IL TOPO SOGNATORE

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Il Quaderno quadrone di Franco Arminio con disegni di Simone Massi Introduzione di Massimo De Nardo

il topo sognatore e altri animali di paese

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gli abitanti del paese L’asina acquaiola, il calabrone tranquillo, il cane ottimista e il cane malinconico, il canarino dispiaciuto, la capra vanitosa, l’elefante che non c’entra niente, la faina migrante, la farfalla pigra, la formica svogliata, la gallina contestatrice, il gatto snob, il maiale che nessuno ha ammazzato, la mosca pessimista, il passero schizzinoso, il ragno disoccupato, la rana giocattolo, la vacca sedentaria, il verme domandone, la serpe sfortunata, la volpe solitaria, il topo sognatore. Questi animali hanno qualcosa da raccontarci. Ci dicono, soprattutto, come la pensano. Con rabbia, malinconia, ironia, simpatia e con sincerità. E poi ci sono gli autori: Franco Arminio, il poeta delle parole, e Simone Massi, il poeta delle immagini. «Io sono un poeta e quindi sono un animale. Come gli animali, il poeta è una creatura che sta sempre a spiare il pericolo. Il mare fa il mare, il cane fa il cane, l’uomo fa l’uomo. Nessuno sa cosa fa il poeta dentro al mondo».


Il Quaderno quadrone di Franco Arminio con disegni di Simone Massi Introduzione di Massimo De Nardo

il topo sognatore e altri animali di paese Esercizi di paezoologia


Franco Arminio è nato e vive a Bisaccia, in Irpinia d’Oriente. A contarli, gli abitanti di Bisaccia non arrivano a quattromila. Franco ci tiene moltissimo a dire che Bisaccia si trova in Irpinia d’Oriente, come se questa aggiunta geografica lo rendesse, a lui, ancora più viandante, uno che cammina a piedi e viene da molto lontano. Quasi a voler dire, spostando il suo paese più a Oriente: «Abito in un luogo che sta più in là». Le parole hanno un loro significato misterioso e affascinante. La parola Oriente è di questo tipo. Franco lo sa bene. Ci tiene moltissimo a dire che lui di professione fa il paesologo (oltre allo scrittore e al maestro elementare), cioè uno al quale piacciono quei paesi che sono antichi come “il tempo che fu” e che da lontano sembrano pungere le nuvole con i loro campanili appuntiti. Simone Massi è nato e vive a Pergola, nelle Marche del nord, vicino a Urbino (avete presente quanto è bello il Palazzo Ducale di Urbino, sì?). Anche Pergola è un piccolo paese. Più o meno seimila abitanti. A Simone piacciono gli intonaci dei vicoli e i sentieri di campagna. Che sono belli come un palazzo del Rinascimento. Una bellezza diversa, più personale. A Simone piace molto la campagna perché lì la fantasia corre dove vuole lei. Corre e qualche volta entra in una stradina del paese, sale fino ai tetti ricoperti di tegole, che per magia diventano i capelli ricci di un ragazzo che poi corre con la sua bicicletta che si trasforma in un gabbiano. La fantasia fa così. E Simone le va appresso. Tra Bisaccia e Pergola ci sono quasi cinquecento chilometri di distanza. Ovvio che esistano delle differenze negli scorci del paesaggio, nei dialetti, nei sapori dei cibi, nei profumi dell’aria, però Franco Arminio e Simone Massi osservano dalle loro finestre un mondo che si somiglia, fissano gli occhi delle persone che, in questi luoghi un po’ disabitati, sono vecchie come i mattoni delle loro case strette e in salita. Sia nel nord centrale sia nel sud orientale, le donne vecchie vestono di nero, gli uomini vecchi indossano giacche grigie e camicie bianche senza cravatta. Nelle loro difficili giovinezze c’è stato di sicuro un parente migrante, contadino che si è fatto operaio, oppure sono stati migranti essi stessi. Ma le ragazze e i ragazzi non ci sono? Pochi, ma ci sono. Hanno, come tanti, i piedi in un posto e la testa in un altro. Si conoscono (in internet) senza incontrarsi. Nelle case di città c’è un gatto che si rannicchia, c’è un cane che incrocia le zampe e finge di dormire. Forse un ragno, entrato dal balcone, ha costruito una tela nel

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cassettone della persiana. Se un uccello esiste, poverino sta in gabbia. Quando poi nella casa di città entra una mosca, apriti cielo, sembra l’invasione degli extraterrestri. La convivenza con gli animali da condominio finisce qui, in città. Nel paese di Franco Arminio e nella campagna sotto le mura di Simone Massi, di animali ce ne sono parecchi, grandi, piccoli e piccolissimi, e hanno sempre qualcosa da raccontarci. E dicono, soprattutto, come la pensano. Lo dicono, in questo Quaderno quadrone, con le parole scritte di Arminio e con le immagini disegnate di Massi. Simone Massi riempie un foglio con pastelli a olio, poi disegna graffiando, come se facesse l’incisore. A volte usa la china. In alcuni disegni ha aggiunto un po’ di colore rosso, qua e là, per farci notare un particolare, e anche perché a lui il rosso piace davvero parecchio. È un colore caldo, vivo, allegro. I suoi animali non sono figurine bizzarre e non hanno gli occhi e i nasi delle persone, come succede in qualche fiaba o in certi film di fantascienza. I suoi disegni ci meravigliano, comunque. Simone è bravissimo. Franco Arminio è uno scrittore anche poeta. Lui dice che «le poesie si fanno mettendo le parole al posto giusto. A volte si sistemano da sole al posto giusto, altre volte bisogna provare e riprovare». Franco usa le parole con molta attenzione, perché ogni parola ha un suo significato, e quindi ha una “responsabilità” nei nostri confronti. Quando fai attenzione alle parole vuol dire che le rispetti, e siccome le parole servono per parlare con gli altri, allora significa che rispetti anche chi ti sta a sentire, o chi vuole leggere quello che hai scritto. Le storie che Franco ci racconta – qualcuna velocissima (e profonda), qualcun'altra più lunga (e sempre profonda) – ci fanno diventare subito amici di questi particolarissimi animali di paese. Con la differenza che non sono diventati dei cartoni (cartoons) e neanche di pezza: sono animali veri, gli stessi che abitano con noi o che incontriamo per strada o in campagna. Parlano, pensano, ragionano, hanno le loro emozioni, perché ne sono capaci, con il loro linguaggio, con le loro voci, che noi ancora conosciamo poco. Anche gli animali devono capire quello che facciano noi, ma noi non sempre ci facciamo capire, perché siamo strambi, e spesso anche crudeli, contro noi stessi e contro la natura: abbandoniamo le persone vecchie nei paesi più vecchi di loro, trattiamo gli animali “peggio delle bestie” (e non è un gioco di parole), facciamo la guerra alle altre persone perché la guerra è un “grande affare”, un business (un brutto affare, sempre). Ci salva, qualche volta, la meraviglia. Ci salva, qualche volta, un sogno. Ecco perché il topo di questo Quaderno quadrone è un ostinato sognatore. E noi con lui. 3

Massimo De Nardo


Gli asini una volta servivano a tante cose. Io ero una vecchia asina un po' bianca. Il mio padrone si chiamava Luigino, era il padrone di una locanda. Mi metteva i barili sulla groppa e mi portava alla fontana a prendere l'acqua. Io ero piccolina e lui aveva le gambe lunghe. Tutta la mia vita sempre a portare acqua, mai una volta che l'ho portato in groppa. Si vede che era questo il destino mio e di Luigino con le gambe lunghe, sempre a camminare a piedi, nonostante avesse un'asina un po' bianca.

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Sono una capra e vivo a Craco, un paese della Lucania. Le persone dicono che è un paese morto. Le persone dicono sempre così quando in un posto non ci sono più gli uomini, come se noi capre, e le bisce e i corvi e le lumache e le lucertole, non contassimo niente. A Craco abbiamo pure il problema che il sindaco non ci vuole nel paese, perché il sindaco pensa che le rovine devono fruttare un po' di soldi e invece noi capre diamo solo un po' di latte. Comunque a Craco siamo tante, il nostro padrone ci lascia tutto il giorno a vagare tra le rovine. Per noi non è un problema scavalcare un muro rotto, affacciarci a una finestra dove non si affaccia più nessuno, entrare e uscire dalle case squarciate, sfogliare un libro con le zampe, mettere il muso nella tasca di un vecchio cappotto. Per una capra stare a Craco è come per il papa stare nella Cappella Sistina. Spero che il sindaco si renda conto e ci lasci in pace. Noi non diamo fastidio a nessuno. Una capra non morde e non abbaia. E non ha problemi a farsi fotografare. Io addirittura mi metto in posa quando 5 arriva qualche turista. Sono una capra vanitosa, altrimenti non starei qui a scrivere.


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Io sono il cane di Michele, un maestro elementare in pensione. Il mio padrone mi portava con lui a fare lunghe passeggiate. Non ha moglie e non ha figli. La sua passione era la campagna e per un cane è sempre un piacere stare in mezzo alla campagna. A un certo punto, però, al mio padrone gli è venuta la passione delle macchinette dove si gioca con i soldi. Io lo seguo anche lì dentro, anche se è una stanza buia e non c'è niente da annusare. Che devo fare? Aspetto che gli passi questa smania e ce ne torniamo in campagna.

Un cane zoppo e con un occhio malato non interessa a nessuno in questi paesi di adesso pieni di macchine e di case vuote. Una notte ci hanno avvelenato, eravamo una trentina. Dicevano che eravamo pericolosi, non lo so se era vero, io ero un cane stanco e sfiduciato e non avevo la forza né di mordere né di abbaiare. Giravo quando avevo fame e se trovavo qualcosa da mangiare poi me ne stavo 7 sotto una panchina. Ascoltavo le chiacchiere dei vecchi. Mi alzavo solo quando mi tornava la fame.


Io sono un calabrone. Vorrei dire a Marcello, il bambino che mangiava il gelato davanti a casa sua, vorrei dirgli che non c'ero, ero solo una sua impressione. Quel rumore che sentiva non ero io, era una sega che tagliava la legna in un'altra strada.

Io non so chi ha messo in testa ai bambini che noi calabroni siamo pericolosi. Che ce ne importa a noi di un bambino che mangia un gelato?

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Sono il canarino di un vedovo. Ăˆ qui in casa, morto da tre giorni e nessuno se n'è accorto. Io non sono un cane e non posso abbaiare. Intanto ora la mia gabbia è sporca, non ho chi mi cambia l'acqua, chi mi mette la foglia d'insalata e l'osso di seppia per pulirmi il muso. Io canto e saltello, come sempre, altro non so fare.

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