trstu je,da je levica sicer priznala svojo krivdo,da pa je s tem izgubila moznost pogajanja,ki zadeva zgodovinsko resnico.Slo se je,kot bi lahko rekli,za enostransko priznanje o odgovornosti Italije v spletu dogodkov.Temu pa ni sledilo tudi priznanje trzaske desnice. In tako kdor spreminja,ima od tega tudi koristi.Pozabite na ekspansionisticne cilje ze od Versajskega miru naprej in se bolj na nacifasisticno zasedbo Jugoslavije,tako ali tako ustasev nismo urili mi.In ce je slucajno kaksen Jugoslovan izgubil zivljenje si je kriv sam.Ravno tako pateticen je tudi poskus nekaterih zgodovinarjev pripisati titovo okupacijo in zatiranje izkljucno potrebam mednarodne politike. Skratka,pravi problem ni politika ali vsaj ne v celoti.Je nasa shizofrenija.

Predvsem ta je naredila iz fojb vrtinec molka,spletk in sokrivde. Politika nosi vidno odgovornost. Ampak le-ta ni nic drugega kot nova bolezen za ze bolno osebo.Ce se komu glede tega porajajo dvomi,lahko navedemo zanimiv dogodek,ki se je zgodil pred nekaj tedni..Neznane osebe so prelepile mesto z laznimi casopisnimi oglasi trzaskega castnika Piccolo na katerih je bilo objavljeno,da bodo nekatere strani v njem prevedene v slovenscino.In kaj naredi Piccolo,ki je sicer blizu sredinski levici ampak vseeno ponosno italijanski?Namesto,da bi pograbil ugodno priloznost in pozivil casopis,ki je medel kot lokalna vsakdanjost,grozi svojim potencialnim resiteljem s tozbo.Res nam gre dobro.

AEGEE…..A JE ŽE?…..JA JA, JE ŽE J In kaj sploh je AEGEE? AEGEE je okrajšava za „L´ASSOCIATION DES ETATS GÉNÉRAUX DES ETUDIANTS DE L´ EUROPE“ oziroma Evropsko združenje študentov. Za vse, ki si lomite jezik ob tej kratici - prebere se: „Aježe”. Je največja evropska študentska organizacija (združenje evropskih študentov in mladih diplomantov iz različnih fakultet). Zavzema se za združeno Evropo, mednarodno sodelovanje in komunikacijo, povezovanje študentov, predvsem pa si prizadeva za novo, bolj strpno družbo. Naši člani se poleg osvajanja novega znanja in veščin naučijo tudi bolje razumevati medkulturne razlike. Je prostovoljna, neprofitna organizacija, ki ni povezana z nobeno religiozno ali politično stranko, ki se opira izključno na delo zagnanih prostovoljcev, povezuje pa kar preko 20.000 članov iz 42 različnih evropskih držav. Kar naredi AEGEE res evropsko je to, da ne deluje na nacionalnem nivoju, ampak povsem na lokalnih skupinah, imenovanih „antena“, v univerzitetnih mestih po Evropi. Skupaj s člani, ki potujejo in spoznavajo nove prijatelje od Madrida do Helsinkov, promoviramo mobilnost mladih v Evropi, neformalno druženje in medkulturno učenje, ki je namesto v učilnici bolj prijetno v družbi vrstnikov.

Član je lahko vsak študent oziroma mladi diplomant v Evropi, če se včlani v eno izmed podružnic (anten), ki jih je že kar okoli 250 v mnogih univerzitetnih mestih Evrope. V Sloveniji imamo tri antene: v Mariboru, v Ljubljani in našo, najmlajšo v Novi Gorici, kjer se lahko včlanijo vsi študenti Slovenije, ne glede na smer študija. Z včlanitvijo posredno postanete član velike družine AEGEE, ki združuje čez 17.000 mladih po celi Evropi.Kaj ti nudi AEGEE? MEDNARODNE AKTIVNOSTI: Ø poletne šole in jezikovni tečaji (100 različnih lokacij, za le 80160 EUR nepozabno 14-dnevno doživetje v mednarodni skupini; prijave se sprejemajo aprila) Ø mednarodne študentske konference (okoli 100 konferenc letno, potekajo predvsem čez vikende (3 do 4 dni). Teme so različne, od resnih (s področja prava, ekonomije, politike, EU, gospodarstva, kulture..) pa tudi do takšnih, ki so organizirane preprosto zaradi zabave, čeprav so tudi v vsaki konferenci vključene zabave, ki trajajo do jutranjih ur. Cene udeležbe gibljejo od 10 – 50 EUR) Ø izmenjave Ø skupščine Ø športni dogodki (tedni smučanja, rafting, pohodništvo…) Ø kulturni in zabavni dogodki (plesi, pustna in božična praznovanja…) Ø aktivno sodelovanje v mednarodnih

projektih

in

delovnih

skupinah

LOKALNE AKTIVNOSTI: Ø družabna srečanja (social meetings) Ø zabave (če se niste okusili zabave z nami, ne veste kaj zamujate :) Ø tečaji Ø izleti po Sloveniji Ø motivacijska srečanja ..in še veliko drugega Predvsem pa se naši člani veliko naučijo o evropskih jezikih in kulturah, spoznajo veliko novih prijateljev, potujejo poceni in enostavno, čaka jih veliko norih zabav, iger, športa ter doživijo veliko nepozabnih stvari, ki jim pogosto spremenijo življenje! SUMMER UNIVERSITY

navadne počitnice: spoznavanja novih dežel, kultur in prijateljev, njihovih navad in še česa, zlepa ne boste pozabili. V več kot 100 evropskih mestih od Helsinkov do Ankare, od Barcelone do Sankt Petersburga. Posebna poslastica je “Travel Summer University”, na kateri prepotujete in doživite več držav in mest. In ne pozabite, rok za prijavo na SU je 13.5.2007, tako da pohitite. Več informacij o samem SU-ju pa najdete na http://www.karl.aegee.org/su.nsf/ Več o poletnih šolah si oglejte na: www. aegee.org/su , več o celem AEGEE-ju pa na: www.aegee.org. Prav tako pa ste dobrodošli tudi na naši spletni strani, in sicer www.aegee2go.org . Če pa ste tko navdušeni in bi se nam radi pridružili, pa le zavrtite 040 187 874 (Sanja) � PRIDRUŽI SE NAM IN ODKRIJ EVROPO Z AEGEE-jem!

(POLETNE ŠOLE) Naj že kar na začetku povem ….. neeeee, to niso šole, v bistvu niti blizu šoli. To je 2-3 tedne nepozabnih, norih, zabave polnih in poceni počitnic, kjer spoznavaš svoje vrstnike, njihov način življenja, različne države, kulture, skratka kjer preživiš najboljše dneve v letu. Letno je organiziranih cca. 100 poletnih šol širom Evrope. To so lahko tečaji španščine ali italijanščine na vročih obalah Valencie in Sicilije, jadranje in kolesarjenje na Nizozemskem, treking v Romuniji in kopanje v Črnem morju, učenje salse v Pisi ali sončenje na Cipru. To niso

Damjana Mavric


II

Sconfinare Go & Go

Fraska

naloga je pisati o enogastronomiji, saj zaradi tega sem prišel sem. Na začetku ga hočem vprašati o vinu in o krajevnh navadah. A dlje se odvija pogovor, več se ta zasuka do njegovih spominov, ki zauzemajo kar celo stoletje. “Fraska” se nahaja na meji, in njegova zgodovina, je zgodovina Gorice, ljudi, ki so tu živeli. To je zgodovina dveh svetovnih vojn in menjajočih se nacionalnostih. Preteklost te hiše je obenem tudi pripetljaj družine, ki je doživela lakoto in ki je bežala pred strelskim jarkom, kateri je bil oddaljen niti 200 metrov od hiše. In jaz vse to vneto poslušam. Poslušam pripovedi o rusih, nacistih, partizanih in fašistih. Poslušam zgodbo mesta in svojih prebivalcev: o prijateljih, bratih, sestra in materi. Poslušam zgodbom, katera ko postane osebno doživetje vstopi v čustva ljudi. To je tista zgodba, ki ne pozna ne pravičnega

ne zgrešenega. To je osebna zgodba, v kateri postanemo vsi žrtve. V “Fraski” ne slišimo glasbe, v njej so samo besede in pogovori oseb, ki so tu šle mimo. Gledam stare slike in zemljo za mano, tako osvetljeno od sonca in komaj premaknjeno od vetra. Opazujem bolnico in si predstavljam, kako je lahko bila 100 let od tega. Mislim na ta kraj, v katerem sedaj rastejo samo akacije. Rastejo še hitreje od povprečnega, ker zemlja je hranjena s krvjo mrtvih; te akacije, katerih les ni za v nobeno rabo in jih treba samo sežgati dati. V tišini vzamem zapiske v svoje roke. Vem, da bi moral pisati o hrani,

ampak pisati o “Fraski” pomeni najprej pisati o tem. Zapisujem na papir, s kozarcem belega vina blizu registratorja, in se sramujem, zaradi svojih telovadnih čevljev in svoje majčke in tudi zaradi svojih dvajsetih let in redke brade. To občutje imam vedno, ko se nahajam pri nekomu in pijem njegovo vino in vem, da roke, ki točijo vino so tiste, ki so pobrale grozdje in ki so ga pobirale še pred pred mojim rojstvom; to so roke, ki so se dotikale zidov in obrazov, o katerih ne vem ničesar. Nikoli nisem tako dobro poznal Gorice, kot v tem trenutku. Samo sedaj jo razumem, samo zdaj, ko pijem tole belo vino medtem ko se popoldne med travo in trto preliva v večer. Hotel bi ostati in naprej poslušati. Vzamem kolo in se odpeljem proti domu, medtem ko si po cesti ogledujem drevesa in hiše. Sedaj vidim Gorico s drugimi očmi. S očmi, ki mi jih je “Fraska” dala. Rodolfo Toè prevedel Samuele Zeriali

Sport kot sredstvo Prizdruzevanju Nekaj dni pred upravnimi volitvami kaze da bo obcina Gorica, neizprosno starajoce se mesto z vedno manj idejami in skoraj popolno nezainteresiranostjo za evropske zadeve, prepustila vodstvo mesta koaliciji, ki je sestavljena iz najbolj neverjetnih oseb, med njimi tudi tistih ki bi radi popeljali Gorico petdeset let nazaj v obdobje globokega sovrastva do “slovanov.” Da bi prekoracili to zapleteno obdobje nam je, brez da bi to nacrtovali, priskocilo na pomoc lokalno sportno gibanje, ki je predlagalo tri dogodke absolutnega prestiza na mednarodni ravni,vsi zaznamovani z globokim evropskim obcutkom:mednarodni turnej mesta Gradisce ob Soci,teniski turnej Go-Go, evropsko kosarkarsko prvenstvo v skupini mlajsih od 20 let. Prav cez kaksen dan, 24. aprila, se bo zacel ze 22. priznani mednarodni nogometni turnej mesta Gradisce, ki ga organizira U.S. Ital San Marco, ki igra pomembno vlogo na podrocju nogometa. Dogodek je pravzaprav ze tri leta razdeljen na dva turneja: klubski turnej Rocco in turnej zdruzene Evrope za predstavitve

narodov.Turneja

Rocco

se

bo

udelezilo 24 mostev pod 17 let med katerimi najboljsi italijanski(Milan, Juventus, Roma, Inter) in vsi najboljsi tako na evropski kot na juznoameriski ravni kot na primer nepremagljiv Atletico Mineiro, ki nosi tudi naslov prvaka.Pravo posebnost pa najdemo v notranjosti turneja zdruzene Evrope.Tu se bo soocilo 24 ekip pod 16 let (Italija, Slovenija, Hrvaska, Gruzija, Romunija, Litva in Srbija) in raprezentanca GoGo.Ta je sestavljena iz najboljsih mladih iglalcev goriske province in njihovih sovrstnikov iz Nove Gorice. Tudi ce nogometni dosezki niso nikoli bili visoki, je vsekakor vredno povdariti trud tistih, ki preko sporta hocejo prekoraciti se vedno prisotne pregrade med obema mestoma.Treba je tudi povedati, da se bodo tekme turneja, cetudi vecinoma v Gradiscu, odvijale na razlicnih igriscih v regiji ter tudi v Sloveniji, Avstriji in v Venetu. Kdor je zainteresiran za tenis, tudi to leto ne sme manjkati na zenskem turneju Go-Go, ki se bo odvijal v Gorici in Novi Gorici.Junija bomo v Goricah lahko prica dvema razlicnima turnejema, v paru in enojcu, zahvaljujoc nagradi v znesku 25000$.Tekme tega turneja se bodo igrale tako na italijanskih igriscih kot na

igriscih teniskega kluba Nova Gorica. Se ena priloznost za ogled dobrega tenisa in priblizanje slovenski kulturi. Sportni dogodek poln pricakovanj v 2007 je nedvomno evropsko kosarkasko prvenstvo pod 20 let.Takoj je treba povedati,da je evropska kosarkarska zveza izbrala Slovenijo(in ne Italijo) kot drzavo organizateljico in dolocila Novo Gorico in Gorico za sedeza dogodka. Ta izbor lahko nedvomno da dobro podlago za bodoco integracijo.Julija bosta, kot je razvidno, obe mesti navzoci dogodku velikega kalibra, ki bo gostil 16 najboljsih evropskih mostev, in od katerega je vec medijske pozornosti delezno samo se svetovno kosarkarsko prvenstvo. Prav v Pali Bigot, ki je pred nekaj dnevi gostila kosarkarski derbi med Trstom in Gorico, aktivni clanici v prvenstvu B2, se bodo cez 3 mesece soocile najboljse evropske ekipe.Ravno v teh prostorih, ki so deset let nazaj bili utripajoce srce sportnega gibanja in so vzgojili prvake kalibra kot sta Milan in Pecile in je bilo v veliko zadovoljstvo majhnemu mestu kot je Gorica,bomo vsaj za kaksen dan lahko podoziveli mogocnost kosarke,to pot ne zahvaljujoc Rivi ali Milanu ampak slovenskim prijateljem,na katere kaksen starec se vedno gleda kot na sovraznika proti kateremu se je treba bojevati. Marco Brandolin prevedel Jasna

Junji 2007

ŠOLSKI DOM Z začetkom novega akademskega leta, dne prvega oktobra, tudi tretji Goriški univerzitetni sedež je začel s svojim delovanjem. V novi strukturi na ulici Croce, ki je poimenovana Šolski dom, bodo potekali tečaji ambientalnih ved – «Scienze Ambientali del Politecnico di Nova Gorica.» Rektor Danilo Zavrtanik, kateremu so bili izročeni ključi poslopja že maja meseca, je napovedal, da tečaji bodo dostopni tudi tujim študentom, čeprav do sedaj, ni nikogar, med 80imi študenti, ki nameravajo letos dokončati študije, ki bi prihajal iz Italije. Študentje tega tečaja prihajajo predvsem iz Nove Gorice, Ajdovščine in iz okolice Ljubljane. Ker pa se pričakuje, da se bodo v prihodnjosti vpisali tudi mladi iz drugi držav, nekatera predavanja že sedaj potekajo v angleškem jeziku. Medtem ko v sedežu na ulici Croce potekajo predvsem predavanja, se v Sloveniji, nekaj sto metrov od Rdeče Hiše, nadaljujejo raziskovaja v laboratorijih. Fakulteta predvideva štiri akademska leta prvo stopenjsko diplomo, kateri lahko sledi še specializacija. Kandidati, ki bi se hoteli vpisati morajo opraviti vstopni test in mest na razpolago je samo tridest. Predavanja so obvezna in organizacija didaktike je različna od italijanske. Za enkrat naj ne bi to bilo v konkurenci z raznimi goriških univerzitetnimi smermi, saj slovenska fakulteta raziskuje področja, ki so bila do sedaj še nedotikana na italijanski strani Gorice. Pravzaprav predviden projekt ustanovitve meduniverzitetne specializacije v «Gestione del rischio ambientale« ni še operativen. Napestost med Gorico in Novo Gorico se torej zmanšuje v intelektualnem sodelovanju italijanskih in slovenskih študentov v novi univerzitetni realnosti, ki vedno več druži in vedno manj deli. Začenja se tako doba nove mejne realnosti - sodelovanje. Prevedel

Samuele

Zeriali


Uvodnik

Številka 8 - Junij 2007 Urednica Casopisa: Annalisa Turel

Končno smo dosegli naš prvi Cilj, najvažnejšega: Leto! Spremili smo Zemljo v svojem enoletnem romanju okoli Sonca. Mi znamo, da Zemlja in drugi planeti v nebesih niso gledali z brezbrižnim očesom Umetnost in Znanost, ki so izvirale iz teh šestnajstih strani, iz ene pomladi v drugo. Šestnajst strani! Samo šestnajst strani! Kaj, Bralci! Dragi in priljubljeni Bratje! Kaj vsega lahko vsebuje šestnajst takih strani! Ko Beseda ni samo črka, a življenje, kri in strast! Ko Beseda je bila prej kot vse drugo! S tem voščilom se obračam tudi do vas, praporščaki z neutrudljivimi peresom! Naprej! K pisarni! Strani, ki so polne muk! Žarki prihodnosti se nam smehlijo, in mi jih bomo znali doseči! Naj bo naš trud vdan, našo zaupanje trdno! Prišli smo do našega prvega Leta, kateremu bo sledilo še desetine, stotine drugih! Mi smo komaj na prvi stopnji dolge in težavne lestvice – do sedaj smo uporabili le nekaj kapelj našega neizmernega morja! Mi vam obljubljamo! Mi prisežemo pred zvezdo Severnico, vzhodu, alfi, omegi našega Truda: mi prisežemo Bralcu! Rodolfo Toè prevedel Samuele Zeriali

BREZPLNCA ŠTEVILKA

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Sport kot sredstvo Prizdruzevanju

Fraska V vročem popoldnevu se peljem z bicklom dol po ulici Alviano v smeri Rdeče Hiše z namenom, da pridem do “Fraske”. “Fraska” je ena izmed tistih mnogih stavb, ki se nahajajo pri slovenskoitalijanski meji in ki, na eni strani gledajo na italijansko cesto, na drugi pa na slovenska polja. Prepozna s e jo lahko samo zaradi ročno napisanega urnika in zaradi obešenega znaka na vratih: prepletene veje pri majhni pletenki. Da lahko pridem do uhoda, moram obrkrožiti stavbo. V ozadju vidim majhen nadstrešek in pod njim v senci opazujem mizice. Z dvema korakoma vstopim v hišo in zagledam sobo, ki pomotoma poimenujem kuhinja, ker me spominja na kuhinjo mojih dedov: v njej je veliko ognjišče, ki samo po sebi zauzema en četrt prostora, televizor, slike na zidovih in okusno razporejene mize. Lastnik sedi zunaj, pri mizi blizu stopnic. Pozdravim ga in začneva govoriti o hiši, o njeni zgodovini. Moja

na strani II

SLOVENSKA IZDAJA

Rubrika Go and Go Sport kaot sredstvo Prizdruzevanju

AEGEE…..A JE ŽE? …..JA JA, JE ŽE J

Strani II

Strani II


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