Roberto Marzano - Dialoghi Scaleni

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Roberto Marzano

Dialoghi scaleni Opera vincitrice della prima edizione del Premio Nazionale di Poesia La Bormida al Tanaro sposa sezione «silloge inedita»

«Comete» Collana di poesia a cura di Carlo Molinaro


Dialoghi scaleni © 2014 Roberto Marzano © 2014 Matisklo Edizioni Prima edizione, dicembre 2014 ISBN: 978-88-98572-34-2 Copertina di Davide Marzano Fotografie di Giulia Bragalone, Emanuele Dello Strologo, Angelo Gualco, Aurora Maletik, Davide Marzano, Roberto Marzano, Mario Morales Molfino, Alfonso Nacchia, Ser­ gio Ponsano, Alessio Ursida – i diritti delle singole imma­ gini appartengono ai rispettivi autori

Matisklo Edizioni S.N.C. di Oddera Cesare & Vico Francesco Via Eremita 14 17045 Mallare (SV) matisklo@matiskloedizioni.com www.matiskloedizioni.com


Prefazione Roberto Marzano, poliedrico esecutore di pensieri, versatile osservatore dell’animo umano, in tutte quelle ma­ nifestazioni ad esso connesse, trasmette con originale ed eccellente poetica ciò che scruta e riesce a far prendere vitalità ai particolari dei caratteri umani, sottolineandone, a volte con estro beffardo, peculiari intenti, sentimenti e rea­ zioni, intercalando l’interiorità con l’esplorazione concet­ tuale, riferita pure verso semplici elementi d’uso quotidia­ no, che accompagnano gesti e azioni della vita in genere. Ogni sua espressione ha motivo d’essere considerata assoluta parte integrante della sua ricerca poetica, e il suo acuto estrapolarne interesse e emozione insite in qualun­ que contesto, ove natura è anima, anima è uomo, uomo è coscienza, tramite suggestioni di parole che infine si ordi­ nano in taglienti e scatenanti pensieri di perspicaci vedute. La sua silloge Dialoghi scaleni è pertanto tale, tra­ scinante insieme di impressioni, diversificate nei valori scorsi più significativi, compiute di spunti temporali e spa­ ziali, oltre che intrinseche alle aspettative vitali, colte nel­ l’ambito intenzionale e sociale della contemporanea gestio­ ne umana. Già a partire dal suo primo scritto, Camere oscure, appare chiaramente verseggiata quell’atmosfera decadente di un luogo di ritrovo che spesso risulta solitario e indiffe­ rente incrociarsi, tra ossessivi passatempi, senza neanche mai accorgersi gli uni degli altri:


... spiegavo la nebbia ai privi di vista ai tavoli inclinati dei bar di terza fila dai flipper assordanti di luci fioche...

L’eccezionalità artistica interiore dell’autore si mo­ stra infatti immediatamente attenta, rivelandosi intensa e pervadendo con prerogative di analisi profonda tutte le suc­ cessive liriche, che riescono senza sosta a suggestionare di riflessioni, come in Sparami qui, con la quale appunto esa­ spera provocatoriamente ogni verso, quasi a voler assegna­ re responsabilità di possibili fatali finali non solo all’eccen­ tricità di un destino minaccioso: Sparami qui tra l’epicardio e il ventricolo farò tonfo nell’angolo non esitare, fai pum...

E poi, leggendo L’intruso, Il matto con gli stivali e Il cappotto, si afferra come l’autore voglia porre in evidenza ancora solitudine e diffidenza usuale, riversata in particola­ re verso chi appare diverso o strano, oppure facendo risal­ tare quanto sia facile riuscire a rendere non identificabili fi­ gure all’interno di contesti ritenuti – di solito ipocritamente – socialmente normali. Con la struggente Il crisantemo di plastica offre un pungente e freddo omaggio, che ben definisce gretto, ad un ricordo lasciato divenire impolverato e sbiadito di dimenti­ canza.


Colpisce emotivamente anche La gabbia, ove lanci­ nante appare segnato il disagio umano nella prigionia sim­ bolo, descritta e avvertita inesorabile in tutte quelle circo­ stanze abbrutite dalla mancanza di libertà. Vi sono in Dialoghi scaleni però anche pensieri con i quali l’autore si rispecchia nei versi con la consapevolezza dei propri panorami esistenziali, compresi per esempio in Avrei voluto, che si rivela altresì toccante: Avrei voluto essere semplice e anch’io dire solo di soli e tramonti e tormenti ma che colpa ne ho se i miei poveri sogni stentano a districarsi da lastrici eccitabili che mi bucano l’ampolla dell’immaginazione...

seguitando poi con letture ove risaltano richiami di natura, come in Violetta e L’ultima eclissi, oltre che con elaborazioni di sentimenti che divengono ferme testimo­ nianze sensibili d’analisi poetica, come in Il bacio e l’intima Io e te. Concludendo, Roberto Marzano rimarca, in questa silloge, la sua multiforme vena poetica letteraria, esplici­ tando l’enorme capacità di trasmettere – anche tramite lin­ guaggio di forte impatto graffiante – qualunque aspetto di questa nostra società, modellando difetti e rivelando sarca­ sticamente simulazioni, conformismi o doppiezze di atteg­ giamenti del vivere comune. Momenti, questi, scoperti dal lettore, che si ferma con mente e con cuore tra i suoi versi e


infine si sorprende per l’acume poetico o si trova a sorride­ re per la fantasia e fotografia d’umanità, con le quali Mar­ zano pone firma caratteristica d’uno scrittore e poeta qual è, riconosciuta crescente attraverso il suo innegabile talento artistico a 360°. Mariella Mulas


Dialoghi scaleni


Dialoghi scaleni, cocciniglie bavose impazzite s’incagliano in angoli ciechi incatramati di buio sfarfallando parole dette tanto per dire o per dare epiteti crudi, apporre timbri di sangue dirottar le domande, soffocar le risposte trapanare il cervello provato, ecolalie a mitraglia frasi che sfilacciano lente buonumore e buonsenso propenso giammai a farsi ammansire in un incontro auspicabile perchÊ capir ci si possa.


CAMERE OSCURE In preda al disordine, alla costernazione spiegavo la nebbia ai privi di vista ai tavoli inclinati dei bar di terza fila dai flipper assordanti di luci fioche... Bambole d’organza tribolano immobili su copriletti ocra in finta seta in piccole camere oscure appese a un filo su nuove strade sei piani più in basso... Bicchierini d’anice disincrostano accidia ferraglia rugginosa china al tormento calendari ingialliti da fiati grevi gemme d’ambra corrose dal lamento di vecchie credenze impiallacciate infestate da fantasmi in carta crespa con le puntine agli occhi, allo sprofondo in cassetti pregni di pece greca...


IL MATTO CON GLI STIVALI Fosse solo per quelli ed il fango ormeggiante sfacciato sulle piastrelle le mani sozze che lasciano impronte unte e bisunte sulle cose, sui mobili o per i vapori putridi d’ascella fetente la tosse grassa che sfoga scaracchi e i rutti acidi di mal digestione... Ma è ben altra cosa da dover sopportare il priapismo perenne che offende il tradizionale comune buon gusto l’azzardo molesto e l’ovvio imbarazzo del suo accostarsi alle spalle furtivo in tripli salti mortali dell’eloquenza srotolatasi da una lingua a sei punte in versi osceni come petardi deflagrati in bassi solai senza sole di case ammobiliate malamente dove lo stivale sporco o pulito non ha alcun senso o importanza per inquilini che appendono mogli molli in vestaglia di rosea flanella nella corrente di un W.C. che ribolle delle visioni di un folle a piedi nudi solo e perduto in strade come roveti dove si sta come d’estate le uova strapazzate!


Foto di Roberto Marzano


SPARAMI QUI Sparami qui tra l’epicardio e il ventricolo farò un tonfo nell’angolo non esitare, fai pum! E scaglia bene la palla con cura e metodo prendi la mira e rimembra gli allenamenti al poligono... Ma stai attento non frantumarmi il malleolo è doloroso e antiestetico un condannato che zoppica e non ferirmi all’orecchio sii bravo e fammi secco veniamo presto all’epilogo levami il tappo dell’anima... Io ti capisco stai obbedendo ad un ordine ma è solo un gesto meccanico non è da ansia né panico... Crivellami un po’ fammi in poltiglia il cervello tra le sterpaglie sopprimimi annichiliscimi il battito non soffriremo più. E non ti affliggere


se tra di noi non c’è dialogo in tal frangente è pacifico mandami pure al diavolo e finiamola, qui...


S’8 LA PUNK Qui sotto la panca non ci sono capre e cavoli bolliti sotto il sole ma libere di vagar per le montagne russe tracannanti vodka a Mosca al naso per gli affari di stato di abbandono la strada maestra d’asilo politico e privato dei diritti più Elementari caro Watson! le medie non le ho finite nel secchio della spazzatura mediatica densa di cronaca nera la notte senza luna crescente l’incazzatura del Popolo deciso a far la storia dell’arte di arrangiarsi con quel poco di buono sconto del trentatré per cento lire che in America voglio una casa da sogno o son desto la tua ilarità o compassione la baciai sulle labbra rosse di melograno indeciso s’essere spiga o pomo tondo...


M’ILLUMINO DI MENSOLE M’illumino di mensole – il sole non mi basta – degli scaffali densi di tomi tosti esposti a polvere di occhi che li hanno divorati in ore di abbandono a cuore palpitante di mensole m’illumino dei dorsi rossi e gialli affastellati in file dall’equilibrio incerto e nell’angolo più bello lampeggiano i più amati...


Foto di Alessio Ursida


IL TUTTO Di strofa in strofa, d’apostrofo in “a capo” affamato di lunghi periodi dilaganti per righe e più righe senza fiato o quiete dove una virgola in più o in meno, nel caso può cambiare direzione, senso e indirizzo così come un punto può concludere il tutto... La pianura sterminata di neve non distingue né colma le distanze batte il mio cuore pazzo dirimpetto nel respiro bollente di fiati affiatati che divorano a morsi vivi la nebbia vapore di sospiri colti a mani colme maniglie dorate delle porte del paradiso raccolgon lo stupore, il brillio degli occhi sotto le coperte complici di pelle dove le notti sfrigolano d’immenso incendiando labbra tese, bocche disciolte ad esplorarsi in esplosioni d’infinito...


AVREI VOLUTO Avrei voluto essere semplice e anch’io dire solo di soli, tramonti e tormenti ma che colpa ne ho se i miei poveri sogni stentano a districarsi da istrici eccitabili che mi bucano l’ampolla dell’immaginazione impiastricciando i marciapiedi di appiccicume e cumuli di stelle di carta in fiamme affastellati sopra i cieli purpurei invasi da scie misteriose a dirottare gli auspici di meraviglia attesa d’ingarbugliati lamenti di pugni sottintesi respiri alle mie spalle innocenti gravate da una grandine pesante di male parole a moltiplicarmi baffi e indifferenza alla forfora allappata dei saggi cittadini fumo nero di copertoni che bruciano lungo le strade in salita crepitando...


L’INTRUSO Intrufolati i gomiti acuminati negli interstizi tra costole e spalle il goffo intruso mani di falco predone ammicca al vuoto simulando a caso familiarità improbabili mentre assale occhieggianti tartine salmone e caviale colmando il bicchiere e il gargarozzo di prosecco augurale del buffet-meraviglia disinvolto e indifferente a che tutti si chiederanno di chi mai sarà amico lo strano tipo che spinge “con permesso” ma non scambia una parola con nessuno...


Foto di Emanuele Dello Strologo


LA CENA DELLE EFFE Non mi farò sopraffare dal traffico malefico né soffocare da sformati di falafel asfittici io sfarfalleggio all’infinito, non so star fermo e francamente me ne infischio, strafottente degli spifferi funesti di metafore e fantasmi... M’affligge chi famelico si fionda su beffarde fettuccine funghi e fango farfugliando affanno e frasi senza offesa goffe ed affrante come krapfen sgonfi come fanti di fiori offesi da fiacchi stufati stufo di fiabe-truffa e di falsi suffissi... Strofe trifolate con fagiolini metafisici saffiche fiorentine affamate di finestre fate fedifraghe, falene sul soffitto sfrontate figlie di fantomatici fauni riflessi nelle finte forme in fil di ferro... Intanto un flan di frattaglie strafritte mi sfalda il fegato, me lo fa a fette poi con un puf che soffia fallimento deflagra in un frappè di frutta sfatta servito da filosofi in frac e farfallino che fan strofe febbrili di fornace in questa folle, folle cena delle effe che fame non toglie proprio a nessuno se dopo il formaggio arriva... il for-giugno!


IL CONGUAGLIO È stato proprio il conguaglio dell’acqua a farci annegare la vita a infradiciare il nostro povero amore a renderci naufraghi tra le bollette le nocche nervose dei creditori insistenti alla porta segnata da gragnuòle di pugni con noi dietro muti senza emettere un fiato confidando sulla loro stanchezza. A nulla è servito barcamenarsi tra gli sconti e le offerte sempre più audaci dei supermercati in guerra perenne per ottimizzare il costo del lavoro licenziati in tronco da una crisi bastarda tranciati da un taglio che ci ha mozzato la testa ora siam qui di fronte alla finestra indecisi se aprirla e buttarci nel vuoto o chiuderla bene ed aprire il fornello trovando nel gas un qualche rimedio ma facciamolo subito prima che taglino anche quello...


IL CRISANTEMO DI PLASTICA Dura in eterno e non stinge al sole il gretto omaggio alla vita sepolta crisantemo bianco di plastica secca occhieggia squallido, nudo alla polvere disteso obliquo nel vaso senz’acqua... Ma il turno tuo verrà prima o dopo e di certo non ti sarà ripagata neanche la stessa vile moneta se così stretto d’animo hai vissuto sempre un passo indietro almeno freddi sorrisi e mano già morta ricoperta di muschio e di brina nell’aprire le grinze del piccolo cuore all’improbabile tuo nuovo amico...



IL CAPPOTTO Avvolto malamente nel feltro oscuro due misure abbondante, perlomeno zuppo d’umido neanche fosse stato esposto a secchi di umiliante pioggia urtante le mie ossa oltremodo offese da uno sfrontato gelo acuto come vetro che mi allaga l’anima urticata desiderosa di un punch o un corpo caldo che mi stringano stretto il cuore, presto prima che un ultimo insulto del libeccio mi trasferisca all’inferno direttamente dove il calore, è indubbio sarebbe un po’ troppo davvero e a nulla servirebbe il mio cappotto pregno d’acqua e di orologi di latta ormai invendibili anche al più sciocco dei turisti...

Nella pagina precedente: foto di Davide Marzano


PROTESO ALL’INFINITO Trapassati a miglior coniugazione gerundi futuribili subordinati a soggetti che pur sovrabbondanti appaion difettivi quando si tratta di far nomi e pronomi. Dire non si può che nel loro passato vi sia stata mai congiunzione copulante magari aggettivata con dittonghi eufonici come del resto, l’endecasillabo sta a tempo senza tanti complementi sottintesi con iati intransitivi e un participio proteso, lui per sempre, all’infinito...



ORIGAMI La proprietà del mio buio linguaggio prescinde, eccome, dalla sicumera esposta in bella mostra in teche chiuse che a notte vibran di malevolenza ma, fior di zucca audace e biondo sboccia dal caos caldo allucinato che mi fa squittire senza sosta nelle aree di parcheggio senza strisce dei sottopassi senza apparente uscita fantasma diurno steso alle lenzuola arse dal vento lungo le ringhiere di lunghe scale scalene attorcigliate a trappole d’ebano e d’inchiostro insufficienti a nasconder l’annaspare in bottiglie rotte d’etere e d’aceto parente stretto d’ubriachi sbronzi di origami che ondeggiando beffardi appesi a un cielo che non piove, ora...

Nella pagina precedente: foto di Aurora Maletik


LA GABBIA Poveri piccoli scriccioli malati anime implumi senza conforto scaraventatati in gabbia dalla culla con giochi fragorosi, balie assassine che graffiano le palpebre sbarrate soffocano i germogli di speranza le orecchie raggirate a tonfi sordi ripetitivi quel tanto che basta a farsi credere musica davvero e in cuor loro credono gli piaccia come i canarini credono sian casa le sbarre fredde della voliera appesa... Nati da uova deposte giĂ in catene incapaci di sognare la libertĂ vera che nella breve loro vita a strisce mai hanno potuto becchettare e sbronzi del buonsenso inoculato a forza additano i passeri che volano cantando quasi che fossero pazzi da rinchiudere.


Foto di Sergio Ponsano


NON DISSIMILI La ridondanza servile di subalterni supini allungati zerbini di polvere e bava sotto scarpe notabili vere o presunte l’inchino molesto, il cedere il passo la deferenza untuosa, il sorriso affettato miagolante l’annuire ad ogni idiozia lo sguardo che supplica di baciar quelle mani mi dà il voltastomaco mi fa uscire dai gangheri lo slinguazzare ampolloso culi non dissimili ma riparati da giacche impiccate a cravatte culi che quasi non credono possano fare la cacca marrone proprio come la loro!


DOWNLOVE Ti prego taggami lungo la schiena un browser copia ed incollami i file tuoi nell’anima tesoro mio modificami sarò il tuo umile server il tuo disco fisso la perdizione in bluetooth piccolo mouse che non fugge sta connesso ed anela a loggare i tuoi giga ammorbidendo il firewall... Ma il downlove non si avvia non resettarmi la ram forse il software è obsoleto s’imporrebbe un upload ma amor mio mi accontento di un pdf anche piccolo un media player d’annata un viaggio su google earth basta che tu mi dia la tua mail od un brivido un sorriso zippato e che clicchi “mi piace” condivida il mio post


ma fa presto se no mi si arresta il sistema e davvero non so se poi mi riavvierò...


Foto di Alessio Ursida


SULL’ABISSO Tunnel profondi di tele nere, vele del buio sfilacciati percorsi duodenali contorti cervelli bacati da increduli vermi prendono per mano inermi dispersi nel precipizio ingordo che abbaglia fosforo offeso da quisquilie inguardabili inguaribili ferite al buonsenso al bisogno di nient’altro, che aria... Gocce inclementi di liquami squamosi sgorgano dai muri putridi in grumi crudi torbidano l’ampolla del silenzio afflitto dall’incalzare pulsante dei tonfi sordi scaraventato a calci in trappole truci flebili legami di lego trasparenti sinapsi assenti, per malattia senza rimedio. Bocche aperte appiccicate a teste vuote zucche rinsecchite tutt’occhi spalancati costantemente sintonizzate sull’abisso di amichevoli consigli smacchia-acquista-decidi-adesso nei declini inarrestabili che conducono a un sonno brullo anche chi di loro giura e spergiura d’essere ben sveglio...


ALGHE STIGIE Ne intride l’anima degli abiti le trame limo oscuro alghe stigie presagio di sventura freddo annegamento fiume nero succo di tenebre inchiostro di morte che sbatte le porte risucchiando dal buio gelide salme lenzuola bagnate appiccicate alle gambe.



BACI DI RIMA Sopravvivrò agli intrugli canori che mi han lasciato davvero ben poco di quel già triste vuoto che rimandavano alle mie orecchie sbalordite, perplesse? Hanno truffato la mia intelligenza senza pudore adulato il mio acume facendomi intuire delle rime i suoi baci sfrontati, lampanti, senza nerbo nÊ iperboli negando uno sfiato alla mia voglia persa di perdermi ancora in meandri imprevisti in strapiombi scoscesi, in laghi di luna appesi nel vuoto del nulla e del tutto...

Nella pagina precedente: foto di Emanuele Dello Strologo


IL BACIO Cercarsi l’anima bocca con bocca appoggiati al vuoto della notte sprofondando in un brivido muto che sorregge i corpi abbandonati appiccicati amanti nel dolce incanto di quel bramato istante troppo breve. Campanelli incapaci di smetter di trillare li accompagnano nel vortice di stelle che li condurrà a rifarlo ancora, presto solo un respiro profondo, quasi un canto e poi cercarsi spasmodici, adesso stringersi sempre più forte ingoiati dall’urlo del vento...


IL PUNTO Vola il bacio pendulo in un sibilo sulla linea sensibile del collo spillo invisibile si scioglie in palpito avvicinandosi smanioso al punto dove la bocca spasima e divampa...



L’ULTIMA ECLISSI È dall’ultima eclissi luce di carta zucchero che mi sento diverso, disarmato agli specchi... Soggiogato dall’effluvio soave dell’elicriso vedevo una chiara madonnina irradiare lampi di paradiso che scalzavan gli occhi mentre a mezz’aria lentamente sfilava il suo dolce sorriso ammutoliva l’eclissi la rendeva banale, già vista come banali sono i fiori o la pioggia o lo sciocco alternarsi del giorno e la notte...

Nella pagina precedente: foto di Giulia Bragalone


CAPITOMBOLI Ricapitolando i capitomboli raggomitolati in gorgoglii ansimanti disposto a tutto l’immaginabile altrove coibentato dal fracasso malsano dirottavo semafori a mio capriccio su luci purpuree o blu di cobalto provocando storcimenti di nasi perplessi genuflessi e irrisi dalle giravolte carnali antiestetiche antitesi della decenza...


Foto di Aurora Maletik


IL FILO ROSSO Trovatomi in mano un filo rosso di lana denso di nodi e grumi stelline appese, mele d’inverno stretto a fermare la circolazione altro non ho che da seguirlo srotolarmi nelle curve impreviste degl’impervi sentieri a fiato mozzo farmi condurre a chissà dove contro i dossi gibbosi che celano il cielo a chi privo d’immaginazione abbisogna d’intingerci un dito, spennellarlo sugli occhi intorpiditi da torme di torba ombrosa che alimentano il buio della ragione di chi crede solo a ciò che vede sullo schermo fratello di sangue e di nebbia finché un palinsesto più spesso del consueto non gli crolli addosso spegnendolo del tutto.


SCEMI DI ZUCCA Buoni in quei momenti altro non sono che a compiere scempiaggini, celie da strada cigolando risolini senza decenza stridula pazzia tremula agli occhi leccati di lacrime inclini al riso strepitano tampinando fruscii di gonne cosce spalmate di calze bianche, lunghe sostenute da trine cedevoli, slabbrate che s’impone tirar su come col naso mentre di fuori sbuffa, ciondolante in bilico s’un ponte in corda un treno rosso teso da mani incapaci a trattenerlo alle quali non resta che lasciarsi cadere ridendo stolti addentando l’orlo che resistenza alcuna non oppone nel farsi srotolare sulle gambe in fiamme in un groviglio caldo di maglie e braccia che dolce geme basculando in tango avvinghiato trepido a trame ingorde dove la scemenza è ostentata a bell’apposta labbra adornate di pericoli agognati bocche sfrontate che non san dir che “ancora” finché il respiro basta fino a che un bacio più lungo del previsto li fa levitare in cielo come mongolfiere in preda al vento lieve del pensier leggero degli scemi, solo per gioco...


Foto di Roberto Marzano


OCCHI NEGLI OCCHI Di un banale obiettivo il dilatato diaframma cieco alla notte e all’incalzare del tempo ben suddiviso sul binario che non deraglia il lungo treno saltellante a ruote ovali passione di viaggiatori fuori norma che non patiscono scosse e sobbalzi anzi li anelano ansimando lenti mentre fanno l’amore senza affanno languidi e adagiati nelle spire del buio sui sedili in sky blu occhi negli occhi...


ARTISTI DI CARTAPESTA Hanno la fantasia di un bancomat fuori servizio di vecchie giacche al tanfo di tristezza abbandonate su grucce in fil di ferro in lavanderie confuse a bocca aperta. Sono molto bravi, e tanto, a calpestare impronte indelebili orme profonde sulla bianca neve lasciate dagli artisti veri da quelli perlomeno sinceri che non hanno il bisogno né la faccia di appropriarsi di altrui ispirazioni come invece loro fanno, spudorati dall’alto di arroganti quartieri densi di telecamere e inferriate. Cantautori con la erre arrotolata fittizia esecutori di jazz che di nero hanno solo il cravattino attori ostentanti buffe “e” spalancate come domeniche autunnali negli ipermercati poetucoli strappalacrime e strappa palle cultori indefessi di mari, tramonti e gabbiani dai cuoricini affranti, disperati sotto i diluvi laureati in Lettere Imbucate Senza Francobollo presso l’Università del Sacro Culo diplomatisi in Piano e Teoria del Plagio al Conservatorio dello Status Quo...


Assidui dell’Accademia Ci Vuol Coraggio studenti fuori corso del vivere a fatica hanno la creatività del bravo soldatino e per questo hanno bisogno di scippare senza scrupolo nÊ dubbio che li colga i nomi, il fascino e la rabbia della storia della cultura popolare le uniche cose che, noi, abbiamo gratis... non ce le possono rubare!


Foto di Angelo Gualco


VIA DI FUGA La flebile vocina del poeta pavida s’accinge a sputar versi parole sorte da ventricoli malati di vita stanca di parentesi mai chiuse sul microfono attonito, confuso suscitan sbadigli a piena bocca grattate, tic, crampi, stiramenti... I fortunati in coda alla platea ottengon facile fuga perentoria durante l’applausino di circostanza lasciano la stanza con passo di felpa ma i poverini in prima fila incastrati ad assentire al lento flatuloquio spasimando e annuendo meccanicamente meditano sornioni un’idea geniale: fingere il vibrare del cellulare in tasca bisbigliando qualcosa a un qualcuno immaginario provvidenziale salvatore da un brullo tedio lasciando così la sala con borsa e giacca... Ma il poeta, forse fulminato da uno sguardo d’anice celeste colto a mezz’aria come una freccia aguzza imbocca tutto a un tratto una curva secca un brivido che gli dà tono ed il coraggio di uscire a braccia alzate dallo schema previsto una mazza vigorosa a percuoter la grancassa


i piatti prendono a schiaffi bon-ton e convenienze e inizia lo sproloquio delle sue intime visioni... L’amore suo dal pubblico lo illumina, lo incita gli occhi che rotolano sotto le poltrone rosse l’aria calda del mare tirandosi addosso sotto una pioggia di caramelle al rabarbaro come in un gioco di cartoncini colorati le case s’aprono a fior di loto liberando uno sciame di parole clamorose srotolate sulle strade come neve calpestate, ridotte in mille pezzi sminuzzate in sillabe e vocali che ora perdono legami e senso deflagrando in un improbabile strin-cla-ubratt-insi-bla-bling che incendia il pubblico ululante di stupore e di meraviglia accesa nell’udire la nuova via poetica l’incurabile disordine arbitrario nel quale finalmente saran morti malinconici gabbiani solitari poveri cuori infranti ed incompresi saran spenti gli intramontabili tramonti e lasceranno posto a un’ondata di follia!


FRASI SFATTE Forse abbisognano soltanto di due o tre punti, anche di fretta che tengano insieme coda con capo o di uno d’appoggio che le sostenga nell’incipiente vuoto del non dire vittime autofaghe dell’intrinseco niente avvitate in spire rade di freddo fumo...


LA FANCIULLA SENZA NOME Diafana allo sguardo, vaga alla mano la trasparenza incorporea di bruma dello sbiadito involucro la pone più simile a un’ombra che a carne... Dai drappi sdruciti attorcigliati parole sibilano soffiando brina in tondo al passo lento di fumo la fatua danza di assonnati stupiti dalle biglie di vetro che grondano lungo la scalinata degli acquei occhi appigli al disadorno nulla senza dove scarni sterpi secchi a corollario di un deserto basso polvere e tosse tundra di luna, spento splendore senza né un nome né storia vera...


Foto di Sergio Ponsano


ADDIO A VALONA Sonetto imperfetto

Sola e impaurita sotto il flash dei fari messo in mostra ciò che di te si vende devi dar modo al signor che spende di guardar bene ciò che può comprare. Giunta in Italia promessa cameriera calci nel ventre alle tue domande sbattuta in strada ancor che stai piangendo primo cliente dentro un’auto nera. Esangue, nuda, ossa tutte rotte scaraventata a pugni dentro a un fosso muore il tuo cuore nell’addio a Valona. Non potevi accettare la catena non volevi cedere di un passo e credevi, di reggere le botte.


COUPEROSE Schioccano le dita, il silenzio si schioda dilaga alla piazza l’eco secco di frusta ammutolisce parole in traballo ai trampoli come anatre che incespicano su specchi curvi sputando ranocchie frastornate dalla parabola che le conduce al patibolo dell’omonima sagra dove saranno fritte in fretta negli anfratti di stand ondulati lamiera banda di zinco mentre in fronzoli vani la sera scende il buio senza indugi si fa largo sfacciato tra le maglie adagiate su reumi e spalle strette di signore unte che annaspano rimpianto per lo sceneggiato ormai bello che finito in chissà quali mani pigre e indisposte a dispensar carezze pur anche metaforiche sulla gote couperose e molle silenzio...


LA PRIMA VERA Dovevan essere state certo ben poca cosa e ben false, e spergiure imbevute di tenebra e fango incapaci d’amare menzognere ed infide se adesso, si dice, sia tu la prima vera...



VIOLETTA Ce l’hai infine fatta a infilarci le braccia spodestando quel sasso aggrappato al selciato a impietrire l’inverno risputandogli in faccia dolce cara violetta violenta e testarda!

Nella pagina precedente: foto di Alfonso Nacchia


L’ANGUILLA TESTARDA Contorce l’aorta nel sangue fa sponda nell’onda tagliente della truce tenaglia l’anguilla testarda trattenuta a fatica per la vita la strenua sua dura lotta sputa, ingoia, s’attorciglia, s’inchioda nel lavello chirurgico d’acciaio insanguinato mani ingorde sezionano le sue grasse carni smembrata in più pezzi non può darsi pace morde l’aria caparbia la testa mozzata digrigna instancabile i denti feroce non vuole saperne di smetter di vivere e ancora lo spera di poter ritornare all’ombra dei castagni nella sua cara pozza in compagnia dei gerridi pattinatori e lasciarsi accarezzare dolcemente la schiena a ogni passaggio sotto il pelo dell’acqua.


Foto di Mario Morales Molfino


AQUILE CON GLI OCCHI BENDATI Aquile con gli occhi bendati si tuffano dentro voragini d’aria a loro piace così sprofondarsi nel buio a occhi aperti mai proverebbero lo stesso brivido. Si lasciano perciò cadere in quei fantastici vuoti immaginando, chissà, di fare shopping in città tra autobus sbuffanti rabbia semafori cangianti per puro capriccio fumo che avvelena il becco urlo di sirene,ondeggiare di ponti folla che stritola, sconquassa le ossa... ... forse un po’ troppe emozioni scherzi che fa il libero pensiero così, un colpo d’ala strappa via la benda giusto un istante prima di non schiantarsi sull’asfalto.


DICIOTTO BARRATO Musi mal disposti tra rombi e fumo ansiosi attendono il barrato 18 statue di cera sotto il sole urbano lente fondono nel casottino in vetro scarpe di gomma incollate all’impiantito costellato di cadaveri di chewing-gum. Aggrappati alcuni a un libro o a sguardi provano a vivere al meglio quel momento non vogliono farsi inghiottire dall’asfalto prima che l’agognato bus li porti in salvo.


SOTTO-SOPRA Lo si bisbigli sottovoce, mi raccomando soprattutto per non urtare i nervi offesi di chi sopraffatto dalle urla sopravvive sottobanco alle offerte speciali sottocosto nei sottoscala del disordine della ragione sopra tavoli infestati di aloni tondi di caffellatte zuccherosi senza sottobicchiere... Sopraccigli perplessi da indugi sottintesi sottili equivoci, sottane sopra le righe forse sopravalutano non improbabili rischi quali finire schiacciati sotto sale da tè allagate di nausea e musichetta in sottofondo o spalmati sopra le ciglia bluastre, farinose di soprani che annaspano in tisane vermiglio sotto piogge incessanti di canarini magenta che lottano coi pipistrelli in soprabiti lisi nel nulla dilagante sottotraccia dei sottotetti... Capre giulive sopra la panca senza sotterfugi sottomettono capri espiatori dai sopranomi stinti sotto i ponti sopra i porti urbani ululanti dove sottospecie di tonti in apnea da risotto soprappensiero scrollan tovaglia e soprammobili sopra la giacca di un passante sotto la finestra


lĂŹ sopraggiunto, ben deciso a non soprassedere a non sottostare al sopruso, alla sopraffazione e gli rifilano un uppercut sotto il mento scaraventandolo sottosopra tra le stelle com’è di solito, piĂš o meno, il sottoscritto...



IL COMMISSARIO SPERDUTO Dove m’ha condotto ’sto gregge storpio che storto digrigna nel ventre buio di questo vecchio, melmoso palazzo la voglia di dismettere al piÚ presto giacche fradice di noia greve che soffiano il naso sonoramente nella tromba del portone perplesso muschio sulla ringhiera nel vuoto... Ed io rincorro prono, senza fiato le mie prove lampanti illuminate dal lucernario infranto che divelle le abitudini di inquilini troppo silenziosi fumanti dietro tende di velluto prussia come se qualcosa non fosse successo visti i gradini costellati di gocce ricamate gravide di sangue rappreso...

Nella pagina precedente: foto di Alfonso Nacchia


IL METRONOTTE Piombo nella pancia gonfia d’aria fuoco acido che tracima al piloro del metronotte distrutto e cigolante alle ventitré più o meno in punto cercando nei caffè ingollati a sguazzo rimedio allo sprofondo che lo inghiotte tra le maliarde spire di notizie indigeste che stritolano muggendo colli bianchi di dolci fanciulle madonnine luce d’occhi... Non chiede nient’altro che adagiarsi in un’oasi di silenzio interrotto a stento dal cinguettio discreto di merli felici di becchettar le briciole cadute a neve dalla tovaglia scrollata alla finestra...


ZERO Sono zero, son nulla una capocchia di spillo una palla di lardo con la pancia un po’ molla un’ampolla di niente una cresta di gallo una striscia di colla una sacca di muco poco piÚ che uno sputo una scia di lombrico sono senza capelli non ho libri nÊ sogni men che meno opinioni sono proprio nessuno sono niente, son zero un alone di fiato genuflesso, piegato basta uno starnuto e son bel che finito...



PENNA D’OCA A te che apponi timbri storti come la tua schiena china nell’ombra polverosa di stanze appese sotto lampadine fioche di luce stanca delle pratiche consuete di quest’ufficio patate da pelare, gatte bollenti, grane che passano dolenti di mano in mano fino a sperdersi in labirinti di muffa focolai di acari voraci come ratti faldoni franosi, fettucce strappate riannodate più e più volte su se stesse. Fascicoli in rovina di anime morte quasi coetanee di Mazzini coi nomi scritti a penna d’oca in un improbabile Gotico ’900 o da Olivetti – Lettera 32 col nastro in tela rosso e nero su etichette di colla rattrappita che si staccano sol che si sospiri un po’ più forte nell’affanno dell’ardua ricerca conclusa, adesso...

Nella pagina precedente: foto di Davide Marzano


TAVOLINI DI BRUXELLES I tavolini di Bruxelles sghembi traballano nella zoppia indolente stagnano ombrosi tribolando sui dehors di mezzasera le gambe sparigliate nude e fredde. Tremanti a malavoglia sostengono gomiti di coppiette e perditempo attenti agli orli borderline di aperitivi ma indifferenti allo spicchio di limone che senza un grido lĂŹ per lĂŹ annega sulla Grand-Place in timida discesa...


Foto di Angelo Gualco


ANGELI DALLE CALZE BUCATE A Fabrizio De André

Sotto l’ombrello tuo caduco di piume celesti stai nel gelo d’anice di una pozzanghera con angeli dalle calze bucate cantando malinconiche canzoni a sottovoce. Un filo di ciò che pare fumo t’esce dalle orecchie spente polvere di te che dormi dopo averci lasciato per sempre cieli e cieli di poesie appese e figli e sogni colonne magiche sonore di ricordi collane di diamanti, regalate anche ai sordi...


RESPIRANDO RESPIGHI Teso e sospeso nell’impeto del passo incontro all’ombra dei pini odorosi respirando Respighi tra le spighe ancheggianti flesse sotto la pioggia di ottoni dorati ottorinolaringoiatricamente perfetti stormi d’anatre cicaleggiano in coro dirette da un dito oscillante nel cielo che segna il tempo di andare adesso...


Foto di Mario Morales Molfino


MINGUS AT ANTIBES Pregna l’aria del sentor di prezzemolo dolce menta provenzale che assale luminose note notturne attendendo contrabbassi come accesi lampioni. Stretto nella smagliante camicia hawaiana languidi fiori cascanti nel mare di blues al tuo tavolo mediterraneo Chez Henri – Port d’Antibes gambe stese sulla sedia di fronte gli occhi chiari della tua Sue ordinando o almeno provandoci Pierrade Marine aux Fruits de Mer a un garçon alquanto distratto dagli occhi blu di Nadine lo sfilare improvviso di un gatto lo distoglie ancora di più... Intanto, accontentandovi di un Muscadet Sevre et Maine sur Lie (mica servono caffè americano lì) non passa nel cielo alcun gabbiano... sono tutti impegnati in altre poesie in questa, scusami Charles, non ce n’è!



IL PREZZEMOLO Non si disprezzi il prezzemolo solo per il suo prezzo modico o perchĂŠ, si dice lo si trovi in ogniddove come se stesso del resto ma lo si apprezzi invece, lo si ami tanto per il soave olezzo che sprizza dagli odorosi pori verdi a sprazzi nei mesti triti dondolanti sotto la lena lenta di mezzaluna...

Nella pagina precedente: foto di Giulia Bragalone


IO E TE Hai voglia di fargli comprendere l’intrinseco groviglio il significato meno apparente di certe astrusità semantiche rubargli tutti gli assi nella manica senza indugio, con coraggio coniare neologismi sfarinevoli nudi e puri acrobatismi verbali senza alcun senso evidente. E trovarne uno che chieda spiegazioni al delirio dilagante di architetture instabili dal baricentro precario e ondivago qualcuno che provi a fermare il traballo di un castello di parole sensibile agli sbuffi tigre intrigante di carta pesta zuppa che pur mostrando gli occhi chiaramente fatica tanto a farsi credere sincera. È solo un cocktail logoro di parole usa & getta come negli oroscopi delle riviste più inguardabili meglio sole, che sotto la pioggia di lapilli scherzi che combina l’alfabeto onirico di presuntosi poeti vagabondi dell’innocenza orologio che va avanti o indietro o con le lancette in controtendenza


secondo lo sghiribizzo folle che prende a chi ha il coraggio di scrivere certe idiozie o addirittura di leggerle fino in fondo: io e te...!


Ringraziamenti Una valanga di ringraziamenti per chi ha contribuito a questi miei Dialoghi scaleni. In primis a Mariella Mulas per la sua bellissima pre­ fazione e a mia figlia Claudia, che si è prestata come model­ la per le mie due fotografie. A tutti gli amici artisti – Giulia Bragalone, Emanuele Dello Strologo, Angelo Gualco, Aurora Maletik, Davide Marzano (autore anche della copertina), Mario Morales Molfino, Alfonso Nacchia, Sergio Ponsano e Alessio Ursida – che hanno arricchito con le loro opere i miei versi. Poi a Matisklo Edizioni – nelle persone di Francesco Vico e Cesare Oddera – e alla Giuria del Premio Nazionale di Poesia «La Bormida al Tanaro sposa» (Giangiacomo Amoretti, Giannino Balbis, Vera Bonaccini e Francesco Vi­ co), che ha voluto farmi l’onore di vincerlo con questa moti­ vazione: L’ironia penetrante – con oscillazioni fra gioco e pensosità, riso e amarezza, parodia e simpatia – è la cifra stilistica dominante dei versi di Roberto Marzano, già nel titolo della sua silloge («Dialoghi scaleni») e in molti titoli interni («Il matto con gli stivali», «M’illumino di menso­ le», «La cena delle effe», «Downlove», «Scemi di zucca», ecc.). È una poesia che non disdegna i richiami colti (nu­ merosi e ben riconoscibili) e neppure i temi alti del senso dell’essere e dell’esistere nel mondo (è anche, nel suo gene­ re, poesia filosofica), ma predilige la quotidianità, i perso­ naggi non integrati, la vita popolare e notturna, la carica


simbolica degli oggetti minori e trascurati, gli incroci tra realtà e visionarietà. Il tutto governato da competenze te­ cnico-formali di prim’ordine: i versi liberi e ipermetri si alternano a quelli regolari, dando vita a un originale fra­ seggio, che ora riproduce i ritmi interni del pensiero e del sentimento, ora asseconda le cadenze di un dialogo prote­ so verso ogni possibile compagno d’avventura. E ancora al Centro Culturale Mons. Moreno di Mal­ lare e alla sua Presidente Anna Mallarini, alla Fondazione Agostino Maria De Mari e al Comune di Mallare. In ultimo, ma non secondario, un grazie particolare a mia moglie Maria Pia Altamore, che ha dovuto sopportare le mie assenze quando mi trovavo disperso nel mondo della poesia. Roberto Marzano


Nota biobibliografica Roberto Marzano (Genova, 1959) è poeta, narra­ tore e cantautore. Come musicista (Roberto Marzano & gli Ugolotti e Small Fair Band) si è esibito in centinaia di con­ certi. Ha all’attivo numerose pubblicazioni, tra le quali ri­ cordiamo: Extracomunicante. Dov’è finita la poesia? (De Ferrari, Genova 2012), Eventualmente improponibile (Edi­ zioni Si Fa Per Fare), Senza orto né porto (Bel-Ami Edizio­ ni, 2013) L’ultimo tortellino e altre storie (Matisklo Edizio­ ni, Mallare 2013) e M’illumino di mensole (Massoero 2000 Onlus – Un Tè Nel Deserto, 2014). Ha vinto diversi premi letterari, tra cui: Premio Na­ zionale «FITEL», Roma 2002; III Rassegna Letteraria «Monte Zignano», Genova 2008; XXI Edizione Concorso Letterario «Don Lelio Podestà», XXI edizione, Chiavari 2010; «Concorso Letterario Bel-Ami», III edizione, Napoli 2013. Nel 2014 è risultato primo classificato al Premio Na­ zionale di Poesia «La Bormida al Tanaro sposa», sezione silloge inedita, proprio con Dialoghi scaleni. Suoi testi sono presenti in svariate antologie e colla­ bora con le riviste letterarie Prospektiva, EraSuperba, Di­ wali – Rivista Contaminata e La Masnada.


Indice Prefazione (di Mariella Mulas) Dialoghi scaleni Camere oscure Il matto con gli stivali Sparami qui S’8 la punk M’illumino di mensole Il tutto Avrei voluto L’intruso La cena delle effe Il conguaglio Il crisantemo di plastica Il cappotto Proteso all’infinito Origami La gabbia Non dissimili Downlove Sull’abisso


Alghe stigie Baci di rima Il bacio Il punto L’ultima eclissi Capitomboli Il filo rosso Scemi di zucca Occhi negli occhi Artisti di cartapesta Via di fuga Frasi sfatte La fanciulla senza nome Addio a Valona Couperose La prima vera Violetta L’anguilla testarda Aquile con gli occhi bendati Diciotto barrato Sotto-sopra Il commissario sperduto Il metronotte Zero


Penna d’oca Tavolini di Bruxelles Angeli dalle calze bucate Respirando Respighi Mingus at Antibes Il prezzemolo Io e te Ringraziamenti Nota biobibliografica


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