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Le nostre democrazie sono in decomposizione
Un virus infettivo sta colpendo le principali nazioni occidentali. Questa volta non è una emergenza sanitaria ma democratica.
La malata del secolo è la democrazia, affetta da un morbo che colpisce le istituzioni e, soprattutto, la cultura democratica, alimentando le dinamiche di disfacimento del demos. La democrazia non è solo un insieme di istituzioni, ma anche uno stato d’animo, ricorda il politologo americano Francis Fukuyama. Quando la fiducia nelle istituzioni si erode, la democrazia stessa è in pericolo.
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Per il 52% degli italiani la democrazia è lenta, ci vuole decisionismo; il 41% ritiene le elezioni un rito ormai inutile e il 31% giudica il Parlamento un freno all’agire e auspica più poteri all’Esecutivo. La crisi della democrazia non è solo una decadenza politica, ma anche una crisi di significato, sostiene il filosofo
Slavoj Žižek. Non a caso per il 52% è poco importante partecipare alla vita politica e la grande maggioranza del Paese preferisce soluzioni semplici perché dietro a quelle complesse ci sono sempre delle fregature (77%).
Metà del Paese (50%) predilige più ordine anche se significa meno libertà; il 39% avverte il bisogno di un leader forte disposto a infrangere le regole e il 53% ritiene che l’Italia abbia bisogno di un leader vigoroso.
I sintomi del disfacimento del demos li ritroviamo anche nell’interpretazione della politica come un confronto tra buoni e cattivi (38%); nel ritenere “Il nemico del mio nemico è mio amico” (36%); nella difficoltà ad andare d’accordo con persone che esprimono opinioni politiche differenti dalle proprie (44%). I dati tracciano l’affresco dei diversi fattori che partecipano al processo di disfacimento del demos. Un andamento in cui troviamo le dinamiche di erosione della legittimità istituzionale. La crisi di fiducia nelle istituzioni democratiche tradizionali erode le fondamenta stesse della democrazia rappresentativa, mettendo in discussione la validità dei suoi meccanismi fondamentali.
Un secondo aspetto che possiamo osservare è l’ascesa di un autoritarismo soft. La tendenza verso un decisionismo marcato e il desiderio di leadership forti indicano l’avanzare di quello che Colin Crouch definisce post-democrazia. Un ambiente in cui le forme democratiche persistono, ma il potere effettivo si concentra in figure autoritarie, creando una tensione tra efficienza e principi democratici.
Una terza dinamica è l’affermarsi del simplism, il bisogno di semplificazione della politica. La preferenza per soluzioni semplici e la visione dicotomica della politica raccontano l’insediarsi di una forma di democrazia post-consensuale. Un fenomeno che riduce la politica a scelte binarie, basate sull’individuazione di soggetti su cui scaricare ogni colpa, impoverendo il dibattito pubblico e la capacità di affrontare i problemi complessi.
La dimensione della tribù è il quarto fenomeno che porta con sé la dimensione della politica attuale. La difficoltà di dialogo tra persone con opinioni diverse e l’adozione di logiche tribali evidenziano una crisi del pluralismo democratico e l’affermarsi di una fandomizzazione (essere fan e non elettori) del confronto politico, che trasforma la politica in uno scontro tra tifoserie.
Il disinteresse per la partecipazione politica, infine, crea i presupposti per quella forma di democrazia fuggitiva - come la chiama lo scrittore americano Sheldon Wolin - in cui l’impegno politico diventa sempre più raro e transitorio. Un fenomeno che mina la base stessa della democrazia partecipativa, creando un vuoto che può essere facilmente riempito da forze antidemocratiche.
Le tendenze identificate non sono fenomeni isolati, ma sintomi interconnessi di una trasformazione del rapporto tra cittadini, istituzioni e potere. Le fratture sociali e i fenomeni esistenziali che attraversano la società incidono sulle dinamiche della democrazia. L’enfasi sull’individualismo erode il senso di solidarietà e promuove una visione della libertà basata sull’affermazione di sé e non sul dialogo. La competizione al profitto alimenta le disuguaglianze e la polarizzazione sociale, rendono fragile la difesa dei beni pubblici e degli spazi di convivenza civica. Le dimensioni della società dell’applauso e dei like sostituiscono la politica inclusiva: i Cittadini sono sempre più visti come consumatori e le scelte politiche come una merce da vendere sul mercato, mentre il dissenso è marginalizzato o considerato irrazionale.
L’emergere delle post-verità, infine, mina le basi razionali del dibattito pubblico, sostituendolo con la fiction permanente. La sfida per il futuro della democrazia non è una difesa d’ufficio dei suoi principi ma è un confronto per l’egemonia sul futuro, per consolidare il modello democratico e sviluppare una cultura politica inclusiva e capace di affrontare le sfide complesse del nostro tempo.
Al fondo di questo processo di decadimento del demos c’è, come diceva il politologo Robert Dahl, il peso delle fratture sociali.
La democrazia è un sistema fragile, che richiede costante manutenzione.
Quando le disuguaglianze economiche e sociali diventano troppo grandi, il sistema democratico rischia di collassare.
Enzo Risso
