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Riqualificazione energetica di quartieri e città
Suscita molto scalpore la nuova Direttiva EPBD 4, che richiede la riqualificazione energetica di circa 9 milioni di edifici in meno di dieci anni. Una questione complessa per diversi motivi: economico, organizzativo e autorizzativo. Per non parlare dei casi in cui una riqualificazione adeguata, visti i vincoli architettonici, è addirittura impossibile. Rinunciare a questa opportunità, d’altra parte, non conviene non solo per questioni ambientali ma anche politiche. Inoltre, si ragiona purtroppo sempre e solo in termini di edifici e si trascura la scala territoriale.
Considerare quartieri o città vuol dire avere una visione più integrata e vera dell’abitare sostenibile. Perché se l’obiettivo della Direttiva è quello di ridurre il consumo di energia da fonti fossili su scala nazionale, un approccio più ampio consentirebbe di raggiungere lo stesso obiettivo giocando su due fronti: su quello degli edifici, ma con meno stress, e su quello delle infrastrutture energetiche territoriali.
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Parlando di rinnovabili, può risultare più economico investire su grandi centrali anziché sugli impianti domestici. Il che non vuol dire rinunciare all’impianto solare autonomo quando questo è possibile, ma incrementare il potenziale della fonte di energia. Ragionare a livello di reti consente di pensare a sistemi di accumulo innovativi, all’idrogeno, all’integrazione tra mobilità sostenibile e residenza. Su scala territoriale significa anche sfruttare il potenziale offerto dalle Comunità Energetiche.
E se l’obiettivo della direttiva è quello di ridurre la dipendenza da fonti fossili, perché non spostare la questione della certificazione energetica dall’Edificio alla Comunità?
E, sempre all’interno della concezione territoriale, perché non avviare un programma di sostituzione di abitazioni obsolete e senza valore architettonico con nuovi edifici di ultima generazione? Perché riqualificare energeticamente un edificio esistente è importante, ma lo è altrettanto avere una visione più ampia.
