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Intervista a Lella Golfo

Presidente Associazione Marisa Bellisario

Lella Golfo, una vita spesa per l’affermazione dei diritti delle donne nel mondo del lavoro. Presidente Golfo, quale è stata la sua scintilla?

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Mio figlio sostiene che ci sono nata con questo chiodo fisso delle donne e dell’impegno per i più deboli! Le mie prime battaglie sono state in Calabria, appena maggiorenne, per difendere i diritti delle raccoglitrici di olive e delle gelsominiane: donne povere e sfruttate in una terra in cui le rivendicazioni e il femminismo erano solo echi lontani. Poi, una volta a Roma insieme ad altre donne ho creato l’Associazione Buongiorno Primavera ed è iniziata la stagione dell’impegno ufficiale e anche politico per le donne insieme all’allora PSI. La Fondazione intitolata a Marisa Bellisario è nata sull’onda di un’emozione. La sua morte, la prima vera icona di leadership femminile in Italia, sconvolse me e tante giovani donne che guardavamo alla manager come esempio di parità dimostrata e io mi attivai subito per creare un Premio in sua memoria. La prima edizione, al Palatrussardi di Milano, fu un successo così clamoroso che decisi di andare oltre il Premio e nacque la Fondazione Marisa Bellisario, che ormai ha più di trent’anni sulle spalle!

Quali sono gli obiettivi e come si configura l’attività della Fondazione Marisa Bellisario di cui lei è Presidente?

La nostra mission è stata sin da subito quella di valorizzare e promuovere il talento e le competenze femminili, di conquistare per le donne lo spazio e il potere che meritano e che spetta loro, di affermare principi non solo di parità ma di democrazia e meritocrazia. Perché è innegabile che in Italia esistano pregiudizi duri a morire che, ancora oggi, tentano di tenere le donne lontane dai luoghi in cui si decide.

Attraverso il Premio diamo visibilità a storie di ordinaria e straordinaria eccellenza in tutti gli ambiti. Abbiamo premiato oltre 500 donne: modelli di leadership e di determinazione che negli anni hanno alimentato il coraggio e l’intraprendenza di milioni di giovani donne.

Poi ci sono gli eventi e le iniziative – una tra tutte il seminario annuale Donna Economia & Potere, giunto alla sua ventunesima edizione – con cui entriamo nel dibattito dei temi di più stringente attualità portando il contributo, le idee e le proposte delle donne.

E poi ci sono una miriade di altre attività. Penso alle campagne per il merito – una fra tutte quella dei Curricula Eccellenti con cui abbiamo messo a disposizione di aziende e istituzioni oltre 3.000 profili di donne eccellenti – ai corsi di formazione – come Board Academy insieme a Deloitte – alle centinaia di ricerche fatte, le ultime in ordine di tempo con il Cerved per verificare la presenza di donne ai vertici e con Euromedia Research Donne e lavoro ai tempi del Covid-19. Penso alle missioni internazionali per portare aiuti concreti alle donne in tutto il mondo e per stringere accordi e collaborazioni con le associazioni femminili: dall’Afghanistan al Rwanda, dalla Palestina al Kosovo, dalla Tunisia alla Cina fino in Argentina. E poi ci sono le pubblicazioni: due inserti annuali in edicola con Il Sole 24ORE e ora il libro “Donne che fanno la differenza” (edito da Marsilio, con la prefazione del Presidente del Senato Casellati) che racconta trent’anni di storia della Fondazione Marisa Bellisario.

Infine, c’è l’attività quotidiana: la Fondazione è un osservatorio permanente, un laboratorio di idee e proposte, una vera e propria sentinella sulla parità. Ogni volta che le donne sono messe da parte, che il loro contributo fondamentale non viene preso in considerazione per incarichi di vertice, ogni violazione delle pari opportunità così come ogni mancata azione per ristabilire l’equilibrio della nostra democrazia ed economia… noi siamo pronte a intervenire.

Insomma, possiamo definirla un luogo e un motore di empowerment femminile che per trent’anni ha ispirato e nutrito le ambizioni delle donne mentre al contempo spingeva l’acceleratore dell’inevitabile cambiamento culturale.

Come si svolge il vostro rapporto di collaborazione con le aziende?

Sono da sempre persuasa che le imprese siano un prezioso alleato dello Stato e delle donne per coltivare una Società e un’economia paritaria e sostenibile. Per questo, abbiamo sempre cercato di coinvolgere nelle nostre attività e iniziative e di sensibilizzare al tema della parità di genere sia i grandi colossi pubblici e privati sia le piccole e medie realtà. La sostenibilità sociale d’impresa, vista nel suo complesso, è una tematica che coinvolge da tempo le grandi imprese ma che sempre più dovrà essere affrontata dalle PMI che sappiamo rappresentano il nucleo e insieme la forza del nostro tessuto produttivo.

Negli ultimi anni abbiamo cercato di rafforzare l’azione di sensibilizzazione verso il mondo imprenditoriale istituendo due Premi alle imprese che attuano politiche di welfare e di promozione delle carriere femminili. Per le grande imprese, in collaborazione con Confindustria, promuoviamo il Premio Azienda Work Life Balance Friendly mentre per le PMI siamo arrivati alla quarta edizione del Premio Women Value Company realizzato con Intesa Sanpaolo. Grazie a questi riconoscimenti, ho avuto l’occasione di conoscere realtà anche piccole dove le donne occupano posizioni di vertice e dove la conciliazione tra lavoro e famiglia non rappresenta un percorso a ostacoli. Ed è anche grazie a questo riconoscimento se aziende premiate – come Poste ed Enel – sono entrate nelle graduatorie internazionali come modelli di successo in tema di welfare aziendale e promozione delle donne.

Quali valori ci ha lasciato Marisa Bellisario che sono tuttora di riferimento a distanza di 32 anni?

Tutto il suo pensiero, il suo modello e il suo esempio sono attualissimi!

Marisa Bellisario sosteneva per esempio che le telecomunicazioni rappresentavano il futuro per il lavoro e per le donne. Invitava le ragazze a seguire percorsi scientifici - le famose STEM - perché avrebbero offerto loro maggiori e migliori opportunità di lavoro. Decise, inoltre, di far parte della Commissione Nazionale per la parità tra uomo e donna, istituita nell’84 dall’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi e scelse per sé la Presidenza della sezione per le nuove tecnologie, lasciando un documento in cui invitava a studiare, ricercare, innovare perché, sosteneva, la tecnologia è il migliore alleato che la donna abbia mai avuto.

Le difficoltà, gli ostacoli alla carriera femminile che lei descrive, il fatto che per una donna fare carriera sia più difficile ma più divertente; la convinzione che non esistano mestieri da donne ma semplicemente mestieri; che essere donna non è un alibi e che quando le donne avranno il diritto alla mediocrità, così come gli uomini, allora potremo dire di aver raggiunto la parità…ebbene, quanto è ancora vero tutto questo!

Marisa guardava in modo disincantato e realista al suo tempo e, purtroppo, vorrei che fossero cambiate molte più cose rispetto a quando lei aveva raggiunto i vertici di un’impresa pubblica. Certamente non c’è più un’unica donna e sono tante le manager alla guida di aziende ma i pregiudizi e le arretratezze culturali che tengono ancora lontane le donne dal potere, la condizione di straordinarietà che accompagna la nomina di una donna ai vertici, purtroppo sono duri a morire.

Così come è ancora validissimo il suo esempio di leadership al femminile. Marisa aveva compreso che per affermarsi in un mondo di uomini, le donne dovevano trovare un proprio stile di leadership e non scimmiottare quello maschile. Diciamo che in questi decenni stiamo tentando di seguire il suo consiglio e modello e abbiamo fatto passi avanti ma c’è ancora tanta strada da fare.

Legge Golfo-Mosca sulla rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione. Dopo 9 anni qual è il vostro consuntivo?

Diciamo un bilancio vincente! Tanto che il Parlamento ha votato una sua proroga per altri tre mandati, innalzando l’asticella della quota al 40%.

Nel 2009, quando presentai la proposta, le donne nei CdA delle società quotate erano appena il 5.6% e la Banca d’Italia aveva calcolato che ci sarebbero voluti 50 anni per arrivare al 30%. Oggi abbiamo raggiunto il 38,5% di donne nelle sole società quotate; quantitativamente siamo passate da 170 a oltre 800 donne (475 i sindaci donne) e secondo le stime nei soli prossimi tre anni entreranno altre 180 consigliere mentre nelle società controllate siamo passate dal 17,5% del 2014 al 31% di oggi con oltre 405 donne nei collegi sindacali.

E gli effetti della norma vanno ben oltre i numeri: board più giovani e istruiti, con maggior attenzione ai temi della sostenibilità e della diversity; performance aziendali migliori e un miglior apprezzamento da parte degli investitori.

La legge è stata certamente voluta da una donna e sostenuta da donne ma poi sono stati i fatti e il mercato a promuoverla a pieni voti! Molte aziende hanno introdotto volontariamente modifiche statutarie per garantire l’equilibrio di genere; Borsa Italiana ha ribadito questo principio nel suo codice di Autodisciplina e anche Assogestioni ha promosso politiche di selezione dei candidati alle cariche di minoranza che prevedono la presenza del 45% di donne.

La legge sulle quote non solo ha catapultato l’Italia dal fondo alla cima delle classifiche europee in tema di donne ai vertici ma si è rivelata un vero e proprio manifesto di parità che ha trascinato con sé una lunga serie di trasformazioni della Società, dell’economia e della politica italiane. Una rivoluzione culturale, insomma, che ha segnato profondamente il nostro Paese e di cui sono molto fiera.

Lei fa parte della task-force rosa selezionata dalla Ministra Bonetti per il Rinascimento del Paese. Quali obiettivi vi siete dati? A che punto siete?

Sono obiettivi molto ambiziosi, che hanno dato vita a un documento presentato nelle scorse settimane con il Ministro Bonetti e alla presenza del premier Conte e di molti membri del Governo. Il presupposto che ci ha guidato e che ci auguriamo venga accolto dal Governo e dalla politica è che non ci sarà ripresa né crescita se non porremo le condizioni per una maggiore partecipazione femminile in ogni ambito, mettendo la questione femminile in cima alle priorità e all’agenda politica del Paese.

Per questo, abbiamo prodotto un documento con proposte concrete, che da una parte scongiurino un aggravarsi delle già precaria condizione femminile ma dall’altro mettano finalmente al centro il contributo delle donne alla crescita e sciolgano tanti dei nodi ancora irrisolti.

I trent’anni di esperienza maturati alla guida della Fondazione Marisa Bellisario hanno fatto sì che il mio contributo si concentrasse su tre fattori che ritengo decisivi: imprenditoria – e quindi occupazione – femminile, conciliazione e leadership.

Abbiamo pertanto proposto un fondo per le micro-imprese guidate da donne con l’obiettivo di creare nuova occupazione femminile e tamponare la disoccupazione femminile causata dal Covid-19, privilegiando al contempo comparti - i servizi in generale e i servizi all’infanzia in particolare ma anche il turismo e il commercio - e territori - il Mezzogiorno - che più necessitano di sostegno e più possono contribuire alla ripartenza del sistema economico nazionale. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia conta quasi un milione e mezzo di imprenditrici – seconda in Europa solo alla Gran Bretagna – che producono 300 miliardi di valore aggiunto. Al contempo, bisogna agire sul fronte della conciliazione, come si propone di fare il Family Act fortemente voluto dalla Ministra Bonetti. In questa direzione, il nostro documento propone di avviare un piano concreto per la creazione di centomila posti in più negli asili nido in cinque anni, da realizzare anche con l’aiuto delle aziende, con l’incentivazione della micro-imprenditoria femminile e con il contributo del terzo settore. E segnaliamo altre e importanti misure – come la rimodulazione degli orari scolastici e scuole aperte tutto l’anno come accade in tutta Europa – che consentano alle lavoratrici di conciliare carriera e famiglia.

Infine, abbiamo proposto strumenti concreti per favorire e rafforzare la leadership femminile e la parità ai vertici dell’economia e delle istituzioni. Per avere una classe dirigente in grado di affrontare le sfide che ci aspettano, dobbiamo rendere il potere contendibile sulla sola base del merito. Un potere che parli entrambi i generi, che contemperi diverse sensibilità e visioni sarà un potere più equo e lungimirante, capace di imprimere uno sviluppo sostenibile e inclusivo.

La sostenibilità sociale dell’impresa italiana è ancora una prospettiva a lunga scadenza: perché incontra tanta resistenza da parte dei nostri imprenditori?

Non lo credo. Abbiamo dedicato l’ultima edizione del nostro Seminario internazionale Donna Economia & Potere alla crescita sostenibile e abbiamo avuto nel nostro parterre tantissimi imprenditori, imprenditrici e manager di grandi e medie aziende italiane che hanno investito tempo, energie e denaro sulla sostenibilità sociale. È anche vero che bisogna alimentare la consapevolezza e la cultura del valore della sostenibilità sociale e dei ritorni materiali e immateriali per l’impresa. È certamente un percorso lungo, soprattutto per le realtà più piccole ma io sono ottimista e credo che sia l’unica strada realmente praticabile se vogliamo sopravvivere come economia, come comunità e come Paese.

Abbiamo preso in prestito il Pianeta dai nostri figli. Cosa lasciamo loro?

Purtroppo a oggi lasciamo un Pianeta ferito ma stiamo cercando di correre ai ripari e vedo un grande impegno in questo senso da parte tutta la comunità internazionale. Lo Sviluppo Sostenibile è una sfida globale che ha messo d’accordo 193 Paesi che hanno firmato l’Agenda 2030 dell’Onu e i suoi 17 obiettivi rappresentano il primo, epocale tentativo di definire il futuro che vogliamo, da costruire insieme senza lasciare indietro nessuno, nel segno di una necessaria nuova solidarietà universale. Il traguardo che ci siamo posti è salvaguardare quanto di buono abbiamo creato, migliorare le prospettive di benessere dei nostri figli, porre le basi per una società paritaria e inclusiva, un ambiente sano, un’economia circolare e verde. È un modello di sviluppo integrale del potenziale umano che ci obbliga ad ampliare il nostro sguardo verso il futuro e il mondo.

Per decenni abbiamo misurato lo sviluppo in termini di PIL, abbiamo trasformato l’economia di mercato in una società di mercato, depauperando l’ambiente e fomentando crescenti diseguaglianze sociali. Ripartire dalle famose cinque P – Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership – significa respingere il mito della crescita e del consumo illimitati, essere disposti ad affrontare le cause profonde delle sfide che abbiamo di fronte e le conseguenze a lungo termine di ogni nostra azione.

La buona notizia, a mio avviso, è che il cambiamento è già in atto. Nei mesi scorsi abbiamo ascoltato il discorso programmatico di Ursula von der Leyen che ha in mente un piano d’investimenti di mille miliardi di euro per un’Europa sostenibile. Tuttavia, il cambiamento più solido e promettente che vedo viene dal basso ed è quello di tante persone e imprese che modificano i loro modelli di produzione e consumo non come fosse un costo o un sacrificio ma una grande opportunità. È, per esempio, il cambiamento delle 345mila imprese italiane che negli ultimi 5 anni hanno scommesso sulla green economy, che ha creato quasi 3milioni di posti di lavoro ed è quello di un’Italia che è sesta al mondo per superfici dedicate alla produzione biologica e che vanta in Europa la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti e il 21% in meno di emissioni di gas serra. Ed è anche il cambiamento che vedo nelle nuove generazioni e che non si limita più al grande e partecipato movimento globale per il clima a cui assistiamo da mesi.

Dobbiamo lavorare tanto e bene per lasciare ai nostri figli un Pianeta migliore, dobbiamo agire in fretta e con grande sinergia. È un traguardo possibile se collaboreremo tutti, nessuno escluso e donne in prima linea!

A cura di Fabrizio Favini

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